San Cleofa, Discepolo di Gesù 25 settembre

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Transcript San Cleofa, Discepolo di Gesù 25 settembre

San Cleofa, Discepolo di Gesù
25 settembre
Cleofa (o Cleofe o Clopa) è uno dei due discepoli che il giorno della risurrezione di Gesù, tornandosene a Emmaus al termine delle celebrazioni pasquali, furono raggiunti per strada e accompagnati dal Risorto, che riconobbero soltanto dopo essere rincasati e avergli generosamente
offerto ospitalità. "Noi speravamo che egli sarebbe stato colui che avrebbe liberato Israele; invece...". Nelle parole che i due discepoli rivolgono allo sconosciuto c'è l'eco di una delusione comune agli apostoli in quell'ora della prova. "Tuttavia alcune donne, che sono fra noi, ci hanno
fatto assai meravigliare".
Da questo spiraglio di speranza lo sconosciuto fa penetrare la luce della "buona novella", spiegando loro le Scritture e poi, accolto il loro invito: "Rimani con noi, perché si fa sera e il giorno
sta per finire", si rivela loro "allo spezzare del pane", il gesto eucaristico dell'ultima cena, cui
perciò anche Cleofa dovette esser presente. Ma non è questo il solo privilegio di cui poteva andar fiero. Se diamo un'occhiata all'etimologia del suo nome, scopriamo che Cleofa e Alfeo sono
la trascrizione e la pronuncia dello stesso nome ebraico Halphai, oppure due nomi portati dalla
stessa persona. Presumibilmente perciò Cleofa-Alfeo è il padre di Giacomo il Minore e di Giuseppe, fratelli, cioè cugini, del Signore. Nel Vangelo di Giovanni, Maria, madre di Giacomo e
Giuseppe, viene detta sposa di Cleofa e sorella, in senso più o meno proprio, della Madre di Gesù.
La sua fortunata posizione in seno alla famiglia del Signore sembra abbia altri risvolti. Lo storico
palestinese Egesippo afferma che Cleofa è fratello di S. Giuseppe e padre di Giuda e Simone, eletto, quest'ultimo, a succedere a Giacomo il Minore, come vescovo di Gerusalemme. Tirando le
somme, possiamo identificare nel commosso discepolo di Emmaus il Cleofa che Giovanni dice
marito della sorella della Madonna, quella Maria di Cleofa presente con le altre pie donne al
dramma del Calvario.
Poiché Maria di Cleofa è madre di Giacomo il Minore, di Giuseppe, di Giuda e di Simone, ne segue che Cleofa è loro genitore. Padre di tre apostoli! Secondo Eusebio e S. Girolamo, Cleofa era
nativo di Emmaus. E ad Emmaus, secondo un'antica tradizione, Cleofa, "testimone della risurrezione", fu trucidato dai suoi compaesani, intolleranti del suo zelo e della sua certezza di fede
nel Messia risorto. S. Girolamo ci assicura che già nel IV secolo la sua casa era stata trasformata
in chiesa. Il Martirologio Romano ha inserito il suo nome nella data odierna e ne conferma il
martirio avvenuto per mano dei Giudei.
Santi Cosma e Damiano, Martiri
26 settembre
Sulla vita di Cosma e Damiano le notizie sono scarse. Si sa che erano gemelli e cristiani. Nati in
Arabia, si dedicarono alla cura dei malati dopo aver studiato l'arte medica in Siria. Ma erano
medici speciali. Spinti da un'ispirazione superiore infatti non si facevano pagare. Di qui il soprannome di anàrgiri (termine greco che significa «senza argento», «senza denaro»). Ma questa
attenzione ai malati era anche uno strumento efficacissimo di apostolato. «Missione» che costò
la vita ai due fratelli, che vennero martirizzati. Durante il regno dell'imperatore Diocleziano, forse nel 303, il governatore romano li fece decapitare. Successe a Ciro, città vicina ad Antiochia di
Siria dove i martiri vengono sepolti. Un'altra narrazione attesta invece che furono uccisi a Egea
di Cilicia, in Asia Minore, per ordine del governatore Lisia, e poi traslati a Ciro. Il culto di Cosma e
Damiano è attestato con certezza fin dal V secolo.
San Vincenzo de' Paoli, Sacerdote e fondatore
27 settembre
Nella storia della cristianità, fra le innumerevoli schiere di martiri e santi, spiccano in ogni periodo storico delle figure particolari, che nel proprio campo di apostolato, sono diventate dei colossi, su cui si fonda e si perpetua la struttura evangelica, caritatevole, sociale, mistica, educativa,
missionaria, della Chiesa.
E fra questi suscitatori di Opere, fondatori e fondatrici di Congregazioni religiose, pastori zelanti
di ogni grado, ecc., si annovera la luminosa figura di san Vincenzo de’ Paoli, che fra i suoi connazionali francesi era chiamato “Monsieur Vincent”.
Gli anni giovanili
Vincenzo Depaul, in italiano De’ Paoli, nacque il 24 aprile del 1581 a Pouy in Guascogna (oggi
Saint-Vincent-de-Paul); benché dotato di acuta intelligenza, fino ai 15 anni non fece altro che
lavorare nei campi e badare ai porci, per aiutare la modestissima famiglia contadina.
Nel 1595 lasciò Pouy per andare a studiare nel collegio francescano di Dax, sostenuto finanziariamente da un avvocato della regione, che colpito dal suo acume, convinse i genitori a lasciarlo
studiare; che allora equivaleva avviarsi alla carriera ecclesiastica.
Dopo un breve tempo in collegio, visto l’ottimo risultato negli studi, il suo mecenate, giudice e
avvocato de Comet senior, lo accolse in casa sua affidandogli l’educazione dei figli.
Vincenzo ricevette la tonsura e gli Ordini minori il 20 dicembre 1596, poi con l’aiuto del suo patrono, poté iscriversi all’Universit{ di Tolosa per i corsi di teologia; il 23 settembre 1600 a soli 19
anni, riuscì a farsi ordinare sacerdote dall’anziano vescovo di Périgueux (in Francia non erano
ancora attive le disposizioni in materia del Concilio di Trento), poi continuò gli studi di teologia a
Tolosa, laureandosi nell’ottobre 1604.
Sperò inutilmente di ottenere una rendita come parroco, nel frattempo perse il padre e la famiglia finì ancora di più in ristrettezze economiche; per aiutarla Vincent aprì una scuola privata
senza grande successo, anzi si ritrovò carico di debiti.
Fu di questo periodo la strabiliante e controversa avventura che gli capitò; verso la fine di luglio
1605, mentre viaggiava per mare da Marsiglia a Narbona, la nave fu attaccata da pirati turchi ed
i passeggeri, compreso Vincenzo de’ Paoli, furono fatti prigionieri e venduti a Tunisi come schiavi.
Vincenzo fu venduto successivamente a tre diversi padroni, dei quali l’ultimo, era un frate rinnegato che per amore del denaro si era fatto musulmano.
La schiavitù durò due anni, finché riacquistò la libertà fuggendo su una barca insieme al suo ultimo padrone da lui convertito; attraversando avventurosamente il Mediterraneo, giunsero il 28
giugno 1607 ad Aigues-Mortes in Provenza.
Ad Avignone il rinnegato si riconciliò con la Chiesa, nelle mani del vicedelegato pontificio Pietro
Montorio, il quale ritornando a Roma, condusse con sé i due uomini.
Vincenzo rimase a Roma per un intero anno, poi ritornò a Parigi a cercare una sistemazione; certamente negli anni giovanili Vincenzo de’ Paoli non fu uno stinco di santo, tanto che alcuni studiosi affermano, che i due anni di schiavitù da lui narrati, in realtà servirono a nascondere una
sua fuga dai debitori, per la sua fallimentare conduzione della scuola e pensionato privati.
Riuscì a farsi assumere tra i cappellani di corte, ma con uno stipendio di fame, che a stento gli
permetteva di sopravvivere, senza poter aiutare la sua mamma rimasta vedova.
Parroco e precettore
Finalmente nel 1612 fu nominato parroco di Clichy, alla periferia di Parigi; in questo periodo della sua vita, avvenne l’incontro decisivo con Pierre de Bérulle, che accogliendolo nel suo Oratorio, lo formò a una profonda spiritualità; nel contempo, colpito dalla vita di preghiera di alcuni
parrocchiani, padre Vincenzo ormai di 31 anni, lasciò da parte le preoccupazioni materiali e di
carriera e prese ad insegnare il catechismo, visitare gli infermi ed aiutare i poveri.
Lo stesso de Brulle, gli consigliò di accettare l’incarico di precettore del primogenito di Filippo
Emanuele Gondi, governatore generale delle galere.
Nei quattro anni di permanenza nel castello dei signori Gondi, Vincenzo poté constatare le condizioni di vita che caratterizzavano le due componenti della societ{ francese dell’epoca, i ricchi
ed i poveri.
I ricchi a cui non mancava niente, erano altresì speranzosi di godere nell’altra vita dei beni celesti, ed i poveri che dopo una vita stentata e disgraziata, credevano di trovare la porta del cielo
chiusa, a causa della loro ignoranza e dei vizi in cui la miseria li condannava.
Anche la signora Gondi condivideva le preoccupazioni del suo cappellano, pertanto mise a disposizione una somma di denaro, per quei religiosi che avessero voluto predicare una missione
ogni cinque anni, alla massa di contadini delle sue terre; ma nessuna Congregazione si presentò
e il cappellano de’ Paoli, intimorito da un compito così grande per un solo prete, abbandonò il
castello senza avvisare nessuno.
Gli inizi delle sue fondazioni – Le “Serve dei poveri”
Le fondazioni di Vincenzo de’ Paoli, non scaturirono mai da piani prestabiliti o da considerazioni, ma bensì da necessità contingenti, in un clima di perfetta aderenza alla realtà.
Lasciato momentaneamente il castello della famiglia Gondi, Vincenzo fu invitato dagli oratoriani di de Bérulle, ad esercitare il suo ministero in una parrocchia di campagna a Chatillon-leDombez; il contatto con la realtà povera dei contadini, che specie se ammalati erano lasciati
nell’abbandono e nella miseria, scosse il nuovo parroco.
Dopo appena un mese dal suo arrivo, fu informato che un’intera famiglia del vicinato, era ammalata e senza un minimo di assistenza, allora lui fece un appello ai parrocchiani che si attivassero per aiutarli, appello che fu accolto subito e ampiamente.
Allora don Vincenzo fece questa considerazione: “Oggi questi poveretti avranno più del necessario, tra qualche giorno essi saranno di nuovo nel bisogno!”. Da ciò scaturì l’idea di una confraternita di pie persone, impegnate a turno ad assistere tutti gli ammalati bisognosi della
parrocchia; così il 20 agosto 1617 nasceva la prima ‘Carit{’, le cui associate presero il nome di
“Serve dei poveri”; in tre mesi l’Istituzione ebbe un suo regolamento approvato dal vescovo di
Lione.
La Carit{ organizzata, si basava sul concetto che tutto deve partire da quell’amore, che in ogni
povero fa vedere la viva presenza di Gesù e dall’organizzazione, perché i cristiani sono tali solo
se si muovono coscienti di essere un sol corpo, come già avvenne nella prima comunità di Gerusalemme.
La signora Gondi riuscì a convincerlo a tornare nelle sue terre e così dopo la parentesi di sei mesi
come parroco a Chatillon-les-Dombes, Vincenzo tornò, non più come precettore, ma come cappellano della massa di contadini, circa 8.000, delle numerose terre dei Gondi.
Prese così a predicare le Missioni nelle zone rurali, fondando le ‘Carit{’ nei numerosi villaggi; s.
Vincenzo avrebbe voluto che anche gli uomini, collaborassero insieme alle donne nelle ‘Carit{’,
ma la cosa non funzionò per la mentalit{ dell’epoca, quindi in seguito si occupò solo di ‘Carit{’
femminili.
Quelle maschili verranno riprese un paio di secoli dopo, nel 1833, da Emanuele Bailly a Parigi,
con un gruppo di sette giovani universitari, tra cui la vera anima fu il beato Federico Ozanam
(1813-1853); esse presero il nome di “Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli”.
Intanto nel 1623 Vincenzo de’ Paoli, si laureò in diritto canonico a Parigi e restò con i Gondi fino
al 1625.
Le “Dame della Carit{”
Vincenzo de’ Paoli, vivendo a Parigi si rese conto che la povert{ era presente, in forma ancora
più dolorosa, anche nelle citt{ e quindi fondò anche a Parigi le ‘Carit{’; qui nel 1629 le “Suore dei
poveri” presero il nome di “Dame della Carit{”.
Nell’associazione confluirono anche le nobildonne, che poterono dare un valore aggiunto alla
loro vita spesso piena di vanità; ciò permise alla nobiltà parigina di contribuire economicamente
alle iniziative fondate da “monsieur Vincent”.
L’istituzione cittadina più importante fu quella detta dell’”Hotel Dieu” (Ospedale), che s. Vincenzo organizzò nel 1634, essa fu il più concreto aiuto al santo nelle molteplici attività caritative, che man mano lo vedevano impegnato; trovatelli, galeotti, schiavi, popolazioni affamate
per la guerra e nelle Missioni rurali.
Fra le centinaia di associate a questa meravigliosa ‘Carit{’, vi furono la futura regina di Polonia
Luisa Maria Gonzaga e la duchessa d’Auguillon, nipote del Primo Ministro, cardinale Richelieu.
Le prime ‘Carit{’ vincenziane sorsero in Italia a Roma (1652), Genova (1654), Torino (1656).
I “Preti della Missione” o “Lazzaristi”
Anche in questa fondazione ci fu l’intervento munifico dei signori Gondi; la sua origine si fa risalire alla fortunata predicazione che il fondatore tenne a Folleville il 25 gennaio 1617; le sue parole furono tanto efficaci che non bastarono i confessori.
Il bene ottenuto in quel villaggio, indusse la signora Gondi ad offrire una somma di denaro a
quella comunità che si fosse impegnata a predicare periodicamente ai contadini; come già detto
non si presentò nessuno, per cui dopo il suo ritorno a Parigi, Vincenzo de’ Paoli prese su di sé
l’impegno, aggregandosi con alcuni zelanti sacerdoti e cominciò dal 1618 a predicare nei villaggi.
Il risultato fu ottimo, ed altri sacerdoti si unirono a lui, i signori Gondi aumentarono il finanziamento e anche l’arcivescovo di Parigi diede il suo appoggio, assegnando a Vincenzo ed ai suoi
missionari rurali, una casa nell’antico Collegio dei Bons-Enfants in via S. Vittore; il contratto fra
Vincenzo de’ Paoli ed i signori Gondi porta la data del 17 aprile 1625.
La nuova comunità, si legge nel contratto, doveva fare vita comune, rinunziare alle cariche ecclesiastiche, e predicare nei villaggi di campagna; inoltre occuparsi dell’assistenza spirituale dei
forzati e insegnare il catechismo nelle parrocchie nei mesi estivi.
La “Congregazione della Missione” come si chiamò, fu approvata il 24 aprile 1626
dall’arcivescovo di Parigi, dal re di Francia nel maggio 1627 e da papa Urbano VIII il 12 gennaio
1632.
Intanto i missionari si erano spostati nel priorato di San Lazzaro, da cui prenderanno anche il
nome di “Lazzaristi”.
In seguito Vincenzo accettò che i suoi Preti della Missione o Lazzaristi, riuniti in una Congregazione senza voti, si dedicassero alla formazione dei sacerdoti, con Esercizi Spirituali, dirigendo
Seminari e impegnandosi nelle Missioni all’estero come in Madagascar, nell’assistenza agli
schiavi d’Africa.
Quando morì nel 1660, la sola Casa di San Lazzaro, aveva già dato 840 missioni e un migliaio di
persone si erano avvicendate in essa, per turni di Esercizi Spirituali.
Le “Figlie della Carit{”
La feconda predicazione nei villaggi, suscitò la vocazione all’apostolato attivo, prima nelle numerose ragazze delle campagne poi in quelle della città; desiderose di lavorare nelle ‘Carit{’ a
servizio dei bisognosi, ma anche consacrandosi totalmente.
Vincenzo de’ Paoli intuì la grande opportunit{ di estendere la sua opera assistenziale, lì dove le
“Dame della Carit{” per la loro posizione sociale, non potevano arrivare personalmente.
Affidò il primo gruppo per la loro formazione, ad una donna eccezionale s. Luisa de Marillac
(1591-1660) vedova Le Gras, era il 29 novembre 1633; Luisa de Marillac le accolse in casa sua e
nel luglio dell’anno successivo le postulanti erano gi{ dodici.
La nuova Congregazione prese il nome di “Figlie della Carit{”; i voti erano permessi ma solo privati ed annuali, perché tutte svolgessero la loro missione nella più piena libertà e per puro amore; l’approvazione fu data nel 1646 dall’arcivescovo di Parigi e nel 1668 dalla Santa Sede.
Nel 1660, anno della morte del fondatore e della stessa cofondatrice, le “Figlie della Carit{” avevano già una cinquantina di Case.
Con il loro caratteristico copricapo, che le faceva assomigliare a degli angeli, e a cui le suore
hanno dovuto rinunciare nel 1964 per un velo più pratico, esse allargarono la loro benefica attivit{ d’assistenza ai malati negli ospedali, ai trovatelli, agli orfani, ai forzati, ai vecchi, ai feriti di
guerra, agli invalidi e ad ogni sorta di miseria umana.
Ancora oggi le Figlie della Carità, costituiscono la Famiglia religiosa femminile più numerosa
della Chiesa.
La formazione del clero
Attraverso l’Opera degli Esercizi Spirituali, i Preti della Missione divennero di fatto, i più prestigiosi e qualificati formatori dei futuri sacerdoti, al punto che l’arcivescovo di Parigi dispose che i
nuovi ordinandi, trascorressero quindici giorni di preparazione nelle Case dei Lazzaristi, in particolare nel Collegio dei Bons-Enfants di cui Vincenzo de’ Paoli era superiore.
Più tardi, nel priorato di San Lazzaro, l’Opera degli Esercizi Spirituali si estese a tutti gli ecclesiastici che avessero voluto fare un ritiro annuale e anche a folti gruppi di laici.
Da ciò scaturì nei sacerdoti il desiderio di riunirsi settimanalmente, per esortarsi a vicenda nel
cammino di una santa vita sacerdotale; così a partire dal 1633, un folto gruppo di ecclesiastici,
con la guida di Vincenzo de’ Paoli, prese a riunirsi il martedì, dando vita appunto alle “Conferenze del martedì”.
Tale meritoria opera di formazione non sfuggì al potente cardinale Richelieu, il quale volle essere informato sulla loro attività e chiese pure al fondatore, una lista di nomi degni di essere elevati all’episcopato.
Lo stesso re Luigi XIII, chiese a ‘monsieur Vincent’, una seconda lista di degni ecclesiastici adatti
a reggere diocesi francesi; il sovrano poi lo volle accanto al suo letto di morte, per ricevere gli ultimi conforti spirituali.
Anche la direzione dei costituendi Seminari delle diocesi francesi, voluti dal Concilio di Trento,
vide sempre nel 1660, ben dodici rettori appartenenti ai Preti della Missione
Alla corte di Francia
Nel 1643, Vincenzo de’ Paoli fu chiamato a far parte del Consiglio della Coscienza o Congregazione degli Affari Ecclesiastici, dalla reggente Anna d’Austria; presieduto dal card. Giulio Mazzarino, il compito del Consiglio era la scelta dei vescovi ed il rilascio di benefici ecclesiastici.
Il potente Primo Ministro faceva scelte di opportunità politica, soprassedendo sulle qualità morali e religiose; era inevitabile lo scontro fra i due, Vincenzo gli si oppose apertamente, anche
criticandolo nelle sue scelte di politica interna, specie nei giorni oscuri della Fronda, quando
Mazzarino tentò di mettere alla fame Parigi in rivolta, Vincenzo allora organizzò una mensa popolare a San Lazzaro, dando da mangiare a 2000 affamati al giorno.
Nel 1649 giunse a chiedere alla regina, l’allontanamento del Mazzarino per il bene della Francia;
la richiesta non poté aver seguito e quindi Vincenzo de’ Paoli cadde in disgrazia e definitivamente allontanato dal Consiglio di Coscienza nel 1652.
La reggente Anna d’Austria gli concesse l’incarico di Ministro della Carit{, per organizzare su
scala nazionale gli aiuti ai poveri; si disse che dalle sue mani passasse più denaro che in quelle
del ministro delle Finanze.
Altri aspetti della sua opera
Vincenzo de’ Paoli divenne il maggiore oppositore alle idee gianseniste propugnate in Francia
dal suo amico Giovanni du Vergier, detto San Cirano († 1642) e poi da Antonio Arnauld; dopo la
condanna del giansenismo da parte dei papi Innocenzo X nel 1653 e Alessandro VIII nel 1656,
Vincenzo si adoperò, affinché la decisione pontificia fosse accettata con sottomissione da tutti
gli aderenti alle idee del vescovo olandese Giansenio (1585-1638).
Il movimento eterodosso del giansenismo affermava, che per la salvezza dell’uomo, a causa della profonda corruzione scaturita dal peccato originale, occorreva l’assoluta necessit{ della Grazia, la quale sarebbe stata concessa solo ad alcuni, per imperscrutabile disegno di Dio.
Fu riformatore della predicazione, fino allora barocca, introducendo una semplice tecnica oratoria: della virtù scelta per argomento, ricercare la natura, i motivi di praticarla, ed i mezzi più opportuni
Per lui apostolo della carità fra i prigionieri ed i forzati, re Luigi XIII, su suggerimento di Filippo
Emanuele Gondi, istituì la carica di Cappellano capo delle galere (8 febbraio 1619), questo gli facilitò il compito e l’accesso nei luoghi di pena e di partenza dei galeotti rematori; dal 1640 il
compito passò anche ai suoi Missionari e alle Dame e Figlie della Carità.
Inoltre si calcola che tra il 1645 e il 1661, Vincenzo de’ Paoli e i suoi Missionari, liberarono non
meno di 1200 schiavi cristiani in mano ai Turchi musulmani.
Monsieur Vincent fu fin dai primi anni, membro attivo della potente “Compagnia del SS. Sacramento”, sorta a Parigi nel 1630, composta da ecclesiastici e laici insigni e dedita ad “ogni forma
di bene”.
Vincenzo de’ Paoli fu spesso ispiratore della benefica attivit{ della Compagnia e da essa ricevé
aiuto e collaborazione, per le sue tante opere assistenziali.
Il pensiero spirituale
Nei dodici capitoli delle “Regulae”, Vincenzo ha condensato lo spirito che deve distinguere i suoi
figli come religiosi: la spiritualità contemplativa del pensiero del card. de Bérulle, sotto la cui direzione egli rimase per oltre un decennio; l’umanesimo devoto di s. Francesco di Sales, suo
grande amico, del quale lesse più volte le opere spirituali e l’ascetismo di s. Ignazio di Loyola,
del quale assimilò il temperamento pratico; elaborando da queste tre fonti una nuova dottrina
spirituale.
Le virtù caratteristiche dello spirito vincenziano, secondo la Regola dei Missionari, sono le “cinque pietre di Davide”, cioè la semplicit{, l’umilt{, la mansuetudine, la mortificazione e lo zelo
per la salvezza delle anime.
La morte, patronati
Il grande apostolo della Carità, si spense a Parigi la mattina del 27 settembre 1660 a 79 anni; ai
suoi funerali partecipò una folla immensa di tutti i ceti sociali; fu proclamato Beato da papa Benedetto XIII il 13 agosto 1729 e canonizzato da Clemente XII il 16 giugno 1737.
I suoi resti mortali, rivestiti dai paramenti sacerdotali, sono venerati nella Cappella della Casa
Madre dei Vincenziani a Parigi.
È patrono del Madagascar, dei bambini abbandonati, degli orfani, degli infermieri, degli schiavi,
dei forzati, dei prigionieri. Leone XIII il 12 maggio 1885 lo proclamò patrono delle Associazioni
cattoliche di carità.
In San Pietro in Vaticano, una gigantesca statua, opera dello scultore Pietro Bracci, è collocata
nella basilica dal 1754, rappresentante il “padre dei poveri”.
Santi Michele, Gabriele e Raffaele, Arcangeli
29 settembre
Il Martirologio commemora insieme i santi arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. La Bibbia li ricorda con specifiche missioni: Michele avversario di Satana, Gabriele annunciatore e Raffaele
soccorritore.
Prima della riforma del 1969 si ricordava in questo giorno solamente san Michele arcangelo in
memoria della consacrazione del celebre santuario sul monte Gargano a lui dedicato.
Il titolo di arcangelo deriva dall’idea di una corte celeste in cui gli angeli sono presenti secondo
gradi e dignità differenti.
Gli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele occupano le sfere più elevate delle gerarchie angeliche.
Queste hanno il compito di preservare la trascendenza e il mistero di Dio. Nello stesso tempo,
rendono presente e percepibile la sua vicinanza salvifica.
Michele (Chi è come Dio?) è l’arcangelo che insorge contro Satana e i suoi satelliti (Gd 9; Ap 12,
7; cfr Zc 13, 1-2), difensore degli amici di Dio (Dn 10, 13.21), pretettore del suo popolo (Dn 12, 1).
Gabriele (Forza di Dio) è uno degli spiriti che stanno davanti a Dio (Lc 1, 19), rivela a Daniele i
segreti del piano di Dio (Dn 8, 16; 9, 21-22), annunzia a Zaccaria la nascita di Giovanni Battista
(Lc 1, 11-20) e a Maria quella di Gesù (Lc 1, 26-38).
Raffaele (Dio ha guarito), anch’egli fra i sette angeli che stanno davanti al trono di Dio (Tb 12,
15; cfr Ap 8, 2), accompagna e custodisce Tobia nelle peripezie del suo viaggio e gli guarisce il
padre cieco.
La Chiesa pellegrina sulla terra, specialmente nella liturgia eucaristica, è associata alle schiere
degli angeli che nella Gerusalemme celeste cantano la gloria di Dio (cfr Ap 5, 11-14; Conc. Vat. II,
Costituzione sulla sacra liturgia, «Sacrosanctum Concilium», 8).
Il 29 settembre il martirologio geronimiano (sec. VI) ricorda la dedicazione della basilica di san
Michele (sec. V) sulla via Salaria a Roma.
San Girolamo (o Gerolamo), Sacerdote e dottore della Chiesa
30 settembre
San Girolamo è un Padre della Chiesa che ha posto al centro della sua vita la Bibbia: l’ha tradotta nella lingua latina, l’ha commentata nelle sue opere, e soprattutto si è impegnato a viverla
concretamente nella sua lunga esistenza terrena, nonostante il ben noto carattere difficile e focoso ricevuto dalla natura.
Girolamo nacque a Stridone verso il 347 da una famiglia cristiana, che gli assicurò un’accurata
formazione, inviandolo anche a Roma a perfezionare i suoi studi. Da giovane sentì l'attrattiva
della vita mondana (cfr Ep. 22,7), ma prevalse in lui il desiderio e l'interesse per la religione cristiana. Ricevuto il battesimo verso il 366, si orientò alla vita ascetica e, recatosi ad Aquileia, si
inserì in un gruppo di ferventi cristiani, da lui definito quasi «un coro di beati» (Chron. Ad ann.
374) riunito attorno al Vescovo Valeriano. Partì poi per l'Oriente e visse da eremita nel deserto di
Calcide, a sud di Aleppo (cfr Ep. 14,10), dedicandosi seriamente agli studi. Perfezionò la sua conoscenza del greco, iniziò lo studio dell'ebraico (cfr Ep. 125,12), trascrisse codici e opere patristiche (cfr Ep. 5,2). La meditazione, la solitudine, il contatto con la Parola di Dio fecero maturare la
sua sensibilità cristiana. Sentì più pungente il peso dei trascorsi giovanili (cfr Ep. 22,7), e avvertì
vivamente il contrasto tra mentalità pagana e vita cristiana: un contrasto reso celebre dalla
drammatica e vivace "visione", della quale egli ci ha lasciato il racconto. In essa gli sembrò di essere flagellato al cospetto di Dio, perché «ciceroniano e non cristiano» (cfr Ep. 22,30).
Nel 382 si trasferì a Roma: qui il Papa Damaso, conoscendo la sua fama di asceta e la sua competenza di studioso, lo assunse come segretario e consigliere; lo incoraggiò a intraprendere una
nuova traduzione latina dei testi biblici per motivi pastorali e culturali. Alcune persone
dell’aristocrazia romana, soprattutto nobildonne come Paola, Marcella, Asella, Lea ed altre, desiderose di impegnarsi sulla via della perfezione cristiana e di approfondire la loro conoscenza
della Parola di Dio, lo scelsero come loro guida spirituale e maestro nell’approccio metodico ai
testi sacri. Queste nobildonne impararono anche il greco e l’ebraico.
Dopo la morte di Papa Damaso, Girolamo lasciò Roma nel 385 e intraprese un pellegrinaggio,
dapprima in Terra Santa, silenziosa testimone della vita terrena di Cristo, poi in Egitto, terra di
elezione di molti monaci (cfr Contra Rufinum 3,22; Ep. 108,6-14). Nel 386 si fermò a Betlemme,
dove, per la generosità della nobildonna Paola, furono costruiti un monastero maschile, uno
femminile e un ospizio per i pellegrini che si recavano in Terra Santa, «pensando che Maria e
Giuseppe non avevano trovato dove sostare» (Ep. 108,14). A Betlemme restò fino alla morte,
continuando a svolgere un'intensa attività: commentò la Parola di Dio; difese la fede, opponendosi vigorosamente a varie eresie; esortò i monaci alla perfezione; insegnò la cultura classica e
cristiana a giovani allievi; accolse con animo pastorale i pellegrini che visitavano la Terra Santa.
Si spense nella sua cella, vicino alla grotta della Natività, il 30 settembre 419/420.
La preparazione letteraria e la vasta erudizione consentirono a Girolamo la revisione e la traduzione di molti testi biblici: un prezioso lavoro per la Chiesa latina e per la cultura occidentale.
Sulla base dei testi originali in greco e in ebraico e grazie al confronto con precedenti versioni,
egli attuò la revisione dei quattro Vangeli in lingua latina, poi del Salterio e di gran parte
dell'Antico Testamento. Tenendo conto dell'originale ebraico e greco, dei Settanta, la classica
versione greca dell’Antico Testamento risalente al tempo precristiano, e delle precedenti versioni latine, Girolamo, affiancato poi da altri collaboratori, poté offrire una traduzione migliore:
essa costituisce la cosiddetta "Vulgata", il testo "ufficiale" della Chiesa latina, che è stato riconosciuto come tale dal Concilio di Trento e che, dopo la recente revisione, rimane il testo "ufficiale" della Chiesa di lingua latina. E’ interessante rilevare i criteri a cui il grande biblista si
attenne nella sua opera di traduttore. Li rivela egli stesso quando afferma di rispettare perfino
l’ordine delle parole delle Sacre Scritture, perché in esse, dice, "anche l’ordine delle parole è un
mistero" (Ep. 57,5), cioè una rivelazione. Ribadisce inoltre la necessità di ricorrere ai testi originali: «Qualora sorgesse una discussione tra i Latini sul Nuovo Testamento, per le lezioni discordanti dei manoscritti, ricorriamo all'originale, cioè al testo greco, in cui è stato scritto il Nuovo
Patto. Allo stesso modo per l'Antico Testamento, se vi sono divergenze tra i testi greci e latini,
ci appelliamo al testo originale, l'ebraico; così tutto quello che scaturisce dalla sorgente, lo possiamo ritrovare nei ruscelli» (Ep. 106,2). Girolamo, inoltre, commentò anche parecchi testi biblici. Per lui i commentari devono offrire molteplici opinioni, «in modo che il lettore avveduto,
dopo aver letto le diverse spiegazioni e dopo aver conosciuto molteplici pareri – da accettare o
da respingere –, giudichi quale sia il più attendibile e, come un esperto cambiavalute, rifiuti la
moneta falsa» (Contra Rufinum 1,16).
Confutò con energia e vivacità gli eretici che contestavano la tradizione e la fede della Chiesa.
Dimostrò anche l'importanza e la validità della letteratura cristiana, divenuta una vera cultura
ormai degna di essere messa confronto con quella classica: lo fece componendo il De viris illustribus, un'opera in cui Girolamo presenta le biografie di oltre un centinaio di autori cristiani.
Scrisse pure biografie di monaci, illustrando accanto ad altri itinerari spirituali anche l'ideale
monastico; inoltre tradusse varie opere di autori greci. Infine nell'importante Epistolario, un capolavoro della letteratura latina, Girolamo emerge con le sue caratteristiche di uomo colto, di
asceta e di guida delle anime.
Che cosa possiamo imparare noi da San Girolamo? Mi sembra soprattutto questo: amare la Parola di Dio nella Sacra Scrittura. Dice San Girolamo: "Ignorare le Scritture è ignorare Cristo".
Perciò è importante che ogni cristiano viva in contatto e in dialogo personale con la Parola di
Dio, donataci nella Sacra Scrittura. Questo nostro dialogo con essa deve sempre avere due dimensioni: da una parte, dev'essere un dialogo realmente personale, perché Dio parla con ognuno di noi tramite la Sacra Scrittura e ha un messaggio ciascuno. Dobbiamo leggere la Sacra
Scrittura non come parola del passato, ma come Parola di Dio che si rivolge anche a noi e cercare di capire che cosa il Signore voglia dire a noi. Ma per non cadere nell'individualismo dobbiamo
tener presente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella verità nel nostro cammino verso Dio. Quindi essa, pur essendo sempre una Parola personale, è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò dobbiamo leggerla in
comunione con la Chiesa viva. Il luogo privilegiato della lettura e dell'ascolto della Parola di Dio
è la liturgia, nella quale, celebrando la Parola e rendendo presente nel Sacramento il Corpo di
Cristo, attualizziamo la Parola nella nostra vita e la rendiamo presente tra noi. Non dobbiamo
mai dimenticare che la Parola di Dio trascende i tempi. Le opinioni umane vengono e vanno.
Quanto è oggi modernissimo, domani sarà vecchissimo. La Parola di Dio, invece, è Parola di vita
eterna, porta in sé l'eternità, ciò che vale per sempre. Portando in noi la Parola di Dio, portiamo
dunque in noi l'eterno, la vita eterna.
Santa Teresa di Gesù Bambino (di Lisieux), Vergine e dottore della
Chiesa
1 ottobre
Si arrampica a Milano sul Duomo fino alla Madonnina, a Pisa sulla Torre, e a Roma si spinge anche nei posti proibiti del Colosseo. La quattordicenne Teresa Martin è la figura più attraente del
pellegrinaggio francese, giunto in Roma a fine 1887 per il giubileo sacerdotale di Leone XIII. Ma,
nell’udienza pontificia a tutto il gruppo, sbigottisce i prelati chiedendo direttamente al Papa di
poter entrare in monastero subito, prima dei 18 anni. Cauta è la risposta di Leone XIII; ma dopo
quattro mesi Teresa entra nel Carmelo di Lisieux, dove l’hanno preceduta due sue sorelle (e lei
non sar{ l’ultima).
I Martin di Alençon: piccola e prospera borghesia del lavoro specializzato. Il padre ha imparato
l’orologeria in Svizzera. La madre dirige merlettaie che a domicilio fanno i celebri pizzi di Alençon. Conti in ordine, leggendaria puntualità nei pagamenti come alla Messa, stimatissimi. E
compatiti per tanti lutti in famiglia: quattro morti tra i nove figli. Poi muore anche la madre,
quando Teresa ha soltanto quattro anni.
In monastero ha preso il nome di suor Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, ma non trova
l’isola di santit{ che s’aspettava. Tutto puntuale, tutto in ordine. Ma è scadente la sostanza. La
superiora non la capisce, qualcuna la maltratta. Lo spirito che lei cercava, proprio non c’è, ma,
invece di piangerne l’assenza, Teresa lo fa nascere dentro di sé. E in sé compie la riforma del
monastero. Trasforma in stimoli di santificazione maltrattamenti, mediocrità, storture, restituendo gioia in cambio delle offese.
E’ una mistica che rifiuta il pio isolamento. La fanno soffrire? E lei è quella che "può farvi morir
dal ridere durante la ricreazione", come deve ammettere proprio la superiora grintosa. Dopodiché, nel 1897 lei è già morta, dopo meno di un decennio di vita religiosa oscurissima. Ma è da
morta che diviene protagonista, apostola, missionaria. Sua sorella Paolina (suor Agnese nel
Carmelo) le ha chiesto di raccontare le sue esperienze spirituali, che escono in volume col titolo
Storia di un’anima nel 1898. Così la voce di questa carmelitana morta percorre la Francia e il
mondo, colpisce gli intellettuali, suscita anche emozioni e tenerezze popolari che Pio XI corregge raccomandando al vescovo di Bayeux: "Dite e fate dire che si è resa un po’ troppo insipida la
spiritualità di Teresa. Com’è maschia e virile, invece! Santa Teresa di Gesù Bambino, di cui tutta
la dottrina predica la rinuncia, è un grand’uomo". Ed è lui che la canonizza nel 1925.
Non solo. Nel 1929, mentre in Urss trionfa Stalin, Pio XI già crea il Collegio Russicum, allo scopo
di formare sacerdoti per l’apostolato in Russia, quando le cose cambieranno. Gi{ allora. E come
patrona di questa sfida designa appunto lei, suor Teresa di Gesù Bambino.