27/9/2016 - studio ducoli

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Martedì, 27 settembre 2016
IL CASO DEL GIORNO
FISCO
IMU e TASI questioni
“aperte” nel project
financing
Costi black list da indicare se sostenuti entro il
10 maggio 2015
/ Antonio PICCOLO
La progressiva diffusione del project
financing, cioè di un moderno strumento di finanziamento privato (promotore) per la realizzazione di opere
pubbliche o di pubblica utilità (disciplina introdotta dalla L. n. 109/1994,
ora regolamentata dal DLgs. n.
50/2016), non è stata accompagnata
da chiari e precisi aspetti tributari,
non ancora adeguatamente affrontati dal legislatore.
Tra le non poche questioni fiscali
“aperte” meritano di essere segnalate quelle relative all’IMU e alla TASI,
scarsamente trattate anche ai fini
dell’ICI.
In termini pratici, per quel che ci interessa, il concessionario (società
cosiddetta “di progetto”), negli anni di
durata della concessione, solitamente trae il corrispettivo della propria
attività di costruzione non dall’eventuale corrispettivo dell’ente concedente (ente pubblico), ma dai redditi
derivanti dall’utilizzo o dalla gestione dei beni. Nel corso della durata
della concessione, la proprietà formale dei beni immobili [...]
Per la circolare n. 39 pubblicata ieri, la L. 208/2015 non cancella le sanzioni per il
passato
/ Alfio CISSELLO
Ieri è stata pubblicata la circolare n.
39 dell’Agenzia delle Entrate, relativa al regime dei costi black list, interessato, negli ultimi anni, da varie
modifiche normative. Alcuni chiarimenti si profilano interessanti, in
quanto impattano sulle modalità di
compilazione della dichiarazione
dei redditi del 2015 (UNICO 2016), il
cui termine è in scadenza il prossimo 30 settembre.
Per prima cosa, è bene rammentare
che il regime dei costi black list, ovvero dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese o professionisti residenti o localizzati in Stati o territori a fiscalità privilegiata di
cui al DM 23 gennaio 2002, è stato
integralmente abrogato dalla L.
208/2015, a decorrere dal periodo
d’imposta 2016.
Fino al periodo d’imposta 2014, l’art.
110 commi 10, 11, 12 e 12-bis del TUIR
prevedeva sia l’indeducibilità dei
costi (salva dimostrazione delle esimenti, ovvero che l’impresa svolgesse in via prevalente attività com-
merciale effettiva, che l’operazione
corrispondesse a un effettivo interesse economico e che l’operazione
avesse avuto esecuzione) che l’obbligo della loro indicazione in dichiarazione.
Per effetto del DLgs. 147/2015, per il
periodo d’imposta 2015 è stata ammessa la deducibilità della parte di
costi black list che eccede il valore
normale in presenza della sola esimente dell’effettivo interesse economico, rimanendo l’obbligo di separata
indicazione in dichiarazione, a prescindere dal valore normale.
Dopo la L. 208/2015, i suddetti costi sono stati parificati a quelli di fonte interna, quindi la deducibilità viene rimessa alla valutazione degli ordinari
criteri del TUIR. Con l’abrogazione del
citato regime viene di conseguenza
meno l’obbligo di indicare i suddetti
costi in modo separato nella dichiarazione dei redditi.
Un primo aspetto di cui si è occupata
la circolare riguarda la decorrenza, ai
fini sanzionatori, delle [...]
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IN EVIDENZA
Consolidato fiscale anche con le azioni in pegno
L’ingiunzione fiscale non sostituisce il ruolo
Definita la nuova procedura di comunicazione del lavoro
accessorio
In arrivo nuove sanzioni per la corruzione nel settore privato
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FISCO
Precompilata, pronte le
regole di invio dei nuovi
dati sugli oneri detraibili
/ Massimo NEGRO
Con il decreto firmato il 16 settembre
scorso e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 225 di ieri, il Ministero
dell’Economia e delle finanze ha stabilito le specifiche tecnich [...]
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ancora
IL CASO DEL GIORNO
STUDIO DUCOLI
IMU e TASI questioni “aperte” nel project financing
Sussistono dubbi su chi debba versare le imposte nell’ambito di questo strumento di finanziamento
privato per realizzare opere pubbliche
/ Antonio PICCOLO
La progressiva diffusione del project financing, cioè di
un moderno strumento di finanziamento privato (promotore) per la realizzazione di opere pubbliche o di
pubblica utilità (disciplina introdotta dalla L. n.
109/1994, ora regolamentata dal DLgs. n. 50/2016), non
è stata accompagnata da chiari e precisi aspetti tributari, non ancora adeguatamente affrontati dal legislatore.
Tra le non poche questioni fiscali “aperte” meritano di
essere segnalate quelle relative all’IMU e alla TASI,
scarsamente trattate anche ai fini dell’ICI.
In termini pratici, per quel che ci interessa, il concessionario (società cosiddetta “di progetto”), negli anni di
durata della concessione, solitamente trae il corrispettivo della propria attività di costruzione non dall’eventuale corrispettivo dell’ente concedente (ente
pubblico), ma dai redditi derivanti dall’utilizzo o dalla
gestione dei beni. Nel corso della durata della concessione, la proprietà formale dei beni immobili costruiti
e oggetto di gestione può essere del concessionario,
con devoluzione al termine del contratto, oppure
dell’ente concedente, con devoluzione immediata, a
seconda che l’affidamento dei beni stessi alla società
di progetto sia o no accompagnata da un diritto reale
di superficie.
Tuttavia, in entrambi i casi il concessionario, in virtù
del diritto esclusivo di sfruttamento, dispone sostanzialmente dei beni alla stregua di un formale (pieno)
proprietario, assumendosi rischi e benefici degli immobili costruiti. Ad esempio, in caso di project financing nel settore sanitario (realizzazione e gestione di
una struttura polifunzionale), il soggetto passivo ai fini dell’IMU è l’ente concedente (Regione), in quanto
proprietario esclusivo dell’area (non demaniale), mentre il concessionario (società di progetto) è completamente estraneo al prelievo fiscale. Allo stesso modo, a
opere ultimate, il soggetto tenuto a corrispondere il tributo rimane soltanto l’ente concedente, con esclusione quindi del concessionario che non diventa mai proprietario degli immobili costruiti.
Ai fini della TASI, invece, poiché il presupposto impositivo è il possesso o la detenzione degli immobili (fabbricati e aree fabbricabili), il tributo va corrisposto sia
dall’ente concedente (possessore) che dal concessionario (occupante o detentore), sia pure nella misura limitata stabilita dal Comune nel regolamento, compresa fra il 10 e il 30% dell’ammontare complessivo della
TASI (commi 669 e 681 della L. n. 147/2013).
Nel caso in cui il project financing abbia previsto il diritto reale di superficie in capo al concessionario, divenendo così proprietario superficiario dei fabbricati coEutekne.Info / Martedì, 27 settembre 2016
struiti, anche se per un certo numero di anni (diritto
reale di superficie a tempo determinato, ai sensi
dell’art. 952 c.c.), la soggettività passiva IMU e TASI
spetta per tale periodo solamente a quest’ultimo, con
riferimento sia all’area fabbricabile che alle costruzioni realizzate.
La situazione si complica allorché, per alcune fattispecie, occorre applicare il regime di esenzione di cui
all’art. 7 del DLgs. n. 504/1992, esteso all’IMU e alla TASI. Tale norma elenca una serie di presupposti soggettivi (pubbliche amministrazioni, enti non commerciali)
e oggettivi (immobili posseduti dall’ente e destinati
esclusivamente a compiti istituzionali, fabbricati con
destinazione ad usi culturali) che, se sussistenti, giustificano l’esenzione delle imposizioni.
La situazione si complica quando si deve applicare il
regime di esenzione
In particolare, si ricorda la disposizione di cui alla sua
lett. i), come modificata dal comma 1 dell’art. 91-bis del
DL n. 1/2012 e integrata dall’art. 2 del DL n. 102/2013, in
forza della quale sono esenti dall’imposta anche gli
immobili (ad eccezione di quelli posseduti da partiti
politici) “utilizzati” dai soggetti IRES (art. 73, comma 1,
lett. c) del DPR n. 917/1986) e destinati esclusivamente
allo svolgimento “con modalità non commerciali” di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca
scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e
sportive.
Con riferimento alla locuzione legislativa “utilizzati”, la
Corte costituzionale ha già riaffermato che l’esenzione deve essere riconosciuta solo all’ente non commerciale che, oltre a possedere l’immobile, lo utilizza direttamente per lo svolgimento delle (tassative) attività ivi
elencate (ordinanze nn. 429/2006 e 19/2007).
Infine, è appena il caso di rimarcare il consolidato
principio generale in materia di agevolazioni fiscali,
secondo cui le norme di favore devono essere interpretate in maniera tassativa e rigorosa, non essendo possibile un’esegesi per via analogica o estensiva (C.M. n.
2/DF/2009; Cass. SS.UU. n. 28160/2008; fra le ultime,
Cass. n. 7221/2016).
Al lume di tale principio generale, è difficile districarsi
nel project financing per la realizzazione e gestione di
una struttura polifunzionale di carattere didattico, ricreativo, sportivo e ricettivo, come nel caso di un’istituzione universitaria (amministrazione pubblica proprietaria concedente dell’area) e una società di progetto (concessionario non titolare di diritto reale di superficie).
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ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Costi black list da indicare se sostenuti entro il 10
maggio 2015
Per la circolare n. 39 pubblicata ieri, la L. 208/2015 non cancella le sanzioni per il passato
/ Alfio CISSELLO
Ieri è stata pubblicata la circolare n. 39 dell’Agenzia
delle Entrate, relativa al regime dei costi black list, interessato, negli ultimi anni, da varie modifiche normative. Alcuni chiarimenti si profilano interessanti, in
quanto impattano sulle modalità di compilazione della dichiarazione dei redditi del 2015 (UNICO 2016), il cui
termine è in scadenza il prossimo 30 settembre.
Per prima cosa, è bene rammentare che il regime dei
costi black list, ovvero dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese o professionisti residenti o
localizzati in Stati o territori a fiscalità privilegiata di
cui al DM 23 gennaio 2002, è stato integralmente abrogato dalla L. 208/2015, a decorrere dal periodo d’imposta 2016.
Fino al periodo d’imposta 2014, l’art. 110 commi 10, 11, 12
e 12-bis del TUIR prevedeva sia l’indeducibilità dei costi (salva dimostrazione delle esimenti, ovvero che
l’impresa svolgesse in via prevalente attività commerciale effettiva, che l’operazione corrispondesse a un effettivo interesse economico e che l’operazione avesse
avuto esecuzione) che l’obbligo della loro indicazione
in dichiarazione.
Per effetto del DLgs. 147/2015, per il periodo d’imposta
2015 è stata ammessa la deducibilità della parte di costi black list che eccede il valore normale in presenza
della sola esimente dell’effettivo interesse economico,
rimanendo l’obbligo di separata indicazione in dichiarazione, a prescindere dal valore normale.
Dopo la L. 208/2015, i suddetti costi sono stati parificati
a quelli di fonte interna, quindi la deducibilità viene rimessa alla valutazione degli ordinari criteri del TUIR.
Con l’abrogazione del citato regime viene di conseguenza meno l’obbligo di indicare i suddetti costi in
modo separato nella dichiarazione dei redditi.
Un primo aspetto di cui si è occupata la circolare riguarda la decorrenza, ai fini sanzionatori, delle norme
citate. Infatti, venendo meno la disciplina dei costi
black list, viene meno sia la sanzione pari al 10% dei
costi ex art. 8 comma 3-bis del DLgs. 471/97 come conseguenza della mancata indicazione in dichiarazione,
sia la sanzione da dichiarazione infedele, derivante
dall’indeducibilità.
Peraltro, come confermato dalla circolare, il fatto che
la L. 208/2015 non abbia espressamente abrogato il citato comma 3- bis è irrilevante, posto che si tratta
all’evidenza di abrogazione implicita.
Eutekne.Info / Martedì, 27 settembre 2016
Relativamente al favor rei, le Entrate specificano che
l’abrogazione delle norme contenute nell’art. 110 commi da 10 a 12-bis del TUIR ha effetto dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015,
quindi dal 2016 (art. 1 comma 144 della L. 208/2015).
Allora, nonostante ciò sia assolutamente discutibile, si
realizza una deroga al favor rei ammessa dallo stesso
art. 3 del DLgs. 472/97 (“salvo diversa disposizione di
legge”), quindi, come altresì sancito dalla Cassazione
nella sentenza n. 6651/2016, le sanzioni restano irrogabili per il pregresso.
Per Hong Kong lo spartiacque è il 29 novembre 2015
Un aspetto di notevole rilevanza concerne l’impatto
sul modello UNICO 2016 dell’art. 1 comma 678 della L.
190/2014, secondo cui l’individuazione degli Stati o territori a fiscalità privilegiata agli effetti dell’art. 110 commi 10 ss. del TUIR è effettuata guardando solo al parametro dell’assenza di strumenti per lo scambio di informazioni ai fini fiscali, e non anche al livello di tassazione dello Stato estero. Così, è stato emanato, in prima battuta, il DM 27 aprile 2015, il quale, modificando il
DM 23 gennaio 2002, ha espunto dalla lista vari Stati
quali gli Emirati Arabi Uniti, il Costa Rica, le Filippine,
la Malesia e Singapore.
Poi, è intervenuto il DM 18 novembre 2015, che ha
espunto dalla lista il territorio di Hong Kong.
Ad avviso delle Entrate, relativamente alla decorrenza,
la disciplina di cui all’art. 110 comma 10 del TUIR “continua a trovare applicazione in relazione alle operazioni commerciali con gli Stati espunti dalla black list intercorse entro il giorno precedente l’entrata in vigore
del relativo decreto”.
Quindi, ad esempio in merito ai costi derivanti da operazioni intercorse con la Malesia, rientrano nell’ambito della disciplina, pertanto devono essere indicati in
UNICO 2016, quelli sostenuti entro il 10 maggio 2015, 29
novembre 2015 se si tratta di operazioni intercorse con
controparti residenti in Hong Kong.
La circolare ha perciò privilegiato il dato formale, non
tenendo conto dell’aspetto sostanziale per cui, con riferimento a molti degli Stati espunti dalla lista dal DM
27 aprile 2015 (esempio Malesia, Filippine e Singapore),
esistono strumenti di scambio di informazioni già in
vigore che coprono tutto il 2015.
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FISCO
STUDIO DUCOLI
Precompilata, pronte le regole di invio dei nuovi dati
sugli oneri detraibili
Dal 1° gennaio 2016, tenuti alla comunicazione anche psicologi, infermieri, ostetriche/i, tecnici di
radiologia medica, ottici e veterinari
/ Massimo NEGRO
Con il decreto firmato il 16 settembre scorso e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 225 di ieri, il Ministero
dell’Economia e delle finanze ha stabilito le specifiche
tecniche e le modalità operative della trasmissione telematica al Sistema tessera sanitaria dei dati relativi
alle ulteriori spese sanitarie e alle spese veterinarie, ai
fini dell’elaborazione della dichiarazione dei redditi
precompilata da parte dell’Agenzia delle Entrate, a decorrere dall’anno d’imposta 2016.
Con il decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze del 1° settembre 2016, infatti, sono diventati obbligati a trasmettere al Sistema tessera sanitaria i dati delle
spese sanitarie e veterinarie, sostenute dalle persone
fisiche dal 1° gennaio 2016, che possono beneficiare
della detrazione IRPEF del 19% ai sensi dell’art. 15, comma 1, lett. c) e c-bis) del TUIR, anche:
- le c.d. “parafarmacie”;
- gli iscritti agli Albi professionali degli psicologi, infermieri, ostetriche/i, tecnici sanitari di radiologia medica e veterinari;
- gli esercenti l’arte sanitaria ausiliaria di ottico.
I dati da inviare al Sistema tessera sanitaria, e da questi comunicati all’Agenzia delle Entrate, sono quelli relativi alle ricevute di pagamento e alle fatture delle
spese sostenute dal contribuente nell’anno d’imposta,
nonché ai rimborsi erogati per prestazioni non fruite.
Le specifiche tecniche per la trasmissione telematica:
- sono state approvate dal DM 16 settembre 2016 e riportate in allegato allo stesso;
- saranno pubblicate sul sito del Sistema tessera sanitaria (www.sistemats.it).
Ai fini dell’obbligo di invio telematico, il suddetto DM
stabilisce che i nuovi soggetti obbligati devono richiedere le necessarie credenziali di accesso al Sistema
tessera sanitaria:
- al Ministero dell’Economia e delle finanze, tramite le
specifiche funzionalità del Sistema tessera sanitaria
stesso;
- entro il 31 ottobre, secondo le modalità disciplinate
nel relativo allegato tecnico.
Il Ministero effettua la verifica delle richieste pervenute, accedendo agli elenchi resi disponibili dal Ministero della Salute e dalle Federazioni o dai Consigli nazionali degli Ordini e dei Collegi professionali interessati.
In caso di esito positivo, il Ministero invia al soggetto
richiedente le credenziali, secondo le modalità indicate nell’allegato tecnico; in caso di esito negativo, invece, comunica al soggetto richiedente di non poter rilasciare le credenziali.
Eutekne.Info / Martedì, 27 settembre 2016
I dati possono essere trasmessi anche per il tramite
delle associazioni di categoria e dei soggetti terzi (es.
professionisti abilitati ad Entratel), appositamente delegati, utilizzando l’apposita funzione del Sistema tessera sanitaria. A tal fine, gli intermediari devono:
- essere individuati e designati come “responsabili”, ai
sensi dell’art. 29 del DLgs. 196/2003 (Codice per il trattamento dei dati personali);
- tramite le specifiche funzionalità del Sistema tessera sanitaria, accettare la delega all’invio telematico dei
dati per conto del soggetto delegante e garantire il rispetto degli standard previsti.
La trasmissione dei dati deve essere effettuata:
- secondo quanto previsto dal calendario pubblicato
sul sito del Sistema tessera sanitaria;
- in ogni caso, entro il 31 gennaio dell’anno successivo
a quello in cui la spesa è stata effettuata dall’assistito.
Pertanto, per le spese sanitarie/veterinarie sostenute
nell’anno 2016, la trasmissione telematica dei relativi
dati dovrà essere effettuata entro il 31 gennaio 2017.
Confermate le modalità di opposizione
Per tutelare la propria privacy, ciascun assistito può
esercitare la propria opposizione a rendere disponibili
all’Agenzia delle Entrate i dati relativi alle spese sanitarie, per l’elaborazione della dichiarazione precompilata. In relazione alle modalità di opposizione, il DM
pubblicato ieri conferma quelle già previste per le altre
spese sanitarie.
L’opposizione può quindi essere manifestata:
- in caso di scontrino “parlante”, non comunicando al
soggetto che lo emette il codice fiscale riportato sulla
tessera sanitaria;
- negli altri casi, chiedendo verbalmente al professionista o alla struttura sanitaria di annotare l’opposizione sul documento fiscale; l’informazione di tale opposizione deve comunque essere conservata anche dal
professionista/struttura sanitaria.
In via transitoria, quest’ultima modalità di opposizione
può essere esercitata, in relazione alle prestazioni sanitarie erogate dai soggetti previsti dal DM 1° settembre 2016, dalle spese sostenute dal 14 novembre prossimo (sessantesimo giorno successivo alla pubblicazione del provv. Agenzia Entrate 15 settembre 2016 n.
142369).
A differenza delle spese sanitarie, per le spese veterinarie non è invece prevista la possibilità di opporsi al
loro trattamento.
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ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Consolidato fiscale anche con le azioni in pegno
Secondo l’Agenzia delle Entrate, se il creditore pignoratizio non vota non si verifica l’interruzione del
consolidato
/ REDAZIONE
Con la corposa circolare n. 40, pubblicata ieri in serata,
l’Agenzia delle Entrate si sofferma sulla disciplina del
consolidato nazionale di cui agli artt. 117 e ss. del TUIR,
fornendo chiarimenti sulle novità introdotte in materia dal DLgs. 147/2015 (decreto internazionalizzazione).
Il documento si compone di due parti: la prima sulle
modifiche apportate dal decreto appena citato; la seconda con orientamenti interpretativi in risposta a
specifiche istanze d’interpello e o di consulenza giuridica.
Si ricorda che l’art. 6 del DLgs. 147/2015 ha previsto
l’adeguamento delle disciplina sul consolidato nazionale ai principi espressi dalla Corte di Giustizia Ue in
materia di libertà di stabilimento (sentenza del 12 giugno 2014, relativa alle cause C-39/13, C-40/13 e C-41/13).
La prima modifica apportata riguarda la possibilità di
consolidare (in qualità di consolidate) le stabili organizzazioni di soggetti residenti in Stati appartenenti
all’Unione europea ovvero in Stati aderenti all’Accordo
SEE con i quali l’Italia ha stipulato un accordo sullo
scambio d’informazioni.
Sul punto l’Agenzia delle Entrate precisa che, nonostante l’art. 117 comma 2-ter del TUIR, nell’ammettere
la possibilità di consolidare la stabile organizzazione
in veste di controllata, non richieda che quest’ultima
eserciti un’attività d’impresa ai sensi dell’art. 55 del
TUIR, “un’interpretazione logico sistematica impone di
includere tale requisito fra quelli necessari affinché la
stabile possa essere consolidata”.
La seconda novità riguarda l’eliminazione dell’obbligo
di inclusione nel patrimonio della stabile organizzazione consolidante delle partecipazioni nelle società
consolidate.
Ne consegue che se un soggetto non residente Alfa ha
una stabile organizzazione in Italia, quest’ultima potrà
consolidare le società residenti in Italia direttamente
controllate da Alfa.
Da ultimo, il decreto ha previsto la possibilità per il
soggetto controllante non residente di consolidare le
basi imponibili delle società sorelle e delle loro stabili
organizzazioni, previa designazione di una società
controllata residente o di una stabile organizzazione di
società controllata residente in Paesi UE/SEE al ruolo
Eutekne.Info / Martedì, 27 settembre 2016
di consolidante.
In pratica, se Alfa è un soggetto Ue privo di stabile organizzazione in Italia lo stesso può designare una sua
controllata in Italia affinché eserciti l’opzione per il
consolidato con tutte le altre controllate.
Sul punto l’Agenzia delle Entrate chiarisce anche la
portata dell’art. 119 comma 1 lett. a) del TUIR nella parte in cui prevede, ai fini dell’efficacia dell’opzione che
via sia identità tra esercizio sociale di ciascuna società controllata con quello della società o ente controllante.
Secondo l’Agenzia, detta condizione deve considerarsi
riferita solo alla controllata designata e non anche alla
controllante non residente poiché quest’ultima non
consolida il proprio reddito imponibile.
Si supponga quindi che Alfa sia un soggetto residente
Ue che possiede in Italia tre società controllate Beta,
Gamma e Delta. Se le tre società residenti hanno esercizio sociale coincidente, mentre la società controllante non residente chiude l’esercizio in data diversa, è
comunque possibile aderire al consolidato tra società
sorelle in ragione dell’interpretazione fornita
dall’Agenzia.
Con riguardo alla parte riferita agli interpelli, è da segnalare l’interpretazione relativa alle azioni o quote
vincolate da pegno.
Secondo l’Agenzia, a parziale superamento della posizione assunta in precedenti documenti di prassi (circ.
n. 53/2004 e ris. n. 240/2009), in presenza di clausole
contrattuali che attribuiscono al creditore pignoratizio la possibilità di esercitare il diritto di voto in assemblea ordinaria non viene meno in capo alla consolidante il requisito del controllo necessario ai fini del
consolidato, fino al momento dell’effettivo esercizio di
voto.
Le partecipazioni date in pegno, pertanto, continueranno ad essere considerate tanto al numeratore quanto
al denominatore al fine di verificare il requisito della
partecipazione al capitale sociale in quanto, fino al verificarsi dell’effettivo esercizio del diritto di voto, da
parte del creditore, la titolarità del medesimo e la possibilità di esercitarlo rimangono in capo al debitore.
/ 05
ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
L’ingiunzione fiscale non sostituisce il ruolo
Per la Cassazione, si tratta di un atto con valore accertativo a cui deve seguire il ruolo
/ Giovambattista PALUMBO
La Cassazione, con la sentenza n. 18491/2016, ha
espresso alcune considerazioni in tema di ingiunzione fiscale che richiedono qualche riflessione.
Nel caso di specie la concessionaria del servizio di riscossione aveva richiesto, nell’interesse di un Comune, il pagamento dell’ICI per l’anno 2001. La C.T. Prov.
accoglieva il ricorso con sentenza poi riformata dalla
C.T. Reg., che, tra l’altro, affermava che l’ingiunzione fiscale era legittima, non essendo prevista la pregressa
formazione del ruolo.
Avverso la sentenza della Regionale proponeva ricorso per cassazione la contribuente, sostenendo, tra i vari motivi, che, laddove la riscossione fosse stata affidata ad un concessionario del servizio di riscossione, la
riscossione stessa si sarebbe dovuta eseguire con la
procedura della cartella di pagamento e non con quella dell’ingiunzione ex RD 639/1910.
Sosteneva infine la ricorrente che l’ingiunzione di pagamento era comunque nulla, in quanto non era stato
indicato il ruolo propedeutico alla procedura di riscossione coattiva.
La Corte evidenziava che, a norma del DPR n. 43/88,
istitutivo del servizio di riscossione dei tributi e di altre entrate dello Stato, tali tributi ed entrate vanno riscossi dai concessionari esclusivamente a mezzo ruolo, anche considerato che l’art. 130, secondo comma,
del DPR abroga tutte le disposizioni che regolano, mediante rinvio al RD n. 639/1910, la riscossione coattiva.
Da ciò, secondo la Corte, consegue che l’Amministrazione finanziaria non può più procedere ad esecuzione sulla base di mera ingiunzione di pagamento, ma
deve procedere alla formazione di ruoli da riscuotere
ai sensi del DPR n. 43 citato.
I giudici di legittimità ritengono poi che l’ingiunzione
fiscale, anche dopo l’entrata in vigore della citata normativa, conserva comunque una funzione accertativa,
integrando un atto complesso rivolto a portare la pretesa fiscale a conoscenza del debitore e a formare il titolo, autonomamente impugnabile, per la successiva
ed eventuale esecuzione forzata.
In conclusione, “fermo restando il valore meramente
accertativo dell’ingiunzione fiscale, all’esecuzione si
dovrà procedere a norma del d.p.r. 602/73 previa iscrizione a ruolo delle somme dovute. Ne consegue che
non è richiesto che l’ingiunzione sia preceduta
dall’iscrizione a ruolo poiché essa non è atto della riscossione”.
La sentenza, a dire il vero, presenta alcuni aspetti non
del tutto chiari.
L’ingiunzione fiscale è infatti un ordine di pagamento
Eutekne.Info / Martedì, 27 settembre 2016
emesso da un ente locale. Se il soggetto intimato non
paga entro un certo termine, l’ente può attivare le procedure esecutive e pignorare i beni del debitore.
E questo è ciò che succede ordinariamente.
Vero è che tale istituto, creato per consentire allo Stato e agli enti pubblici di riscuotere le proprie entrate
con una procedura più veloce rispetto a quelle utilizzabili dai privati, è stato poi abbandonato in favore della
riscossione mediante ruolo. Tuttavia, l’ingiunzione fiscale è “risorta” come procedura utilizzabile dagli enti
locali, in alternativa all’affidamento all’Agente per la
riscossione.
Ma i precedenti non convincono
Ad oggi, pertanto, ogni Comune può scegliere di riscuotere le proprie entrate utilizzando l’ingiunzione fiscale, invece che la riscossione mediante ruolo attraverso Equitalia.
Prima dell’ingiunzione di pagamento deve essere comunque inviato al debitore un avviso di accertamento,
se si tratta di somme di natura tributaria e, solo quando l’avviso di accertamento diventa definitivo, si può
procedere con l’ingiunzione. Se poi il debitore non versa quanto richiesto entro il termine indicato nell’ingiunzione, né propone opposizione contro di essa, l’ente può procedere con l’esecuzione forzata.
L’ingiunzione fiscale, quindi, assomma in sé sia la funzione del titolo esecutivo che quella del precetto (Cass.
n. 6448/2003).
Quindi, dire che l’ingiunzione ha valore meramente accertativo e che deve essere comunque seguita dal ruolo non sembra del tutto corretto, almeno per i casi di
cui sopra. Anche se è accompagnata da un titolo esecutivo l’ingiunzione conserva peraltro la sua natura
esecutiva. Vero è, invece, che è il primo atto del procedimento di coazione, ma non atto del processo esecutivo, che inizia col pignoramento.
Peraltro, si evidenzia come, in tal senso, le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 29 del 5 gennaio
2016, assimilando l’emissione dell’ingiunzione fiscale
all’emissione del ruolo, hanno affermato che “la controversia promossa dal contribuente ... avverso l’ingiunzione fiscale, emessa dal comune in pendenza del
giudizio tributario promosso contro l’avviso di accertamento ai sensi dell’art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992 e
quindi sostanzialmente equivalente all’iscrizione
dell’imposta nel ruolo notificata al contribuente, è assimilabile alla controversia avente ad oggetto l’impugnazione del ruolo ...”.
/ 06
ancora
LAVORO & PREVIDENZA
STUDIO DUCOLI
Definita la nuova procedura di comunicazione del
lavoro accessorio
Con il decreto correttivo del Jobs Act, il Governo introduce un “meccanismo” finalizzato a garantire la
piena tracciabilità dei voucher
/ Luca MAMONE
Durante il Consiglio dei Ministri del 23 settembre, è
stato approvato in via definitiva il decreto ad hoc che
apporta diverse modifiche e integrazioni ai cinque decreti attuativi del Jobs Act (L. 183/2014).
Tale provvedimento correttivo, lo ricordiamo, entrerà
in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale.
Tra le novità più importanti, una è certamente rappresentata da un sensibile irrigidimento della procedura
per ricorrere al lavoro accessorio ex art. 49 del DLgs.
81/2015, apportato mediante l’introduzione di un meccanismo finalizzato a garantire la piena tracciabilità
dei voucher (c.d. buoni lavoro) utilizzati dal committente per pagare la prestazione lavorativa.
Sul punto, vale la pena di ricordare che gli artt. 48 e ss.
del DLgs. 81/2015 hanno introdotto importanti novità in
materia di lavoro accessorio (in precedenza disciplinato dagli artt. 70 e ss. del DLgs. 276/2003), innalzando il
limite massimo del compenso che il prestatore può
percepire da 5.000 a 7.000 euro (rivalutabili annualmente) e stabilendo che per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti,
a compensi superiori a 7.000 euro nel corso dell’anno
solare, mentre permane il limite dei 2.000 euro per le
prestazioni rese nei confronti del singolo committente imprenditore o professionista.
Un ulteriore limite di 3.000 euro è invece previsto per
tutti i soggetti che sono già percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito.
In altri termini, l’unico limite posto al ricorso al lavoro
accessorio (fatta eccezione per il settore agricolo, che
individua come possibili percettori i pensionati e gli
studenti under 25) è di natura economica e consiste
appunto nella soglia massima di 7.000 euro percepiti
dal lavoratore in un anno solare.
Ora, cercando di limitarne un utilizzo elusivo, con il
decreto correttivo in argomento viene “mutuata” la
procedura già utilizzata per tracciare il lavoro intermittente, stabilendo che i committenti imprenditori non
agricoli o professionisti, che ricorrono a prestazioni di
Eutekne.Info / Martedì, 27 settembre 2016
lavoro accessorio sono tenuti, almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione, a comunicare alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo, il giorno e l’ora di
inizio e di fine della prestazione. Nella previgente disposizione, invece, si stabiliva in modo più “elastico”
che nella comunicazione venissero indicati i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, nonché il luogo della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore ai 30 giorni successivi.
Per quanto concerne i committenti imprenditori agricoli, la medesima disposizione correttiva introduce
l’obbligo di comunicare, nello stesso termine e con le
stesse modalità, i dati anagrafici o il codice fiscale del
lavoratore, il luogo e la durata della prestazione con riferimento a un arco temporale non superiore a tre
giorni.
Secondo l’intenzione del legislatore, in pratica, tale
procedura di comunicazione avrebbe la finalità di contrastare l’utilizzo illegale ed elusivo dei voucher che,
secondo quanto evidenziato dal Ministero del Lavoro,
consiste principalmente nell’acquistarli ma usarli solo
in caso di controlli oppure di impiegare i lavoratori per
più tempo rispetto a quello dichiarato.
Sanzione da 400 a 2.400 euro se si violano gli obblighi
di comunicazione
Sempre con riferimento alla procedura di comunicazione, nella disposizione integrativa in argomento si
definisce un impianto sanzionatorio dedicato, mutuato anche in questo caso dalla disciplina del lavoro intermittente ex art. 15 del DLgs. 81/2015.
In pratica, laddove si verifichi la violazione degli obblighi di comunicazione trova applicazione, per il committente, una sanzione amministrativa avente un importo variabile da 400 a 2.400 euro in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione, senza che possa trovare applicazione in questo caso la procedura di diffida ex art. 13 del DLgs. 124/2004.
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IMPRESA
STUDIO DUCOLI
In arrivo nuove sanzioni per la corruzione nel settore
privato
La legge di delegazione europea 2015 chiede sanzioni più severe per società ed enti
/ Maria Francesca ARTUSI
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 204/2016 è stata pubblicata
la legge di delegazione europea 2015 (L. 170/2016), volta al recepimento di alcune direttive e all’attuazione di
altri atti dell’Unione europea.
In particolare, l’art. 19 introduce alcune novità nell’ambito della lotta contro la corruzione nel settore privato.
Il Governo è delegato ad adottare, entro tre mesi dalla
data di entrata in vigore della citata legge (16 settembre 2016), un decreto legislativo “recante le norme occorrenti per dare attuazione alla decisione quadro
2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa
alla lotta contro la corruzione nel settore privato”.
Si ricorda che l’art. 2635 c.c. – come modificato dalla
legge anticorruzione del 2012 – già prevede uno specifico reato di “corruzione tra privati”, che punisce con la
reclusione gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili
societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della
dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per
sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione
degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di
fedeltà, cagionando nocumento alla società.
La medesima condotta è punibile anche se commessa
da soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza di costoro. Altrettanto punibile è la mera promessa di denaro o altra utilità.
La legge di delegazione precisa alcuni aspetti che dovranno essere integrati nella norma vigente.
Innanzitutto, introduce una condotta di “offerta” che
appare distinta sia dalla “dazione” che dalla “promessa”
e su cui certamente sarà necessaria un’operazione interpretativa (art. 19 comma 1 lett. a) della L. 170/2016).
Viene, inoltre, chiarito che tali condotte possono essere realizzate anche “per interposta persona” e che il
denaro o le altre utilità devono essere qualificati come
“non dovuti” (art. 19 comma 1 lett. a) e lett. b).
Ciò vale sia per la corruzione attiva, sia per la corruzione passiva. Tuttavia, viene delimitato l’ambito dei destinatari delle condotte attive nel senso che la dazione,
l’offerta e la promessa devono essere rivolte “a un soggetto che svolge funzioni dirigenziali o di controllo o
che comunque presta attività lavorativa con l’esercizio di funzioni direttive presso società o enti privati”
(art. 19 comma 1 lett. b).
Come per la corruzione nei confronti dei pubblici ufficiali, dovrà essere punibile anche la mera istigazione
al reato (art. 19 comma 1 lett. c).
In materia di sanzioni, l’Unione europea richiede generalmente che queste siano “effettive, proporzionate e
dissuasive”, essendo tradizionalmente lasciata agli
Stati membri la discrezionalità sulla tipologia e sulla
quantificazione delle stesse.
Reclusione da un minimo di sei mesi a un massimo di
tre anni
Tuttavia, già la decisione quadro 2003/568/GAI precisava, all’art. 4, la necessità, per contrastare tali condotte
corruttive, di una pena privativa della libertà di durata
massima compresa almeno tra uno e tre anni, nonché
di una correlata misura interdittiva.
La legge delega specifica, dunque, che dovrà essere
prevista la reclusione “non inferiore nel minimo a sei
mesi e non superiore nel massimo a tre anni nonché la
pena accessoria dell’interdizione temporanea
dall’esercizio dell’attività nei confronti di colui che
esercita funzioni direttive o di controllo presso società
o enti privati”, ove già condannato per le medesime
condotte.
Attualmente la pena è la reclusione da uno a tre anni
(diminuita nel caso in cui l’autore non sia un soggetto
apicale e raddoppiata per i mercati regolamentati).
Dato l’ambito di applicazione di tale fattispecie, il legislatore comunitario richiedeva espressamente, già nel
2003, la punibilità anche per le persone giuridiche.
In forza di ciò, al momento dell’introduzione nell’ordinamento italiano del reato di corruzione tra privati, tale fattispecie era stata contestualmente richiamata
nell’art. 25-ter del DLgs. 231/2001.
Le sanzioni previste per gli enti dovranno oggi essere
aumentate. In conseguenza della corruzione tra privati commessa nell’interesse di una persona giuridica,
per questa dovranno essere applicabili: una sanzione
pecuniaria non inferiore a duecento quote e non superiore a seicento quote (attualmente è tra duecento e
quattrocento), nonché le sanzioni interdittive di cui
all’art. 9 del DLgs. 231/2001 (oggi non applicabili ad alcun reato societario).
Direttore Editoriale: Michela DAMASCO
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