A casa di Flavio

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Transcript A casa di Flavio

30 settembre 2016 delle ore 08:03
A casa di Flavio
Favelli è un artista che ha costruito il suo lavoro soprattutto su memorie private e domestiche. Per
due giorni apre e riallestisce la casa dove ha vissuto da bambino a Bologna
Voglio arrivare alla mostra a Bologna di Favelli
come farebbe Favelli. La mostra è in via
Guerrazzi 21, la casa di sua madre, scomparsa
da qualche mese. Dice Flavio che "non c'è posto
più fantasmatico di Via Guerrazzi 21". Ci ha
vissuto da bambino, adolescente e adulto dai
primi anni Settanta, tra lì e l'appartamento sotto
dove si era sistemato da più grande, in tutto circa
ventisette anni. Insieme alla casa di Pavana, è
il luogo dove – dice - "si sono consumate tutte
le faccende della mia famiglia, una grande
opera letteraria, dove sono stato un personaggio
centrale; in fondo con me finisce tutta la storia.
Figlio unico e da dieci anni tutore, quasi a
difendere e custodire poeticamente e
legalmente tutta questa roba". La roba che è
rimasta è un insieme di mobili, soprammobili,
ricordi, cianfrusaglie, carte, di cui lui ha
svuotato la casa, ma evidentemente non il suo
cuore. Ci voglio arrivare facendo un lungo
pezzo a piedi, in fondo "nel centro di Bologna
non si perde neanche un bambino", diceva
Lucio Dalla. E io invece mi ci perdo sempre.
Via Guerrazzi, al di là di via Santo Stefano, si
chiama via Rialto ed è già strano. È situata nel
centro di Bologna, in un insieme di vie borghesi
e concrete, dove però, a pochi metri da quella
sobria tranquillità alla quale la via appartiene e
che va verso l'antica Università, inizia Via
Farini, la via glamour delle firme del super
lusso. Ma da qua sembra più lontana. All'angolo
dove inizia via Guerrazzi c'è un'edicola, con
scritto su tutti e quattro i lati "Il Resto del
Carlino", quando ci passo sono le sette di sera
e sta quasi per chiudere. Prima di arrivarci c'è
una cabina telefonica rossa, funzionante. La
vecchia Tabaccheria di fronte alla Farmacia,
che con questa inizia la strada, ha una vetrina
di stampo favelliano: desueti fermacapelli in
finta tartaruga scura, tutti impolverati, fili di
perle sintetiche di lunghezza classica, da
signora bon ton degli anni Sessanta, cerchietti
sottili, da liceale d'epoca pre-sessantottina. Il
tutto tristemente illuminato da una luce fioca.
In un angolo però la vetrina si fa più moderna
ed ecco a sorpresa una decina di magneti
turistici da mettere sul frigo, uno di questi è un
piccolo zampone in plastica con sopra una
scritta: Zampone. Arrivo al civico 21. È sul lato
migliore della strada, anche se è quello senza
portici perché è quello senza negozi sotto,
perciò è il lato che per abitare si apprezza di più.
Il palazzo appartiene a quella sfera borghese,
all'epoca in cui ci abitava Flavio esclusivamente
bolognese, pragmatica, solida, mai sfarzosa. I
pavimenti sono quelli che loro chiamano alla
veneziana, ma secondo me sono tipici di
Bologna perché le pietre sono differenti dalle
veneziane per l'origine - le serenissime erano in
prevalenza pietre dure - ma soprattutto per
grandezza. A sinistra del portone, le cassette
della posta sono di legno, vecchie,
accuratamente verniciate, perché di legno non
prezioso, ma sono quel che si direbbe " ben
tenute".
Entrando nell'appartamento comincia la
mostra. È una mostra immersiva, evocativa,
poetica, molto pulita ed essenziale. Il rimpianto
si percepisce in quel modo estremamente
pudico di trattare i sentimenti, che appartiene
al sentire dell'artista e della persona Flavio
Favelli. Le luci sono tutte formate da neon,
conoscendo FF, direi ovviamente posizionati,
come lui usa fare, in verticale. La prima stanza
a sinistra li ha rosa, quel "rosa Favelli”, ma gli
altri neon sono tutti bianchi e piuttosto corti e
tozzi, quelli che usa lui, con quella luce
ministeriale che sembra evidenziare la crudezza
dei fatti, il loro susseguirsi inevitabile poco
dipendente dalla nostra volontà e indifferente
al nostro giudizio. Alle pareti la sua pittura sul
muro come lui semplicemente e in italiano, la
definisce, senza svolazzi anglofoni. Ha dipinto
riproducendolo a suo modo, qualcosa di quello
che ha trovato nell’appartamento mentre lo
svuotava, cose di sua madre, cose sue, il tutto
raccontato attraverso quelle immagini dove i
protagonisti sono i marchi a lui tanto cari e,
attraverso questi, racconta la storia della casa,
dell'epoca nella quale l'ha vissuta, delle storie
che hanno preoccupato o semplicemente
accompagnato i suoi personaggi. Nella prima
stanza un dipinto nero sul muro chiaro: Top 21.
Arriva Top 21 che contesta il vecchio brindisi,
in effetti il concetto della contestazione era il
leitmotiv degli anni nei quali Flavio e la sua
famiglia iniziarono ad abitare in quell'appartamento.
della madre e una pubblicità di un noto cornetto
gelato che fino a quel tempo era stato unico e
poi aggiunge quello all'amarena e allora il primo
diventa "classico" o "al cioccolato”. In salotto,
dove in disparte, quasi sigillato, comunque
defilato, c'è un vecchio camino, un insieme di
gialli chiari e ocra dipingono alla parete nomi
allora e anche oggi molto contrastanti e
incredibilmente accoppiati: la marca israeliana
del pompelmo che invase i nostri mercati con
promesse miracolose viene inserita nella
riproduzione del famoso manifesto di Mitchel
Loeb (1889-1968) Visit Palestine See ancient
beauty revived. Nella camera da letto della
mamma, sul muro la confezione gigante di un
sonnifero. In terrazzo, che non è più così verde
come all'epoca in cui Flavio ricorda magnolie
e palme, anche perché si affaccia sulla piccola
corte interna, sul muro è riprodotta una grande
scatola della confezione arancione del profumo
della madre formato spray.
Agli amici arrivati a vedere la mostra (che dopo
la vernice aprirà solo per due giorni, fino all’1
ottobre compreso) Flavio racconta un po' del
quotidiano di quei tempi, dell'inquilino di sopra,
sempre con gli occhiali scuri, reputato dalla sua
famiglia strano, per lui pauroso, per sua nonna
molto peggio. Delle due signorine di fronte
anziane e quasi invisibili nella loro discrezione
e nella loro solitudine di donne non sposate. Di
quel mondo cadenzato da obblighi, buone
maniere, decoro, convinzioni, superstizioni,
regole, religione e ... senso orario. Si, perché
racconta che suo nonno diceva che bisognava
mescolare il caffè solo in senso orario, perché
così dovevano girare le cose nel mondo, nel
modo giusto. Penso che molte delle persone alle
quali è capitato di dover svuotare una casa
amata, da tutti quegli oggetti che hanno definito
le vite di chi per loro era importante, abbiano
pensato a cosa ne avrebbe fatto un artista di quel
senso di disorientamento e nostalgia, più o
meno doloroso. Flavio ha risposto, con il suo
modo, con la sua rivisitazione, con la sua
visione della fine e del ricominciare, dando una
risposta a quella domanda, fissando il ricordo
di un passato che poi, per il resto della vita ti
accompagna.
Cristina Cobianchi
Nella seconda stanza, dipinta sul muro, è una
vecchia banconota da 1£ dello Stato del Biafra,
la prima grande tragedia umanitaria percepita
dalla borghesia italiana in quegli anni. Nella
parete di fronte, sono raffigurate le carte
d’imbarco per un viaggio con la linea aerea
libica, a nome della madre che era
un'intellettuale inconsueta e una curiosa
viaggiatrice. Si susseguono le stanze e le pitture
sul muro: in cucina la tessera sanitario-fiscale
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