segreto linguaggio pittorico del Botticelli

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Il segreto linguaggio pittorico del Botticelli
“Meritò Sandro gran lode in tutte le pitture che fece, nelle quali volle mettere
diligenza e farle con amore come fece la detta
tavola de’ Magi di S. Maria Novella, la quale è
meravigliosa”, scrisse di lui Giorgio Vasari
evidenziando due rare doti non facili da
trovare in un artista: l’amore e la solerzia.
Alessandro di Mariano Filipepi, “chiamato a
l’uso nostro Sandro, e detto di Botticello”
nacque a Firenze nel 1445 da una famiglia
modesta ma di sani principi morali e di molti
interessi culturali.
Vasari nel suo “Le Vite dei più eccellenti
pittori, scultori e architettori”, ricorda la
personalità inquieta di Alessandro Filipepi che
non “si contentava di scuola alcuna, di leggere,
di scrivere o di abaco; di maniera che il padre
infastidito di questo cervello sì stravagante lo
pose a lo orefice con un suo compare chiamato
Botticello, assai competente allora in quell’arte.”
L’inquietudine e la “stravaganza” non vanno certo visti come un aspetto
negativo del comportamento del giovane artista, ma al contrario dettati dal
desiderio di ricercare una conoscenza ben più profonda rispetto a quella
richiesta dai ragazzi della sua età. Fu dunque il padre stesso che, dopo averlo
“diligentemente allevato e fatto istruire in tutte quelle cose che usanza è
d’insegnarsi a’ fanciulli”, decise di
metterlo a lavorare presso una bottega
d’orafo, allora frequentata dai maggiori
pittori rinascimentali, insieme a suo
fratello maggiore chiamato Botticello che
si occupò dell’educazione di Sandro ed a
cui - secondo il Vasari - passò il
soprannome.
Sarà grazie all’attività di orafo ed
all’incontro con il suo futuro maestro
Filippo Lippi, che il Botticelli si
appassionerà sempre di più alla pittura
senza però rinunciare a quell’abilità nel
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disegnare elaborati dettagli, spesso impreziositi con l’oro, che l’arte orafa
insegna.
La ricerca delle antiche Tradizioni e dell’Ermetismo stavano caratterizzando
il mondo artistico e letterario della seconda metà
del Quattrocento in Firenze e Sandro Botticelli
non rimase certo insensibile a quell’arcaico
richiamo che aveva fatto già nel Medioevo la sua
comparsa.
Furono gli arabi a trasmettere ai Cavalieri
Templari la tradizione ermetico-alchemica che
venne a diffondersi in tutto l’Occidente. Quel
sapere, intorno al X secolo, arrivò anche presso
personalità del mondo ecclesiastico, come papa
Silvestro II che, spinto da una sua personale
ricerca sapienziale, entrò in contatto con la cultura
araba per trarne conoscenze aritmetiche,
astronomiche ed astrologiche che lui stesso diffuse
a Reims e da lì in tutta Europa.
Alla morte di Jaques de Molay, ultimo grande Maestro Templare, quel sapere
per lunghi anni rimase occultato, ma durante il Concilio di Firenze del 1439,
grazie all’erudizione di grandi personaggi del mondo orientale come Giorgio
Gemisto Pletone ed il cardinale Giovanni Bessarione, rifece la sua comparsa.
In quegli anni iniziarono a giungere in
Firenze, in virtù della visione illuminata di
C o s i m o i l Ve c c h i o , u n n u m e r o
considerevole di testi ermetici che stavano
riportando alla luce la stessa conoscenza
segreta che aveva affascinato le menti dei
più grandi artisti, letterati e architetti del
Medioevo.
Tra i più coinvolti furono i pittori che,
seguendo i dettami di una conoscenza
esoterica profonda e non certo
comunicabile a tutti, inserirono nei loro
quadri simboli e allegorie capaci di velare al
“profano” quelle arcaiche conoscenze. In
questo contesto nacquero numerosi
capolavori dal segreto contenuto simbolicoalchemico la cui decifrazione era nota solo al pittore, al suo committente ed
a pochissimi altri personaggi segretamente interessati all’Ermetismo.
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Sandro Botticelli fece parte di quel
numero di artisti che, mossi dalla
continua ricerca della bellezza e
dell’armonia professata
dall’Accademia Neoplatonica del
Ficino, intrapresero quello stesso
cammino sapienziale già
sperimentato dai Templari, dai Rosa
Croce e dai Fedeli d’Amore.
Fu grazie a questo antico richiamo
che il pittore fu accolto nell’Ordine
Iniziatico del Priorato di Sion,
fondato da Goffredo di Buglione intorno al 1099, e assimilato all’Ordine
Templare.
Quest’organizzazione segreta, il cui sapere spaziava dalle lettere, alla musica
e alla pittura, contava tra i suoi iscritti “membri distinti” appartenenti
all’Ordine Mistico Rosae Crucis e nomi di
alchimisti famosi come Jean de Gisors e Nicolas
Flamel.
Nel XV secolo entrarono nel Priorato di Sion
anche uomini illustri come Renato d’Angiò,
Leonardo da Vinci, lo stesso Sandro Botticelli e,
nei secoli successivi, vi aderirono importanti
personalità del mondo culturale europeo quali
Robert Fludd, Isaac Newton, Victor Hugo,
Claude Debussy.
Figura di grande rilievo fu il conte Renato
d’Angiò, duca di Bar e di Lorena, Re di Napoli e Re di Gerusalemme,
nominato anche Guardiano del Santo
Sepolcro. Le Bon Roi René è ricordato dagli
storici oltre che come coraggioso condottiero
al fianco di Giovanna d’Arco, anche quale
mecenate illuminato, scienziato, economista,
fine letterato, conoscitore di greco ed
ebraico, nonché amico stimato di Cosimo il
Vecchio.
La crescita artistica e intellettiva di Sandro
Botticelli avvenne dunque in questo contesto
storico che aveva visto Firenze diventare
culla dell’Umanesimo e punto fondamentale
d’incontro di tutta la cristianità.
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I maggiori esponenti del mondo
cristiano occidentale e orientale,
all’inter no di Santa Maria
N ove l l a , aveva n o m e s s o a
confronto fedi e conoscenze
differenti riportando alla luce un
sapere antico che mirava a
diffondere il pensiero di Platone,
in netta opposizione alle dottrine
aristoteliche fino ad allora
adottate.
Botticelli seppe assorbire tutto
quell’antico sapere divenendone
uno dei maggiori interpreti e,
dall’apprendistato di orefice, nel
1460 passò all’apprendistato di pittore presso la bottega del monaco
carmelitano Filippo Lippi, uno dei pittori più apprezzati dalla famiglia
Medici. Qui non solo fu istruito sull’uso della prospettiva, ma fu anche
introdotto allo studio della composizione e preparazione dei colori, ottenuti
dalla macinazione di pietre dure mescolate con la giusta quantità di legante:
conoscenze che provenivano dall’Oriente.
Come del resto dall’Oriente era giunto in quell’anno il “Corpus
Hermeticum”, il più antico testo di
Dottrina Ermetica che confermò gli
studi già intrapresi dal Ficino e
dall’Accademia Neoplatonica, sulla
Magia, l’Astrologia, la Kabbalà e
l’Alchimia.
Quindi se Sandro Botticelli venne
definito anche dal Vasari “persona
sofistica” e dotato di un “cervello sì
stravagante”, possiamo intuire che
dietro ad ogni sua originalità e
bizzarria vi era al contrario una
grande “raffinatezza mentale”, la
stessa che aveva acquisito seguendo l’iter di preparazione iniziatica per
rivestire il ruolo di Gran Maestro del Priorato di Sion e per diventare il
pittore ufficiale della Famiglia Medici e dell’Accademia ficiniana.
Tra il 1470 e il 1482, Botticelli cominciò a dipingere opere di carattere
biblico con inserimenti di protagonisti del suo periodo storico, ma sempre
rispettando i canoni della bellezza, dell’armonia e del simbolismo ermetico.
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Vasari non a caso
definì l’“Adorazione
dei Magi”, dipinta dal
giovane pittore
intorno al 1475, una
“tavola meravigliosa”,
perché densa sia di
significati religiosi che
di rimandi allegorici.
Originale è la visione
frontale della scena
con la Sacra Famiglia
riunita
in
u n’ o rg a n i z z a z i o n e
prospettica triangolare
il cui vertice va a
culminare nello splendore di una luce divina che
scende dall’alto in un sottile irradiamento di raggi
dorati. Ai due lati, sempre seguendo quella
medesima simmetria prospettica, sono stati
raffigurati personaggi nei quali possiamo ravvisare i
maggiori rappresentanti della casata e della corte
medicea. Il voler immortalare Cosimo il Vecchio e i
figli Piero e Giovanni come Re Magi e unire a loro
anche Lorenzo il Magnifico, Angelo Poliziano, Pico
della Mirandola, Giovanni Argiropulo e il suo
stesso autoritratto, ci fa capire quanto il Botticelli
reputasse attuale il messaggio della Natività.
Anche l’insolita ambientazione di quella capanna
tenuta su da due tronchi d’albero, mentre
tutt’intorno si respira un senso di morte e di
“rovina”, fa riflettere fortemente. Solo il Bambino
Divino è capace di riportare la vera
Vita nel mondo e quelle pianticelle
verdi che forano la pietra del vetusto
t e m p i o i n r ov i n a , s o n o l ì a
testimoniare la vigoria del suo
esempio e della sua Parola. Un regale
pavone, simbolo d’immortalità,
appollaiato sul lato sinistro del
dipinto, ricorda per la bellezza e
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l’iridescenza del suo piumaggio, le doti di giustizia e
di incorruttibilità del Figlio di Dio.
Nonostante la giovane età in cui Botticelli dipinse
questa tavola, traspare evidente la maturità
espressiva che in lui si stava formando. La luce che
pervade il dipinto è quella del crepuscolo in cui i
toni si fanno più caldi e tutti i personaggi appaiono
raccolti in una sorta di meditazione.
Il crepuscolo, secondo Tommaso Palamidessi, è l’ora
in “cui i pensieri si volgono verso il Signore, perché
ogni cosa scompare nel buio della notte, e lo spirito
incomincia a porsi le domande sul mistero della
creazione”, e il quadro del Botticelli sembra voler
immortalare quel medesimo stato interiore.
Già del 1472 Sandro Botticelli risultava iscritto alla
Compagnia di San Luca che raggruppava i
maggior pittori, scultori e architetti di quell’epoca.
Questa corporazione, fondata nel 1339, nacque
per riconoscere l’eccellenza degli artisti,
sottolineare la nobiltà del loro impegno ed
assicurare la trasmissione della loro arte con un
adeguato insegnamento. Intorno alla metà del XV
secolo facevano parte degli associati anche
Benozzo Gozzoli, Donatello, Lorenzo Ghiberti e
Leonardo da Vinci e le loro opere venivano
direttamente commissionate dalla Casata medicea,
sempre attenta a mettere in risalto la più alta
espressione
artistica.
Quindi, quando nel 1481 il Botticelli
verrà chiamato a Roma da papa Sisto
IV della Rovere per la decorazione
pittorica parietale della Cappella Sistina,
sarà anche grazie all’intercessione di
Lorenzo il Magnifico, suo grande
estimatore e amico, che lo incoraggiò
nell’accettare quel ragguardevole invito.
Sisto IV commissionò all’artista tre storie
bibliche da illustrare sulla parete sinistra
della Cappella, fornendo lui stesso il
programma iconografico.
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Le “Prove di Mosé”, le “Prove di Cristo” e la “Punizione dei sacerdoti
ribelli”, furono i temi dell’Antico e del Nuovo Testamento da lui raffigurati.
Nelle “Prove di Mosé”, salta agli occhi la figura del Patriarca, riconoscibile
per la tunica color giallo oro ed il mantello verde - simbolo di rivelazione
divina e di rigenerazione spirituale - ritratto in scene che ricordano gli
episodi più salienti della sua vita e che mettono in evidenza il suo vigore e la
sua vitalità.
Anche nelle “Prove di Gesù” la rappresentazione figurativa si svolge in
episodi che rievocano le tre tentazioni a cui il demonio sottopose Gesù Cristo
nel Nuovo Testamento. Il primo episodio, sulla destra, mostra il momento in
cui il demonio,
camuffato da
umile pellegrino,
vuol convincere
Gesù a dar prova
dei suoi prodigi;
il secondo, in alto
sulla sommità del
tempio, fa vedere
il demonio che,
sotto mentite
spoglie, istiga il
Figlio di Dio a
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dar prova del suo coraggio, ed infine il terzo
episodio si conclude con il diavolo che, finalmente
smascherato e privato della sua falsa veste, viene
spinto da Gesù stesso giù dal dirupo.
Queste tre vicende si svolgono sul registro superiore
del dipinto, mentre in quello inferiore lo scenario
cambia: appaiono gli angeli che si serrano intorno
al Cristo, un solenne sacerdote che celebra il
sacrificio eucaristico e tutta una serie di personaggi
che assistono a quella mistica ritualità.
Infine nella “Punizione dei sacerdoti ribelli” il soggetto del dipinto è un Mosé
maturo, sempre riconoscibile per la tunica d’oro ed il mantello verde, ma
questa volta la sua
figura è grave e
solenne: alza la
verga contro i
sacerdoti ribelli e
questi crollano su
di un terreno che si
apre sotto il loro
peso.
In tutti e tre i
dipinti murali il
giovane Botticelli
mostra una vigoria
di pennellata ed
una ricchezza di
particolari sorprendenti. Le Sacre Scritture vengono da lui reinterpretate
conferendo alle movenze dei personaggi dinamismo
ed originalità.
Come nel quadro dell’ “Adorazione dei Magi”, nelle
tre opere pittoriche sopra citate, appaiono rimandi
architettonici che legano l’antico con il moderno, il
passato con il presente, con il medesimo intento di
attualizzare il messaggio cristico e trasporlo nella
realtà del suo secolo. Non mancano nemmeno sottili
pennellate d’oro zecchino che impreziosiscono le vesti,
le architetture ed i particolari, evidenziando l’aspetto
di Luce Divina che vince il male e le tenebre.
“Rientrato a Firenze da Roma, il pittore ha ormai
elaborato pienamente il proprio linguaggio e dà vita a
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tutta una serie di opere straordinarie per committenze eccellenti”, scrive
Carlo Bo nella presentazione de’ “I Classici dell’Arte” dedicata al Botticelli.
L’esperienza artistica romana e l’amore per l’Ermetismo lo porteranno a farsi
interprete della cultura neoplatonica e a realizzare opere la cui lettura
simbolica ancor oggi offre una
g a m m a i n fi n i t a d i s e g r e t e
interpretazioni.
Le conversazioni che avvenivano,
all’interno della Villa di Careggi,
sull’immortalità dell’anima e sul
desiderio di tendere verso l’Amore
Divino depurato da ogni aspetto
troppo materiale, portarono
B o t t i c e l l i a r i c e rc a r e n e l l a
“bellezza” il mezzo più sicuro per
arrivare a Dio: argomento già
affrontato da Ermete Trismegisto,
nel suo “Corpus Hermeticum”.
“Ora non siamo sufficientemente forti per aprire gli occhi del nostro
intelletto a contemplare la bellezza incorruttibile e incomprensibile di quel
Bene”, affermava Ermete, invitando a indirizzare ogni risorsa della mente
verso il “divino silenzio e l’inazione assoluta di tutti i sensi”: qualità da
realizzare subito se vogliamo avvicinarci alla perfezione Divina.
Sandro Botticelli nelle tavole
dipinte tra il 1482 ed il 1484
volle raffigurare quel tema del
“silenzio”, dell’introspezione e
dell’ar monia, e la favola
mitologica divenne
l’espressione pittorica più
adatta per rappresentare
Amore e Bellezza.
Basta osservare il “linguaggio
chiuso”, er metico, dei
personaggi mitologici impressi
nella “Primavera” e nella
“Nascita di Venere” per capire
quanto nel pittore fosse importante questo tipo di ricerca.
Per Botticelli la Natura, colta in tutte le sue più segrete manifestazioni,
divenne lo specchio dell’Idea superiore che aveva dato il via a tutta la
Creazione.
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Con il ritorno alla Natura vi fu anche l’inevitabile ritorno a quella mitica Età
dell’Oro quando l’umano ed il Divino convivevano in armonica simbiosi. Le
divinità da lui riprodotte divennero simboli di alta espressione spirituale:
l’immobilità apparente dei suoi personaggi ed i loro sguardi quasi
impenetrabili diventarono l’emblema di
un intimo, silenzioso linguaggio capace di
parlare all’anima dell’osservatore.
Nella “Primavera”, le regole prospettiche
sono completamente abbandonate: non vi
è profondità, né prospettiva e i personaggi
sono così “incorporei” da non avvertire il
peso della loro figura sull’infinita gamma
dei fiori a terra riprodotti.
Anche la conoscenza astrologica ebbe un
importante ruolo nei due celebri dipinti
del Botticelli. L’astrologia, un tempo strettamente unita all’astronomia tanto
da costituirne un’unica scienza, fu intesa dal Ficino e dall’Accademia
Neoplatonica nel suo più genuino significato esoterico-iniziatico come ai
tempi dei Santuari della Caldea, dell’Egitto e dell’India.
Marsilio Ficino, abbracciando in pieno le tematiche del “Corpus
Hermeticum”, aveva capito quanto il macrocosmo ed il microcosmo fossero
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in stretta corrispondenza tra loro e
quanto l’astrologia, associata alla
t e o l o g i a , a l l a fi l o s o fi a ,
all’astronomia, all’alchimia e alla
medicina, fossero in grado di
formare degli individui superiori,
capaci di far sentire la propria
influenza nel Cosmo e anche sulla
Terra.
“Leva dunque, lettore, all’alte
ruote/ meco la vista, dritto a quella
parte/ dove l’uno moto e l’altro si
percuote/(...) Vedi come da indi si
dirama l’oblico cerchio che i pianeti
porta,/ per sodisfare al mondo chi li
chiama”,
scriveva
Dante
Alighieri nel Canto X del Paradiso, ricordando
quale ruolo importante avesse la posizione dei
pianeti nella vita di tutti i giorni e quanto le
quattro stagioni fossero strettamente legate con le
porte solstiziali ed equinoziali.
In quegli anni la Natura era vissuta “come un
grande corpo sacro e animato, espressione visibile
dell'invisibile” e il primo giorno dell’Equinozio di
Primavera fu
interpretato
come il momento in cui l’energia cosmica si
trova nel suo massimo vigore: una porta
aperta che può condurre verso nuove
intime esperienze spirituali.
Sandro Botticelli aveva capito tutto questo
e, dietro commissione di Lorenzo il
Magnifico per il giovane cugino Lorenzo di
Pierfrancesco de’ Medici, realizzò quei due
quadri che lo consacrarono tra i pittori che
meglio seppero esprimere l’arte ermeticorinascimentale di quegli anni.
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Nella “Primavera” e nella “Nascita di Venere” Botticelli si servì del mito per
rivelare un messaggio di salvezza dell’anima, magistralmente reso dalle
segrete allegorie dei personaggi mitologici raffigurati.
Venere, protagonista indiscussa delle due opere pittoriche, divenne la Donna
Celeste, regina del cosmo e “matrice
universale”, capace di unire l’alto e il basso, il
cielo e la terra in una stretto intimo scambio di
sottili corrispondenze.
Ma l’arte del Botticelli non si fermò al mito, e
verso la fine del XV secolo, dopo aver
conosciuto Gerolamo Savonarola, la sua
ricerca spirituale divenne ancora più
appassionata e le sue opere risentirono
fortemente della vigorosa personalità del frate
ferrarese.
“Savonarola deve essergli apparso come lo
spirito capace di risolvere le sue incertezze, e
l’unica intelligenza in grado di offrirgli la
chiave del mistero che adombrava il volto dei
suoi protagonisti”, commenta Carlo Bo
evidenziando quanto il linguaggio di amore spoglio da ogni aspetto
materiale, professato dal Savonarola, fosse la via maestra per arrivare a Dio.
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Negli ultimi anni della
sua vita i dipinti del
Botticelli restituiscono
l’immagine di quanto
le predicazioni di fra’
Girolamo fossero vicine
al suo pensiero: il
linguaggio pittorico si
fa più essenziale,
scompare del tutto la
prospettiva, ed i quadri
si caricano di una forza
allegorica di grande
efficacia.
Scosso fortemente dalla morte del Savonarola, intorno al 1495, Sandro
dipingerà la Calunnia, “con i suoi ritmi spezzati, i gruppi di figure inquiete
dai panneggi increspati” e con statue
inaspettatamente risvegliate dalla tragicità
della scena raffigurata.
Siamo ormai lontani dalle perfezioni
formali dei dipinti neoplatonici, adesso il
“sospetto” e “l’ignoranza”, resi
magistralmente da due figure femminili
che sussurrano malevoli
insinuazioni ad un re dalle
orecchie asinine,
diventano il motivo
dominate del quadro.
Tutti i vizi più terribili
come la calunnia, l’invidia,
la frode ed il livore fanno
la loro comparsa in questa
tela animando quei personaggi che si muovano sulla scena in
un dinamismo disarticolato di gesti e di corpi. Isolata,
completamente fuori dall’area turbolenta che rappresenta la
centralità della vicenda raffigurata, appare la Verità Divina,
rappresentata da una fanciulla nuda, con l’indice puntato
verso il cielo, che indica l’unica via sicura per sortire da quei
terribili vizi.
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Tra il 1498 ed il 1501 Botticelli
dipinse “Orazione nell’Orto” e
“Natività mistica” due tele che
mettono in luce quel
cambiamento interiore che
nell’ultima parte della sua vita
lo spingerà ad abbandonare
del tutto le rappresentazione
mitologiche per dedicarsi
soltanto a dipinti sacri, ma
sempre ricchi di richiami al
mondo della Natura e di sottili
rimandi simbolici.
Nella “Natività mistica” la
scenografia sorprende per la
sua originalità: la capannag ro t t a è s o l i d a e l a s c i a
intravedere in lontananza un
fitto bosco illuminato da una
calda luce dorata che invita ad
entrare. Anche il cielo si è
aperto e si è fatto dorato e, sulle note di una musica non percepibile ad
orecchio umano, dodici Angeli ruotano formando un mistico cerchio che
sovrasta quel sicuro riparo. Altri tre Angeli vegliano dall’alto la Sacra
Famiglia ed altri ancora si muovono
attorno al Bambino per andare
incontro e stringere tra le braccia
giovani uomini coronati di alloro e
mirto, indice delle virtù conseguite.
La scena è idilliaca e carica di
ermetiche allegorie. Gesù Cristo
nasce nell’umanità e la sua venuta
porta una sorta di “riconciliazione”
tra Dio e tutti coloro che lo amano.
Il male è sempre vicino ma adesso
non fa più paura: piccoli, mostruosi
demoni, non essendo riusciti a
portare a termine la loro diabolica
missione, vengono inghiottiti in neri squarci di terreno.
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La Fede, la Speranza e la Carità hanno trionfato e quei tre Angeli dalla
tunica bianca, rossa e verde, inginocchiati sul tetto della sacra capanna,
ricordano che solo l’Amore improntato a queste tre virtù può portare alla
vera Luce.
Sulla parte alta della tela appare una lunga scritta dorata in lingua greca che
riporta la data del dipinto, ma anche enigmatici riferimenti a “torbidi anni”
che Firenze avrebbe vissuto: parole non chiare ed alcune ormai illeggibili ma
che possono trovare relazione con le omelie profetiche del Savonarola.
Nella “Natività mistica” il linguaggio pittorico e simbolico dell’artista si è
ulteriormente raffinato e quegli angeli scesi sulla terra per abbracciare chi si
è avvicinato al Divino Bambino, invitano a realizzare quella purezza di cuore
necessaria affinché l‘intima “nascita” del Figlio di Dio possa avvenire in ogni
individuo.
“Il tuo Dio è ovunque: ma tu cercalo nell’anima tua/ Riempie il cielo e la
terra e quindi anche il tuo cuore”, affermava il Savonarola e chi meglio del
Botticelli poteva rendere in immagini quelle parole?
"
"
“Natività Mistica”
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