Untitled - La Repubblica.it

Download Report

Transcript Untitled - La Repubblica.it

Capitolo secondo
Il bambino era piccolo, ma la sua voce squillante
di orgoglio doveva essere arrivata anche alle orecchie della vecchia proprietaria, nella casa principale, perché quella sera la sentii parlarne sulla porta
con la vicina.
– Avete un gatto? – chiese senza tanti giri di
parole. E continuò dicendo che la cosa le creava
davvero dei problemi: in modo stranamente piatto
iniziò a raccontare di come i gatti entravano nella
proprietà da ogni angolo, di come le devastavano
il giardino, facevano baccano sul tetto e a volte le
lasciavano impronte sporche di fango sui tatami
del soggiorno.
La giovane vicina parlava a voce bassa, educata. Con gentilezza ascoltava le lamentele dell’ottantenne, limitandosi a incassare con eleganza. Ma
non per questo ebbe la peggio. Magari pensava al
bambino, che verosimilmente era lí dietro a pregare con tutte le sue forze. Fatto sta che ad avere
la peggio fu la vecchietta.
Mi ricordai che nel contratto d’affitto per la
dépendance, firmato due anni prima, era inclusa
una clausola per cui non si accettavano animali do-
gatto.indd 7
20/02/15 12.58
8
il gatto venuto dal cielo
mestici e bambini. Nonostante avessimo entrambi superato i trentacinque anni, nessuno dei due
aveva particolare desiderio di un figlio. Per quel
che riguardava gli animali domestici, non ci piacevano molto i gatti e non avevamo mai neanche
parlato di allevare un cane, visto che lavoravamo
tutti e due: si può dire che fossimo degli affittuari perfettamente rispondenti alle condizioni poste
dall’anziana signora.
Avevo amanti dei gatti anche tra gli amici piú
intimi, e ogni volta mi ero sentito vagamente disgustato di fronte al loro comportamento melenso: avevo assistito a scene in cui abbandonavano
ogni vergogna, presi come erano, anima e corpo,
dal gatto di turno. Non è che non mi piacessero i
gatti: semplicemente mi sentivo diverso da quelli
a cui piacciono. O forse, piú che altro, non avevo
familiarità con quegli animali.
Da bambino mi era capitato di avere un cane.
Ero arrivato a pensare che il rapporto con un cane sia semplice, e che la tensione, trasmessa dalla catena, tra chi ubbidisce e chi si fa ubbidire sia
qualcosa di puro.
Dovevo avere all’incirca l’età del figlio dei vicini. Abitavo in una casetta inserita in una schiera
che ricordava quei vecchi comprensori tipo alloggi per gli impiegati pubblici, quando mi rubarono
il cucciolo che avevo appena preso. Mi pare fosse
un primo pomeriggio di sabato o di domenica. Mio
padre si era accorto che lo spitz non era piú legato
di fronte alla porta, e aveva borbottato:
gatto.indd 8
20/02/15 12.58
capitolo secondo9
– Ladri di cani!
Poi, però, aveva cercato subito di rimangiarsi le
sue stesse parole, e mi aveva accompagnato di corsa
fuori: eravamo andati in giro a cercarlo dappertutto, ma non c’era ombra né del cane né del ladro.
Ricordo con chiarezza che l’espressione di papà, quando aveva cercato di rimangiarsi le parole
che gli erano sfuggite di bocca, mi aveva suggerito non fosse il caso di chiedere altro. Secondo mia
sorella piansi tutta la notte, ma io non me ne ricordo affatto.
Anche se non ci piacevano in particolare i gatti, mia moglie era piuttosto esperta delle abitudini
degli animali. Mi raccontava che, sin da piccola,
con il fratello catturava gamberi di fiume e lucertole d’acqua per allevarli in un acquario e teneva in
incubazione diversi tipi di farfalle, che poi lasciava
svolazzare per la stanza. Aveva avuto passeri del
Giappone e canarini e allevato pulcini. Le era capitato anche di occuparsi di passerotti caduti dal
nido e di pipistrelli feriti.
Ancora oggi, quando c’è un programma sugli animali alla televisione, riesce a indovinare il nome anche di strane specie di paesi lontani. Quindi, quando dico che non ci piacevano in particolare i gatti,
per quanto riguarda mia moglie voglio dire che non
ha preferenze tra specie animali (a differenza mia).
Dopo essere entrato a far parte della famiglia
dei vicini, il gattino iniziò a comparire spesso nel
nostro giardino, accompagnato dal suono di una
campanella appesa a un collarino vermiglio.
gatto.indd 9
20/02/15 12.58
10
il gatto venuto dal cielo
Il giardino della casa principale e quello piú piccolo della dépendance erano quasi una cosa sola,
separati semplicemente da uno steccato, ma sembrava proprio che anche i gatti trovassero piú accogliente quello grande, con le sue piante, le collinette artificiali e le aiuole fiorite: il gattino entrava
prima nel giardino piccolo della dépendance, per
poi avventurarsi da solo in quello grande.
Se lasciavamo aperta la porta con cui accedevamo al giardinetto da casa, nei suoi andirivieni
il cucciolo aveva l’abitudine di sbirciare dentro.
Non aveva affatto paura della gente. Però doveva
essere di indole molto prudente, perché si limitava a guardare, con la coda dritta, ma non entrava
mai. Se accennavo a prenderlo in braccio fuori in
giardino, si dava subito alla fuga.
Quando provai ad afferrarlo contro la sua volontà, mi morse. Non feci piú niente per tentare
di farmelo amico, anche per timore di essere visto
dalla padrona di casa.
Successe tra l’autunno e l’inizio dell’inverno del
1988, quando l’epoca Shōwa1 stava ormai per finire.
1
Il periodo corrispondente al regno dell’imperatore Hirohito (dicembre 1926 - gennaio 1989) [N.d.T.].
gatto.indd 10
20/02/15 12.58
Capitolo terzo
Il gatto si chiamava Chibi. Me ne stavo sdraiato
in camera, quando sentii la voce acuta del bambino:
– Chibi!
Capii che si rivolgeva al gatto perché, mentre
correva in giro, al suono dei suoi passi si confondeva il tintinnio della campanella. Chibi era una gatta snella e molto piccola, con il pelo bianchissimo
macchiato da diverse chiazze tonde color carbone
virante al marrone chiaro, com’è molto frequente
tra i gatti giapponesi: è il mantello che chiamano
«arlecchino», credo.
Questo particolare esemplare aveva due caratteristiche fondamentali: le orecchie molto mobili
che, graziosamente appuntite, spiccavano ancor
piú sull’esile corpicino, e poi l’impressione, che
dava, di non aver alcuna intenzione di andarsi a
strofinare sulle gambe della gente. All’inizio pensavo che fosse colpa della mia mancanza di familiarità con i gatti, ma poi capii che mi sbagliavo:
una ragazzina che si trovava a passare nel vicolo
fulmine si fermò, si accosciò e si mise a guardarla,
e lei non scappò ma, appena la bambina allungò la
mano per toccarla, Chibi le sfuggí con un guizzo.
gatto.indd 11
20/02/15 12.58
12
il gatto venuto dal cielo
Il suo atteggiamento dava la stessa sensazione di
una luce fredda e pallida.
Un’altra sua peculiarità era che non miagolava
quasi mai. Quando era apparsa per la prima volta
nel vicolo, ci era sembrato che un qualche suono lo
emettesse, ma in seguito non la sentimmo piú. Con
il passare del tempo ci eravamo rassegnati all’idea
che, chissà perché, non ci avrebbe piú fatto udire
la sua voce.
Anche l’abitudine di cambiare spesso l’oggetto della sua attenzione era una sua peculiarità, e
non solo quando era ancora piccina. Forse perché
giocava quasi sempre da sola nel grande giardino,
a un certo punto aveva iniziato a mostrarsi molto
sensibile alla presenza di insetti o rettili. Anzi, a
dire il vero, a volte non potevo fare a meno di pensare che stesse reagendo a impercettibili cambiamenti del vento o della luce. La maggior parte dei
gattini hanno questa tendenza, ma nel suo caso gli
spostamenti seguivano traiettorie particolarmente
angolate e imprevedibili.
«D’altronde è la gatta del vicolo fulmine!», diceva a volte mia moglie, come se ne tessesse le lodi,
indicandola mentre ci passava davanti.
Chibi era diventata molto brava a giocare con
la palla, probabilmente perché si esercitava con il
bambino. Credo usassero una palla di gomma della
grandezza del palmo della mano. Li sentivo divertirsi nel vicolo e udivo il suono dei rimbalzi con la
sensazione che mi rivolgessero un invito e, da un
certo momento, iniziai poco a poco a convincermi
gatto.indd 12
20/02/15 12.58
capitolo terzo13
che mi sarebbe piaciuto giocare cosí nel mio giardinetto. Ci pensai e ci ripensai, finché un giorno,
finalmente, presi una pallina da ping-pong dal fondo di un cassetto.
La feci rimbalzare sul pavimento di cemento
sotto il piccolo portico. Chibi si mise seduta, con
lo sguardo ipnotizzato dal movimento. Alla fine si
acquattò con il corpo teso, si tirò un po’ indietro
e si inarcò, come si flette una molla. Da quella posizione, scalciò il terreno e si avventò decisa sulla piccola palla bianca. Poi mi passò veloce tra le
gambe, palleggiando piú volte la piccola sfera nello
spazio tra le zampe anteriori.
La volubilità del suo carattere si manifestava
all’improvviso anche durante simili esercizi di impareggiabile tecnica: ti eri appena reso conto che
aveva abbandonato la pallina da ping-pong e si
era spostata di scatto descrivendo un angolo acuto, ed eccola, un attimo dopo, posare la zampetta
sulla testa di un rospo nascosto all’ombra di una
pietra decorativa. E l’istante successivo faceva un
salto nella direzione opposta, infilandosi tra i cespugli, con una delle zampe anteriori ad aprirle la
strada, per poi fermarsi a guardarti, scossa da un
lieve fremito, con il bianco ventre in mostra. Ma
era una breve illusione: senza piú degnarti di uno
sguardo, con un salto agguantava la manica di una
maglietta che oscillava appesa ad asciugare, e poi
spariva nel giardino della casa madre, attraverso il
cancello di legno.
Un amico amante dei gatti mi aveva detto che
gatto.indd 13
20/02/15 12.58
14
il gatto venuto dal cielo
giocano con la palla solo quando sono davvero
piccoli, eppure, quando Chibi poteva considerarsi
ormai adulta, sembrava le piacesse ancora di piú.
Aveva un’altra particolarità: per dirla con le
parole dell’anziana padrona di casa, era «una vera
bellezza». E detto da una che aveva passato la vita a scacciare gatti, potevamo considerarlo un giudizio obiettivo.
Secondo una fotografa che conosco, tutti gli
amanti dei gatti ritengono il proprio animale domestico il piú bello in assoluto: gli altri non li vedono
neanche. Dice che, siccome anche lei ama i gatti,
da quando si è resa conto di questa cosa continua
a fotografare solo quelli bruttissimi, che non piacciono a nessuno.
A Chibi piaceva giocare con la palla e iniziò a
venire spontaneamente a casa, invitando a giocare
chiunque vi trovasse. Faceva qualche passo nella
stanza, ti fissava con intensità e poi, con uno scarto
repentino, ti invitava verso il giardinetto. Ripeteva
quel suo invito muto due, tre volte, finché non le
rispondevi. Di solito mia moglie lasciava qualsiasi
cosa stesse facendo e si infilava i sandali da giardino con aria felice.
Chibi prese l’abitudine di entrare in casa a riposarsi dopo aver giocato. Quando si addormentò per
la prima volta, acciambellata sul divano, ci diede
una gioia profonda, come se fosse la casa stessa a
sognare quella scena.
Di nascosto dalla vecchia signora, iniziammo a
permettere a Chibi di entrare in casa quando voleva
gatto.indd 14
20/02/15 12.58
capitolo terzo15
e, da quel momento, ci fu sempre piú facile capire
gli amanti dei gatti. Ci sembrava che non esistesse un gatto piú bello di lei, neanche a cercarlo nei
programmi televisivi o nei calendari.
Però, anche se ci sembrava ormai il gatto migliore di tutti, non era nostra.
Appariva sempre preceduta dal tintinnio della
campanella e noi, a volte, invece di chiamarla Chibi, la chiamavamo «Tintin». Era il nome che ci veniva alle labbra quando avevamo voglia di vederla.
«Tintin non viene, eh?»
Mia moglie non faceva in tempo a finire di dirlo,
che si sentiva la campanella. Quando ci accorgevamo del suo arrivo, in genere Chibi doveva essere
uscita dalla porta dei vicini, all’altezza del secondo angolo del vicolo fulmine, ed essere già passata
con un balzo attraverso uno strappo nella rete metallica al confine della proprietà. Poi costeggiava il
nostro edificio, girava fino alla veranda, saltava sul
portico, posava le zampe anteriori sul bordo della finestra, all’altezza delle ginocchia di un uomo,
allungava il collo e spiava all’interno.
Venne l’inverno. Chibi stava entrando piano
piano nella nostra vita come un rivolo d’acqua che
penetri inosservato dalla finestra lasciata socchiusa,
e si spanda scivolando su un’impercettibile pendenza, imbevendola. Ma già allora, quello che definirei
un destino, accompagnava quel flusso.
gatto.indd 15
20/02/15 12.58