22/8/2016 - studio ducoli

Download Report

Transcript 22/8/2016 - studio ducoli

11111
Lunedì, 22 agosto 2016
IL CASO DEL GIORNO
CONTABILITÀ
L’istanza di
riassunzione del
processo non va
notificata alle parti
Per il revisore occhi puntati sulla regolare
contabilità
/ Alfio CISSELLO
/ Flavio DEZZANI
Nei c.d. “incidenti processuali”, il
contenzioso, pena l’eventuale sua
estinzione, deve essere riassunto entro un termine decadenziale.
Talvolta sono però emersi problemi
procedurali in merito alle modalità
della menzionata riassunzione.
Si allude alle fattispecie in cui il giudice, ai sensi degli artt. 39 e 40 del
DLgs. 546/92, ha disposto la sospensione o l’interruzione del processo.
La sospensione si può verificare
quando pende un contenzioso pregiudiziale, dalla cui decisione dipende la soluzione della controversia (si
veda “Si può sospendere il processo
per pregiudizialità amministrativa”
del 19 aprile 2016), mentre l’interruzione opera se viene meno, per decesso o altre cause, la parte o il difensore che la rappresenta.
Verificatisi i presupposti indicati, il
giudice, quindi, dichiara con ordinanza la sospensione e/o l’interruzione del processo, che va riassunto,
ex art. 43 del DLgs. 546/92, mediante
apposita istanza, [...]
La recente riforma della disciplina
della revisione legale dei conti, attuata mediante il recepimento – ad
opera del DLgs. 135/2016 – della direttiva 2014/56/UE, evidenzia il ruolo fondamentale assunto dai principi di revisione.
Tra i doveri propri del revisore, vi è
la verifica della regolare tenuta della contabilità sociale (art. 14 comma
1 lett. b) del DLgs. 39/2010), la quale
deve essere effettuata secondo il
principio di revisione SA Italia 250B,
compreso nell’elenco dei principi di
revisione internazionali ISA Italia
adottati con determina del Ragioniere generale dello Stato del 23 dicembre 2014 n. 100736.
Gli amministratori – o altro organo
che svolga analoghe funzioni, a seconda del modello di amministrazione adottato – hanno la responsabilità della regolare tenuta della
contabilità sociale e della corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle
scritture contabili.
Il revisore legale, invece, ha la re-
Le verifiche devono essere effettuate applicando il principio di revisione SA Italia
250B
sponsabilità di verificare la corretta
rilevazione dei fatti di gestione, attraverso lo svolgimento dell’attività di
revisione legale del bilancio, e la regolare tenuta della contabilità sociale,
attraverso lo svolgimento delle procedure previste nel citato principio di
revisione.
La contabilità sociale è costituita
dall’insieme delle rilevazioni sistematiche di un’impesa che permettono di
realizzare gli obiettivi:
- di una corretta rappresentazione degli eventi di gestione nelle scritture
contabili (ad esempio, vendite, acquisti, incassi da clienti, pagamenti a fornitori, leasing finanziario e operativo,
derivati, attualizzazione di crediti e
debiti finanziari e commerciali);
- della predisposizione del bilancio e
di eventuali altre situazioni contabili
intermedie, incluse le necessarie
scritture connesse alla predisposizione di tali situazioni contabili (ad
esempio, trimestrali, semestrali).
Il principio SA Italia 250B stabilisce
che, nello svolgimento [...]
PAGINA 2
IN EVIDENZA
Produce ricavi la locazione di immobili vincolati oggetto
dell’attività d’impresa
Le ONLUS non sono esenti da contributo unificato
Aliquota IVA ridotta per il trasporto su navi delle “auto al seguito”
PAGINA 3
IMPRESA
I palesi illeciti degli
amministratori
“incastrano” i sindaci
/ Maurizio MEOLI
Molti e interessanti sono i profili attinenti alla responsabilità di amministratori e sindaci esaminati dalla sentenza n. 4132/2016 del [...]
PAGINA 5
ancora
IL CASO DEL GIORNO
STUDIO DUCOLI
L’istanza di riassunzione del processo non va
notificata alle parti
Ma se, a titolo cautelativo, ciò avviene non si verifica nessun effetto pregiudizievole, sempre che ci sia
il deposito
/ Alfio CISSELLO
Nei c.d. “incidenti processuali”, il contenzioso, pena
l’eventuale sua estinzione, deve essere riassunto entro
un termine decadenziale.
Talvolta sono però emersi problemi procedurali in merito alle modalità della menzionata riassunzione.
Si allude alle fattispecie in cui il giudice, ai sensi degli
artt. 39 e 40 del DLgs. 546/92, ha disposto la sospensione o l’interruzione del processo. La sospensione si può
verificare quando pende un contenzioso pregiudiziale,
dalla cui decisione dipende la soluzione della controversia (si veda “Si può sospendere il processo per pregiudizialità amministrativa” del 19 aprile 2016), mentre
l’interruzione opera se viene meno, per decesso o altre
cause, la parte o il difensore che la rappresenta.
Verificatisi i presupposti indicati, il giudice, quindi, dichiara con ordinanza la sospensione e/o l’interruzione
del processo, che va riassunto, ex art. 43 del DLgs.
546/92, mediante apposita istanza, entro un termine
perentorio, che si identifica con sei mesi da quando è
cessata la causa che ha dato origine alla sospensione,
oppure da quando è stata dichiarata l’interruzione.
Occorre l’impulso di parte, pena l’estinzione del processo ai sensi dell’art. 45 del DLgs. 546/92, fatto che, in
primo grado o in sede di rinvio, comporta la definitività dell’atto impugnato, mentre se avviene in secondo
grado ha come effetto il passaggio in giudicato della
sentenza di primo grado.
La parte che ne ha interesse (che, in primo grado o in
sede di rinvio, è sempre il contribuente, in ragione di
quanto sopra), deve allora presentare apposita istanza
al Presidente di sezione della Commissione.
Ma quest’istanza va, a pena di inammissibilità, notificata alle altre parti, o può essere solo depositata in
Commissione? Deve, dal punto di vista procedurale, essere considerata una sorta di ricorso o di atto di integrazione dei motivi?
Al quesito va fornita una risposta negativa, e ciò lo si
evince anche esaminando l’art. 43 richiamato, che non
Eutekne.Info / Lunedì, 22 agosto 2016
fa alcun riferimento alla notifica dell’atto.
Si veda, espressamente, la pronuncia della Cassazione
n. 12672 del 2015, ove è stata cassata la sentenza di merito che, a pena di inammissibilità, aveva ritenuto necessaria la previa notifica dell’istanza.
È palese che, nemmeno in via interpretativa, si possono introdurre decadenze non previste in maniera
espressa dalla legge.
Ad ogni modo, nulla vieta, per evitare problemi di sorta, l’adozione della condotta processuale maggiormente cautelativa.
La regola generale è la seguente: l’istanza, a pena di
inammissibilità, deve essere solo depositata nei termini anzidetti presso la segreteria del giudice.
La riassunzione deve essere tempestiva
Tuttavia, fermo restando che il deposito deve avvenire
entro i termini predetti, nulla vieta di notificarla alle
altre parti, si tratta di un adempimento in più, che non
può causare nessun effetto pregiudizievole.
Poi, nel momento in cui si riassume il processo, la segreteria comunicherà, come di consueto, la data di
udienza in conformità con l’art. 43 del DLgs. 546/92,
ma non siamo in presenza di un ulteriore grado di giudizio, per cui non bisogna pagare alcuna somma a titolo di contributo unificato atti giudiziari.
Si evidenzia che il discorso effettuato vale solo per le
tipologie di istanze prese in considerazione, ovvero per
la riassunzione del processo sospeso/interrotto.
Di contro, va, nel termine perentorio del caso, sia notificata sia depositata in segreteria l’istanza (o meglio, il
ricorso o l’atto, se così lo si vuole chiamare) di riassunzione in rinvio ai sensi dell’art. 63 del DLgs. 546/92,
così come quella di riassunzione del processo a seguito di dichiarazione di incompetenza (art. 5 del DLgs.
546/92) o di difetto di giurisdizione (art. 59 della L.
69/2009).
/ 02
ancora
CONTABILITÀ
STUDIO DUCOLI
Per il revisore occhi puntati sulla regolare contabilità
Le verifiche devono essere effettuate applicando il principio di revisione SA Italia 250B
/ Flavio DEZZANI
La recente riforma della disciplina della revisione legale dei conti, attuata mediante il recepimento – ad
opera del DLgs. 135/2016 – della direttiva 2014/56/UE,
evidenzia il ruolo fondamentale assunto dai principi di
revisione.
Tra i doveri propri del revisore, vi è la verifica della regolare tenuta della contabilità sociale (art. 14 comma 1
lett. b) del DLgs. 39/2010), la quale deve essere effettuata secondo il principio di revisione SA Italia 250B, compreso nell’elenco dei principi di revisione internazionali ISA Italia adottati con determina del Ragioniere
generale dello Stato del 23 dicembre 2014 n. 100736.
Gli amministratori – o altro organo che svolga analoghe funzioni, a seconda del modello di amministrazione adottato – hanno la responsabilità della regolare tenuta della contabilità sociale e della corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili.
Il revisore legale, invece, ha la responsabilità di verificare la corretta rilevazione dei fatti di gestione, attraverso lo svolgimento dell’attività di revisione legale del
bilancio, e la regolare tenuta della contabilità sociale,
attraverso lo svolgimento delle procedure previste nel
citato principio di revisione.
La contabilità sociale è costituita dall’insieme delle rilevazioni sistematiche di un’impesa che permettono di
realizzare gli obiettivi:
- di una corretta rappresentazione degli eventi di gestione nelle scritture contabili (ad esempio, vendite,
acquisti, incassi da clienti, pagamenti a fornitori, leasing finanziario e operativo, derivati, attualizzazione di
crediti e debiti finanziari e commerciali);
- della predisposizione del bilancio e di eventuali altre
situazioni contabili intermedie, incluse le necessarie
scritture connesse alla predisposizione di tali situazioni contabili (ad esempio, trimestrali, semestrali).
Il principio SA Italia 250B stabilisce che, nello svolgimento delle verifiche periodiche, il revisore deve:
- acquisire informazioni ovvero aggiornare le informazioni già acquisite in merito alle procedure adottate
dall’impresa al fine di: individuare i libri obbligatori da
tenere ed introdurre nuovi libri obbligatori richiesti
dalla normativa civilistica, fiscale, previdenziale e da
eventuali leggi speciali (ad esempio, libro giornale, libro degli inventari, scritture ausiliarie di magazzino, libri IVA, libri sociali); assicurare la tempestiva e regolare vidimazione e bollatura dei libri obbligatori, ove applicabile (ad esempio, libro giornale e libro degli inventari non sono soggetti a bollatura e vidimazione) e assicurare l’osservanza degli adempimenti fiscali e previdenziali;
- verificare l’esistenza dei libri obbligatori;
- verificare la regolare tenuta ed il tempestivo aggiorEutekne.Info / Lunedì, 22 agosto 2016
namento dei libri;
- verificare l’esecuzione degli adempimenti fiscali e
previdenziali richiesti dalla normativa di riferimento,
attraverso l’esame della documentazione pertinente e
delle relative registrazioni;
- verificare la sistemazione da parte della direzione di
carenze nelle procedure adottate dall’impresa per la
regolare tenuta della contabilità sociale e non conformità nell’esecuzione degli adempimenti richiesti dalla
normativa di riferimento, se riscontrati in esito allo
svolgimento della verifica periodica precedente;
- verificare la sistemazione da parte della direzione di
errori nelle scritture contabili, laddove riscontrati in
esito allo svolgimento della verifica precedente.
Il revisore legale deve poi valutare i risultati delle verifiche periodiche considerando i possibili effetti degli
elementi informativi acquisiti nello svolgimento
dell’attività di revisione. A tal fine il revisore legale
considera:
- i possibili effetti di carenze nelle procedure adottate
dall’impresa ai fini della regolare tenuta della contabilità sociale ovvero di non conformità nell’esecuzione
degli adempimenti richiesti dalla normativa di riferimento, riscontrati nello svolgimento delle procedure di
ciascuna verifica periodica;
- i possibili effetti di errori nelle scritture contabili riscontrati nello svolgimento delle procedure di ciascuna verifica periodica.
Il revisore deve altresì valutare i risultati di ciascuna
verifica periodica ai fini delle eventuali comunicazioni ai responsabili delle attività di governance in conformità a quanto previsto dai principi di revisione internazionali ISA Italia nn. 260 e 265.
Il revisore deve documentare:
- la frequenza pianificata delle visite periodiche;
- le procedure svolte in ciascuna verifica periodica;
- i risultati delle verifiche periodiche, nonché le considerazioni e le valutazioni effettuate sugli elementi informativi acquisiti, con riferimento ai possibili effetti
sull’attività di revisione, nonché ai fini delle comunicazioni ai responsabili delle attività di governance.
La documentazione inerente le verifiche periodiche
deve essere distintamente individuabile rispetto a
quella relativa all’attività di revisione del bilancio.
Si evidenzia, da ultimo, che il Collegio sindacale non
deve effettuare il controllo della regolare tenuta della
contabilità, ivi compresi i libri contabili obbligatori.
Se, invece, il Collegio sindacale dovesse svolgere anche l’attività di revisione legale – nei casi previsti dalla legge – sarà suo compito svolgere tutte le verifiche
illustrate con riferimento al revisore legale.
/ 03
ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Produce ricavi la locazione di immobili vincolati
oggetto dell’attività d’impresa
In tal caso, non si applica la disposizione di cui all’art. 11 comma 2 della L. n. 413/1991, che si riferisce
al solo reddito fondiario
/ Antonio PICCOLO
Con la recente sentenza n. 14880/2016, la Cassazione è
tornata sul corretto trattamento dei fabbricati storici o
artistici (con vincolo “diretto”) ai fini delle imposte sui
redditi e segnatamente agli effetti dell’IRPEG (ora
IRES).
I giudici di legittimità hanno rinverdito il consolidato
principio di diritto secondo il quale, in tema di imposte sui redditi, i canoni prodotti dalla locazione di fabbricati riconosciuti di interesse storico o artistico, ai
sensi dell’art. 3 della L. n. 1089/1939 (ora art. 10 del
DLgs. n. 42/2004), che siano oggetto dell’attività
dell’impresa, rappresentano veri e propri ricavi che
concorrono alla determinazione del reddito d’impresa,
secondo le ordinarie norme che lo disciplinano.
In tal caso, infatti, non si rende applicabile la disposizione di cui al comma 2 dell’art. 11 della L. n. 413/1991,
la quale, nello stabilire che il reddito degli immobili in
questione è determinato “mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato”, si riferisce al solo reddito fondiario e si giustifica nei costi di manutenzione degli immobili vincolati,
superiori a quelli normalmente richiesti per altre tipologie di beni immobili.
Giustificazione, quest’ultima, che non avrebbe senso
rispetto ai redditi d’impresa, determinati sulla base dei
ricavi conseguiti in contrapposizione ai correlativi costi che, invece, sono indeducibili rispetto ai redditi fondiari (fra tante, Cass. nn. 1934/2016, 18921/2015,
7615/2014, 10563/2014 e 3334/2013).
In particolare, la Suprema Corte ha ribadito quanto osservato già nella sentenza n. 26343/2009 e cioè che, rispetto a uno stesso immobile, è diversa la determinazione del relativo reddito se esso sia strumentale all’attività d’impresa o costituisca oggetto dell’impresa stessa, oppure se detto immobile non sia ascrivibile a tali
categorie, caso in cui il reddito è determinato alla stregua dei redditi fondiari (e non dei redditi d’impresa).
La precedente versione dell’art. 57 del TUIR e il successivo nuovo art. 90 (introdotto dall’art. 1 del DLgs. n.
344/2003 con effetto dal 1° gennaio 2004) dispongono
infatti, in termini sostanzialmente identici, che i reddi-
Eutekne.Info / Lunedì, 22 agosto 2016
ti degli immobili che non costituiscono beni strumentali per l’esercizio dell’impresa, né beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa,
concorrono a formare il reddito nell’ammontare determinato secondo le disposizioni del Capo II del Titolo I,
concernente le modalità di determinazione dei redditi
fondiari (redditi dominicali dei terreni, redditi agrari e
redditi dei fabbricati), mentre i redditi d’impresa sono
disciplinati nel Capo VI del medesimo TUIR e l’art. 40,
ora 43, ha stabilito fra l’altro che “non si considerano
produttivi di reddito fondiario gli immobili relativi ad
imprese commerciali” (comma 1).
Ciò detto, la regola fissata dal citato comma 2 dell’art.
11 della L. n. 413/1991 si applica per la determinazione
dei redditi fondiari e trova giustificazione nei costi di
manutenzione degli immobili vincolati, superiori a
quelli normalmente richiesti per le altre tipologie di
immobili; ratio che non avrebbe senso rispetto ai redditi d’impresa, che sono determinati sulla base dei ricavi conseguiti in contrapposizione ai correlativi costi,
costi che invece sono indeducibili rispetto ai redditi
fondiari.
Al riguardo, le istruzioni per la compilazione del modello UNICO 2016 (rigo RF9) ricordano fra l’altro che per
gli immobili “patrimonio” riconosciuti di interesse storico o artistico il reddito medio ordinario è ridotto del
50% e non trova applicazione l’aumento di un terzo del
reddito relativo a unità immobiliari tenute a disposizione (art. 41 del TUIR).
In caso di immobili locati, invece, qualora il canone di
locazione, ridotto, fino a un massimo del 15% dello
stesso, delle spese documentate di manutenzione ordinaria, risulti superiore al reddito medio ordinario
dell’unità immobiliare, il reddito è determinato in misura pari al canone di locazione al netto di tale riduzione.
Infine, il reddito derivante dalla locazione degli immobili “patrimonio” riconosciuti di interesse storico o artistico è determinato in misura pari al maggiore tra il
valore del canone risultante dal contratto di locazione,
ridotto del 35%, e il reddito medio ordinario dell’immobile ridotto del 50% (art. 90 dello stesso TUIR).
/ 04
ancora
IMPRESA
STUDIO DUCOLI
I palesi illeciti degli amministratori “incastrano” i
sindaci
L’evidenza consente di desumere la colpa grave dei controllori rimasti inoperosi
/ Maurizio MEOLI
Molti e interessanti sono i profili attinenti alla responsabilità di amministratori e sindaci esaminati dalla
sentenza n. 4132/2016 del Tribunale di Milano.
Si precisa, innanzitutto, che la srl danneggiata può
partecipare al procedimento promosso dai soci (nei
confronti di amministratori e sindaci) anche senza di
una delibera assembleare autorizzativa. Quest’ultima,
infatti, sarebbe necessaria solo per il caso di esercizio
in via autonoma dell’azione sociale di responsabilità.
L’azione di responsabilità nei confronti di una pluralità di soggetti (amministratori e sindaci), inoltre, dà luogo a cause tra loro scindibili, salvo che vi sia necessità
di una valutazione globale (inesistente nel caso di specie). Ancorché il giudizio (unico) sia proposto nei confronti di più soggetti, lo stesso è composto da un fascio di cause, ciascuna delle quali conserva la propria
individualità, per cui è ben possibile che nel suo prosieguo, a causa di diverse possibili situazioni processuali, si svolga soltanto nei confronti di alcune delle
parti originariamente presenti in giudizio (cfr. Cass. n.
23117/2014).
Quanto al danno “da dissesto” – quale valore negativo
raggiunto dal patrimonio sociale dopo la sua perdita –
il Tribunale osserva come esso non possa essere oggetto di una richiesta da parte del socio, ma solo da
parte dei creditori della società e del curatore fallimentare. Il danno alla società risiede nella diminuzione patrimoniale; ma quando tutto oramai è perduto, il danno residua in capo ai terzi che restano insoddisfatti dei
propri crediti, e non alla società. I soci perdono il loro
capitale di rischio ed eventuali versamenti in conto
capitale, ma non rispondono delle ulteriori perdite. Lo
stesso vale per la società, che risponde dei debiti con
quello che ha, e non certo con ciò che non ha.
Nell’azione di responsabilità sociale esercitata dal socio, quindi, non è possibile utilizzare i criteri di determinazione del danno che sono propri delle azioni di
responsabilità normalmente utilizzate dai curatori fallimentari; rappresentanti della massa dei creditori e,
quindi, portatori di interessi diversi e spesso in conflitto con quelli dei soci in ordine al patrimonio sociale.
Una società che, nonostante la perdita del capitale,
continui ad operare, mette a rischio la posizione dei
creditori e non già quella dei soci e della società medesima. Nel caso di specie, peraltro, il fallimento della società era stato evitato grazie all’assunzione di debiti da
parte della società controllante la srl in questione; atto
che rivela come, nonostante tutto, vi fosse una convenienza economica a tenere in vita la società. Rispetto a
ciò, inoltre, il fatto che, successivamente, la srl fosse
Eutekne.Info / Lunedì, 22 agosto 2016
stata posta in liquidazione, determinava una diminuzione dei valori di bilancio dei beni, ma sulla base di
scelte che appaiono riconducibili anche al socio attore,
che, quindi, per tali profili, verrebbe ad essere risarcito
altresì per un fatto proprio qualora si ammettesse il risarcimento anche del patrimonio negativo. Si ribadisce, allora, che al socio nulla può essere liquidato come danno da dissesto e, tanto meno, in relazione a simile pretesa, è possibile ricorrere al criterio dei “netti
patrimoniali”.
Agli amministratori, poi, è addebitabile il fatto di aver
creato e gestito risorse extracontabili (c.d. “nero”) di cui
alla società sia sfuggito il controllo. In tal caso, il danno deriva dal fatto di avere posto queste risorse in una
zona contabilmente ignota, con impossibilità di verificarne un impiego corretto; e, una volta appurata la loro
esistenza, spetta agli amministratori dimostrare che le
somme extracontabili sono state usate per fini sociali.
In altre parole, nel momento in cui le risorse economiche sono sottratte alla contabilità sociale, sono già solo per questo in pericolo, con un corrispondente danno
che può ritenersi già verificato, ferma la possibilità di
fornire la prova del rientro delle stesse verso un’utilità
societaria, con elisione del danno medesimo.
Rispetto a tali situazioni sono certamente, quanto meno, in una posizione di corresponsabilità per colpa quei
sindaci che nulla hanno denunciato di: annotazioni di
giroconti senza indicazioni sufficienti a rivelare dove
siano girati i fondi; molteplici operazioni in contanti
per importi ingenti; registrazione di operazioni in contemporanea; compensazioni di partite al fine di “correggere” il saldo; pagamenti estranei rispetto alla gestione tipica. In ogni caso, sottolinea comunque il Tribunale, per la responsabilità dei controllori del caso di
specie basterebbe l’evidente colpevole inerzia rispetto
a schede contabili intestate a “Pinco Pallino”.
A fronte di tutto ciò, i membri del collegio sindacale
possono essere ritenuti responsabili nonostante il
danno, in concreto, si sia verificato solo dopo la cessazione dalla carica; perché sono le loro omissioni (colpose) ad avere consentito la continuazione di una condotta che avrebbero dovuto interrompere.
Quando vi sono palesi illeciti degli amministratori, infine, è proprio questa evidenza a consentire di configurare una colpa grave per i sindaci rimasti inoperativi; e
ciò induce a ritenere legittima l’attribuzione di responsabilità in misura paritaria tra tutti i condebitori solidali. Nella specie, il danno di circa 2.500.000 euro è
suddiviso nella misura di un quinto ciascuno tra i due
amministratori e i tre sindaci.
/ 05
ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Le ONLUS non sono esenti da contributo unificato
Non vale la generale esenzione prevista dalla disciplina relativa all’imposta di bollo
/ Alessandro BORGOGLIO
Anche le ONLUS sono tenute al pagamento del contributo unificato di iscrizione a ruolo, per ciascun grado
di giudizio, nel processo civile, amministrativo e tributario, non operando alcuna specifica esenzione in loro
favore. È quanto stabilito dalla C.T. Prov. di Milano, con
la recente sentenza n. 5193/2016.
L’art. 9 del DPR 115/2002 prevede l’applicazione del
succitato contributo unificato, facendo salve le ipotesi
di esenzione di cui al successivo art. 10, a mente del
quale, per quel che qui rileva, non è soggetto al contributo il processo già esente, secondo previsione legislativa e senza limiti di competenza o di valore, dall’imposta di bollo.
L’art. 27-bis dell’allegato B al DPR 642/1972 prevede
l’esenzione dall’imposta di bollo di atti, documenti,
istanze, contratti nonché copie anche se dichiarate
conformi, estratti, certificazioni, dichiarazioni e attestazioni posti in essere o richiesti da organizzazioni
non lucrative di utilità sociale (ONLUS) e dalle federazioni sportive ed enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI.
Secondo la ONLUS di cui alla sentenza in commento –
che aveva impugnato un provvedimento con il quale
era stato richiesto il versamento del contributo unificato per un ricorso da questa presentato – dal combinato disposto delle due norme sopra illustrate si dovrebbe desumere l’esenzione per le ONLUS dal contributo unificato in parola: gli atti posti in essere da tali
organizzazioni, infatti, sono esenti da imposta di bollo,
per espressa previsione normativa, e, poiché sono
esenti da contributo unificato i processi già esenti da
imposta di bollo, ne conseguirebbe che il processo incardinato da qualunque ONLUS è esente anche da contributo unificato.
I giudici di merito, però, non hanno condiviso tale tesi
e, richiamando la giurisprudenza di legittimità in materia, nonché la prassi ministeriale, hanno deciso che
tale contributo unificato è dovuto anche dalle ONLUS.
In particolare, è stata ricordata la sentenza n.
21522/2013, con cui la Corte di Cassazione ha stabilito
che l’esenzione prevista dal già menzionato art. 27-bis
per gli atti delle ONLUS non può essere inteso, in mancanza di un espresso riferimento normativo e in mancanza di specificazione alcuna al riguardo, quale categoria ampia comprensiva sia degli atti amministrativi
che giurisdizionali, dovendosi pervenire ad una interpretazione “riduttiva” che trova giustificazione nella
Eutekne.Info / Lunedì, 22 agosto 2016
stessa dizione normativa che si riferisce agli atti amministrativi (“atti, documenti, istanze, contratti”), senza alcun riferimento a quelli giudiziari.
Del resto, già l’Amministrazione finanziaria, con la
C.M. n. 168/1998 (§ 7.1), aveva chiarito che l’elencazione degli atti esenti prevista dal citato art. 27-bis deve
ritenersi tassativa e, quindi, gli atti non espressamente elencati in detto articolo, ma ricompresi nella Tariffa dell’imposta di bollo, non possono godere del beneficio in parola.
Diversamente si è pronunciata, però, la C.T. Reg. di Roma, con la sentenza n. 4352/1/15, seppur in relazione
ad un’associazione di volontariato. I giudici laziali – ricordando che l’art. 8 della legge 266/1991 prevede
l’esenzione da imposta di bollo e di registro per gli atti
costitutivi e quelli connessi allo svolgimento di associazioni di volontariato aventi fine esclusivo di solidarietà – hanno stabilito che, stante l’esenzione da imposta di bollo suddetta ed il conseguente richiamo a tale
circostanza ad opera dell’art. 10 del DPR 115/2002, che
prevede in tal caso anche l’esenzione dal contributo
unificato, deve ritenersi che tali associazioni non siano soggette al ridetto contributo, sempreché la tutela
giurisdizionale azionata dall’associazione costituisca
uno dei fini statutari e, quindi, a condizione che il processo sia stato promosso dall’associazione a tutela di
un interesse a lei statutariamente affidato.
Il collegio, però, si è spinto oltre, esaminando anche la
disposizione di cui al già più volte indicato art. 27-bis,
relativo alle ONLUS e su cui si è soffermata la Provinciale di Milano, con la pronuncia poco sopra commentata. In particolare, il collegio laziale, prendendo le distanze dai colleghi lombardi, ha stabilito che il legislatore, con tale art. 27-bis (aggiunto soltanto nel 1998 al
DPR 642/1972), ha inteso estendere l’ambito dell’esenzione, già prevista dalla legge sul volontariato limitatamente agli atti connessi allo svolgimento delle attività
dell’associazione (tipicamente atti propri, nei quali si
concreta l’attuazione dei fini istituzionali, come previsti dallo Statuto), ad altri atti, con valenza più propriamente documentale o certificativa, non solo quando
posti in essere, ma anche solo quando richiesti dall’associazione, perché il permanere dell’imposizione su tali atti, anche se non costituenti diretta attuazione della attività istituzionale, avrebbe in concreto ostacolato
quelle stesse funzioni già ritenute meritevoli di esenzione dal tributo.
/ 06
FISCO
STUDIO DUCOLI
Aliquota IVA ridotta per il trasporto su navi delle
“auto al seguito”
La misura è prevista dallo schema di decreto sugli incentivi alle imprese marittime
/ Emanuele GRECO
Con l’approvazione, in via preliminare, dello schema di
decreto legislativo di incentivi alle imprese marittime
da parte del Consiglio dei Ministri del 28 luglio 2016,
viene prevista l’aliquota IVA del 10% per le prestazioni
di trasporto dei veicoli dei passeggeri, in quanto accessorie rispetto alle prestazioni “principali” costituite
dal trasporto di persone.
Per il trasporto di persone e dei rispettivi bagagli al seguito, infatti, l’IVA si applica in misura ridotta (attualmente secondo l’aliquota del 10%) ai sensi del n. 127novies della Tabella A, parte III, allegata al DPR 633/72.
Il Governo, con lo schema di decreto recentemente approvato, si propone di introdurre nell’ordinamento una
norma di interpretazione autentica con la quale stabilire che, ai fini dell’aliquota IVA di cui al citato n. 127novies della Tabella A, parte III, “la prestazione di trasporto dei veicoli dei passeggeri è prestazione accessoria rispetto alla prestazione di trasporto di persone”.
Di conseguenza, verrebbe estesa l’applicazione dell’aliquota ridotta, considerato che, sulla base del principio
di cui all’art. 12 del DPR 633/72, ai fini dell’IVA la natura dell’operazione “principale” si estende all’operazione qualificabile come “accessoria”.
La disposizione prevista viene a dirimere il dubbio interpretativo in merito all’accessorietà delle prestazioni relative al trasporto di “auto al seguito” rispetto alle
semplici prestazioni di trasporto marittimo dei passeggeri (per le quali si può godere dell’aliquota IVA
ridotta).
La questione nasce principalmente dal fatto che il corrispettivo pattuito per il trasporto del veicolo è spesso
distinto (e di ammontare molto più elevato) rispetto a
quello per il trasporto dei passeggeri. Questo, naturalmente, presupponendo che le due prestazioni siano
svolte in dipendenza di un unico contratto.
La soluzione fissata dal legislatore è quella di attribuire natura accessoria alla prestazione di trasporto del
mezzo (rispetto alla prestazione “principale” di trasporto dei passeggeri). Diversamente, si sarebbe potuta sostenere la sussistenza di due operazioni (trasporto del
mezzo e trasporto dei passeggeri) aventi ciascuna carattere autonomo.
La scelta pare coerente con i postulati del principio di
accessorietà in materia di IVA, secondo cui, “una prestazione dev’essere considerata accessoria e non principale quando non costituisce per la clientela un fine a
sé stante, bensì il mezzo per fruire al meglio del servizio principale offerto dal prestatore” (ris. Agenzia delle
Entrate 1° agosto 2008 n. 337; circ. 29 luglio 2011 n. 37, §
3.1.4; nella giurisprudenza comunitaria, ex multis, sentenza Field Fisher Waterhouse, 27 settembre 2012, causa C-392/11).
Norma basata sul principio di accessorietà IVA
In tal senso, è chiaro che la prestazione di trasporto del
veicolo in assenza del passeggero risulti di per sé “inutilizzabile” e priva di carattere autonomo, salvo il caso
in cui la prestazione abbia ad oggetto il solo trasporto
del mezzo (ma, in tale ipotesi, si sarebbe in presenza di
una prestazione di “trasporto merci” e, dunque, al di
fuori della disciplina di cui trattasi).
Quindi, la norma di interpretazione autentica predisposta costituisce conferma del fatto che il principio di
accessorietà deve essere “letto” in senso qualitativo e
non strettamente monetario.
Laddove la finalità del servizio sia quella di trasportare i passeggeri a destinazione, non può non affermarsi
la natura accessoria della prestazione di trasporto delle autovetture al seguito (il passeggero intende portare
con sé il veicolo e non spedirlo in via separata).
Sebbene la norma proposta faccia generico riferimento alla “prestazione di trasporto dei veicoli dei passeggeri” quale prestazione accessoria al trasporto delle
persone, il principio non può estendersi al trasporto di
veicoli commerciali con autista. Per questa fattispecie,
difatti, ciò che è primario è il trasporto del veicolo e
della merce in esso contenuto, risultando invece “accessorio” il trasporto del conducente. In questa ipotesi,
tra l’altro, il viaggio dell’autista a bordo della nave è
meramente eventuale, ben potendo il veicolo commerciale viaggiare autonomamente, movimentato per
l’imbarco e lo sbarco dal personale di bordo.
Direttore Editoriale: Michela DAMASCO
EUTEKNE.INFO È UNA TESTATA REGISTRATA AL TRIBUNALE DI TORINO REG. N. 2/2010 DELL’8 FEBBRAIO 2010
Copyright 2016 © EUTEKNE SpA - Via San Pio V 27 - 10125 TORINO