30/7/2016 - studio ducoli

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Sabato, 30 luglio 2016
IL CASO DEL GIORNO
FISCO
Esenzione IVA per i
chiropratici, una
questione ancora
irrisolta
L’invio dei modelli 770 slitta al 15 settembre
/ Mirco GAZZERA
Dopo le anticipazioni dei giorni
scorsi (si veda “Modelli 770/2016, in
arrivo la proroga al 15 settembre” del
20 luglio), con la pubblicazione, sulla G.U. n. 176 di ieri, del DPCM 26 luglio 2016, è ufficiale il differimento
dal 22 agosto al 15 settembre del termine per la presentazione in via telematica dei modelli 770/2016.
Si ricorda prima di tutto che,
quest’anno, la scadenza slitta già
automaticamente al 22 agosto, dato
che il termine ordinario del 31 luglio,
cadendo di domenica, fa sì che si
possa beneficiare:
- di un primo differimento a lunedì
1° agosto;
- poiché dal 1° agosto si applica la
sospensione feriale, di un secondo
differimento al 20 agosto;
- poiché il 20 agosto cade di sabato,
dell’ulteriore differimento a lunedì
22 agosto.
Le categorie professionali, però, come gli scorsi anni, hanno richiesto
una proroga a fine settembre (si veda “I sindacati chiedono la proroga a
fine settembre per i modelli 770” del
L’art. 10 comma 1 n. 18 del DPR
633/72 prevede l’esenzione IVA per le
prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona
nell’ambito delle professioni mediche e di alcune attività paramediche.
La fattispecie di esenzione, finalizzata ad agevolare la tutela della salute,
riguarda l’attività delle professioni e
arti sanitarie soggette a vigilanza ex
art. 99 del RD 1265/34 (es. medici e
chirurghi, odontotecnici, ottici, ecc.)
e delle altre professioni individuate
dal Decreto interministeriale 17 maggio 2002 (es. biologi, psicologi, fisioterapisti, ecc.).
In nessuna delle fonti appena citate,
tuttavia, compaiono i chiropratici.
Quest’ultimi svolgono un’attività finalizzata alla cura e alla prevenzione dei disturbi muscoloscheletrici. In
molti Paesi europei la chiropratica è
una professione sanitaria regolamentata, anche se in campo medico
sono ancora dibattuti i benefici a essa attribuiti. L’art. 2 comma 355 della
L. 24 dicembre 2007 [...]
Pubblicato in Gazzetta il DPCM 26 luglio 2016, che ufficializza il differimento del
termine
/ Michela DAMASCO
16 luglio). La proroga vera e propria,
alla fine, è arrivata con apposito
DPCM, ma solo fino al 15 settembre, in
modo da non creare sovrapposizioni
con la scadenza del 30 settembre per
la presentazione delle dichiarazioni
dei redditi (modelli UNICO), dell’IVA e
dell’IRAP.
Lo slittamento per i modelli 770 ha
anche l’effetto di differire al 15 settembre il termine per provvedere,
qualora non ancora effettuato, all’invio telematico delle “Certificazioni
Uniche 2015”, relative al 2014, che non
contengono dati da utilizzare per la
dichiarazione precompilata, ad esempio quelle riguardanti i redditi di lavoro autonomo derivanti dall’esercizio
abituale di arti o professioni, le provvigioni e i corrispettivi erogati dal
condominio per contratti di appalto.
Analogamente agli scorsi anni, la proroga comporta anche un differimento
dei termini per il ravvedimento operoso, in quanto collegati al termine di
presentazione dei modelli 770/2016.
In particolare, se non viene rispettata
la nuova scadenza [...]
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IN EVIDENZA
IMPRESA
Trasmissione a largo raggio delle spese sanitarie per la
precompilata
IVS tradotti a disposizione per le valutazioni dei professionisti
Tariffe applicabili anche per le prestazioni professionali non
protette
ALTRE NOTIZIE
/ DA PAGINA 9
Soci “all’asciutto” se il
liquidatore cancella la
società
/ Maurizio MEOLI
Ove la società – in pendenza di una
causa per risarcimento di danni (in
ipotesi) derivanti da atti illeciti commessi nei suoi confronti – si cancelli
dal Registro delle [...]
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ancora
IL CASO DEL GIORNO
STUDIO DUCOLI
Esenzione IVA per i chiropratici, una questione
ancora irrisolta
L’assenza del decreto ministeriale attuativo crea una disparità di trattamento rispetto a figure affini
/ Mirco GAZZERA
L’art. 10 comma 1 n. 18 del DPR 633/72 prevede l’esenzione IVA per le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura
e riabilitazione rese alla persona nell’ambito delle professioni mediche e di alcune attività paramediche.
La fattispecie di esenzione, finalizzata ad agevolare la
tutela della salute, riguarda l’attività delle professioni e
arti sanitarie soggette a vigilanza ex art. 99 del RD
1265/34 (es. medici e chirurghi, odontotecnici, ottici,
ecc.) e delle altre professioni individuate dal Decreto
interministeriale 17 maggio 2002 (es. biologi, psicologi,
fisioterapisti, ecc.).
In nessuna delle fonti appena citate, tuttavia, compaiono i chiropratici. Quest’ultimi svolgono un’attività finalizzata alla cura e alla prevenzione dei disturbi muscoloscheletrici. In molti Paesi europei la chiropratica è
una professione sanitaria regolamentata, anche se in
campo medico sono ancora dibattuti i benefici a essa
attribuiti. L’art. 2 comma 355 della L. 24 dicembre 2007
n. 244 aveva previsto l’istituzione, presso il Ministero
della Salute, di un registro dei dottori in chiropratica
riconoscendo a quest’ultima la natura di professione
sanitaria di grado primario. La mancata emanazione
del regolamento ministeriale attuativo, tuttavia, ha reso sinora impossibile l’istituzione in Italia del registro.
Tale circostanza, come si esporrà fra poco, ha precluso
il riconoscimento dell’esenzione IVA all’attività svolta
dai chiropratici, creando una disparità di trattamento
rispetto a professioni che offrono trattamenti similari
(es. i fisioterapisti).
Ciò premesso, l’Amministrazione finanziaria in passato aveva affermato che le prestazioni di chiroterapia e
fisiokinesiterapia, precedute da visita medica, “rientrano tra quelle che hanno diretto rapporto con l’esercizio delle professioni sanitarie, per cui alle medesime
torna applicabile l’esenzione dell’I.V.A.” (R.M. n.
365337/79). Il Ministero, rispondendo all’interrogazione parlamentare n. 4-02838 del 16 aprile 1986, aveva
però precisato che l’esenzione era limitata ai trattamenti eseguiti da medici.
Questa interpretazione, tuttavia, pareva essere stata
superata dalla ris. n. 233/1997. In tale documento erano stati considerati esenti i trattamenti resi da una società titolare di un centro fisioterapico con direzione
tecnico-sanitaria affidata a un medico, senza menzionare la necessità che le prestazioni fossero “materialmente” eseguite da un medico. L’Agenzia delle Entrate,
da ultimo, ha escluso l’applicabilità dell’esenzione IVA
per i trattamenti chiropratici offerti da un soggetto in
Eutekne.Info / Sabato, 30 luglio 2016
possesso di laurea specifica ottenuta negli USA (ris.
Agenzia delle Entrate n. 197/2009).
La Corte di Cassazione ha costantemente adottato
un’interpretazione in linea con la prassi descritta sulla
base del principio “che la modifica normativa intervenuta nel 2007 non ha integrato gli elementi necessari
per inserire la professione del chiropratico fra quelle
sanitarie per le quali il legislatore ha inteso garantire il
diritto all’esenzione IVA (…)” (Cass. n. 22814/2014). I giudici di legittimità sembrano escludere anche l’interpretazione meno restrittiva che poteva emergere dalla
ris. 233/97. La Suprema Corte, ancora di recente, ha richiamato i principi della prassi nazionale, ritenendo
non ammissibile l’esenzione nella misura in cui “le
prestazioni di chiropratica fossero svolte in uno studio
professionale sotto la direzione di un medico ma non
direttamente da un medico (…)” (Cass. n. 11085/2016).
Il quadro nazionale appare eccessivamente rigido
rispetto al diritto dell’Ue
Il quadro nazionale, seppur consolidato, appare eccessivamente rigido rispetto al diritto dell’Ue. L’art. 132,
comma 1, lett. c) della Direttiva 2006/112/CE rimette
agli Stati membri la definizione delle professioni “mediche e paramediche” ai fini dell’esenzione. Secondo la
Corte di Giustizia, tuttavia, gli Stati membri non possono esercitare il potere discrezionale riconosciuto violando il principio di parità di trattamento e di neutralità fiscale.
Per questo motivo i giudici dell’Ue, in particolare nelle
cause riunite del 27 aprile 2006 C-443/04 e C-444/04,
hanno ritenuto non conforme al diritto comunitario la
normativa olandese che escludeva dall’esenzione IVA i
trattamenti di uno psicoterapeuta (professione all’epoca non riconosciuta in Olanda), a differenza di quelli
forniti da altre professioni mediche riconosciute, pur
dinanzi a prestazioni che potevano essere considerate
di qualità equivalente (in termini di qualifica professionale).
Il diritto comunitario, applicato alla situazione italiana
del chiropratico, sembra contrastare con l’interpretazione formalista nazionale. Dovrebbe essere riconosciuto al giudice, infatti, il potere di valutare in concreto l’effettiva equivalenza delle prestazioni e delle qualifiche del chiropratico, rispetto a professioni sanitarie
riconosciute (es. fisioterapista), al fine di poter estendere l’esenzione IVA anche ai chiropratici.
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FISCO
STUDIO DUCOLI
L’invio dei modelli 770 slitta al 15 settembre
Pubblicato in Gazzetta il DPCM 26 luglio 2016, che ufficializza il differimento del termine
/ Michela DAMASCO
Dopo le anticipazioni dei giorni scorsi (si veda “Modelli 770/2016, in arrivo la proroga al 15 settembre” del 20
luglio), con la pubblicazione, sulla G.U. n. 176 di ieri, del
DPCM 26 luglio 2016, è ufficiale il differimento dal 22
agosto al 15 settembre del termine per la presentazione in via telematica dei modelli 770/2016.
Si ricorda prima di tutto che, quest’anno, la scadenza
slitta già automaticamente al 22 agosto, dato che il termine ordinario del 31 luglio, cadendo di domenica, fa sì
che si possa beneficiare:
- di un primo differimento a lunedì 1° agosto;
- poiché dal 1° agosto si applica la sospensione feriale,
di un secondo differimento al 20 agosto;
- poiché il 20 agosto cade di sabato, dell’ulteriore differimento a lunedì 22 agosto.
Le categorie professionali, però, come gli scorsi anni,
hanno richiesto una proroga a fine settembre (si veda
“I sindacati chiedono la proroga a fine settembre per i
modelli 770” del 16 luglio). La proroga vera e propria, alla fine, è arrivata con apposito DPCM, ma solo fino al 15
settembre, in modo da non creare sovrapposizioni con
la scadenza del 30 settembre per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi (modelli UNICO), dell’IVA e
dell’IRAP.
Lo slittamento per i modelli 770 ha anche l’effetto di
differire al 15 settembre il termine per provvedere, qualora non ancora effettuato, all’invio telematico delle
“Certificazioni Uniche 2015”, relative al 2014, che non
contengono dati da utilizzare per la dichiarazione precompilata, ad esempio quelle riguardanti i redditi di lavoro autonomo derivanti dall’esercizio abituale di arti
o professioni, le provvigioni e i corrispettivi erogati dal
condominio per contratti di appalto.
Analogamente agli scorsi anni, la proroga comporta
anche un differimento dei termini per il ravvedimento
Eutekne.Info / Sabato, 30 luglio 2016
operoso, in quanto collegati al termine di presentazione dei modelli 770/2016.
In particolare, se non viene rispettata la nuova scadenza del 15 settembre 2016 per la presentazione dei modelli 770, la violazione potrà essere regolarizzata nei
successivi 90 giorni, ai sensi dell’art. 13 comma 1 lett. c)
del DLgs. 472/97, quindi entro il 14 dicembre 2016.
Slitta al 15 settembre 2016 anche il termine per regolarizzare, con la riduzione delle sanzioni a un ottavo del
minimo, ai sensi dell’art. 13 comma 1 lett. b) del DLgs.
472/97:
- l’infedele presentazione dei modelli 770/2015 Semplificato e Ordinario, relativi al 2014;
- l’omessa effettuazione, nel 2015, delle ritenute;
- l’omesso, insufficiente o tardivo versamento delle ritenute operate nel 2015.
Stessa scadenza per ravvedere le violazioni
commesse nel 2014
Ancora, per effetto delle novità introdotte dalla legge di
stabilità 2015 (L. 190/2014) entro il prossimo 15 settembre potranno essere ravvedute anche le violazioni
commesse:
- nell’anno 2014, con riduzione delle sanzioni a un settimo del minimo (art. 13 comma 1 lett. b-bis del DLgs.
472/97);
- nelle annualità antecedenti, con riduzione delle sanzioni a un sesto del minimo (art. 13 comma 1 lett. b-ter
del DLgs. 472/97).
Ai sensi del comma 1-ter dell’art. 13 del DLgs. 472/97,
infatti, per i tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate, il ravvedimento operoso viene precluso solo mediante la notifica degli atti di liquidazione e di accertamento, comprese le “comunicazioni bonarie”.
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FISCO
STUDIO DUCOLI
Trasmissione a largo raggio delle spese sanitarie per
la precompilata
Dall’anno d’imposta 2016 obbligate anche le strutture autorizzate per l’erogazione dei servizi sanitari
ma non accreditate
/ Massimo NEGRO
Con il provvedimento n. 123325 pubblicato ieri, l’Agenzia delle Entrate ha stabilito le nuove modalità tecniche di utilizzo dei dati delle spese sanitarie ai fini della elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata, a decorrere dall’anno d’imposta 2016.
Le nuove disposizioni, che sostituiscono quelle di cui
al provvedimento del 31 luglio 2015 n. 103408, recepiscono le novità introdotte dalla legge di stabilità 2016 e
dal DLgs. 158/2015, in relazione:
- ai soggetti obbligati all’invio dei dati delle spese sanitarie;
- al relativo regime sanzionatorio.
A partire dal periodo d’imposta 2015, l’art. 3 comma 3
del DLgs. 175/2014 ha infatti previsto l’obbligo di comunicazione al Sistema tessera sanitaria dei dati relativi
alle prestazioni sanitarie da parte:
- degli iscritti all’Albo dei Medici Chirurghi e degli
Odontoiatri;
- delle farmacie (pubbliche e private);
- delle aziende sanitarie locali;
- delle aziende ospedaliere;
- degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico;
- dei policlinici universitari;
- dei presidi di specialistica ambulatoriale;
- delle strutture per l’erogazione delle prestazioni di
assistenza protesica e di assistenza integrativa;
- degli altri presidi e strutture accreditati per l’erogazione dei servizi sanitari.
L’art. 1, comma 949, lett. a) della L. 208/2015 (legge di
stabilità 2016) ha modificato la suddetta disposizione,
estendendo l’obbligo in esame:
- alle strutture autorizzate per l’erogazione dei servizi
sanitari e non accreditate con il Servizio Sanitario Nazionale;
- a decorrere dalle prestazioni sanitarie erogate dal 1°
gennaio 2016.
Il provvedimento di ieri tiene quindi conto della nuova
platea di soggetti tenuti alla trasmissione dei dati sanitari, riproponendo sostanzialmente le medesime modalità di utilizzo dei dati previste dal provvedimento
dello scorso anno.
In particolare, al fine di tutelare la propria privacy, ciascun assistito può esercitare la propria opposizione a
rendere disponibili all’Agenzia delle Entrate i dati relativi alle spese sanitarie, per l’elaborazione della dichiarazione precompilata.
L’opposizione può essere manifestata:
- in caso di scontrino “parlante”, non comunicando al
soggetto che lo emette il codice fiscale riportato sulla
Eutekne.Info / Sabato, 30 luglio 2016
tessera sanitaria;
- negli altri casi, chiedendo verbalmente al medico o
alla struttura sanitaria di annotare l’opposizione sul
documento fiscale; l’informazione di tale opposizione
deve comunque essere conservata anche dal
medico/struttura sanitaria; in relazione alle prestazioni sanitarie erogate da parte delle strutture autorizzate ma non accreditate, l’opposizione in esame potrà essere esercitata in relazione alle spese sostenute dal
prossimo 27 settembre.
Inoltre, l’assistito può esercitare la propria opposizione:
- dal 1° ottobre dell’anno di riferimento al 31 gennaio
dell’anno successivo, in relazione ai dati aggregati relativi ad una o più tipologie di spesa, mediante una comunicazione all’Agenzia delle Entrate, compilando
l’apposito modulo approvato dal provvedimento in esame e analogo a quello dello scorso anno;
- dal 1° al 28 febbraio dell’anno successivo al periodo
d’imposta di riferimento, in relazione ad ogni singola
voce di spesa, accedendo all’area autenticata del sito
del Sistema tessera sanitaria tramite la tessera sanitaria TS-CNS oppure le credenziali Fisconline rilasciate
dall’Agenzia delle Entrate.
Sul fronte sanzionatorio, il comma 5-bis dell’art. 3 del
DLgs. 175/2014, inserito dall’art. 23 del DLgs. 158/2015,
stabilisce che in caso di omessa, tardiva o errata trasmissione dei dati, si applica una sanzione di 100 euro
per ogni comunicazione:
- senza possibilità, in caso di violazioni plurime, di applicare il “cumulo giuridico” ex art. 12 del DLgs. 472/97;
- con un massimo però di 50.000 euro.
Nei casi di errata comunicazione dei dati, la sanzione
non si applica se la trasmissione dei dati corretti è effettuata:
- entro i 5 giorni successivi alla scadenza;
- ovvero, in caso di segnalazione da parte dell’Agenzia
delle Entrate, entro i 5 giorni successivi alla segnalazione stessa.
Se la comunicazione è correttamente trasmessa entro
60 giorni dalla scadenza, la sanzione è invece ridotta a
un terzo, con un massimo di 20.000 euro.
Regime sanzionatorio più “lieve” per il primo anno
Per effetto del nuovo comma 5-ter dell’art. 3 del DLgs.
175/2014, inserito dall’art. 1, comma 949, lett. e) della L.
208/2015, per le trasmissioni effettuate nel primo anno
di applicazione dell’obbligo, non si fa luogo all’applicazione delle suddette sanzioni in caso:
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ancora
STUDIO DUCOLI
- di “lieve tardività” nella trasmissione dei dati;
- oppure di errata trasmissione degli stessi, “se l’errore
non determina un’indebita fruizione di detrazioni o deduzioni nella dichiarazione precompilata”.
Quest’ultima disposizione è quindi applicabile alle
strutture sanitarie autorizzate ma non accreditate, in
relazione alle trasmissioni relative al 2016.
Considerato il differente regime sanzionatorio, il prov-
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vedimento di ieri prevede che:
- il Sistema tessera sanitaria registra in archivi distinti e separati i dati relativi alle spese sanitarie, per le
successive finalità di controllo relative alla corretta e
tempestiva trasmissione;
- i dati registrati sono conservati fino a quando non
siano decorsi i termini, previsti dall’art. 20 del DLgs.
472/97, per l’irrogazione delle sanzioni.
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ancora
IMPRESA
STUDIO DUCOLI
Soci “all’asciutto” se il liquidatore cancella la società
La cancellazione in pendenza di un giudizio risarcitorio fa presumere la rinuncia all’eventuale credito
/ Maurizio MEOLI
Ove la società – in pendenza di una causa per risarcimento di danni (in ipotesi) derivanti da atti illeciti
commessi nei suoi confronti – si cancelli dal Registro
delle imprese, si presume che abbia tacitamente rinunciato alla pretesa del relativo credito, ancora incerto ed illiquido. Con la conseguenza che in capo ai soci
non si verifica alcun fenomeno successorio ed essi,
quindi, non sono legittimati ad impugnare la decisione di merito che rigetta la pretesa e l’eventuale ricorso
per Cassazione è inammissibile.
A precisarlo è la Cassazione nella sentenza n. 15782,
depositata ieri.
Nel caso di specie, una srl, nel corso del 2009, agiva in
giudizio nei confronti di una banca per ottenere il risarcimento dei danni che riteneva di aver subito quale
conseguenza delle condotte illecite di un suo dipendente. La pretesa veniva rigettata dal Tribunale e contro questa decisione veniva presentato appello.
In pendenza del secondo grado di giudizio, però, si
chiudeva la procedura di liquidazione della srl. Il liquidatore, infatti, approvato il bilancio finale di liquidazione il 24 luglio 2012, cancellava la srl dal Registro delle
imprese dopo che si era tenuta l’udienza di discussione (l’11 luglio 2012), ma prima della pubblicazione della
sentenza (il 28 gennaio 2013) che confermava il rigetto
della pretesa. Avverso tale decisione presentavano ricorso per Cassazione i soci della srl ormai estinta.
La Suprema Corte sottolinea come l’ammissibilità di
tale ricorso sia questione pregiudiziale, e da esaminare d’ufficio, stante l’intervenuta cancellazione della srl
già prima della decisione d’appello.
Si ricorda, quindi, come le Sezioni Unite della Cassazione, nelle sentenze nn. 6070, 6071 e 6072 del 2013, abbiano stabilito che quando l’estinzione di una società,
conseguente alla sua cancellazione dal Registro delle
imprese, abbia luogo nonostante la sussistenza di rapporti giuridici, facenti capo alla medesima, ancora non
definiti perché “trascurati” nella fase liquidatoria (c.d.
“residui non liquidati”) ovvero “scoperti” soltanto dopo
la chiusura di tale fase (c.d. “sopravvenienze”), si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del
quale si trasferiscono ai soci: sia le obbligazioni sociali, delle quali gli stessi rispondono nei limiti di quanto
riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente,
a seconda che, pendente societate, fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; sia i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione
della società estinta, con la costituzione, stante il mancato riparto durante la liquidazione, di un regime di
contitolarità o di comunione indivisa.
Un discorso diverso vale, invece, per le mere pretese,
ancorché azionate o azionabili in giudizio, e per i diritEutekne.Info / Sabato, 30 luglio 2016
ti di credito ancora incerti o illiquidi, in quanto la scelta del liquidatore di procedere alla cancellazione della
società senza compiere l’ulteriore attività (giudiziale o
extragiudiziale) che sarebbe stata necessaria per “trasformare” le pretese in diritti, nonché per far accertare
un credito o renderlo liquido, può essere ragionevolmente interpretata come una rinuncia.
Successivamente si è specificato che l’estinzione di
una società conseguente alla sua cancellazione dal Registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di
un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso,
non determina il trasferimento della corrispondente
azione in capo ai soci.
Atteso che dal fenomeno di tipo successorio derivante
dalla suddetta vicenda – riguardante gli eventuali rapporti giuridici (afferenti le obbligazioni ancora inadempiute, oppure i beni o i diritti non compresi nel bilancio finale di liquidazione) non venuti meno a causa di
quest’ultima – esulano le mere pretese, benché azionate in giudizio, e i diritti ancora incerti o illiquidi che necessitano dell’accertamento giudiziale non concluso; e
il mancato espletamento di esso da parte del liquidatore consente di dire che la società vi abbia implicitamente rinunziato, con conseguente cessazione della
materia del contendere ( cfr. Cass. nn. 4389/2016,
25974/2015, nonché Cass. SS.UU. n. 11344/2013).
La Suprema Corte sottolinea ora come, nel caso di specie, ci si trovava proprio in presenza di un diritto di
credito ancora incerto o illiquido e, rispetto ad esso, i
soci che ricorrevano avverso la sentenza di rigetto nulla specificavano per superare la presunzione di rinuncia che consegue all’estinzione della società prima
dell’accertamento del credito stesso.
In linea di continuità con i ricordati orientamenti,
quindi, è sottolineato come la società che, parte attrice
di un giudizio risarcitorio, volontariamente si cancelli
dal Registro delle imprese, in pendenza del giudizio,
quando l’accertamento giudiziale non si è concluso, si
presume che abbia tacitamente rinunciato alla pretesa del credito, ancora incerto e illiquido, per la cui determinazione il liquidatore non si sia attivato, preferendo concludere il procedimento estintivo della società.
La presunzione di rinuncia comporta che non si viene
a determinare alcun fenomeno successorio in capo ai
soci e che, pertanto, essi, non succeduti nella pretesa,
non sono legittimati ad impugnare la sentenza d’appello che rigetti la stessa. E, di riflesso, il ricorso per
Cassazione – proposto in qualità di aventi causa e soci della società estinta per essere stata cancellata dal
Registro delle imprese – è inammissibile.
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ancora
PROFESSIONI
STUDIO DUCOLI
IVS tradotti a disposizione per le valutazioni dei
professionisti
Con i Principi internazionali di valutazione si rende più trasparente il percorso di determinazione del
valore
/ Stefano DE ROSA
È stata pubblicata ieri dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili (CNDCEC)
e il Consiglio nazionale geometri e geometri laureati
(CNGeGL), e resa disponibile sui rispettivi siti, la versione definitiva delle traduzioni in lingua italiana degli International Valuation Standards (IVS), nella versione in cui questi sono stati emanati nel 2013 dall’International Valutation Standards Council (IVSC).
Nel presentare il documento, i presidenti dei due Consigli nazionali, Gerardo Longobardi e Maurizio Savoncelli, evidenziano come gli IVS abbiano rappresentato
anche la base di ispirazione per lo sviluppo dei Principi italiani di valutazione dell’Organismo Italiano di Valutazione (i PIV).
Obiettivo primario del testo è quello di fornire un utile
strumento operativo per i professionisti, nell’ottica di
verificare gli orientamenti esistenti a livello internazionale, anche alla luce di una potenziale comparazione con le pertinenti previsioni nazionali e di facilitarli
nel produrre stime autorevoli e credibili per i committenti e per gli utilizzatori di riferimento. Viene peraltro
precisato come gli IVS siano documenti articolati su
principi di carattere generale e, pertanto, senza un livello di dettaglio operativo calibrato sulle realtà giuridiche o economiche locali. La loro adozione è in tal
modo facilitata, in quanto non vi sono elementi che
possono contrastare con le specificità delle normative
locali.
Tramite gli IVS si vuole accrescere il livello di fiducia
degli utilizzatori dei servizi di valutazione mediante
procedure trasparenti e uniformi. Ognuno di tali principi si propone, infatti, di realizzare almeno una delle
seguenti finalità:
- identificare o elaborare principi e definizioni accetta-
Eutekne.Info / Sabato, 30 luglio 2016
ti a livello globale;
- definire e statuire procedure comuni per lo svolgimento di incarichi di valutazione e per la predisposizione delle relative relazioni;
- identificare specifici aspetti che occorre considerare
e criteri comunemente usati in sede di valutazione
delle diverse tipologie di attività o passività;
- identificare i processi di valutazione appropriati per
le principali finalità per le quali le valutazioni sono richieste.
Una sezione è dedicata alle applicazioni particolari
Il volume è composto da quattro sezioni, dedicate, rispettivamente, alle seguenti tematiche:
- il “quadro concettuale di riferimento”, in cui sono sostanziati i concetti e le regole di carattere generale;
- gli elementi generali inerenti l’espletamento dell’incarico, quali la definizione dell’oggetto, lo svolgimento
e il reporting;
- le problematiche tecniche relative alle stime di specifiche attività e passività (quali aziende e interessenze
partecipative, attività immateriali, impianti e macchinari, investimenti immobiliari in costruzione, strumenti finanziari);
- applicazioni particolari, come le valutazioni ai fini
dell’informativa finanziaria e le valutazioni degli immobili a garanzia delle esposizioni creditizie.
Viene inoltre evidenziato come in sede di traduzione
dai principi in lingua originale si sia cercato di rendere il testo fruibile anche a chi non ha particolare esperienza in ambito valutativo. A tal proposito, si segnala
che nel documento è stata inserita la traduzione delle
definizioni dei principali termini utilizzati dai Principi.
/ 07
ancora
PROFESSIONI
STUDIO DUCOLI
Tariffe applicabili anche per le prestazioni
professionali non protette
In mancanza di accordo delle parti, il giudice non è vincolato da direttive o parametri
/ Roberta VITALE
Il giudice può, in mancanza di accordo tra le parti, determinare il compenso dovuto per prestazioni professionali “non protette” assumendo come parametro di
riferimento le tariffe professionali. È quanto stabilito
dalla Corte di Cassazione, nella ordinanza n.
15805/2016, depositata ieri.
Nel caso di specie, un soggetto agiva in giudizio con
decreto ingiuntivo per il pagamento di una somma a
titolo di compenso per la predisposizione di una relazione di consulenza utilizzata, poi, nell’ambito di una
controversia di lavoro. All’atto del conferimento
dell’incarico il ricorrente non risultava iscritto all’albo
dei dottori commercialisti.
Contro l’ingiunzione disposta, proponevano opposizione i due soggetti che avevano conferito l’incarico, ottenendo dal tribunale la revoca dell’ingiunzione e la condanna di uno dei due opponenti ad una somma più ridotta rispetto a quella originariamente ingiunta, determinata sulla base delle tariffe professionali dei dottori
commercialisti (all’epoca vigenti).
L’appello, proposto solo da parte di uno dei due soggetti che avevano conferito l’incarico, veniva rigettato –
insieme all’appello incidentale presentato dal professionista – evidenziando, in particolare, che per il mancato riscontro dell’esistenza di usi nella materia in oggetto, correttamente il tribunale aveva applicato la tariffa professionale dei dottori commercialisti, anche in
difetto dell’iscrizione del soggetto al relativo albo
all’epoca del conferimento dell’incarico.
Presentava così ricorso davanti la Corte di Cassazione
il soggetto appellante, sostenendo l’errata applicazione delle tariffe professionali ad un soggetto non iscritto all’albo. Invocava il ricorrente l’applicazione da parte del giudice, non dell’art. 2233 c.c., in quanto norma
riservata ai soggetti iscritti all’albo, ma dell’art. 2225
c.c., rispetto al risultato ottenuto e alla quantità e qualità del lavoro normalmente necessario per ottenerlo.
Il ricorso è stato rigettato dalla Corte di Cassazione con
l’ordinanza in commento sulla base delle seguenti ar-
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gomentazioni.
In primo luogo, riprendendo quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, nel contratto di prestazione d’opera la pattuizione del prezzo non è elemento necessario ai fini della validità del contratto, non
essendo prescritto a pena di nullità e potendo, dunque,
mancare.
In particolare, in tema di lavoro autonomo, compreso il
lavoro autonomo “parasubordinato”, ai sensi dell’art.
2225 c.c., il corrispettivo, qualora non possa essere determinato secondo le tariffe professionali o gli usi, è
stabilito dal giudice con riferimento a due parametri: il
“risultato ottenuto” e il “lavoro normalmente necessario per ottenerlo” (cfr. Cass. 1° settembre 2004 n. 17564).
Compenso rispetto al risultato ottenuto
In secondo luogo, in sede di determinazione del corrispettivo, sempre se manca l’accordo delle parti in merito, il giudice può far riferimento al regime di subordinazione, richiamando le retribuzioni normalmente pagate per le corrispondenti prestazioni svolte.
Il giudice, infatti, tenuto comunque conto della peculiarità delle fattispecie, non è vincolato a determinate
direttive o parametri, né deve disporre una consulenza tecnica.
Sulla base dei principi sopra esposti, allora – precisa la
Corte di Cassazione nella ordinanza in commento – il
giudice ben potrà determinare il corrispettivo dovuto
per prestazioni professionali “non protette” (per prestazioni cioè rese senza obbligo di iscrizione negli appositi albi o elenchi) facendo riferimento anche alle
“tariffe dettate per le analoghe ovvero per le più o meno corrispondenti prestazioni professionali «protette»”.
Ciò sulla base non dell’art. 2233 c.c. – come erroneamente richiamato dalla corte di merito – ma appunto
dell’art. 2225 c.c., disposizione relativa in generale al
contratto d’opera.
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ancora
PROFESSIONI
STUDIO DUCOLI
Si allarga il fronte del “no” alle Casse professionali
nel fondo Atlante 2
Dopo ADC e ANC, anche l’Unione giovani si dice contraria all’ingresso dei capitali degli enti
previdenziali di categoria nel fondo salva banche
/ Savino GALLO
Le voci contrarie ad un coinvolgimento delle Casse
previdenziali di categoria in Atlante 2, fondo promosso dal Governo per l’acquisizione e la gestione delle
sofferenze delle banche italiane, sono ormai divenute
un coro. Ai pareri negativi forniti dalle associazioni
ADC e ANC e da diversi lettori di Eutekne.info (si veda,
da ultimo, “Mi ricorderò del fondo Atlante 2 quando
non andrò a votare per la mia Cassa”) si è, infatti, aggiunto anche quello dell’Unione nazionale giovani
commercialisti.
Con un comunicato cofirmato dall’ASIGN (Associazione italiana giovani notai), diramato ieri, il sindacato
guidato da Fazio Segantini ha condannato “con fermezza e decisione” l’iniziativa governativa volta a ottenere la partecipazione degli Enti di previdenza dei professionisti al fondo Atlante 2.
“Pur apprezzando – si legge nella nota stampa – il riconoscimento dei professionisti quali pilastri del Paese, auspichiamo che detto ruolo sia valorizzato
nell’ambito delle proprie specifiche competenze ed attribuzioni, nella convinzione di poter contribuire solo
in tal modo alla crescita del sistema Italia, e non attraverso forme elaborate di esproprio patrimoniale, seppur edulcorate con promesse di future concessioni
normative e/o regolamentari”.
Parole simili, come detto, a quelle dell’ADC (Associazione dottori commercialisti), la quale, nei giorni scorsi, ha sottolineato che “le Casse di previdenza non sono mucche da mungere” e che il futuro previdenziale
dei professionisti “non può essere messo in pericolo in
alcun modo”, tantomeno per “fungere da stampella ad
operazioni di salvataggio di pezzi del sistema bancario italiano”.
Eutekne.Info / Sabato, 30 luglio 2016
L’ANC (Associazione nazionale commercialisti), dal
canto suo, ha ricordato che i riconoscimenti richiesti
da tempo dalle Casse dei professionisti (eliminazione
dall’elenco ISTAT delle pubbliche amministrazioni, riduzione della tassazione sulle rendite finanziarie e
maggiore autonomia decisionale) “non possono diventare merce di scambio”, specie a fronte di operazioni il
cui “esito rimane incerto”.
Insomma, giudizi unanimemente negativi, arrivati a
seguito della delibera adottata dall’assemblea
dell’AdEPP lo scorso lunedì, con cui è stata autorizzata
la partecipazione al fondo (per un totale di circa 500
milioni, suddivisi tra tutte le Casse in base al loro patrimonio).
Si tratta, però, di un assenso preliminare, a cui dovrà
seguire la fase di approfondimento tecnico. Solo dopo
si arriverà alla decisione finale sull’ingresso nel fondo,
che sarà assunta in autonomia dai CdA dei singoli enti di previdenza.
Le due Casse di categoria, come hanno spiegato i due
rispettivi Presidenti, Renzo Guffanti (CNPADC) e Luigi
Pagliuca (CNPR), non hanno ancora sciolto le riserve
in merito alla loro partecipazione (si veda “Casse di categoria, ancora incertezza sulla partecipazione al fondo Atlante 2” del 27 luglio). La Cassa Dottori attende di
leggere il dossier, che proprio in questi giorni è in distribuzione ai potenziali sottoscrittori, mentre quella
Ragionieri deve fare i conti con la propria crisi di liquidità e con l’eventuale impossibilità tecnica di partecipare all’operazione.
Tutte valutazioni che verranno fatte nelle prossime
settimane e che potrebbero essere influenzate da un
fronte del “no” che va allargandosi ogni giorno di più.
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ancora
LAVORO & PREVIDENZA
STUDIO DUCOLI
Va iscritto alla Gestione commercianti
l’amministratore dominus dell’azienda
Per la Cassazione, l’obbligo scatta se viene svolta nell’impresa un’attività lavorativa con carattere di
abitualità e prevalenza
/ Luca MAMONE
Scatta l’obbligo di iscrizione alla Gestione commercianti dell’INPS per un libero professionista che, oltre a
rivestire il ruolo di amministratore in una società, risulta esserne il vero “dominus”, svolgendo nella stessa
un’attività lavorativa con carattere di generale abitualità e prevalenza.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la recente
sentenza n. 15327/2016, confermando la decisione
d’appello con la quale era stato accertato l’obbligo di
iscrizione alla Gestione commercianti per un architetto che, pur risultando amministratore di una società,
svolgeva in modo prevalente l’attività professionale
propria dell’impresa, ossia quella commerciale.
La vicenda trae origine da un accertamento dell’INPS,
in seguito al quale era stata emessa una cartella esattoriale nei confronti di un libero professionista per
mancata iscrizione alla Gestione speciale commercianti e conseguente mancato pagamento dei contributi relativi al biennio 2004-2005.
Nell’opposizione proposta in sede di merito, il professionista aveva sostenuto la mancanza di requisiti per
l’iscrizione alla predetta gestione speciale dell’INPS, in
quanto ricopriva la carica di amministratore delegato
della società e svolgeva nella stessa solamente compiti sociali con esclusione di ogni attività lavorativa, con
conseguente unico obbligo di iscrizione alla Gestione
separata ex L. 335/95.
Nel riformare la sentenza di primo grado, la Corte
d’Appello aveva invece respinto le tesi difensive del
professionista, in quanto risultavano sussistere i requisiti ex art. 1 commi 203 e 208 della L. 662/96 in base ai
quali scatta l’obbligo di iscrizione alla Gestione commercianti. In particolare, dall’esame della documentazione reperita nonché sulla base delle testimonianze
del personale raccolte in azienda, si evinceva una partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e in modo prevalente.
In sede di Cassazione, si ricorda come alla luce di
un’interpretazione autentica ex art. 12 comma 11 del DL
78/2010, il criterio dell’attività prevalente non trovi applicazione con riferimento ai soggetti già iscritti alla
Gestione separata ex art. 2 comma 26 della L. 335/95,
come nel caso dell’amministratore di società, ossia la
carica (formalmente) ricoperta dallo stesso ricorrente.
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In altri termini, per queste attività non opererebbe il
criterio (ex art. 1, comma 208 della L. 662/96) “semplificante” e derogatorio, dell’unificazione della posizione
previdenziale in un’unica gestione relativa all’attività
prevalente.
Nel rigettare il ricorso e confermare la correttezza della decisione d’appello, i giudici di legittimità osservano che la regola espressa dal quadro giuridico appena
prospettato è quella per cui il concorso di attività di lavoro autonomo (come l’amministratore di società),
soggetta ad iscrizione presso la Gestione separata, e
quella di socio lavoratore della società stessa, comporta l’obbligo della duplice iscrizione, ai sensi del quale
ogni attività segue il suo regime previdenziale.
Con riferimento al caso in esame, la Suprema Corte
sottolinea che i giudici d’appello – in seguito ad un accertamento congruo ed esaustivo – hanno ritenuto
certo il coinvolgimento diretto nel lavoro aziendale del
ricorrente. In particolare, dalle testimonianze rese anche in sede ispettiva, nonché dalla documentazione
acquisita, la Corte d’Appello ha espresso un giudizio di
univoco svolgimento di vera e propria attività commerciale, a latere di quella di amministratore.
Anzi, l’architetto risultava sostanzialmente essere il
vero dominus dell’impresa, provvedendo, data la sua
qualificazione professionale, sia alla gestione dei
clienti più importanti e alla progettazione degli impianti nel contesto di un’azienda che progetta, realizza
e vende impianti di illuminazione, e che tale attività
non era riconducibile a quella di amministratore
dell’azienda quanto piuttosto all’esercizio del commercio.
Per la Cassazione si è pertanto in presenza di un giudizio di prevalenza e abitualità dell’attività di lavoro corretto ed esaustivo, che investe con completezza tutti
gli elementi che, a norma dell’art. 1 comma 203 della L.
662/96 devono sussistere perché sorga l’obbligo di
iscrizione alla gestione commercianti, ivi compresa la
gestione e l’organizzazione della società con il lavoro
prevalentemente proprio.
Alla luce di tali deduzioni, i giudici di legittimità decidono dunque per il rigetto del ricorso e la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.
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LETTERE
STUDIO DUCOLI
Sulle elezioni CNDCEC la paura è che si faccia di tutto
perché nulla cambi
Spettabile Redazione,
è oramai notizia del 6 luglio che, salvo possibili proroghe, si voterà il 3 e 4 novembre per l’elezione dei Consigli territoriali dei dottori commercialisti ed esperti
contabili e il 1° dicembre per il rinnovo del CNDCEC.
Da troppo tempo si avverte la distanza tra la base e i
vertici di categoria, anche a causa dell’impossibilità di
un’elezione diretta (essa è infatti delegata ai soli consiglieri territoriali). Chi sarà eletto ai vertici della rappresentanza istituzionale nazionale dovrebbe avere il dovere di confrontarsi democraticamente con la base degli iscritti sui temi di maggiore rilevanza, perché chi
sta in “trincea” è portatore di problemi reali e anche di
soluzioni apprezzabili.
I giovani si stanno allontanando dall’albo. D’altro canto è innegabile che il legislatore e soprattutto le Agenzie fiscali, con il sostanziale silenzio del Consiglio nazionale, spesso vedono la categoria dei commercialisti
solo come il capro espiatorio delle proprie inefficienze.
Nessun riconoscimento economico o almeno di merito, poi, è stato riservato agli oltre 110.000 commercialisti che, con grande abnegazione, in una continua corsa contro il tempo, stanno riempiendo i database
dell’Agenzia delle Entrate con cui vengono messe a disposizione le dichiarazioni dei redditi precompilate.
Perché, se l’Agenzia assieme a SOGEI ha creato il software, sono invece i commercialisti che stanno inserendo dati e informazioni di tutti i contribuenti mettendo a disposizione le proprie strutture, il proprio lavoro e i propri dipendenti.
Per la presidenza del CNDCEC hanno formalizzato la
propria candidatura i colleghi Massimo Miani e Giorgio Sganga.
Ma chi sono questi colleghi? Li conosciamo? Se, forse,
non hanno fatto molto parlare di sé in termini di proposte, non si può dire però che siano nomi nuovi. Massimo Miani, con studio a Mestre Venezia, è attuale
consigliere nazionale (ma lo era anche nelle precedenti tornate) e già nel 2013 presentò con Raffaele Marcello (e Claudio Siciliotti) la “sua” lista in seguito a un
mancato accordo con Gerardo Longobardi su una lista
unica (lista unica?). Giorgio Sganga è attuale presidente della Fondazione Nazionale Commercialisti, il cui
partner istituzionale è proprio il CNDCEC, nonché già
segretario del Consiglio guidato da Claudio Siciliotti e
più volte consigliere nazionale.
Se pressoché sconosciuti alla base degli iscritti, quindi,
Miani e Sganga fanno entrambi parte da molti anni
della dirigenza del Consiglio nazionale. Quanto gli attuali candidati sono stati attori e partecipi di quel “risiko” di potere autoreferenziale che nel 2012 naufragò
nell’onta del commissariamento? Quali sono state, in
tutti questi anni di presenza in Piazza della Repubblica, la loro attività e le loro reazioni alla progressiva
perdita di autorevolezza della categoria? La centralità
del ruolo del commercialista è ormai ignorata e a pagarne le conseguenze sono soprattutto i contribuenti.
In che modo gli attuali candidati alla presidenza intendono avviare quel drastico cambio di rotta di cui la categoria ha urgente necessità? Dove sono le proposte e i
programmi? Dov’è il coinvolgimento degli iscritti?
Quale è il loro grado di conoscenza delle problematiche più sentite dai commercialisti e di conseguenza la
loro capacità di rappresentarli? Non si vede innovazione all’orizzonte e la paura che nulla cambi è forte!
È sempre più forte la sensazione che l’elezione del CNDCEC, tra possibili liste uniche, mancanza di programmi e di confronti pubblici con la base, sia organizzata
esclusivamente nelle stanze chiuse e buie dei palazzi,
anziché essere il frutto di un processo democratico.
Ma cosa chiedono i commercialisti al futuro presidente? Hanno bisogno di un presidente autorevole capace
non solo di dire, ma di farsi realmente ascoltare e di
incidere sulle proposte del legislatore e sulle decisioni
di Ministeri e Agenzie fiscali. Un presidente capace di
riconsegnare alla categoria l’autorevolezza e il rispetto che merita. Un presidente capace di alzare la voce a
difesa dei contribuenti, quando il massimo dirigente
dell’Agenzia delle Entrate “minaccia” di far conoscere
il lato oscuro del Fisco. Un presidente capace di sottoporre (e far approvare) al legislatore e al Governo proposte e spunti per leggi e provvedimenti utili alla semplificazione fiscale, alla tutela dei contribuenti onesti,
alla tutela della categoria contro l’abusivismo.
Quella dei commercialisti è l’unica categoria con riserve di legge pressoché inesistenti a danno non loro, ma
dei contribuenti assistiti da consulenti fiscali improvvisati (con buona pace dell’Agenzia che eroga sanzioni e accertamenti alle aziende mal assistite).
I commercialisti, concludendo, meritano molto di più e
molto di meglio di quanto hanno ricevuto sinora. Attendendo di leggere un programma concreto dagli attuali candidati, e in assenza del diritto di voto diretto,
non possiamo fare altro che osservare gli eventi, tenendoci pronti a intraprendere ogni azione possibile a
tutela della base della categoria e dei contribuenti nostri assistiti. La paura è che venga fatto di tutto affinché nulla cambi.
Tommaso Bongermino
Delegato Regionale per la Puglia Sindacato Italiano
Commercialisti
Direttore Editoriale: Michela DAMASCO
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