25/7/2016 - studio ducoli

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Lunedì, 25 luglio 2016
IL CASO DEL GIORNO
FISCO
Simulazione
fraudolenta da
valutare rispetto al
patrimonio del
contribuente
Sospensione feriale dubbia per la domanda di
adesione
/ Maria Francesca ARTUSI
Dal 1° al 31 agosto, anche nel processo tributario rimangono sospesi i
termini processuali (si veda “Sospensione feriale in arrivo anche
per i ricorsi tributari” del 18 luglio
2016), e lo stesso dicasi per i termini
di versamento di somme intimate
con accertamenti esecutivi (si veda
“Anche il termine per pagare gli accertamenti esecutivi va in ferie” del
19 luglio 2016).
Rimane da analizzare la questione
che, allo stato attuale, risulta essere
la più spinosa del tema, ovvero la
possibilità di cumulare la sospensione feriale dei termini processuali con la domanda di accertamento
con adesione (che, ai sensi degli
artt. 6 e 12 del DLgs. 218/97, non sospende per 90 giorni solo i termini
di pagamento delle somme intimate, ma altresì il termine per il ricorso).
Sia l’anno scorso (si veda “La sospensione da adesione non si cumula con quella feriale” del 26 giugno
2015) che quest’anno (si veda “Cu-
La Cassazione ritiene che i due termini non siano cumulabili, ma l’opinione
prevalente è in senso opposto
/ Alfio CISSELLO
In relazione al delitto di sottrazione
fraudolenta al pagamento delle imposte, può essere interessante tornare, da un lato, sulla definizione di
“alienazione simulata” e sull’ambito
di operatività del dolo specifico che
la accompagna; d’altro lato, evidenziare la necessità dell’accertamento
della concreta messa in pericolo della pretesa erariale.
L’art. 11 comma 1 del DLgs. 74/2000
prevede la responsabilità penale di
chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o
sanzioni amministrative relativi a
dette imposte di ammontare complessivo superiore a 50.000 euro,
aliena simulatamente o compie altri
atti fraudolenti sui propri o su altrui
beni idonei a rendere in tutto o in
parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Si tratta di un reato di pericolo, rispetto al quale la [...]
mulo tra sospensione feriale e domanda di adesione di nuovo negato”
del 4 luglio 2016), la Corte di Cassazione ha espressamente sancito che la
sospensione dei termini processuali
non si cumula con termini caratterizzanti eventuali fasi amministrative
antecedenti il contenzioso, quale è
l’accertamento con adesione. In altre
parole, non c’è il cumulo delle due sospensioni.
Si tratta di un’interpretazione criticata da più parti, non a caso è stata oggetto dell’interrogazione parlamentare 9 luglio 2015 n. 5-06008, ove il Ministero dell’Economia e delle finanze
ha, senza mezzi termini, optato per il
cumulo delle sospensioni.
Del resto, così si è sempre espressa
l’Amministrazione finanziaria, si veda la circolare n. 65 del 2001.
Va detto che recente giurisprudenza
di merito ha confermato la presa di
posizione ufficiale, ammettendo il cumulo (si tratta delle sentenze n.
4763/2016 della Provinciale di Milano
e n. 1766 della [...]
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IN EVIDENZA
FISCO
Per il bonus
ristrutturazione conta la
qualificazione del tecnico
L’ASD che fa versare quote a parte non perde per forza le
agevolazioni
Interessi passivi inerenti per le LBO immobiliari
/ Stefano SPINA
Beni extra Ue in ammissione temporanea fino a dieci anni
ALTRE NOTIZIE
/ DA PAGINA 9
La detrazione delle spese per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio spetta, in riferimento alle singole
unità immobiliari residenziali, per gli
interventi di [...]
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ancora
IL CASO DEL GIORNO
STUDIO DUCOLI
Simulazione fraudolenta da valutare rispetto al
patrimonio del contribuente
L’accertamento dovrà vertere anche sull’idoneità dell’atto negoziale a rendere inefficace l’attività
recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria
/ Maria Francesca ARTUSI
In relazione al delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, può essere interessante tornare, da un lato, sulla definizione di “alienazione simulata” e sull’ambito di operatività del dolo specifico che la
accompagna; d’altro lato, evidenziare la necessità
dell’accertamento della concreta messa in pericolo
della pretesa erariale.
L’art. 11 comma 1 del DLgs. 74/2000 prevede la responsabilità penale di chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a
dette imposte di ammontare complessivo superiore a
50.000 euro, aliena simulatamente o compie altri atti
fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere
in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Si tratta di un reato di pericolo, rispetto al quale la condotta penalmente rilevante può essere costituita da
qualsiasi atto o fatto fraudolento intenzionalmente
volto a ridurre la capacità patrimoniale del contribuente stesso, riduzione da ritenersi, con un giudizio ex ante, idonea sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, a vanificare in tutto od in parte, o comunque
rendere più difficile, una eventuale procedura esecutiva.
L’oggetto giuridico del reato in esame non è, infatti, il
diritto di credito del fisco, bensì la garanzia generica
data dai beni dell’obbligato, cosicché esso può configurarsi anche qualora, dopo il compimento degli atti
fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell’imposta e dei relativi accessori.
Per “alienazione simulata” deve intendersi, allora, ogni
trasferimento del diritto di proprietà di un bene, sia a
titolo oneroso che a titolo gratuito. Deve trattarsi, cioè,
di un atto simulato, caratterizzato da un contrasto tra
la dichiarazione e l’effettiva intenzione di chi fa la dichiarazione.
Inoltre, il generico richiamo ad altri atti, la cui connotazione comune è data dal loro carattere fraudolento,
va letto come riferito ad un comportamento che, sebbene formalmente lecito, sia però caratterizzato da
una componente di artificio o di inganno.
In tal senso si è ritenuto configurato il reato in esame
in diverse ipotesi quali: la cessione simulata dell’avviamento commerciale (Cass. n. 37389/2013), la cessione
di immobili e quote sociali alla convivente (Cass. n.
39079/2013), il caso di una pluralità di trasferimenti
immobiliari (Cass. n. 19524/2013), la costituzione di un
fondo patrimoniale ex art. 167 c.c. (Cass. n. 40561/2012),
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la messa in atto, da parte degli amministratori, di più
operazioni di cessioni di aziende e di scissioni societarie simulate finalizzate a conferire degli immobili
(Cass. n. 19595/2011), una vendita simulata mediante
stipula di un apparente contratto di “sale and lease
back” (Cass. n. 14720/2008) o la costituzione fraudolenta di un trust (Cass. n. 15449/2015).
Occorre, peraltro, evidenziare come anche rispetto a
tale fattispecie valga la definizione di “mezzi fraudolenti” di cui alla nuova lett. g-ter dell’art. 1 comma 1 del
DLgs. 74/2000, ai sensi della quale sono tali le “condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate
in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà”. Rispetto a tale novità, è stato sottolineato da parte della
dottrina come essa dovrebbe servire a circoscrivere la
tendenza giurisprudenziale ad estendere la fattispecie
a qualsiasi operazione comportante una “deminutio”
del patrimonio del contribuente.
La sussistenza del dolo specifico richiesto per la configurabilità del reato oggetto di imputazione si rinviene
nella volontà dell’agente di sottrarsi al pagamento delle imposte che superino la soglia prevista e richiede la
dimostrazione della strumentalizzazione della causa
tipica negoziale o l’abuso dello strumento giuridico utilizzato (cfr. Cass. n. 40561/2012).
Tali elementi vanno tutti adeguatamente argomentati
dal giudice in relazione alle peculiarità del caso concreto.
Ad esempio, a fronte della donazione della nuda proprietà di un immobile da parte di un contribuente che,
alcuni mesi prima, aveva ricevuto diversi avvisi di accertamento, la Cassazione è recentemente tornata a
precisare alcuni aspetti inerenti all’elemento materiale e all’elemento soggettivo del delitto in esame (Cass.
n. 30497/2016).
In particolare, allorché si tratti – come nel caso affrontato da quest’ultima sentenza citata – di una donazione della sola nuda proprietà con riserva dell’usufrutto
in favore del donante e sia acclarata la presenza di altri immobili nel patrimonio del donante, l’accertamento dovrà vertere anche sulla idoneità dell’atto negoziale a rendere inefficace l’attività recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria (a prescindere dalla effettiva simulazione).
Con la conseguenza che la condotta posta in essere
dovrà essere valutata sia in relazione al credito tributario, sia in relazione al patrimonio complessivo del
contribuente (cfr. anche Cass. n. 13233/2016).
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Sospensione feriale dubbia per la domanda di
adesione
La Cassazione ritiene che i due termini non siano cumulabili, ma l’opinione prevalente è in senso
opposto
/ Alfio CISSELLO
Dal 1° al 31 agosto, anche nel processo tributario rimangono sospesi i termini processuali (si veda “Sospensione feriale in arrivo anche per i ricorsi tributari” del 18
luglio 2016), e lo stesso dicasi per i termini di versamento di somme intimate con accertamenti esecutivi
(si veda “Anche il termine per pagare gli accertamenti
esecutivi va in ferie” del 19 luglio 2016).
Rimane da analizzare la questione che, allo stato attuale, risulta essere la più spinosa del tema, ovvero la
possibilità di cumulare la sospensione feriale dei termini processuali con la domanda di accertamento con
adesione (che, ai sensi degli artt. 6 e 12 del DLgs.
218/97, non sospende per 90 giorni solo i termini di pagamento delle somme intimate, ma altresì il termine
per il ricorso).
Sia l’anno scorso (si veda “La sospensione da adesione
non si cumula con quella feriale” del 26 giugno 2015)
che quest’anno (si veda “Cumulo tra sospensione feriale e domanda di adesione di nuovo negato” del 4 luglio
2016), la Corte di Cassazione ha espressamente sancito che la sospensione dei termini processuali non si
cumula con termini caratterizzanti eventuali fasi amministrative antecedenti il contenzioso, quale è l’accertamento con adesione. In altre parole, non c’è il cumulo delle due sospensioni.
Si tratta di un’interpretazione criticata da più parti,
non a caso è stata oggetto dell’interrogazione parlamentare 9 luglio 2015 n. 5-06008, ove il Ministero
dell’Economia e delle finanze ha, senza mezzi termini,
optato per il cumulo delle sospensioni.
Del resto, così si è sempre espressa l’Amministrazione
finanziaria, si veda la circolare n. 65 del 2001.
Va detto che recente giurisprudenza di merito ha confermato la presa di posizione ufficiale, ammettendo il
cumulo (si tratta delle sentenze n. 4763/2016 della Pro-
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vinciale di Milano e n. 1766 della Regionale di Roma).
Il difensore, comunque, non può che adottare un approccio cautelativo, e, di conseguenza, ritenere inoperante il cumulo delle sospensioni.
Bisogna però rilevare che, in determinate circostanze,
come anche evidenziato nel testo dell’interrogazione
parlamentare menzionata, il cumulo è destinato, per
forza di cose, a trovare applicazione (anche se, a ben
vedere, nemmeno si tratterebbe di cumulo).
È d’obbligo una condotta cautelativa
Ipotizziamo un accertamento notificato a luglio.
Per effetto dell’art. 6 del DLgs. 218/97, la domanda di
adesione va presentata entro il termine per il ricorso,
quindi entro 60 giorni a cui si aggiungono i 31 del mese di agosto. L’interprete, nella menzionata fattispecie,
non sta cumulando sospensioni di natura diversa, ma
sta presentando la domanda di adesione entro il termine per il ricorso, rimasto sospeso per il mese di agosto.
Di contro, ove l’accertamento fosse stato notificato a
maggio, la domanda di adesione va presentata entro i
consueti 60 giorni, e sospende il termine per il ricorso
per 90 giorni, a cui non possono cumularsi quelli del
mese di agosto.
Si segnala che la pausa estiva deve operare anche per i
termini, entro cui occorre versare, a seconda dei casi,
imposte, interessi e sanzioni ridotte, relativi all’acquiescenza (art. 15 del DLgs. 218/1997, C.M. 8 agosto 1997 n.
235) e alla definizione agevolata delle sanzioni (artt. 16
e 17 del DLgs. 472/97, C.M. 5 luglio 2000 n. 138), siccome entrambi sono connessi al termine per il ricorso,
che, come più volte detto, rimane sospeso nella pausa
estiva.
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Per il bonus ristrutturazione conta la qualificazione
del tecnico
Per la C.T. Prov. di Treviso tale asseverazione “decide” se l’intervento costituisce ristrutturazione o
nuova costruzione ai fini della detrazione
/ Stefano SPINA
La detrazione delle spese per gli interventi di recupero
del patrimonio edilizio spetta, in riferimento alle singole unità immobiliari residenziali, per gli interventi di
manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo, nonché di ristrutturazione edilizia.
Nell’ambito di tali ultimi interventi sono ricompresi
anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria dell’edificio preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica.
Al riguardo, la circolare del Ministero delle Finanze n.
121 dell’11 maggio 1998 ha precisato che occorre la corrispondenza di detti interventi alla categoria della ristrutturazione edilizia.
Pertanto, nel caso in cui, a seguito della demolizione,
l’edificio venga ricostruito nel rispetto della volumetria e della sagoma originarie, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa
antisismica, la detrazione compete, in quanto l’intervento configura, nel suo insieme, una ristrutturazione
edilizia ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. d) del DPR
380/2001.
Viceversa, se la ricostruzione non avviene nel rispetto
della sagoma e della volumetria originarie, ad esempio
perché comporta l’ampliamento dell’edificio preesistente, la detrazione non spetta, in quanto l’intervento
si considera, nel suo complesso, di nuova costruzione
(art. 3 comma 1 lett. e) del DPR 380/2001).
Nell’interrogazione parlamentare n. 5-01866/2014 è stato chiarito che rientra nella nuova nozione di ristrutturazione edilizia attuata mediante demolizione e fedele
ricostruzione anche lo spostamento di lieve entità del
nuovo edificio rispetto al sedime originario.
Infatti, a seguito dell’entrata in vigore, il 21 agosto 2013,
della nuova definizione di ristrutturazione edilizia con
demolizione e ricostruzione (art. 3 comma 1 lett. d) del
DPR 380/2001), la sagoma dell’edificio ha perso rilevanza al fine di inquadrare la ricostruzione, mentre ha rilievo solo il rispetto dell’originaria volumetria. Ne deriva che si configura una ristrutturazione anche ove la
sagoma sia modificata e persino traslata altrove.
Nella diversa ipotesi in cui la ristrutturazione avvenga
senza previa demolizione dell’edificio preesistente, e
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comporti un ampliamento dello stesso, occorre scindere l’intervento in due componenti. La prima, riferibile
alla ristrutturazione della parte di edificio già esistente, per le cui spese la detrazione compete e la seconda,
riferibile all’ampliamento (che configura una nuova
costruzione), per le cui spese la detrazione non compete. In tal senso si è espressa l’Agenzia delle Entrate
nelle circolari nn. 57/1998, 36/2007, 39/2010 e nella risoluzione n. 4/2011.
Un esempio di quest’ultima ipotesi si rinviene rispetto
agli interventi compiuti in attuazione del c.d. “piano
casa” di cui all’art. 11 del DL 112/2008, conv. L. 133/2008,
sulla base delle leggi regionali vigenti in materia. Al riguardo l’Agenzia delle Entrate, nella ris. n. 4 del 4 gennaio 2011, ha precisato che gli interventi sono agevolabili per l’eventuale componente di essi riferibile alla ristrutturazione della parte di edificio preesistente,
mentre non sono agevolabili per la componente di essi riferibile all’ampliamento, che configura un intervento di nuova costruzione.
Niente agevolazione in caso di nuova costruzione
Il problema che si pone, a questo punto, è il corretto inquadramento del titolo urbanistico in quanto, come
sopra espresso, se si tratta di ristrutturazione l’agevolazione spetta, almeno per la parte preesistente, mentre se si tratta di nuova costruzione non vi sono possibilità.
Al riguardo la Commissione tributaria provinciale di
Treviso, con la sentenza n. 245/1/2016 depositata il 6
luglio 2016, ha chiarito che, a tal fine, rileva quanto attestato dal professionista di parte.
L’importanza di tale interpretazione consiste nell’aver
utilizzato, a base del proprio giudizio, quanto periziato
da un tecnico, seppur di parte, il quale, dopo aver esaminato l’intervento, lo ha “incasellato” nella casistica
riportata all’art. 3 del DPR 380/2001.
Se tale linea di pensiero prenderà piede si potrà a priori, attraverso la certificazione dei tecnici, definire in
maniera univoca la detraibilità delle spese evitando
inutili contenziosi.
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L’ASD che fa versare quote a parte non perde per
forza le agevolazioni
Per la temporaneità del vincolo associativo occorre valutare il motivo per cui il soggetto aderisce
/ Francesco NAPOLITANO
Nella recentissima sentenza n. 229/2016 della C.T.
Prov. di Reggio Emilia è stato affrontato il tema relativo al corretto inquadramento della “temporaneità del
vincolo associativo” all’interno delle associazioni non
riconosciute.
In particolare, una ASD aveva ricevuto un avviso di accertamento con cui veniva eccepita l’illegittima fruizione delle agevolazioni fiscali in materia in quanto,
dall’esame delle clausole di cui all’art. 148, comma 8,
lett. c) del TUIR, la stessa era risultata priva di quella
che tratta, appunto, della “disciplina uniforme del rapporto associativo (...) escludendo espressamente la
temporaneità della partecipazione alla vita associativa (...)”. In estrema sintesi, l’Agenzia aveva disconosciuto le agevolazioni in quanto gli associati, pur ricevendo la tessera associativa, dovevano corrispondere
un’ulteriore quota, differenziata in base al servizio richiesto, e ciò – secondo i funzionari del Fisco – concretizzava la fattispecie di “temporaneità di partecipazione alla vita associativa”.
I ricorrenti eccepivano il fatto che l’adesione al sodalizio, pur comportando il pieno diritto di partecipare a
tutti gli eventi dell’associazione, non significava che
tale partecipazione fosse del tutto gratuita. In altri termini, il fatto di partecipare agli eventi associativi e
sopportarne dei costi specifici in funzione del servizio
richiesto e risorse impegnate (istruttori, strutture,
utenze) non significava affatto “temporaneità della vita associativa”. Pertanto, chiedevano l’annullamento
dell’atto impugnato.
Oltre a ciò, rimarcavano che l’adesione al sodalizio non
crea nessun “obbligo” di partecipazione, ma soltanto
dei “diritti”. Per tale motivo, non frequentare tutti i corsi non significa – neanche stavolta – “temporaneità
della vita associativa”. Aggiungevano, i ricorrenti, anche il fatto che tutti gli associati erano consapevoli di
essere in un’associazione, come dimostrato dalle interviste effettuate e allegate agli atti.
L’Agenzia controdeduceva rifacendosi in pieno alle
motivazioni dell’atto impugnato.
La C.T. Prov. ha accolto in pieno il ricorso con condanna alle spese dell’Ufficio poiché, secondo i giudici di
merito, il disposto dell’art. 148, comma 8, lett. c) del
TUIR non soltanto è stato riportato nello statuto ma
anche rispettato nel concreto, vera sostanza a cui tende la disposizione in commento. Il fatto di versare una
quota associativa non costituisce diritto pieno a godere in modo del tutto gratuito di tutte le attività che l’ente pone in essere, già solo per il fatto che chi non vi
partecipa viene gravato di un costo a favore di chi vi
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partecipa.
Pertanto, l’adesione a un sodalizio sportivo dilettantistico, che fa parte del più ampio mondo delle associazioni non riconosciute “a schema aperto”, comporta la
titolarità di diritti a partecipare a tutti i momenti associativi, ma chi desidera partecipare ai vari corsi che si
organizzano deve versare una quota a parte, definita
dall’art. 148 comma 3 del TUIR “corrispettivo specifico”,
ed è proprio questo che viene decommercializzato se
l’ente rispetta in pieno tutte le previsioni statutarie indicate dal comma 8 dell’art. 148, sia recependole nello
Statuto che ponendole in essere nella realtà.
In altre parole, afferma la C.T. Prov., “il fatto che per
ogni corso, per ogni iniziativa, venisse fatto versare
all’associato partecipante una quota ulteriore non significa assolutamente che vi fosse una temporaneità
degli stessi nella vita associativa ma solo che veniva
correttamente imputato a ciascun associato la quota di
costo che l’associazione sopportava per quell’iniziativa”.
Ma allora, che cos’è la “temporaneità della vita associativa”? Si può dire che è la condizione del socio che, ad
esempio, sottoscrive consapevolmente il tesseramento per entrare soltanto una o più volte in piscina (quindi con un’efficacia temporale del tutto ridotta), disinteressandosi totalmente della vita associativa, intesa
quale insieme delle attività sociali previste dalle norme del codice civile e fiscali (assemblee, consigli,
ecc.). In questo caso, l’associato è un terzo estraneo, e
le somme versate sono pienamente imponibili.
L’adesione a un sodalizio significa sposarne gli ideali
che hanno portato alla sua costituzione, e il divieto di
temporaneità mira proprio a consolidare quell’affectio
societatis che sta alla base della scelta di aderire a
un’associazione, incontrandosi – da un lato – la volontà di aderire e – dall’altro – la volontà di accettare, con
le rituali formalità della presentazione della domanda
e dell’accettazione di questa da parte degli organi direttivi. Soltanto in assenza di quest’affectio si potrà
parlare di “socio temporaneo”, categoria vietata dalla
norma in rassegna per poter godere delle agevolazioni
fiscali in materia.
Da ultimo – e per chiudere – neanche il fatto di pagare
annualmente una quota associativa costituisce “temporaneità” del rapporto associativo: si tratta soltanto di
una convenzione, per la quale ogni anno è obbligatorio
redigere un bilancio, suddividendo le entrate dalle spese, e tra le entrate vi sono – appunto – le quote associative annuali e i corrispettivi specifici da partecipazione a corsi, di cui si è discusso.
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Interessi passivi inerenti per le LBO immobiliari
Secondo Assonime, i chiarimenti del Fisco sono applicabili anche alle società immobiliari
/ Simone SUMA
La circolare Assonime n. 17/2016 commenta quanto
chiarito dall’Amministrazione finanziaria, in merito al
regime fiscale delle operazioni di acquisizione con indebitamento (c.d. leveraged buy out, LBO) per le società immobiliari (circ. Agenzia delle Entrate n. 6 del 30
marzo 2016).
Nell’ambito del reddito d’impresa, i soggetti che esercitano attività diversa da quella finanziaria, determinano la deducibilità degli interessi passivi mediante il
meccanismo del risultato operativo lordo c.d. “ROL” (ex
art. 96 comma 1 del TUIR).
Tuttavia, restano ferme le disposizioni che prevedono
l’indeducibilità oggettiva degli interessi passivi come
quella prevista dall’art. 90 comma 2 del TUIR in merito
ai costi sostenuti per gli immobili patrimonio. Applicano, invece, il meccanismo del ROL, gli interessi passivi
relativi a finanziamenti contratti per l’acquisizione di
tali immobili (ex art. 1 comma 35 della L. 24 dicembre
2007 n. 244).
A tal riguardo, devono essere considerati non solo gli
interessi passivi sostenuti in relazione ai finanziamenti accesi per l’acquisto degli immobili patrimonio,
ma anche quelli relativi a finanziamenti stipulati per la
costruzione degli stessi (cfr. circ. Agenzia delle Entrate 21 aprile 2009 n. 19 § 2.2.5).
L’Assonime osserva che persistevano ancora alcuni
dubbi in merito al legame tra i mezzi finanziari produttivi di interessi passivi e l’acquisizione o la costruzione degli immobili. In particolare, occorreva chiarire se
gli interessi risultavano deducibili anche nelle ipotesi
di:
- finanziamenti erogati in un momento successivo a
quello di acquisto dell’immobile;
- rinegoziazione del contratto di finanziamento.
Tali incertezze attengono principalmente alle società
c.d. immobiliari di gestione.
Si considerano tali, le società:
- il cui valore del patrimonio (assunto a valori correnti)
è prevalentemente costituito da beni immobili diversi
dai c.d. “immobili merce”, nonché dagli immobili strumentali ;
- la cui attività principale consiste nella locazione a
terzi degli immobili c.d. patrimonio e strumentali per
natura locati o comunque non utilizzati direttamente
(cfr. circ. Agenzia delle Entrate 22 luglio 2009 n. 37 e
ris. Agenzia delle Entrate 9 novembre 2007 n. 323).
L’Amministrazione finanziaria, a seguito di presentazione di istanza di consulenza giuridica da parte
dell’Associazione, ha confermato la sussistenza dello
stretto legame tra finanziamento e il bene immobile
acquistato o costruito nelle ipotesi di:
- acquisizione dei mezzi finanziari non contestuale
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all’acquisto o alla costruzione di detto bene, nel rispetto di determinate condizioni;
- rinegoziazione del contratto di finanziamento originario.
Un’ulteriore incertezza afferiva al tema della realizzazione degli investimenti immobiliari mediante operazioni di leveraged buy out (LBO).
L’operazione si sostanzia nell’acquisizione, finanziata
mediante indebitamento della società veicolo (c.d. special purpose vehicle), della partecipazione totalitaria in
una società “target”, proprietaria del complesso immobiliare. La stessa è oggetto di successiva fusione con la
società “SPV” al fine di trasferire il finanziamento direttamente sugli immobili, trasformandolo in finanziamento ipotecario.
Alla luce della circ. Agenzia delle Entrate n. 6 del 30
marzo 2016, l’Associazione ritiene di poter estendere i
chiarimenti forniti in merito all’inerenza e alla deducibilità degli interessi passivi, relativi alle operazioni di
acquisizione con indebitamento, alle operazioni di LBO
“immobiliare”. Infatti, le contestazioni mosse dagli Uffici a tali ultime operazioni discendevano dai rilievi
sollevati, più in generale, alle operazioni di LBO finalizzate all’acquisto di aziende o di partecipazioni. Rilievi
che dovrebbero considerarsi superati dal documento
di prassi testé richiamato.
Vincoli per gli interessi sugli immobili ipotecati
L’Associazione tratta anche le modifiche apportate dal
DLgs. 147/2015 al regime di deducibilità integrale degli
interessi passivi relativi ai finanziamenti garantiti da
ipoteca su immobili destinati alla locazione (ex art. 1
comma 36 della L. 24 dicembre 2007 n. 244).
Per circoscrivere l’ambito applicativo della piena deducibilità degli interessi passivi sopracitati, la norma ha
precisato la nozione di società che svolgono in via effettiva o prevalente attività immobiliari affermando
che per tali si devono intendere le società che, congiuntamente presentano:
- un valore dell’attivo patrimoniale costituito prevalentemente dal valore normale degli immobili destinati
alla locazione;
- ricavi rappresentati per almeno i due terzi da canoni
di locazione o affitto di aziende il cui valore complessivo sia prevalentemente costituito dal valore normale
di fabbricati.
In sostanza, a partire dall’esercizio 2016 per i soggetti
“solari”, è stato introdotto un limite di significatività
dei canoni di locazione sul totale dei ricavi rilevanti,
superando in senso restrittivo i chiarimenti della circ.
n. 37/2009.
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Beni extra Ue in ammissione temporanea fino a dieci
anni
Il nuovo Codice doganale dell’Unione consente alle merci di rimanere sul territorio Ue in regime
sospensivo da dazi e IVA per tale lasso di tempo
/ Francesco D'ALFONSO
Il regime doganale di ammissione temporanea consente di importare temporaneamente beni non unionali riservati ad uso particolare in esonero totale o parziale dai diritti doganali (dazio e IVA) e senza l’applicazione di misure di politica commerciale per, poi, riesportare gli stessi fuori dalla Ue senza che i beni abbiano subito alcuna modificazione. Con il nuovo Codice
doganale dell’Unione (CDU), le merci possono permanere in ammissione temporanea nel territorio della Ue
fino a dieci anni.
Il regime di ammissione temporanea che, nell’ambito
del CDU, fa parte del regime speciale dell’uso particolare, può essere utilizzato solo laddove sussistano le seguenti condizioni:
- le merci non sono destinate a subire modifiche (devono, cioè, rimanere “tali e quali”), eccetto il loro deprezzamento normale dovuto all’uso che ne viene fatto;
- è possibile garantire l’identificazione dei beni vincolati al regime, salvo quando, tenuto conto della natura
delle merci o dell’uso previsto, l’assenza di misure di
identificazione non può dar adito a un’utilizzazione
abusiva del regime oppure, nel caso di impiego di merci equivalenti, quando è possibile verificare se sono
soddisfatte le relative condizioni;
- il titolare del regime è stabilito al di fuori del territorio doganale dell’Unione;
- sono soddisfatti i requisiti sull’esenzione totale o parziale dai dazi stabiliti nella normativa doganale.
Ai fini dell’applicazione del regime è, altresì, necessario che le merci importate temporaneamente siano
riesportate o vincolate a un successivo regime doganale al massimo entro 24 mesi (“periodo standard”),
anche se il regime è stato appurato vincolando i beni a
un altro regime speciale e queste sono state poi nuovamente vincolate al regime di ammissione temporanea.
Sono, però, previsti periodi più brevi per alcuni tipi di
merce, nonché, in talune ipotesi, è possibile che venga
prorogata la durata del regime, previa autorizzazione
da parte dell’autorità doganale.
A seguito dell’entrata in vigore del CDU, il 1° maggio
2016, il periodo globale durante il quale le merci possono rimanere in regime di ammissione temporanea è
stato esteso a dieci anni. Inoltre, l’esonero totale dal
pagamento dei diritti doganali (dazio e IVA) si applica
esclusivamente nelle ipotesi appositamente individuate dalla normativa doganale comunitaria (container, taluni mezzi di trasporto, ecc.).
Laddove, invece, non si rientri in tali ipotesi, l’introdu-
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zione delle merci nel territorio nazionale comporta
(c.d. “ammissione temporanea in esenzione parziale”)
il pagamento parziale del dazio nonché il versamento
integrale dell’IVA.
In particolare, il dazio viene calcolato e versato solo
quando il regime viene appurato, secondo le seguenti
modalità (dal 1° maggio 2016 non sono più previsti gli
interessi compensatori):
- nella misura del 3% dei dazi applicabili per l’immissione in libera pratica dei beni all’atto della loro importazione temporanea per ogni mese o frazione di mese
durante il quale le merci sono vincolate al regime doganale in esame;
- il dazio non può essere comunque superiore all’importo che sarebbe riscosso nel caso in cui i beni fossero stati immessi in libera pratica nella data in cui sono
stati vincolati al regime dell’ammissione temporanea.
Anche l’IVA deve essere corrisposta solo all’atto della
riesportazione o al momento del vincolo dei beni a un
altro regime doganale, una volta, tuttavia, calcolato anche il dazio dovuto (quest’ultimo rientra nella base imponibile IVA). Le operazioni di ammissione temporanea aventi per oggetto beni destinati a essere riesportati “tali e quali” e che non fruiscono dell’esenzione totale dai dazi di importazione costituiscono, infatti, importazioni, a norma dell’art. 67, comma 1, lett. c) del
DPR 633/1972.
Laddove, poi, il regime doganale non sia appurato, dovranno essere pagati i diritti relativi (dazio e IVA) facendo riferimento alle condizioni esistenti al momento dell’accettazione della dichiarazione relativa al vincolo dei beni al regime di ammissione temporanea.
Tuttavia, nel caso in cui si rientri nell’ipotesi di esonero totale dai diritti doganali, gli elementi di tassazione
sono, invece, quelli relativi al momento in cui sorge la
relativa obbligazione doganale.
Sempre in virtù di quanto previsto dal CDU, anche per
il regime di ammissione temporanea è ora possibile
l’utilizzo di merci equivalenti, pur se solo con riferimento ai beni di cui agli artt. da 208 a 211 del RD e cioè
alle palette e alle relative parti di ricambio e accessori
e ai container, alle relative parti di ricambio, agli accessori e alle attrezzature.
Anche per l’ammissione temporanea si possono usare
merci equivalenti
In quest’ultima ipotesi, le merci equivalenti diventano
merci non unionali e le merci che esse sostituiscono
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ancora
STUDIO DUCOLI
divengono merci unionali al momento del loro svincolo per il successivo regime doganale di appuramento
del regime o al momento in cui le merci equivalenti
hanno lasciato il territorio doganale della Ue.
Per far ricorso al regime dell’ammissione temporanea,
il soggetto interessato, ossia la persona che utilizza o
fa utilizzare le relative merci, deve essere autorizzato
dall’autorità doganale.
L’autorizzazione all’applicazione del regime doganale
richiede la presentazione, in via telematica, all’autorità doganale, di una dichiarazione di temporanea importazione (in alternativa, può essere utilizzato un carnet ATA), nel qual caso l’autorizzazione si considera
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concessa mediante lo svincolo delle merci per il regime (le autorizzazioni in essere al 1° maggio 2016 rimangono valide fino alla loro scadenza o al massimo
fino al 1° maggio 2019).
Il vincolo dei beni al regime dell’ammissione temporanea richiede, inoltre, che l’interessato provveda a costituire, nel luogo dove viene rilasciata l’autorizzazione di
vincolo al regime, apposita garanzia, per consentire
all’autorità doganale di premunirsi nel caso di mancato pagamento dei diritti doganali, che potrebbero essere eventualmente dovuti se i beni non fossero riesportati entro il termine previsto (in taluni casi, non è, tuttavia, richiesta la costituzione di una garanzia).
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IMPRESA
STUDIO DUCOLI
Nulli i prestiti per l’acquisto di proprie azioni senza le
condizioni di legge
La nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e anche nell’ambito delle società
cooperative
/ Maurizio MEOLI
La disciplina di cui all’art. 2358 c.c., in tema di prestiti e
garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di proprie
azioni, appare applicabile anche alle cooperative (nei
limiti di compatibilità) e, in particolare, alle banche popolari. L’assenza delle condizioni previste dai commi 2
e seguenti dell’articolo citato determina la riespansione del divieto di cui al primo comma, e la violazione di
tale divieto dà luogo a nullità dei finanziamenti e delle
garanzie che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse. Sono queste le rilevanti precisazioni fornite dal Tribunale di Venezia nel provvedimento del 29
aprile scorso, che risulta essere il primo intervento
giurisprudenziale, sia pure in ambito cautelare, sulla
nuova disciplina dei prestiti e delle garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di proprie azioni.
Per quanto interessa ai fini del presente commento, si
osserva come, nel caso di specie, i finanziamenti per
l’acquisto/sottoscrizione di azioni (e di obbligazioni
convertibili in azioni) di una banca popolare s.c.p.a.
fossero stati concessi sui conti correnti – “affidati” nella forma dell’elasticità di cassa – di due clienti che, in
sede di merito, chiedevano la declaratoria di nullità
delle operazioni effettuate per violazione dell’art. 2358
c.c., mentre, in via cautelare, sollecitavano l’inibitoria
nei confronti della banca a richiedere il pagamento dei
saldi passivi dei conti correnti e la sospensione del decorso dei relativi interessi. L’inibitoria veniva concessa inaudita altera parte.
All’esito dell’instaurazione del contraddittorio, invece,
quanto al fumus boni iuris, la banca contestava, innanzitutto, l’applicabilità dell’art. 2358 c.c. alle società cooperative per azioni e, comunque, alle obbligazioni convertibili in azioni, dal momento che il rinvio operato
dall’art. 2519 c.c. alla disciplina delle spa vale nei limiti
della compatibilità, e la disciplina dell’art. 2358 c.c. non
sarebbe tale rispetto a quella delle cooperative; al più
potevano rilevare i limiti quantitativi, ma non anche le
prescrizioni relative alla previa autorizzazione assembleare – essendo le decisioni sull’acquisto di azioni
proprie demandate all’organo amministrativo – e alla
predisposizione della relazione per l’assemblea.
Si escludeva, inoltre, la possibilità di configurare la
sanzione della nullità in conseguenza della violazione
della relativa disciplina, dovendo da essa discendere la
mera responsabilità dell’organo gestorio. Peraltro, essendo la norma posta a tutela del patrimonio sociale,
l’eventuale invalidità non avrebbe potuto essere fatta
valere da coloro che avevano beneficiato dei finanziamenti e delle garanzie.
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Con riguardo al primo profilo, il Tribunale di Venezia
riconosce il carattere controverso della questione, ma,
preso atto del fatto che la banca stessa già aveva applicato l’art. 2358 c.c. (condotta avallata dalla BCE), reputa opportuno, quanto meno in ragione del contesto
cautelare, considerare applicabile la disciplina; peraltro, con riguardo alle banche popolari, l’eventuale incompatibilità tra le discipline sfuma, dal momento che
in esse la mutualità si atteggia in modo peculiare, attesa la cumulabilità con finalità lucrative.
Relativamente all’applicazione della disciplina anche
alle obbligazioni convertibili in azioni, il provvedimento, sostanzialmente, glissa la questione. Sia per l’assenza di specifiche indicazioni in ordine al regime dei
titoli acquistati, alle modalità e ai tempi della loro conversione e al ruolo della banca, che per l’entità assai ridotta di simili acquisti rispetto a quelli di azioni.
Quanto alle conseguenze della violazione dell’art. 2358
c.c., si osserva come l’assenza delle condizioni previste nei commi 2 e seguenti dell’articolo citato determini la riespansione del divieto di cui al primo comma, e
la violazione del divieto di fonte legale dà luogo a nullità. Nullità che si cumula con la tutela costituita dalle
azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori (in presenza dei relativi presupposti).
Sulla legittimazione a far valere la nullità, ancora, si
evidenzia come dalla finalità della disciplina non sia
possibile far derivare restrizioni alla legittimazione
propria delle nullità correlate al carattere inderogabile
delle norme violate, per le quali vale il principio generale che legittima chiunque vi abbia interesse (ex art.
1421 c.c.); e circoscrivere tale legittimazione equivarrebbe ad introdurre restrizioni all’inderogabilità della
norma in aggiunta alle condizioni tassative indicate
dal legislatore. Nel caso di specie, poi, è evidente l’interesse dei ricorrenti: chi acquista o sottoscrive azioni di
una società utilizzando prestiti o garanzie della stessa
confida nella regolarità dell’operazione secondo le indicazioni dell’art. 2358 c.c. e, per tale tramite, ha interesse all’effettività del patrimonio della società di cui
ha acquistato o sottoscritto azioni.
Quanto, infine, alla verifica in concreto delle condizioni di deroga al divieto di cui all’art. 2358 c.c., si osserva
come, a fronte dell’allegazione della violazione della
disciplina inderogabile in discorso, spetti poi alla società che ha accordato prestiti o fornito garanzie, per il
principio della “vicinanza della prova” (Cass. SS.UU. n.
13533/2001), dimostrare la sussistenza delle stesse.
Prova non fornita nel caso di specie.
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FISCO
STUDIO DUCOLI
Per i contributi di bonifica onere della prova non
sempre in capo al consorzio
È il consorziato a dover superare la presunzione di vantaggiosità se non ha impugnato il piano di
classifica approvato dalla Giunta regionale
/ Antonio PICCOLO
La sentenza della Cassazione n. 14508/2016, in materia
di contributi di bonifica, dà la possibilità di fare un breve punto dell’annosa questione, ove l’aspetto centrale è
divenuto l’onere della prova.
Nella vicenda giurisprudenziale in rassegna, i giudici
d’appello, in riforma dell’impugnata sentenza, hanno
ritenuto in sostanza che era onere del consorzio dimostrare che le opere di bonifica avevano arrecato uno
specifico beneficio ai fondi di proprietà della consorziata. Onere che nel caso di specie non era stato soddisfatto.
Secondo i giudici di legittimità, invece, il Collegio regionale non ha tenuto conto del fatto che l’attività di
bonifica idraulica del territorio in oggetto (comprensiva anche della manutenzione e dello sviluppo delle
opere infrastrutturali di mantenimento) muove dalla
preliminare approvazione, da parte della Giunta regionale, di un “piano di classifica”, individuante i benefici
derivanti agli immobili dei consorziati, con l’elaborazione dei relativi indici di quantificazione.
La ripartizione dei contributi tra i consorziati è fatta
oggetto dell’approvazione di un “piano di riparto” che
tiene conto della concreta incidenza delle opere di bonifica nei singoli sub-comprensori, in cui è suddiviso
l’intero territorio affidato al consorzio e al cui interno
si collocano gli immobili dei consorziati stessi, i quali
vengono autonomamente in rilievo sulla base delle caratteristiche fondamentali di ciascuno (ubicazione, superficie, destinazione).
È già consolidato l’insegnamento secondo cui l’adozione di tali strumenti e segnatamente del piano di classifica ingenera una presunzione di vantaggiosità
dell’attività di bonifica svolta dal consorzio per i fondi
ricompresi nell’area di intervento.
Se il piano di classifica va specificamente impugnato
dal consorziato, la citata vantaggiosità deve essere
provata da parte del consorzio che la deduca; qualora
invece il piano di classifica non sia stato impugnato, la
presunzione di vantaggiosità – di natura non assoluta
(iuris et de iure), ma relativa (iuris tantum) – deve essere superata con onere della prova a carico del consorziato (fra le ultime, Cass. nn. 13127/2016 e
12575/2016).
Presunzione di natura non assoluta, ma relativa
Così come consolidato è il principio di diritto in virtù
del quale il contribuente, anche qualora non abbia im-
pugnato innanzi al giudice amministrativo (TAR) gli
atti generali presupposti (perimetro di contribuenza,
piano di contribuzione, bilancio annuale di previsione
del consorzio), che riguardano l’individuazione dei potenziali contribuenti e la misura dei relativi obblighi,
può contestare, nel giudizio tributario avente ad oggetto la cartella di pagamento, la legittimità della pretesa
dell’ente assumendo che gli immobili di sua proprietà
non traggono alcun beneficio diretto e specifico
dall’opera del consorzio.
In tal caso, però, quando vi sia un piano di classifica
approvato dalla competente autorità, il consorzio è
esonerato dalla prova del predetto beneficio, che si
presume in ragione della comprensione dei fondi nel
perimetro d’intervento consortile e dell’avvenuta approvazione del piano di classifica, salva la prova contraria da parte del contribuente (Cass. SS.UU. n.
11722/2010; Cass. nn. 20681/2014 e 12768/2016).
Secondo il pronunciamento in commento, la decisione dei giudici del riesame confligge con i principi sopra indicati, dato che il Collegio ha deciso la lite ponendo l’onere probatorio in questione a carico del consorzio, nonostante la parte contribuente non avesse,
né principalmente né incidentalmente, proposto specifica impugnativa o contestazione del piano di classifica. Essendosi infatti la consorziata limitata ad affermare che, nonostante l’inclusione del proprio fondo
nel sub-comprensorio costituente il perimetro di contribuenza, nessun vantaggio era di fatto alla sua proprietà derivato dall’esecuzione delle opere di bonifica.
In tale situazione, invece, come s’è detto, era onere della consorziata superare la presunzione di miglioramento e vantaggiosità di per sé scaturente, per i fondi
ricompresi nel sub-comprensorio di bonifica e contribuzione, dal piano di classifica che essa non aveva
specificamente contestato in quanto tale né nello stesso giudizio tributario né nella competente sede amministrativa.
Piano di classifica – così i giudici di legittimità – della
cui effettiva deliberazione, approvazione regionale e
pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione
(BUR) non era dato di dubitare in causa, come si evince dalle sentenze di merito le quali, pur addivenendo a
soluzioni opposte, hanno purtuttavia dato entrambe
per pacifiche tali circostanze. Siamo certi che fino a
quando non verranno valorizzati gli effettivi vantaggi,
derivanti dalla concreta realizzazione delle opere, il
contenzioso non avrà fine.
Direttore Editoriale: Michela DAMASCO
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