l`accordo nel gruppo bancario iccrea

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L’ACCORDO NEL GRUPPO BANCARIO ICCREA
Nulla sarà tolto ai lavoratori, ma sarà data la possibilità di scegliere.
Il Contesto
La stagione in corso, che ha già assunto profili drammatici per tanti colleghi coinvolti nelle
crisi delle loro banche o aziende e che, purtroppo è tutt’altro che terminata come si
evidenzia dall’andamento reddituale delle BCC, dalle trasformazioni che conseguiranno
all’autoriforma del Credito Cooperativo e dalle condizioni più complessive dell’economia
produttiva ci sta impegnando continuativamente nella gestione di questi processi, che
quasi quotidianamente annunciano nuove situazioni di criticità.
Le oltre 43 procedure già avviate negli ultimi due anni (alle quali fece da apripista l’accordo
di solidarietà nella BCC Irpina che già allora molti ritenevano a torto un caso isolato) e in
buona parte concluse, testimoniamo una condizione difficile senza esclusioni geografiche e
dimensionali, che temiamo sia molto più ampia come indicherebbero i dati di bilancio con
particolare riferimento ai crediti deteriorati, ai livelli di copertura degli stessi e alla capacità
di generare reddito.
Sino a oggi, pur con sacrifici da parte dei lavoratori coinvolti, siamo stati tuttavia in grado
di salvaguardare l’occupazione utilizzando gli strumenti, che con lungimiranza inserimmo
unitariamente nel CCNL prevedendone la necessità prospettica. Sarebbe bene non
cambiare rotta e rafforzare ulteriormente gli strumenti di sistema.
Continuiamo a pensare che questo sia l’unico atteggiamento possibile e proprio per ciò il
nostro comportamento non è mai cambiato. Siamo e saremo sempre e soltanto guidati dal
merito delle situazioni, che vanno valutate oggettivamente e con onestà intellettuale,
perché i lavoratori non sono numeri o tessere, ma persone e il posto di lavoro è un bene
prezioso.
Proprio per questo dovunque siamo stati chiamati a esercitare il nostro ruolo lo abbiamo
fatto con serietà, ricercando anche il massimo di unitarietà del cui valore siamo
fermamente convinti: ogni organizzazione, come è fisiologico che sia, ha dovuto tuttavia
fare i conti in alcune vicende aziendali, regionali o settoriali con qualche “disallineamento”
riconducibile alla specificità della situazione.
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Sono queste le ragioni per le quali dalla Sicilia alla Campania, dalla Calabria alla Puglia e
Basilicata, passando per l’Abruzzo, il Lazio, la Toscana, l’Emilia Romagna e il Veneto
abbiamo sempre comunque agito con la medesima volontà: ricercare un accordo utile a
salvaguardare i posti di lavoro, che non può prescindere mai dal contesto (crisi,
commissariamento, ipotesi di liquidazione, riorganizzazione e fusione, eccedenze di costi),
né dall’involuzione delle condizioni del sistema che in precedenza assorbiva quasi tutte le
criticità, o dal cambiamento della normativa (procedure di risoluzione) che non consente
più tempi e strumenti usuali.
Tutte condizioni note e condivise, che non hanno mai subito l’influenza di alcune specificità
con le quali ognuno ha dovuto misurarsi di tempo in tempo.
Sappiamo che il nostro compito è quello di salvaguardare l’unitarietà nel rispetto reciproco
e con riguardo all’autonomia di giudizio delle rappresentanze sindacali aziendali,
ricercando mediazioni oneste anche se a volte faticose, o stemperando eventuali vicende
locali alle quali non è bene riconoscere un valore superiore a quello di competenza.
Il credito cooperativo per traguardare un futuro sostenibile non ancora in vista, ha bisogno
di questo modello di rappresentanza che sia esigente quando serve, ma rigoroso nelle
analisi e conseguente nell’azione.
In questo quadro si sono realizzate tutte le trattative condotte in situazioni di crisi,
disequilibrio o costi non più sostenibili che, pur con sfumature o gradazioni differenti in
funzione della situazione come previsto dalla norma contrattuale, replicano soluzioni
contrattuali analoghe. D’altra parte, la profondità della crisi in atto, sommata ai limiti
strutturali del credito cooperativo ci impone sempre più spesso la scelta obbligata di
contenere i costi operativi e del lavoro, per salvaguardare le retribuzioni e l’occupazione. Il
settore ABI fu coinvolto negli anni 90, e per altre ragioni, da una stagione analoga: il
rilancio avvenne attraverso importanti accordi concertativi, ma scontando forti riduzioni
occupazionali, governate prima da accordi aziendali e poi per il tramite
dell’ammortizzatore di settore creato appositamente in quegli anni.
L’accordo delle rappresentanze sindacali aziendali del gruppo Iccrea
In questo quadro s’inserisce anche l’accordo firmato dalle rappresentanze sindacali
aziendali di Fisac/Cgil e First/Cisl nel gruppo bancario Iccrea, che non è molto differente
nei contenuti da tanti altri firmati in questi anni da tutte le Organizzazioni Sindacali.
Per quanto concerne le modalità, a procedura contrattuale conclusa le RSA hanno valutato
di accogliere l’invito dell’azienda ad un supplemento di confronto con l’unico obiettivo di
evitare l’attivazione della procedura dei licenziamenti collettivi (esattamente come ad
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esempio avvenuto di recente in Chianti Banca con una firma unitaria), riuscendo infine a
superare la pretesa di obbligatorietà degli esodi, nonché la reiterata richiesta aziendale di
effettuare ulteriori e più marcati interventi sul costo del lavoro (scatti, tabelle o altro)
particolarmente incidenti sui più giovani, che già scontano peggiori condizioni di partenza e
complessive. Obiettivi raggiunti.
Nel merito, anche in questo caso, le RSA si sono mosse sulla linea tracciata da molti altri
accordi figli di questa stagione, con alcune prerogative tuttavia positive e di garanzia nel
contesto dato, che poi vedremo.
Va intanto riconosciuto che le RSA hanno fatto discendere la propria determinazione a
cercare un'intesa da un’analisi corretta delle reali condizioni reddituali del gruppo
bancario. La “considerevole redditività” del gruppo Iccrea è in realtà solo apparente
(magari fosse reale!). La realtà è purtroppo differente e non potrebbe essere altrimenti in
considerazione della situazione più complessiva.
Se prendiamo come riferimento l’utile d’esercizio del gruppo Iccrea al 31 dicembre 2015,
ammontante a € 42,37 milioni, occorre evidenziare che si realizza attraverso plusvalenze,
cioè partite straordinarie non ripetibili, per € 145,16 milioni, certificando così l’assenza di
ricavi strutturali in grado di garantire l’equilibrio del conto economico, che in assenza di
proventi straordinari sarebbe, appunto, negativo.
Il costo del personale dipendente del gruppo bancario nel 2015 è stato di € 184,045
milioni, che se rapportato al numero medio dei dipendenti (2.209) attesta un costo medio
per addetto di € 83.315: cioè ben oltre il valore medio di sistema.
Se consideriamo che il gruppo bancario Iccrea si alimenta strutturalmente attraverso i
servizi offerti per il tramite delle BCC (contraendosi il risultato di gestione di questo settore
di ben 135 milioni nel 2015 dovremmo anche in questo caso abbattere l’utile in modo
considerevole), le quali attraversano la fase più critica della loro storia come testimoniato
dal numero delle crisi già conclamate (documentate dalle oltre 40 procedure contrattuali
già effettuate) e da molte altre che temiamo possano essere in arrivo, ci pare quanto mai
evidente che governare i costi sia ineludibile per garantire l’occupazione e le retribuzioni
anche nel gruppo bancario stesso.
Tale governo deve valere ovviamente per tutti i costi come giustamente hanno preteso le
RSA, perfettamente in linea con l’orientamento unitario nazionale (ci sono i documenti a
testimoniarlo) e come di recente hanno affermato anche i presidenti di Federcasse e di
Confcooperative in occasione del congresso di Federcasse. A questo fine, è stato previsto
nell’accordo un apposito osservatorio.
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Va poi precisato che, come risulta anche dalle premesse all'accordo sottoscritto, la
quantificazione di 100 esuberi è stata fatta dall'azienda in sede di procedura, alla presenza
di tutte le rappresentanze sindacali, anche nazionali.
L'informativa ricevuta dalle organizzazioni sindacali, già richiamava la necessità di una
riduzione degli organici. Diversamente sarebbe difficile interpretare a cosa mirassero i
seguenti passaggi: "Sul fronte spese amministrative è stato deliberato un piano di
riduzione costi per il trienno 2016-2018 che, al netto degli investimenti, consentirà di
realizzare un contenimento delle spese per circa 30 milioni di Euro. Le spese
amministrative e gli altri costi operativi diversi da quelli del personale risultano non
ulteriormente comprimibili. Per quanto riguarda il costo del lavoro risulta evidente una
eccedenza di 24 milioni di Euro.” E ancora: “… questi interventi devono intendersi tra loro
complementari, e devono mantenere il loro equilibrio, escludendo misure che vadano ad
attenuarne gli impatti, sia assoluti che relativi”. Infine: “l’iniziativa… ha l’obiettivo di
realizzare una riduzione del costo del lavoro nella misura annua del 12%, pari a circa
24.000.000 di €”.
L'accordo, quindi, altro non fa che prendere atto di quanto dichiarato dall'azienda durante
la procedura contrattuale, realizzando però una soluzione assai diversa da quella pretesa
dalla stessa.
Infatti il numero di 100 esuberi, che l'azienda avrebbe voluto obbligare all'esodo e che,
quindi, avrebbe potuto essere oggetto di una successiva procedura ai sensi della L. 223/91,
nell'accordo sottoscritto diventa un traguardo massimo possibile per l'accesso all'esodo
volontario. Qualora non si raggiungesse il numero di 100 volontari, in base all'accordo
sottoscritto, l'azienda non potrebbe in alcun modo avanzare ulteriori pretese se non
aprendo una nuova procedura contrattuale.
L'accordo, per ciò, non avalla affatto la pretesa aziendale di ridurre obbligatoriamente gli
organici di 100 addetti, ma la trasforma in un'opportunità di uscita anticipata e incentivata
per i colleghi che abbiano maturato le anzianità richieste per l'accesso al FSSR.
È chiaro che, come sempre è avvenuto in tutti gli accordi di questo tipo conseguenti a
obiettivi aziendali di riduzione dei costi operativi e tra essi quello del personale, la
possibilità di risolvere alcuni problemi strutturali attraverso forme di uscita volontaria si
dovesse accompagnare ad altri, moderati, interventi di tipo congiunturale che, però,
complessivamente dovrebbero servire ad assicurare ai lavoratori più giovani la possibilità
di favorire una prospettiva di stabile e più serena occupazione.
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In quest'ultimo ambito, le RSA hanno cercato di valorizzare un principio di equità
(contribuiscono tutti e in base alle possibilità e non ci potranno essere riassunzioni o anche
collaborazioni di chi aderisce all’esodo) e di cogliere l'obiettivo di intaccare il meno
possibile i valori economici a partire dal salario diretto. In questa ottica vanno letti gli
interventi che obbligano allo smaltimento delle ferie, alla fruizione delle festività
soppresse, al recupero degli straordinari ed alla gestione della prestazione eccedente dei
quadri, nell’ambito della flessibilità di orario propria dell’Area. E sempre in quest’ottica va
vista l’esclusione di qualsiasi intervento sugli scatti di anzianità e sulle tabelle salariali.
L’unico intervento attivato sul salario differito riguarda la riduzione temporanea (3 anni)
della base imponibile del TFR, che rimarrà comunque invariata per il calcolo del contributo
al Fondo Pensione, cassa Mutua e LTC.
Anche in questo caso è stata oggettivamente esercitata un’azione limitativa, rispetto alle
richieste aziendali, anche se non sottovalutiamo la criticità di un intervento che ha
utilizzato un istituto tipico della contrattazione nazionale, già all’attenzione della stessa nel
tavolo di rinnovo del CCNL.
Le RSA, consapevoli della criticità in questione, avrebbero preferito, al posto di
quest’ultima misura, l’equivalente in giornate di solidarietà, ma si sono dovute scontrare
con una posizione non negoziabile della controparte, peraltro già riscontrata nella fase
infruttuosa della procedura contrattuale.
La decisione delle RSA è stata, quindi, quella di privilegiare la sostanza di un accordo
largamente migliorativo rispetto alle pretese iniziali dell’azienda, reiterate durante tutta la
procedura contrattuale e che avevano determinato il fallimento della stessa.
Le RSA hanno poi perseguito anche soluzioni di prospettiva, mettendo in sicurezza, come
si è soliti dire in queste circostanze, tutto quanto fosse possibile.
È questo il senso della previsione che norma il PDR in modo certo per 3 anni e per tutto il
gruppo (anche quindi per le piccole società), prendendo a riferimento quello in corso e
garantendo rispetto allo stesso una quantificazione percentuale a seconda dello
scostamento del RLG. IL PDR, inoltre, potrà beneficiare dei vantaggi fiscali (per i quali
necessita l’accordo sindacale) previsti per la trasformazione in tutto o in parte dello stesso
in welfare, garantendo così l’erogazione di un valore prossimo o equivalente all’ultimo
pagato. Certo che se fossero stati prevedibili utili stratosferici in una fase espansiva
(comunque intercettata dalla variazione percentuale) le RSA avrebbero potuto compiere
anche scelte differenti, ma sappiamo, purtroppo, che lo scenario è ben diverso e la vera
scommessa da vincere riguarda l’esigenza che il gruppo Iccrea possa presentarsi adeguato
e il più competitivo possibile all’appuntamento dell’individuazione della capogruppo del
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gruppo bancario cooperativo previsto dalla riforma. Diversamente sarebbero problemi
seri.
Le RSA, infine, hanno agito anche con l’intento di raggiungere un accordo che producesse
apprezzabili effetti di solidarietà nei confronti dei colleghi di Banca Sviluppo, che hanno già
subito gli effetti dei “contenimenti” necessari per consentire il salvataggio dei posti di
lavoro in aziende prossime alla liquidazione: con tale intento, oltre ad evitare ulteriori
aggravi per questi colleghi, l’accordo riconosce agli stessi anche alcuni benefici derivanti
dalle previsioni comparativamente migliori di questo accordo.
Tutte queste condizioni sono state conquistate al tavolo e, almeno sino ad un certo punto,
riteniamo fossero l’obiettivo di tutti.
L’accordo è tutto qua. La valutazione finale spetta, come sempre, ai lavoratori.
Le Rsa avrebbero potuto lasciar correre le cose, o invocare oltremodo presunti vizi formali,
o, ancora, temporeggiare ulteriormente e accettare il rischio che la procedura dei
licenziamenti collettivi si avviasse.
La loro valutazione non è stata questa, ma se i lavoratori non approveranno l’accordo,
dando loro torto, le condizioni saranno ripristinate al punto di partenza, con una procedura
fallita e la possibile apertura di una procedura di legge per i licenziamenti collettivi.
Nulla sarà stato tolto ai lavoratori, ma, piuttosto, sarà stata data loro una possibilità di
scegliere, come si è sempre fatto in ogni altro caso analogo.
E, ovviamente, non pensiamo che i lavoratori debbano essere spaventati da ipotesi
apocalittiche, ma dobbiamo ribadire per chiarezza che la procedura aperta dal Gruppo
Iccrea, a cui tutte le sigle hanno dato riscontro, era una procedura ex art.22 del CCNL, ossia
una “procedura preventiva” alla “quale ricorrere prima dell’applicazione delle norme di cui
all’art. 24, legge 23/7/1991, n. 223” (licenziamenti collettivi).
Anche noi, come altri, avremmo voluto che il confronto fosse gestito unitariamente da
tutte le Organizzazioni Sindacali per procedere con maggiore forza. Rimane tuttavia un
auspicio immodificato per il futuro.
Dispiace, questo si, che i toni trascendano e la polemica divenga insulto. Non ci appartiene
come stile e non ci interessa come metodo.
Roma, 28 luglio 2016
Il Settore Nazionale della Cooperazione - COOPERFIRST
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