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PRIMO PIANO
Giovedì 14 Luglio 2016
Con la copertina che descrive il sistema bancario italiano come un pullman sul precipizio
L’Economist stavolta ha ciccato
Dimentica i pasticci provocato dall’Uk col referendum
DI
GIORGIO LA MALFA
S
econdo l’Economist,
che apparentemente
dimentica che la fase
più recente di disordine finanziario europeo e
mondiale è stata provocata dai pasticci combinati dalla Gran
Bretagna, prima
con la convocazione
avventata di un referendum sulla partecipazione inglese
all’Unione Europea
o poi con i maldestri
tentativi di influenzare l’esito della consultazione descrivendo a tinte fosche le
conseguenze negative
del Brexit, le banche
italiane saranno la
causa della prossima
crisi europea.
La copertina del settimanale, che generalmente, ma non in questo caso, ha una certa
eleganza, mostra una
piccola auto guidata da
Cameron che precipita
nel vuoto, ma che sta
per essere seguita da
un pullman bianco, rosso e verde con su scritto
sulla fiancata «Banca»
che è sull’orlo del precipizio e sta per fare la
fine della Gran Bretagna.
A fronte di prese di
posizione assai poco responsabili come questa
dell’Economist, è stata utile la coincidenza temporale
con lo svolgimento dell’Assemblea annuale dell’Associazione Bancaria Italiana.
L’Assemblea, alla quale
hanno partecipato il Governatore della Banca d’Italia,
Ignazio Visco, e il Ministro
dell’Economia, Pier Carlo
Padoan, è stata l’occasione per una messa a punto
importante sulla situazione
delle banche italiane, sotto
attacco della speculazione
dal giorno del referendum
inglese.
Gli interventi del presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, del governatore della
Banca d’Italia e del Ministro
dell’Economia sono stati sostanzialmente coincidenti.
Si direbbe che, a differenza
di situazione precedenti, le
Banche, la Banca d’Italia e
il Governo abbiano trovato
una posizione comune.
La posizione espressa è
composta di tre parti collegate fra loro.
La prima affermazione
fatta da Patuelli e ripresa
dal governatore della Banca
d’Italia è che le banche italiane nel complesso sono in
buona salute. Hanno affrontato la lunga crisi iniziata
nel 2008 senza fare ricorso a fondi pubblici, hanno
visto crescere i cosiddetti
ese.
Naturalmente – è la
seconda considerazione – non tutte le banche
hanno resistito alla crisi:
alcune di esse sono state
t r av o l - te, come le quattro
banche popolari
saltate all’inizio
dell’anno, che però
rappresentavano,
ha fatto presente
il governatore della Banca d’Italia,
meno dell’1% del
sistema bancario.
Vi sono ovviamente altre situazioni difficili, a
cominciare dalla
Popolare Veneta e
da Veneto Banca,
dove si sono registrate perdite gigantesche a carico degli azionisti
indotti in questi
anni a sottoscrivere a caro prezzo molti aumenti
di capitale, ma,
hanno detto Patuelli e la Banca
d’Italia, la ricapitalizzazione di
queste banche è
avvenuta attraist
La copertna di The Econom
verso il Fondo
Atlante, cioè meabbondantemente le cifre di diante un intervento privato
cui si tratta. Hanno dunque e senza soldi pubblici, salvo
soltanto bisogno di tempo e la quota sottoscritta da Casdi procedure di recupero dei sa Depositi e Prestiti.
crediti più rapide di quelle
Tutti e tre gli intervenutradizionali del nostro pa- ti hanno tenuto a ricordare
NPL, cioè i crediti incagliati, ma nel complesso hanno
resistito.
Hanno accantonato riserve a fronte di questi crediti
incagliati ed hanno garanzie collaterali che coprono
che in Europa, a cominciare
dalla Germania, sono stati
iniettati enormi capitali
pubblici per salvare le banche in questi anni. Questo
vuol dire che le banche
italiane stanno bene e non
hanno problemi?
Questo è il terzo punto. Sia Patuelli che Visco
hanno riconosciuto che vi
sono problemi aperti (era
evidente che il pensiero andava soprattutto al Monte
dei Paschi di Siena).
La posizione espressa è
che sarebbe auspicabile una
disponibilità delle autorità
europee a consentire all’Italia interventi pubblici nella
misura in cui possano rivelarsi necessari, anche perché le autorità europee sono
state, fino a ieri, di manica
larga verso gli interventi
degli Stati e non dovrebbero quindi porsi come severi
giudici di operazioni giudicate lecite e ragionevoli fino
a ieri.
Più o meno analoga è
stata la posizione espressa dal ministro dell’Economia Padoan. Egli ha tenuto
a ribadire che l’Italia rispetta le regole, ma ha chiesto
che le regole siano applicate
con saggezza con l’obiettivo
di fare uscire l’Europa dalla
crisi e non di lasciarla sempre più affondare.
Basterà questa linea di
difesa? È saggio aggiungere, come ha fatto anche il
presidente del Consiglio,
che vi sono sistemi bancari di altri paesi (con riferimento trasparente ai derivati annidati nei portafogli
delle banche tedesche) che
stanno in condizioni peggiori delle nostre?
E soprattutto, a questa linea comune esposta all’Assemblea dell’Abi, corrisponde altrettanta precisione
nel delineare le richieste
italiane rivolte agli interlocutori europei?
È stato quantificato con
chiarezza ciò che l’Italia
vuole e deve fare, entro
quali schemi europei e così
via? Questo onestamente
non lo si poteva ricavare
dalle parole udite nell’Assemblea di oggi e troppe
volte si è notato uno scarto
fra i propositi enunciati a
Roma e le carte consegnate a Bruxelles o illustrate
a Berlino.
Speriamo che le cose
stiano in maniera differente oggi e che davvero il
governo, la Banca d’Italia e
il sistema bancario siano in
grado di presentare la posizione italiana a Bruxelles e
nelle capitali con chiarezza
e semplicità.
E speriamo soprattutto
che la riassicurazione sullo
stato di salute del sistema
bancario italiano sia, con
buona pace dell’Economist,
corrispondente alla situazione effettiva delle banche
italiane.
Il Mattino
CARTA CANTA
I conti degli eredi del principe Caracciolo
DI
S
ANDREA GIACOBINO
celte diverse per Carlo Edoardo Revelli Caracciolo di
Melito, la sorella Margherita,
e Giacaranda, eredi del defunto fondatore di Repubblica e tutti e tre
azionisti del Gruppo Espresso. Pochi
giorni fa, infatti, sono stati depositati i
bilanci 2014 delle holding Prosper, Erga
Omnes e Sia Blu attraverso le quali
Carlo, Margherita e Giacaranda detengono, rispettivamente, il 2,8%, il 2,6% e
il 6,3% del gruppo editoriale. La prima
ha chiuso l’esercizio con una miniperdita di 188 mila euro di poco superiore
al passivo del precedente esercizio; la
seconda è passata anno su anno da un
passivo di 21 mila euro a una perdita
di 3,7 milioni così come la terza è finita
in rosso per 185 mila euro.
Le performance delle società dei
due eredi Caracciolo si leggono alla
luce delle politiche bilancistiche adottate. La Prosper di Carlo ha mantenuto
in carico la partecipazione nell’Espresso a 15,6 milioni mentre Margherita
Caracciolo, alla luce dell’andamento
borsistico del titolo del gruppo editoriale, ha svalutato la quota di 3,7 milioni
portandola in carico a 10,9 milioni, pari
a poco più di un euro ad azione. Giacaranda, invece, ha mantenuto il valore
complessivo di carico della partecipazione Espresso di quasi 33,4 milioni,
pari a 1,3 euro ad azione. La significativa potenziale minusvalenza rispetto
al prezzo borsistico di un euro di fine
2015 non è stata però ritenuta una perdita durevole di valore, vista proprio
la forte volatilità del titolo del gruppo
editoriale. Anno su anno Giacaranda,
tra gli asset non immobilizzati, detiene
obbligazioni Bei per 370 mila euro ed
etf per circa 300 mila euro.
Migliora la salute della
cassaforte di Colaninno
Roberto Colaninno migliora la
salute della sua cassaforte, dal civilistico al consolidato. Nei giorni
scorsi, infatti, a Mantova si è tenuta
l’assemblea di Omniaholding, capogruppo delle attività di Colaninno che
la presiede e la controlla assieme ai
figli Matteo e Michele. La riunione è servita per riportare a nuovo la
perdita di soli 350 mila euro segnata
nell’esercizio ordinario 2015, migliore
del rosso di circa 2 milioni del precedente bilancio. Più che i numeri del
civilistico, sono interessanti le cifre
del consolidato 2015 della holding di
Colaninno che evidenziano, anno su
anno, un significativo aumento dei
ricavi da 1,27 a 1,36 miliardi, con un
ebitda salito da 148 a 160 milioni,
tanto che l’ultima riga vede la perdita ridursi sensibilmente da oltre 38
milioni a 6,7 milioni. La crescita del
fatturato è in larga parte attribuibile
a Piaggio (1,3 miliardi) e per 61,8 milioni al settore navale (Intermarine).
C’è da osservare, peraltro, che sui risultati 2014 di Omniaholding aveva
pesato molto la svalutazione sulla
quota Alitalia di 64,3 milioni.
Il gruppo, che impiega circa
7mila 400 addetti e ha un patrimonio netto di 392 milioni, ha visto
salire anche l’indebitamento finanziario netto da 993 milioni a oltre un
miliardo e ciò per via di investimenti
lordi pari a 106,6 milioni. Nel 2015
la holding di Colaninno sborsando
1,3 milioni ha sottoscritto pro-quota
l’aumento di capitale della controllata Omniainvest mantenendo la partecipazione all’83,8% e ha aumentato la
presenza in Immsi dal 13,7% al 14%.
Tra le partecipazioni in altre imprese
figurano il 14,8% di Banca Popolare
di Mantova (in carico 7,2 milioni), di
cui Michele Colaninno è vicepresidente, e un pacchetto di titoli Unicredit
(pari allo 0,05% del capitale) iscritti
per 16 milioni.