Curare la metafora - Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali

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Transcript Curare la metafora - Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali

- Ente autorizzato, dall'Ordine Assistenti Sociali Nazionale,
all’organizzazione di attività di formazione professionale continua (id=176);
- Ente iscritto al registro degli “Enti di Formazione
del Ministero della Giustizia per la mediazione
civile e commerciale” al n. 389
CURARE LA METAFORA
DALLA CURA DEL SINTOMO ALLA CURA DELLA PERSONA
Un Percorso Di Medical Humanities
DOCENTE
Massimo Silvano Galli
PROGRAMMA 16 ORE
A CHI SI RIVOLGE
Il corso è aperto a tutti i professionisti della cura e dell'aiuto alla persona: medici,
infermieri, assistenti sociali, terapeuti, psicologi, counselor, etc.
OBIETTIVI DEL CORSO
I progressi della ricerca e della tecnologia medica stanno drasticamente mutando
l’approccio alla malattia, alla sua diagnosi e alla sua terapia, riconoscendo sempre
maggiore rilevanza agli stili di vita dei singoli individui e, aprendo, di conseguenza, alla
necessità di una sempre più attenta personalizzazione della cura.
Obiettivo del corso è promuovere questo sguardo che si posa sulla cura attraverso le
diverse ottiche dell’arte, della letteratura e della poesia, sia osservate nella loro
specifica qualità di oggetti mediatici sempre capaci di mostrare un lato inusitato delle
cose, sia quali strumenti di una vera e propria sperimentazione personale.
METODOLOGIA
Il percorso si svolge secondo modalità interattive che sottintendono approcci diversi e
complementari alla tematica in esame: teorico e di confronto con i partecipanti e
pragmatico laboratoriale attraverso un percorso in cui i partecipanti saranno chiamati a
realizzare una piccola opera di cura attraverso gli strumenti dell’arte.
DURATA
Il percorso si svolge in 2 incontri della durata di 8 ore ciascuno. .
(Programma dettagliato allegato lett. “A”)
Calendario date:Sassari
- venerdì 24 Settembre 2016 - ore 9-13 / 15-19;
- sabato 25 Settembre 2016 - ore 09 – 13 / 15 – 19;
Costo: euro 180,00
Crediti Formativi: in fase di accreditamento
SEDE:
Hotel Leonardo Da Vinci
Via Roma 76
Mille Libri Formazione snc Via dei Mille 11- 07100 Sassari Tel. Fax 079 200230 Email [email protected]
- Ente autorizzato, dall'Ordine Assistenti Sociali Nazionale,
all’organizzazione di attività di formazione professionale continua (id=176);
- Ente iscritto al registro degli “Enti di Formazione
del Ministero della Giustizia per la mediazione
civile e commerciale” al n. 389
CURARE LA METAFORA
DALLA CURA DEL SINTOMO ALLA CURA DELLA PERSONA
Un Percorso Di Medical Humanities
DOCENTE
Massimo Silvano Galli
PROGRAMMA 16 ORE – all. A – pag. 1
PREMESSE
Lo diceva già Aristotele: "Le malattie sono astrazioni costruite dall'uomo, esse non esistono in sé.".
Certo, da allora sono passati ben più di un paio di millenni, ma non è una buona scusa per essercene dimenticati,
né per emarginare l'affermazione del buon Aristotele tra le polverose massime di una disusa saggezza, buone
solamente per farsi belli a qualche convegno o, mal che vada, sulla propria pagina di Facebook.
Dovremmo, invece, soprattutto noi, professionisti dell'aiuto alla persona, noi che operiamo in quel difficile labirinto in
cui s'aggirano palpabili e impalpabili malesseri, noi dovremmo stamparci questa affermazione a caratteri cubitali,
sulla soglia del nostro cerebro come su quella dei nostri studi.
Noi e i nostri pazienti/clienti dobbiamo, cioè, essere consapevoli che, ogni volta che ci ammaliamo o, meglio: ogni
volta che, a partire da uno stato di malessere, ci rivolgiamo all'esperto di turno con la speranza di riconquistare il
perduto benessere, ci sottoponiamo a una definizione storicamente, culturalmente e spesso soggettivamente
determinata.
Questo è il monito che dobbiamo evocare come un mantra, ogniqualvolta si varchi il territorio della cura: la
consapevolezza che disturbi, disabilità, conclamate patologie, non esclusa la peggiore di tutte: la morte, sono
parametri che valgono nel qui e ora di ogni contemporaneità e qui e ora forniscono, a volte, risposte che risultano in
qualche modo validanti.
Certo, tale consapevolezza aumenta esponenzialmente laddove il malessere che accusiamo non è ad oggi
strumentalmente rilevabile, come ad esempio i fumosi "morbus sine materia" che coinvolgono la psiche e i suoi
dintorni. Ciò detto, la considerazione di Aristotele, se nell'inorganico trova il suo più vistoso monumento, non esclude
malattie apparentemente più oggettive.
In una prospettiva più ampia, dobbiamo, infatti, pensare che l'instabilità diagnostica delle malattie inorganiche, quella
instabilità che porta (con troppa leggerezza) a candidare uomini e donne al podio di qualche turba psichica,
rappresenta solo l'evidenza di un fenomeno che, Aristotele docet, riguarda il concetto di malattia tutta e, quindi, le
malattie tutte.
Non è, cioè, che le patologie della psiche sono più arbitrarie perché, almeno ad oggi, non esistono analisi del
sangue, radiografie, Tac o altri esami chimico/fisici che ne restituiscano la prova provata. Bensì che, qualsivoglia
prova provata, è da considerarsi una convenzione socialmente e culturalmente determinata.
Questo non significa che (almeno personalmente) se la mia glicemia risulta alle stelle non debba andare a fare gli
opportuni approfondimenti e, conseguentemente, seguire le opportune cure.
La questione, per quanto paradossale, è ben più sottile e, credo, più importante. E' cioè, necessario “non crederci
ciecamente”. Comprendere la complessità che si cela nel fenomeno tutto umano della "malattia" e della morte quale
suo epilogo, complessitàà che risulta salvifica per la cura e che dovrebbe essere patrimonio del curato ma,
soprattutto, del curante, proprio affinché la cura, al di la di ogni tentata guarigione (sulla cui differenza tanto ci
sarebbe da speculare), vada ad effetto.
Come non ricordare, infatti, che malattie apparentemente più organiche come, a proposito di glicemia, il diabete,
sono state oggetto negli ultimi decenni di rinnovati sguardi clinici che ne hanno, anche opportunamente, abbassato
la soglia di tolleranza, cosicché, da un giorno all'altro, milioni di persone che non erano malate lo sono diventate, con
conseguente intervento terapeutico e (of course) farmaceutico -si pensi che, fino alla metàà degli anni Ottanta del
secolo scorso, i diabetici erano circa 30 milioni, mentre oggi sfiorano i 300 milioni e, tra questi, sempre più numerosi
sono i Bambini.
Si dirà: "Questa è la prevenzione, bellezza!", una delle più grandi invenzioni della nostra contemporaneitàà, la stessa
prevenzione che, nel 1847, portò Ignác Fülöp Semmelweis a intuire che, se i medici si fossero lavati le mani, forse
sarebbero diminuite le morti per infezione.
Peccato che, prima di questa geniale pensata, quelle morti per infezione causate dall'incuria (per quanto
inconsapevole) del medico, prendevano il nome (ad esempio) di "febbre puerperale", con la stessa facilitaà con cui
"l'asino della classe" di ieri, quel bambino svogliato e un po' "duro di comprendonio" che finiva spesso dietro la
lavagna, è oggi affetto da "disturbi dell'apprendimento" per poi, magari domani, diventare finalmente un bambino
senza etichetta alcuna, quando, per fare un'ipotesi, verrà attribuita la responsabilitàà di questo apparente disturbo (o
comunque del suo spropositato aumento) all'insensato passaggio dal metodo alfabetico-fonetico al metodo globale
visivo, metodo che inopportunamente introduce, come sostengono ormai diverse ricerche, una tecnica di lettura
ideografica su un sistema di scrittura alfabetica.
Mille Libri Formazione snc Via dei Mille 11- 07100 Sassari Tel. Fax 079 200230 Email [email protected]
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Un Percorso Di Medical Humanities
DOCENTE
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PROGRAMMA 16 ORE – all. A – pag. 2
Purtroppo affinché l'intuizione di Semmelweis venisse applicata in modo generalizzato (grazie alle dimostrazioni
sulle contaminazioni batteriche di Pasteur), dovettero passare circa quarant'anni.
Nel frattempo la cultura dominante dell'epoca preferì continuare a mietere vittime credendo che esistevano patologie
come la "febbre puerperale", allo stesso modo in cui oggi “crediamo” che esitano il diabete o i disturbi
dell'apprendimento.
Come bene racconta Susan Sontag nel suo bellissimo "Malattia come metafora", ognuno di noi ha, fin dalla nascita,
una doppia cittadinanza: nel regno dello stare bene e in quello dello stare male. In entrambi malattia e salute,
funzionalità e disfunzionalità sono infarciti di mitologie e metafore strettamente connesse al tempo e al territorio che
abitano, fino a divenire altro da quello che sono, o dovrebbero essere: una condizione del corpo biologico che,
giorno per giorno, si misura con i suoi limiti e le sue opportunità e, in base ad essi, chiede o dà aiuto, fino arrivare a
un punto in cui smette definitivamente di funzionare.
Questo non significa, è bene ribadirlo, che diabete, disturbi dell'apprendimento o quant'altro non vadano
adeguatamente curati attraverso le conoscenze e i rimedi che oggi disponiamo, ma che ogni cura dovrebbe
contemplare, insieme alle modalità in uso per cercare di ridurre o eliminare il malessere, la presa in carico di quel
malessere nella sua funzione di metafora, andando a stanare i significati negativi che quella metafora produce nel
soggetto e nel suo universo relazionale.
E qui che entra in gioco la cosiddetta “medicina umana” (o medical humanities) che, a partire degli anni ’60 del
secolo scorso, si prodiga per arricchire gli studi nelle scienze mediche con le discipline umanistiche, focalizzandosi
tanto sulle questioni quotidiane che sorgono dall’incontro tra sanitari e pazienti, quanto sulla complessità delle
decisioni connesse con la gestione politica e amministrativa della sanità.
Certo, la medicina, per definizione, non può che essere umana, ma con il termine “medical humanities” si intende
qualcosa di più profondo che umanizzare la sanitàà o rendere i suoi professionisti più “umani”. Le medical
humanities, infatti, si propongono di ricondurre le pratiche delle sanità alle sue finalità originarie: essere medicina per
l’uomo, ritornare a praticare quell'arte lunga raccontata da Ippocrate e quel «pensare da medico» che richiama ad
una indispensabile individualizzazione di ogni singolo caso, un subordinare la malattia al malato, senza
scindere i sintomi dalla sua storia, dall’ambiente in cui vive, ama, costruisce, lavora.
Troppe volte, necessità di varia ragione, accompagnate da distorsioni formative, trasformano invece l’incontro tra
curante e curato in uno sterile protocollo in cui il curante prende le sembianze di una macchina da cui si pretende la
guarigione e il curato quelle di una patologia che ne snatura l’intero.
A tutto discapito del benessere del paziente e del medico, l’’umano si distorce e viene così meno quel rapporto
pedagogico di attenzione alla complessità della persona (sia esso-appunto- medico o paziente -con un accento sul
paziente, quale ovvia parte più debole) che ormai tutte le ricerche ci dicono indispensabile alla cura e determinate
alla guarigione.
Entrambe queste alterazioni finiscono per essere nocive.
Non a caso, ad esempio, a differenza del passato, medico e malato vanno sempre più perdendo la loro necessaria
relazione di complicità e si dispongono e sono disposti sempre più come figure ostili, dalla cui distanza relazionale
promana la cosiddetta «medicina difensiva», che sta mietendo danni all’intera comunità –solo dal punto di vista
economico una somma che per la sanità italiana sfiora i 13 miliardi di euro, circa il 10% dello stanziamento
complessivo.
L’incontro tra curante e curato deve, oggi come mai, tornare, invece, ad essere generativo: due poli della stessa
volontà che si dispongono, complici, ad un processo che volge alla ricerca del benessere, sapendo che entrambi ne
sono, in egual misura, protagonisti.
La formazione degli operatori sanitari, sempre più doverosamente condita di specializzazioni, apparati tecnologici,
comportamenti misurabili e quantificabili, deve (forse proprio per questo) ritornare con forza a sviluppare anche
“competenze umanistiche” inglobando, insieme alle conoscenze cliniche, la capacità di entrare nel vissuto
soggettivo del paziente: senza per questo naufragare nei marosi della psicologizzazione.
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Massimo Silvano Galli
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A CHI SI RIVOLGE
Il corso è aperto a tutti i professionisti della cura e dell'aiuto alla persona: medici, infermieri,
assistenti sociali, terapeuti, psicologi, counselor, etc.
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I progressi della ricerca e della tecnologia medica stanno drasticamente mutando l’approccio alla
malattia, alla sua diagnosi e alla sua terapia, riconoscendo sempre maggiore rilevanza agli stili di
vita dei singoli individui e, aprendo, di conseguenza, alla necessità di una sempre più attenta
personalizzazione della cura.
Obiettivo del corso è promuovere questo sguardo che si posa sulla cura attraverso le diverse
ottiche dell’arte, della letteratura e della poesia, sia osservate nella loro specifica qualità di oggetti
mediatici sempre capaci di mostrare un lato inusitato delle cose, sia quali strumenti di una vera e
propria sperimentazione personale.
METODOLOGIA
Il percorso si svolge secondo modalità interattive che sottintendono approcci diversi e
complementari alla tematica in esame: teorico e di confronto con i partecipanti e pragmatico
laboratoriale attraverso un percorso in cui i partecipanti saranno chiamati a realizzare una piccola
opera di cura attraverso gli strumenti dell’arte.
DURATA
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