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Sabato, 06 febbraio 2016
IL CASO DEL GIORNO
IMPRESA
Clausola penale con
registro fisso sino
all’inadempimento
Poste attive e passive non sempre di ostacolo al
deposito del bilancio di liquidazione
/ Anita MAURO
L’individuazione del regime impositivo applicabile, dal punto di vista
dell’imposta di registro, alla clausola
penale apposta a un contratto soggetto a obbligo di registrazione (ad
esempio, un contratto di comodato
immobiliare) potrebbe sollevare alcuni dubbi.
La clausola penale (art. 1382 c.c.) è la
clausola apposta al contratto con la
quale viene predeterminata la somma che, in caso di inadempimento, la
parte inadempiente dovrà corrispondere all’altra parte. In breve, con tale
pattuizione viene liquidato convenzionalmente il danno da inadempimento, eliminando l’obbligo, della
parte che risulti danneggiata, di provarne la misura.
Tale previsione ha molto in comune
con la caparra confirmatoria, in
quanto entrambi gli istituti configurano “rimedi” per l’inadempimento
contrattuale (diversamente dalla caparra penitenziale e dalla multa penitenziale, che configurano rimedi
per il recesso anticipato), con la [...]
Dal Conservatore del Registro delle imprese di Milano le indicazioni
sull’iscrivibilità o meno del documento che conclude la liquidazione
/ Maurizio MEOLI
Il Conservatore del Registro delle
imprese di Milano, in un recente documento, si sofferma sul tema
dell’iscrizione nel Registro del deposito del bilancio finale di liquidazione, fornendo importanti indicazioni
sui casi in cui è possibile o meno ottenere tale risultato.
Innanzitutto, si afferma che l’iscrizione non è rifiutata se il bilancio finale di liquidazione presenta:
- solo crediti o poste attive, incluse
somme di denaro, e nessun cespite
passivo;
- solo poste iscritte nel passivo, perché tutto ciò che poteva essere liquidato/monetizzato è stato utilizzato
per il pagamento dei creditori sociali;
- poste debitorie e, all’attivo, solo
somme liquide da distribuire (sufficienti o meno a pagare i debiti). In
tal caso, neppure è di ostacolo il fatto che residui qualche attività materiale meramente esecutiva di quanto liquidato nel bilancio e illustrato
in Nota integrativa.
Sono invece problematici quei casi in
cui il bilancio finale di liquidazione
documenti la contemporanea presenza di poste debitorie “e” creditorie oppure di beni mobili o immobili non liquidati (e non utilizzati quali forma
“diretta” di pagamento di creditori sociali). In tali casi, infatti, l’iter liquidatorio non può dirsi concluso e, in
mancanza di adeguata regolarizzazione, l’iscrizione può essere rifiutata.
Tale esito è scongiurato, innanzitutto,
quando, in Nota integrativa/piano di
riparto, è segnalato che i creditori della società accettano di essere pagati
mediante il trasferimento, a loro favore, di tutti i crediti sociali “pro soluto”.
La medesima soluzione vale nel caso
in cui all’attivo siano iscritti crediti e
beni in natura ed al passivo solo debiti e i primi vengono tutti utilizzati
quali strumenti di “diretto” pagamento dei debiti della società, facendo risultare (in Nota integrativa) che i creditori sociali hanno accettato tale modalità di pagamento.
Il bilancio finale di [...]
PAGINA 2
PAGINA 3
IN EVIDENZA
IMPRESA
I nuovi OIC guidano al
rialzo i valori di
rivalutazione
Effetti “a cascata” della riduzione IRES dal 2017
Fissate le retribuzioni convenzionali per il 2016
Credito ricerca e sviluppo per i brevetti ottenuti internamente
all’impresa
Potenziali rincari per le imprese dalle tensioni sulle banche
ALTRE NOTIZIE
/ DA PAGINA 9
/ Gianluca ODETTO
Più imprese stanno iniziando a prendere in considerazione l’opportunità
di rivalutare i beni d’impresa con le
norme contenute nell’art. 1 commi
889-897 della L. 208/2015, [...]
PAGINA 4
ancora
IL CASO DEL GIORNO
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI SOC. COOP
Clausola penale con registro fisso sino
all’inadempimento
Al momento della pattuizione, non viene versata alcuna somma, ma solo individuata quella da
corrispondere in caso d’inadempimento
/ Anita MAURO
L’individuazione del regime impositivo applicabile, dal
punto di vista dell’imposta di registro, alla clausola penale apposta a un contratto soggetto a obbligo di registrazione (ad esempio, un contratto di comodato immobiliare) potrebbe sollevare alcuni dubbi.
La clausola penale (art. 1382 c.c.) è la clausola apposta
al contratto con la quale viene predeterminata la somma che, in caso di inadempimento, la parte inadempiente dovrà corrispondere all’altra parte. In breve, con
tale pattuizione viene liquidato convenzionalmente il
danno da inadempimento, eliminando l’obbligo, della
parte che risulti danneggiata, di provarne la misura.
Tale previsione ha molto in comune con la caparra
confirmatoria, in quanto entrambi gli istituti configurano “rimedi” per l’inadempimento contrattuale (diversamente dalla caparra penitenziale e dalla multa penitenziale, che configurano rimedi per il recesso anticipato), con la differenza che:
- la caparra confirmatoria implica il versamento anticipato della somma che, in caso di inadempimento, la
parte inadempiente potrà trattenere (o dovrà restituire
in misura doppia);
- con la clausola penale viene solo predeterminata la
somma che dovrà essere corrisposta in caso di inadempimento.
Il DPR 131/86 non individua espressamente il trattamento impositivo applicabile alla clausola penale,
mentre, all’art. 10 della Tariffa, parte I, allegata al DPR
131/86, contempla il trattamento impositivo della caparra confirmatoria (per la trattazione del quale si rinvia a “Caparra confirmatoria - aspetti civilistici e fiscali”, Schede di Aggiornamento n. 2/2015).
Tale silenzio potrebbe determinare qualche dubbio sul
corretto trattamento impositivo della clausola penale.
Nella ris. 16 luglio 2004 n. 91, l’Agenzia delle Entrate,
dopo aver chiarito che il pagamento di una somma a
titolo di clausola penale non rileva ai fini IVA a norma
dell’art. 15 comma 1 n. 1 del DPR 633/72, ha precisato
che tale somma è soggetta ad imposta di registro del
3% a norma dell’art. 9 della Tariffa, parte I, allegata al
DPR 131/86. Tuttavia – prosegue l’Agenzia delle Entrate nella ris. n. 91/2004 – atteso che la clausola produce
effetti solo in caso di inadempimento dell’obbligazione contrattuale, ai fini dell’imposta di registro trova ap-
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plicazione, per analogia, la disciplina degli atti sottoposti a condizione sospensiva, di cui all’art. 27 del DPR
131/86.
Tale norma prevede, in particolare, che gli atti sottoposti a condizione sospensiva siano registrati con il pagamento dell’imposta in misura fissa e solo in un secondo momento, ove la condizione si realizzi o l’atto
produca comunque i suoi effetti, debba essere pagata
l’imposta di registro sull’atto medesimo.
Si applica per analogia la disciplina della condizione
Alla luce di detti elementi, più di recente confermati
anche dalla DRE Lombardia nella nota 12 luglio 2013 n.
77546, si può concludere che, al momento della registrazione del contratto che contiene la clausola penale,
su questa ultima sia dovuta l’imposta di registro nella
misura fissa di 200 euro, a norma dell’art. 27 comma 1
del DPR 131/86. Solo ove, poi, l’inadempimento si configuri e la somma pattuita a titolo di penale venga corrisposta, su di essa dovrà essere pagata l’imposta di registro del 3%, a norma del combinato disposto degli artt.
9 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86 e 27 comma 2 del DLgs. 131/86 (al netto dell’imposta di 200 euro
da versare al momento della registrazione).
Si rileva, da ultimo, che l’imposta di registro fissa dovuta sulla clausola penale non dovrebbe essere “assorbita” dall’imposta di registro corrisposta sul contratto,
atteso che le due disposizioni risultano “autonome” e
non possono dirsi legate dal vincolo di derivazione necessaria che l’art. 21 comma 2 del DPR 131/86 richiede
per l’applicazione della tassazione unica (in tal senso,
si veda anche la nota DRE Lombardia n. 77546/2013,
secondo la quale la clausola penale “assume natura autonoma, seppure a carattere accessorio, rispetto al
contenuto e alla causa del contratto principale in relazione al quale non ha un rapporto di necessario collegamento e interdipendenza cfr. CTC 26 maggio 1989 n.
3723”).
Pertanto, nel caso in cui, ad esempio, la clausola penale fosse apposta ad un contratto di comodato immobiliare, alla registrazione di esso sarebbero dovute due
imposte di registro fisse, l’una sul comodato e l’altra
sulla clausola penale.
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ancora
IMPRESA
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI SOC. COOP
Poste attive e passive non sempre di ostacolo al
deposito del bilancio di liquidazione
Dal Conservatore del Registro delle imprese di Milano le indicazioni sull’iscrivibilità o meno del
documento che conclude la liquidazione
/ Maurizio MEOLI
Il Conservatore del Registro delle imprese di Milano, in
un recente documento, si sofferma sul tema dell’iscrizione nel Registro del deposito del bilancio finale di liquidazione, fornendo importanti indicazioni sui casi in
cui è possibile o meno ottenere tale risultato.
Innanzitutto, si afferma che l’iscrizione non è rifiutata
se il bilancio finale di liquidazione presenta:
- solo crediti o poste attive, incluse somme di denaro, e
nessun cespite passivo;
- solo poste iscritte nel passivo, perché tutto ciò che
poteva essere liquidato/monetizzato è stato utilizzato
per il pagamento dei creditori sociali;
- poste debitorie e, all’attivo, solo somme liquide da distribuire (sufficienti o meno a pagare i debiti). In tal caso, neppure è di ostacolo il fatto che residui qualche attività materiale meramente esecutiva di quanto liquidato nel bilancio e illustrato in Nota integrativa.
Sono invece problematici quei casi in cui il bilancio finale di liquidazione documenti la contemporanea presenza di poste debitorie “e” creditorie oppure di beni
mobili o immobili non liquidati (e non utilizzati quali
forma “diretta” di pagamento di creditori sociali). In tali casi, infatti, l’iter liquidatorio non può dirsi concluso
e, in mancanza di adeguata regolarizzazione, l’iscrizione può essere rifiutata. Tale esito è scongiurato, innanzitutto, quando, in Nota integrativa/piano di riparto, è
segnalato che i creditori della società accettano di essere pagati mediante il trasferimento, a loro favore, di
tutti i crediti sociali “pro soluto”. La medesima soluzione vale nel caso in cui all’attivo siano iscritti crediti e
beni in natura ed al passivo solo debiti e i primi vengono tutti utilizzati quali strumenti di “diretto” pagamento dei debiti della società, facendo risultare (in Nota integrativa) che i creditori sociali hanno accettato tale
modalità di pagamento.
Il bilancio finale di liquidazione, ancora, è iscrivibile in
presenza di poste debitorie “e” creditorie che hanno
tutte natura tributaria (esplicitata in bilancio/Nota integrativa/Piano di riparto o dichiarata dal liquidatore
nel Modello Note firmato digitalmente o in una dichiarazione sottoscritta con firma autografa). Questa è
un’eccezione all’indicazione generale di non iscrivibilità riconducibile all’art. 28 comma 4 del DLgs.
175/2014, da cui emerge che i debiti tributari e contributivi della società restano tali, ovvero debiti della società, anche successivamente alla cancellazione di essa.
Il bilancio finale di liquidazione è poi iscrivibile in presenza: di crediti (di qualsiasi natura) e di debiti solo
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verso i soci o solo verso i soci e/o il liquidatore; di soli
crediti tributari all’attivo e debiti vari al passivo, a condizione che i primi divengano esigibili con la chiusura
della liquidazione (ad esempio, tramite la presentazione della dichiarazione dei redditi o IVA all’interno del
periodo di liquidazione); di soli crediti a lunga scadenza di sicura liquidità ed esigibilità (ad esempio, polizze assicurative o crediti assistiti da garanzie bancarie)
all’attivo e debiti vari al passivo, indicando la data di
scadenza di molto successiva alla richiesta di iscrizione (se, infatti, il credito in questione è “a breve scadenza” rispetto alla richiesta di iscrizione, occorre attendere lo scadere del termine e provvedere alla liquidazione/incasso del credito ed ai pagamenti dovuti); di varie poste debitorie e crediti in parte controversi (oggetto di contenzioso), a condizione che il pagamento dei
creditori risulti assicurato dai cespiti attivi liquidi; di
poste debitorie, di cui alcune controverse (oggetto di
contenzioso), e poste creditorie, a condizione che queste ultime siano tutte liquide; di poste debitorie e creditorie, con Nota integrativa/piano di riparto che segnala la presenza di un accollo liberatorio dei debiti da
parte di un socio o di un terzo e che ripartisce l’eventuale attivo; di debiti vari e, all’attivo, di un deposito
vincolato (di composizione varia) destinato al pagamento futuro dei debiti della società, a condizione che
si ricada in uno dei casi sopra indicati, dal momento
che, in quanto tale, il deposito vincolato non determina alcun progresso dell’iter liquidatorio; di crediti e debiti con allegata una Nota integrativa/piano di riparto
che, a fronte della cessione di tutti i crediti indicati a
bilancio, riporti che vi è stato un corrispettivo in denaro, di pari importo nominale, versato dal cessionario.
Rispetto al principio generale della non iscrivibilità dei
bilanci recanti sia poste attive che passive, poi, si osserva come non presenti rilievo l’invio telematico di
dichiarazioni liberatorie da parte dei titolari di crediti
iscritti nel passivo del bilancio finale già trasmesso
senza indicazioni in merito, occorrendo invece l’invio
di una nuova Nota integrativa/piano di riparto o la dichiarazione del liquidatore nel Modello Note (digitalmente sottoscritto) con reinvio dell’istanza.
Resta ferma, infine, l’impossibilità di iscrivere il deposito del bilancio finale di liquidazione che riporti a “zero” tutte le poste attive e passive in seguito all’istituzione di un trust liquidatorio ovvero di un trust cui siano
conferite le attività e le passività sociali affinché la liquidazione sia successivamente compiuta dal trustee
(cfr. Trib. Milano 22 novembre 2013).
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ancora
IMPRESA
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI SOC. COOP
I nuovi OIC guidano al rialzo i valori di rivalutazione
Il valore massimo è individuato dall’OIC 16 nel valore recuperabile del bene e non nel suo valore di
utilizzo
/ Gianluca ODETTO
Più imprese stanno iniziando a prendere in considerazione l’opportunità di rivalutare i beni d’impresa con le
norme contenute nell’art. 1 commi 889-897 della L.
208/2015, nonostante l’imposizione sostitutiva risulti
particolarmente gravosa.
L’operazione segue le consuete regole, delineate ormai
quindici anni fa dagli artt. 10 e seguenti della L.
342/2000 e sostanzialmente ancora in vigore, in quanto espressamente richiamate. Questa disciplina si innesta, però, su una prassi contabile cambiata per effetto della revisione dell’intero impianto dei principi contabili, operata nel 2014, fatto che impone alcune valutazioni di compatibilità con le “vecchie” norme.
In linea generale, l’art. 11 comma 2 della L. 342/2000
prevede che i valori iscritti in bilancio a seguito della
rivalutazione non possano superare quelli attribuibili
ai beni in base:
- alla loro consistenza, capacità produttiva, effettiva
possibilità di utilizzazione economica nell’impresa
(criteri di valore “interni”);
- ai valori correnti (criterio di valore “esterno”).
Secondo un orientamento pressoché unanime adottato in passato, esigenze di tutela dei soci e dei creditori
imponevano di attribuire ai beni valori recuperabili
tramite l’ammortamento; di fatto, l’impresa doveva essere in grado di realizzare durante la propria vita un
ammontare di ricavi sufficienti a coprire tutti i costi e
le spese relativi al bene, ammortamento compreso. Ad
esempio, per un immobile rivalutato dal costo storico
di 600.000 euro al valore corrente di 1.100.000 euro, la
rivalutazione effettuata (500.000 euro) doveva essere
“coperta” dai ricavi ottenuti dal bene stesso. Ipotizzando un ammortamento dei maggiori valori in 33 anni,
essi concorrono alla formazione del risultato dell’esercizio per 15.000 euro annui, importo che l’impresa doveva essere in grado di ottenere con i canoni di locazione dell’immobile.
Secondo il documento interpretativo OIC 3, gli amministratori devono quindi prestare un’attenzione particolare nei casi in cui l’impresa che intende rivalutare i
beni abbia una scarsa redditività, in quanto in caso
contrario questa potrebbe essere pregiudicata dai maggiori ammortamenti. Ad avviso dell’OIC, la rivalutazione non è però incompatibile con le situazioni di impre-
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se in perdita, pur se impone un’attenzione maggiore
agli amministratori e agli organi di controllo.
In questo panorama si innesta la nuova formulazione
del principio contabile OIC 16 (§ 68), secondo cui il valore massimo deve essere individuato nel valore recuperabile dell’immobilizzazione. Tale valore è individuabile:
- in via ordinaria, quale maggior valore tra il valore
equo e il valore d’uso, determinato in sostanza in base
al valore attuale dei flussi di cassa attesi;
- per le piccole e medie imprese, quale maggiore tra il
valore equo e il valore d’uso determinato, come in precedenza accennato, con il criterio semplificato della
capacità di ammortamento.
Il valore equo, a sua volta, è determinato, secondo il documento OIC 9, in base all’ammontare ottenibile da
una vendita tra parti indipendenti.
Rimane l’attenzione per le imprese in perdita
Con questo mutamento di linea interpretativa potrebbero dirsi di fatto ridimensionate le problematiche relative alla rivalutazione operata da imprese in perdita,
in precedenza tratteggiate; ciò dovrebbe essere dovuto
al fatto che, dovendosi guardare al maggiore tra il valore equo e quello basato sulla capacità di ammortamento, se il primo (di fatto, il valore di mercato) è più elevato, sarebbe questo il valore che teoricamente può essere assunto.
In realtà, per le imprese in perdita questo fatto potrebbe paradossalmente rendere più difficile, e non più
semplice, la valutazione dell’operazione non solo per
l’organo amministrativo, ma soprattutto per l’organo di
controllo. Lo stesso OIC 16 precisa infatti, al § 69, che
se negli esercizi successivi il valore del bene eccede il
valore recuperabile, occorre effettuare una svalutazione per perdita durevole di valore. Si impongono quindi
valutazioni rigorose sull’effetto della rivalutazione sulla struttura patrimoniale ed economica della società,
soprattutto nei casi in cui l’operazione possa in qualche modo essere finalizzata a mascherare situazioni
di crisi d’impresa e a posticiparne gli effetti agli esercizi successivi.
/ 04
ancora
FISCO
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI SOC. COOP
Effetti “a cascata” della riduzione IRES dal 2017
La circolare n. 1/2016 del Consorzio Intesa San Paolo esamina la riduzione dell’aliquota IRES e le
relative ripercussioni
/ Luisa CORSO
La circolare informativa n. 1/2016 del Consorzio Studi e
Ricerche Fiscali del Gruppo Intesa Sanpaolo, diffusa ieri, offre un commento di alcune novità in materia di
imposizione diretta introdotte della L. 208/2015 (legge
di stabilità 2016), soffermandosi, in particolare, sulla riduzione di 3,5 punti percentuali dell’aliquota ordinaria
IRES (compensata, per il settore bancario e finanziario,
da una corrispondente addizionale IRES).
A decorrere dal periodo di imposta 2017, nello specifico, l’aliquota ordinaria IRES di cui all’art. 77 del TUIR è
ridotta dal 27,5% al 24% con effetto generalizzato per
tutti i soggetti passivi dell’imposta di cui all’art. 73 del
TUIR e per qualsiasi categoria reddituale, anche non
d’impresa, che concorra alla formazione del reddito
complessivo; ne beneficeranno quindi – precisa la circolare – le società di capitali, gli enti commerciali residenti, gli enti non commerciali residenti e le società ed
enti non residenti, comprese le loro stabili organizzazioni situate nel territorio dello Stato.
È altresì disposta la riduzione, dall’1,375% all’1,2%,
dell’aliquota della ritenuta a titolo d’imposta sugli utili
corrisposti a società ed enti soggetti all’imposta sul
reddito delle società in uno stato membro UE o in uno
Stato aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo inclusi nella white list (si tratta di Norvegia e
Islanda).
La circolare esamina anche gli effetti di natura contabile, precisando come la riduzione dell’aliquota renda
necessaria una nuova valutazione dell’ammontare di
imposte anticipate e differite iscritte in bilancio, con
conseguente imputazione del relativo adeguamento
già nel bilancio di esercizio 2015.
Al fine di garantire l’invarianza del livello di tassazione complessivo dei dividendi e delle plusvalenze (società più socio), con decreto del Ministero dell’Economia e delle finanze saranno proporzionalmente rideterminate le percentuali di imponibilità di dividendi e
plusvalenze di cui agli artt. 47 comma 1, 58 comma 2,
59 e 68 comma 3 del TUIR, nonché la percentuale di
utili percepiti dagli enti non commerciali che non concorre alla formazione del reddito degli stessi di cui
all’art. 4 comma 1 lett. q) del DLgs. 12 dicembre 2003 n.
344.
La rimodulazione si tradurrebbe in un aumento dell’at-
Eutekne.Info / Sabato, 06 febbraio 2016
tuale percentuale di imponibilità degli utili netti in capo ai percettori IRPEF dal 49,72% sino al 58% (misura
chiaramente da confermare da parte del suddetto decreto ministeriale).
La circolare analizza inoltre le ripercussioni della riduzione dell’aliquota IRES su alcuni regimi fiscali.
In primo luogo, la nuova aliquota ha riflessi sulla valutazione di convenienza per l’ACE: l’agevolazione, spiega la circolare, è tanto più consistente quanto più elevata è l’aliquota impositiva del reddito d’impresa rispetto a quella applicabile sui redditi finanziari realizzabili dal socio con impieghi alternativi del capitale.
Inoltre, rispetto al passato, si riduce il risparmio di imposta derivante dal c.d. riallineamento volontario di
cui all’art. 15 commi 10, 10-bis e 10-ter del DL 185/2008,
posto che l’imposta sostitutiva sui maggiori valori rimane al 16%, mentre la deduzione degli ammortamenti avverrà al 24% anziché al 27,5%.
Da ultimo, si segnala come la legge di stabilità 2016 abbia conseguentemente coordinato la disciplina CFC,
modificando la disposizione in materia di imposizione per trasparenza degli utili delle imprese estere controllate di cui all’art. 167 comma 6 del TUIR. Tale norma dispone, con decorrenza dal 2016, che i redditi del
soggetto non residente sono assoggettati a tassazione
separata con l’aliquota media applicata sul reddito
complessivo del soggetto residente “e, comunque, non
inferiore all’aliquota ordinaria dell’imposta sul reddito
delle società”; in base alla precedente formulazione, invece, l’aliquota applicabile non poteva essere inferiore
al 27%.
La circolare sottolinea, al riguardo, come la riduzione
dell’aliquota IRES avrà ripercussioni sull’individuazione degli Stati a regime fiscale privilegiato la quale, in
base alla nuova formulazione dell’art. 167 comma 4 del
TUIR, non avverrà più sulla base dell’elencazione ministeriale; dal 2016, infatti, si considerano a fiscalità privilegiata gli Stati “laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia”. Tale qualificazione rileva anche ai fini
della disciplina dei dividendi esteri provenienti da Stati a regime fiscale privilegiato (artt. 47 comma 4 e 89
comma 3 del TUIR).
/ 05
ancora
LAVORO & PREVIDENZA
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI SOC. COOP
Fissate le retribuzioni convenzionali per il 2016
Vanno utilizzate come base imponibile per il calcolo dei contributi dovuti in Italia da lavoratori operanti
in Paesi extra-Ue
/ Andrea COSTA
Come di consueto, con decreto del Ministro del Lavoro,
di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze, sono state individuate le retribuzioni convenzionali mensili da utilizzare nel corso del 2016 quale base
imponibile ai fini del calcolo dei contributi – e delle
imposte – dovuti in Italia dai lavoratori operanti
all’estero in Paesi extra-Ue. Trattasi nello specifico del
DM 25 gennaio 2016, pubblicato sulla G.U. n. 24 del 30
gennaio 2016, emanato in attuazione dell’art. 4 del DL
317/87, conv. L. 398/87.
Tale provvedimento rientra nell’ambito delle disposizioni di protezione sociale del lavoratore inviato
all’estero introdotte a seguito della nota sentenza della
Corte Costituzionale del 30 dicembre 1985 n. 369, che
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quelle
norme che non prevedessero la copertura assicurativa
a favore di tali tipologie di lavoratori. Successivamente, ma solo a partire dal 1° gennaio 2001, le retribuzioni
convenzionali hanno costituito, nel rispetto delle condizioni previste dall’art. 51 comma 8-bis del TUIR, il parametro di riferimento anche per la determinazione
della base imponibile ai fini fiscali.
Limitando in questa sede l’analisi alla sola normativa
di previdenza sociale, si osserva come l’utilizzo delle
retribuzioni convenzionali come base imponibile sia
comunque circoscritto, restandone escluse le ipotesi
di mobilità transnazionale: all’interno del territorio
dell’Unione europea; nei Paesi extra-Ue in cui trovi applicazione la normativa comunitaria sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, ovvero nell’Accordo
SEE (il Liechtenstein, la Norvegia e l’Islanda) e in Svizzera; nei Paesi convenzionati con l’Italia, con riferimento alle forme assicurative contemplate nei relativi
accordi di sicurezza sociale stipulati dall’Italia.
Ne restano inoltre esclusi quei soggetti nei confronti
dei quali trovano applicazione dei regimi speciali, quali i lavoratori in trasferta, i dipendenti della Pubblica
Amministrazione, i lavoratori marittimi italiani imbarcati su navi battenti bandiera estera e i lavoratori appartenenti al personale di volo.
Più nel dettaglio, le disposizioni contenute nella L.
398/87, indipendentemente dalla circostanza che
Eutekne.Info / Sabato, 06 febbraio 2016
all’estero si versino dei contributi sulla base del principio della territorialità, sono dirette a offrire in Italia
una tutela previdenziale minima, assicurando obbligatoriamente i lavoratori italiani, i lavoratori cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea e i lavoratori
extracomunitari titolari di un regolare titolo di soggiorno e di un contratto di lavoro in Italia che vengano inviati in un Paese extracomunitario dal proprio datore
di lavoro a: assicurazione per l’Invalidità, la Vecchiaia e
i Superstiti (IVS), disoccupazione involontaria, infortuni sul lavoro e malattie professionali, malattia e maternità, fondo di garanzia del TFR.
Come recentemente confermato dal messaggio INPS
n. 77/2016 e dal Ministero del Lavoro con la nota prot.
n. 26327/2015 tra le assicurazioni obbligatorie previste
dalla L. 398/87 non rientra sia la contribuzione destinata al finanziamento dei trattamenti di integrazione
salariale ordinari e straordinari, sia la contribuzione
destinata ai fondi di solidarietà di cui agli artt. 26 e seguenti del DLgs. n. 148/2015, coerentemente con un’interpretazione letterale del dettato normativo.
Dunque, con esclusivo riferimento alle forme contributive richiamate dalla L. 398/87, per il 2016 i contributi
debbono essere calcolati utilizzando quale base imponibile le retribuzioni convenzionali determinate dal citato decreto ministeriale.
Attese le istruzioni operative dell’INPS
Nel rinviare alla prossima circolare dell’INPS per le
modalità di calcolo della fascia retributiva nella definizione della base imponibile previdenziale, si evidenzia
come la stessa norma, al fine di ridurre il carico contributivo, abbia previsto l’abbattimento di 10 punti percentuali dell’aliquota complessivamente dovuta dal
datore di lavoro per l’IVS e per la disoccupazione, da
utilizzarsi, fino ad esaurimento delle singole aliquote,
seguendo l’ordine indicato (prima IVS, poi DS).
La predetta circolare INPS dovrà inoltre individuare le
modalità operative di regolarizzazione per chi avesse
utilizzato le retribuzioni convenzionali 2015 per l’elaborazione della busta paga di gennaio.
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ancora
FISCO
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI SOC. COOP
Credito ricerca e sviluppo per i brevetti ottenuti
internamente all’impresa
Confindustria fornisce chiarimenti sulle tipologie di costi che rientrano nell’ambito di applicazione
dell’agevolazione
/ Antonella DELLA ROVERE
La circolare di Confindustria del 29 gennaio 2016, relativa al credito di imposta per gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo, contiene importanti precisazioni anche in ordine alle tipologie di costi oggetto di
agevolazione e, in particolare, con riferimento alle spese per il personale altamente qualificato e ai brevetti.
Premesso che ai fini dello svolgimento dell’attività di
ricerca “intra muros” sono richiesti investimenti sul
piano sia organizzativo che umano, le spese rilevanti
per il nuovo regime sono quelle relative:
- al personale altamente qualificato (dipendente e non
dipendente);
- agli strumenti e alle attrezzature di laboratorio;
- alle competenze tecniche e ai brevetti.
Individuate le suindicate tre tipologie di costi c.d. “ammissibili”, la circolare di Confindustria precisa che, alla luce della normativa vigente, non rientrano nell’ambito di applicazione dell’agevolazione i costi per fabbricati e terreni, per servizi di consulenza, le spese generali, nonché, per espressa disposizione normativa,
quelli relativi a beni di costo unitario inferiore a 2.000
euro.
Quanto alle spese del personale, in considerazione del
fatto che si fa riferimento all’elevata competenza dello
stesso, secondo Confindustria sono esclusi i costi per il
“personale ausiliario” e il “personale tecnico”. Nella nozione di “personale” sarebbero pertanto inclusi i ricercatori. Secondo l’Associazione, il fatto che sia escluso
il “personale tecnico”, tuttavia, non vuol dire che le spese relative a detto personale non abbiano rilevanza, come nel caso “ad esempio di un c.d. «impianto pilota»
che l’impresa realizzi proprio come strumento per le
attività di sviluppo sperimentale ovvero del costo di un
brevetto prodotto internamente”.
Con riguardo alle competenze tecniche e ai brevetti,
Confindustria rileva come la novità più importante
della disciplina sia rappresentata dal fatto che sono inclusi i costi per brevetti ottenuti o acquisiti in licenza
da fonti esterne a prezzo di mercato e altresì le spese
per quelli ottenuti internamente all’impresa.
Ai fini della determinazione del credito d’imposta, si
considerano i costi di competenza ( ex art. 109 del
TUIR) del periodo d’imposta di riferimento “diretta-
Eutekne.Info / Sabato, 06 febbraio 2016
mente connessi allo svolgimento delle attività ammissibili”. Si applica quindi il criterio della competenza fiscale, sulla base di un principio, precisa Confindustria,
tipico delle discipline agevolative.
Tale criterio assume rilevanza non solo per le imprese
tenute alla redazione del bilancio codicistico, ma anche per quelle che adottano gli IAS, in adesione a
quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate con riguardo all’agevolazione per gli investimenti in beni
strumentali di cui all’art. 18 del DL n. 91/2014.
Per quanto riguarda le imprese che hanno iniziato ad
operare prima del 2015, la circolare di Confindustria
precisa che il regime in commento non si applica solo
“agli investimenti avviati a decorrere dal primo periodo d’imposta agevolabile, ma anche a quelli che risultino iniziati in anni precedenti”. I suindicati principi di
imputazione temporale, pertanto, vanno adeguatamente applicati anche al fine di “stabilire quali costi
assumono rilevanza per la costruzione del dato storico di raffronto (...), oltre che per “quanta parte dei relativi costi va imputata ai periodi di media e quanta parte
ai periodi agevolati”, in ipotesi di investimenti ancora
in fase di effettuazione.
Una caratteristica fondamentale è quella secondo cui i
costi, al fine di poter beneficiare dell’agevolazione, devono essere “direttamente connessi” allo svolgimento
delle attività di ricerca e sviluppo. La “diretta connessione” implica che non assumono rilevanza i costi c.d.
“indiretti”.
A tal proposito, Confindustria rileva che in considerazione della limitata serie dei costi ammessi (che non
include i costi generali e quelli del “personale ausiliario”), “la suddetta regola non sembra avere portata autonoma”. Del resto, vi è una espressa esplicitazione del
concetto in parola nell’ambito delle disposizioni che riguardano i costi di personale e i costi di strumenti e attrezzature di laboratorio.
Una categoria particolare è quella dei costi per la “ricerca contrattuale”, in relazione alla quale, secondo la
Circolare di Confindustria, “la stretta connessione con
le attività ammissibili dovrà evidentemente risultare
direttamente dal contratto e più precisamente dal suo
oggetto”.
/ 07
ancora
ECONOMIA & SOCIETÀ
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI SOC. COOP
Potenziali rincari per le imprese dalle tensioni sulle
banche
Le recenti turbolenze sul settore bancario stanno conducendo a un aumento dei principali indicatori
del costo del funding per le banche
/ Stefano PIGNATELLI
Un’altra settimana in cui ha prevalso l’avversione al rischio. Non pare imputabile a un cambiamento di scenario macro l’attuale fase negativa. Un lieve peggioramento non giustifica il pesante calo delle borse e dei
tassi “core”. Per quanto riguarda questi ultimi l’uscita
dall’azionario e in genere dagli asset a più alto rischio
ha trovato nei Bund e nei Bond Usa il porto più sicuro
(flight to quality).
Il calo è stato maggiore sui titoli americani, calo che ha
subito un’accelerazione dopo le parole accomodanti
del presidente della Fed di New York, secondo il quale
l’istituto centrale dovrà tener conto del considerevole
peggioramento delle condizioni finanziarie e dell’indebolimento dell’outlook economico mondiale intervenuti dopo il rialzo dei tassi di dicembre. I rendimenti
Bond Usa sono scesi di oltre 5 cent. in settimana. Da
quando la Fed ha alzato il Fed Fund a metà dicembre il
Bond Usa 10 anni è sceso dal 2,30% all’attuale 1,90%.
Nello stesso periodo il Bund 10 è sceso dallo 0,65%
all’odierno 0,32%.
I Bund e i tassi Irs restano stabili durante questa settimana, livelli che rappresentano i minimi assoluti su
tutte le scadenze tranne che su quelle decennali (i minimi furono segnati ad aprile 2015 allo 0,05% e allo
0,44% rispettivamente su Bund e Irs 10).
La causa principale del calo dei tassi europei è da imputarsi al flight to quality, ma le proiezioni della Commissione europea e della Bce hanno contribuito. La
Commissione europea ha tagliato le stime di crescita
per quest’anno; il Pil crescerà di 1,7% (1,8% la stima diffusa a novembre) dopo aver segnato +1,6% nel 2015. La
ripresa acquisterà un po’ di slancio l’anno prossimo
(1,9%, invariata rispetto alle proiezioni diffuse in autunno).
La Bce nel suo bollettino mensile ha sottolineato che
sebbene la crescita della zona euro proceda, le previsioni sull’inflazione potrebbero dover essere riviste al
ribasso a causa del calo dei prezzi del greggio. Sulla base degli attuali prezzi dei futures sul greggio, l’anda-
Eutekne.Info / Sabato, 06 febbraio 2016
mento dell’inflazione previsto per il 2016 è attualmente significativamente più basso rispetto alle stime dello scorso dicembre. I tassi di inflazione dovrebbero restare molto bassi o passare in negativo nei prossimi
mesi e tornare a salire soltanto a fine 2016 (verso 0,6%0,8%). La Bce vede l’inflazione per quest’anno a 0,5%,
complici le pressioni al ribasso esercitate dal crollo del
greggio; a dicembre proiettava l’1%. Se il prezzo del petrolio si risollevasse l’inflazione potrebbe tornare a crescere anche perché al netto della componente energetica l’inflazione è decisamente più alta (1%), con la Germania che mostra un aumento dei salari significativo.
È possibile che l’introduzione del bail-in stia generando timore sui correntisti delle banche europee, che
stanno provvedendo a spostare le eccedenze oltre i 100
mila euro (il limite affinché siano garantiti) su altri
strumenti come etf e fondi monetari/obbligazionari in
euro che per regolamento devono investire la liquidità.
Possibile timore dei correntisti delle banche per
l’introduzione del bail-in
Questo switch, oltre a favorire il calo dei Bund, avrebbe un impatto sui bilanci delle banche togliendo disponibilità per gli impieghi.
I Btp patiscono l’avversione al rischio con la scadenza
10 anni che sale all’1,53% (+10 cent.). La revisione al
rialzo sui conti pubblici italiani da parte della Commissione europea favorisce il rialzo dei rendimenti e l’allargarsi dello spread che sale a 120 bps.
Prosegue intanto la sofferenza delle banche in borsa e
ciò torna a ripercuotersi sui prezzi obbligazionari e sui
CDS (credit default swap) degli istituti di credito. Andando indietro nel tempo, ritroviamo livelli simili a
due anni fa, quando gli spread sui finanziamenti a medio-lungo termine erano superiori di 1% rispetto ai livelli odierni. Se non rientrerà la tensione, andremo a
registrare nei prossimi mesi un significativo rincaro
dei costi per le imprese.
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LAVORO & PREVIDENZA
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI SOC. COOP
Unica procedura per gli assegni del Fondo di
integrazione salariale
L’INPS fornisce le istruzioni per consentire alle aziende di richiedere le prestazioni garantite dal fondo
di solidarietà introdotto dal Jobs Act
/ Luca MAMONE
Il DLgs. 148/2015, attuativo del Jobs Act per quanto
concerne il riordino della disciplina degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro ha stabilito, all’art. 29, la cessazione del Fondo residuale costituito per i settori non coperti dalla CIG o dai Fondi di
settore, trasferendo di fatto le sue funzioni al Fondo di
integrazione salariale a partire dal 1° gennaio 2016. In
attesa dell’emanazione del DM di adeguamento alla disciplina del DLgs. 148/2015, con la circ. n. 22 del 4 febbraio scorso l’INPS ha fornito le prime indicazioni circa l’operatività del Fondo, nonché le istruzioni per
l’inoltro on line delle istanze di accesso alle nuove prestazioni.
Innanzitutto, si ricorda che il Fondo di integrazione salariale garantisce due tipologie di prestazione, ossia
l’assegno di solidarietà e l’assegno ordinario, di importo pari all’integrazione salariale. Pertanto, si osserva
nella circolare in commento, i trattamenti garantiti dal
Fondo sono pari all’80% della retribuzione globale che
sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non
prestate, comprese fra le ore zero e il limite dell’orario
contrattuale, ridotti di un importo pari ai contributi
previsti dall’art. 26 del DLgs. 148/2015 (riferiti ai Fondi
di solidarietà bilaterali), quantificato nella misura del
5,84%.
Entrando nello specifico, si ricorda che ai sensi dell’art.
31 del DLgs. 148/2015, l’assegno di solidarietà è garantito a seguito di un accordo collettivo aziendale con cui
si stabilisce una riduzione di orario di lavoro (mediamente non superiore al 60%) al fine di evitare o ridurre
le eccedenze di personale nel corso della procedura di
licenziamento collettivo ex art. 24 della L. 223/91, o al
fine di evitare licenziamenti plurimi individuali per
giustificato motivo oggettivo. In particolare, l’assegno è
garantito per eventi di riduzione di attività lavorativa
verificatisi dal 1° gennaio 2016, in favore dei lavoratori
dipendenti di datori di lavoro che occupano mediamente più di 15 dipendenti, nonché per eventi di riduzione di attività lavorativa verificatisi dal 1° luglio 2016,
in favore dei lavoratori dipendenti di datori di lavoro
che occupano mediamente più di 5 e sino a 15 dipendenti.
Per quanto riguarda invece l’assegno ordinario, nella
circolare n. 22/2016 si precisa che esso è garantito,
quale ulteriore prestazione, per eventi di sospensione o
riduzione di attività lavorativa verificatisi dal 1° gennaio 2016, in favore dei lavoratori dipendenti di datori di
lavoro che occupano mediamente più di 15 dipendenti,
in relazione alle causali di riduzione o sospensione
dell’attività lavorativa previste dalla normativa in materia di CIGO – ad esclusione delle intemperie stagionali – e CIGS, limitatamente alle causali per riorganizzazione e crisi aziendale.
Al momento è possibile solo la richiesta per l’assegno
ordinario
Per quanto riguarda invece le modalità di presentazione delle domande relative alle prestazioni appena descritte, nella circolare in esame si informa che l’apposita procedura è unica per entrambe, anche se al momento è possibile solo la richiesta per l’assegno ordinario.
In particolare, le domande degli assegni di solidarietà
ed ordinario vanno presentate alla sede INPS ove è
ubicata l’unità produttiva interessata. Operativamente,
è possibile reperire il format della domanda accedendo al sito www.inps.it, nei Servizi OnLine accessibili
tramite codice fiscale e PIN, per la tipologia di utente
“Aziende, consulenti e professionisti”, alla voce “Servizi per aziende e consulenti”, selezionando le opzioni
“CIG e Fondi di solidarietà” e “Fondi di solidarietà’.
L’azienda, al momento della presentazione, una volta
selezionato il Fondo di integrazione salariale, deve indicare il tipo di prestazione, il periodo, il numero dei lavoratori interessati e le ore di sospensione o di riduzione di attività lavorativa. All’istanza andranno altresì
allegati: in caso di assegno di solidarietà, l’accordo collettivo aziendale che stabilisce la riduzione dell’orario
di lavoro sottoscritto dalle organizzazioni sindacali e
dal datore di lavoro; in caso di assegno ordinario, la comunicazione ex art. 14, comma 1 del DLgs. 148/2015
dell’azienda alle rappresentanze sindacali o il verbale
di esame congiunto o l’accordo sindacale. Inoltre, andrà altresì allegato anche l’elenco dei lavoratori in forza all’unità produttiva, con dettagliata indicazione della qualifica, orario di lavoro, e così via.
Una volta completata l’acquisizione ed effettuato l’invio, la domanda verrà protocollata con successiva possibilità di stampare la ricevuta di presentazione nonché il prospetto dei dati trasmessi. La stima della prestazione sarà effettuata in automatico dalla procedura
in base ai dati forniti dall’azienda, tenendo conto del
numero dei lavoratori e delle ore di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa.
Direttore Editoriale: Michela DAMASCO
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