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Professione Economica e Sistema Sociale
Fallimenti
a rischio caos
N.088
Maggio 2016
Controcopertina
Il 730 precompilato
Economia&Lavoro
Buste arancioni
Ordini&Territorio
Prato
Press Magazine
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Primo Piano
La strada faticosa per un fisco più
giusto
di Maria Luisa Campise
!
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# 20 May 2016
Precompilata, atto secondo. Dopo l’avvio quantomeno stentato dello
scorso anno (un “numero zero”, la definì lo stesso premier Renzi, senza
far nulla per nascondere la sua insoddisfazione), siamo in queste
settimane alle prese per la seconda volta con il nuovo 730. Nel suo
secondo anno di vita il modello messo a disposizione dell’Agenzia delle
Entrate si arricchisce di 700 milioni di dati rispetto a quelli già a
disposizione dell'Amministrazione finanziaria. Sebbene molto più ricco di
dati, però, anche il modello di quest’anno resta nell’ambito della
sperimentazione. Il bilancio sull’intera “operazione precompilata”,
dunque, rimane per il momento sospeso, sebbene se ne intravvedano sin
d’ora gli aspetti positivi che potrà generare una volta definitivamente a
regime.
La precompilata, in ogni caso, resta innegabilmente l’emblema di uno
sforzo di rinnovamento del fisco italiano più ampio, che pare poter
proseguire anche dopo l’approvazione definitiva della delega fiscale. Un
percorso che i commercialisti italiani non solo monitorano passo passo,
ma del quale, con il Consiglio nazionale, sono addirittura protagonisti.
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31/05/16, 10:43
Press Magazine
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Proprio presso la sede della nostra Fondazione nazionale, in occasione di
un evento organizzato dal Consiglio nazionale lo scorso 11 maggio, il
Viceministro dell’Economia Casero ha annunciato un pacchetto di misure
di semplificazione che tra le prossime settimane e settembre (inserite
nella legge di stabilità 2017) dovrebbero divenire altrettante norme di
legge. Si va dalla sospensione feriale dei termini amministrativi a carico
del contribuente all’abrogazione della comunicazione dei beni aziendali
in godimento per i soci, dal ripristino dell’F24 cartaceo per i soggetti privi
di partita Iva alla soppressione del registro delle dichiarazioni d’intento
fino all’irrilevanza per il professionista delle spese di viaggio e trasporto
anticipate dal committente. Tutte norme chieste nei mesi scorsi dal
Consiglio nazionale dei commercialisti e che, grazie ad un proficuo lavoro
di interlocuzione con Mef e Agenzia delle Entrate, si apprestano a vedere
la luce. Ad esse dovrebbero poi aggiungersi l’abolizione degli studi di
settore per gli autonomi, una più puntuale definizione di autonoma
organizzazione ai fini dell’esenzione Irap e la proroga automatica di
sessanta giorni dei termini per dichiarazioni e versamenti.
Misure importanti, di cui il presidente del Consiglio nazionale, Gerardo
Longobardi, ed il consigliere nazionale delegato alla fiscalità, Luigi
Mandolesi, rivendicano giustamente la paternità. Nella consapevolezza
che la strada per un nuovo fisco realmente più semplice resta comunque
lunga ed irta di ostacoli. Anche perché la semplificazione fiscale non può
essere solo sinonimo di snellimento procedurale, ma deve significare
anche, forse soprattutto, un sistema chiaro, certo, stabile e coerente. Da
questo punto di vista, al netto di alcuni innegabili passi avanti compiuti
negli ultimi mesi, il traguardo resta ancora lontano.
$ Adr commercialisti
$ commercialisti
$ fisco
$ Maria Luisa Campise
MARIA LUISA CAMPISE
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31/05/16, 10:43
Primo Piano
Fallimenti a rischio caos
L’allarme dei commercialisti per l’alluvione
normativa che si sta abbattendo sulle
procedure concorsuali
di Valerio Stroppa
La disciplina delle procedure concorsuali deve essere riformata. La
riscrittura di una materia così delicata e centrale per la vita economica del
Paese non può però avvenire in maniera frammentata, disordinata e con
interventi occasionali. I commercialisti sono pronti ad assistere Governo
e Parlamento nella fase di revisione del sistema, ma è indispensabile che
la politica manifesti quella volontà di fare le cose con organicità e
sistematicità che finora è mancata, abbandonando per sempre l’approccio
episodico ed emergenziale. Tanti, troppi sono infatti i cantieri aperti da
cui passa la riforma.
Dopo la manovra della scorsa estate che ha visto la declinazione delle
proposte e delle offerte concorrenti, oltre a significative modifiche sulle
diposizioni vigenti (D.L. n. 83/2015), un tentativo di riforma organica è
stato effettuato dalla Commissione Rordorf. Il gruppo di lavoro, istituito
dal ministero della Giustizia all’inizio del 2015, ha terminato i suoi lavori
il 29 dicembre dello stesso anno con la predisposizione di uno schema di
disegno di legge delega per la riforma delle crisi di impresa e
dell’insolvenza. Testo, quest’ultimo, che il Consiglio dei Ministri ha
approvato il 10 febbraio 2016 e che sta lentamente iniziando il suo
cammino parlamentare alla Camera (AC n. 3671).
Recentemente è stato pubblicato anche il decreto legge n. 59 del 3
maggio 2016 con misure, tra l’altro, volte ad incidere, per un verso, sulla
disciplina della revoca del curatore che non rispetti i termini per la
predisposizione del progetto di riparto e, per altro verso, sulle regole di
funzionamento del comitato dei creditori.
Da ultimo, non va dimenticato che al Senato è in discussione un disegno
di legge recante modifiche al Codice civile ed al concordato preventivo
(AS n. 2211), con interventi sui compensi dei curatori, sul rafforzamento
della revocatoria fallimentare e sull’esclusione della prededuzione per gli
onorari dei professionisti impegnati nell’assistenza del debitore in caso di
concordato dichiarato inammissibile (o quando alla domanda prenotativa
non faccia seguito la presentazione del piano, o ancora in caso di rinuncia
del proponente).
«Si tratta di una situazione confusa, caratterizzata da un’alluvione
normativa che non gioverà al sistema, ma darà origine ad una
stratificazione di provvedimenti disomogenei e disarticolati», osserva
Maria Rachele Vigani, consigliere nazionale della categoria delegata alla
materia, «nonostante la proposta elaborata dalla Commissione Rordorf
rappresenti un tentativo di riforma omogeneo, completo e condiviso con
le Istituzioni, le categorie professionali ed i rappresentanti di imprese e
creditori, che dovrebbe conoscere esiti positivi. In linea generale, se ne
condivide l’impostazione in quanto in essa si tenta di dare coerenza e
unità sistematica ai numerosi interventi sparsi in leggine di settore o
recepite nella legge fallimentare in tempi diversi. Anche nella Rordorf
restano però alcuni passaggi che sono per noi “critici”».
Tra questi la previsione che “sacrifica” il concordato liquidatorio rispetto
al concordato con continuità, relegandolo a misura residuale ogni volta in
cui vengano assicurate risorse che incrementino in modo apprezzabile
l’attivo (tali cioè da rendere maggiormente conveniente per i creditori la
procedura concorsuale rispetto alla liquidazione ordinaria). Secondo il
CNDCEC, infatti, «i dati evidenziano che anche il concordato
liquidatorio (specie se misto) ha dato prova di buoni risultati». Così come
il cosiddetto “progetto Common”, introdotto per conseguire massima
trasparenza ed efficienza delle operazioni di liquidazione dell’attivo. A
parere della categoria, «le operazioni di liquidazione nell’ambito del
mercato unitario telematico nazionale, infatti, non sarebbero affatto
semplificate, né poco dispendiose».
La misura ritenuta più problematica resta però quella recata dall’articolo
6, comma 1, lettera f) del disegno di legge delega, laddove si stabilisce il
criterio generale di determinazione dei poteri del Tribunale, con
particolare riguardo alla valutazione della fattibilità del piano,
attribuendo facoltà di verificare nel merito la realizzazione economica
dello stesso. «Si tratta di un’opzione non condivisibile», ammonisce
Vigani, «che segnerebbe un ritorno al passato, anche a fronte di una
pronuncia delle Sezioni Unite piuttosto chiara al riguardo: spetta
all’attestatore il giudizio di fattibilità economica del piano o dell’accordo,
in virtù della professionalità specifica che egli vanta. Qualsiasi differente
previsione costringerebbe il Tribunale, ancorché sezione specializzata, a
dover nominare un CTU per esprimere valutazioni prognostiche circa la
fattibilità del piano e la veridicità dei dati aziendali. Non si condividono,
infine, ipotesi volte a creare nuovi albi all'interno di categorie
professionali già regolamentate dal nostro ordinamento».
Sempre a proposito del disegno di legge delega, è positivo il commento
della categoria sulle misure che riguardano la procedura di allerta e
composizione della crisi, con un rafforzato ruolo degli Organismi di
composizione (OCC). «È giusto evidenziare che la definitiva
formulazione del disegno di legge recepisce, in larga misura, le proposte
del CNDCEC», aggiunge Felice Ruscetta, consigliere nazionale delegato
alle materie concorsuali. Si tratta, a ben vedere, di tre differenti
procedimenti (o sub procedimenti): uno strettamente negoziale, gestito
dalla sezione specializzata che verrà istituita presso gli Organismi di
composizione della crisi, di cui alla legge n. 3/2012; i restanti due, di
allerta vera e propria, intesa come procedura di segnalazione e di
tempestiva emersione di segnali (sintomi) di crisi».
Con riferimento alla procedura di composizione della crisi, la delega
elimina termini fuorvianti o quanto meno ambigui che riecheggiavano
recenti modifiche avvenute nell’ambito degli istituti di Adr (vale a dire il
“wording”, riconducibile alla negoziazione assistita, materia che non
rientra tra le competenze degli OCC, che sarà sostituito con il riferimento
alle trattative).
Mentre, per quanto concerne la procedura di composizione della crisi
vera e propria - quella gestita dagli organismi di composizione negoziale il CNDCEC esprime soddisfazione rispetto ai contenuti del disegno di
legge n. 3671: «Si è delineata una procedura che potrebbe enfatizzare la
necessità di acquisire professionalità adeguate e preparate nella gestione
delle crisi di imprese, anche se alcune perplessità sorgono in merito al
meccanismo di chiusura della procedura, che vede la ricomparsa di un
nuovo professionista attestatore della situazione patrimoniale del
debitore nel caso in cui il tentativo di composizione fallisca;», chiosa
Ruscetta, «all’allerta sarà dedicata un’apposita sezione specializzata
dell’OCC, che avrà un ruolo centrale nel sistema di composizione della
crisi. Riteniamo che solamente l’istituzione di sezioni specializzate, in cui
risultino iscritti professionisti con competenze specifiche nella materia
aziendale e nelle materie giuridiche, possa garantire il funzionamento del
meccanismo di emersione anticipata della crisi».
È opportuno ricordare che l’invito ad una riforma organica della
disciplina dell’insolvenza, che in Italia trova le sue fondamenta in una
legislazione del 1942, arriva anche a livello internazionale, soprattutto da
parte dell’Unione Europea (raccomandazione n. 2014/135/UE della
Commissione del 12 marzo 2014 e regolamento UE 2015/848 del
Parlamento europeo e del Consiglio, varato il 20 maggio 2015).
Sollecitazioni analoghe pervengono pure dai princìpi della model law,
elaborati in tema di insolvenza dalla Commissione delle Nazioni Unite
per il diritto commerciale internazionale (Uncitral), alla quale hanno
partecipato i rappresentanti di molti Paesi anche in ambito extraeuropeo
(tra cui gli Stati Uniti d’America). Un set di regole e prassi operative che, in
caso di recepimento, garantirebbe il riconoscimento reciproco dei
provvedimenti giurisdizionali emessi dai giudici dei rispettivi Paesi.
VALERIO STROPPA
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Primo Piano
Il 730 Precompilato al secondo
anno di sperimentazione
Le novità del modello di quest’anno e le
criticità ancora irrisolte. Un’operazione ancora in
una fase sperimentale.
di Pasquale Saggese
E siamo così giunti alla versione 2.0 del 730 precompilato. Dal 2 maggio
è infatti possibile avvalersi del modello messo a disposizione dall’Agenzia
delle Entrate, con possibilità di presentarlo (doverosamente in via
telematica) anche con il fai da te e, da quest’anno, anche in forma
congiunta.
La dichiarazione precompilata potrà essere accettata senza modifiche
rispetto ai dati in essa riportati ovvero potrà essere rettificata e/o integrata
con i dati in essa mancanti, eventualmente risultanti anche dal foglio
informativo, allegato al modello, in cui l’Agenzia ha fatto confluire i dati
che non è stato possibile inserire direttamente in dichiarazione per
mancanza di informazioni sufficienti.
Nel suo secondo anno di vita il modello si arricchisce di 700 milioni di
dati in più rispetto a quelli già a disposizione dell'Amministrazione
finanziaria. In particolare si tratta dei dati relativi a: spese sanitarie e
relativi rimborsi, spese universitarie, spese funebri, spese per interventi
di ristrutturazione e riqualificazione energetica degli edifici e contributi
per la previdenza complementare. Queste nuove informazioni si
aggiungeranno a quelle provenienti dalle certificazioni uniche dei
sostituti d'imposta per redditi di lavoro dipendente ed assimilati, pensioni
e redditi per attività di lavoro autonomo occasionale ed ai dati trasmessi
da soggetti terzi, quali ad esempio interessi passivi sui mutui, premi
assicurativi e contributi previdenziali.
Infine sono stati utilizzati anche i dati già presenti in anagrafe tributaria,
quali ad esempio quelli derivanti dalla dichiarazione dei redditi dell'anno
precedente, i versamenti effettuati con il modello F24, così come i dati
relativi alle compravendite immobiliari ed ai contratti di locazione
registrati.
Per quanto concerne, in particolare, i dati relativi alle spese sanitarie,
sono state inviate, per l'anno d'imposta 2015, circa 400 milioni di ricette
dal Servizio sanitario nazionale, per un importo dei ticket pari a circa 1,5
miliardi di euro, e 120 milioni di documenti fiscali, per un importo pari a
circa 13 miliardi di euro. In totale, oltre 520 milioni di documenti di
spesa, riguardanti circa 50 milioni di cittadini.
Tuttavia, mancherà un’importante fetta di spese sanitarie detraibili. A
parte quelle che i contribuenti interessati (si tratta di poco più di 1.000
cittadini) hanno scelto di non far comparire nella precompilata
comunicando la propria opposizione all'utilizzo dei dati (il che ha
oscurato circa 11.000 documenti di spesa, per un importo complessivo
pari a 850.000 euro), non sono state inserite le spese relative ai farmaci
da banco.
A causa delle difficoltà tecniche legate alle modalità di conservazione dei
dati, le farmacie non hanno infatti comunicato la gran parte delle spese
per farmaci sostenute dai cittadini nel corso del 2015. Pertanto, al fine di
non disorientare i contribuenti fornendo loro un dato parziale, l’Agenzia
ha preferito non utilizzare le limitate informazioni pervenute dalle
farmacie, fatti salvi i dati relativi ai ticket farmaceutici acquisiti
direttamente dal sistema Tessera sanitaria.
Altre differenze che i contribuenti troveranno nel modello 2016 rispetto
al dato corretto, ai fini della detrazione/deduzione, possono inoltre
derivare dalla mancanza delle spese sostenute presso soggetti che, pur
appartenendo alle professioni sanitarie, non sono iscritti negli albi dei
medici e dei chirurghi, gli unici sottoposti all’obbligo di invio dei dati (si
tratta di quelle effettuate, ad esempio, presso strutture sanitarie non
accreditate, parafarmacie, odontotecnici, ottici, psicologi, logopedisti,
massofisioterapisti od ancora medici, non titolari di partita Iva, per le
prestazioni occasionali eventualmente svolte).
Per quanto concerne i rimborsi riferiti alle spese sanitarie sostenute in
anni precedenti, erogati nel 2015 da enti e casse con finalità assistenziali,
se il contribuente nelle precedenti dichiarazioni non ha portato in
detrazione le spese rimborsate oppure ha detratto le spese già al netto dei
relativi rimborsi, dovrà modificare la dichiarazione precompilata,
eliminando i rimborsi dai redditi esposti dall’Agenzia tra quelli soggetti a
tassazione separata.
Anche rispetto alle spese sostenute presso le strutture accreditate
potrebbero esserci differenze: si pensi, tra le spese di ricovero, a quelle di
comfort per la degenza indetraibili di cui è stata però consentita la
trasmissione cumulandole alle prime, od ancora alle spese per prestazioni
di chirurgia o medicina estetica che, pur essendo state comunicate, sono
in gran parte indetraibili laddove non conseguenti ad incidenti, malattie o
malformazioni congenite.
Inoltre, le spese sanitarie intestate a minori sono state attribuite sulla
base delle percentuali riguardanti i familiari a carico, indicate nelle
certificazioni uniche. Pertanto, sarà necessario modificare la
dichiarazione proposta dall’Agenzia delle Entrate nei casi in cui il
familiare, di fatto, non è fiscalmente a carico o se la spesa è stata
sostenuta da un soggetto diverso od in una percentuale diversa rispetto a
quella risultante dal prospetto dei familiari a carico.
Analogamente dovrà procedersi per le spese universitarie intestate ai
familiari a carico, mentre per le spese funebri ci si dovrà ricordare di
inserire le spese accessorie (per fiori, marmi, ecc.) non sostenute
direttamente presso l’agenzia di onoranze funebri.
Un lavoro non da poco, dunque, che molto difficilmente potrà essere
gestito con il fai da te. Come del resto già accaduto lo scorso anno. Dai
dati statistici ufficiali relativi all’anno di imposta 2014, diffusi dal
Dipartimento delle Finanze (nota del 31 marzo 2016), risulta che su circa
13 milioni di contribuenti che hanno utilizzato il nuovo modello
precompilato, 11,5 milioni lo hanno presentato tramite CAF o
professionista abilitato e circa 1,4 milioni hanno invece scelto il fai da te.
I contribuenti che hanno accettato la precompilata senza apportarvi
modifiche sono stati pari al 5,1% (poco più di 665.000 contribuenti),
mentre il restante 94,9% ha rettificato e/o integrato i dati.
E’ pur vero che la dichiarazione precompilata di quest’anno è comunque
più completa e potrà essere accettata senza integrazioni da un numero
maggiore di contribuenti, ma la sensazione che si ha è che ancora una
volta, per quanto detto, il numero delle precompilate accettate senza
modifiche non sembra essere destinato ad aumentare sensibilmente.
Guardando all’operazione “dichiarazione precompilata” nel suo
complesso, è chiaro dunque che la stessa sia ancora in una fase
sperimentale. Un’operazione che, è bene ricordare, è stata resa possibile
soltanto attraverso l’introduzione dei predetti nuovi obblighi di
comunicazione di dati a carico dei contribuenti, pesantemente sanzionati
in caso di errori od omissioni nella trasmissione telematica.
Il che ha inevitabilmente comportato, oltre al notevole sforzo
organizzativo dell’Agenzia delle Entrate per il buon esito dell’operazione,
un forte aggravio in termini di costi e di complessità delle procedure a
carico dei contribuenti e, indirettamente, dei professionisti che li
assistono, tra cui non vanno dimenticati i maggiori costi di assicurazione
per le somme dovute da professionisti e CAF in caso di visto di
conformità infedele (non rettificato entro il 10 novembre), commisurate
all’imposta ed agli interessi che sarebbero stati richiesti al contribuente
(nodo irrisolto della nuova disciplina che, sul punto, è a forte rischio di
incostituzionalità per violazione dei principi di capacità contributiva e
d’indisponibilità del tributo, nonché per l’ingiustificato arricchimento del
contribuente che la stessa determina).
Il processo di semplificazione in corso non è stato, in altri termini, “a
costo zero” per il sistema, il che deve indurre ad una riflessione sul
bilanciamento che – sempre – dovrebbe essere assicurato tra tali maggiori
costi ed i benefici che dagli stessi possono trarsi e che, nella specie,
dovrebbero essere rappresentati dal numero di contribuenti che saranno
messi in grado di accettare la precompilata senza modifiche.
Da questo punto di vista, un sistema fiscale complesso come il nostro non
invoglia certo all’ottimismo.
Semplificare il Fisco, peraltro, non significa solo snellire le procedure come pure è doveroso - né cercare di rendere banale ed eseguibile da tutti
ciò che, al contrario, richiede specifiche competenze tecniche e
professionali.
La semplificazione che serve al Paese è innanzitutto quella che pianifica e
realizza un sistema fiscale più chiaro, certo, stabile e coerente. Di questo
abbiamo bisogno ed è questo l’obiettivo da realizzare, al di là delle
dichiarazioni più o meno “pre-complicate”.
PASQUALE SAGGESE
Pasquale Saggese, Dottore commercialista e revisore legale, è ricercatore della Fondazione
Nazionale dei Commercialisti. Dottore di ricerca in Diritto tributario è docente a contratto
presso l’Università “Federico II” di Napoli. Referente del CNDCEC per i rapporti con l’Agenzia
delle Entrate, è Presidente della Commissione “Contenzioso tributario” dell’ODCEC di Napoli.
Pubblicista, è autore di saggi e di articoli in materia tributaria e svolge attività di docenza per
conto dei principali enti di formazione nazionali.
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Fiscalità
Quando conviene il Patent box?
Un calcolo che può risultare particolarmente
complesso, soprattutto nell’ipotesi di utilizzo
diretto dell’intangible
di Gabriele Sepio
Con il regime del “Patent Box” è stata introdotta anche in Italia una
particolare forma di detassazione dei redditi ritraibili dallo sfruttamento,
diretto o indiretto, dei beni immateriali. In particolare, si tratta di una
agevolazione di cui potranno beneficiare i contribuenti su base opzionale
- rinnovabile ogni cinque anni - che interessa esclusivamente le opere
dell’ingegno, brevetti industriali, marchi, disegni e modelli, software,
processi, formule ed informazioni relative ad esperienze acquisite in
campo industriale, commerciale o scientifico. L’agevolazione viene
concessa solamente in presenza di specifiche condizioni, legate
principalmente alla presenza di costi di ricerca e sviluppo collegati ai beni
immateriali, nonché al fatto che questi ultimi siano suscettibili di tutela
giuridica in capo al titolare od all’utilizzatore.
La valutazione di convenienza in merito all’esercizio dell’opzione per il
Patent Box, cui sono chiamate le imprese interessate, si basa ovviamente
sulla determinazione della quota di reddito agevolabile (come del resto
evidenziato dalla stessa prassi ammnistrativa con la circolare n. 11/E del
7 aprile 2016). Si tratta, nello specifico, di individuare il contributo
economico netto (dato da ricavi meno costi) associabile al bene
intangibile, moltiplicato per il rapporto tra costi qualificati (numeratore) e
gli stessi costi aumentati delle spese di acquisizione del bene e di quelle
infragruppo (denominatore) (c.d. nexus ratio).
Tale calcolo può risultare particolarmente complesso, soprattutto in
ipotesi di utilizzo diretto dell’intangible. Spetta, infatti, al contribuente
identificare in modo puntuale sia i beni di riferimento sia il reddito netto
da questi ritraibile, anche procedendo, se del caso, ad un’aggregazione di
beni collegati o complementari fra loro. Il criterio utilizzato per valutare la
componente di reddito ritraibile dal bene immateriale nonché le ragioni
specifiche alla base di una eventuale aggregazione tra più intangibles
dovranno essere indicati nell’istanza di ruling, al fine di dimostrare
l’esatta quantificazione del reddito.
Per la stima del reddito riferibile ai beni immateriali, in caso di utilizzo
diretto degli intangibles, il contribuente, come evidenziato anche nella
circolare n. 11/E, non disponendo di un provento già puntualmente
determinato (come nel caso di concessione a terzi dell’intagible, in cui il
parametro è la royalty), dovrà individuare l’esistenza di un autonomo
ramo d’azienda la cui attività si esaurirebbe nella concessione in uso di
detti beni. L’obiettivo perseguito dal legislatore sembrerebbe quindi
essere quello di assicurare all’impresa - che abbia optato per il Patent Box
- lo stesso beneficio che avrebbe conseguito concedendo a terzi
l’intangible.
Nonostante i criteri stabiliti dal legislatore, stando ai chiarimenti forniti
dall’Agenzia, in ipotesi di uso diretto dell’intangible, il reddito agevolabile
potrebbe anche non equivalere al reddito dallo stesso effettivamente
generato, corrispondendo, piuttosto, al reddito che lo stesso potrebbe
astrattamente esprimere se concesso in uso a terzi.
Siffatta soluzione, tuttavia, non appare a nostro avviso pienamente
conforme al tenore del Decreto ministeriale, il quale, viceversa,
sembrerebbe consentire una autonoma valutazione del contributo
economico capace di valorizzare le specifiche modalità di sfruttamento
del bene da parte dell’azienda.
Peraltro, l’impresa che sceglie di non concedere in uso a terzi l’utilizzo del
bene immateriale potrebbe avere basato la propria decisione sulla
consapevolezza del fatto che l’utilizzo interno di detto bene è in grado di
apportare maggiori benefici economici. Per questa ragione, l’adozione di
un orientamento finalizzato a parametrare l’agevolazione fiscale in base
ad un valore standardizzato potrebbe penalizzare le imprese
maggiormente capaci di sfruttare al meglio, internamente, la
combinazione dei beni aziendali.
Uno dei temi di maggiore rilevanza nell’analisi del regime in esame
riguarda, inoltre, i metodi di calcolo del contributo economico. La
recente circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 11/E, oltre a richiamare i
criteri elaborati in sede OCSE in relazione al Transfer Pricing, ha
assegnato - del tutto condivisibilmente - preferenza al metodo del
confronto del prezzo (CUP) ed al metodo della ripartizione dei profitti
(Profit Split Methods). L’Agenzia, infatti, ritiene che tali metodi possano
essere impiegati anche nel caso di uso diretto degli intangibles da parte
della stessa impresa, in quanto capaci - grazie ad una apposita analisi
funzionale - di determinare la quota parte di reddito di impresa
imputabile allo specifico ramo di azienda deputato alla concessione in uso
degli IP agevolati allo stesso contribuente. Come confermato anche dalla
circolare, il contribuente potrà scegliere di determinare il contributo
economico netto avvalendosi di metodi diversi rispetto a quelli sopra
citati, purché dimostri che tale valutazione sia coerente con il principio
dell’arm’s length.
L’individuazione del contributo economico netto associabile al bene è
decisamente più agevole nella diversa ipotesi in cui i beni immateriali
sono concessi a terzi. Tant’è che, in questo caso, il ruling preventivo, pur
non essendo obbligatorio, potrebbe risultare comunque opportuno, se
non altro per non esporre l’azienda al rischio di possibili contestazioni
quali, ad esempio, l’anti-economicità delle royalties percepite.
Come riconosciuto anche dalla citata circolare 11/E, in caso di utilizzo
indiretto dell’IP, il reddito agevolabile è determinato quale grandezza
reddituale fiscale (e non contabile), con la conseguenza che assumono
rilievo i costi fiscalmente riconosciuti, determinati in base alle
disposizioni del TUIR. Ne deriva che le royalties devono essere assunte al
netto dei costi di ammortamento fiscalmente rilevanti, ai sensi dell’art.
103, co. 1, TUIR. Analogamente, per quanto riguarda il reddito figurativo
derivante dall’utilizzo diretto dell’IP, assumeranno rilevanza i
componenti positivi e negativi di reddito nella misura fiscalmente
riconosciuta in base alle disposizioni del TUIR.
Infine, con riferimento alle componenti negative da calcolare nel
computo del reddito, occorrerà prendere in considerazione tutti i costi
che direttamente od indirettamente hanno generato il reddito
agevolabile, compresi gli oneri finanziari ed i costi relativi agli immobili
per la quota imputabile alla formazione del reddito (a differenza di quanto
avviene per il c.d. nexus ratio). Come confermato anche dalla prassi da
ultimo citata, ai fini del calcolo del contributo economico rileveranno
unicamente i costi di competenza del singolo periodo di imposta oggetto
del regime.
GABRIELE SEPIO
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Fiscalità
I nuovi obblighi di segnalazione
in unico per le società di
comodo
Particolarmente “pesante” la sanzione prevista
in caso di omessa segnalazione
di Gian Paolo Ranocchi
Le regole che governano le “interrelazioni” esistenti tra l’interpello
preventivo ed il regime fiscale delle società di comodo sono radicalmente
cambiate da quest’anno. Per effetto delle modifiche apportate dal D.Lgs.
24 settembre 2015 n. 156, infatti, dal 1° gennaio 2016 l’interpello
relativo alla disciplina delle società di comodo (sia per quelle “non
operative” che per quelle in “perdita sistematica”) deve essere presentato
ai sensi dell’art. 11 co. 1 lett. b) della L. 212/2000. Trattasi di un
“interpello probatorio” (non più disapplicativo), con il quale la società
chiede un parere all’Amministrazione finanziaria in merito alla
sussistenza delle situazioni oggettive che legittimano la disapplicazione
dello specifico regime presuntivo. Da quest’anno è finalmente chiaro che
la presentazione dell’istanza di interpello preventivo da parte delle
società di comodo è una mera facoltà. Depongono in questo senso la
Relazione al provvedimento D.lgs. n. 156/2015, le istruzioni al Modello
Unico 2016 e la circolare n. 9/E/2016 delle Entrate. In buona sostanza,
quindi, da quest’anno la società, qualora ritenga sussistenti le condizioni
previste dal comma 4-bis dell’articolo 30 della Legge n. 724/1994, può
legittimamente disapplicare in autonomia la disciplina, anche senza
presentare preventivamente l’istanza di interpello. In questo caso, però,
occorre, a norma dell’art. 30 co. 4-quater della L. 724/94 (come
modificato dall’art. 7 co. 12 lett. c) del DLgs. 156/2015, in vigore
dall’1.1.2016), fornire una specifica informativa nella dichiarazione dei
redditi.
Le disposizioni in tema di interpello introdotte dal DLgs. 156/2015 si
applicano alle istanze presentate dall’1 gennaio 2016 ma, trattandosi di
norme di carattere procedurale, esse riguardano anche il periodo di
imposta 2015. In questo senso si esprimono anche le istruzioni di
UNICO 2016. Nel prospetto del quadro RS relativo alle società di
comodo, (righi RS116 di UNICO 2016 SC e RS11 di UNICO 2016 SP)
occorre infatti procedere a segnalare, alternativamente, le seguenti
situazioni:
Codice 1- accoglimento dell’interpello disapplicativo;
Codice 2 - mancata presentazione dell’istanza di interpello;
Codice 3 - mancata risposta positiva all’interpello (codice utilizzabile nel
caso di risposta negativa o nel caso di assenza di risposta alla data di
presentazione del modello).
Tali informazioni vanno fornite in relazione agli specifici comparti fiscali:
IRES, IRAP e IVA.
Esempio: la gestione del rigo RS 116 da parte di una società “non
operativa” che ha ottenuto l’accoglimento totale (IRES/IRAP/IVA)
dell’istanza di interpello probatorio per il periodo d’imposta 2015
Anche se le istruzioni non si esprimono sul punto, si ritiene che la
compilazione del prospetto, nel caso di codice 2 e 3, debba comunque
avvenire per intero anche in relazione alla determinazione del ricavo
presunto e del reddito minimo presunto (solo quest’ultimo, in ipotesi di
società non operative per le perdite reiterate). Della disapplicazione del
regime si darà poi conto in seguito al mancato adeguamento al reddito
minimo nel rigo RN6.
Va evidenziato che, alla mancata o infedele gestione delle nuove
informazioni in tema di interpello, si ricollega una specifica sanzione
amministrativa che va da 2mila a 21mila euro prevista dall’articolo 8,
comma 3-quinquies del DLgs. 471/97 (inserita dall’art. 15 co. 1 lett. h)
n. 4) del DLgs. 24.9.2015 n. 158). Tale sanzione è prevista dal comma
4-quater dell’articolo 30 della Legge n. 724/1994, che così si esprime:
“Il contribuente che ritiene sussistenti le condizioni di cui al comma 4-bis
ma non ha presentato l'istanza di interpello prevista dal medesimo
comma ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto risposta positiva
deve darne separata indicazione nella dichiarazione dei redditi”.
Come confermato dalla circolare n. 9/E/2016, la violazione in questione
può essere oggetto di ravvedimento spontaneo da parte del contribuente,
fruendo dei benefici previsti dall’articolo 13 del D.lgs. n.472/1997. Dato
il contesto normativo tracciato, alla violazione inerente l’omessa od
infedele comunicazione del codice 1 (interpello presentato ed accolto)
non dovrebbe correlarsi alcuna sanzione specifica. Non è invece chiaro,
ad oggi, come debba essere gestita l’informativa inerente lo stato
dell’interpello se esso è stato accolto dalle Entrate solo parzialmente.
La scelta della auto disapplicazione del regime delle società di “comodo”
senza necessità di dover transitare attraverso l’interpello preventivo
consente alla società di rimuovere il blocco inerente all’utilizzo del
credito IVA eventualmente esistente. Ricordiamo che, per le società di
comodo (non operative o in perdita sistematica), è previsto in prima
battuta (tre periodi d’imposta) il divieto di utilizzo in compensazione del
credito Iva, e, in seconda battuta, se perdura lo status di comodo,
l’azzeramento dello stesso credito IVA.
La circolare n. 9/E/2016, a proposito degli effetti
dell’autodisapplicazione del regime in tema di credito IVA, precisa che la
società che attesta la sussistenza delle oggettive situazioni che non hanno
permesso di conseguire i valori minimi previsti per le società di comodo,
mediante la dichiarazione sostitutiva prevista nell’apposito campo del
quadro VX della dichiarazione IVA, sblocca il rimborso del credito IVA.
La circolare nulla dice di specifico in tema di sblocco per la
compensazione del credito IVA visto che tratta solo del rimborso IVA, ma
è da ritenere che gli effetti siano i medesimi. Nel caso in cui le ragioni che
hanno condotto la società ad auto disapplicare la disciplina e ad utilizzare
il credito IVA in compensazione non dovessero essere riconosciute valide
dalle Entrate, la stessa provvederà a recuperare i versamenti omessi
applicando, si ritiene, la sanzione base del 30%. Non si tratta, infatti, di
compensazioni avvenute con un credito IVA “inesistente” ma con un
credito IVA al più non utilizzabile.
GIAN PAOLO RANOCCHI
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Finanza&Imprese
Il “peso” della gestione
straordinaria
Le modifiche al bilancio d’esercizio del D.lgs.
139 che ha recepito la direttiva europea
di Loris Landriani
Il D.lgs. 139 dell’agosto 2015, recependo la Direttiva europea n. 34, ha
determinato una serie di cambiamenti al bilancio d’esercizio, a partire dal
primo gennaio 2016.
Tra le novità più significative, si vuole qui focalizzare sinteticamente
l’attenzione sull’eliminazione della sezione “E” del Conto Economico,
ovvero la gestione “straordinaria”, d’ora in avanti destinata ad un
maggior dettaglio ma solo in Nota Integrativa.
Ad onor del vero, senza voler scomodare la dottrina aziendale troppo
indietro, nel nostro paese non si è mai avuta un’univoca interpretazione
del concetto di gestione straordinaria, aggettivo che, anzi, spesso è
risultato sin troppo ampio.
Sempre in estrema sintesi, sono almeno quattro le accezioni di
straordinarietà diffuse nei bilanci:
straordinario come eccezionale, quindi il riferimento è al tempo e, cioè,
ad un evento che si verifica di rado, non è frequente né prevedibile;
straordinario come anormale, in questo caso può essere riferito ad una
variabile dimensionale, ovvero ad un evento che si verifica normalmente
ma che in quella particolare situazione ha manifestato irregolarità nella
quantità monetaria. Si pensi, ad esempio, ad una partita di merce
acquistata a prezzi fuori mercato causa eventi imprevisti;
straordinario come estraneo, rispetto alla gestione caratteristica o
corrente, all’oggetto sociale dell’azienda o anche estraneo perché fuori
dal controllo del management;
straordinario come non ordinario, ovvero categoria residuale e priva di
autonomia, in quanto non ben definibile ma comunque non ascrivibile a
nessuna delle precedenti.
A riguardo l’OIC 29 è intervenuto con l’obiettivo di mettere ordine,
ponendo tre condizioni che, se verificate tutte contemporaneamente,
classificano quel fatto gestionale come straordinario: infrequenza,
estraneità, accidentalità. In tal senso il contributo è apparso significativo
in teoria ed un po’ meno nella pratica, come si vedrà meglio tra breve,
quando si presenterà l’indagine empirica.
Va pur detto che lo standard contabile in questione è tra i più ampi e
complessi, e comprende nella gestione straordinaria una serie di elementi
abbastanza disomogenei tra loro: cambiamenti di principi contabili,
cambiamenti di stime contabili, correzioni di errori, fatti intervenuti dopo
la chiusura dell’esercizio ed eventi ed operazioni straordinarie.
Giova anche ricordare che la componente straordinaria nel conto
economico è frutto del recepimento di un’altra direttiva europea e del
D.lgs. 127/91, che, introducendo la versione a “scalare”, ha evidenziato
separatamente le aree della gestione: A, valore della produzione; B, costi
della produzione; C e D, aree finanziarie; E, area straordinaria, in luogo
del conto “profitti e perdite” del ’74.
La nuova norma appare dunque come un ripensamento di tale filosofia,
che pure aveva il merito di isolare le diverse componenti del reddito e,
quindi, risultava più utile in una prospettiva di analisi del bilancio
(valutazione del capitale economico, rating bancario, ecc.), verso
un’ottica che invece ci avvicina al concetto di comprehensive income,
caro agli IFRS.
Senza addentrarci nell’annoso dibattito sull’introduzione progressiva dei
principi contabili internazionali nel nostro paese, con tutti i limiti del
caso, si vogliono qui invece proporre i risultati di una piccola indagine
empirica condotta sui bilanci 2014 delle società di capitali italiane, in
riferimento al “peso” della gestione straordinaria, con l’obiettivo di
ipotizzare quali e quante informazioni non vedremo più, almeno
separatamente, nel conto economico, ma dovremo andar a recuperare
nella Nota Integrativa.
Si tratta di un campione di circa 12.000 aziende di tutti i settori, tratto dal
database AIDA, con esclusione delle società che utilizzano i principi
contabili internazionali.
Le stesse sono state poi suddivise per dimensioni: piccole (circa il 60%),
grandi (6%) e medie (34%); e per performance: tre quarti del campione è
risultato in utile ed un quarto ha registrato nell’ultimo anno una perdita
d’esercizio.
Ecco dunque i principali risultati.
Gli oneri straordinari (voce E. 21) pesano per il 18% nelle piccole aziende
rispetto ai costi della produzione. Nelle grandi e medie, il peso è
scarsamente significativo. Lo stesso dato emerge in sostanza
rapportandoli al totale degli investimenti.
Similmente, i proventi straordinari (voce E. 20) pesano molto poco sui
ricavi, in particolare nelle aziende di minori dimensioni (3%), ancor
meno nelle grandi e medie.
Interessanti sono i risultati del peso della gestione straordinaria su
indicatori quali reddito operativo e utile/perdita d’esercizio.
Nel primo caso, gli oneri straordinari rappresentano un terzo del reddito
operativo nelle medie e due terzi nelle grandi e piccole imprese, mentre i
proventi straordinari rappresentano un terzo del reddito operativo nelle
grandi, quasi la metà nelle medie e circa il 100 % nelle piccole.
Nel secondo, gli oneri straordinari sono oltre l’80% del risultato
economico nelle medie, un terzo nelle grandi e tre quarti nelle piccole.
Similmente i proventi straordinari: circa tre quarti nelle grandi, quasi
uguale nelle piccole ed il 118% nelle medie.
I dati, con tutti i limiti metodologici di un’analisi del genere, sembrano
suggerire che il peso complessivo della gestione straordinaria non è
significativo in termini di volumi per le aziende esaminate, ma lo è invece
rispetto alle performance economiche delle stesse.
Si è voluto, infine, verificare tale ipotesi, rapportando l’incidenza
percentuale degli oneri straordinari sulle aziende che hanno chiuso
l’esercizio in perdita e quella dei proventi straordinari per le aziende che
invece hanno generato un utile.
Ebbene i numeri sembrano confortare tali considerazioni: le aziende che
chiudono in utile lo fanno grazie all’intervento determinante dei proventi
straordinari, mentre quelle che chiudono in perdita lo devono, in modo
decisivo, alla quantità di oneri straordinari.
Se da un lato, in conclusione, l’indagine può spingere a riflettere ancora
una volta sulle politiche di bilancio, dall’altro non va sottovalutato che
l’obiettivo legislativo della semplificazione appare stridere con la
comparabilità dei bilanci, e che tali informazioni, confluendo domani in
una già affollata nota integrativa, rischiano di diluire la loro efficacia.
LORIS LANDRIANI
Professore associato di economia aziendale presso l'Università Parthenope
Copyright © 2015, Press Srl. Tutti i diritti riservati.
Finanza&Imprese
Una riforma a due velocità
Il riordino del Terzo settore, avviato
dall’esecutivo nel 2014, ha raggiunto il primo
check-point con il testo definitivo della delega
al Governo datata maggio 2016
di Enrico Savio
Con l’approvazione alla Camera del disegno di legge delega, avvenuto lo
scorso 25 maggio, inizia a delinearsi concretamente la c.d. riforma del
Terzo Settore. Il provvedimento (A.S. 1870), esaminato dalla
Commissione 1° (Affari costituzionali) del Senato , è stato approvato
dall’assemblea di Palazzo Madama nella seduta del 30 marzo 2016.
Trasmesso alla Camera in seconda lettura, il provvedimento (A.C.
2617-B), esaminato dalla XII Commissione affari sociali che ne ha
concluso l'esame senza modifiche, è stato licenziato in via definitiva dalla
Camera nel testo trasmesso dal Senato nella seduta del 25 maggio 2016.
Quanto sopra ha confermato le rassicurazioni del sottosegretario del
Welfare Luigi Bobba, il quale aveva previsto la rapida conclusione dell’iter
parlamentare per effetto della conferma, da parte di Montecitorio, del
testo approvato dal Senato Pertanto, l’iniziativa di “riforma del Terzo
settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile
universale”, avviata dall’esecutivo nel 2014, ha raggiunto in data 25
maggio il primo check-point con il testo definitivo della delega al
Governo, lasciando quindi il campo al secondo step, avente ad oggetto
l’elaborazione dei decreti delegati.
Infatti, si sottolinea che il “testo” in questione (pur essendo definito
“riforma”) introduce esclusivamente delle linee guida per la revisione
organica della disciplina riguardante il volontariato, la cooperazione
sociale, l'associazionismo, le fondazioni e le imprese sociali, essendo
rimesso ai decreti legislativi di attuazione l’effettiva (nuova)
regolamentazione della materia.
Passando alla sostanza della riforma, questa, operativa entro 12 mesi
dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui sopra, si pone l’obiettivo di
revisionare la disciplina contenuta nel Titolo II del Libro I del Codice
Civile in materia di associazioni, fondazioni ed altri organismi non
lucrativi di diritto privato, dotati o meno della personalità giuridica,
nonché il restyling della disciplina dell’impresa sociale e del servizio
civile nazionale.
La principale novità in questo senso è la redazione di un codice destinato
appositamente agli organismi di cui sopra, il c.d. “Codice del Terzo
Settore”, che andrà a raccogliere tutte le norme e le disposizioni ad essi
destinate.
Ciò premesso, il Testo unico sul Terzo settore segna un’importante
concentrazione di poteri, soprattutto in termini di vigilanza,
amministrazione e controllo, in capo al Ministero del Lavoro, seppur con
il coinvolgimento ed il raccordo di un nuovo organismo di consultazione
rappresentativo dei soggetti coinvolti (c.d. “Consiglio Nazionale del Terzo
Settore”) nonché un rafforzamento del ruolo dei Centri di servizi per il
volontariato. I Csv, quindi, in virtù della riforma, potranno essere gestiti
non solo dalle organizzazioni di volontariato bensì anche dagli altri enti
del Terzo settore, verso i quali (ivi comprese le cooperative sociali)
potranno prestare i propri servizi di assistenza e supporto.
Nell’intento di semplificare l’attuale situazione, già nell’art. 1 pare
evidente la volontà del legislatore di uniformare la disciplina in oggetto
mediante la formulazione di una “definizione normativa” di Terzo Settore
(finora presente solo in dottrina e giurisprudenza), intendendo come tale
il “complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza
scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in
attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi
statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse
generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o
di produzione e scambio di beni e servizi”. La definizione, anche se più
ampia rispetto a quella del progetto originario, permette di escludervi
quegli organismi che, pur senza scopo di lucro, siano portatori di interessi
particolari (partiti e associazioni politiche, sindacali, professionali e di
categoria).
Tra i punti più significativi del testo in commento si segnala, nell’intento
di garantire la massima trasparenza ed informazione (anche verso i terzi)
sulle attività svolte, l’implementazione degli oneri pubblicitari
relativamente ai bilanci ed altri “atti fondamentali dell’ente” (anche
attraverso la pubblicazione sul proprio sito internet), compensi ed
emolumenti corrisposti ai componenti degli organi di amministrazione e
controllo nonché l’individuazione di criteri che consentano di
distinguere, nella tenuta contabile e dei rendiconti, la diversa natura delle
poste in relazione al perseguimento dell’oggetto sociale.
Il provvedimento, inoltre, ha posto le basi per l’istituzione di un “Registro
unico nazionale”, del “Consiglio nazionale del Terzo settore” e di un
fondo, presso il Ministero del Welfare, volto a finanziare specifici progetti
di interesse generale.
Infine, onde evitare di cadere in facili euforie, si ricorda che lo stesso
legislatore (art. 1 comma 6, “dall’attuazione delle deleghe recate dalla
presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica”) non ha lasciato spazio alla possibilità di introdurre
nuove ed ulteriori agevolazioni fiscali rispetto a quelle già in essere,
dovendo, quindi, sostanziarsi una riforma a “costo zero”.
Considerato il tecnicismo richiesto dalla seconda fase dei lavori di
riforma, si auspica un concreto coinvolgimento dei commercialisti nella
definizione dei decreti delegati in quanto, sostanzialmente, tali soggetti
saranno i primi ad essere coinvolti nell’applicazione delle nuove regole,
sia nelle attività di assistenza e consulenza degli enti non commerciali sia
in quelle di controllo contabile.
Si attendono, quindi, novità importanti anche per l’attività professionale
dei colleghi che operano in contatto con le eterogenee realtà del Terzo
settore, una volta che la riforma –oramai attesa da lustri – prenderà vita e
sarà finalmente resa operativa.
ENRICO SAVIO
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Economia&Lavoro
Banche, imprese e professione
tra mercati, emotività e novità
legislative
Riflessioni sulle di"icoltà che coinvolgono il
settore bancario e l’accesso al credito, con uno
sguardo volto al possibile ruolo dei
commercialisti
di Francesco M. Renne
In alcuni recenti articoli si è cercato di illustrare le peculiarità del bail in e
dei gacs, sostenendo (con forza) come la conoscenza di quegli aspetti
tecnici consenta, non solo di meglio consigliare i propri clienti, ma anche
di rivendicare un ruolo attivo per la nostra Professione. Le recenti
evoluzioni normative (sulle procedure di rimborso agli obbligazionisti
delle quattro banche commissariate; sulla riforma dei crediti cooperativi;
sulle nuove forme di garanzia per i crediti bancari, solo per citarne
alcune, ai fini che qui interessano) e, ancor più, gli eventi saliti agli onori
delle cronache (indicando solo le principali: la quotazione mancata della
Popolare di Vicenza; l’esito dell’assemblea di Veneto Banca; le polemiche
intorno al fondo Atlante; la volatilità – al ribasso – di molti titoli bancari)
danno l’occasione per puntare di nuovo i riflettori sul tema e
sull’importanza delle ricadute che comporta sull’economia, quindi sui
nostri clienti, e, nondimeno, sul nostro ruolo.
La questione di fondo è semplice: serve un sistema finanziario efficiente
per sostenere la nostra economia (fatta essenzialmente di micro, piccole e
medie imprese); ma il sistema finanziario è oggi debole (anche) per effetto
della crisi (soprattutto a causa della conseguente crescita esponenziale
delle sofferenze bancarie, cioè della crisi delle imprese prenditrici di
debito). Vero, secondo opinione pubblica diffusa, le banche hanno (più in
generale) anche altre “colpe” (legate in alcuni casi alla commistione con
la politica; alla – a volte – poca trasparenza nell’allocazione dei risparmi e
del credito; alle prassi legate all’anatocismo, alla distribuzione dei
prodotti finanziari, all’utilizzo – in tempi vieppiù passati – degli strumenti
di finanza derivata; alla “sopravvalutazione forzata” delle azioni delle
popolari – e non solo – non quotate). Vero anche (a loro parziale discolpa)
che è stato gestito (male, forse, anche dai regolatori) un passaggio a nuove
regole (compresa la vigilanza europea) che ha imposto vincoli più
stringenti alle valutazioni di bilancio, che a sua volta ha indotto alcuni
fenomeni speculativi ribassisti sui mercati finanziari, acuendo l’emotività
delle paure sulla tenuta di questa o quell’altra singola banca. Vero
altrettanto, però, che i dati mostrano come sia tutta la nostra economia,
ad essere debole, a partire dai dati delle imprese italiane, il cui
downgrading nei rating bancari è solo lo specchio di un sistema
imprenditoriale tuttora (troppo) piccolo (per dimensione di fatturati medi
e per capitalizzazione) e (purtroppo) ancora sovraesposto (in parte) verso
forme (le più varie) di sommerso.
Quali ragionamenti (operativi) possono dunque essere fatti, in proposito?
Ad avviso di chi scrive, occorre ragionare sotto due profili: da un lato,
quali indicatori possano essere utilizzati per “scegliere” le banche con cui
operare su basi attive (depositi, conti correnti e obbligazioni); e, dall’altro,
quali strumenti possano essere utilizzati per “riavviare” il mercato del
credito (nelle vari forme tecniche disponibili) al servizio delle imprese.
Sotto il primo profilo, senza ovviamente la pretesa di essere esaustivi, si
vuol qui portare l’attenzione su alcuni parametri utili per valutare il profilo
rischio/solidità delle banche con cui si opera, consentendo agli operatori
qualche valutazione possibile. Quattro parametri, alcuni (ormai)
conosciuti e qualcuno (probabilmente) meno, per iniziare: (i) il CeT1
(Core equity Tier 1), ovvero il “patrimonio” della banca rapportato al
totale impieghi (almeno superiore all’8%, meglio se intorno all’11/12%
o più; le banche che non esercitano attività di credito hanno ovviamente
un valore mediamente maggiore, ma occorre tener conto di eventuali
operazioni infragruppo di tesoreria, qualora appartengano ad un gruppo
bancario); (ii) l’incidenza dei NPL (non performing loans, ovvero i crediti
“in sofferenza”) sul totale dei crediti erogati (minore è il dato, maggiore
solidità esprime; la media europea è intorno al 6/7% mentre il dato
medio italiano attuale si aggira intorno al 17%); (iii) l’NPL recovery ratio
(ovvero il valore di svalutazione medio dei crediti “in sofferenza”;
maggiore è il dato, maggiore solidità esprime); infine (iv) il Texas ratio
(ovvero il rapporto tra i crediti lordi in sofferenza ed il “patrimonio”
sommato agli accantonamenti; tanto più inferiori a 100, tanto maggiore è
la solidità che esprime, mentre valori superiori a 100 indicano maggiore
rischiosità).
Sotto il secondo profilo del ragionamento, va detto che il recente
provvedimento del Governo sul pegno non possessorio, pur con qualche
riserva “tecnica” in attesa dell’attuazione operativa e della correlazione
con l’impianto normativo delle procedure concorsuali, si muove nella
direzione di individuare forme “innovative” che consentano – dando alle
banche forme di garanzia più velocemente “escutibili” – un ricorso al
credito, almeno nelle intenzioni, più “efficace” (purché non faccia poi la
fine dei “finanziamenti destinati”, introdotti come strumento nel nostro
codice civile e, nei fatti, rimasti inattuati dalle banche). Invero vi sarebbe
anche, sul punto, l’occasione per la Categoria di essere “protagonista” nel
proporre (e nell’attuare, in seguito) un altro strumento che – ad avviso di
chi scrive – potrebbe ben risultare utile allo scopo: l’utilizzo, previa
specifica previsione normativa, dei business plan attestati (tipici già ora
delle procedure di risanamento aziendali, di cui costituiscono elemento
essenziale) su aziende “in bonis”, che potrebbero costituire, ai sensi degli
accordi di Basilea, “giustificativo terzo” per gli “override” (ovvero
l’aumento del rating ordinariamente assegnato), consentendo, alle
banche, un minor assorbimento del patrimonio di vigilanza a parità di
credito concesso, nonché, alle imprese, maggiori volumi di accesso al
credito ovvero, di converso, minor costo del finanziamento ottenibile. In
ipotesi, poi, le imprese che in maniera ricorrente utilizzassero
positivamente queste linee (definibili) di “finanziamenti attestati”,
otterrebbero maggiore credibilità nei confronti del sistema bancario (una
sorta di “accreditamento progressivo” delle proprie capacità predittive),
assorbendo il costo di attestazione con i benefici del minor pricing del
debito (o sostenendolo per ottenere maggiori volumi di finanziamento),
mentre (finalmente) le banche porrebbero elementi prospettici (e non
solo pro-ciclici) nelle proprie valutazioni di rischio. Non ultimo, va da sé,
la nostra Professione ne ricaverebbe maggiori opportunità di lavoro,
generando utilità di sistema ai propri clienti e, quindi, all’economia del
Paese.
FRANCESCO M. RENNE
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Economia&Lavoro
Buste arancioni, invio e ruolo del
commercialista
L’operazione dell’Inps conferma il ruolo
centrale della categoria nel diffondere una
nuova cultura previdenziale
di Andrea Costa, Angela Fusco
Più di 20 anni fa, in Svezia, i lavoratori ricevevano una comunicazione
dall’ente previdenziale volta a renderli edotti della propria posizione
pensionistica, fornendo apposite proiezioni sull’assegno che sarebbe
spettato loro una volta in quiescenza.
In più occasioni, anche il presidente dell’Inps, Tito Boeri, sollecitava pure attraverso le pagine di lavoce.info - l’implementazione di un analogo
sistema nel nostro Paese, senza peraltro ottenere le opportune risposte
dalle autorità competenti, preoccupate, apparentemente, dei costi
connessi all’invio delle missive. Nominato a fine 2014, Boeri ha
individuato nella busta arancione – il cui colore richiama il plico ricevuto
dai cittadini svedesi – uno strumento cardine della più ampia campagna di
informazione previdenziale lanciata dall’Istituto, a partire dal mese di
aprile 2016, assieme all’Agenzia per l’Italia digitale.
Non tutti i lavoratori in attività riceveranno la busta, ma solo coloro che
non abbiano ancora richiesto il pin per accedere, sul sito dell’Inps, al
simulatore on line “La mia pensione”, che consente di calcolare le
proiezioni dell’importo pensionistico sulla base dell’imputazione di taluni
parametri di base parzialmente modificabili. In particolare, in questa
prima fase, la busta verrà inviata agli iscritti al fondo pensione lavoratori
dipendenti, alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, alla gestione
separata, al fondo ferrovieri ed altri fondi speciali, mentre i lavoratori del
settore pubblico dovranno attendere un lasso di tempo maggiore,
dovendosi ancora completare il processo di ricostruzione della loro
carriera lavorativa.
Nella busta, che non assume alcun valore certificativo, vengono indicati i
contributi sin qui accreditati nella pertinente gestione, senza considerare
quanto versato ad altri fondi, casse di previdenza od all’estero, ovvero i
possibili ricongiungimenti. Inoltre, aspetto di assoluta novità, viene
riportato il tasso di sostituzione, determinato sulla base della proiezione
del primo assegno previdenziale e dell’ultima retribuzione o reddito
percepiti a valori 2016, il che consente un miglior raffronto con la
situazione attuale. Il calcolo delle proiezioni viene effettuato sulla base
dei contributi sino ad ora versati, ipotizzando una crescita costante del
PIL dell’1,5 per cento, l’assenza di eventuali periodi di inattività
lavorativa e, soprattutto, l’invarianza dei requisiti anagrafici e contributivi
minimi per l’accesso al trattamento pensionistico attualmente in vigore.
Trattasi di calcoli da verificare anno per anno e la cui affidabilità è
maggiore avvicinandosi all’età pensionabile, disponendosi di un set
informativo più completo.
Come tutti i dati è necessario saperli leggere, interpretare correttamente,
così da poter valutare con attenzione le informazioni contenute e porre in
essere le opportune azioni per una gestione ottimale intertemporale delle
proprie entrate. Ed è proprio con riferimento a questa attività che il
commercialista assume il proprio ruolo chiave di consulente,
supportando adeguatamente le scelte di pianificazione, presenti e future,
del cliente. Due sono in particolare gli elementi che meritano attenzione.
Il primo riguarda l’attendibilità dei contributi accreditati, dovendosi
verificare la corrispondenza tra gli anni lavorati e quanto riportato nella
busta dall’Inps e, se del caso, porre in essere tutte le azioni opportune per
la relativa regolarizzazione, ricostruendo le circostanze che hanno
portato allo sfasamento.
Il secondo elemento riguarda l’attività di supporto nell’interpretazione
delle proiezioni, calcolate sulla base di presupposti che, probabilmente,
non troveranno rispondenza in futuro, soprattutto nei casi in cui l’età
pensionabile sia ancora lontana. Sul punto occorre rilevare come la
campagna dell’Istituto sia stata impostata con l’intento di illustrare ai
lavoratori, dati alla mano, le conseguenze del sistema introdotto dalla
riforma Dini del 1994, con il progressivo passaggio da un (insostenibile)
sistema retributivo a quello contributivo. Il futuro pensionato viene così
informato della circostanza che non potrà più beneficiare del regime di
estremo favore di cui gli italiani hanno goduto per tanti anni, fornendogli,
al contempo, taluni strumenti di valutazione utili ad una migliore
pianificazione delle proprie uscite finanziarie, sensibilizzandolo ad una
più attenta allocazione degli investimenti a medio e lungo termine. Il
riferimento è soprattutto al ricorso alla previdenza complementare, il cui
ruolo di elemento di integrazione della pensione di base è in Italia poco
sviluppato rispetto ad altri Paesi membri dell’Unione europea. Si ricorda
che in Italia le forme pensionistiche complementari vennero disciplinate
per la priva volta con il D.Lgs n. 124/1993 e riformate successivamente
dalla L. n. 335/1995 e dal D.Lgs. n. 252/2005. Nonostante la
previsione di apposite agevolazioni fiscali per lavoratori ed imprese, le
forme pensionistiche complementari, sia collettive che individuali, non
hanno beneficiato di una larga diffusione. Ciò è addebitabile anche alla
mancanza di un’adeguata informazione circa l’entità della prestazione
pensionistica pubblica a seguito del passaggio al sistema contributivo:
l’unica informativa per favorire l’adesione dei lavoratori alle forme
pensionistiche complementari risale all’entrata in vigore dell’ultima
riforma della previdenza complementare nel 2007, alla quale è seguita
solo quella attuale delle buste arancioni.
ANDREA COSTA
Odec Roma
ANGELA FUSCO
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Diritto
Gestore, funzioni e
responsabilità
Il ruolo dei professionisti negli Organismi di
composizione della crisi da
sovraindebitamento
di Cristina Bauco
Con la costituzione dei primi organismi di composizione della crisi, si
dibatte circa il ruolo e le responsabilità da questi assunti.
La questione risulta piuttosto complessa perché la legge istitutiva non
fornisce la qualificazione dell’organismo di composizione della crisi,
limitandosi ad effettuare un mero rinvio al decreto del Ministero della
Giustizia n. 202/2014. Quest’ultimo individua l’organismo di
composizione nell’articolazione interna di uno degli enti pubblici
individuati dallo stesso regolamento ed abilitati alla costituzione degli
organismi (comuni, province, città metropolitane, regioni, istituzioni
universitarie pubbliche, camere di commercio, segretariati sociali ed
ordini professionali dei commercialisti, degli avvocati e dei notai).
Non va sottaciuta la circostanza che l’art. 15, comma 4, della stessa legge
istitutiva prevede che dalla costituzione e dal funzionamento degli
organismi non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica.
Spostando la prospettiva sul lato delle funzioni, non appare risolutiva
l’elencazione contenuta nella legge n. 3, dal momento che ricadono
nell’ambito dell’attività dell’organismo tipici ruoli svolti: nella
mediazione, dal mediatore (per quanto concerne l’attività svolta
dall’Organismo e finalizzata precipuamente al raggiungimento
dell’accordo con il creditore); dall’attestatore, nell’ambito delle procedure
di crisi relativamente alla stesura del piano di risanamento ed alla
attestazione della veridicità dei dati aziendali ed al prognostico di
fattibilità; ovvero dal curatore, nella liquidazione del patrimonio.
Coordinando le disposizioni, si potrebbe sostenere che si tratti di enti
aventi natura ibrida, ricadenti sia nella sfera del diritto pubblico, sia nella
sfera attinente al diritto privato. In effetti, la prima verrebbe a prevalere
allorché si enfatizzasse la previsione di cui all’art. 2 del decreto
ministeriale n. 202/2014 e la funzione sociale che, probabilmente, il
legislatore ha voluto riconoscere agli organismi in un’epoca di grave crisi
economica e sociale; la seconda sarebbe preponderante nella
qualificazione giuridica, allorché si ponesse mente alla tipologia
dell’incarico conferito dal debitore sovraindebitato e concluso con
l’organismo alla luce delle previsioni contenute nell’art. 10 del decreto n.
202/2014 (che riecheggiano quelle dettate per il conferimento del
mandato professionale di cui all’art.9, comma 3, d.l. n. 1/2012).
L’inquadramento della problematica nei termini predetti potrebbe trovare
conforto nelle previsioni dedicate al regime di responsabilità che, facendo
leva sul generale principio della personalità della prestazione svolta dal
gestore, affiancano a quella dell’organismo la responsabilità del gestore
che ha effettivamente svolto l’incarico [secondo il generale canone di
correttezza enunciato nell’art. 1176, secondo comma, c.c. (art. 12,
decreto n. 202/2014)]. Se qualche perplessità esiste con riferimento alla
individuazione della natura e della qualificazione giuridica
dell’organismo, altrettanto non può dirsi circa la qualificazione del
gestore che, salvo le eccezioni previste nell’art. 4 decreto n. 202/2014, è
un professionista iscritto all’Albo che svolge le proprie funzioni per
l’organismo e per il richiedente (debitore) in base ad un rapporto di diritto
privato. E tale precisazione assume importanza anche quando,
muovendo dalla normativa, si tenta di ricostruire l’aspetto della
responsabilità penale del gestore.
Sotto il profilo penale, la responsabilità del gestore è declinata nell’art. 16
della legge n. 3/2012. Sembrerebbe potersi escludere, in via preliminare,
la ricorrenza di possibili imputazioni per reati di falso del pubblico
ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, dal momento che, in
occasione dello svolgimento delle funzioni tipizzate nel summenzionato
art. 15 della legge n. 3/2015, l’organismo ed il gestore non esercitano
pubbliche funzioni secondo le regole del diritto pubblico, né esplicitano
attività riconducibili alle modalità di formazione o manifestazione della
volontà della pubblica amministrazione.
Quanto detto non può essere disatteso da mera interpretazione letterale
dell’art. 15, quando annovera tra i professionisti i notai (che sono pubblici
ufficiali) od i professionisti in possesso dei requisiti di cui all’art. 28 l.f.,
richiesti per l’assunzione delle curatele fallimentari. Tale ultimo rinvio,
che, si ricorda, doveva avere valenza meramente transitoria, non è
effettuato per estendere la qualifica di pubblico ufficiale ai gestori, bensì
per indicare precipui requisiti di professionalità ed indipendenza utili ai
fini dello svolgimento delle funzioni.
Sembrerebbe da escludersi anche la possibilità di applicare l’art. 359 c.p.
relativo al reato dell’incaricato di un servizio di pubblica necessità, stante
la riconduzione dell’attività del gestore al tradizionale schema dell’opera
professionale. Del resto nella legge e nel decreto ministeriale non si
rinvengono tali qualificazioni rispetto al gestore. Sembrerebbe allora che
il legislatore, nel summenzionato art. 16, abbia articolato un’autonoma
ipotesi di reato proprio.
Si tratterebbe, più precisamente, di un’ipotesi di falsità documentale
consistente nell’aver reso false attestazioni in ordine alla veridicità dei
dati contenuti nella proposta o nei documenti ad essa allegati, in ordine
alla fattibilità del piano ovvero alle relazioni particolareggiate che
l’organismo, per tramite del gestore, è tenuto ad allegare ai sensi dell’art.
9, comma 3 – bis, legge n. 3/2012, ovvero alla relazione sui consensi ai
sensi dell’art. 12, comma 1, ovvero anche in ordine alla relazione
particolareggiata che l’organismo deve redigere in caso di domanda
presentata per la liquidazione del patrimonio del debitore ai sensi dell’art.
14 - ter, comma 3, legge n. 3/2012.
E’ di tutta evidenza, inoltre, che la formulazione della fattispecie
riecheggia quella dell’art. 236 - bis l.f., ancorché il contenuto e gli ambiti
siano limitati e, molto opportunamente, centrati sull’attività e non
sull’omissione.
La pena edittale può consistere nella reclusione da uno a tre anni e nella
multa da 1.000 a 50.000 euro e, dunque, in modo decisamente inferiore
a quelle previste per reati ascrivibili a pubblici ufficiali o ad incaricati di
pubblico servizio.
Alla stessa pena soggiace il gestore (od il professionista che abbia svolto le
funzioni nel regime transitorio) che cagiona un danno ai creditori
omettendo o rifiutando senza giustificato motivo un atto del suo ufficio
“privato”, come anche la Corte di Cassazione nella Relazione dell’Ufficio
del massimario III, 3/2012 mette in evidenza.
CRISTINA BAUCO
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Diritto
Il Modello Organizzativo ed il
rating di legalità nel nuovo
codice dei contratti pubblici
La riforma del Codice degli Appalti e la
spendibilità a norma di legge nei rapporti con
le PA e gli istituti di credito premiano le
organizzazioni virtuose per l’attenzione
riservata a meccanismi di legalità e
prevenzione
Una significativa considerazione del Modello Organizzativo previsto dal
D.Lgs. 231/2001 si riscontra nella normativa in materia di rating di
legalità di cui alla Legge 18 maggio 2012, n. 62, di conversione del c.d.
“Decreto commissioni bancarie”1. Come noto, questa disciplina ha
disposto l’obbligo di procedere, in raccordo con i Ministeri della Giustizia
e dell'Interno, all’elaborazione ed attribuzione, su istanza di parte, di un
rating di legalità per le imprese operanti nel territorio nazionale, con
fatturato minimo di due milioni di euro, riferito alla singola impresa od al
gruppo di appartenenza, secondo i criteri e le modalità stabilite dalla
successiva legislazione regolamentare2.
Il riconoscimento assicura alle aziende virtuose un accesso agevolato
sotto diversi profili al credito bancario ed ai finanziamenti pubblici. Lo
strumento è stato delineato per promuovere i principi di legalità ed eticità
nei comportamenti aziendali, sul presupposto che il ruolo dell’impresa
nel contesto di riferimento dipenda in buona misura dalla sua capacità di
generare valore e crescita duraturi, nonché dal grado di fiducia che gli
attori coinvolti, interni ed esterni, ripongono nella sua attitudine a
generare profitto sostenibile3.
Proprio nel solco di tale concezione è stato introdotto il rating di legalità,
il cui fine è dunque quello di valorizzare l’eticità nelle attività
imprenditoriali: non è un caso che, tra i requisiti posti ai fini del
riconoscimento del rating in misura superiore al punteggio minimo di una
stella, vi siano il possesso e l’attuazione di un Modello di Organizzazione,
Gestione e Controllo, ai sensi del D.Lgs. 231/2001. Il Modello
Organizzativo viene valorizzato da una normativa diversa e
regolamentare, come fattore premiante per coloro che ambiscono ad un
più elevato rating e che intendono spenderlo nei rapporti con la P.A. per
accedere ai finanziamenti pubblici, ovvero per guadagnare una riduzione
dei costi e dei tempi di erogazione del credito bancario.
Secondo modalità, peraltro non ancora definite dall’Autorità Nazionale
Anticorruzione, il rating di legalità sarà d’aiuto anche nell’ottenimento
del rating reputazionale di cui al nuovo codice dei contratti pubblici4. In
virtù della novella di recente approvazione, è infatti istituito presso
l’A.N.AC., che ne cura la gestione, “il sistema del rating di impresa e delle
relative penalità e premialità, da applicarsi ai soli fini della qualificazione
delle imprese, per il quale l'Autorità rilascia apposita certificazione. Il
suddetto sistema è connesso a requisiti reputazionali valutati sulla base di
indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di
accertamenti definitivi che esprimono la capacità strutturale e di
affidabilità dell'impresa. L'ANAC definisce i requisiti reputazionali ed i
criteri di valutazione degli stessi, nonchè le modalità di rilascio della
relativa certificazione, mediante linee guida adottate entro tre mesi dalla
data di entrata in vigore del presente codice. Rientra nell'ambito
dell'attività di gestione del suddetto sistema la determinazione, da parte
di ANAC, di misure sanzionatorie amministrative nei casi di omessa o
tardiva denuncia obbligatoria delle richieste estorsive e corruttive da
parte delle imprese titolari di contratti pubblici, comprese le imprese
subappaltatrici e le imprese fornitrici di materiali, opere e servizi”5.
I requisiti reputazionali alla base del rating di impresa tengono conto, in
particolare, del rating di legalità rilevato dall’A.N.AC., in collaborazione
con l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nonché dei
precedenti comportamentali dell'azienda, con riferimento al rispetto di
tempi e costi nell’esecuzione dei contratti, nonché all’incidenza del
contenzioso, sia in sede di partecipazione alle procedure di gara che in
fase di esecuzione. Considerano, altresì, la regolarità contributiva
valutata con riferimento ai tre anni precedenti.
È, inoltre, previsto, a norma dell’art. 95, comma 13, relativo ai criteri di
aggiudicazione, che le amministrazioni, “compatibilmente con il diritto
dell'Unione europea e con i principi di parità di trattamento, non
discriminazione, trasparenza, proporzionalità” indichino “nel bando di
gara, nell'avviso o nell'invito, i criteri premiali che intendono applicare
alla valutazione dell'offerta in relazione al maggior rating di legalità
dell'offerente”.
Il nuovo codice degli appalti crea, infine, un ulteriore collegamento tra le
discipline oggetto della presente disamina, consentendo uno sconto del
30% sull’importo della garanzia fideiussoria a corredo dell’offerta, negli
appalti di servizi o forniture, “per gli operatori economici in possesso del
rating di legalità od attestazione del c.d. Modello organizzativo 231 (vale
a dire il Modello adottato, ai sensi del D.Lgs. 231/2001, da una persona
giuridica o da societa? ed associazioni anche prive di personalità
giuridica, volto a prevenire la responsabilita? penale dell’ente)”6.
Ecco dunque come il Legislatore, pur non intervenendo direttamente
sulla disciplina 231, ovvero su quella in materia di rating di legalità, abbia
di fatto accentuato la loro appetibilità agli occhi del mondo
imprenditoriale, creando correlazioni ed interconnessioni tra normative
che ne escono - tutte - grandemente potenziate. La costruzione di ponti
concettuali tra istituti di diversa applicazione fa si che il management
d’azienda abbia diverse ragioni in più per considerare positivamente
l’adozione di un Modello Organizzativo, ovvero la richiesta di
attribuzione di stellette.
Pare chiaro, ad oggi, il valore aggiunto per coloro che ottengono il rating e
si muniscono di Modello. Oltre all’incremento delle opportunità di
business, tali strumenti implicano anche maggiore trasparenza sul
mercato ed una migliore immagine sul territorio di appartenenza. “Il
criterio reputazionale”, inoltre, “nonostante la sua dimensione
immateriale, è in grado di garantire all´azienda ritorni anche di tipo
economico”, divenendo aspetto rilevantissimo nell’ambito di un’efficace
visione strategica d’impresa .
La crescente adesione ai meccanismi esaminati sta dunque a significare
che le imprese attribuiscono un’importanza considerevole al fattore
reputazionale. La riforma del Codice degli Appalti e la spendibilità a
norma di legge nei rapporti con le PA e gli istituti di credito arricchiscono
il corredo delle organizzazioni virtuose, premiandole per l’attenzione
riservata a meccanismi di legalità e prevenzione quali il Modello
Organizzativo 231.
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CNDCEC Report
L’attività di maggio
A cura dell’U!icio stampa Cndcec
1/17
Co dice delle sanzioni
Il Consiglio nazionale dei commercialisti ha messo a punto il Codice delle
sanzioni, sottoponendolo poi ad una pubblica consultazione - riservata
agli Ordini territoriali della categoria - che si concluderà il 30 giugno.
Annunciato nei mesi scorsi dal presidente nazionale, Gerardo
Longobardi, quale strumento finalmente in grado di agevolare
l’applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale delle sanzioni
disciplinari comminate per la medesime violazioni deontologiche, il
Codice delle sanzioni arriva dopo la revisione di quello deontologico,
entrato in vigore a marzo.
2/17
I n da g i n e C N D C E C -F NC
La specializzazione nelle valutazioni economiche è ancora limitata, ma
per il 95% dei commercialisti italiani è già parte integrante dell’attività
professionale. E’ il dato che emerge da un’indagine realizzata da
Consiglio e Fondazione nazionali dei commercialisti su un campione di
quasi 1300 iscritti alla categoria. Un questionario orientato a definire il
ruolo, le peculiarità e le esigenze dei commercialisti in relazione
all’ambito delle “valutazioni economiche” nel loro insieme.
3/17
P ro to col lo IC E
Il Consiglio nazionale dei commercialisti ha siglato un protocollo d’intesa
con ICE, l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione
delle imprese italiane. Uno degli obiettivi dell’accordo è quello di inserire
ed agevolare il commercialista nei percorsi di internazionalizzazione
delle piccole e medie imprese e di qualificarne la figura quale consulente
globale delle aziende nel rapporto con i mercati esteri.
4/17
R agionieri negli OC C
Via libera all’iscrizione agli OCC per i 35mila ragionieri della sezione A
dell’Albo dei commercialisti. Il Ministero della Giustizia, infatti, ha
rinunciato ad impugnare la sentenza del TAR del Lazio, depositata nel
2015, che aveva accolto il ricorso presentato dal CNDCEC contro lo
stesso Ministero della Giustizia e quelli dello Sviluppo economico e
dell’Economia con il quale l’ente aveva a sua volta impugnato il decreto
pubblicato nel 2014 che, prevedendo la laurea tra i requisiti di iscrizione
negli elenchi degli OCC, escludeva di fatto decine di migliaia di ragionieri
sprovvisti di laurea, ma abilitati alla funzione di gestore delle crisi in
quanto iscritti alla sezione A dell’Albo.
5/17
A s s e m b lea de i s eg ret a ri
Si è svolta il 31 maggio a Roma, presso il Westin Excelsior, l’Assemblea
dei segretari del Consiglio nazionale dei commercialisti nel corso della
quale sono state illustrate le principali novità normative che incidono
sull’attività e sugli adempimenti delle segreterie degli Ordini territoriali.
A fare gli onori di casa è stato il segretario nazionale del CNDCEC,
Achille Coppola, chiamato ad illustrare, insieme ai consiglieri delegati per
materia, le diverse attività portate avanti dal Consiglio nazionale.
6/17
C o n fro n to co n C a s e ro
Un faccia a faccia tra il Consiglio nazionale dei commercialisti ed il
viceministro dell’Economia e delle Finanze Luigi Casero per fare il punto
sulle semplificazioni fiscali si è svolto l’11 maggio presso il salone della
Fondazione nazionale di categoria. A presentare le proposte dei
commercialisti, che da sempre chiedono una maggiore certezza e
coerenza dell’ordinamento tributario, sono stati il presidente Gerardo
Longobardi ed il consigliere delegato alla Fiscalità Luigi Mandolesi.
7/17
Au d i z i o n e A n a g ra f e t r i b u t a r i a
Modello 730 precompilato, fatturazione elettronica e contrasto
all’evasione Iva sono stati i temi su cui i rappresentanti del Consiglio
nazionale dei commercialisti si sono confrontati, lo scorso 4 maggio,
durante un’audizione su “L’anagrafe tributaria nella prospettiva di una
razionalizzazione delle banche dati pubbliche in materia economica e
finanziaria. Potenzialità e criticità del sistema nel contrasto all’evasione
fiscale”, presso la sede della Commissione parlamentare di vigilanza
sull’anagrafe tributaria. In quell’occasione, i commercialisti hanno
presentato le loro proposte per il miglioramento delle procedure.
8/17
DL b a n ch e
Non tutte le disposizioni contenute nel DL n. 59 sulle banche sono
condivisibili. Lo ha affermato in una nota il Consiglio nazionale dei
commercialisti secondo cui desta perplessità il fatto che si utilizzi lo
strumento del decreto legge su materie che dovrebbero essere condivise
dalle forze politiche rappresentate in Parlamento. Nello specifico, non
convincono alcune novità inserite nell’ambito delle procedure
concorsuali, come quelle che prevedono, quale ulteriore ipotesi di revoca
per giusta causa del curatore, il mancato rispetto dell’obbligo di
presentare un progetto di ripartizione delle somme disponibili ogni
quattro mesi a partire dalla data di emissione del decreto di esecutività
dello stato passivo.
9/17
P ro to col lo R ete A s te
Il Consiglio nazionale dei commercialisti ha siglato un protocollo d’intesa
con Rete Aste srl per la realizzazione di un portale unico dedicato ai
commercialisti italiani impegnati nella vendita di aziende, di patrimoni e
di singoli beni in tutti gli ambiti esistenti, da quello giudiziario a quello
stragiudiziale, dal pubblico al privato. L’infrastruttura informativa e di
relazione denominata RAC (Rete Aste Commercialisti) è nata con
lo scopo di supportare tutti i professionisti iscritti ai singoli Ordini
territoriali ed aderenti all'iniziativa nello svolgimento delle attività
necessarie alla vendita.
10/17
Mo d e l l o F 2 4
Il Consiglio nazionale dei commercialisti ha reso noto agli Ordini
territoriali, con l’informativa 55/2016, che l’Agenzia delle Entrate ha
comunicato che a decorrere dallo scorso 2 maggio, la causale “LACC –
Lavoro occasionale accessorio”, già in uso nel modello F24, sarà
utilizzata esclusivamente nel modello di pagamento “F24 Versamenti
con elementi identificativi” (ELIDE) per l’acquisto di voucher per
remunerare prestazioni di lavoro accessorio.
11/17
T i ro c i n i o
Sei mesi di tirocinio tramite un corso di formazione in alternativa al suo
svolgimento presso uno studio professionale. È la novità introdotta dal
Regolamento per lo svolgimento del tirocinio, pubblicato lo scorso 15
aprile sul Bollettino Ufficiale. Lo rende noto il Consiglio nazionale dei
commercialisti con l’informativa 53/2016. Il regolamento attua quanto
previsto dall’articolo 6, commi 9, 10 ed 11 del D.P.R. 7 agosto 2012, n.
137. Altra importante novità introdotta dal Regolamento in attuazione
del dettato normativo è l’attribuzione agli Ordini di una competenza
specifica in virtù della quale sono tenuti a predisporre un’offerta
formativa in materia di tirocinio.
12/17
Li n e e g u i da C o o p e rat i ve
Attraverso un comunicato stampa, il Consiglio nazionale dei
commercialisti ha reso nota la pubblicazione del Quaderno “Le
peculiarità delle società cooperative nella redazione di bilanci e nella
gestione aziendale”, redatto dalla commissione di studio per i Principi
contabili, che rientra nell’area di delega del consigliere Raffaele Marcello.
L’elaborato, sviluppato come uno studio esaustivo delle principali tipicità
contabili delle aziende cooperative, si concentra sugli elementi
amministrativo-contabili e di informativa finanziaria, senza tralasciare i
connessi aspetti di gestione aziendale e gli elementi fiscali.
13/17
C o m m e rc i a l i s t a d e l l avo ro
Il Consiglio nazionale dei commercialisti ha pubblicato il quinto
Memorandum dal titolo “Jobs Act: come cambiano i regimi di tutela nei
licenziamenti individuali”, realizzato dal gruppo di lavoro “Previdenza
Obbligatoria e Complementare”, che rientra nell’area di delega
Commercialista del Lavoro del consigliere Vito Jacono. Il documento
analizza il decreto legislativo n. 23/2015 con cui il legislatore ha portato
a compimento l’intenzione di accrescere il livello di certezza del diritto
circa le conseguenze di un illegittimo licenziamento.
14/17
L o t t a a l l’e va si o n e
Si è svolto a Roma, lo scorso 19 aprile, il convegno “L’investigazione
economico-finanziaria per l’individuazione delle ricchezze nascoste al
fisco”, presso la sede della GdF. All’evento ha partecipato il presidente
del CNDCEC Gerardo Longobardi, per il quale l’investigazione
economico-finanziaria per individuare le ricchezze nascoste al fisco ha
fatto, negli ultimi anni, passi da gigante grazie all’uso più intenso di
strumenti informatici e banche dati. Ma è urgente rendere le diverse
banche dati sempre più interoperabili, accorpandole in un solo data
base la cui consultazione sia in grado di offrire una visione unitaria per
soggetto.
15/17
T ra n s a z i o n e fi s c a l e
La sentenza della Corte Ue che conferma definitivamente la posizione dei
commercialisti in materia di transazione fiscale dovrà trovare riscontro
anche da parte del legislatore nazionale. E' questo il commento del
presidente dei commercialisti italiani, Gerardo Longobardi, alla sentenza
del 7 aprile 2016 nella causa C-546/14 [Domanda di pronuncia
pregiudiziale proposta dal Tribunale di Udine]. La Corte, confermando le
conclusioni dell'Avvocato Generale, ha riconosciuto che i principi
comunitari non precludono ad uno Stato membro di accettare un
pagamento parziale del debito Iva da parte di un imprenditore in difficoltà
finanziaria nel corso di un concordato preventivo basato sulla
liquidazione del suo patrimonio, a condizione che un esperto
indipendente attesti che non si otterrebbe un pagamento maggiore di tale
credito in caso di fallimento.
16/17
I n te r n at i o n a l Va lu at i o n S t a n da rds
Il Consiglio nazionale dei commercialisti ha approvato la traduzione
ufficiale in lingua italiana degli International Valuation Standards,
emanati nel 2013 dall’IVSC (International Valutation Standards
Council). Il CNDCEC fa parte dell’IVSC dal 2012 ed ha ricevuto, insieme
al Consiglio nazionale dei geometri, l’autorizzazione a tradurre e
pubblicare gli IVS 2013 in italiano. Conformemente alle prassi
generalmente adottate per la pubblicazione delle traduzioni degli
standard internazionali, il Consiglio nazionale dei commercialisti ha
presentato il lavoro di traduzione svolto con una consultazione pubblica
che si è conclusa lo scorso 20 maggio.
17/17
S o v ra i n d eb i t a m e n t o
Il Consiglio nazionale dei commercialisti ha pubblicato il Regolamento
per l’organizzazione ed il funzionamento dell’Organismo di composizione
della crisi da sovraindebitamento costituito negli Ordini territoriali di
categoria. Si tratta di linee guida che possono essere replicate,
compatibilmente all’organizzazione interna scelta dall’Ordine,
nell’ambito di ciascun OCC. Quanto predisposto può rappresentare un
valido schema di riferimento anche per l’Organismo costituito da
differenti Ordini in associazione tra loro. Il Regolamento si compone di
16 articoli declinati in relazione alle previsioni di legge e di regolamento
recate dalla legge n. 3/2012 e dal decreto n. 202/2014.
Ordini&Territorio
Otto sotto un tetto
Il Palazzo delle professioni di Prato ospita
l’Ordine dei commercialisti oltre a quelli di
architetti, avvocati, consulenti del lavoro,
farmacisti, geometri, ingegneri e periti
industriali
di Tiziana Mastrogiacomo
Nel 2009 è nato a Prato il Palazzo delle professioni, che rappresenta la
sede di otto Ordini professionali, tra cui quello dei commercialisti, per
fornire servizi ed assistenza agli stessi Ordini, occupandosi anche di
formazione e di organizzazione di eventi. Abbiamo chiesto a Paolo
Biancalani, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Prato, di
raccontarci questa esperienza. «È stata l’esperienza più importante del
nostro mandato», racconta Biancalani. «A seguito della fusione fra
dottori e ragionieri, infatti, abbiamo dovuto cercare una sede unica e ci è
sembrato logico chiedere agli altri Ordini pratesi di trovarne una per tutti.
Nelle nostre previsioni, ciò avrebbe dovuto portare ad economie di scala,
ad una maggior rappresentatività del mondo professionale, ad un
notevole arricchimento in termini di esperienze, mettendo a confronto
competenze diverse. Tutto questo a vantaggio della clientela, che trova
professionisti più preparati ed inseriti nel mondo del lavoro. Posso dire
che i vantaggi sono andati al di là di ogni prevedibile aspettativa. Non
nascondo, tuttavia, che è stato un progetto complesso e laborioso da
portare avanti, ma che ha ampiamente ripagato le aspettative di tutti».
Recentemente l’Ordine dei commercialisti di Prato ha realizzato una
campagna pubblicitaria per mettere in guardia i cittadini da quei
consulenti fiscali che non sono iscritti all’Albo e che, per questo motivo,
non hanno le competenze specifiche per sostenere le aziende che operano
nel territorio. “Abbiamo le carte in regola” è uno degli slogan di questa
campagna. «La nostra campagna pubblicitaria», spiega Biancalani, «non
è un’iniziativa contro qualcuno, ma informativa, per sottolineare i valori
che contraddistinguono il nostro Ordine. Vogliamo che le persone
sappiano che le loro aziende sono assistite da professionisti preparati
appositamente per affrontare e risolvere problemi, indicare opportunità e
che, periodicamente, hanno l’obbligo di aggiornarsi con impegno e
sistematicità». Professionisti per i quali l’Ordine di Prato mette in campo
numerose iniziative, cercando di rendere più appetibile la professione ai
giovani la cui iscrizione al Registro del tirocinio, in tutta Italia, è ai minimi
storici. «Agli iscritti all’Ordine», spiega Biancalani, «cerchiamo di
garantire la massima “rappresentanza”, con l’obiettivo di far
comprendere a tutti gli interlocutori, come ai potenziali clienti, le qualità
oggettive della nostra attività e l’impegno concreto a lavorare al meglio.
Proprio per questo, ad esempio, organizziamo tutti i piani di formazione
ed aggiornamento necessari. Per quanto riguarda i giovani, in particolare,
a parte gli sconti sulle quote associative, cerchiamo di favorire il loro
inserimento come praticanti negli studi, il coinvolgimento nelle varie
commissioni, la creazione di occasioni di incontro e contatto, per fare in
modo che, grazie alla frequentazione di colleghi più esperti, si formino
quelle competenze e quelle qualità utili all’esercizio della professione».
Professione che ai vertici dell’Ordine non ha una rappresentanza
femminile, né in Consiglio né nel Collegio dei revisori, malgrado anche
nel nostro Paese si assista ad una crescente spinta verso la pari
rappresentanza delle donne nei processi decisionali. «In effetti», spiega il
presidente dei commercialisti di Prato, «adesso non sono presenti donne
nel Consiglio. Non si tratta del frutto di una volontà precisa,
naturalmente, ma il risultato di circostanze momentanee che hanno
portato a questo. Sicuramente il prossimo Consiglio colmerà questa
lacuna». Biancalani è anche consigliere dell'associazione “Giustizia e
Territorio”, che, lo scorso anno, ha messo insieme Ordine dei
commercialisti, Ordine degli avvocati e Confartigianato, con l’obiettivo di
sostenere il Tribunale di Prato attraverso un aiuto concreto, utilizzando il
personale e coloro che sono in formazione per supplire alle carenze della
macchina della giustizia. «L’obiettivo dell’associazione», afferma il
presidente dei commercialisti, «è evidenziare al mondo politico le
difficoltà in cui si trova il Tribunale di Prato, a non far sentire soli i
dipendenti del Tribunale nella loro battaglia giornaliera per la
sopravvivenza ed a dare un contributo in termini materiali, ma che, per
l’esiguità, non può che essere un appoggio poco più che morale. Questo è
il problema più importante che ci troviamo ad affrontare in questo
momento come mondo professionale».
Prato rappresenta uno dei più importanti distretti industriali italiani, che,
tra tessile e abbigliamento, conta oltre 7mila aziende e 34mila addetti. In
questo contesto, il ruolo del commercialista è molto importante
soprattutto nell’accompagnare le aziende nel processo di
internazionalizzazione. «Le aziende pratesi», spiega Biancalani, «hanno
esportato, nel 2015, 1.924 milioni di euro, con un incremento del 5,4%
rispetto all’anno precedente. Si tratta di realtà medio-piccole, ma che
hanno saputo conquistare uno spazio importante sui mercati mondiali, un
posto di primo piano. Sanno stare sul mercato e questo è dovuto al fatto
che, all’interno del distretto, lo spirito emulativo ha contribuito a creare
grandi competenze in questo senso. Di conseguenza, anche i
professionisti al servizio delle aziende, dovendo affrontare
costantemente queste problematiche, sono saliti di livello, perché il
livello professionale si adegua a quello della clientela. A tal proposito, non
ho timore di affermare che la classe professionale pratese è mediamente
molto preparata su queste tematiche». Ed in virtù anche dell’aumento
dell’export, secondo Confindustria, in Toscana è finalmente arrivata la
vera ripresa che traina anche l’occupazione. «La ripresa non è ancora così
radicata», commenta Biancalani, «ma ciò non toglie che, nell’ambito del
distretto, ci siano delle aziende che vanno molto, molto bene. Oggi
lavorare è più difficile, la qualità fa la differenza, ed essere “ben
consigliati” e lavorare in un ambiente non ostile aiuta molto. Le
infrastrutture sono fondamentali ed è per questo che la nostra battaglia
per il Tribunale diventa fondamentale in questo momento».
I numeri dell’Ordine
Iscritti all’Albo: 596 di cui 157 donne e 82 under 40
Iscritti al Registro del tirocinio: 69
TIZIANA MASTROGIACOMO
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Ordini&Territorio
Il distretto pratese alla sfida
ambientale
Andrea Cavicchi, presidente di Confindustria
Toscana Nord, racconta l’impegno delle
imprese locali contro sostanze chimiche
pericolose ed amianto
di T. Mas.
Prato rappresenta uno dei più grandi distretti industriali italiani ed uno
dei centri più importanti a livello mondiale per le produzioni di filati e
tessuti di lana. L’area del distretto tessile include 12 comuni in un
territorio a cavallo tra le province di Prato, Pistoia e Firenze. Interessa
una superficie di 700 kmq e rappresenta il 3% della produzione tessile
europea, esportando ogni anno 2,5 miliardi di euro (a fronte di un
fatturato di oltre 4 miliardi) di prodotti realizzati per alcuni dei principali
marchi internazionali tra cui Burberry, Prada, Valentino, Armani e Gucci.
Fra tessile e abbigliamento, Prato conta oltre 7mila aziende e 34mila
addetti.
S o n o 2 7 l e a z i e n d e d e l d i s t ret t o t e s s i l e d i P rat o i m p e g n at e n e l l a
c a m p a g n a D et o x , l a n c i at a n e l 2 0 1 1 da Gre e n p e a c e , ch e ch i e d e a i
m a rch i d e l l a m o da d i e l i m i n a re da l l e fi l i e re p ro d u t t i ve l e s o s t a n z e
ch i m i ch e p e r i c o l o s e e n t ro i l 2 0 2 0 . C o m e p ro c e d e?
Siamo molto soddisfatti della risposta che abbiamo avuto. I nostri soci
hanno capito che l’adesione a Detox è un modo per valorizzare l’impegno
delle imprese pratesi e dell’intero distretto sui temi dell’ambiente e della
tutela della salute di lavoratori e consumatori. Prato infatti non è nuova a
iniziative coraggiose ed anticipatrici sui temi della sostenibilità: non a
caso il distretto ha acquisito l’attestato Emas, che ha tenuto in conto gli
interventi fatti già a partire dagli anni ’80. Le imprese pratesi stanno
effettuando con determinazione gli adeguamenti richiesti da Detox,
consapevoli che il progetto ci aiuta a comunicare che il distretto di Prato,
il polo tessile più grande d’Europa, è pronto a raccogliere la sfida della
sostenibilità.
L e i s t i t u z i o n i p rat e s i h a n n o re c e n t e m e n t e p re s e n t at o u n p ro g et t o
p e r la ri m o z i o n e e lo s m a lt i m e n to del le co p e r t u re e deg l i a lt ri
m a n u fa t t i c o n t e n e n t i fi b r e d i a m i a n t o n e l l a v o s t r a p r o v i n c i a . S o n o
m o l t e l e a z i e n d e d e l d i s t r e t t o i n t e r e s s a t e d a l p r o b l e m a? E n t r o
q u a n d o l o r i s o l ve ret e?
Il problema si è in parte risolto negli ultimi anni: le imprese infatti hanno
colto l’occasione della diffusione del fotovoltaico, favorita anche dagli
incentivi, per effettuare operazioni di risanamento delle strutture.
Eliminato l’amianto, questo è stato sostituito dai pannelli fotovoltaici, con
un doppio vantaggio ambientale. Nell’intera provincia rimangono
comunque circa un milione di metri quadri di coperture in eternit che
contiamo possano essere rimosse nel giro di alcuni anni, grazie sia alle
iniziative locali sia ad agevolazioni nazionali e regionali. Confindustria
Toscana Nord lavora per promuovere le bonifiche dell’amianto da parte
delle aziende.
I co m m e rc i a l i s t i h a n n o p ro m o s s o u n ro a d sh ow p e r a ffi a n ca re le
i m p res e n el p ro ces s o d i i n te r n a z i o n a l i z z a z i o n e . Q u a n te s o n o le
i m p re s e d e l d i s t ret t o ch e h a n n o d e c i s o d i i n t ra p re n d e re q u e s t a
s t ra da e q u a l è i l s o s t e g n o ch e dat e l o ro?
L’internazionalizzazione, intesa soprattutto nel suo aspetto di vendita e di
presidi commerciali all’estero, è un punto di forza del distretto. Sono
poche le imprese del tessile-abbigliamento che non siano in qualche
misura internazionalizzate. Come associazione supportiamo le aziende in
vari modi, assieme ai consorzi per l’export che dall’associazione stessa
hanno preso le mosse. Confindustria Toscana Nord fornisce infatti
informativa e consulenza in tema di accesso ai mercati; di programmi
comunitari; di cooperazione internazionale; delle fiere (dove sul piano
operativo sono attivi soprattutto i consorzi); delle opportunità date dai
diversi mercati. Recentemente, a seguito di un progetto europeo di cui
siamo stati capofila, abbiamo istituito il Mediterranean Desk, strumento
informativo e di promozione di opportunità di partenariato in ambito
tessile-abbigliamento fra i paesi del bacino del Mediterraneo. Inoltre
effettuiamo attività di export check up ed organizziamo missioni
all’estero ed incoming sul territorio.
I l P ro g et t o P rat o av v i at o n e g l i u l t i m i a n n i h a c o i nvo l t o s o g g et t i
i s t i t u z i o n a l i e s o c i o - e co n o m i c i del te r ri to ri o col fi n e d i ri p o si z i o n a re
i l d i s t ret t o at t rave rs o p ro c e s s i d i m o d e r n i z z a z i o n e e d i n n o va z i o n e .
Q u a l i s o n o l e i d e e p i ù i n t e re s s a n t i ve n u t e a l l a l u c e?
Sono due le attività per noi più significative: la mappatura della filiera
tessile ed il progetto per l’istituzione di un sistema di welfare di distretto.
Il lavoro di mappatura è ultimato per i principali segmenti del ciclo tessile:
i dati emersi sono preziosi per chiunque, istituzione pubblica o soggetto
privato, voglia impostare un piano di politica industriale per il territorio
pratese. Si sono infatti evidenziati con chiarezza i punti in cui la filiera
mostra delle smagliature, consistenti principalmente in fasi di
lavorazione in forte regressione, e, viceversa, i punti di forza su cui far
leva per una compiuta ripresa economica.
Quanto al welfare, l’idea del Cogefis (un organismo di cui siamo parte
insieme a CGIL, CISL e UIL) è quella di estendere alle piccole imprese del
territorio i vantaggi di cui già oggi godono i dipendenti di grandi imprese.
In sostanza una parte del salario potrebbe essere erogata attraverso
servizi welfare (costi sanitari ed assistenziali; spese per gli asili, i testi
scolastici ed i corsi di lingue; convenzioni per l’acquisto dei beni e servizi
più diversi), con una minore incidenza degli oneri fiscali e quindi con un
valore finale più elevato per i lavoratori. Un modo per accrescere il potere
di acquisto del personale delle nostre aziende, attraverso l’idea, ben
collaudata nel distretto pratese, di creare una “massa critica” di
domanda. E’ un progetto ambizioso, reso complesso da vincoli normativi
che solo recentemente hanno conosciuto evoluzioni positive.
Ne l 2 0 1 3 a P ra t o c i f u u n r o g o i n u n a d i t t a t e s s i l e c i n e s e i n c u i
p e rs e ro la v i t a d i ve rsi o p e ra i . L’a z i e n da si t ro vava n el la z o n a del
Ma c ro l o t t o , u n a d e l l e a re e a m a g g i o re d e n s i t à d i d i t t e o r i e n t a l i .
C o m e s a l va g u a rda re l a s i c u re z z a d e i l u o g h i d i l avo ro e l a q u a l i t à d e i
p r o d o t t i e fa r e m e r g e r e i l l a v o r o i r r e g o l a r e ?
Sul fronte della sicurezza sui luoghi di lavoro è stato portato a conclusione
un progetto della Regione Toscana che mirava ad effettuare interventi
diretti sulle imprese soprattutto cinesi. I risultati sono stati incoraggianti,
in linea con un processo di integrazione che, sia pure a piccoli passi, sta
andando avanti. Occorre lavorare sul doppio binario dei controlli da un
lato e della crescita della consapevolezza e della cultura aziendale
dall’altro. La nostra speranza sono i giovani, immigrati e locali: il dialogo
e il comune percorso di vita che si trovano a compiere è la premessa
necessaria per una società più integrata.
Q u a l è la si t u a z i o n e del l’e co n o m i a p rates e? I l d i s t ret to è fi n a l m e n te
u s c i to da l la c ri si ?
I numeri ci dicono di sì. I dati sull’export, in particolare, delineano una
situazione in ripresa. L’export di Prato nel 2015 ha avuto un incremento
del +5,4% rispetto al 2014. Durante l’anno c’è stata una progressione
positiva: partendo dal segno negativo del primo trimestre, nel quarto
trimestre si è arrivati alla seconda variazione positiva della Toscana
(+14,1%). Il settore moda, che da solo rappresenta l’81,8% del totale
dell’export manifatturiero pratese, segna su base annua +1,7% per il
tessile e +10,4% per abbigliamento ed accessori in tessuto e maglia. Il
nostro rimane un settore fortemente esposto alla concorrenza
internazionale e quindi dobbiamo essere sempre molto prudenti nelle
nostre valutazioni. Ma di certo sono utili ed efficaci le nostre strategie per
prodotti sempre in linea con le tendenze moda, di elevata qualità e
supportati da servizi moderni e veloci.
I l Mu s e o del Tes su to
Il Museo del Tessuto di Prato, risultato di una realtà cittadina che dal
Medioevo mantiene viva e coltiva la sua vocazione tessile, è l’unico in
Italia dedicato interamente all’arte ed alla tecnologia tessile, e conserva
un patrimonio di estremo interesse per qualità e varietà delle collezioni.
Nato nel 1975 in seguito ad una donazione di oltre 600 pezzi del
collezionista Loriano Bertini, le sue collezioni si sono ampliate grazie ad
apporti pubblici e privati fino a raggiungere oltre 6mila campioni di
tessuti provenienti da tutto il mondo e databili dal V sec. d.C. ad oggi.
Il nuovo museo occupa gli ambienti restaurati della “Cimatoria
Campolmi Leopoldo e C.”, gioiello di archeologia industriale del XIX
secolo, situato all'interno della cerchia muraria medievale della città.
L’intero complesso architettonico è composto da un quadrilatero
sviluppato attorno ad una corte rettangolare, al centro della quale si
trovano una grande vasca d’acqua ed un’alta ciminiera in mattoni eretta
nel 1896. Di questo edificio, testimone della storia produttiva tessile
pratese fino al 1990, un’ala è stata scelta per ospitare il Museo del
Tessuto, mentre il resto del complesso architettonico ospita la nuova sede
della biblioteca comunale Alessandro Lazzerini.
Il percorso museale comprende le collezioni di tessuti antichi nelle loro
varie tecniche di esecuzione (allo stato frammentario o confezionati per
uso laico, religioso e per arredamento) ed una sezione del tessile
contemporaneo che nasce da un dialogo costante tra il Museo e le
imprese locali, nello sforzo di conservare e comunicare il patrimonio di
creatività e ricerca applicato al tessuto che quotidianamente investe la
produzione tessile pratese.
Oltre ai reperti tessili, il Museo conserva macchinari e strumenti di
preparazione alla tessitura riconducibili a manifatture italiane, in alcuni
casi frutto di elaborazioni ed accorgimenti realizzati per la produzione
locale, e testimonianze nel campo della chimica tintoria dalla fine
dell’Ottocento alla prima metà del Novecento.
T. MAS.
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Global Review
Pregi e criticità della branch
exemption
Dal Consiglio Nazionale dei commercialisti un
pacchetto di proposte migliorative sulla bozza
di provvedimento dell’Agenzia delle Entrate
di Piergiorgio Valente
Con l’adozione, da parte dell’OCSE, delle misure contenute nel
“pacchetto” dell’8 ottobre 2015, la lotta all’erosione della base
imponibile mediante il profit shifting (cd. Progetto BEPS) è giunta ad una
svolta (1).
Le suindicate misure sono, infatti, in fase di implementazione, sia a
livello dell’ordinamento interno sia sul piano internazionale
convenzionale, in modo coordinato e con la previsione di obblighi di
monitoraggio e trasparenza. È proprio l’esigenza di un’attuazione
uniforme che ha indotto l’OCSE a dare avvio ai lavori per la
predisposizione di uno strumento multilaterale, il quale dovrebbe essere
presentato entro la fine del 2016.
Anche le istituzioni comunitarie hanno accolto con favore e supportato gli
studi e gli approfondimenti dell’OCSE per il contrasto alla pianificazione
fiscale aggressiva. In siffatto contesto si inserisce l’adozione, da parte
della Commissione europea: in data 18 marzo 2015, del pacchetto sulla
trasparenza fiscale (cd. “Tax Transparency Package”), per garantire una
maggiore apertura e cooperazione tra gli Stati membri in materia di
tassazione societaria; in data 17 giugno 2015, del Piano d’Azione per una
tassazione societaria più equa ed efficiente e per il rilancio della base
imponibile comune consolidata (CCCTB); del cd. pacchetto antielusione
del 28 gennaio 2016, il quale contiene misure giuridicamente vincolanti
idonee a “bloccare” i metodi più comunemente utilizzati per eludere il
Fisco (2).
Un ambito critico sul versante della lotta alla pianificazione fiscale
aggressiva riguarda il tema dell’identificazione della stabile
organizzazione (Action 7 del BEPS Action Plan del luglio 2013), il quale,
peraltro, è strettamente connesso all’attività svolta dalle imprese
multinazionali cd. “digitali” (Action 1 del BEPS Action Plan). Nel
contesto del Progetto BEPS, l’OCSE ha raccomandato l’adozione di
misure dirette a prevenire il cd. “artificial avoidance of PE status”,
evidenziando come molti dei più recenti modelli di business
implementati dalle imprese multinazionali (digitali e non) contemplino i
cd. “commissionnaire arrangements” e si caratterizzino per una
“artificiosa” frammentazione delle attività (3).
Lo strumento multilaterale per un’implementazione condivisa ed
uniforme delle misure BEPS dovrebbe contenere disposizioni dirette a
modificare le attuali previsioni di cui all’art. 5 del Modello di
Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni (4).
G l i i n t e r ve n t i da p a r t e d e l L e g i s l at o re i t a l i a n o e d i l re g i m e d i b ra n ch
exemption
Le tematiche affrontate a livello OCSE nel contesto del Progetto BEPS, ed
avallate dalle istituzioni comunitarie con interventi specifici e
raccomandazioni agli Stati membri, hanno offerto alcuni importanti
spunti per il Legislatore italiano, in particolare, quello della riforma
fiscale in attuazione della Legge delega del 2014 (Legge 11 marzo 2014,
n. 23).
Il Decreto legislativo n. 147 del 14 settembre 2015, contenente
“Disposizioni recanti misure per la crescita e l’internazionalizzazione
delle imprese” (in vigore dal 7 ottobre 2015), approvato in attuazione
della suindicata Legge delega del 2014, ha introdotto strumenti
importanti a sostegno dell’attività internazionale delle imprese.
Tra questi, vi è il regime di esenzione degli utili e delle perdite delle stabili
organizzazioni di imprese residenti (cd. “branch exemption”). L’art. 14
del D.Lgs. n. 147 del 2015 prevede, infatti, la possibilità di esercitare
l’opzione per la branch exemption, ossia che in capo ad un’impresa
residente nel territorio dello Stato italiano non assumano rilevanza fiscale
gli utili e le perdite realizzati dalle sue stabili organizzazioni all’estero.
L’opzione è irrevocabile e va esercitata per tutte le stabili organizzazioni
della medesima impresa, a condizione che non siano localizzate in Stati o
territori inclusi nel decreto o nel provvedimento emanati ai sensi dell’art.
167, comma 4 del TUIR o che non abbiano i requisiti di cui al comma
8-bis dell’art. 167 del TUIR. Al fine di consentire alle imprese di
adeguare i propri sistemi contabili al nuovo regime, è riconosciuta la
possibilità di esercitare l’opzione per la branch exemption entro il
secondo periodo d’imposta successivo a quello di entrata in vigore della
norma, con effetto dal periodo d’imposta “in corso a quello di esercizio
della stessa”.
Quanto alle modalità di determinazione del reddito della stabile
organizzazione in vigenza della branch exemption, si prevede che questo
deve essere calcolato secondo i principi ed i criteri indicati nell’art. 152
del TUIR. Tale norma richiama ed esplicita il principio elaborato in sede
OCSE, che individua la stabile organizzazione quale “functionally
separate entity” (5).
Il comma 3 dell’art. 14 in commento prevede che con provvedimento del
Direttore dell’Agenzia delle Entrate, da emanarsi entro novanta giorni
dalla data di entrata in vigore del Decreto legislativo medesimo, sono
disciplinate le relative modalità applicative. Sulla base di tale previsione,
l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato una bozza di Provvedimento
contenente le disposizioni attuative del suindicato regime, sollecitando
tutte le parti interessate ad avanzare propri commenti entro il 31 marzo
2016.
Secondo il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti
Contabili (CNDCEC), che ha presentato propri commenti alla bozza di
Provvedimento, il sistema dell’esenzione proposto, in alternativa al
credito di imposta, è finalizzato ad evitare la doppia imposizione
internazionale, che rappresenta un significativo ostacolo allo svolgimento
di attività di business transfrontaliera da parte delle imprese
multinazionali. L’apertura di nuovi mercati, in un contesto in cui i gruppi
societari avvertono sempre di più l’esigenza di espandere le proprie
attività all’estero, richiede interventi diretti a sostenere crescita e
competitività degli operatori economici, nonché ad attrarre investimenti.
Per tali motivi, secondo il CNDCEC, l’introduzione del regime della
“branch exemption” non può che essere accolta con favore dalle imprese
italiane. Allo stesso modo, non può non essere accolta con favore la bozza
di Provvedimento che, in virtù di quanto previsto dal comma 3 dell’art.
14 del D.Lgs. n. 147 del 2015, ha l’obiettivo di chiarire gli aspetti
applicativi del regime di esenzione degli utili e delle perdite delle stabili
organizzazioni di imprese residenti di cui all’art. 168-ter del TUIR.
Dalla bozza di Provvedimento emergono, tuttavia, alcune problematiche
applicative specifiche, che il CNDCEC ha puntualmente rilevato.
L e p ro b l e m at i ch e a p p l i c at i ve s p e c i fi ch e s e c o n d o i l C N D C E C
Una prima criticità evidenziata dal CNDCEC attiene al regime di
recapture delle perdite con blocco di quelle “in corso di utilizzo”, che
costituisce metodo complesso e di incerto effetto. Una soluzione
potrebbe essere quella di prevedere il recupero fino a capienza, facendo
“emergere” le perdite della stabile organizzazione; in alternativa, si
potrebbe contemplare la recapture di tutte le perdite, a prescindere dal
fatto che siano o meno già state utilizzate.
Quanto alla determinazione del reddito della stabile organizzazione
esente, secondo il CNDCEC sarebbe opportuno applicare un approccio
che contempla la completa segregazione del conto economico della
stabile organizzazione rispetto a quello della casa madre.
In merito alla tempistica, la bozza di Provvedimento prevede che le stabili
organizzazioni già esistenti possono adottare l’opzione per il nuovo
regime entro la fine del secondo esercizio successivo, con efficacia dallo
stesso esercizio nel corso del quale l’opzione è stata esercitata. Al
contrario, per le imprese che costituiscono la stabile organizzazione dopo
l’entrata in vigore della nuova normativa (cioè a partire dal 2016),
l’opzione dovrà essere esercitata entro la fine del medesimo periodo
d’imposta.
Secondo il CNDCEC, siffatta differenziazione di trattamento appare priva
di giustificazione. Pertanto, sarebbe opportuno riconoscere la possibilità
di esercitare l’opzione entro il secondo periodo d’imposta successivo ad
entrambe le categorie.
La bozza di Provvedimento, a parere del CNDCEC, non appare esaustiva
sul piano dell’ambito di applicazione del regime. L’emanando
Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate dovrebbe, in
particolare, chiarire se il regime opzionale possa o meno essere esteso ai
soggetti “imprese non residenti” che operino in Italia attraverso stabili
organizzazioni, le quali, a loro volta, detengano sub-stabili organizzazioni
in altri Stati. Inoltre, la partecipazione in una società di persone estera
dovrebbe essere considerata quale “partecipazione in una stabile
organizzazione estera”, anziché in un “ente non residente”,
genericamente soggetto ad IReS. Ciò in quanto, sottolinea il CNDCEC, la
situazione per cui ogni società od ente non residente, indipendentemente
dal trattamento legale e fiscale locale, è considerata un “soggetto IReS”
può comportare casi di “hybrid mismatches” che danno adito a fenomeni
di doppia esenzione (o di doppia imposizione).
La bozza del Provvedimento non contiene indicazioni in merito alla
contabilità della stabile organizzazione estera. Il CNDCEC precisa che
l’emanando Provvedimento potrebbe rappresentare una valida occasione
per fornire chiarimenti sul punto.
Una previsione critica, infine, è rappresentata dal paragrafo 9.1 della
bozza di Provvedimento, la quale prevede l’applicazione di una ritenuta
da parte di una stabile organizzazione estera sugli interessi e canoni dalla
stessa corrisposti, nei casi in cui la stabile organizzazione sia localizzata in
uno Stato diverso da quello del beneficiario effettivo del pagamento. A
parere del CNDCEC, la casa madre italiana – e non la stabile
organizzazione – dovrebbe procedere all’applicazione della ritenuta. Tale
soluzione sarebbe in linea con il principio per cui la stabile organizzazione
appartiene alla casa madre e quindi i pagamenti a soggetti terzi si
imputano giuridicamente alla casa madre.
(1) Per approfondimenti sul cd. Progetto BEPS cfr. Valente P., Elusione
Fiscale Internazionale, IPSOA, 2014, p. 1895 ss..
(2) Per approfondimenti cfr. Valente P., “Contrasto all’Erosione della
Base Imponibile, Normativa Europea e Misure di Attuazione
nell’Ordinamento Italiano”, in Rivista della Guardia di Finanza, n.
1/2016.
(3) Per approfondimenti sulle problematiche BEPS legate alla stabile
organizzazione cfr. Valente P., Elusione Fiscale Internazionale, IPSOA,
2014, p. 1103 ss..
(4) Per approfondimenti sull’art. 5 del Modello OCSE cfr. Valente P.,
Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, IPSOA, 2016,
Commento all’art. 5.
(5) Per approfondimenti sulle modalità di attribuzione del reddito alla
stabile organizzazione cfr. Valente P., Manuale del Transfer pricing,
IPSOA, 2015, p. 2737 ss..
PIERGIORGIO VALENTE
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Start Up Stories
Orange Fiber, la moda nasce
dalle arance
Una start up innovativa nel cuore della Sicilia ha
sviluppato un processo per creare tessuti dalle
bucce dei frutti
di Sara Argentina
Orange Fiber, nata agli inizi del 2014, è un’azienda italiana iscritta al
registro delle startup innovative che ha brevettato e produce tessuti
sostenibili per la moda dal settore agrumicolo.
Fondata da Adriana Santanocito, ideatrice del progetto, ed Enrica Arena,
Orange Fiber ha sviluppato un processo capace di creare un tessuto
utilizzando il sottoprodotto che l’industria di trasformazione agrumicola
produce ogni anno in Italia - oltre 700.000 tonnellate - e che altrimenti
andrebbe smaltito, determinando costi per l’industria del succo di agrumi
e per l’ambiente.
Alla base dell’idea, una passione - quella per la moda - ed un obiettivo:
sviluppare un progetto industriale che salvaguardasse l’ambiente
utilizzando un prodotto nostrano, le arance.
Nel 2011, infatti, Adriana stava ultimando i suoi studi in Fashion design e
Materiali innovativi all’AFOL Moda di Milano, quando rimase molto
colpita dalla sofferenza del settore agrumicolo siciliano, le cui arance
facevano fatica ad entrare nel mercato ed i cui sottoprodotti industriali
comportavano grossi problemi di smaltimento in termini di costo per le
industrie di trasformazione e, altresì, per l’ambiente.
Fu allora che ebbe l’intuizione di utilizzare gli agrumi per la produzione di
tessuti per la moda.
La teoria fu esposta nella sua tesi finale e, dopo aver provato la fattibilità
del processo con il laboratorio di Chimica dei materiali del Politecnico di
Milano, depositò il brevetto italiano, esteso poi in PCT internazionale nel
2014.
A settembre del 2014, grazie ai fondi del bando Seed Money di Trentino
Sviluppo, venne presentato il primo prototipo di tessuto dagli agrumi e, a
dicembre 2015, grazie anche al finanziamento di Smart&Start Invitalia,
venne inaugurato il primo impianto pilota con sede a Caltagirone per
l’estrazione della cellulosa da agrumi atta alla filatura, che permise di
ottimizzare la logistica e produrre a sufficienza in modo tale da
posizionare il marchio come un prodotto di nicchia al suo esordio.
Il modello di business scelto è quello dell’Ingredient Brand, lavorando sul
valore aggiunto rappresentato dall’origine della fibra e dalla sua
sostenibilità ambientale.
Il tessuto Orange Fiber è stato brevettato ed è già stato testato da alcune
industrie tessili e brand di moda. Al momento Orange Fiber sta
individuando partner strategici con cui iniziare la commercializzazione e
la distribuzione del prodotto entro il 2016.
Attualmente, la Orange Fiber s.r.l. è composta da 5 membri. Oltre ad
Adriana Santanocito, che è CEO & socio fondatore, e ad Enrica Arena,
che è il CMO, vi sono altri tre soci: Francesco Virlinzi, Antonio
Perdichizzi e Corrado Blandini. Completano il team dei collaboratori un
chimico industriale, uno specialista di processo tessile ed un advisor di
management aziendale e venture financing.
D o t t o r e s s a S a n t o n o c i t o , c o m e n a s c e l’ i d e a d i O r a n g e F i b e r ?
Orange Fiber nasce dalla voglia di fare qualcosa per la nostra terra,
dall’esigenza di trasformare un problema in una risorsa economica e
portare l’innovazione e la sostenibilità all’interno del comparto tessile e
manifatturiero italiano.
Q u a l è l a t i p o l o g i a d i p a r t n e r d e l l a vo s t ra fi l i e ra a c u i v i r i vo l g et e o
i n t e n d et e r i vo l g e r v i ?
I principali attori della nostra filiera sono le industrie di trasformazione
agrumicola, le aziende di filatura e, infine, quelle di tessitura, con le quali
abbiamo già stretto partnership strategiche che ci consentono di
ottimizzare il processo produttivo e di controllarlo dall’alto.
Avete g i à i n i z i ato a col lab o ra re co n a z i e n de d i m o da e , s e sì , co n
q u a l i b ra n d?
Oggi siamo in una fase avanzata di trattativa con alcuni brand storici del
lusso Made in Italy - di cui non possiamo svelare i nomi - che hanno
dimostrato un forte interesse per il nostro progetto. Il nostro sogno è di
presentare dei prodotti di design sviluppati da un brand di moda che
abbracci i valori etici del progetto e dia forma al tessuto Orange Fiber,
valorizzandone le potenzialità.
E s i s t e u n a d i ff e re n z a t ra i l m e rc at o i t a l i a n o e q u e l l o i n t e r n a z i o n a l e
n el m o do i n c u i v i e n e p e rce p i to i l p ro do t to?
Attualmente stiamo lavorando all’ottimizzazione del processo di
produzione industriale e contiamo di presentare i nostri prodotti sul
mercato entro il 2016. Non conosciamo ancora quale sarà l’effettiva
risposta del mercato, ma le manifestazioni d’interesse sinora raccolte e
l’entusiasmo dimostrato nei confronti del progetto - sia a livello nazionale
che internazionale - delineano un quadro roseo e molto promettente.
Q u a l i s o n o l e m a g g i o r i d i ffi c o l t à ch e avet e i n c o n t rat o c o m e s t a r t u p
i n n o v a t i v a?
Come per tutte le startup, la strada dall'idea all’impresa non è semplice; è
una strada complicata, costellata di intoppi e false partenze. Per un
progetto industriale come il nostro, poi, che ha bisogno di ricerca
applicata e di un percorso di scale up industriale, la difficoltà maggiore è
sempre stata reperire i fondi sufficienti per sviluppare il progetto fino al
suo ingresso nel mercato.
Fortunatamente, in questi anni, siamo riusciti a superare questo scoglio
con un mix di agevolazioni statali, capitale di rischio di Business Angel ed
il supporto ricevuto da acceleratori ed incubatori che ci hanno messo a
disposizione competenze e network professionali.
Q u a l è i l co s to del la m ate ri a p ri m a ri s p et to a i tes su t i d i p ro ces si
i n d u s t r i a l i t ra d i z i o n a l i e c o n s o l i dat i e q u a n t o i n c i d e s u l c o s t o d e l
p ro d o t t o fi n a l e? S i t rat t a d i u n m at e r i a l e a s s i m i l ab i l e a u n t e s s u t o t o p
d i g a m m a?
Orange Fiber è il primo tessuto creato a partire dal sottoprodotto
dell’industria di trasformazione agrumicola: in pratica, recuperiamo un
materiale esausto, non rivale al consumo alimentare, e lo trasformiamo,
attraverso processi semi-industriali sostenibili, in un nuovo materiale
capace di rispondere alle esigenze di sostenibilità e innovazione del
comparto moda.
Nello specifico, il tessuto viene realizzato a partire dal pastazzo d’agrumi,
ossia quel residuo umido che resta al termine della produzione industriale
di succo e che non può più essere utilizzato ma solo gettato via come un
rifiuto.
Grazie al processo da noi brevettato, siamo in grado di sfruttare le
potenzialità del pastazzo per l’estrazione della cellulosa d’agrumi atta alla
filatura, trasformando così uno scarto in una risorsa per il rilancio
economico del comparto manifatturiero italiano.
Paragonato alle tradizionali fibre cellulosiche artificiali, sia quelle
derivate da legno che quelle da canapa e bamboo, la nostra fibra non
sfrutta le risorse naturali e, riutilizzando uno scarto, ha costi di
approvvigionamento della materia prima molto contenuti. Il prodotto
finale è un tessuto sostenibile di altissima qualità, paragonabile alla seta.
Q u a l i s o n o i vo s t r i o b i et t i v i n e l b re ve e m e d i o t e r m i n e?
Nel breve periodo, e cioè entro il 2016, i nostri obiettivi sono
l’ottimizzazione del processo di produzione industriale e l’ingresso sul
mercato in co-branding con un’azienda di moda.
Nel medio termine, prevediamo di continuare a testare, migliorare e
scalare la nostra idea di business, sviluppando ulteriormente il nostro
processo sul modello dell’economia circolare e consolidando la nostra
presenza sul mercato dei tessuti sostenibili ed innovativi.
Finora l’azienda ha raccolto circa 300.000 € tra fondi pubblici (bando
FESR 1/2013 – Seed Money, Trentino Sviluppo e Smart&Start, Invitalia)
e privati. Recentemente è stato anche riconosciuto un contributo del
valore di 150.000 € in quanto vincitori del Global Change Award,
un’iniziativa globale lanciata dalla H&M Conscious Foundation ad agosto
2015 con l’obiettivo di selezionare e supportare le idee più innovative
capaci di chiudere il cerchio nel settore della moda e salvaguardare così le
risorse naturali del pianeta.
Il progetto è risultato tra quelli vincitori, selezionati da parte di una giuria
di esperti fra oltre 2.700 progetti provenienti da 112 differenti Paesi. A
questi si sono aggiunti numerosi altri prestigiosi riconoscimenti a livello
nazionale ed internazionale.
SARA ARGENTINA
Copyright © 2015, Press Srl. Tutti i diritti riservati.
Italians Do It Better
Papermilk, la prima carta al latte
del mondo
È stata realizzata in Italia da Susanna Bonati:
“L’alimento della prima fase di vita diventa
nutrimento per la creatività nella
comunicazione”
di S. Arg.
Giornalista, scrittrice, creativa, Susanna Bonati è una donna poliedrica,
effervescente ed è l’inventrice di un prodotto che sta facendo il giro del
mondo: Papermilk, la prima carta realizzata dal latte. Ciò che rende
questo prodotto originale è che si tratta dell’unica carta realizzata con
fibre di latte ottenute da scarti alimentari. Infatti non era mai stata
prodotta una fine paper con l'ingrediente base della prima alimentazione.
Susanna nasce pubblicista nel 2006, una giornalista per caso o, meglio,
per l’esigenza di creare dal nulla e, soprattutto, creare con le parole.
Spinta da questo intuito fonda giornali e, sempre creando con le parole,
scrive anche un libro dal titolo “A mia madre (nonostante tutto)”, di cui
sta già pensando al sequel.
Se le si chiede come preferisce essere considerata tra le sue tante
esperienze, non ha dubbi: “creativa” è la risposta. Perché è proprio dalla
sua creatività, unita ad una forte dose di inventiva, che ha origine
Papermilk, una carta con cui i creativi di tutto il mondo potranno
sbizzarrirsi per dare vita a prodotti per la comunicazione ad alto
contenuto aggiunto.
"Essere creativa è una maledetta benedizione con cui sono nata mio
malgrado. Se fino a qualche tempo fa mi pareva di sentirne il peso, oggi,
sinceramente, ne gusto il dono. E ringrazio di averne ricevuto in quantità
così imbarazzante”, esordisce Susanna.
L'idea di Papermilk prende forma nella sua testa nel 2012, dopo avere
approfondito la conoscenza sui tessuti a base di latte che nella moda si
stanno ricavando uno spazio importante e significativo anche da un punto
di vista “cosmetico”, considerato che gli abiti prodotti con tali tessuti
consentono un rilascio sulla pelle di sostanze lenitive ed ammorbidenti.
Due anni dopo, Susanna vince il “Luxury Packaging Award 2014” con la
sua shopping bag, realizzata per la casa vinicola franciacortina La
Montina (in collaborazione con Giò Gatto, Mauro Neri e Gruppo
Cordenons spa).
Perché realizzare una carta con il latte? “Personalmente ho da sempre
considerato la carta la stoffa della comunicazione, insistendo sul concetto
per cui nessun abito sarebbe tale senza un tessuto, esattamente come
nessun prodotto comunicativo senza un supporto”, spiega. “Da qui
l'istinto forte di voler vedere realizzata un’intuizione ‘giusta nella pancia’,
di quelle di cui solo i creativi conoscono l'anima. Proprio in un momento
storico di grande sovraffollamento di messaggi urlati e di grande
confusione, Papermilk vuol essere l'angolo della coccola, il foglio
biancolatte su cui riscrivere una storia. La storia, la propria storia...”,
aggiunge con enfasi.
Papermilk è, dunque, molto più che un prodotto per Susanna. Come ogni
creatrice, infatti, ha un rapporto affettivo con la propria invenzione e,
quando le si chiede di illustrare Papermilk, con passione descrive: “È una
carta con cui i creativi di tutto il mondo potranno sbizzarrirsi a dare vita a
prodotti per la comunicazione ad alto contenuto aggiunto. Le fibre di latte
contenute nella carta conferiscono al nuovo supporto non solo un tatto ed
una morbidezza unici (essendo inclusa anche una percentuale di cotone
nella ricetta industriale), ma un immediato rimando alla primordiale
necessità vitale del latte materno che, come nessun'altra cosa, ci ha
protetti e nutriti. Esattamente come Papermilk potrà fare con i prodotti
contenuti nei packaging realizzati con essa, con il suo morbido abbraccio.
Il latte sta al nutrimento nella prima fase di vita come Papermilk sta al
nutrimento della creatività. Ci piace pensare che possa essere nutrimento
per la creatività e l'unicità”.
La carta è stata prodotta ed è attualmente commercializzata dalla cartiera
italiana Gruppo Cordenons spa, con sede operativa a Milano e polo
produttivo italiano proprio a Cordenons, nel friulano. L'azienda vende in
Italia e nel mondo attraverso la sua rete di venditori e distributori. Il
prodotto è disponibile in tre differenti grammature (140, 250 e 350 gr.) e
solo nella nuance biancolatte.
Infine, a proposito dell’utilizzo più indicato per questa tipologia di carta,
Susanna Bonati precisa: “Non ci sono limiti: la sua unicità, il suo tatto, il
suo colore biancolatte, che è bello lasciare parlare, orientano l'utilizzo al
packaging di alto profilo ed a tutte le necessità comunicative del mondo
del lusso, che ha già espresso consenso per Papermilk. Inviti per sfilate,
copertine di pregio, corporate image raffinata. Tutto al sapore del latte”,
conclude con entusiasmo.
S. ARG.
Cultura
Vino e religioni
Rapporti tra il vino e le tre grandi religioni
monoteiste
di Daniela Castellucci
di Domenico Calvelli
Lineadaria Editore
Il volume, dopo averci introdotto attraverso un’esauriente sintesi storicogeografica nell’essenza del ruolo che il vino ha assunto nei secoli a livello
culturale, nella religione, nella vita sociale, nell’economia, ci conduce in
una sorta di racconto che ascoltiamo immersi nello straordinario
intreccio tra le diverse culture del Mediterraneo, anche tra quelle che
sembrano più diverse e lontane. Non senza aver messo in evidenza
l’obbligo del vino nei rituali di “passaggio” e nelle feste che ricordano e
riprendono i riti greci legati a Dioniso, le citazioni nelle opere di Orazio,
Ovidio e Catullo, l’autore racconta del ruolo, dei significati e
dell’importanza che il vino ha assunto nel corso dei secoli nella
simbologia delle tre grandi religioni monoteiste (cristianesimo, ebraismo
e islam), svelandoci funzioni a dir poco sconosciute e regalandoci i
passaggi che il Vecchio ed il Nuovo Testamento ne fanno a riguardo. Il
testo, infatti, spiega minuziosamente il ruolo del vino nella liturgia del
Cristianesimo, per poi arrivare alle regole alimentari ebraiche (kasherut) molto importanti per far capire il trattamento cui deve essere sottoposto il
vino prima di essere definito kasher e poter essere assunto dagli Ebrei
osservanti - per concludere infine con la religione islamica ed il suo
approccio con il vino, regolamentato e vietato severamente dagli
insegnamenti tramandati dal Profeta Maometto.
D o m e n i co C a l vel l i è presidente dell’Ordine dei commercialisti di Biella,
direttore responsabile della testata giornalistica di cultura economica e
giuridica “Il Commerci@lista” e componente della commissione
Università e Tirocinio del Consiglio nazionale dei commercialisti.
R e v i s o re deg l i e n t i lo ca l i
di Stefano Pozzoli, Antonino Borghi
Ipsoa Editore
Il libro tratta tutte le aree di competenza del revisore ed è strutturato in
capitoli schematici che indicano l’elenco delle “cose da fare” nel corso
dell’attività di revisione in un ente locale. L’articolazione su base tematica
permette una lettura molto rapida, argomento per argomento, e consente
di soffermarsi sui punti che interessano al momento di formulare un
parere, scrivere una relazione o procedere ad un controllo.
La nuova edizione affronta le numerose novità in materia di contabilità e
controllo scaturite dal nuovo ordinamento contabile ed entrate a regime
dal 1° gennaio 2016, e vuole anche essere di ausilio a chi deve attrezzarsi
per superare le prove cui ci si deve sottoporre per i crediti formativi
richiesti dal Ministero dell’Interno.
S te fa n o Po z z ol i , commercialista e revisore legale, è componente della
Public Sector Commettee della FEE e presidente della commissione Enti
locali del Cndcec.
Antonino Borghi, commercialista e revisore legale, è presidente Ancrel
(Associazione nazionale revisori e certificatori enti locali) e della
commissione Revisione del Cndcec.
Da q u e s t a p a r t e d e l m a re
di Gianmaria Testa, prefaz. Erri De Luca
Einaudi Editore
Gianmaria Testa ritorna – questa volta non nelle vesti di cantautore ma di
scrittore – sul tema delle migrazioni contemporanee. Un libro in cui è
assente ogni forma di retorica, dove la penna mantiene il solo punto di
vista oggettivo che si intende indagare: il valore umano del migrante. Il
libro racconta storie di uomini con una lingua poetica e tagliente, insieme
burbera ed emozionata. A dieci anni dall’uscita del disco Da questa parte
del mare, che ha ricevuto la Targa Tenco nel 2007 come migliore album
dell’anno, quelle canzoni cosi? vive ed attuali generano qualcosa di
nuovo: un libro, un altro tipo di scrittura e di voce. «Ho l’impressione che
nei confronti del fenomeno delle migrazioni abbiamo avuto uno sguardo
povero ed impaurito, che ha fatto emergere la parte meno nobile di noi
tutti - scrive – Bisogna avere occhi, cervello e coraggio da spendere».
Un piccolo ed intensissimo libro più potente di mille chiacchiere.
Gi a n m a ri a Tes t a è cantautore e scrittore. Ha collaborato assieme ad Erri
De Luca anche ad attività teatrali.
**Il Futuro del lavoro
Le persone, i manager, le imprese **
di Jacob Morgan
Franco Angeli Editore
La maggior parte delle persone pensa al lavoro in termini di stress e
routine, ma la buona notizia è che il mondo del lavoro oggi sta
cambiando. Quali sono esattamente i cambiamenti che le persone stanno
introducendo nel mondo del lavoro? È possibile individuare alcune delle
pratiche manageriali superate, ma ancora in uso, e le caratteristiche dei
nuovi approcci? Il futuro del lavoro si concentra sulle nuove tecnologie a
nostra disposizione e la velocità dei nuovi mezzi di comunicazione: tutto
cambia molto rapidamente. Rimanere al passo di questi cambiamenti
significa comprendere che il lavoro e le imprese così come le conosciamo
sono realtà che appartengono al passato, destinate a modificarsi
radicalmente sotto la spinta delle nuove generazioni, dei nuovi
comportamenti indotti dai social media e dal Web, delle nuove
tecnologie, della maggiore mobilità e della globalizzazione.
Ja cob Mo rga n è futurologo e studioso di fama mondiale sui temi del
lavoro e delle organizzazioni collaborative. È co-fondatore di Chess
Media Group, e ha lavorato con aziende come Safeway, Sodexo, Siemens,
Lowe Bricolage, Franklin Templeton Investments, e molte altre.
DANIELA CASTELLUCCI
Copyright © 2015, Press Srl. Tutti i diritti riservati.
Cultura
I grandiosi bozzetti di William
Kentridge, esposti al MACRO
Triumphs and Laments: a project for Rome
di Daniela Castellucci
È stato definito "Stencil al contrario" il grande fregio di 500 metri che
William Kentridge ha eseguito lungo i muraglioni in travertino del
Tevere: una sequenza di episodi legati alla storia di Roma, in cui le figure
prendono forma dalle patine nere di sporco ed incrostazioni, dallo smog e
dalle polveri sottili della città che fungono da base dell’opera stessa. Il
progetto, promosso da Tevereterno, iniziato il 9 marzo 2015 e finalmente
inaugurato il 21 aprile 2016, è il risultato no-profit di un profondo legame
tra l'artista, Roma Capitale e la Sovrintendenza Capitolina ai Beni
Culturali.
A testimonianza di un'installazione che nel tempo potrebbe scomparire
perché esposta alle intemperie ed alla materia di cui si compone, ovvero
lo smog, i l M AC RO o s p i t a da l 1 7 a p ri le a l 2 o t tob re 2 0 1 6 i b o z z et t i a
ca rb o n c i n o u t i l i z z at i p e r la rea l i z z a z i o n e del mu ra le t i b e ri n o . La
mostra è curata da Federica Pirani e Claudio Crescentini e propone oltre
80 opere all'interno di un allestimento ideato appositamente da
Kentridge. Il percorso si articola attraverso la penetrante iconografia
dell’arte antica romana, che si interseca con episodi tratti dalla storia
della Chiesa fino ad arrivare ai giorni nostri con la rappresentazione della
morte di Pier Paolo Pasolini, uno dei poeti ed intellettuali più amati
dall'artista. Sono inoltre esposti i video della performance, concepita
dallo stesso Kentridge in collaborazione con Philip Miller, oltre che alcuni
ritagli di figure ed alcuni oggetti adoperati per la realizzazione della
performance stessa.
Di e c i g i o r n i p e r g u a rda re i l f u t u ro .
Fo n da z i o n e Ma i m e ri o s p i t a l'a r te d i R e n z o B e rga m o
R e n z o B e rga m o , la n o s t a lg i a p e r i l f u t u ro . Una Mostra per
approfondire la peculiare figura dell’artista Renzo Bergamo, milanese
d’adozione e tanto caro allo scrittore Comisso, frequentatore del Bar
Giamaica di Milano, assieme ad artisti del calibro di Dova, Crippa,
Scanavino e Fontana e che dal 1974 entrò a far parte del movimento
Astrarte.
L’es p o si z i o n e , a p e r t a a l p ubb l i co da l 3 1 m a g g i o a l 1 2 g i ug n o presso
gli spazi della Fondazione Maimeri in Porta Genova, è curata da Angelo
Crespi e propone il percorso artistico degli anni Sessanta, Settanta ed
Ottanta, in cui l'artista iniziava la sua personale indagine sulla
composizione delle galassie, del cosmo, delle energie atomiche che
compongono la materia e che, molti anni dopo, le fotografie scattate dalla
Nasa hanno rivelato essere incredibilmente simili a come l'artista le aveva
immaginate e dipinte. Un viaggio all'interno delle particelle dell'atomo,
all'energia degli elettroni, al nucleo stesso della gravità, per riscoprire la
straordinaria potenza di questo grande artista, prematuramente
scomparso. Già nel 2013 Milano rese omaggio all'artista con una
importante mostra al Castello Sforzesco promossa dal comune di Milano
e dall’Associazione Renzo Bergamo per Arte e per la Scienza.
P i e ro d e l l a F ra n c e s c a . I n da g i n e s u u n m i t o .
F i n o a l 2 6 g i u g n o , p re s s o i l C o m p l e s s o Mu s e a l e S a n D o m e n i c o
Sarebbe verosimilmente impossibile riuscire a raccogliere in un unico
spazio tutte le opere del grande pittore rinascimentale Piero della
Francesca, tra i tanti affreschi ed i famosi dipinti su tavola.
Ma ciò che non è impossibile è prendere atto che il “Monarca della
pittura” - così lo definì il fondatore della “ragioneria”, Luca Pacioli – abbia
certamente influenzato artisti di ogni corrente pittorica nel lungo
percorso della Storia dell'Arte. La mostra “ P i e ro del la F ra n ces ca .
I n da g i n e su u n m i to” propone un delicato e prezioso confronto con i più
grandi maestri del rinascimento, fino a raggiungere la consacrazione del
Pittore Toscano con la riscoperta nell'Ottocento, che lo ha reso “mito”
per tutta l'arte del Novecento. La sua pittura, raffinata e distaccata, è
costantemente sottoposta alle leggi rigorose della prospettiva e della
simmetria; da luce zenitale e grande sintesi spaziale, riscontra grande
interesse nel razionalismo moderno, tanto da essere portata spesso a
confronto. Per la prima volta è esposto il famoso confronto, sempre citato
e mai mostrato, tra la Madonna della Misericordia di Piero della
Francesca e la Silvana Cenni, di Felice Casorati.
Così, le 250 opere presenti in mostra invitano a cogliere interessanti
punti di vista attraverso le epoche, fino ad arrivare al secondo piano degli
spazi di percorso, in cui si possono ammirare alcuni capolavori del
Grande Artista rinascimentale, che innalza le sue figure al di sopra del
caos, della mediocrità, in una pace sovrannaturale tra racconto e
rivelazione.
Pa l a z z o R e a l e d i G e n o v a c e l e b r a i l g r a n d e C a n o v a
L’a s p et to p i ù i n t i m o del Gra n de G e n i o Ne o cla s si co : i d i s eg n i .
Continua fino al 24 luglio 2016 a Palazzo Reale di Genova la mostra
"C a n o va L' i nve n z i o n e del la g lo ri a . Di s eg n i , d i p i n t i e s c u lt u re” . La
mostra, allestita negli spazi dell’ex Teatro del Falcone di Palazzo Reale,
accoglie oltre 80 disegni preparatori del Grande Artista, selezionati
accuratamente da Giulia Ericani, già direttrice del Museo Biblioteca ed
Archivio di Bassano del Grappa, in cui sono conservati oltre 1800
disegni, donati direttamente dall’erede universale di Canova, il
fratellastro Giambattista Sartori Canova. L’esposizione, divisa in tre
sezioni, offre l’opportunità di comprendere il Genio Neoclassico da una
prospettiva più intima e privata, in cui si ha accesso ai pensieri, alle prime
idee ed ai ripensamenti sui più celebri gruppi scultorei, annotazioni e
schizzi. La location del Teatro del Falcone suggerisce e rispetta questa
osservazione laterale, un po’ come se si assistesse da dietro le quinte ad
un meraviglioso spettacolo.
Il pubblico potrà confrontare i disegni da un duplice punto di vista,
stilistico e creativo, attraverso le prime idee, anche grazie ad una serie di
acqueforti eseguite dall’artista stesso per illustrare la resa scultorea ed a
realizzazioni in terracotta e gesso.
La mostra è promossa dal Mibact, Ministero dei Beni e delle Attività
Culturali e del Turismo, dal Comune di Genova e dal Comune di Bassano
del Grappa ed è organizzata da Palazzo Reale di Genova e
dall'Associazione Metamorfosi.
DANIELA CASTELLUCCI
Copyright © 2015, Press Srl. Tutti i diritti riservati.
Pressato
Non mi piacciono i fallimenti
di Giovanni Castellani
Quando mi resi conto che il fallito, un povero cristiano dalla voce roca,
con il quale ebbi solo colloqui telefonici, continuava a rinviare il nostro
appuntamento, e che il furgoncino Ape, unico valore patrimoniale, non si
trovava nel garage dichiarato e non ci si sarebbe mai trovato, decisi che
quell’attività non faceva per me. Non mi interessavano procedure
bizantine e rigorismi formali, non mi affascinava l’idea di disporre
dell’agire di qualcuno; per far cosa poi? Nel novanta per cento dei casi, per
dire ufficialmente ai creditori che avrebbero perso il loro denaro o, per
dirla con Victor Hugo: «Per collaborare con la giustizia che si
impadronisce dei beni del fallito per privarne i creditori». No, la materia,
con tutto il rispetto e l’ammirazione per chi se ne occupa, non mi è mai
piaciuta e continua proprio a non piacermi; per questo non ne parlerò.
Anche perché, sull’argomento, le cose che colpiscono la mia
immaginazione sono solo brutte e tristi.
Sono gli imprenditori disgraziati che falliscono dopo essere passati
dall’usuraio e, spesso, anche dalle banche, che per la loro cieca burocrazia
non possono o non vogliono tenere sofferenze oltre certi limiti, pur
concorrendo a crearle.
Sono i mascalzoni che si specializzano nella ripetuta apertura e chiusura
di attività commerciali, quelli, come si dice, che “fanno il botto”,
incentivati da un processo lento in seno ad una giustizia agonizzante,
soffocata da decine di nuovi fascicoli ogni settimana, incapace di
riorganizzarsi per mancanza di idee e di volontà.
I mascalzoni incoraggiati da un sistema che processa quasi tutti e non
condanna quasi nessuno.
Sono la Lehman Brothers oppure, per restare qui da noi, la Banca Etruria.
Due fallimenti che sono entrati nell’immaginario collettivo di questo
secolo iniziato da poco e che evocano intrighi e collusioni degne dei
migliori best sellers, ed ai quali la gente (quella fortunata che non ne è
rimasta coinvolta) ha assistito incuriosita ma anche spaventata, come
guardando un film, ma pensando, in fondo, che era tutto finto. Salvo, poi,
l’effetto “rebound”, come quello della “Gomorra” televisiva che a me,
personalmente, ingenera solo angoscia in un pauroso proporsi, senza
soluzione di continuità, con i telegiornali. Altro che finto! E’ tutto vero.
Sono gli sciocchi (rectius: avidi) che cadono nelle mega truffe finanziarie
(ricordate il sig. Lande, il c.d. “Madoff dei Parioli”?), organizzate fidando
soprattutto sull’ingordigia e sulla stolta e colpevole incapacità dei
risparmiatori di rendersi conto che Re Mida appartiene solo alla
mitologia.
Sono i risultati degli Osservatori nazionali che sanciscono il clamoroso
fallimento del federalismo sanitario. Diminuisce l’aspettativa di vita in
Italia e si allarga anche il divario tra Nord e Sud. Chi vive nel Meridione è
meno longevo. E le più penalizzate sono le donne. Prima della riforma
federalista del 2001 gli italiani potevano aspettarsi tutti più o meno la
stessa vita media. Dal 2001, la forbice si va allargando. Allarmante!
Sono, soprattutto, i significati irrimediabilmente definitivi che l’idea del
fallimento associa, distruggendole, a parole che da sole sono le più belle
che possano esistere: vita, famiglia, sogno.
No. Preferisco tenermi alla larga dai fallimenti.
Sono in auto a passo d’uomo. Il verde di questo semaforo dura veramente
troppo poco. Mi distrae un’insegna illuminata che prende quasi cinque
vetrine. Una grande cartoleria liquida tutto per fallimento.
Devo ricordarmi di dirlo in segreteria. Forse possiamo fare qualche buon
acquisto per lo studio.
GIOVANNI CASTELLANI
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