consolare gli afflitti - Santuario del Sacro Cuore

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Riflessione _ 14 - Le opere di misericordia spirituale
Consolare gli afflitti ….. <<Io sono il vostro consolatore>>
Avere uno spirito di riconciliazione. La pratica delle tre opere di misericordia spirituali –
consolare l’afflitto, perdonare le offese e sopportare con pazienza le persone moleste –
favorisce lo spirito di riconciliazione e di pace.
Le tre opere fanno parte dell’atteggiamento di una persona conciliatrice, attributo fondamentale
del discepolo di Cristo. Uno spirito è conciliatore se riconosce la propria necessità di
riconciliarsi con Dio. In realtà, non si può consolare, perdonare e sopportare pazientemente le
ingiustizie se non ci si riconosce debitori nei confronti di Cristo, il quale offre continuamente la
nostra riconciliazione con Dio.
Consolare l’afflitto
Nella sua storia Gerusalemme ha fatto esperienza di un abbandono totale. Privata di ogni
consolazione da parte dei propri alleati (cfr Lam 1,19), esclamava: <<Il Signore mi ha
abbandonato, il Signore mi ha dimenticato>> (Is 49,14; 54,6-10), ma in realtà il Signore era il
suo vero consolatore: <<Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio>> (Is 40,1). <<Il
Signore consola il suo popolo e ha pietà dei suoi miseri>> (Is 49,13).
In realtà, Dio consola il suo popolo con la sollecitudine di un pastore (cfr Is 40,11; Sal 22,4),
con l’affetto di un padre, con il trasporto di un fidanzato e di uno sposo (cfr Is. 54) e con la
tenerezza di una madre (Cfr Is 49,14s; 66,11-13). Per questo ha fatto al suo popolo la
promessa che alimenta la speranza (cfr Sal 118,50), dona il suo amore (Sal 118,76), ci ha dato
la Legge e i Profeti (cfr 2Mac 15,9) e le Scritture (cfr 1Mac 12,9; Rm 15,4). Tutto questo offre la
possibilità di superare lo sconforto e di vivere nella speranza.
Gesù, a sua volta, annunciato come Messia, chiamato dal vecchio Simeone <<conforto
d’Israele>> (Lc 2,25), e riconosciuto come <<consolatore>> (1Gv 2,1), proclama: <<Beati quelli
che piangono, perché saranno consolati>> (Mt 5,4). Inoltre, infonde coraggio a coloro che sono
oppressi dai loro peccati o dalla malattia che è il suo segno (cfr Mt 9,2.22) e dà sollievo a tutti
quelli che sono <<affaticati e oppressi>> (Mt 11,28-30).
Paolo, poi, nella presentazione alla Seconda lettera ai Corinzi, traccia le basi di una teologia
cristiana della consolazione: <<Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre
misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché
possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la
consolazione con cui siamo stati consolati noi stessi da Dio>> (2Cor 1,3-5).
Lo stesso Paolo in altri passi ricorda che Cristo è la fonte di ogni consolazione
(<<consolazione in Cristo>>; Fil 2,1) e che nella Chiesa la funzione di <<consolatrice>> è
essenziale, poiché testimonia che Dio consola permanentemente i poveri e gli afflitti (cfr 1Cor
14,3; Rm 15,5; 2Cor 7,6, e anche Sir 48,24).
E’ significativo che nell’Apocalisse venga presentata l’immagine commovente di un cielo nuovo
e di una terra nuova nella quale la consolazione massima sarà che lo stesso <<Dio asciugherà
ogni lacrima>> (Ap 7,17), e dove <<non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno
perché le cose di prima sono passate>> (Ap 21,4).
Quando l’afflizione tocca le corde invisibili della mente e dello spirito umano, le cose si
complicano. Entriamo in un campo difficile da sondare e da gestire, perché intangibile,
immateriale… eppure tanto presente e condizionante.
La cosa peggiore che possa capitare a chi soffre nella mente e nello spirito è quella di non
essere creduto, di vedere sottovalutata, incompresa o snobbata la sua afflizione e di essere
gradualmente isolato e abbandonato a se stesso.
Fortunatamente sta fiorendo un esercito di uomini e donne, professionisti che con competenza
e passione non temono di prendere in carico questo tipo di sofferenza, dedicando intelligenza,
cuore ed energie alla cura delle afflizioni dell’animo umano.
E senz’altro, i pazienti, il prossimo, la primissima cosa che trovano è un’accoglienza dolce e
mite, che non banalizza il loro vissuto, ma ascolta con estrema attenzione il loro disagio,
cercando di individuare insieme la radice del dolore.
Lo specifico del cristianesimo consiste nel fatto di non adorare un Dio distante, bensì un Dio che
ha fatto di tutto per abbattere ogni barriera tra se stesso e la creatura, al punto di arrivare ad
assumere la carne umana. E non solo: entrato nella dimensione umana, ne ha sperimentato e
attraversato ogni genere di sofferenza morale e fisica, dalle tentazioni demoniache
all’incomprensione; dal tradimento degli amici più intimi alla tortura, passando attraverso
angoscia, paura, solitudine, morte.
Tutto questo ha vissuto Cristo sulla sua pelle e nelle sue viscere, tanto da arrivare a sudare
sangue nell’Orto degli Ulivi la sera prima della crocifissione, come ci raccontano i vangeli.
In Gesù crocifisso è difficile distinguere se siano più penosi le mani e i piedi, inchiodati al legno,
o la trafittura del cuore, insieme al suo intimo grido: <<Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?>> (Mt 27,46).
Il senso di abbandono è una delle ferite più lancinante e terrificanti che un essere umano
possa sperimentare; l’assenza dell’altro nella vita umano è un trauma incurabile, perché
è negazione dell’amore, della vita stessa, sia che si tratta di un’assenza fisica o morale.
Questo lo sa bene Colui che ci ha creati per la relazione. Per questo, tra le immagini più potenti
che usa per rivelarsi all’uomo, ci sono proprio quelle legate alla paternità e alla maternità, alla
presenza e all’appartenenza, a un legame indissolubile.
Scrive Cettina Militello: <<Consolare, confortare è traduzione pratica delle figure storiche della
misericordia. E’ riproposizione efficace del farsi prossimo di Dio, del suo sanare ogni limite, non
elidendolo, ma piuttosto assumendolo. Consolare è far proprie le ragioni dell’indigente, quale
che sia la sua indigenza. Fare proprie le ragioni e la pena disperata del peccatore, quale che sia
il suo peccato. Confortare è poter contare sull’altro, sempre e comunque nella parabola della
vita, nelle sue forzature e lacerazioni, nello scacco che prima o poi ci mette alle corde>>.
Il ponte tra misericordia e consolazione è presto gettato: come Dio ha assunto in tutto la nostra
condizione umana, eccetto il peccato, così lo slancio del consolatore dovrà sempre rivolgersi
verso ciò che è ultimo, abbandonato, periferico, per riannodarne e ricapitolarne la dispersione.
Pontefice, cioè – alla lettera – “costruttore di ponti”, è colui che tiene insieme sponde
opposte, conciliando, riunendo, ricomponendo. Sono tante le lacerazioni che generano
afflizione, ma essere consolatori non vuol dire accomodarle, né trovarvi portentosi rimedi.
Significa prestarvi attenzione, offrire la cura di uno sguardo amico, infondere il conforto
di una vicinanza silenziosa, ma non per questo inefficace.
Non è un caso che “con-solare” significhi anzitutto, e semplicemente, “stare accanto a una
solitudine”, farsi prossimo di chi si sente solo. Consolare una persona non vuol dire avere
per forza di cose il potere di risollevare il suo animo e di risolvere il suo problema. Anzi,
l’attitudine della consolazione richiede precisamente e innanzitutto la rinuncia a ogni delirio di
onnipotenza. Al contrario, la chiave la possiede chi sta soffrendo, e il consolatore può intuirla
soltanto attraverso l’incontro, l’osservazione e l’ascolto… attraverso una vicinanza e una
comunicazione molto intime. Anche la Bibbia usa l’espressione “parlare al cuore” per infondere
consolazione: <<Consolate, consolate il mio popolo… Parlate al cuore di Gerusalemme>> (Is
40,1-2).
Di solito, la consolazione più efficace è quella che arriva da una persona che ha vissuto sulla
propria pelle lo stesso tipo di dolore, e pertanto lo conosce a fondo. A volte si nasconde in un
gesto, in uno sguardo, per lo più in una presenza gratuita e non giudicante, che sa attendere i
tempi dell’altro (in casi come il lutto, ad esempio). Mai nel pensiero di potersi sostituire al
sofferente, o di possedere tecniche consolatorie che possano anestetizzare il suo dolore.
E’ complesso consolare, e richiede coraggio e abnegazione. E forza: per non essere trascinati
nel tunnel dell’afflizione altrui, e non lasciare che questa rievochi la nostra. Per questo è tanto
raro trovare persone disposte a farsi prossime dei sofferenti per consolarli.
Qualcuno pensa che i cristiani esaltino il valore redentivo della sofferenza in nome di una specie
di masochismo. Ma le parole delle Beatitudini, “Beati gli afflitti, perché saranno consolati”,
chiariscono abbastanza bene il contenuto: non è beato chi soffre per il fatto che sta soffrendo.
Non è benedetta l’afflizione. E’ beato invece colui che – nelle mille vicissitudini e tribolazioni che
la vita riserva a ciascuno, senza sconti né esclusioni di colpi – riesce a mantenere lo sguardo
rivolto in Alto, a conservare nel cuore la dolce consapevolezza che non sarà mai abbandonato
da chi lo ama, e in questa vicinanza trova il coraggio di affrontare anche gli eventi peggiori
senza soccombere o cadere preda della disperazione.
Cristo è vissuto per insegnarci come risuscitare da ogni morte interiore ed esteriore, rimanendo
ancorati all’Amore da cui abbiamo avuto origine. Nelle ultime ore di vita sulla terra, ha chiesto
per i suoi discepoli la cosa più importante: che non dimentichiamo mai di essere figli di Dio.
<<Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore, lo Spirito di verità, che il Padre
manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto>>
(Gv 14,25-26).
Non ci sono parole più eloquenti di quelle della Scrittura per insegnarci la via della
consolazione, immergendoci nello sconfinato oceano della misericordia di Dio.