mao sulla grande rivoluzione culturale proletaria la grande
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Transcript mao sulla grande rivoluzione culturale proletaria la grande
Nuova serie - Anno XXXX - N. 21 - 26 maggio 2016
Fondato il 15 dicembre 1969
Settimanale
Mao sulla Grande Rivoluzione
Culturale Proletaria
PAGG. 3-6
50° Anniversario di un evento che ha fatto epoca
La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria E’
la via universale per prevenire e impedire la
restauraziOne del capitalismo nei paesi socialisti
PAGG. 2-3
Perché i comuni siano governati
dal popolo e al servizio del popolo
ci vuole il socialismo
PER LE ELEZIONI COMUNALI DEL 5 GIUGNO
il ca
uo
is
pita
A TUTTA
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FORZA PER
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PROPAGANDARE
isti
ASTIENITI
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L’ASTENSIONISMO
parti oni e
CONTRO
ti
PER IL SOCIALISMO
NON VOTARE
I PARTITI
BORGHESI AL
SERVIZIO DEL
CAPITALISMO
Tramite i pennivendoli
Fabrizio D’Esposito e Massimo Fini
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NON UN GIORNO VADA PERSO, NON UN VOLANTINO VENGA RISPARMIATO
Fesserie, bugie e
disinformazione del
“Fatto” sui
“maoisti d’Italia”
PAG. 6
Per Milano e Torino
Documenti elettorali del PMLI per le
elezioni comunali del 5 giugno
PAGG. 11-12-13
L’Italia addestra le forze irachene che si
preparano a riconquistare Mosul, capitale dell’IS
Quello italiano è il secondo contingente straniero in Iraq
Aumentano i rischi di rappresaglia nel nostro Paese
PAG. 7
Viva e combattiva manifestazione No Muos a Niscemi
3mila NO al sistema di
comunicazione satellitare di
contrada Ulmo e all’imperialismo
di Italia, Usa e Ue
Niscemi (Caltanissetta), 15 maggio 2016. La
partecipazione militante del PMLI alla manifestazione nazionale No Muos (foto Il Bolscevico)
Diffuso il volantino del PMLI “Via il Muos, il traditore Crocetta e la base
di Sigonella! Spazzare via il governo del nuovo duce Renzi” PAG. 9
20 mila in una combattiva e colorata manifestazione a carattere nazionale
Firenze dice NO a tutti gli inceneritori
Una chiara risposta contro il progetto di “Case Passerini”. Attenzione verso la delegazione provinciale del PMLI, punto rosso del corteo
Avanti contro gli inceneritori e verso “rifiuti zero”
PAG. 10
2 il bolscevico / 50° anniversario della GRCP
N. 21 - 26 maggio 2016
50° Anniversario di un evento che ha fatto epoca
La Grande Rivoluzione Culturale
Proletaria è la via universale per
prevenire e impedire la restaurazione
del capitalismo nei paesi socialisti
La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (GRCP) cinese ha
ancora tanto da dire a chi aspira
a cambiare il mondo liberandosi
del capitalismo. Purtroppo però è
poco conosciuta a livello di massa,
per via dell’opera di denigrazione
e cancellazione della storia del socialismo portata avanti dalla borghesia. Sta a noi marxisti-leninisti
fare chiarezza su ciò che fu questo
evento epocale.
La GRCP scoppia ufficialmente il 16 maggio 1966, ma la battaglia dei marxisti-leninisti cinesi
guidati da Mao contro il revisionismo moderno in Cina e nel movimento comunista internazionale
era in corso da tempo. Già all’indomani del famigerato XX Congresso del PCUS nel 1956, quando
Krusciov rinnegò Stalin e la rivoluzione, Mao aveva rilevato che
“una volta aperta questa breccia, sostanzialmente si è gettato
via il leninismo” (1). Questa osservazione di Mao, poi confermata dalla restaurazione del capitalismo in Urss avviata da Krusciov
e portata disastrosamente a termine da Gorbaciov nel 1991, avviò
lo scontro internazionale fra i difensori del marxismo-leninismo,
della dittatura del proletariato e
della via dell’Ottobre con alla testa Mao, da una parte, e gli opportunisti restauratori del capitalismo
e predicatori della fallimentare via
parlamentare dall’altra, rappresentati in Italia da Togliatti e Berlinguer.
In Cina i seguaci di Krusciov
sono Liu Shaoqi e Deng Xiaoping. A parole sostengono Mao e
il marxismo-leninismo, ma nella
pratica usano il loro potere (erano
rispettivamente presidente della
Repubblica e segretario generale
del PCC) per sabotare la costruzione del socialismo e promuovere il capitalismo dietro il pretesto
che la lotta di classe è finita ed è
necessario sviluppare la produzione. La gravità della situazione diventa evidente nel 1964, quando i
revisionisti riescono a bloccare la
linea di Mao per quanto riguarda
il Movimento d’educazione socialista, impedendogli di rivolgerla contro i dirigenti che sostengono il capitalismo. “Se nel Centro
dovesse comparire il revisionismo, bisognerebbe ribellarsi”
(2), avverte allora Mao. Il quale,
a seguito di un’attenta analisi della storia della dittatura del proletariato, aveva concluso: “La società
socialista abbraccia un periodo storico molto lungo, nel corso del quale esistono ancora le
classi, le contraddizioni di classe
e la lotta di classe, esiste la lotta
tra le due vie, il socialismo e il
capitalismo, ed esiste il pericolo
di una restaurazione del capitalismo”.
Lo scoppio
della GRCP
Alla fine de 1965, Mao guida
la critica al dramma storico La de-
Firenze 1967. Una manifestazione antimperialista. I pionieri del PMLI
vi partecipano innalzando il ritratto di Mao. In primo piano davanti al
ritratto il compagno Mino Pasca (foto archivio PMLI)
stituzione di Hai Rui, che in realtà
era un’allegoria in difesa di Peng
Dehuai, il dirigente revisionista
che nel 1959 si era opposto alle comuni popolari agricole. A novembre, l’articolo che critica il dramma viene pubblicato a Shanghai.
Il quartier generale borghese di
Liu Shaoqi tenta (e inizialmente riesce) a censurarlo a Pechino,
ma senza successo. Il 16 maggio
1966 il CC del PCC dà inizio alla
GRCP.
Gli appelli di Mao a “ribellar-
Una assemblea in fabbrica per denunciare la linea deviazionista di destra di Liu Shaoqi e Deng Tsiaoping e per difendere la produzione e
l’economia socialiste
si contro i reazionari” e “fuoco
sul quartier generale” sollevano le Guardie Rosse nelle scuole
e nelle università di tutto il Paese,
le quali si scagliano contro le autorità accademiche revisioniste, criticano il revisionismo con grandi
manifesti scritti a mano e si lanciano contro le “quattro vecchie”:
vecchie idee, vecchia cultura, vecchie tradizioni e vecchie abitudini.
L’iniziale tentativo di reprimerle
da parte di Liu fallisce e, in agosto, l’11a Sessione plenaria dell’8°
CC approva una risoluzione che
traccia le linee-guida della GRCP.
Nel 1967 scende in campo la
classe operaia. Gli operai, i contadini e le Guardie Rosse, organizzatisi nelle fazioni ribelli, avviano
la presa del potere dagli organi di
governo controllati dai revisionisti
e creano i Comitati rivoluzionari,
basati sulla revocabilità dei membri e fondati sulla triplice combinazione di anziani, individui di
mezza età e giovani. Da questo
momento le masse sottopongono
i dirigenti revisionisti a una severa supervisione, li criticano coraggiosamente ed esigono la loro
autocritica, in modo da prevenire
il burocratismo. L’Esercito popolare di Liberazione appoggia attivamente le masse rivoluzionarie e
avvia un processo di proletarizzazione, impegnandosi anche nel lavoro produttivo. A questo punto
Mao puntualizza: “Lottare contro i dirigenti avviatisi sulla via
capitalista è il compito principale [della GRCP], ma non è affatto il suo scopo. L’obiettivo è
risolvere il problema della concezione del mondo e tagliare le
radici al revisionismo” (3).
Gli “ultrasinistri” e i destri tentano di sabotare il movimento istigando continui scontri di fazione,
ai quali Mao e il PCC rispondono
invocando la grande alleanza rivoluzionaria. Il 28 luglio 1968, dopo
l’attacco armato contro una squadra operaia di propaganda all’Università Qinghua di Pechino, Mao
convoca i capi “ultrasinistri”, li
critica per essersi montati la testa
e ricorda che “la classe operaia
deve dirigere tutto”. Dovunque
le squadre operaie di propaganda
prendono il controllo delle università e ne dirigono la riforma insieme agli studenti.
Nell’ottobre del 1968 la 12a
Sessione plenaria dell’8° CC
espelle Liu Shaoqi e il 9° Congresso del PCC nell’aprile 1969
sancisce il trionfo della linea marxista-leninista di Mao. Sconfitto
il revisionismo di destra, esplode la lotta contro il revisionismo
di “sinistra” di Lin Biao, che dietro l’adulazione di Mao nasconde
le stesse idee controrivoluzionarie, il quale viene sconfitto materialmente nel fallito golpe del settembre 1971 e ideologicamente al
10° Congresso del PCC nell’agosto 1973. A questo congresso, gli
operai e i contadini costituiscono
il 67% dei delegati. La lotta con-
tro Lin è l’occasione per l’entusiasmante campagna di critica contro
Lin Biao e Confucio, nella quale per la prima volta nella storia
l’ideologia confuciana reazionaria, fossilizzatasi da secoli nella
mentalità del popolo cinese, viene criticata e screditata a livello di
massa, in ogni ambito della vita.
Le donne, soprattutto contadine,
vi partecipano in massa.
La posizione
internazionalista
e antimperialista
Nel frattempo l’Urss socialimperialista provoca scontri di frontiera sul fiume Ussuri nel marzo
1969, ma i soldati cinesi a piedi
respingono i carri armati sovietici.
Successivamente la Cina popolare ottiene importanti successi sul
piano diplomatico riaprendo le relazioni con gli Usa ma soprattutto riconquistando il proprio seggio
all’Onu, fino ad allora usurpato
dalla cricca di Chiang Kai-shek
a Taiwan, nel 1972. Non si tratta
però di una capitolazione all’imperialismo, ma di mosse tattiche
per romperne l’accerchiamento,
come preciserà Mao: “Riguardo la teoria secondo cui la rivoluzione non ammette compromessi, essa non è marxista” (4),
ma ricordando: “In riferimento
alla questione degli Stati Uniti, è necessario fare attenzione:
quando si lotta è facile scivolare a ‘sinistra’, quando si praticano alleanze è facile scivolare a
destra” (5). La Cina non smetterà di criticare l’imperialismo americano e di sostenere i movimenti
rivoluzionari che si battono contro di esso in Vietnam, Cambogia e Laos, così come le guerre
di liberazione nazionale nel resto
dell’Asia e in Africa. Tant’è che il
seggio all’Onu viene riconquistato solo grazie all’iniziativa di tante
nuove nazioni africane e asiatiche
che hanno ottenuto l’indipendenza
(gli Usa votarono contro). Il PCC
intanto sostiene la formazione di
partiti e organizzazioni marxisti-leninisti in tutto il mondo. Ma
dopo la morte di Mao quasi tutti si disperderanno, anche per via
dell’azione frazionista e settaria
dell’opportunista e trotzkista mascherato Enver Hoxha.
La battaglia
antirevisionista
contro Deng
Nel gennaio 1975 la 4a Assemblea popolare nazionale adotta una
nuova Costituzione che sancisce le
vittorie della GRCP, fra cui il diritto-dovere di criticare il revisionismo, le comuni popolari agricole,
SEGUE IN 3ª
ë
50° anniversario della GRCP / il bolscevico 3
N. 21 - 26 maggio 2016
Mao sulla Grande Rivoluzione
Culturale Proletaria
Pubblichiamo qui di seguito
alcune citazioni di Mao, inedite in
Italia, che vanno dal 1967 al 1975
sulla Grande Rivoluzione Proletaria di cui il 16 maggio ricorre il
50° Anniversario.
Discorso ad una
delegazione militare
albanese
1 Maggio 1967
Alla conferenza dei settemila
del 1962 dissi: “La questione di
chi vincerà nella lotta fra il marxismo-leninismo ed il revisionismo
non è ancora stata risolta. La possibilità della vittoria del revisionismo e della nostra sconfitta è rilevante. Ricordare questa possibilità
richiama la nostra attenzione ed è
utile per alzare la vigilanza contro il revisionismo, per proteggerci dal revisionismo e per combattere il revisionismo”. In realtà, la
lotta fra le due classi e le due linee all’interno del Partito comunista esiste da sempre e nessuno
può negarlo. Noi siamo materialisti, perciò non possiamo certo dire
che questo non sia vero. A partire da quella conferenza, la lotta fra
ë DALLA 2ª
il diritto di sciopero. Mao quindi
lancia la campagna di massa per
lo studio della teoria della dittatura del proletariato: “Perché Lenin
ha parlato di esercitare la dittatura sulla borghesia? […] Se
tale questione non verrà chiarita, il revisionismo avrà la strada spianata. Tutto il Paese deve
esserne messo a conoscenza. […]
Se elementi come Lin Biao prendessero il potere, sarebbe molto
facile per loro restaurare il capitalismo. Dobbiamo quindi studiare a fondo le opere del marxismo-leninismo” (6).
Recentemente riabilitato, Deng
Xiaoping, già braccio destro di Liu
Shaoqi, fa orecchie da mercante e
lancia la politica del “riordino”,
prendendo la presunta “anarchia”
esistente nel Paese a pretesto per
riorganizzare la produzione su
basi capitalistiche e cancellare la
rivoluzione dell’istruzione. In realtà non poteva tollerare la dittatura del proletariato, il potere operaio in fabbrica e l’istruzione aperta
al popolo. Ne scaturisce un grande
dibattito, a partire dalle università
di Pechino, e i revisionisti, raccoltisi attorno al loro padrino politico, ne escono sconfitti. Lo stesso
Deng viene duramente criticato da
Mao perché “non prende in considerazione la lotta di classe e
non l’ha mai considerata come
l’asse attorno a cui ruota tutto il
resto nel corso della sua storia. È
rimasto al ‘gatto bianco o nero’,
non gli interessa se si tratti di
imperialismo o di marxismo.
[…] non capisce nulla di marxismo-leninismo e rappresenta la
borghesia” (7). Nell’aprile 1976,
Deng tenta un’ultima disperata
mossa con una provocazione violenta in piazza Tian’anmen, che
le due linee e le due classi all’interno del nostro Partito ha preso la
forma della lotta fra la linea apparentemente di “sinistra” ma di destra nella sostanza da una parte e
la sua controtendenza dall’altra,
fra la negazione della lotta di classe da una parte e la sua accentuazione dall’altra, fra i compromessi
da una parte e le politiche proletarie dall’altra, e via discorrendo. Di
questo si era già parlato nei documenti opportuni.
Oggi, la vostra delegazione militare è venuta qui per capire la
Grande Rivoluzione culturale cinese, perciò innanzitutto è di questo che parlerò.
La Grande Rivoluzione culturale proletaria cinese va fatta risa-
fallisce e porta alla sua caduta.
Si chiude così l’ultima battaglia antirevisionista di Mao, ma la
sua morte lascia inconclusa l’ultima lotta fra le due linee della
GRCP, la terza dopo quelle contro
Liu Shaoqi e Lin Biao, l’undicesima nel corso della storia del PCC.
A riprova che il partito marxistaleninista si edifica e consolida attraverso la lotta fra le due linee e
che è necessario combattere il revisionismo e trasformare la propria concezione del mondo per
difendere la linea politico-organizzativa marxista-leninista e saper riconoscere, criticare e respingere il revisionismo comunque
mascherato. “La giustezza della
linea politica e ideologica”, insegna Mao, “decide tutto” (8).
Gli insegnamenti
e i meriti della
GRCP
Come ha rilevato il Documento del CC del PMLI del 16 maggio
1986 per il 20° Anniversario della
GRCP, dal titolo: “Viva la Grande rivoluzione culturale proletaria. Un evento storico che ha fatto
epoca”, questa grande rivoluzione
ci ha lasciato otto insegnamenti di
valore universale e permanente:
“1. il marxismo-leninismopensiero di Mao è l’arma teorica
fondamentale per conoscere e trasformare la realtà;
2. il pensiero di Mao è parte integrante e uno sviluppo del marxismo-leninismo;
3. la Rivoluzione culturale
proletaria è la via universale per
continuare la rivoluzione sotto la
dittatura del proletariato, per consolidare e costruire il socialismo e
per prevenire e impedire la restaurazione del capitalismo;
lire all’inverno del 1965, quando
il compagno Yao Wenyuan criticò
La destituzione di Hai Rui (1). Allora, alcuni settori e alcune località del nostro Paese erano sotto il
controllo dei revisionisti. Non vi
si riusciva nemmeno a far filtrare una goccia d’acqua o ad infilare un ago. Proposi alla compagna
Jiang Qing di organizzare un articolo di critica contro La destituzione di Hai Rui, ma in questa rossa
città (2) eravamo del tutto impotenti e non avemmo scelta che andare ad organizzarci a Shanghai.
Dopo che l’articolo fu scritto, io
lo rilessi tre volte e ritenni che,
fondamentalmente, potesse andare, perciò permisi alla compagna
Jiang Qing (3) di farlo pubblicare. Proposi anche di permettere ad
alcuni compagni dirigenti centrali
di darci un’occhiata, ma la compagna Jiang Qing disse: “L’articolo
può essere pubblicato così com’è.
Penso che non sia il caso di farlo
vedere anche ai compagni Enlai e
Kang Sheng”(4).
[Lin Biao: (5) “C’è chi dice
che il compagno Mao Zedong
mise una fazione contro l’altra.
Ma adesso tutti i compagni dirigenti centrali sono stimati dalle
4. nel socialismo esistono ancora le classi e la lotta di classe;
5. il Partito del proletariato si
edifica nella lotta fra le due linee;
6. la lotta contro il revisionismo è essenziale per mantenere il
Partito del proletariato saldo sui
principi rivoluzionari e nel solco
della Rivoluzione d’Ottobre;
7. il parlamentarismo, il pacifismo, il riformismo e il revisionismo deviano le masse dal corso
naturale della rivoluzione;
8. la vittoria finale in un paese
socialista dipende anche dalla vittoria della rivoluzione mondiale e
dall’abolizione del capitalismo su
tutta la Terra”.
La GRCP ha molti meriti, il primo dei quali è avere impedito ai revisionisti di prendere il potere per
tutta la sua durata, ma anche avere
favorito l’irruzione del proletariato
in tutti i campi della sovrastruttura, compresi la cultura, l’insegnamento, la letteratura e l’arte. Lo
dimostrano i contingenti di teorici, artisti, scrittori e poeti operai e
contadini all’attacco della tradizione feudale e confuciana. Durante
la GRCP, per la prima e unica volta nella storia della Cina, le porte
dell’insegnamento superiore furono spalancate alle classi più povere e vennero addirittura aperte
università nelle fabbriche e nelle
campagne, mentre venivano promossi periodi di lavoro produttivo
per studenti, intellettuali e quadri,
al fine di ridurre il divario fra lavoro intellettuale e lavoro manuale.
Da questa politica nacque l’esperienza dei medici scalzi, giovani
studenti di medicina che andavano
a provvedere alle cure mediche di
base nelle remote campagne.
False anche le affermazioni secondo cui la GRCP sarebbe stato
un disastro economico per la Cina,
visto che la crescita del Pil per gli
anni 1967-1976 fu costantemente
I dazebao (giornali a grandi caratteri, spesso scritti a mano ) mentre vengono affissi sono subito letti, aiutano e facilitano lo scambio delle opinioni, per conoscere e sostenere la linea rivoluzionaria di Mao, della
Grande rivoluzione Culturale Proletaria, difendere e sviluppare il socialismo e combattere il revisionismo
masse rivoluzionarie e tutti loro
furono preventivamente informati
sulla Grande Rivoluzione culturale dal presidente Mao, che è il motivo per cui non hanno commesso
errori. Tutto sommato, io penso
che la Grande Rivoluzione culturale proletaria sia un esame senza
esame: chi è in grado di attenersi
al marxismo-leninismo-pensiero
di Mao Zedong, è un rivoluzionario. Per questo dico che dobbiamo
applicare il pensiero di Mao Zedong sia quando lo capiamo, sia
quando temporaneamente non riusciamo a capirlo.”]
Dopo la pubblicazione dell’articolo di Yao Wenyuan, la maggior
parte dei giornali in tutto il Paese
lo rilanciarono, eccetto quelli di
Pechino e dello Hunan. Quando,
successivamente, proposi di ristamparlo in opuscolo, ancora una
volta incontrai resistenza e la pro-
intorno al 7%. Vennero fatti sforzi per ridurre le grandi differenze
fra città e campagna e fra industria e agricoltura, anche tramite
importanti campagne per imparare dal campo petrolifero di Daqing nell’industria e dalla comune
di Dazhai in agricoltura, esempi di
autosufficienza e creatività dei lavoratori, senza contare che importanti successi tecnologici come la
bomba a idrogeno e il primo satellite artificiale della Cina furono
conseguiti durante la GRCP.
La storia stessa della GRCP
dimostra inoltre che quest’ultima
non fu una battaglia di Mao per
il potere, ma una lotta di classe su
vasta scala che coinvolse ampliamente le masse popolari. Mao fu
peraltro sempre contrario all’esaltazione della sua persona e del
suo pensiero, come ebbe a dire in
un’occasione: “C’è chi blatera
che io non avrei commesso nemmeno il minimo errore. Non ci
credo, né mi rallegra il fatto che
ci sia chi dice così” (9).
Non sorprende che gli storici
borghesi e anticomunisti presentino la GRCP come una catastrofe fatta di massacri, carestie, collasso economico e culturale. Essa
dimostrò di quanta potenzialità e
quanta creatività sia gravido il socialismo e quanto la società dei lavoratori sia superiore alla società capitalistica, sbugiardando chi
ciancia di “fallimento” del socialismo realizzato. Ne emerge invece un socialismo “vivo, creatore,
(…) opera delle stesse masse popolari” (Lenin).
Naturalmente vi furono degli
errori, inevitabili in un’esperienza
tanto inedita, ma furono secondari e in generale furono individuati e
corretti dal PCC e da Mao, il quale
peraltro rilevò: “... sono stati commessi due errori: primo, il volere
rovesciare tutti; secondo, la guer-
ra civile totale. Fra i ‘tutti’ che
sono stati rovesciati, alcuni era
necessario che fossero rovesciati,
come le cricche di Liu e Lin. Altri,
però, sono stati rovesciati erroneamente, come molti compagni veterani, i quali comunque hanno
commesso degli errori che è possibile criticare. Sono più di dieci
anni che non abbiamo un’esperienza bellica, quindi la guerra
civile totale, in cui sono stati tirati fuori i fucili, alla quale ha partecipato la stragrande maggioranza e in cui si è combattuto un
poco, vale anch’essa come un’occasione per temprarsi. Tuttavia, i
pestaggi a morte e il mancato soccorso dei feriti, tutto questo è stato sbagliato” (10).
di una manodopera a bassissimo
costo composta da milioni di lavoratori, molti dei quali giovanissimi e migranti, privi di ogni diritto, a vantaggio di pochi pescecani
capitalisti ultraricchi e della nuova
borghesia che controlla il partito
revisionista. Ultimamente, avendo superato gli Usa come potenza economica commerciale, rivendica una presenza più decisa nella
competizione inter-imperialistica
per il dominio dei mercati mondiali. Mao aveva previsto questa
possibilità ma aveva detto: “Qualora in Cina dovesse avere luogo un colpo di Stato anticomunista, sono sicuro che non sarà
una cosa pacifica e che avrà vita
breve, perché i rivoluzionari,
che rappresentano gli interessi
di più del 90% della popolazione, difficilmente lo potranno tollerare” (11). Anche se dovessero
volerci molti anni e vicissitudini.
La via è tortuosa,
l’avvenire è
radioso
La morte di Mao il 9 Settembre
1976 e la debolezza e l’opportunismo dei suoi successori permettono a Deng di tornare al potere e
restaurare il capitalismo in Cina a
partire dal 1978, quando vengono
annunciate le contro riforme che
faranno della Cina l’attuale potenza socialimperialista, cioè socialista a parole e imperialista e capitalista nei fatti. La GRCP viene
ripudiata ufficialmente nel 1981
con una decisione del CC del PCC
mentre i marxisti-leninisti ancora
fedeli a Mao vengono perseguitati, espulsi e arrestati. Saranno i
carri armati di Deng a causare la
mattanza di piazza Tian’anmen
nel 1989 contro gli studenti. Tutto questo consente al regime revisionista e fascista di Pechino di
continuare sulla strada del suo sviluppo economico capitalistico basato sullo sfruttamento selvaggio
SEGUE IN 4ª-5ª
ë
NOTE
1. Mao, Discorso alla II Sessione plenaria
dell’VIII Comitato centrale del Partito
comunista cinese, 15 novembre 1956, in
Rivoluzione e costruzione, Einaudi 1979,
p. 455.
2. Mao, discorso alla conferenza di lavoro
del CC del PCC, 10 ottobre 1965.
3. Mao, discorso a una delegazione militare
albanese, 1 Maggio 1967.
4. Mao, colloquio con Zhang Chunqiao e
Wang Hongwen, 4 luglio 1973.
5. Mao, colloquio con Zhou Enlai e i responsabili del Ministero degli Affari esteri, 17 novembre 1973.
6. Mao, Sulle questioni teoriche della dittatura del proletariato, ottobre-dicembre 1974
7. Mao, Critiche a Deng Xiaoping, gennaio 1976.
8. Mao, Discorsi con i responsabili di varie
località durante il giro d’ispezione provinciale, metà agosto-12 settembre 1971.
9. Mao, conversazione con Hysni Kapo e
Beqir Balluku, 3 febbraio 1967.
10. Mao, Importanti istruzioni del presidente Mao, ottobre 1975-gennaio 1976.
11. Mao, Lettera a Jiang Qing, 8 luglio
1966. La battaglia antirevisionista
contro Deng
4 il bolscevico / 50° anniversario della GRCP
ë DALLA 3ª
posta non passò.
In ogni caso, l’articolo di Yao
Wenyuan fu il segnale d’inizio
della Grande Rivoluzione culturale proletaria, perciò a livello centrale io mi occupai in particolare
di dirigere la formulazione della
Circolare del 16 maggio. Dal momento che il nemico era estremamente sensibile, avrebbe subito
agito in risposta al segnale. Naturalmente anche noi dovevamo agire. Questa circolare già sollevava
con chiarezza la questione della linea e della lotta fra le due linee.
In quel momento, la maggioranza non capiva le mie idee e, per
un certo periodo di tempo, rimasi
da solo. Dicevano che il mio punto di vista era superato. Per questo motivo non potei fare altro che
portare le mie idee alla discussione dell’XI Sessione plenaria
dell’VIII CC (6). Fu solo dopo il
dibattito che ottenni l’approvazione di poco più della metà. C’erano
ancora molti che rimanevano sulle proprie posizioni, come Li Jingquan e Liu Lantao. Il compagno
Boda (7) andò a parlare con loro e
gli fu detto: “Ci sembravano idee
impraticabili a Pechino e continuano a sembrarci idee impraticabili anche adesso che siamo tornati al nostro posto”. Alla fine, non
potevo fare altro che lasciare alla
pratica concreta il compito di condurre ulteriori verifiche!
Dopo l’XI Sessione plenaria,
l’enfasi fu data alla critica della linea reazionaria borghese, condotta da ottobre a dicembre 1966, che
portò in pubblico le contraddizioni che esistevano all’interno del
Partito. Desidero ora menzionare
il fatto che, nel corso della critica alla linea reazionaria borghese,
le larghe masse degli operai, dei
contadini e dei quadri del Partito
e della Lega sono state ingannate.
Ci chiedevamo: che fare nei confronti delle masse che sono state
ingannate? Io sono sempre stato
convinto che le larghe masse degli
operai, dei contadini e dei soldati
siano buone, così come la schiacciante maggioranza dei membri del
Partito e della Lega. Sono sempre
stati loro la forza principale della
rivoluzione proletaria, in ogni sua
fase. La Grande Rivoluzione culturale proletaria non fa eccezione.
Naturalmente, essendo impegnate
nel lavoro concreto, le larghe masse degli operai e dei contadini non
capiscono molto di quanto accade
ai piani superiori. Inoltre, la maggior parte dei quadri che costituiscono l’ossatura del Partito e della
Lega nutrono sentimenti di amore
sconfinato per il Partito ed i suoi
quadri; al contrario, i dirigenti
che hanno intrapreso la via capitalista alzano la bandiera rossa per
opporsi alla bandiera rossa. Ecco
perché sono stati ingannati e perché, per un periodo di tempo relativamente lungo, non sono riusciti a uscirne. C’è un fattore storico
dietro tutto questo. Ma, diamine,
fintanto che chi è stato ingannato si trasforma, non c’è alcun problema! Con lo sviluppo penetrante
del movimento, sono tornati ad essere la forza principale. La “tempesta di gennaio” (8) è opera degli operai, sollevatisi insieme ai
contadini. È la legge della rivoluzione: vale per la rivoluzione democratica, come per la Grande Rivoluzione culturale proletaria. Il
Movimento del 4 maggio fu opera
degli intellettuali ed incarnava appieno la loro perspicacia. Ma per
portare a compimento una rivoluzione completa, tipo una Spedizione del Nord o una Lunga Marcia,
servono i padroni dei tempi come
forza principale: servono gli operai, i contadini e i soldati. Operai,
contadini e soldati in realtà si riducono agli operai ed ai contadi-
ni, perché i soldati non sono che
operai e contadini in uniforme. La
critica alla linea reazionaria borghese è opera degli intellettuali e
delle vaste masse dei giovani studenti, ma la presa del potere nella
“tempesta di gennaio”, così come
il completamento della rivoluzione, abbisognano dei padroni dei
tempi, le vaste masse degli operai,
dei contadini e dei soldati, quale
forza principale. Gli intellettuali
da sempre sono capaci di mutare
rapidamente le proprie percezioni, ma il loro istinto è limitato e
mancano di un carattere completamente rivoluzionario, perciò spesso dimostrano un carattere opportunistico.
Dal punto di vista della tattica politica, la Grande Rivoluzione culturale proletaria può essere
divisa in quattro fasi: il periodo
dalla pubblicazione dell’articolo del compagno Yao Wenyuan
all’XI Sessione plenaria del’VIII
CC costituisce la prima fase, principalmente una fase di lancio. Il
periodo dall’undicesima Sessione
plenaria alla “tempesta di gennaio” costituisce la seconda fase. La
terza fase è costituita dagli articoli di Qi Benyu: Patriottismo o tradimento nazionale? e Il tradimento della dittatura del proletariato
è l’essenza del libro “Sull’autoeducazione” (9). Il periodo successivo può essere considerato la
quarta fase. La terza e la quarta
fase sono state occupate dalla questione della presa del potere. Nella
quarte fase si tratta di strappare il
potere ideologico al revisionismo
ed alla borghesia, di conseguenza è la fase fondamentale dove si
svolge la battaglia decisiva nella
lotta fra le due classi, le due vie e
le due linee: in altre parole, il punto focale. Dalla “tempesta di gennaio” in avanti, il Comitato Centrale si è occupato ripetutamente
della questione dell’alleanza, ma
senza risultati: successivamente
abbiamo capito che questo desiderio soggettivo non corrisponde
alle leggi oggettive dello sviluppo
della lotta di classe. La motivazione sta nel fatto che ogni classe e
ogni influenza politica difendono
tenacemente la propria possibilità di esprimersi. L’ideologia borghese e piccolo-borghese è straripata come un fiume senza freni ed
ha messo i bastoni fra le ruote alla
grande alleanza. Sarebbe impossibile realizzare una grande alleanza
e, anche se ci fosse, sarebbe divisa; per questo, al momento, la politica del CC consiste unicamente
nel promuoverla, ma non ancora
nel realizzarla.
Il metodo di “cercare di far crescere i germogli sradicandoli” non
ha alcuna speranza di successo.
Questa legge della lotta di classe
non può essere alterata dalla propria volontà soggettiva. Ci sono
molti esempi che potremmo citare su questa questione. Vediamo il
caso delle conferenze degli operai,
delle guardie rosse e dei contadini della municipalità di X. In tutte,
tranne che in quella dei contadini, c’è stata parecchia confusione.
Pare che il Comitato rivoluzionario municipale di X andrà riorganizzato.
In origine eravamo dell’idea
che fosse possibile educare alcuni successori fra gli intellettuali,
ma adesso sembra un’idea illogica. Secondo il mio punto di vista,
la concezione del mondo degli intellettuali, compresi i giovani che
stanno ancora studiando, dentro
come fuori il Partito, nel complesso è ancora borghese. Ciò è dovuto
al fatto che, negli oltre dieci anni
dalla Liberazione, i circoli culturali ed educativi sono stati sotto
il controllo della borghesia, e di
conseguenza, l’ideologia borghese si è insinuata nelle loro vene.
Per questo motivo, nel corso della
fase cruciale della lotta fra le due
N. 21 - 26 maggio 2016
Pechino. Mao incontra le migliaia di masse e giovani rivoluzionari confluite in piazza Tiananmen per una
delle varie manifestazioni a sostegno della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria tenutesi tra il 1966 e
il 1967
classi, le due vie e le due linee, gli
intellettuali rivoluzionari devono
sforzarsi di trasformare la propria
concezione del mondo, altrimenti
passeranno al campo opposto rispetto alla rivoluzione.
Voglio chiedervi: qual è, secondo voi, l’obiettivo della Grande Rivoluzione culturale? [Una
voce: “Lottare contro i dirigenti
del Partito avviatisi sulla via capitalista.”] Lottare contro i dirigenti avviatisi sulla via capitalista
è il compito principale, ma non è
affatto il suo scopo. L’obiettivo è
risolvere il problema della concezione del mondo e tagliare le radici del revisionismo.
Il Comitato Centrale ha più
volte ribadito che devono essere
le masse stesse ad educarsi e ad
emanciparsi, perché la concezione
del mondo non è qualcosa che può
essere imposto. La trasformazione
del proprio pensiero, a sua volta,
deve partire da cause interne, che
rappresentano le cause principali.
Se non riusciremo a trasformare la
concezione del mondo, come potremo definire la Grande Rivoluzione culturale proletaria una vittoria? Poniamo che questa Grande
Rivoluzione culturale smascheri duemila dirigenti avviatisi sul-
la via capitalista; se non riusciremo a trasformare la concezione
del mondo, la prossima volta saranno quattromila. I costi di questa Grande Rivoluzione culturale
sono stati molto elevati. Benché
una, due, tre o quattro rivoluzioni culturali non bastino a risolvere
la questione della lotta fra le due
classi e le due vie, cionondimeno
dopo questa rivoluzione culturale
avremo sistemato le cose per un
decennio. In un secolo forse è possibile condurre due o tre rivoluzioni culturali al massimo, perciò
bisogna focalizzarsi sull’annientamento delle radici del revisionismo, con lo scopo di rafforzare la
nostra capacità a vigilare e combattere il revisionismo in qualsiasi
momento.
Voglio farvi un’altra domanda:
secondo voi, chi può essere definito “dirigente avviatosi sulla via
capitalista”? I cosiddetti dirigenti
avviatisi sulla via capitalista sono
quei dirigenti che hanno preso la
via del capitalismo! In altre parole, questi individui, nel corso della rivoluzione democratica, hanno partecipato attivamente alla
lotta contro le “tre grandi montagne” (10), ma dopo la liberazione
di tutto il Paese non furono altret-
tanto energici contro la borghesia;
sostennero e parteciparono attivamente alla lotta contro i signorotti terrieri locali e per ridistribuire
la terra, ma dopo la liberazione di
tutto il Paese non approvarono la
collettivizzazione delle campagne.
Costoro, che non percorrono la via
socialista e che attualmente detengono il potere, non possono essere definiti dirigenti avviatisi sulla
via capitalista! Si tratta semplicemente di “vecchi quadri davanti a
problemi nuovi”! Questo è valido
per tutti loro. Tuttavia, chi possiede una concezione proletaria del
mondo, percorrerà la via socialista; chi possiede la concezione
borghese del mondo, percorrerà
la via capitalista. Si può dire tranquillamente che la borghesia vuole trasformare il mondo sulla base
della concezione borghese, mentre
il proletariato vuole trasformare il
mondo sulla base della concezione
proletaria. Chi ha commesso errori
di orientamento e di linea nel corso della Grande Rivoluzione culturale proletaria, rientra nella categoria dei “vecchi quadri davanti
a problemi nuovi”. Ciononostante,
questi errori ci dicono che questi
vecchi quadri non sono ancora riusciti a trasformare completamen-
te la propria concezione borghese
del mondo. In futuro, i vecchi quadri continueranno ad imbattersi in
sempre più problemi nuovi: per
garantire che percorreranno risolutamente la via socialista, dovranno
condurre una profonda rivoluzione proletaria all’interno della propria ideologia. Secondo voi com’è
concretamente possibile passare dal socialismo al comunismo?
Si tratta di un evento nazionale e
mondiale di enorme portata.
Per me lo spirito rivoluzionario dei piccoli generali rivoluzionari è decisamente intenso e ciò è
un bene. Ma in questo momento
non possono essere loro a saltare
sul palcoscenico: se lo facessero
oggi, sarebbero rovesciati domani. Il problema è che queste parole
sono uscite dalla bocca di un viceprimo ministro e ciò non va molto
bene. Quella dei piccoli generali
rivoluzionari è una questione che
concerne la loro educazione: non
bisogna usare queste parole per
spegnere il loro entusiasmo quando commettono degli errori.
C’è chi dice che le elezioni
sono giuste e democratiche. Per
me sono una bella parola, ma non
mi pare che ci siano delle vere elezioni. Io sono stato eletto all’Assemblea popolare dalla circoscrizione di Pechino, ma quanti, a
Pechino, mi capivano veramente?
Ho l’impressione che Zhou Enlai
sia primo ministro per nomina del
Comitato Centrale. C’è anche chi
dice che la Cina ama la pace, ma
io tutto questo amore non lo vedo.
Per me il popolo cinese è militante.
Quando si tratta la questione
dei quadri, bisogna prima di tutto convincersi che il 95% è costituito da elementi positivi o relativamente positivi. Non è ammesso
allontanarsi da questa posizione
di classe! I quadri rivoluzionari, o
che vogliono esserlo, devono essere protetti, protetti con convinzione e fiducia e bisogna permettere che si emancipino dei propri
sbagli. Anche se hanno percorso la
via capitalista, bisogna pur sempre
permettergli di fare la rivoluzione,
dopo aver intrapreso un lavoro di
rieducazione di lungo periodo ed
avere corretto i propri errori. Gli
elementi veramente negativi non
sono molti: fra le masse non ammontano a più del 5% e nel Partito e nella Lega non superano l’1 o
il 2% e i duri a morire che percorrono irriducibilmente la via capitalista non sono che un piccolo pugno. Malgrado ciò, noi dobbiamo
considerare questo piccolo pugno
di dirigenti del Partito avviatisi
sulla via capitalista come il bersaglio principale, poiché la loro
influenza e il loro veleno hanno
una portata estremamente vasta e
profonda. Ecco quindi il compito
principale della nostra Grande Rivoluzione culturale. Gli elementi
negativi fra le masse sono sì il 5%,
al massimo, ma sono sparpagliati,
privi di forza, ma se questi trentacinquemilioni, calcolati in base al
5%, dovessero formare un esercito e organizzarsi contro di noi, allora sì che sarebbe un problema
degno della nostra preoccupazione. In ogni caso, non hanno forza fintanto che restano sparpagliati, pertanto non possono costituire
il bersaglio principale della Grande Rivoluzione culturale. Ciò non
toglie che occorre alzare la guardia, specialmente nella fase decisiva, e bisognerà prendere ulteriori precauzioni per evitare che gli
elementi negativi possano approfittare della situazione. Di conseguenza, la grande alleanza dovrebbe avere due precondizioni: una è
abbattere l’egoismo e promuovere
la devozione al pubblico, la seconda è la lotta. Una grande alleanza
che non esca da una lotta sarebbe
inefficiente.
La quarta fase di questa Grande
50° anniversario della GRCP / il bolscevico 5
N. 21 - 26 maggio 2016
Rivoluzione culturale è la fase decisiva della lotta fra le due classi,
le due vie e le due linee, perciò organizzeremo un periodo piuttosto
lungo di grande critica. Il Gruppo
centrale per la Rivoluzione culturale ne sta ancora discutendo, ma
c’è chi ritiene opportuno che inizi
dalla fine di quest’anno, mentre altri considerano maggio dell’anno
prossimo un momento migliore. In
ogni caso ci si dovrà conformare
alle leggi della lotta di classe.
NOTE
La fonte dell’opera è Mao Zedong
Sixiang Wansui (Viva il pensiero di
Mao Zedong), vol. 1961-1968.
(1) La destituzione di Hai Rui fu
un dramma teatrale pubblicato nel
1961 che, tramite la storia di un ministro onesto che si oppone alle decisioni ingiuste dell’imperatore, voleva
riabilitare Peng Dehuai, il dirigente
revisionista destituito nel 1959 dopo
avere attaccato le comuni popolari
agricole. Nel novembre del 1965, Yao
Wenyuan (1931-2005), allora giornalista di Shanghai, sotto la spinta di
Mao e la direzione di Jiang Qing, pubblicò un articolo che criticava il dramma. Membro del Gruppo per la Rivoluzione culturale e successivamente
dell’Ufficio politico del CC del PCC,
fu responsabile della propaganda e
importante figura della Rivoluzione
culturale fino al suo arresto nell’ottobre 1976 come membro della “banda
dei quattro”.
(2) Si riferisce a Pechino, governata fino al maggio 1966 da Peng
Congresso nazionale del Partito (aprile 1969) lo designarono successore di
Mao. Successivamente si smascherò
come revisionista di “sinistra”, cospiratore controrivoluzionario e arrivista
borghese. Criticato e smascherato da
Mao, tentò un colpo di Stato che fallì
e morì il 13 settembre 1971 in Mongolia a seguito di un incidente aereo,
mentre era in fuga verso l’URSS.
(6) L’XI Sessione plenaria
dell’VIII Comitato Centrale del PCC
si tenne dal 1° al 12 agosto 1966 e approvò la risoluzione in dodici punti
sulla Rivoluzione culturale.
(7) Chen Boda (1904-1989), era
membro del Comitato permanente
dell’Ufficio politico del CC del PCC,
presidente del Gruppo per la Rivoluzione culturale sotto il CC del PCC e
direttore della rivista teorica “Bandiera rossa”. Smascherato come revisionista di “sinistra” e trotzkista, membro
Una manifestazione nell’Hopei, organizzata dal locale comitato rivoluzionario a sostegno della Grande
Rivoluzione Culturale Proletaria
Zhen. Stretto alleato di Liu Shaoqi, il
principale revisionista al potere, questi aveva impedito che l’articolo di
Yao Wenyuan fosse ristampato nella
capitale.
(3) Jiang Qing (1914-1991), moglie di Mao, era allora primo vicepresidente del Gruppo per la Rivoluzione culturale sotto il CC del PCC.
Fu eletta membro del CC del PCC al
IX Congresso nel 1969 e successivamente membro dell’Ufficio politico
del CC a seguito del X Congresso nel
1973. Si occupò principalmente della
rivoluzione della letteratura, dell’arte e dell’istruzione. A partire dal 1974
creò un gruppo ristretto con Wang
Hongwen, Zhang Chunqiao e Yao
Wenyuan (la “banda dei quattro”);
vennero arrestati nell’ottobre 1976,
dopo la morte di Mao, con l’accusa
di pianificare un colpo di Stato. Nel
1981 venne condannata a morte, pena
commutata in ergastolo.
(4) Zhou Enlai (1898-1976) era il
primo ministro del Consiglio di Sta-
Gettarsi nella lotta di classe,
non essere fuochi
di paglia della storia
Febbraio 1967
Fra i protagonisti più influenti del Movimento del 4 maggio, la
destra era rappresentata da Hu Shi,
il quale successivamente è divenuto un lacchè dell’imperialismo
statunitense. Anche Chen Duxiu,
che aveva partecipato a sua volta al movimento del 4 maggio, di-
si piegheranno tutti dinanzi a noi.
pendente, ma poi divenne un grande marxista. Noi dobbiamo trarre
degli insegnamenti dalla storia:
non dobbiamo essere fuochi di paglia, bensì immergerci nell’attività, essere abili nel pensare e forgiare stretti legami con le masse.
In ogni rivoluzione avvenuta in
Cina, fino a quella che noi stessi
stiamo vivendo personalmente, gli
individui veramente promettenti
sono sempre stati quelli in grado
di ragionare sui problemi, non chi
usciva allo scoperto solo per godersi la luce dei riflettori, come
quelli che adesso stanno facendo
“il diavolo a quattro”: sicuramente
la storia li ricorderà come fugaci
fuochi di paglia.
Note
La fonte dell’opera è Mao Zedong
Sixiang Wansui (Viva il pensiero di
Mao Zedong), vol. 1961-1968.
Note
La fonte dell’opera è Mao Zedong
Sixiang Wansui (Viva il pensiero di
Mao Zedong), vol. 1961-1968.
venne un controrivoluzionario. A
quel tempo Li Dazhao non aveva
scritto molti articoli, ma si immerse nell’attività e divenne un rivoluzionario e un rappresentante della sinistra. Poi c’era Lu Xun, che
allora prestava importanza dall’indagine sociale e al pensiero indi-
Dichiarazione
del luglio 1967
Luglio 1967
Se stiamo uniti e diamo anima
e corpo alla causa comune, non
importa quanto possano essere
formidabili i nemici o quanto possano essere avverse le circostanze:
Dichiarazione sul ruolo dirigente
della classe operaia
Estate 1968
La Cina ha una popolazione di
settecento milioni di persone. La
classe operaia è la classe dirigente.
Dobbiamo valorizzare appieno la
funzione dirigente della classe ope-
raia nella Grande Rivoluzione culturale e in tutte le altre attività. La
classe operaia deve anche elevare
incessantemente la propria coscienza politica nel corso della lotta.
Note
La fonte dell’opera è Mao Zedong
Wenge Tanhua Zhishi Huibian (Raccolta delle dichiarazioni e direttive di
Mao Zedong nel corso della rivoluzione culturale).
Il proletariato è la classe più
grande della storia dell’umanità
Marzo-aprile 1969
Il proletariato è la classe più
grande della storia dell’umanità,
è la classe rivoluzionaria più forte per ideologia, politica e forza materiale. Il proletariato può
e deve raccogliere attorno a sé la
stragrande maggioranza del popo-
principale della cricca di Lin Biao, fu
espulso dal PCC nel 1973.
(8) Viene chiamata “tempesta di
gennaio” l’insurrezione (senza spargimento di sangue) degli operai, delle guardie rosse e delle fazioni ribelli rivoluzionarie di Shanghai che, il 5
gennaio 1967, portò alla destituzione
delle autorità cittadine revisioniste ed
alla nascita del primo Comitato rivoluzionario.
(9) Due articoli dell’aprile 1967
che criticavano Liu Shaoqi. L’autore
Qi Benyu (1931-2016) era membro
del Gruppo centrale per la Rivoluzione culturale e fu e criticato e destituito
nel 1968 per avere promosso attività
“ultrasinistre” e frazionistiche.
(10) Le “tre grandi montagne” che
opprimevano il popolo cinese durante la rivoluzione di nuova democrazia
erano l’imperialismo, il feudalesimo e
il burocratismo.
lo, e isolare e attaccare al massimo il piccolo pugno dei nemici di
classe.
Pubblicato nel rapporto politico al IX congresso nazionale del
PCC.
Note
La fonte dell’opera è Jiangua Yilai
Mao Zedong Wengao (Manoscritti di
Mao Zedong successivi alla fondazione della Repubblica popolare cinese),
vol. XIII, Casa editrice dei documenti
del Comitato centrale, 1998.
to e Kang Sheng (1898-1975) era uno
dei maggiori responsabili della Rivoluzione culturale, strenuo sostenitore
della linea marxista-leninista di Mao.
(5) Lin Biao (1907-1971) era vicepresidente del CC del PCC, vicepresidente della Commissione militare del
CC del PCC, membro del Comitato
permanente dell’Ufficio politico del
CC del PCC, viceprimo ministro del
Consiglio di Stato e ministro della Difesa. L’XI Sessione plenaria dell’VIII
CC del PCC (agosto 1966) e il IX
Guardie Rosse
Andare controcorrente è un
principio marxista-leninista
Dalle note all’autocritica di Wu Faxian
14 ottobre 1970
Ma quale modestia? Nelle questioni di principio, io non ho mai
avuto nessuna modestia. Bisogna
osare andare controcorrente. Andare controcorrente è un principio
marxista-leninita. Quanto ho fatto a Lushan è stato proprio andare
controcorrente.
Note
La fonte dell’opera è Jianguo Yilai
Mao Zedong, Wengao (Manoscritti di
Mao Zedong successivi alla fondazione della Repubblica popolare cinese),
vol. XIII, Casa editrice dei documenti
del Comitato centrale, 1998.
Indicazioni per il X Congresso
del PCC date ad una riunione
dell’Ufficio politico del CC
18 agosto 1973
Auspico che questo Congresso sarà veramente un Congresso
di unità e un Congresso di vittoria.
Auspico che, a questo nostro Congresso, vi sarà unità e non verranno compiuti intrighi o complotti.
Noi dobbiamo unirci con tutti coloro con i quali è possibile unirsi e
combattere, all’esterno, gli imperialisti, i revisionisti e i reazionari,
e, all’interno, i duri a morire più
irriducibili delle cricche antipartito di Liu Shaoqi e Lin Biao. Dobbiamo perseverare nei principi,
naturalmente senza rinunciare alla
necessaria elasticità. Nelle organizzazioni di Partito ad ogni livello, una volta che la maggioranza si
è espressa, la minoranza è tenuta
a seguirla.
di Zhou Enlai alla conferenza di preparazione del X Congresso nazionale
del PCC il 24 agosto 1973.
NOTE
La fonte dell’opera è Mao Zedong
Zhuan (Biografia di Mao Zedong),
vol. II, Centro di ricerca sulla letteratura di partito del CC del PCC,
1996.
Indicazioni rese note nel discorso
Nota al rapporto sullo studio
della teoria all’agenzia Xinhua1
23 aprile 1975
Mi pare che occorra promuovere la lotta al revisionismo, che
comprende la lotta all’economicismo ed al dogmatismo. Entrambi
costituiscono revisioni del marxismo-leninismo e non bisogna
indicarne solo uno, tralasciando
l’altro. La situazione cambia da
situazione locale a situazione locale, ma tutti i problemi vanno
attribuiti al livello non sufficientemente elevato di marxismo-leninismo. Tutti, senza eccezione, devono studiare; nel giro di svariati
anni, dobbiamo concentrarci sul
miglioramento graduale del livello di marxismo-leninismo.
Nel nostro Partito non sono in
molti a capire veramente il marxismo-leninismo. Alcuni ritengono di capirlo, ma nella pratica non
è così, ma loro restano fermi nella loro convinzione e passano il
tempo a pontificare. Anche questa è una manifestazione di mancata comprensione del marxismoleninismo.
Ti chiedo di portare questa questione all’Ufficio politico.
Il mio auspicio è questo.
23 aprile 1975
NOTE
La fonte dell’opera è Jianguo Yilai
Mao Zedong Wengao (Manoscritti di
Mao Zedong successivi alla fondazione della Repubblica popolare cinese),
vol. XIII, Casa editrice dei documenti
del Comitato centrale, 1998.
1. Rapporto del 20 aprile 1975,
presentato a Mao da Yao Wenyuan. Il
rapporto sosteneva che l’aspetto principale dello studio della teoria della
dittatura del proletariato doveva essere combattere l’economicismo.
6 il bolscevico / 50° anniversario della GRCP
N. 21 - 26 maggio 2016
Tramite i pennivendoli Fabrizio D’Esposito e Massimo Fini
Fesserie, bugie e disinformazione
del “Fatto” sui “maoisti d’Italia”
Sembra che i giornali della borghesia si siano messi d’accordo
per scatenare l’ennesima canea
anticomunista in occasione del
50° Anniversario della Rivoluzione culturale proletaria cinese. Se
il 6 maggio “Il Venerdì di Repubblica” aveva calunniato gli avvenimenti di allora in Cina, è toccato al
“Fatto quotidiano” attaccare Mao e
la Rivoluzione culturale proletaria
in riferimento all’influenza che esercitarono sul Sessantotto in Italia.
Ad aprire tale canea anticomunista
non stupisce che sia stata “La Repubblica”, ormai ridottasi a compiacente megafono personale del
nuovo Mussolini, semmai è gravissimo che l’abbia in ciò affiancata “Il Fatto”, che almeno a parole
è nato per rompere la generalizzata opera di omologazione e disinformazione condotta sistematicamente dai mass media dominanti.
Non ci aspettavamo certo giudizi
benevoli sul PMLI e sui marxisti-leninisti italiani ma ridurli esclusivamente a quel fenomeno da
baraccone che fu “Servire il popolo” e tacere e negare la stessa esistenza di quelli autentici di ieri e
di oggi, è davvero troppo. Cosicché all’ignaro lettore de “Il Fatto”
è stato fatto credere che ieri erano
una masnada di illusi esaltati fuori
di testa e oggi si sarebbero estinti irrimediabilmente. Eppure i due
giornalisti del quotidiano ben sanno dell’esistenza del PMLI e della
sua recente iniziativa di ricordare
il 50° della Rivoluzione culturale
proletaria cinese invitando i giovani a fare come le Guardie rosse,
come risulta peraltro dal Comunicato stampa a loro inviato.
Davvero non si contano le fesserie e le bugie uscite sul “Fatto”
del 16 maggio dalle penne di Fabrizio D’Esposito, già giornalista
Firenze, marzo 1969. Il compagno Giovanni Scuderi alza il Libretto
rosso di Mao a una manifestazione di massa antimperialista. Accanto
si intravede la compagna Nerina “Lucia” Paoletti (foto archivio PMLI)
del fogliaccio neofascista “Libero”
assunto da Vittorio Feltri, e Massimo Fini, quest’ultimo ex PSI oggi
votato a Nietzsche, alla decrescita
ed al revisionismo storico in chiave
anticomunista (a dicembre sempre
sul “Fatto” considerava ingiusto e
illegittimo il processo di Norimberga del 1945). Entrambi, molto
meschinamente e scorrettamente,
riconducono “tout court” i “maoisti d’Italia” a “Servire il popolo”,
in realtà un partito opportunista e
trotzkista creato dall’imbroglione
Le ragazze e le donne partecipano alle lotte del Sessantotto ispirandosi al pensiero di Mao
Aldo Brandirali, poi vendutosi a
Berlusconi e “Comunione e Liberazione”, che ha partorito altri
“pentiti” del Sessantotto e lautamente ricompensati dalla borghesia come i piddini Barbara Pollastrini, Linda Lanzillotta, Nicola
Latorre e l’avvocato di Craxi Enzo
Lo Giudice, per non parlare di Renato Mannheimer o Michele Santoro. Scopo di ciò è presentare i
marxisti-leninisti come “monaci
senza canne e senza sesso libero”, i quali “vivevano su un altro
pianeta”, mentre “il maoismo vi
era inteso come dogma e ripetizione talmudica”. Insomma, niente
più che esaltati fuori dal mondo e
inebriati da un’utopia del passato
dai contorni grotteschi. Lasciando intendere che il Sessantotto
non fu altro che un’occasione di
sballo e divertimento, anziché il
più grande episodio della lotta di
classe in Italia nel dopoguerra, e
tralasciando tutte le straordinarie
conquiste e sperimentazioni politiche di allora.
Se fossero stati intellettualmente onesti, avrebbero dovuto parlare dell’influenza determinante del pensiero e dell’esempio
di Mao, della Rivoluzione culturale e delle Guardie rosse sulla
coscienza politica delle masse soprattutto operaie e giovanili che
animarono il Sessantotto, a cominciare dal movimento studentesco. Avrebbero dovuto parlare del
PMLI e de “Il Bolscevico”, nati
proprio nel fuoco delle lotte del
Sessantotto (allora il PMLI era
preceduto
dall’Organizzazione
comunista bolscevica italiana
marxista-leninista), volutamente
escluso dalla lista degli “innumerevoli gruppuscoli che nacquero
nel Sessantotto”. Invece lo scopo
di tale spreco d’inchiostro è calunniare il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e i marxisti-leninisti
con la più viscida disinformazione, e in secondo luogo tenere chi
è alla ricerca di una reale alternativa al capitalismo all’oscuro del
PMLI. Non sia mai che qualcuno si incuriosisca e scopra che i
“maoisti d’Italia”, cioè i marxistileninisti, sono vivi e vegeti e non
corrispondono alla narrazione falsa e ironica di D’Esposito e Fini
ma si battono contro il capitalismo e il nuovo duce Renzi. Quindi non è affatto vero che è finita
l’influenza del comunismo in Italia, come blaterano gli scribacchini di regime nel vano tentativo di
esaltare la supremazia del capitalismo in putrefazione e salvarlo,
questo sì, dal passato a cui appartiene.
Celebrazioni in Cina per il 50° anniversario
della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria
I media del regime revisionista: “mai più” Rivoluzione culturale,
cioè mai più socialismo. E attaccano i “maoisti nostalgici”
Solitamente, la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria è un argomento tabù in Cina, governata
dagli eredi di quei revisionisti che
furono rovesciati in quel periodo.
Quando viene citata, è solo per infamarla o esorcizzarla. Quest’anno, l’avvicinarsi del 50° Anni-
Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI
e-mail [email protected]
sito Internet http://www.pmli.it
Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164
Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale
murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze
Editore: PMLI
chiuso il 18/5/2016
ISSN: 0392-3886
ore 16,00
versario ha costretto i media del
regime revisionista a dire qualcosa in merito e il compito è stato
affidato al “Global Times”, la costola più sbracata del “Quotidiano
del popolo” (organo ufficiale del
PCC) alla quale viene solitamente
affidato il compito di dire ciò che
i media governativi non possono
tatticamente dire.
“Un movimento politico spaventoso per intensità e violenza”
strumentalizzato da “cricche antirivoluzionarie per scopi politici che portò rovina alla nazione”:
questa la descrizione falsa e diffamatoria data dai revisionisti cinesi tramite le pagine del giornale,
i quali hanno tutto interesse a negare il significato antirevisionista
del grande movimento lanciato da
Mao il 16 maggio del 1966. Che,
auspicano, non si ripeterà “mai
più”, nascondendo la vera speranza, cioè che non si ripeta mai più
il socialismo.
Ma nella Cina del capitalismo
e neoliberismo sfrenati non tutti si bevono la versione ufficiale,
soprattutto fra le masse lavoratrici sfruttate. A Xi’an, importante metropoli di oltre 4 milioni di
abitanti nella provincia nord-occidentale dello Shaanxi, si è tenuta l’8 maggio una “conferenza
in celebrazione del 50° anniversario della circolare del 16 maggio”, che diede inizio alla Rivoluzione culturale. Sotto striscioni
rossi con su scritto “Viva la Grande Rivoluzione culturale proletaria” e “Viva l’invincibile pensie-
ro di Mao Zedong”, i partecipanti
hanno tenuto discorsi denunciando “il tradimento della causa del
proletariato” da parte della “cricca dei revisionisti fautori del capitalismo di Deng Xiaoping”, che
hanno “gettato la Cina nell’abisso del capitalismo e rovinato il sacrificio di sangue del presidente
Mao e degli innumerevoli martiri
della rivoluzione”.
Un’iniziativa simile si era tenuta il 1° maggio a Hong Kong,
organizzata dalla “Società di studio del pensiero di Mao Zedong”
per “raccogliere la missione del
Presidente e promuovere lo spirito della Rivoluzione culturale”,
alla quale hanno partecipato “centinaia di compagni e studiosi della
Cina continentale, di Hong Kong,
Taiwan e dall’estero”. Senza contare i numerosi siti di sinistra che
hanno pubblicato vari interventi a
favore di Mao e della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, a
volte esplicitamente critici verso
il regime revisionista. Alcuni di
questi siti sono stati chiusi.
Queste sono le iniziative di
cui siamo a conoscenza, ma sicuramente se ne sono svolte altre nell’immensa Cina, che non
sempre la censura fa trapelare. Se
però il suddetto “Global Times”
ha sentito la necessità di attaccare i “maoisti nostalgici” (sic!) che
celebrano la Rivoluzione culturale proletaria, evidentemente il fenomeno esiste e preoccupa Pechino.
interni / il bolscevico 7
N. 21 - 26 maggio 2016
L’Italia addestra le forze irachene che si preparano
a riconquistare
Mosul,
capitale
dell’IS
Quello italiano è il secondo contingente straniero in Iraq
Aumentano i rischi di rappresaglia nel nostro Paese
Quello dell’Italia in Iraq nella
guerra allo Stato islamico è l’impegno militare più importante tra
tutti i Paesi stranieri dopo gli Stati Uniti. Agli oltre 800 uomini già
presenti in Iraq, Kurdistan e Kuwait, in funzione di ricognizione
aerea e individuazione di obiettivi da bombardare e di addestramento a terra di truppe e forze
di sicurezza curde e irachene, si
stanno aggiungendo infatti altri
500 militari, appoggiati da mezzi
blindati ed elicotteri da soccorso
e da combattimento, il cui pieno
dispiego sarà completato entro
settembre, ufficialmente inviati per proteggere i lavori di riparazione e consolidamento della
diga di Mosul, affidati dal governo
iracheno alla ditta italiana Trevi di
Cesena.
Come si vanta con orgoglio il
sito del ministero della Difesa diretto dalla guerrafondaia Roberta Pinotti, dal giugno 2015 sono
già 3000 i poliziotti iracheni addestrati dai circa 90 carabinieri della missione “Prima Parthica” di
stanza a Camp Duplin, a Baghdad. Addestramento, come si capisce leggendo tra le righe, che
non riguarda solo il mantenimento dell’ordine pubblico e il contrasto alla criminalità comune, ma
anche e soprattutto vere e proprie azioni di guerra per il “recupero” e il controllo delle zone “liberate” dall’IS, come è avvenuto
per esempio a Ramadi.
Lo stesso lavoro è svolto nella base di Erbil nel Kurdistan
iracheno, da 200 militari italiani dell’esercito, tra cui 120 istruttori, inquadrati nella Task force
Erbil, costituita a gennaio 2015,
nel quadro della missione militare europea a guida tedesca, a
cui partecipano anche contingenti di Gran Bretagna, Olanda, Finlandia, Norvegia e Ungheria. In
questo caso l’addestramento è
dichiaratamente di guerra, consistendo nel preparare le truppe
peshmerga alle tecniche di base
di fanteria, all’uso di armi controcarro, di mortai e di artiglieria, e
a corsi per tiratori scelti, per disinnesco di ordigni improvvisati e
per interventi di primo soccorso.
Inoltre sia a Baghdad che a
Kirkuk sono presenti uomini delle forze speciali (appartenenti a
tutte le forze armate), che addestrano rispettivamente i militari iracheni del Counter terrorism
service e le forze speciali di sicurezza curde. Nell’ultimo anno,
dall’avvio di “Prima Parthica”, i
militari curdi formati dal personale italiano sono stati 4300 su un
totale di 8000 addestrati dall’intera coalizione.
Si prepara l’assalto a
Mosul
Adesso, nel silenzio pressoché assoluto della stampa di regime (a parte alcuni articoli del
megafono ufficioso di Renzi, La
Repubblica, che evidentemente
gode di qualche corsia preferenziale per il suo inviato sul posto),
stanno cominciando ad arrivare le prime truppe a presidiare il
cantiere per la diga di Mosul, distante dalle prime postazioni dei
combattenti dell’IS solo una quindicina di chilometri. Tutto fa pensare quindi che si stia preparando un assalto della coalizione
imperialista alla città capitale dello Stato islamico in Iraq, e che le
truppe italiane inviate col pretesto
della protezione della diga debbano essere tra gli attori principali
della riconquista della città.
Lo stesso inviato di Repubblica ha raccolto infatti voci molto
scettiche tra il personale curdo e
iracheno che si occupa della diga
very che schiera elicotteri da trasporto e AH-129 ‘Mangusta’ da
attacco, la disponibilità di assetti di artiglieria e di aerei facilmente convertibili, fanno capire che il
contingente italiano vuole essere
pronto a ogni possibile scenario”,
Baghdad, ricordando che in Iraq
abbiamo ormai il secondo contingente per numero di militari dopo
gli Usa, ha sottolineato che quello in Iraq “è l’impegno più importante dell’Italia nel mondo. E non
è frutto del caso. È frutto di una
8 maggio 2016. La ministra Roberta Pinotti arringa il contingente italiano della base di Camp Duplin, presso Baghdad, all’impegno imperialista dell’Italia dopo aver visitato la diga di Mosul
circa il presunto stato di degrado
delle sue strutture, così come sulla presunta portata catastrofica,
per il territorio e la stessa Baghdad, che avrebbe un suo eventuale crollo. Del resto giudicato
alquanto improbabile, visto che
il livello dell’acqua è mantenuto
piuttosto basso. E il fatto stesso
che siano stati gli americani ad
insistere affinché l’Italia si assumesse questo compito, pur conservando per se stessi la direzione dei lavori, alimenta il sospetto,
se non la certezza, che abbiano
voluto lì i rinforzi italiani (facendo inoltrare la richiesta attraverso
il governo fantoccio iracheno) in
appoggio all’imminente offensiva
militare contro Mosul.
“E la struttura della presenza
complessiva su terra irachena,
con l’apparato di Personell Reco-
ammette infatti anche l’inviato di
Repubblica. Del resto anche la
pronta visita della guerrafondaia
Pinotti alla base italiana in allestimento presso la diga, dove il 10
maggio ha passato in rassegna
le truppe, suona come una conferma che il vero scopo della missione è tutt’altro che “pacifico” e
limitato alla protezione del cantiere della Trevi.
“La missione che state svolgendo con grande competenza,
professionalità e umanità – ha
detto la ministra alle truppe ad
Erbil - è fondamentale per la sicurezza dell’Iraq e del nostro Paese. Sconfiggere il terrorismo
deve essere un obiettivo prioritario della comunità internazionale.
Grazie perché con il vostro lavoro tenete alto l’onore dell’Italia”.
E in un’intervista all’aeroporto di
scelta. Come ministro della Difesa ho chiesto al governo e poi al
parlamento che l’impegno dell’Italia contro l’Isis fosse il massimo”.
L’Italia di Renzi e
Pinotti in prima fila
contro l’IS
Dunque l’ex educatrice degli scout, ex “pacifista” ed ex noglobal, Roberta Pinotti, conferma in pratica che l’Italia non è
“per caso” la seconda forza militare straniera in Iraq, e non sta
lì solo per “addestrare”, “sorvegliare”, “proteggere” ed altri compiti simili da forza di retrovia, ma
sta lì per una scelta precisa quanto non espressamente dichiarata,
quella di combattere militarmente
lo Stato islamico, con tutti i rischi
e le conseguenze che questa
guerra comporta. E non ci riferiamo ai militari, che sono mercenari e perciò pagati profumatamente per questo, ma alle popolazioni
civili. A quella irachena prima di
tutto, ma anche a quella italiana,
passando sopra la cui testa il governo del nuovo duce Renzi, con
la complicità e l’acquiescenza del
parlamento nero, ha deciso questa escalation interventista in Iraq
esponendo il nostro Paese alle
inevitabili rappresaglie terroristiche dei militanti dell’IS.
È significativo che lo stesso
procuratore nazionale antimafia,
Franco Roberti, abbia lanciato di
recente un allarme avvertendo
che con l’evoluzione della guerra
sul campo “l’Isis chiede ai foreign
fighters di non andare in Siria e di
colpire da noi”. Tesi che la guerrafondaia Pinotti si è affrettata a
smentire farfugliando in un’intervista a Sky Tg24 che “le due cose
non sono in relazione”, cioè l’intensificazione dell’impegno militare italiano contro l’IS in Iraq e
le minacce terroristiche in Europa
e Italia.
Come al solito si cerca di far
credere alla popolazione che gli
attentati terroristici sono la causa
e l’intensificazione dell’intervento militare contro l’IS ne è la conseguenza, mentre è vero esattamente il contrario. E questo per
legittimare agli occhi della popolazione il vero motivo che si nasconde dietro la guerra allo Stato islamico: soddisfare gli appetiti
espansionisti dell’imperialismo
italiano verso la regione mediorientale e partecipare alla spartizione delle sue ricche fonti energetiche.
Respingere
gli
attacchi
degli
omofobi
Fronte unito contro gli avversari delle unioni civili
Le unioni civili sono legge a
seguito del voto favorevole della
Camera dell’11 maggio, sul quale Renzi aveva messo la fiducia.
Hanno votato a favore il PD, gli
alfaniani, i verdiniani, Sel-Sinistra
italiana e parte di Forza Italia, anche se la deputata piddina Michela Marzano pur votando a favore
si è poi dimessa dal gruppo parlamentare per protesta contro lo
stravolgimento della legge. Contrari Lega e Fratelli d’Italia. Il M5S
e “Possibile” si sono astenuti.
Nel giro di ventiquattr’ore, la
destra clerico-fascista ha attivato
una vera e propria campagna per
cancellare quel poco che è stato
ottenuto e ribadire la supremazia
assoluta del modello borghese
e cattolico di famiglia. Numerosi sindaci e candidati del “centrodestra” hanno dichiarato pubblicamente che non celebreranno le
unioni civili e Salvini ha lanciato
un appello in tal senso. Gasparri,
Giovanardi e Quagliariello hanno
annunciato un referendum abrogativo. Le teppaglie fasciste di
Forza Nuova e Casa Pound, indisturbate, hanno realizzato blitz intimidatori di tipo squadrista mussoliniano contro sedi e dibattiti
delle associazioni LGBT e omogenitoriali.
Questa offensiva reazionaria,
che rischia di impiegare anche la
violenza squadrista vista la presenza dei gruppi dichiaratamente
fascisti, deve essere respinta con
un fronte unito di tutte le forze politiche, sociali e culturali antifasciste, anche religiose, che vogliono pari diritti per tutti. La battaglia
non riguarda soltanto la salvaguardia delle unioni civili, che pur
essendo insufficienti e discriminatorie hanno introdotto un minimo di diritti (la reversibilità della
pensione, l’assistenza in caso di
malattia, ecc.) ora da estendere,
non ridurre. Si tratta soprattutto
di opporsi allo strapotere politico
e culturale della Chiesa cattolica
sullo Stato e al dilagare indisturbato dei fascisti, nell’immediato
quindi far fallire l’eventuale referendum, pretendere la messa al
bando dei gruppi fascisti e arrivare il prima possibile al reato di
omofobia per assestare un duro
colpo alle discriminazioni che colpiscono gay, lesbiche, bisessuali
e transessuali.
Inoltre, benché la soddisfazione dei movimenti e delle persone
LGBT per avere ottenuto un minimo di garanzie sia comprensibile,
non va dimenticato che, con questa legge, le unioni omosessuali
sono considerate “formazioni sociali” di serie B, giuridicamente un
gradino più in basso rispetto alla
famiglia che resta esclusivamente eterosessuale (e patriarcale).
Non gli è riconosciuto il diritto di
allevare dei figli, ma nemmeno di
adottare quelli del partner.
Respingere l’attacco omofobo
significa anche proseguire la lotta per ottenere diritti veramente
paritari, senza però contare sulla trattativa parlamentare che si
è dimostrata perdente e utile solo
alla destra conservatrice. Il PD di
Renzi si è dimostrato a sua volta
inaffidabile perché, succube degli elementi più reazionari al suo
interno e nella compagine governativa, ha strumentalizzato le
aspirazioni LGBT per fare una
leggiucchia che gli tornasse utile, da una parte per accreditarsi come il difensore dei diritti ci-
vili a scopo elettorale, e dall’altra
per non scontentare l’ala cattolica
della maggioranza.
La battaglia per i diritti civili
non è affatto conclusa e la stessa canea clerico-fascista lo dimostra. Va continuata e sviluppata,
contando sulla lotta di massa e
non appiattendosi sull’appoggio
dei partiti parlamentari, e incrociandosi con le lotte delle masse
per il lavoro, la scuola, la casa e
così via per darsi forza reciprocamente per la conquista di pari diritti sociali e civili.
Legge sulle Unioni civili: ecco quello che non mi piace
Pubblichiamo estratti dell’articolo di Giuseppina La Delfa, Fondatrice ed ex presidente di Famiglie Arcobaleno Associazione
Genitori Omosessuali, pubblicato sul blog dell’Huffington Post
dell’11 maggio scorso.
Ma non voglio dire grazie alla
politica, al parlamento, al PD, a
Renzi. Non voglio dire grazie a
loro. Perché la legge che esce
oggi -una legge utile e importante
s’intende- rimane una legge non
giusta, discriminatoria e offensiva nei confronti di tutte le persone omosessuali e transessuali.
Questa legge ha due torti, il primo è che ribadisce che noi persone omosessuali non meritiamo
pari diritti e pari tutele delle persone eterosessuali. Dice che le
nostre coppie e le relazioni che
costruiamo hanno meno valore,
meno dignità sociale. È una legge che nasce su un terreno omofobo. Nasce perché non c’era più
scelta. Perché l’Italia era la vergogna di tutto l’Occidente. Perché l’Europa cominciava a condannare l’Italia a suon di migliaia
di Euro a persona e non solo a
parole. Una legge limitata, nata
nella volgarità di un dibattito triste
e vergognoso, indecente, tranne
qualche rara eccezione.
E poi ci sono i bambini. I nostri bambini. Stralciati. Un colpo
di forbice e fuori tutti. Il parlamento italiano, il PD ha accontentato gli omofobi che si riempiono la
bocca e urlano ovunque che bisogna proteggere i bambini! ma
di quali bambini parlano? Quelli degli omofobi? Gli altri? Stralciati! Come sono regolarmente
stralciati tanti altri bambini: quelli
che annegano nel mediterraneo,
quelli che spariscono nel nulla,
quelli che lavorano al nero sulle
terre italiane, e anche i figli di gay
e lesbiche che nonostante tutto sono ancora i più fortunati fra
i tanti che spariscono dalla vita,
dalla dignità, dalle leggi.
Il secondo difetto di questa
legge è che nega la dignità e il
valore della genitorialità omosessuale. Certo, c’è una frase, ipocrita, che rinvia ai tribunali. Vergogna! Quella frase obbligherà
i genitori omosessuali a vivere
anni di purgatorio: spese, avvocati, giudici, psicologi, assistenti
sociali in casa. Vergogna. E mentre la giustizia sarà impelagata
con le migliaia di ricorsi dei genitori discriminati da questa legge,
ci sono dei bambini figli di mam-
ma e papa, buttati via dalle terrazze come spazzatura, dopo essere stati torturati. Gli assistenti
sociali e gli psicologi avrebbero
meglio da fare altrove a tutela dei
figli delle tante famiglie da incubo
ma tutelate perché eterosessuali.
Ecco ci sono loro, i bambini e
i loro genitori. C’è la negazione di
un fatto e ulteriori offese e ansie
e incertezze, c’è soprattutto un
disvalore scritto nella legge che
contraddistingue le nostre esistenze, le nostre famiglie, le nostre scelte. Io capisco gli anziani
e anche le coppie più giovani che
vogliono festeggiare ma per favore, capite anche me se non ne ho
nessuna voglia. Posso solo tornare a ringraziare e ricordare tutti
quelli che hanno sperato questo
momento da 40 anni.
8 il bolscevico / interni
N. 21 - 26 maggio 2016
Indagato il sindaco M5S di Livorno
Nogarin è accusato di concorso in bancarotta fraudolenta, abuso d’ufficio e falso in bilancio
A poco meno di un mese dalla raffica di avvisi di garanzia che
il 18 aprile ha inguaiato il fedele
assessore al Bilancio e alle Partecipate del Comune di Livorno,
Gianni Lemmetti, e i vertici della
vecchia giunta comunale guidata
dal PD; il 7 maggio anche il sindaco del Movimento 5 Stelle Filippo
Nogarin eletto appena due anni
fa alla guida della città labronica
è finito nel registro degli indagati della locale procura con l’accusa di concorso in bancarotta fraudolenta, abuso d’ufficio e falso in
bilancio.
Le ipotesi di reato fanno riferimento a tre distinti episodi: la
bancarotta fraudolenta riguarda l’assunzione di 33 lavoratori
precari all’Aamps avvenuta dopo
l’avvio delle procedure di fallimento avviate da Nogarin con
conseguente ulteriore aggravio
della situazione finanziaria dell’azienda; il falso in bilancio riguarda
invece l’approvazione del bilancio 2014 ereditato dalla passata
giunta PD avvenuta nel novembre 2015 contro il parere del collegio dei sindaci revisori, mentre
l’abuso d’ufficio è dovuto alla revoca – avvenuta all’inizio del gennaio scorso – del consiglio di amministrazione dell’Aamps che lo
stesso Nogarin aveva nominato
il primo aprile 2015, cioè 9 mesi
prima. Il sindaco aveva azzerato
il cda perché non stava dando seguito alla decisione politica della
giunta e del consiglio comunale
che avevano approvato la strada
del concordato preventivo.
L’inchiesta “Città pulita” condotta dal Pubblico ministero (Pm)
Massimo Mannucci ruota intorno
alla scandalosa gestione di Aamps, l’azienda per la raccolta dei rifiuti al 100% partecipata dal Comune che accusa debiti per oltre
26 milioni di euro di cui 21 lasciati in eredità dalle precedenti amministrazioni di “centro-sinistra” a
guida PD mentre i restanti 5 milioni accumulati dal 2014 ad oggi
sono da imputare all’attuale amministrazione M5S.
Nel mirino degli inquirenti ci
sono i crediti inesigibili accumulati negli anni dall’azienda e i bilianci a dir poco sospetti degli ultimi
due anni 2012- 2014.
Nogarin, che in campagna
elettorale fra le altre cose aveva
promesso di risanare l’azienda,
alla prova dei fatti si è comportato esattamente come tutte le altre
cosche parlamentari e per togliersi dagli impicci ha avviato la procedura di concordato preventivo,
in sostanza l’affidamento a terzi,
leggasi la svendita ai privati, di
parte o tutto il patrimonio.
Il sindaco e il suo assessore, infischiandosene della sorte
dell’azienda pubblica e dei suoi
250 lavoratori, di oltre 40 precari e dei 200 lavoratori dell’indotto, hanno scelto la strada di non
ricapitalizzare la partecipata, suscitando la dura protesta dei dipendenti dell’Aamps, che rischiavano di perdere il proprio lavoro.
A metà aprile partono i primi
provvedimenti giudiziari che colpiscono non solo l’attuale amministrazione M5S ma anche le
consigliature PD; insieme a Nogarin e Lemmetti risultano al momento indagate per gli stessi reati
almeno altrI 15 esponenti fra cui
spiccano tre boss del PD livornese, componenti dell’ex giunta: l’ex
sindaco, Alessandro Cosimi, l’exvicesindaco, Bruno Picchi, e l’ex
titolare al Bilancio Valter Nebbiai.
Insieme a loro risultano indagati
anche l’ex direttore generale di
Aapms Lorenzo Fommei, l’ex Ad
di Aaamp Angelo Rosi e il direttore della protezione civile Lorenzo
Gonnelli.
Insomma un verminaio senza
fine con al centro l’assoluta ipocrisia degli amministratori penta-
stellati che si riempiono sempre
la bocca della parola “onestà” ma
poi imbrogliano come e più degli
altri, e applicano un rigido moralismo agli altri, ma non a se stessi.
La verità è che il caso di Livorno dimostra ancora una volta di
che pasta sono fatti gli amministratori M5S, in nulla diversi dagli altri partiti borghesi. Non solo,
è evidente dalla tendenza ad agire al di sopra di ogni regola e nel
completo arbitrio, dalla loro politica antioperaia: “Mi importa un
cazzo di questi qui” (variante del
“me ne frego” mussoliniano) disse Lemmetti degli operai livornesi che lo stavano contestando.
Esattamente gli stessi riferimenti
ideologici dei fascisti.
Al centro dell’inchiesta le nomine del Teatro Regio
Indagati sindaco
e
assessore
di
Parma
del
M5S
Pizzarotti e Ferraris sono accusati di abuso d’ufficio
A pochi giorni dalla bufera
giudiziaria che ha colpito il M5S
di Livorno, anche l’amministrazione M5S di Parma è finita sotto inchiesta della magistratura. Il
10 maggio la procura di Parma
ha confermato che, dalla metà
di febbraio scorso, il neopodestà
Federico Pizzarotti e l’assessore
alla Cultura Laura Ferraris risultano ufficialmente indagati per abuso d’ufficio per le nomine al Teatro Regio.
Sotto la lente degli inquirenti ci sono le pressioni esercitate
in comune durante la procedura
di selezione dei candidati da nominare alla guida del teatro Regio, principale istituzione culturale della città.
La vicenda è iniziata dopo le
dimissioni, nel luglio del 2014,
dell’amministratore dell’ex amministratore del teatro Carlo Fontana. Per rimpiazzarlo il Comune
di Parma aveva aperto una “ricognizione esplorativa”, e Pizzarotti
aveva costituito perfino una commissione ad hoc per la valutazione delle candidature. A gennaio
del 2015 la commissione comunica che la procedura si era chiusa
senza esito per poi affidare, circa una settimana dopo, l’incarico
a due persone che tra l’altro non
avevano nemmeno partecipato al
bando: Anna Maria Meo, nominata direttore generale, e Barbara
Minghetti, responsabile per i progetti speciali.
Una decisione d’imperio da
parte di Pizzarotti che ha sollevato forti polemiche considerato soprattutto il fatto che almeno
sette candidature furono cestinate dalla commissione senza dare
spiegazioni. Da qui la decisione
assunta lo scorso autunno dalla
procura che ha aperto un fascicolo in seguito agli esposti presentati dal senatore parmigiano del
PD Giorgio Pagliari.
I tre mesi di ritardo con cui
Pizzarotti ha informato il direttorio del M5S dell’indagine a suo
carico ha riacceso la guerra per
bande e il regolamento di conti all’interno del movimento con
reciproci scambi di accuse e ha
indotto il padre padrone Beppe
Grillo a pretendere la sospensione dal Movimento.
Insomma, invece di “fare pulizia dentro i palazzi”, il M5S appena ha messo piede dentro la
stanza dei bottoni si è sporcato le mani come tutte le altre cosche parlamentari e in percentuale conta il maggior numero di
indagati in rapporto alle 16 amministrazioni in cui governa.
Dunque altro che “onestà e
CALENDARIO
DELLE MANIFESTAZIONI
E DEGLI SCIOPERI
MAGGIO
locale pubblico - Sciopero personale
date, modalità e orari diversi da città a città
4-22 conTrasporto
Uilm-Uil - Manifestazione nazionale
18 Fiom-Cgil,aFim-Cisl,
Roma lavoratori Agile (ex Eutelia)
Uilp Uil - manifestazione nazionale
19 Spi Cgil, Fnp Cisl epensionati
a Roma
20
Flc-Cgil, Uil-Rua – Ricerca – Sciopero lavoratori Enti
pubblici di ricerca
Flc-Cgil, Cisl-Scuola, Uil-Scuola, Snals-Confsal - Ministero
Istruzione Università Ricerca – Sciopero Personale
Docente, Educativo, Ata e del personale dell’Area V
Dirigente. Comparti Università, Ricerca e Afam (Alta
Formazione Artistica e Musicale)
trasparenza”: da Quarto a Gela,
da Alessandria a Ragusa, da Bagheria (PA) a Venaria (TO) fino a
Livorno e Parma il Movimento 5
Stelle sprofonda sempre più nel
fango del malgoverno insieme a
tutte le altre cosche parlamentari con alla testa il PD del nuovo
duce Renzi.
Ciò conferma che il marcio sistema capitalista e l’elettoralismo
borghese sono esse stesse fonte di corruzione e sono perciò irriformabili.
Perdurando il capitalismo,
come dimostrano la storia e i
fallimenti delle amministrazioni
“arancioni” e pentastellate, è impossibile che i comuni siano governati dal popolo e al servizio
del popolo, perché restano inevitabilmente succubi della volontà
e degli interessi dei grandi capitalisti, locali come nazionali, vincolati alle leggi dello Stato borghese, sottoposti ai governi di livello
superiore ed esecutori locali delle
loro politiche di lacrime e sangue.
Le istituzioni rappresentative borghesi, di cui fanno parte i
consigli comunali, sono le coperture “democratiche” della dittatura borghese e la loro funzione è
quella di carpire il consenso elettorale e il sostegno del popolo, illudendolo che il suo voto ai partiti
che ne fanno parte può incidere
sulle scelte governative e può migliorare le proprie condizioni.
Solo il socialismo può consentirlo attraverso un sistema elettorale che estromette la borghesia
dal potere e dà tutto lo spazio al
proletariato e al popolo.
Grande successo del boicottaggio
dei test Invalsi
occupare le scuole contro le Inaccettabili ritorsioni sugli studenti
Sono state un autentico successo le iniziative per il boicotaggio dei test Invalsi, svoltisi nelle
scuole superiori il 12 maggio. Il
boicottaggio era stato proclamato da tutte le organizzazioni studentesche, assistite dallo sciopero indetto da Cobas, Unicobas e
Gilda.
In diversi istituti di tutta Italia si
sono raggiunti picchi di astensione dalla compilazione delle prove che hanno raggiunto anche il
90%, in generale è stato superato il 30%, in molte scuole anche
il 50%. Boicottaggio quasi totale
al liceo “Darwin” di Palermo, con
il 95%. Le studentesse e gli studenti si sono rifiutati in massa con
assenze strategiche, lasciando in
bianco la prova, scarabocchiandola con frasi ironiche o di protesta e inscenando flash mob. I sindacati di base hanno manifestato
sotto al Miur di viale Trastevere.
Quelli sopra esposti sono numeri che dovrebbero indurre il governo a ripensare questa inutile
concorrenza fra scuole, sempre
meno accettata da studenti e docenti, ma Renzi e Giannini, manco a dirlo, fanno orecchie da mercante e non ritengono nemmeno
che valga la pena commentare il
dato. Anzi, balena anche la possibilità di estendere gli Invalsi alle
prove di maturità.
Ricordiamo che gli Invalsi (sigla che sta per Istituto nazionale per la valutazione del sistema
educativo di istruzione e formazione) sono test teoricamente
anonimi a crocette che avrebbero il compito di valutare la preparazione degli studenti scuola per
scuola. Essi sono una delle peggiori espressioni dell’aziendaliz-
zazione e irregimentazione della
scuola pubblica principalmente
per due motivi. In primo luogo si
tratta di test standardizzati a livello nazionale, quindi non tengono
conto delle differenze fra le varie scuole e nemmeno della provenienza sociale e culturale degli
studenti, discriminando di conseguenza quelli provenienti dalle famiglie più povere e i migranti. In
secondo luogo i risultati degli Invalsi vengono tenuti in considerazione per la “valutazione” degli
istituti, con premi per i “migliori”,
facendo della scuola pubblica
una sorta di catena di montaggio
di nozioni preconfezionate che gli
studenti devono imparare a memoria, senza la minima creatività e indebolendo la stessa libertà
d’insegnamento.
Solo teoricamente anonimi,
dicevamo, perché l’UdS (Unione
degli Studenti) e altre organizzazioni studentesche stanno denunciando inaccettabili ritorsioni
delle autorità scolastiche contro
gli studenti che si sono astenuti
dalla compilazione dei test, mettendo note sul registro di classe
o sospendendo singoli o addirittura interi gruppi, violando palesemente il loro anonimato, per
non parlare del sacrosanto diritto di non prendere parte alle
prove. Contro questa repressione di stampo neofascista le studentesse e gli studenti hanno tutto il diritto di opporsi occupando
le scuole fino al ritiro delle misure
disciplinari nei loro confronti.
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e-mail:
Sede cen 055.5123164
Tel. e fax
Aiutate il PMLI a propagandare
l’astensionismo contro il capitalismo
i suoi governi, istituzioni e partiti
per il socialismo
no muos / il bolscevico 9
N. 21 - 26 maggio 2016
Viva e combattiva manifestazione No Muos a Niscemi
3mila NO al sistema di comunicazione satellitare di
contrada Ulmo e all’imperialismo di Italia, Usa e Ue
Diffuso il volantino del PMLI “Via il Muos, il traditore Crocetta e la base di Sigonella! Spazzare via il governo del nuovo duce Renzi”
Dal corrispondente della
Cellula “Stalin” della
provincia di Catania
Un lungo serpentone No Muos
ha percorso le strade del centro
cittadino di Niscemi (Caltanissetta), nel pomeriggio di domenica
15 maggio. La manifestazione
nazionale No Muos, nonostante
la sentenza del CGA – pronunciatosi lo scorso 6 maggio in merito al ricorso del ministero della
Difesa contro la decisione del Tar
di Palermo del febbraio 2015 che
aveva annullato tutte le autorizzazioni della Regione, imponendo il
blocco dei lavori e che afferma
che il Muos non mette a rischio
la salute dell’uomo e della fauna
che popola la zona – frutto di rilevazioni sugli effetti delle parabole eseguite da “esperti” di regime,
ha visto la partecipazione di vari
comitati antimilitaristi, organizzazioni e associazioni pacifiste, partiti e collettivi politici e studenteschi provenienti da città come
Caltagirone, Caltanissetta, Catania, Messina, Palermo, Ragusa,
Modica, Enna, Piazza Armerina.
Erano presenti altre delegazioni: No inceneritore proveniente
da San Filippo del Mela (Messina), No Tav dalla Val di Susa e
No Frontex. Relativamente pochi
erano i niscemesi.
Circa 3mila manifestanti, con
in testa le combattiva Mamme
No Muos, hanno animato il corteo aperto dallo striscione “Unica sentenza Resistenza”. Altri
striscioni recitavano: “Per il diritto alla salute dei bambini di Niscemi. Per il diritto alla pace dei
bambini in Palestina”, “Difendere
la propria terra per un futuro sen-
za basi di guerra”, “La Sicilia non
è zona di guerra”, “Uncle Sam,
don’t bake people” (Zio Sam, non
cuocere il popolo), “Italia serva
degli Usa”. Molti gli slogan lanciati, tra i quali: “Chiudono le scuole e pure gli ospedali, ci lasciano
soltanto le basi militari!”, “I popoli in rivolta scrivono la storia, No
Muos fino alla vittoria!”, “Yankee
go home!”, “La Sicilia non è zona
di guerra, fuori la Nato dalla nostra terra”.
L’attenzione dei presenti, inoltre, si è spesso concentrata sul
PD, “vero responsabile di queste storture, questa combriccola
asservita ai mercanti di armi, che
sta facendo pagare queste schifezze a Niscemi, alla Sicilia, al
popolo tutto”, come affermato da
un manifestante.
Il PMLI era presente al corteo e ha condiviso la piattaforma
di indizione della manifestazione
nazionale No Muos che, a firma
del Coordinamento regionale dei
comitati No Muos, affermava: “Da
anni il più potente esercito del
mondo, in combutta con lo Stato italiano e con la complicità serva della Regione Siciliana, tenta
di imporre l’ennesima opera militare a un territorio che la respinge in quanto strumento di guerra
e di morte.
Da anni un movimento di attivisti, con la complicità solidale
di un’intera popolazione, si oppone ad un eco-MUOStro che è
elemento chiave di un ampio disegno guerrafondaio. E che comporta rischi concreti per la salute
e per l’ambiente. Come se non
bastasse, il Muos è anche illegale
e abusivo.
Niscemi (Caltanissetta), 15 maggio 2016. La manifestazione nazionale No Muos (foto Il Bolscevico)
Nonostante gli scettici e gli oppositori a parole, questa lotta è riuscita fino ad oggi a bloccare la
messa in funzione del MUOS. Ha
fatto inciampare la Marina USA e
i governi italiano e regionale nella ragnatela di imbrogli che essi
stessi hanno tessuto. Ricordiamo
che il MUOS è sotto sequestro da
oltre un anno. Per questi motivi il
movimento NO MUOS è diventato un esempio di resistenza e incoraggia decine di movimenti in
altre località.
C’è una gran fretta di sbloccare il MUOS, perché - a partire dal
Mediterraneo e dal Medio Oriente - i conflitti per il controllo del-
le risorse del pianeta non possono aspettare. Per il governo USA
e la NATO, per il governo italiano
e l’UE, il MUOS e la guerra hanno la priorità sul benessere delle
popolazioni, sui servizi sociali, sui
diritti e le conquiste dei lavoratori,
destinati ad essere vittime sacrificali della macchina succhia soldi
militarista.
Per questo la mobilitazione
non può e non vuole arrestarsi.
E qualunque sia l’esito dei giudizi legali in corso, al CGA di Palermo o alla Procura di Caltagirone, noi non ci fermeremo. L’unico
giudizio che per il movimento NO
MUOS conta è quello popolare.
L’unico fattore che può costringere l’esercito americano occupante Niscemi e la Sicilia a smobilitare, sarà la mobilitazione popolare
permanente.
La ragione è dalla nostra parte. Presto lo sarà anche la vittoria”.
Le compagne e i compagni
della Cellula “Stalin” della provincia di Catania e dell’Organizzazione di Caltagirone del PMLI
hanno diffuso centinaia di copie
del volantino “Via il Muos, il traditore Crocetta e la base di Sigonella! Spazzare via il governo del
nuovo duce Renzi!” e varie copie de Il Bolscevico. Al megafo-
no hanno più volte affermato che
il Muos fa parte del complessivo
devastante progetto renziano del
massimo profitto capitalista da ottenere sul piano nazionale con
l’imposizione del Jobs Act, l’abolizione dell’articolo 18, lo “Sblocca Italia”, la “Buona scuola”, la
legge ultra maggioritaria Italicum, la controriforma del Senato e sul piano internazionale con
la promozione di sistemi militari
d’aggressione imperialista e rapina ai danni dei popoli (a partire dalla Libia). Per questo il nuovo duce Renzi va tenuto sotto tiro
politico fino a chiudere i conti con
lui, spazzando via il suo governo, insieme a quello del traditore Crocetta, da sempre a favore
del Muos. I marxisti-leninisti siciliani presenti in piazza si sono appellati soprattutto ai giovani affinché questi siano i primi a battersi
contro il Muos, ma anche contro
il precariato e l’emigrazione a cui
molti di essi sono destinati, per il
lavoro, il diritto allo studio, all’abitare, alla sanità, all’acqua pubblica nel Mezzogiorno. La manifestazione si è conclusa in piazza
Vittorio Emanuele – da dove aveva preso il via – dopo gli interventi
di alcuni manifestanti.
Il No al sistema di comunicazione satellitare di contrada Ulmo
proseguirà il prossimo 20 maggio a Caltagirone, in occasione
del processo penale contro alcuni
dei responsabili della costruzione
del MUOS, definita abusiva dal
Tribunale calatino che, dopo la
decisione del Tar di Palermo nel
febbraio del 2015, nell’aprile dello
stesso anno ha imposto il sequestro dell’impianto.
Discorso della presidente provinciale dell’ANPI, Santina Sconza,
alla manifestazione per il 25 Aprile 2016 a Catania
Pubblichiamo in ampissimi
estratti il discorso pronunciato alla manifestazione del 25
Aprile 2016 a Catania da Santina Sconza, presidente provinciale dell’ANPI.
È questa la società che sognavano i combattenti per la Libertà? È
questo il futuro che loro immaginavano, un futuro di guerre di sofferenze, senza solidarietà, senso
di responsabilità e coscienza politica? Quello che sta accadendo
oggi in tutta l’Europa riporta l’orologio della storia in un tempo
dove la civiltà e le pratiche democratiche erano state cancellate.
In Europa, colpita pesantemente
dalla crisi economica, prolificano
movimenti neonazisti e neofascisti che arrivano fin dentro i governi europei. In Italia numerosi sono
i movimenti neofascisti (Casa
Pound, Forza Nuova) che scorrazzano per le piazze con il bene
placido delle Prefetture e delle
Questure. Mille volte l’ANPI ha
protestato affinché le loro manifestazioni fossero proibite in ottemperanza alla Costituzione, la legge Scelba e Mancino. Ancor più
pericolosi sono la Lega e i nuovi fascisti di “Fratelli d’Italia”, ammantati di una veste costituzionale di fatto istigano la popolazione
all’odio razziale e ricordano l’Italia
del 1939 sotto il peso delle leggi razziali. La risposta, alle decine di migliaia di immigrati in fuga
da guerre e disperazione, dei go-
verni europei, che hanno combattuto il nazismo in tutta Europa, è
quella di costruire muri, recinti e
repressione.
Volevano questa Europa milioni e milioni di persone sacrificate
dal nazismo? No! Loro avevano
giurato di combattere per sempre
il nazifascismo e credevano in un
mondo di pace, di libertà e di solidarietà. Il ricordo della lotta di
Liberazione rischia di restare relegato a un passato se non insegna niente a un’Italia e a un’Europa che oggi rischiano di andare
in pezzi per l’incapacità di accogliere migranti e profughi. La lotta contro il nazifascismo dovrebbe servire anche a farci ricordare
che l’Europa la quale oggi respinge i migranti è la stessa Europa
che ha inventato e messo in pratica il genocidio organizzato. Non
è stata la nostra barbarie, è stata
la nostra cultura che ha prodotto
e produce tutto questo.
Bisogna sempre restare in
trincea, i partigiani lo sono stati
nel 1943 e l’ANPI nel ‘53 contro
la legge truffa e nel ‘60 quando i
democristiani decisero di fare un
governo con i fascisti. Oggi come
ieri bisogna vigilare contro chi attenta alla nostra democrazia che
ancor giovane ha bisogno della
protezione e la difesa di tutti i cittadini.
Le modifiche approvate da
questo governo della Costituzione e della legge elettorale Italicum minano fortemente la demo-
crazia. L’equilibrio tra i poteri dello
Stato, l’indipendenza della magistratura, la distinzione tra esecutivo e parlamento, il sistema
proporzionale pur con tutti i difetti, hanno garantito la vita democratica, anche se attraversata da
tensioni e pericoli di ogni genere. Cosa accadrebbe se entrasse veramente in funzione la nuova legge elettorale che fissa un
abnorme premio di maggioranza,
consentendo al partito vincitore
di nominare di fatto due terzi del
Parlamento, con una maggioranza schiacciante sotto il suo com-
pleto controllo, conquistata col
ballottaggio, pur rappresentando
meno di un terzo degli elettori?
Sarà la dittatura di una minoranza resa con l’inganno maggioranza. Ci avviamo a un regime monocratico illiberale e alla fine della
repubblica parlamentare.
Chi garantisce a Renzi che
alle prossime elezioni governerà
lui? Se fosse Salvini o la Meloni
il nuovo presidente del consiglio
faremo un ritorno al passato, al
ventennio fascista, di cui oggi 25
Aprile ricordiamo la caduta.
Tutto questo mentre il mondo
Catania. Santina Sconza, al centro accanto al Medagliere, apre il corteo
del 25 Aprile (foto Il Bolscevico)
del lavoro è zittito, dopo l’abolizione della protezione fondamentale dello Statuto dei lavoratori e
in particolare dell’articolo 18. I padroni hanno già alzato la voce, si
potrà licenziare liberamente anche senza giusta causa, la paura
di perdere il lavoro rende il ricatto
assoluto e il lavoratore sottomettibile a qualunque sopruso. Ecco
l’idea di giustizia sociale che alberga nel governo a guida Renzi.
Non è un caso che siano stati attaccati i due istituti principali
del nostro ordinamento democratico, la Costituzione e lo Statuto
dei lavoratori, essi rappresentano
l’essenza stessa della Repubblica democratica e antifascista, su
cui si è costruita l’identità che si
vuole cancellare. È questo il vero
scopo politico di Renzi e di chi lo
manovra.
È ora indispensabile dare una
risposta chiara e netta al tentativo
di eliminare ogni forma di opposizione, con la difesa della nostra
Costituzione vilipesa, un impegno
pieno e forte nella campagna referendaria per cancellare l’odioso
Italicum. Tutte le forze progressiste e costituzionaliste, indipendentemente dalla loro precedente collocazione politica, devono
unirsi, in questa battaglia di civiltà
per salvare il nostro sistema democratico da una svolta autoritaria.
C’è un giorno dimenticato dalla storia. Un giorno di 70 anni fa
in cui le donne italiane per la pri-
ma volta si misero in fila davanti ai seggi in una nazione ancora
semidistrutta dalla guerra. Quel
giorno non fu, come in tanti credono, il 2 giugno 1946, quando si
votò per scegliere tra monarchia
e repubblica ed eleggere l’Assemblea costituente. Quasi tre
mesi prima, il 10 marzo, si tenne
infatti la prima tornata di elezioni amministrative che avrebbero
portato ai primi sindaci eletti dopo
il Ventennio.
In quei giorni 89% delle donne andarono a votare, oggi le
percentuali di voto difficilmente
superano il 50%, questa differenza di percentuale è un indice del
logoramento della democrazia,
un logoramento voluto e caldeggiato dalla politica, i manovratori
non vanno disturbati, in un paese di gente distratta ormai lontana dalla speranza di cambiare
il futuro bisogna dare certezze,
come avevano quelle donne che
nel lontano 1946 si precipitarono
alle urne per dare a tutti un mondo migliore.
Oggi in questa piazza, come
tutte quelle italiane, siamo presenti partiti, associazioni, sindacati uniti nei valori della Resistenza, iniziamo un cammino
collettivo per difendere la democrazia e chiedere l’attuazione della Costituzione.
Ora e sempre Resistenza.
Santina Sconza
10 il bolscevico / no inceneritore
N. 21 - 26 maggio 2016
20 mila in una combattiva e colorata manifestazione a carattere nazionale
Firenze dice NO
a tutti gli inceneritori
Una chiara risposta contro il progetto di “Case Passerini”. Attenzione verso la delegazione provinciale del PMLI, punto rosso del corteo
Avanti contro gli inceneritori e verso “rifiuti zero”
Sabato 14 maggio il Parco
San Donato di Novoli a Firenze
è stato il luogo di partenza della
manifestazione a carattere nazionale “Fermiamo gli inceneritori”,
promossa in difesa del territorio
fiorentino e della salute pubblica
dalle “Mamme No inceneritore”,
dall’Assemblea della Piana contro le Nocività e Zero Waste Italy.
Già al concentramento c’erano tantissimi manifestanti fra cui
molte famiglie con bambini più o
meno piccoli, oltre a numerosissime associazioni, movimenti,
realtà politiche cittadine e collettivi studenteschi (fra i quali quello di Agraria) e gli studenti medi
del Galileo Galilei, che facevano
presagire una ampia partecipazione. Presenti il Movimento per
la Casa e i Centri sociali fiorentini. Praticamente tutti i partecipan-
tori fra i quali quello di Acerra, e di
tanti altri organismi in lotta contro
la devastazione ambientale come
i No Tav e i No Muos.
Un altro tema molto sentito nel corteo è stata l’opposizione all’ampliamento dell’aeroporto di Peretola e alla nuova pista
d’atterraggio; tantissimi in questo
senso i cartelli e gli striscioni per
un progetto che assieme all’inceneritore, contribuirà in maniera
massiccia all’incremento di inquinamento ambientale ed acustico,
peggiorando di gran lunga fino a
rendere insostenibile la vita degli
abitanti della piana fiorentina.
Un fiume di persone di ogni
età, coscienti e informate, con
tanta voglia di manifestare e con
la volontà di concepire la società
– quantomeno sul tema dei rifiuti e del rispetto della salute pub-
Firenze, 14 maggio 2016. I compagni del PMLI tingono di rosso il corteo contro tutti gli inceneritori (foto Il Bolscevico)
ti erano attrezzati con striscioni,
cartelli, palloncini e quant’altro
per mettere in risalto le motivazioni concrete e reali del pericolo dell’inceneritore previsto nella
piana fiorentina a Case Passerini. A contribuire ulteriormente alla
piena riuscita della coraggiosa
iniziativa, le oltre cento adesioni
di comitati nazionali anti inceneri-
blica e dell’ambiente - in una maniera non consumistica e senza
sfruttamento di persone, lavoro e
risorse, ma nell’interesse esclusivo della popolazione, ha dato
vita a un corteo colorato, combattivo e vivace che ha percorso oltre 4 chilometri da Novoli alla
centrale Piazza della Repubblica. Esso è stato capace di rilan-
Firenze, 14 maggio 2016. Lo striscione di apertura della manifestazione nazionale contro tutti gli inceneritori, con la parola d’ordine in fiorentino “Non ve lo facciamo fare”
ciare con forza il NO agli inceneritori ma anche di proporre con la
stessa determinazione un chiaro
SI alle alternative esistenti, verso un futuro a “Rifiuti Zero”. Il movimento No inceneritori fiorentino voleva dar vita ad una prova
di forza contro le sorde amministrazioni locali per lo più a guida
PD e contro un governo che con
il recente articolo 35 dello Sblocca Italia continua a sdoganare i
costosi, antieconomici e dannosissimi impianti di incenerimento; possiamo dire senza ombra di
dubbio che questo esame è stato
superato in maniera netta. I manifestanti non hanno risparmiato
attacchi a Renzi, al governatore
toscano Rossi e anche al sindaco di Firenze Nardella più volte citati con slogan ironici, ma anche
piuttosto “pesanti”, che testimoniano la crescente distanza esistente fra la popolazione e i propri governanti. Decine di volte è
stato intonato “Chi non salta Renzi è” e altrettante un promettente “Renzi attento, fischia ancora il
vento”. Cantate inoltre le canzoni della Resistenza “Bella Ciao”
e “Fischia il vento” a sottolineare come la lotta per la tutela della
salute pubblica e dell’ambiente,
rappresentano oggi, alcune nuove forme di “Resistenza” al malgoverno e alla speculazione.
I partiti politici, su esplicite disposizioni degli organizzatori,
erano impossibilitati ad esporre bandiere; tra gli altri striscioni
quelli del PRC e di Sinistra Italiana. Nessuna traccia visibile del
Movimento 5 Stelle. Ben rappresentativa la delegazione provinciale del PMLI. Le compagne e i
compagni fiorentini e provenienti
dalla vicina Valdisieve e dal Mugello, hanno rappresentato il vero
e proprio punto rosso del corteo, indossando le magliette con
il simbolo del Partito e portando
fra le masse un cartello con le parole d’ordine che chiamavano in
causa Renzi e il presidente della Regione Toscana Rossi autore del piano regionale di gestione dei rifiuti. Un forte e rosso NO
agli inceneritori dannosi per la salute, per l’ambiente ed antieconomici, assieme all’invito a battersi
per un efficiente sistema di smal-
timento dei rifiuti solidi urbani e
industriali, per estendere e efficientare la raccolta differenziata
“Porta a porta”, il riciclaggio e il
riutilizzo dei materiali, per andare verso la strategia “Rifiuti Zero”.
La delegazione marxista-leninista
ha attirato l’attenzione dei parte-
Firenze, 14 maggio 2016. Il cartello del PMLI alla manifestazione
nazionale contro tutti gli inceneritori, sulla destra, il compagno
Enrico Chiavacci che porta sulle
spalle la piccola manifestante
Stella (foto Il Bolscevico)
cipanti ed è stata oggetto di centinaia di fotografie e riprese filmate. Da una residenza universitaria
in via Maragliano alcuni studenti li hanno applauditi e tanti altri
li hanno salutati a pugno chiuso;
turisti cinesi, sono “impazziti” alla
vista di Mao nel nostro simbolo; ai
nostri compagni sono state chieste magliette del Partito. A circa
metà corteo sono giunti i ringraziamenti del Segretario generale,
compagno Giovanni Scuderi, che
sono stati molto apprezzati.
Il corteo, dopo un lungo percorso, è terminato in piazza della
Repubblica dove alcuni interventi
hanno poi lasciato spazio alla musica dal vivo. Una risposta chiara
e determinata anche al PD locale
che, tramite il Segretario metropolitano Fabio Incatasciato, aveva pochi giorni prima dichiarato
che la guerra al termovalorizzatore (cioè inceneritore) è demagogica e addirittura reazionaria,
e che sarebbe tornata prepotentemente attuale poiché a Sesto
Fiorentino, comune del previsto
impianto, si vota per le comunali. Il PD si è affannato per far sapere anche che l’opera è già progettata e deliberata e che si farà
ad ogni costo; addirittura gli amici di Renzi sottolineano che inceneritori e differenziazione dei rifiuti non sono in conflitto. A loro
dire chi non vuole l’inceneritore
vuole le discariche, dimenticando ad esempio che il 30 per cento
del tonnellaggio incenerito rimane cenere e dev’essere stoccato
quale rifiuto pericoloso. Un tentativo mal riuscito per sfiduciare la
partecipazione alla manifestazione, che dimostra invece quanto la
popolazione sia più informata dei
politici borghesi e come essi abbiano il solo compito di eseguire
i voleri di chi sta sopra di loro, ad
ogni costo.
Avanti dunque con la mobilitazione contro gli inceneritori e verso “Rifiuti Zero”!
Comunicato di Mamme NO Inceneritore, Assemblea Per la Piana Contro le Nocività e Zero Waste Italy
20.000 in piazza a Firenze per dire alle amministrazioni
locali: esiste una via di uscita all’incenerimento
Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo in ampi estratti.
Sabato 14 maggio si è svolta
la manifestazione contro tutti gli
inceneritori e per difendere salute
e territorio, promossa da Mamme
NO Inceneritore, Assemblea per
la piana contro le nocività e Zero
Waste Italy e patrocinata da ISDE
(l’Associazione Italiana dei Medici
per l’Ambiente).
Il corteo è stato colorato e festoso, come nelle premesse degli organizzatori, ma soprattutto
molto partecipato. Dal Parco San
Donato di Novoli a Piazza della
Repubblica un fiume quasi ininterrotto di persone, di bambini e
bambine, che raccoglievano un
ampio consenso dei cittadini affacciati alle finestre e ai lati delle
strade.
Molti anche gli aderenti (228),
fra cui associazioni di medici,
gruppi ambientalisti e comitati
di cittadini, lavoratori e studenti.
Presenti anche delegazioni da varie parti d’Italia (alcune centinaia
di persone) in rappresentanza di
comitati che lottano contro gli in-
ceneritori, che hanno testimoniato
con striscioni e interventi la devastazione dei loro territori e portato
la solidarietà a Firenze, divenuta
simbolo della lotta contro l’incenerimento dei rifiuti.
Un corteo di cittadini consapevoli, che hanno partecipato perché hanno capito che questa opera fa male alla salute, come detto
dal palco dai medici ISDE (Associazione di Medici per l’ambiente),
è dannosa per l’ambiente e che
ci sono alternative, come la strategia rifiuti zero (raccolta porta a
porta, tariffazione puntuale, recupero degli scarti, distretto del
riciclo e riprogettazione), che le
istituzioni dovevano prendere in
considerazione e invece non lo
hanno fatto. Un corteo di cittadini
determinati che hanno lanciato un
messaggio chiaro a tutte le istituzioni e messo sotto accusa la logica delle grandi opere inutili e dannose che, insieme all’inceneritore,
vorrebbero realizzare nella piana
fiorentina.
“UNVISIFAFARE” significa che
non sarà consentito a nessuno di
speculare sulla pelle dei cittadini e
di subordinare al profitto di pochi i
basilari diritti alla salute, al territorio ed ai beni comuni, come l’acqua.
A questo punto ci chiediamo:
l’amministrazione di Firenze, della
Regione Toscana e di tutta la città
metropolitana hanno intenzione di
ascoltare i propri cittadini? O fare
finta che nulla sia accaduto?
Abbiamo sollecitato da oltre
un anno un dialogo serio e oggi
ribadiamo la nostra richiesta: vogliamo una sospensione dell’Autorizzazione Unica all’impianto
di incenerimento di Firenze e l’apertura di un confronto tecnico di
valutazione delle alternative, invitando le eccellenze italiane nella
gestione dei rifiuti e i rappresentanti delle amministrazioni che
hanno fatto scelte diverse. Vogliamo verificare le alternative anche
da un punto di vista economico, includendo l’abbandono del progetto dell’inceneritore. Una valutazione oggettiva, non calcolata dalla
ditta che è interessata alla costruzione dell’impianto. La nostra valutazione è che il costo di tornare
indietro e applicare nuove e performanti pratiche nella gestione
dei rifiuti potrebbe costare molto
poco, senza calcolare i risparmi
sui costi sanitari e ambientali che
la revoca comporterebbe. Inoltre la gestione dei rifiuti che proponiamo porta un guadagno alle
amministrazioni che la applicano.
Dal sindaco Nardella, dal ministro per l’Ambiente e da Giannotti di Quadrifoglio, viene invece ribadita proprio in questi giorni
solo un’ostinata volontà di andare avanti - rafforzata dal decreto
Sblocca Italia, varato da Renzi e la richiesta inaccettabile di fare
da “cavie” per monitorare insieme gli effetti dell’inceneritore. Per
questo ci bastano le denunce dei
medici ISDE, molto chiare e documentate: non abbiamo bisogno di
ulteriori esperimenti! Questo non
è una proposta di dialogo serio e
di ascolto della cittadinanza!
Per questo rispediamo al mittente l’invito a partecipare a comitati di sorveglianza post opera. Se vogliono la partecipazione
dei cittadini e dei comitati, che
la si cerchi prima delle scelte e
della costruzione dell’inceneritore. Noi, come ampiamente ribadito, siamo aperti a un confronto
tecnico (previo blocco dei lavori)
Firenze, 14 maggio 2016. Lo striscione delle “Mamme no inceneritore” alla manifestazione contro tutti gli inceneritori (foto Il Bolscevico)
per studiare e valutare tutte le alternative e gli effetti su salute e
ambiente di ogni singola scelta.
L’opera che vogliono realizzare è
anacronistica, risale a troppi anni
fa e, oggi, persino in paesi come
la Danimarca, che negli anni 70
hanno fatto dell’incenerimento dei
rifiuti un business, oggi si trovano
a dover scegliere una via di uscita e di dismissione dei troppi inceneritori presenti sul territorio. Così
come in altri paesi del Nord Europa si acquistano i rifiuti di altri stati perché un inceneritore, quando
costruito, deve rimanere acceso:
se non brucia è antieconomico.
In
20.000
chiediamo:
perché si continua con
un progetto che, ormai è
certo, provocherà danni irreversibili per la salute umana, soprattutto dei bambini, e degli animali?
I promotori, forti del consenso popolare, proseguono la loro campagna di informazione e coinvolgimento dei cittadini e di lotta per
fermare la costruzione dell’inceneritore! Bloccare il progetto di
Case Passerini è un passaggio
essenziale per fermare tutti gli altri inceneritori, per praticare le alternative ed usare le risorse per le
reali necessità delle popolazioni e
un diverso assetto del territorio.
Mamme NO Inceneritore,
Assemblea Per la Piana Contro
le Nocività e Zero Waste Italy
17 maggio 2016
elezioni comunali del 5 giugno / il bolscevico 11
N. 21 - 26 maggio 2016
Alle elezioni comunali di Milano del 5 giugno
Non votare i partiti borghesi al servizio dei capitalisti.
Astieniti contro il capitalismo e per il socialismo
Documento della Cellula “Mao Zedong” di Milano del PMLI
Il 5 giugno le elettrici e gli elettori di Milano saranno chiamati
alle urne per l’elezione diretta del
sindaco, del consiglio comunale e
dei consigli circoscrizionali.
Ancora una volta noi marxisti-leninisti milanesi invitiamo il
proletariato, le masse popolari e
i giovani a delegittimare le istituzioni rappresentative borghesi
impugnando l’astensionismo (disertando le urne, annullando la
scheda o lasciandola in bianco).
Le istituzioni borghesi cittadine
hanno dilapidato le risorse economiche e sociali di questa città per
soddisfare unicamente le esigenze affaristiche delle lobby e delle
consorterie del grande capitale finanziario milanese, nazionale ed
europeo. L’astensionismo è l’arma vincente, sul piano elettorale, per dare forza all’unico Partito
che vuole strappare Milano al capitalismo, allo sfruttamento dei lavoratori, al supersfruttamento dei
precari, al crescente degrado dei
quartieri popolari e delle periferie
urbane, alla dilagante speculazione edilizia, all’impoverimento
di massa, al caro-casa e al caroaffitti, alla discriminazione razzista e schiavista verso i migranti,
all’emarginazione degli anziani,
al degrado giovanile e in definitiva alle rapaci grinfie delle bande
di destra e di “sinistra” della borghesia, interessate unicamente ad accrescere il loro capitale
a scapito della maggioranza dei
milanesi checché ne dicano i loro
referenti politici interessati unicamente ad attrarre voti per sé utilizzando senza scrupoli l’inganno,
la demagogia e la menzogna.
La storia e le condizioni attuali di Milano, capitale economicofinanziaria del capitalismo italiano, dimostrano in modo lampante
che la borghesia, i suoi partiti (fra
cui anche quelli falsi comunisti) e
le sue istituzioni non sono in grado di migliorare la situazione in
cui versa la popolazione. Solo la
lotta del Partito marxista-leninista
italiano, del proletariato, dei lavoratori a tempo indeterminato e
precari, dei disoccupati, dei pensionati e degli studenti può migliorare le condizioni di vita e di
lavoro delle masse milanesi. Solo
sotto la direzione di tale Partito il
proletariato potrà finalmente abbattere il capitalismo e conquistare il potere politico, che è la madre di tutte le questioni, per l’Italia
unita, rossa e socialista. E così ribaltare l’attuale infelice situazione per dare a Milano, come alle
altre città del Paese, un volto veramente democratico e mutare
radicalmente le condizioni economiche e politiche delle larghe
masse lavoratrici e popolari affinché regnino benessere e giustizia
sociale.
Bilancio
dell’amministrazione
“arancione” Pisapia
Dopo cinque anni di amministrazione la giunta “arancione” guidata dal neopodestà di
SEL Giuliano Pisapia - ben lungi
dall’attuare il suo fantasmagorico
programma elettorale con cui vinse le elezioni del 2011 – tutt’altro
ha fatto che “cambiare il vento”
neoliberista della sua predecessora berlusconiana Letizia Moratti, distinguendosi da questa
solo per il fatto di aver sbloccato i
preparativi per l’EXPO facendosi
portavoce degli interessi di tutte
le correnti della borghesia, nella
spartizione dei lucrosi affari apertisi con “l’occasione d’oro” dell’Esposizione universale.
Pisapia ha concretizzato innanzitutto lo speculativo progetto
EXPO, cominciato ai tempi della
Moratti con lo scandaloso acquisto, da privati, di un’area agricola
pagata come edificabile. Secondo alcune stime i terreni valevano 20 milioni di euro, ma Arexpo,
società controllata da Regione e
Comune, li ha comprati per 160
milioni di euro. Un’operazione
a tutto vantaggio dei palazzinari e di Milano Fiera. La gestione
dell’evento è stata lasciata direttamente nelle mani del capitalismo finanziario, immobiliare,
industriale e commerciale e la
giunta Pisapia ne ha facilitato in
ogni modo i famelici interessi in
concerto con la giunta regionale del governatore fascioleghista
Roberto Maroni. Per contrastare
tali interessi (senza però riuscire
a fermarli) sono intervenuti alcuni
magistrati, come Alfredo Robledo
(poi trasferito a Torino a seguito
della sua denuncia al CSM per le
immotivate revoche nelle assegnazioni delle indagini da parte
del procuratore Bruti Liberati) con
l’arresto di svariati politici e burocrati locali del regime neofascista
(per lo stesso Maroni è stato chiesto il rinvio a giudizio), oltre a imprenditori che avevano pagato le
tangenti (tra cui spicca il nome di
Maltauro), dirigenti di EXPO di altissimo livello come Angelo Paris,
all’epoca direttore pianificazioni e
acquisti e general manager constructions di EXPO 2015, dell’ingegnere Antonio Acerbo, respon-
sabile unico del Padiglione Italia,
sino ad arrivare alla bipartisan
cupola a delinquere degli appalti
dei faccendieri Frigerio (FI), Greganti (PD), Grillo (FI) e Cattozzo
(UDC).
Per Pisapia EXPO doveva essere una “straordinaria opportunità” data ai giovani per arricchire
il curriculum e al rilancio dell’occupazione, ma nei fatti, a fronte
di un fabbisogno di circa 20.000
lavoratori, sono stati sfruttati
18.500 volontari, rigorosamente
non retribuiti. Gli altri 1.500 lavoratori sono stati impiegati in qualità di apprendisti o con contratti
a tempo determinato. Tutti questi
lavoratori sono stati alla completa mercé della borghesia milanese e nazionale senza che alla fine
dell’EXPO venisse garantito loro
il lavoro stabile.
Altro aspetto caratteristico
dell’amministrazione “arancione”
è il rapporto con i lavoratori comunali i quali, visti i tagli e le leggi del governo centrale, sono stati ridotti drasticamente e, a causa
delle mancate assunzioni, hanno
un’età complessiva molto elevata. La situazione remunerativa e
di qualità del lavoro è molto peggiorata e il rapporto con tutte le
rappresentanze sindacali dei lavoratori è stato tale che, per la
prima volta nella storia del comune di Milano, tutti i lavoratori
hanno fatto almeno un giorno di
sciopero. Per avere un’idea della situazione basti pensare che
il rapporto tra spese per il personale e la spesa corrente è passato dal 37% del 2011 al 24% del
2013 al 20,5% del 2015. Sempre
per quanto riguarda il personale è
da rilevare come tutto il lavoro del
Forno Crematorio sia stato esternalizzato, nonostante che il consiglio comunale avesse votato un
ordine del giorno in cui si chiedeva di mantenerlo in affidamento al
personale del comune. A smentire clamorosamente la roboante
promessa elettorale della completa stabilizzazione dei precari
comunali – promessa che aveva
mobilitato gran parte di questi ultimi a partecipare gratuitamente
alla sua campagna elettorale - la
loro situazione si è solo aggravata con più lunghi periodi di disoccupazione e per alcuni di loro col
passaggio in forme peggiori di
precarietà nelle aziende private
alle quali sono stati esternalizzati
specifici servizi come, di recente,
il servizio strategico della riscossione tributi, mentre si continuano a sperperare soldi pubblici per
consulenze, incarichi dirigenziali
Fautori
del
socialismo!
Create le istituzioni rappresentative delle masse,
ossia le Assemblee popolari e i Comitati popolari
basati sulla democrazia diretta,
per combattere i governi borghesi,
per difendere gli interessi delle masse
e lottare contro il capitalismo,
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e collaborazioni “personalistiche”
(cioè date ad amici senza concorso) che sono moltissime.
Pisapia oltre a procedere col
progetto EXPO, ha scelto di avviare la linea 4 della Metropolitana, con lo stesso sistema utilizzato dalla Moratti, ossia una società
mista privati/comune in cui di fatto i privati avranno solo i vantaggi, mentre il comune si accollerà
gli eventuali debiti. Questa “grande opera” da 1,8 miliardi di euro
indebiterà ulteriormente il comune che si impegna a spendere tra
gli 80 e i 100 milioni l’anno per i
regionale che le ha in gestione)
che devono essere ristrutturate.
E inoltre nelle periferie la giunta
Pisapia non ha costruito nessun
nuovo alloggio. L’amministrazione Pisapia ha fatto in soli cinque
anni più sgomberi di case, di centri sociali e di campi Rom che in
diciotto anni le giunte della destra
neofascista di Formentini, Albertini e Moratti.
Persino sul tema dell’antifascismo il vento non è cambiato.
Se pubblicamente ha dichiarato una formale contrarietà verso
movimenti nazifascisti come Ca-
stratura, con la condanna della
Maltauro è riuscita a bloccare il
progetto. Stesso discorso per il
Comitato che lotta per preservare
la zona verde della Goccia in Bovisa, per coloro che si mobilitano
per preservare i Giardini al Monte Stella, o per il Comitato Navigli.
La realtà è che dopo cinque
anni di giunta arancione i milanesi si ritrovano con una città più
povera, più inquinata e cementificata, più sporca e più tartassata.
Tartassata nel senso che buona parte della giornata del milanese è dedicata a pagare le tas-
Milano. Le bandiere del PMLI sventolano in piazza Duomo alla maninfestazione per lo sciopero generale della
Fiom del 14 novembre 2014 (foto Il Bolscevico)
prossimi 22-25 anni (non per l’esercizio della linea, ma per pagare mutui e interessi) a fronte dei
500 milioni che metteranno i privati e contando su 172 milioni
che il governo si era impegnato
a dare per un’opera che doveva
essere pronta per l’EXPO. Dove
verranno presi tutti questi soldi,
considerando che c’è da rispettare il famigerato Patto di stabilità?
Si prospetta una stagione di tagli selvaggi ai servizi pubblici che
verrà attuata dalla giunta entrante. È inoltre da sottolineare che la
decisione di realizzare la M4 non
è passata attraverso il Consiglio
comunale, ma con decisione della giunta, attraverso l’ormai consolidata pratica del regime neofascista che accentra i poteri
nell’esecutivo il quale decide d’arbitrio sulle scelte ritenute “strategiche” per i magnati delle banche
e del cemento.
Si sono privilegiate, insomma,
le grandi opere (EXPO e M4) a
scapito di opere di restauro, manutenzione e miglioramento delle
case popolari e di riqualificazione
dei quartieri periferici e, in generale, delle politiche sociali. La decisione del comune di dare a Metropolitana Milanese SpA (MM) la
gestione delle proprie (29.000)
case popolari che prima erano
malgestite da ALER costituisce
solo un passaggio di consegne
da un’azienda regionale ad una
partecipata del comune. MM continua la politica dissennata degli
sgomberi, secondo quella modalità tipicamente neofascista di
cercare di risolvere un problema
sociale con provvedimenti di ordine pubblico. Si sgombera mentre prosegue lo scandalo di ben
9.500 unità residenziali (3.000
comunali e 6.500 di competenza
dell’Aler, l’indebitatissima società
saPound, non si può dimenticare
che ogni anno la Milano antifascista viene offesa con la mobilitazione fascista del 29 aprile in cui
si commemora la morte del missino Sergio Ramelli a opera di militanti di “Avanguardia operaia” nel
1975. Ogni anno questo è un appuntamento in cui i movimenti antifascisti milanesi si ricompattano
per osteggiare tali celebrazioni,
ma nel 2014 Giuliano Pisapia decide di partecipare all’evento (ed
è la prima volta per un sindaco di
Milano, neanche la Moratti aveva
osato tanto), accompagnato da
una folta pattuglia del PD. L’ottica è quella che “occorra arrivare
a una pacificazione”. Ma è difficile
pensare di potersi pacificare con
i fascisti, mentre appare evidente l’adesione al progetto revisionista iniziato da Luciano Violante a
metà anni ’90 con l’equiparazione
tra partigiani e repubblichini. La
ciliegina sulla torta è la decisione
di iscrivere il nome di Franco Servello (ex-MSI) al Famedio del Cimitero Monumentale.
Nella sua “svolta arancione”
promessa in campagna elettorale Pisapia includeva la partecipazione popolare nel prendere le decisioni inerenti la vivibilità
dei quartieri. Ma nei fatti la giunta
arancione non ha fatto altro che
opporsi alle giuste rivendicazioni avanzate dai vari Comitati sorti
in difesa dell’ambiente e della vivibilità dei quartieri. Per due anni
i Comitati contrari alla famigerata Via d’Acqua che doveva attraversare alcuni parchi cittadini, si
sono visti trattare come dei sovversivi, ai quali la giunta ha ripetuto che era impossibile cambiare il progetto in quanto deciso dal
Comitato internazionale di Expo,
a Parigi, e che quindi non si potesse fare nulla. Solo la magi-
se, gabelle e sanzioni con cui
Pisapia svuota quotidianamente
le sue tasche: addizionali applicate sempre con l’aliquota massima, ambulanti ed esercizi commerciali che utilizzano il suolo
pubblico massacrati, ticket d’ingresso per l’auto in centro (la famosa “area C”) persino per i residenti, strisce blu per il parcheggio
a pagamento anche nell’estrema
periferia, record astronomico di
multe con l’autovelox. La voracità fiscale della giunta “arancione”
si giustifica nel voler far pagare
già da subito alle masse lavoratrici e popolari le spese e i debiti di
EXPO. Lo dimostra l’impennata
che dai 631 milioni annui di euro
di tasse comunali dell’era Moratti si è saliti ai 1.300 milioni attuali,
cioè più del doppio.
Dalle imposte sugli immobili
c’è stato più di un raddoppio degli
incassi per l’erario comunale passando dai 311 milioni ai 716 milioni di euro attuali; da quelle sui
rifiuti si è passati dai 195 milioni
ai 306 milioni di euro; da quelle
per l’occupazione di suolo pubblico si è passati dai 29 milioni ai 62
milioni di euro. Pisapia ha inoltre
introdotto l’addizionale Irpef, che
ha spremuto ulteriori 180,5 milioni di euro. L’insediamento della
giunta “arancione” ha visto il rincaro del biglietto dei mezzi pubblici, passato in un batter di ciglia
da 1 a 1,5 euro, primo esempio in
Italia di aumento del titolo di viaggio del 50 per cento in un colpo
solo. Quindi il surreale capitolo
delle contravvenzioni inflitte agli
autoveicoli: a Milano viene staccata una multa ogni 9 secondi, e
solo nei primi nove mesi del 2015
si sono accumulati verbali d’infrazione per la stratosferica cifra di
SEGUE IN 12ª
➫
12 il bolscevico / elezioni comunali del 5 giugno
➫ DALLA 11ª
380 milioni di euro. L’ultimo dato
disponibile relativo al numero
delle contravvenzioni riguarda il
2014 e indica un totale di 3,4 milioni di multe, quasi tre a testa per
ogni residente milanese. Di queste multe 2,4 milioni sono state
comminate tramite telecamere
che vengono posizionate in punti strategici di percorsi a senso
unico, nei quali basta una semplice svista di un cartello di divieto per incapparci e per uscirne si
è costretti a percorrere corsie interdette ai veicoli privati, dove le
telecamere non perdonano. Con
queste trappole le multe sono aumentate di un milione nel giro di
un solo anno, da 2,4 a 3,4 milioni.
Il candidato Sala
La maggioranza della borghesia meneghina e nazionale sembra già avere le idee chiare su chi
dovrà ricoprire la carica di neopodestà: il candidato del PD Giuseppe Sala. Già da oggi è evidente che i “poteri forti” del capitale
utilizzeranno i mezzi economici
e mediatici di cui dispongono per
garantire la vittoria al loro favorito.
Già direttore generale del comune di Milano dal gennaio 2009
al giugno 2010 sotto la giunta della destra del regime neofascista,
guidata dalla neopodestà Letizia
Moratti, dove ha orientato gli investimenti pubblici e i piani urbanistici milanesi in funzione della
speculazione edilizia legata ad
EXPO, Giuseppe Sala ha dato
continuità a quegli stessi famelici interessi diventando rappresentante del comune di Milano
nel consiglio di amministrazione di EXPO 2015 S.p.A., l’azienda fondata con “generosi” stanziamenti pubblici, al completo
servizio di interessi privati incaricata della realizzazione, organizzazione e gestione dell’Esposizione Universale. Di essa Sala
è stato nominato amministratore delegato dal giugno 2010. Il
6 maggio 2013 l’allora presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, lo ha nominato commissario unico delegato del governo
per l’EXPO con uno stipendio di
circa 270mila euro annui, più la
parte variabile, divenendo il più
pagato dirigente pubblico d’Italia. Il 29 ottobre 2015 è entrato
a far parte del Cda di Cassa Depositi e Prestiti per meglio dirottare fondi pubblici verso gli interessi privati che ruotano attorno
ad EXPO. In relazione al suo incarico di amministratore delegato
di EXPO 2015, Sala è stato criticato per via dei numerosi appalti
che sono stati aggiudicati, durante la sua gestione, in modo illegittimo. Il Comitato Antimafia di
Milano infatti ha denunciato nella sua sesta relazione semestrale due affidamenti diretti, da parte
della società EXPO, per lo svolgimento di attività, in relazione alle
Linee Guida Antimafia per protocollo di legalità, per un totale di
741.500 euro, denunciando pratiche opache e nessuna risposta
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precisa in merito ai chiarimenti richiesti dal Comitato. I conti di
EXPO 2015 non sono stati ancora chiusi, ma, secondo una stima
riportata dal Fatto Quotidiano, ci
sarebbe un buco che oscilla tra i
400 e i 500 milioni di euro. Sala,
del resto, sarebbe un neopodestà
perfetto per la maggior parte della grande borghesia italiana dato
che è stato lui a gestire gli appalti dell’Esposizione Universale facendo fare grossi affari ai grandi
magnati del capitale finanziario,
immobiliare e industriale.
Ha avuto a che fare con Legacoop tramite la CMC di Ravenna, vincitrice di appalti importanti
in EXPO, ma Sala ha consolidato
pure un rapporto, già collaudato
ai tempi della Moratti, con la lobby politico-affaristica cattolica di
Comunione e Liberazione (della
quale è socio fondatore Fiorenzo
Tagliabue che con la sua società
di comunicazione guida le strategie elettorali di Sala) garantendo
appalti pubblici ad aziende associate alla Compagnia delle Opere
di Giorgio Vittadini.
Sala piace anche alla finanza, alle banche, agli ultimi salotti rimasti della borghesia milanese, alle grandi aziende statali e a
quelle private rimaste sul territorio.
Piace in fondo anche a Silvio
Berlusconi, che lo apprezza sin
da quando il fidato Bruno Ermolli lo portò da Telecom a Palazzo Marino sotto l’ultima giunta di
“centro-destra” in città.
Sala può contare, oltre che
sull’appoggio di tutto il PD, anche
sul sostegno dell’IDV e del neopodestà uscente Pisapia con il
suo comitato elettorale “arancione” di cui fanno parte SEL e i Verdi che presentano la lista “Sinistra
per Milano”.
Inoltre durante le primarie
sono emersi nuovi supporter eccellenti come il plurinquisito e
condannato, intrallazzatore della cosiddetta P3, Denis Verdini; e
come anche il “Centro Democratico” dell’ex assessore al bilancio
DC Bruno Tabacci notoriamente
legato all’Opus Dei tramite Giuseppe Garofalo (già condannato
a tre anni di reclusione ai tempi
di tangentopoli per finanziamento
illecito ai partiti quand’era presidente di Montedison, e oggi presidente della holding di partecipazioni industriali “Alerion”) ed
Ettore Gotti Tedeschi (già coinvolto, assieme agli alti vertici dello IOR che presiedeva, in un’indagine della Procura di Roma per
supposta violazione delle norme
antiriciclaggio), ambedue dichiarati sostenitori di Sala.
La candidatura a neopodestà
di Milano dell’amministratore delegato di EXPO è la congiuntura
perfetta, bipartisan, di un mondo
economico e politico che si è radunato sotto l’Esposizione Universale e che adesso trova la sua
quadratura del cerchio su Palazzo Marino.
Il candidato Parisi
Qualora però Sala non ottenesse il consenso elettorale ne-
cessario, l’alternativa sarà comunque quella di un garante dei
medesimi sopraccitati interessi:
Stefano Parisi, candidato neopodestà direttamente da Berlusconi
e Salvini per il “centro-destra” del
regime neofascista, probabilmente su indicazione degli stessi “poteri forti” del capitale finanziario
sostenitori di Sala.
Già a capo, tra il 1984 e il
1988, della segreteria tecnica
del ministero del Lavoro del governo Craxi - ai tempi del decreto neofascista che tagliò 4 punti
percentuale della scala mobile –
Parisi servì per i due anni successivi la vicepresidenza del Consiglio dei ministri durante il governo
De Mita, per poi continuare la sua
carriera craxiana a capo della segreteria tecnica di Gianni De Michelis presso il ministero degli
Esteri.
Con l’avvento della seconda
repubblica Parisi fu a capo del dipartimento per gli Affari economici
della presidenza del Consiglio dei
ministri, prima con Giuliano Amato e poi con Carlo Azeglio Ciampi. Nel 1997 si trasferì a Milano
per divenire Segretario comunale (City Manager) del neopodestà Gabriele Albertini, quando la
sua giunta confindustrial-fascista
di “centro-destra” approvò il “patto per Milano” sulla flessibilità che
ruppe i rapporti del comune con
la CGIL milanese, perché prevedeva di introdurre contratti a termine e retribuzioni ridotte in deroga ai contratti nazionali.
Nel 2000 Parisi divenne direttore generale di Confindustria
durante la presidenza di Antonio
D’Amato che, appoggiato dal secondo governo Berlusconi, cominciò a parlare dell’abolizione
dell’articolo 18. Nel 2004 troviamo Parisi amministratore delegato di Fastweb, coinvolto nello
scandalo Fastweb-Telecom sulle
finte fatturazioni.
Come si vede i due principali
candidati neopodestà sono degli
sperimentati ed esperti servitori
degli interessi generali del capitale monopolistico, fautori delle
politiche economiche e sociali del
regime neofascista e nemici giurati dei lavoratori e dei loro diritti.
Il candidato Rizzo
Per dare un’alternativa all’elettorato di sinistra ancora sotto
l’influenza dell’elettoralismo che,
dopo le primarie del PD, non andrebbe mai a votare per il manager EXPO (optando così per l’astensionismo, se non in parte
trattenuto nell’elettoralismo dal
M5S), il presidente del consiglio
comunale uscente Basilio Rizzo
ha presentato la sua candidatura
a sindaco.
Ex sessantottino, ex “Avanguardia Operaia”, Rizzo entra in
consiglio comunale nel 1983 con
DP (partito trotzkista degli ex “extraparlamentari” convertitisi alla
partecipazione e legittimazione
delle istituzioni rappresentative
borghesi). Nei trent’anni successivi, cambiano i simboli e le sigle (dai Verdi Arcobaleno alla Lista Dario Fo, fino alla Sinistra per
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Pisapia), ma lui resta sempre il
sostenitore del primato dell’opposizione parlamentare pacifista
che esclude la protesta di piazza e la lotta di classe, e che se
c’è si debba concludere istituzionalmente con una sterile mozione
in consiglio comunale, anche se
questa istituzione, nella seconda
repubblica, ha perso ogni potere reale rispetto al potere esecutivo della giunta. Nel 2011 Rizzo
sostiene le illusioni e l’imbroglio
“arancione” del “vento che cambia” del candidato Giuliano Pisapia che diventa neopodestà e per
la prima volta in vita sua non si
trova all’“opposizione” divenendo
presidente del consiglio comunale.
È evidente che la sua candidatura non è finalizzata allo scopo
ufficiale di divenire “primo cittadino” bensì a quello di giustificare
la presentazione della lista “Milano in Comune” che al primo turno elettorale candida a consiglieri
i falsi comunisti della FdS assieme ai candidati dell’Altra Europa
con Tsipras, del partito Umanista,
di Act e di Possibile (di Pippo Civati), che hanno una base elettorale dichiaratamente anti Sala e
No EXPO.
Interrogato da lavoratori e sindacalisti, durante il corteo mattutino del 1° Maggio, sul suo programma elettorale in tema di
lavoro, Basilio Rizzo si è ben
guardato dal parlare del lavoro
stabile rilanciando invece il solito “diritto al reddito” denominandolo “salario sociale”. Ben lungi
dall’ammettere che il Comune ha
i mezzi per creare occupazione
stabile al suo interno, allargando
e riappropriandosi dei suoi servizi pubblici e sociali, Rizzo preferisce favorire le iniziative di imprese private e i loro lucrosi affari,
che sfruttano al massimo la precarietà lavorativa garantita dal
Jobs Act, promettendo per loro
spazi pubblici sottratti a servizi
pubblici per le masse, e perciò
negati a potenziali nuovi lavoratori comunali stabili.
Il candidato Corrado e
altri
Infine, per trattenere in particolare i voti astensionisti il Movimento 5 Stelle (M5S), oltre a
presentare la sua lista di potenziali consiglieri, candida a neopodestà l’avvocato Gianluca Corrado, rampollo dell’omonimo clan
familiare politico-affaristico, prima democristiano e poi forzista,
dell’isola siciliana di Lipari. Il suo
programma elettorale “Una Milano verde, leggera e a misura di
famiglia e di cittadino” riflette proposte del M5S anche se ai fatti tutte le sue promesse sono già
state ripetutamente tradite nei
vari comuni amministrati da giunte pentastellate.
A tentare d’accalappiare voti
per un seggio consiliare, con una
formale candidatura a sindaco,
ci sono anche: l’ex assessore ai
parchi e giardini nella giunta fascioleghista di Marco Formentini,
Luigi Santambrogio, con la lista
di “Alternativa municipale”; il trotzkista Natale Azzaretto con la lista del PCL; il pannelliano Marco
Cappato con la lista dei Radicali; e la consigliera regionale (eletta in una lista civica a sostegno
dell’attuale governatore Roberto
Maroni) Maria Teresa Baldini, con
la lista di “Fuxia people”, la cui
candidatura però è stata esclusa
(così come anche la lista pro-Parisi dei fascisti di FdI) perché presentata su modulistica non aggiornata.
La proposta del PMLI
Quanto abbiamo descritto è a
riprova che perdurando il capitalismo è impossibile che i comuni
siano governati dal popolo e al
servizio del popolo perché restano inevitabilmente succubi della
volontà e degli interessi dei gran-
N. 21 - 26 maggio 2016
di capitalisti, locali come nazionali, vincolati alle leggi dello Stato
borghese, sottoposti ai governi di
livello superiore ed esecutori locali delle loro politiche di lacrime
e sangue.
Le istituzioni rappresentative borghesi vanno quindi smascherate, delegittimate, indebolite, disgregate anche attraverso
l’astensionismo cosciente, anticapitalista, antifascista, antirazzista, antiomofobo. Ma l’astensionismo elettorale non basta, occorre
combatterle ogni giorno unendosi
in un organismo politico di massa. Per questo il PMLI propone
all’elettorato di sinistra, anche a
chi non è astensionista ma vuole il socialismo, di creare in tutte
le città e in tutti i quartieri le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo, ossia le
Assemblee popolari e i Comitati
popolari basati sulla democrazia
diretta e con rappresentanti revocabili in qualsiasi momento dalle
assemblee popolari territoriali.
Lo scopo fondamentale dei
Comitati popolari (che sono a
carattere permanente e costituiscono gli organismi di direzione
politica delle masse fautrici del
socialismo, da non confondersi
con i comitati di lotta o altri tipi di
comitati, come i comitati civici, i
comitati popolari spontanei, ecc.,
in genere a carattere temporaneo
e fondati su questioni particolari e
specifiche) è quello di guidare le
masse, anche se non fanno parte delle Assemblee popolari, nella lotta politica per strappare al
potere centrale e locale opere,
misure e provvedimenti che migliorino le condizioni di vita e che
diano alle masse l’autogestione
dei servizi sanitari e sociali e dei
centri sociali, ricreativi e sportivi
di carattere pubblico.
Il PMLI rilancia inoltre alcune
delle rivendicazioni principali che
muovono la propria azione politica e invita le masse lavoratrici e
popolari milanesi, compresi i migranti, anche se d’accordo solo
con alcune di esse, e indipendentemente dalla loro collocazione
politica e partitica, salvo la pregiudiziale antifascista, a battersi sul terreno della lotta di classe
e di piazza per strappare ai futuri rappresentanti della borghesia
che si insedieranno a Palazzo
Marino una serie di rivendicazioni politiche, economiche e sociali:
Tutelare l’ambiente con la costruzione di parchi pubblici e la limitazione del traffico urbano.
Nuovo Piano Regolatore che
impedisca la speculazione edilizia post EXPO e che dia la priorità urbanistica al risanamento delle periferie urbane e dei quartieri
popolari.
LAVORO
Prevedere presso le scuole
pubbliche, in orari extra scolastici e extra lavorativi, corsi di lingua italiana gratuiti per immigrati adulti.
Organizzare incontri pubblici,
nelle piazze e nei quartieri popolari, per favorire la fraternizzazione e la socializzazione tra le varie
comunità straniere e quella italiana.
L’obbligo del comune di costruire per i nomadi in sosta temporanea, strutture di soggiorno in
muratura attrezzate di servizi, e
per l’assistenza sanitaria, per la
raccolta di rifiuti, e collegate con
i mezzi di trasporto pubblici. Per
gli stanziali l’obbligo di fare piani
di inserimento nella vita sociale,
lavorativa e scolastica nel territorio di competenza.
Varare un concreto piano occupazionale per il territorio comunale, con risorse concrete per il
diritto fondamentale a un lavoro
stabile, a salario intero, a tempo
pieno e sindacalmente tutelato.
Interventi per salvaguardare
le fabbriche a rischio di chiusura,
fino all’espropriazione.
Il comune deve inoltre farsi garante del lavoro stabile, a salario
intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato con la stabilizzazione dei precari (così reintegrando il turn-over e adeguando gli
organici alle necessità dei servizi) e la creazione di nuovi posti
di lavoro stabili tramite la reinternalizzazione dei servizi comunali
attualmente esternalizzati ad appalti privati.
CASE, INFRASTRUTTURE,
PERIFERIE
Rilanciare l’edilizia popolare e
pubblica. Il comune deve requisire le case sfitte da oltre un anno, i
locali dismessi e inutilizzati e i palazzi nelle medesime condizioni
da destinare, dopo i necessari lavori, alle famiglie sfrattate e senza casa.
Il divieto degli sfratti fino a che
non sia offerta un’adeguata abitazione alternativa, specie per gli
anziani e le famiglie a basso reddito.
Il divieto da parte del comune
di rilasciare concessioni edilizie
per insediamenti abitativi in vicinanza di elettrodotti.
TRASPORTI
Forte potenziamento e prolungamento degli orari del trasporto
pubblico di superficie e sottosuolo – tanto a Milano che nell’hinterland - con mezzi non inquinanti, per una rete di linee che si
estendano circolarmente e non
solamente a raggiera, e per tariffe e abbonamenti a costi popolari e unificati su tutta la rete ATM
inclusa nelle province di Milano,
di Lodi e di Monza-Brianza (non
si può sensatamente parlare di
ridurre traffico e inquinamento a
Milano senza partire da questi
presupposti volti a disincentivare
l’utilizzo dell’automezzo privato).
Rifusione della rete di trasporto pubblico in un unico ente
gestore pubblico con la rimunicipalizzazione dell’ATM e lo scioglimento della Spa la cui disastrosa gestione privatizzata ha
peggiorato gravemente il servizio.
Aumentare sulle principali arterie stradali urbane le corsie preferenziali di filobus e tram con,
agli incroci, semafori che ne privilegino il passaggio in modo da
velocizzarne la corsa.
Abolizione del pedaggio automobilistico per l’ingresso in Centro (ora chiamato “Area C”).
SCUOLA
Il comune deve dotare le scuole di biblioteche, sale di lettura e
strutture attrezzate gratuite al
servizio degli studenti per attività informatiche; installare mense
scolastiche gratuite con cibo di
qualità.
GIOVANI
Creazione di centri giovanili
autogestiti, di strutture sociali, ricreative, culturali e sportive pubbliche da dare in gestione direttamente e gratuitamente ai giovani.
Trasporti pubblici e gratuiti per
i giovani senza lavoro e gli studenti.
MIGRANTI E NOMADI
ARTIGIANI E
COMMERCIANTI
Messa a disposizione, da
parte del comune di immobili di
proprietà pubblica da affittare a
prezzo politico per iniziative e
attività artigianali, turistiche e di
piccolo commercio, fiscalmente
incentivate, al fine di evitare l’abbandono e il degrado dei quartieri popolari.
Semplificazione delle pratiche e incombenze amministrative, contabili, fiscali e burocratiche.
LGBT
Parità di diritti e trattamenti
sociali, economici e fiscali per le
SEGUE IN 13ª
➫
elezioni comunali del 5 giugno / il bolscevico 13
N. 21 - 26 maggio 2016
Alle elezioni comunali di Torino del 5 giugno
Per il socialismo e contro il capitalismo.
Astieniti, non votare per i partiti borghesi
Nega il tuo voto alle istituzioni rappresentative borghesi, che curano gli affari della classe dominante borghese
Documento del PMLI.Piemonte
Domenica 5 giugno a Torino,
così come in molte altre città d’Italia, si svolgeranno le elezioni
comunali. Le masse popolari torinesi non devono farsi illusione
alcuna. Quale che sia la fazione
borghese, tanto di destra quanto
di “sinistra”, che prevarrà sull’altra nulla cambierà nella gestione della città, dei suoi spazi e dei
suoi servizi.
Sono in lizza ben 18 aspiranti
sindaci, 38 liste e qualcosa come
8.000 candidati. Non dobbiamo
stupirci di questi numeri. Le dorate poltrone di Palazzo Civico
– sede del consiglio comunale di
Torino – così come le lautamente
retribuite cariche di giunta, fanno
molta gola ai politicanti borghesi.
Conquistare la “stanza dei bottoni” dà accesso a generose prebende e conferisce inoltre tutti i
vantaggi della gestione del potere amministrativo per conto della
classe dominante borghese cittadina. Per Torino sono state attivate un numero di “sirene” senza precedenti per ingannare le
masse e carpire loro il voto, la richiesta di consenso politico e di
un mandato elettorale in bianco
di cui servirsi per i prossimi cinque anni. Ecco cosa accomuna
tutti i candidati e tutti i partiti politici borghesi in campo. Dai fascisti dichiarati di Forza nuova e
CasaPound (proprio così, gli elettori torinesi dovrebbero votare in
schede dove sono presenti anche
queste formazioni nazifasciste
cui la democrazia borghese conferisce piena agibilità politica) ai
falsi “comunisti” dell’arcimbroglione Marzo Rizzo, tutti chiedono il
voto. Bisogna allora interrogarsi
su questo specifico punto: perché dare ai propri nemici ciò che
per loro è in questo momento più
importante, il voto appunto, quando possono invece colpirli mortalmente, negandoglielo?
I nemici del proletariato al soldo della borghesia chiedono di
votare per le elezioni comunali. Ebbene, il Partito marxista-leninista italiano chiede invece di
astenersi. Il PMLI – il Partito del
proletariato e delle masse popolari – chiede di disertare le urne,
di annullare la scheda oppure di
lasciarla in bianco, così da assestare un duro colpo alle istituzioni
borghesi cittadine, che curano gli
affari della classe dominante borghese. Ogni voto negato ai partiti borghesi sarà un colpo assestato al capitalismo e una spinta
in avanti per il socialismo. Tante
più diserzioni alle urne ci saranno tanto più schede elettorali saranno rifiutate, lasciate bianche
o annullate tanto più le istituzioni rappresentative borghesi che
sfruttano e opprimono il popolo
torinese saranno delegittimate.
Le masse popolari devono approfittare di queste elezioni per
isolare Palazzo Civico, facendo
➫
DALLA 12ª
coppie di fatto, sia eterosessuali
che omosessuali.
Diritto, anche per le famiglie di fatto, comprese le coppie omosessuali, lesbiche, transessuali, di accedere ai bandi
di concorso per l’assegnazione
delle case popolari.
attorno ad esso il deserto e creandogli come contraltare, sul piano politico, le Assemblee popolari e i Comitati popolari, basati
sulla democrazia diretta. L’elettorato torinese di sinistra fautore
del socialismo – anche chi non è
astensionista – deve, secondo la
proposta politica del PMLI, creare in tutta Torino le istituzioni rappresentative delle masse fautrici
del socialismo che devono essere costituite in ogni quartiere da
tutti gli abitanti ivi residenti – compresi le ragazze e i ragazzi di 14
anni – che si dichiarano anticapitalisti, antifascisti, antirazzisti e
fautori del socialismo e disposti a
combattere politicamente e elettoralmente le istituzioni borghesi,
i governi centrale e locali borghesi, il sistema capitalista e il suo
regime. I Comitati popolari devono essere composti dagli elementi più combattivi, coraggiosi
e preparati delle masse anticapitaliste, antifasciste, fautrici del socialismo eletti con voto palese su
mandato revocabile in qualsiasi
momento dalle Assemblee popolari territoriali. I Comitati popolari
di quartiere, cittadino, provinciale
e regionale e il Comitato popolare
nazionale devono rappresentare il
contraltare, la centrale alternativa
e antagonista rispettivamente delle amministrazioni ufficiali locali e
dei governi regionali e centrale.
In tutti i quartieri di Torino, da
quelli periferici di Mirafiori e Villaretto a quelli centrali di Centro e
Crocetta, devono sorgere queste
rosse fucine in cui le masse popolari torinesi potranno forgiare il
proprio destino: il socialismo. Non
ci sono terze vie. O con la classe dominante borghese e il capitalismo oppure con il PMLI e il
socialismo. Votare le liste di Torino il prossimo 5 giugno significa
schierarsi con la borghesia e con
il capitalismo, poiché tutti i candidati sostengono questo mostruoso sistema.
stegno dei padrini (neanche tanto per dire) Denis Verdini ed Enzo
Ghigo.
Nessuna fiducia merita anche
il politicante borghese, già sindacalista riformista, Giorgio Airaudo. Nell’autunno del 2012 le sue
farsesche dimissioni dalla segreteria della Fiom-Cgil hanno
reso possibile a Landini di azzerare tutte le cariche e, in questo
modo, trovare la scusa per espellere Sergio Bellavita e quindi privarlo di ogni carica politica, preludio al suo integrale licenziamento
dalla Cgil avvenuto pochi giorni
orsono. Terminata la sua esperienza in sindacato Airaudo è sceso in politica a fianco del plurinquisito trotzkista e opportunista
Nichi Vendola di cui è divenuto il
portaborse. Con il suo scranno di
parlamentare al sicuro (la legge
elettorale borghese gli consente
I candidati a sindaco
di candidarsi a sindaco senza dimissioni preventive alla Camera)
Airaudo si è posto alla guida della solita coalizione-armata Brancaleone della sinistra riformista.
Con lo slogan “la sinistra in comune” sta tenendo una campagna elettorale dai toni pacati e
assolutamente inconcludenti facendo di tutto ed anche di più per
non urtare gli alleati del Pd. “Torino è bella di suo, è bella perché
la rendono bella i torinesi e le torinesi. Torino è cambiata in questi anni, c’è da dirlo: anche in meglio”. Non male come descrizione
di una città dove il tasso di disoccupazione giovanile – dato peraltro falsato nella sua rilevazione –
supera il 40%.
Le masse popolari torinesi non
devono lasciarsi ingannare nemmeno dalla candidata dei 5 stelle,
Chiara Appendino. La sua è una
Piero Fassino, sindaco uscente del Pd in cerca di rielezione,
ha amministrato la città per conto della borghesia. Ha totalmente ignorato il degrado dei quartieri
periferici interessandosi del solo
centro cittadino. Nulla ha inteso
fare in favore delle masse popolari torinesi, dei lavoratori e degli
studenti che si sono anzi visti ridurre i servizi e gli spazi sociali.
La candidatura di Fassino per la
carica di neopodestà rientra inoltre in un più ampio gioco politico
borghese in cui sperimentare una
convergenza di “centro-destra”
e “centro-sinistra” e mettere alla
prova del voto, e degli inconsapevoli elettori, il partito della nazione, nuovo mostro della corrotta
politica borghese. Su questo Fassino ha incassato l’esplicito so-
ANTIFASCISMO
Nessuna piazza, strada o spazio pubblico comunale dev’essere concesso ad organizzazioni di
matrice nazista e fascista, sciogliere tutti i gruppi fascisti e chiudere i loro covi e deferirli alla magistratura in ottemperanza alla
legge n. 645/1952 contro la ricostituzione del disciolto partito fascista.
vera candidatura borghese doc.
La giovane Chiara è sposata con
un industriale – ha un alto incarico
dirigenziale nella sua azienda – e
suo padre è il numero due di Confindustria Piemonte. Il suo programma elettorale ignora completamente i bisogni delle masse
popolari torinesi ed è invece totalmente incentrato sulle piccole
e medie industrie (anche quella
di proprietà di famiglia?) che dovranno ricevere i dovuti supporti dalla politica locale. “Vogliamo
valorizzare il commercio e sostenere il tessuto delle piccole e medie imprese presenti sul nostro
territorio” questo il punto fermo
del programma elettorale della
candidata pentastellata. Prevedendo massicci tagli alla spesa
(tagli che, se necessario, investiranno anche la spesa sociale
della città?) la Appendino inten-
prestigiose esperienza professionali in Italia e all’estero.
A fianco di questi che sono
i più importanti “cavalli da corsa” della borghesia cittadina non
mancano altri “ronzini” di minore
importanza che, pur senza alcuna possibilità concreta di essere
vincitori, hanno il ruolo non secondario di riempire ogni possibile vuoto elettorale così da intercettare tutti i potenziali voti delle
masse. Ogni corrente borghese
si trova degnamente rappresentato da altrettante fazioni politiche
che sono in lizza per ritagliarsi
spazi. Coalizzati o in competizione tra loro ci sono i nazi-fascisti
come Forza nuova, CasaPound
e l’Msi; i fascisti ripuliti Lega nord,
Fratelli d’Italia e Forza Italia; i democratici cristiani Udc, Pli, i Moderati e Alleanza democratica
e altre formazioni folkloristiche
bile “saltellare” da una trasmissione televisiva all’altra a concionare
per ore, alle stesse condizioni degli altri invitati dei partiti del regime capitalista e neofascista.
Le masse popolari torinesi a
cominciare dai giovani non devono avere dubbio alcuno nel negare il voto a questi imbroglioni
e ai loro partiti e liste. Consapevoli che solo abbracciando l’arma
dell’astensionismo tattico marxista-leninista potranno delegittimare le istituzioni rappresentative
borghesi, primo passo per il loro
abbattimento assieme al capitalismo. Nessuna “scelta di voto”, sia
essa in favore della destra o della “sinistra” borghese, porterà mai
a dei reali cambiamenti a Torino.
Come dimostra la pratica, i cambiamenti si hanno solo attraverso
la lotta di classe. E l’astensionismo
se è vissuto come un voto dato al
Torino. La delegazione del PMLI sotto il palco in piazza Castello alla manifestazione No Tav del 10 maggio 2014 (foto Il Bolscevico)
Lottiamo per la vittoria dell’astensionismo anticapitalista e per
il socialismo! Creiamo le istituzioni rappresentative delle masse
fautrici del socialismo!
Solo il potere politico al proletariato e la conquista del socialismo consentiranno che i comuni
siano governati dal popolo e al
servizio del popolo!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
de ricavare almeno cinque milioni di euro da destinare alle imprese come finanziamenti. Insomma:
pieno supporto all’economia borghese cittadina! Appendino ha
poi annunciato di volere introdurre una sorta di bando di concorso
pubblico per selezionare (in caso
di vittoria) gli assessori della sua
giunta. Staremo a vedere chi verrà “selezionato” nella sua potenziale giunta ma possiamo fin da
ora scommettere che la modalità di scelta cadrà, in modo più o
meno pilotato, sulla “crema” cittadina, forte dei suoi roboanti titoli
accademici borghesi e delle sue
quali la “Lista del Grillo”, la “Lista
a 4 zampe” e l’“AutomobiLista”.
Un’attenzione particolare la merita il candidato a neopodestà Marco Rizzo, falso “comunista” usato
dalla borghesia come specchietto per le allodole per ingannare le
masse torinesi di sinistra che credono nel socialismo e per ricondurle nell’alveolo del sistema politico borghese. Se Rizzo e il suo
falso partito “comunista” rappresentassero solo una parvenza di
minaccia per lo Stato borghese
e per il sistema capitalistico, subirebbe lo stesso black-out del
PMLI e a Rizzo sarebbe impossi-
PMLI e al socialismo rientra nella
lotta di classe e l’aiuta a svilupparsi sul piano politico rivoluzionario.
Affinché Torino sia governata
dal popolo e al servizio del popolo ci vuole il socialismo. Solo con
il socialismo e con l’insediamento
a Palazzo Civico di un Comitato
popolare cittadino eletto dalle Assemblee popolari di ogni quartiere, le masse saranno pienamente
e democraticamente rappresentate e potranno vedere soddisfatti i propri bisogni. Intanto bisogna
lottare specialmente per la piena
occupazione e per il risanamento
delle periferie.
Elettrice ed elettore di sinistra!
ASTIENITI,
considerandolo un
voto dato al PMLI e
al socialismo
Al referendum di ottobre
6 il bolscevico / interni
N. 20 - 19 maggio 2016
VOTA NO
Committente responsabile: M. MARTENGHI (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515)
Stampato in proprio
alla
piduista
controriforma piduista
alla controri
ee fascista
senato
del senato
fascista del
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164
e-mail: [email protected] -- www.pmli.it
esteri / il bolscevico 15
N. 21 - 26 maggio 2016
Il governo Valls decreta senza voto alla Camera la versione francese del Jobs act
Rivolta in Francia contro
la Loi Travail
La controriforma del lavoro è respinta nelle piazze. Le principali
organizzazioni sindacali e studentesche propongono la lotta a oltranza
Dopo oltre due mesi di manifestazioni, proteste e scioperi
contro la Loi Travail, la controriforma del lavoro presentata dalla ministra del Lavoro Myriam El
Khomri è stata approvata il 12
maggio dopo una semplice lettura dalla Camera. Il premier socialista Manuel Valls aveva annunciato il ricorso all’articolo 49.3
della Costituzione, quello che
consente all’esecutivo di adottare la riforma senza il voto del
Parlamento. Il presidente Hollande e il premier Valls sono ricorsi
a una grave misura che esautora l’Assemblea nazionale, preoccupati per una maggioranza in
aula che andava assottigliandosi nella discussione sulla legge
per le defezioni di una ventina di
parlamentari socialisti dichiaratosi non disponibili a votare il jobs
act francese. L’assise poteva opporsi solo votando una mozione
di sfiducia al governo, presentata
dall’opposizione di centrodestra,
l’unica che aveva i numeri per
farlo, ma non è passata per una
quarantina di voti.
A Parigi alcune migliaia di manifestanti hanno protestato davanti all’edificio dell’Assemblea
Nazionale e bloccavano la circolazione sul ponte della Concorde;
altre mainfestazoni si svolgevano
in tutto il paese.
Lo sviluppo della mobilitazione contro la legge El Khomri cresceva nel mese di maggio di pari
passo con la discussione in aula.
In un documento titolato Comunicato sindacale unitario contro l’approvazione della Loi Travail per decreto e diffuso il 10
maggio, le organizzazioni sindacali CGT, FO, FSU, Solidaires e le organizzazioni giovanili
UNEF, UNL e FIDL invitavano le
loro strutture ad organizzare delle assemblee generali con i lavoratori per discutere delle modalità di azione, dello sciopero e del
suo prolungamento ad oltranza.
A partire dall’organizzazione di
due nuove giornate di scioperi e
manifestazioni locali il 17 e il 19
maggio fino a una possibile manifestazione nazionale.
“Dopo che i lavoratori, i giovani, i disoccupati, i pensionati si
sono mobilitati da più di due mesi
per il ritiro del progetto di legge
Lavoro (Loi Travail) e per ottenere nuovi diritti, mentre l’opinione
pubblica resta nella sua prepon-
deranza contraria a questo testo,
il governo decide di procedere di
forza utilizzando il 49.3, un articolo della Costituzione che permette l’entrata in vigore di una legge
per decreto, saltando la discussione e la votazione parlamentare. Tutto questo è inaccettabile!”, denunciava il comunicato
che sottolineava come “le mobilitazioni hanno costretto il governo
a proporre delle modifiche al progetto di legge per tentare di minimizzarne l’impatto. Ma i ritocchi
non sono sufficienti! Perché nel
progetto di legge ‘modificato’ perdura la preminenza data agli accordi aziendali su quelli di categoria e del Codice del Lavoro. Il
governo vuole un Codice del Lavoro per ogni azienda, passando
sopra alla gerarchia delle norme
che costituiscono un elemento di
tutela ed uguaglianza tra lavoratori”.
Un’altra delle proposte di modifica contenute nella Loi Travail
e giudicate inaccettabili riguarda i
licenziamenti economici, resi più
facili e arbitrari da parte dei padroni e in particolare delle multinazionali che potranno licenziare
i lavoratori degli stabilimenti fran-
Una recente manifestazione contro la “loi travail” degli studenti francesi. Il cartello gioca con le parole e sostanzialmente dice: “Non siamo carne da macello per i padroni”
cesi in “difficoltà” anche se fanno
profitti d’oro nelle altre sedi.
I primi a rispondere all’appello
della coalizione sindacale erano i
camionisti che il 16 maggio scendevano in sciopero contro l’articolo della legge che permette,
sulla base di un accordo aziendale prevalente su quelli di settore o nazionali, di abbassare il
compenso per gli straordinari,
che nel settore sono di fatto “ordinari”, dal 25% attuale fino al 10%
con una perdita di salario annuo
fino a 3 mila euro.
Alla vigilia delle manifestazioni del 17 maggio a Parigi e a
Nantes le prefetture vietavano
ad alcuni militanti di essere presenti nelle zone dove dovevano
passare i cortei, impedendogli la
partecipazione; la misura fascista era consentita dall’articolo 5
dello stato d’emergenza introdotto in seguito agli attentati terroristici e ancora in vigore. Anzi il
Senato di Parigi, con la scusa di
coprire il campionato europeo di
calcio e il Tour de France, votava
il prolungamento dello stato d’emergenza fino al prossimo luglio.
Un periodo che copre anche tutto
il percorso di approvazione della Loi Travail, o meglio della imposizione con la procedura della
fiducia, che sarà in Senato verso la metà di giugno e in seconda lettura alla Camera all’inizio di
luglio.
Golpe istituzionale in Brasile
Il senato ha sospeso la presidente Dilma Rousseff accusata di irregolarità fiscali. La “sinistra” borghese paga gli errori governativi e quelle del Partito dei lavoratori
Il 12 maggio la presidente brasiliana Dilma Rousseff ha
lasciato il palazzo presidenziale di Planalto subito dopo il voto
del Senato che con una maggioranza di 55 voti contro 22 si era
espresso a favore della sua sospensione dalla carica per 180
giorni. L’impeachement della
presidente si basa sulla presunta irregolarità di alcune manovre fiscali con cui il suo governo
avrebbe coperto buchi nel bilancio tra 2014 e 2015 con prestiti
anticipati della banca nazionale.
Nei prossimi sei mesi una
speciale commissione del Senato analizzerà l’accusa e proporrà il verdetto definitivo che dovrà
essere sostenuto dalla maggioranza dei due terzi dell’assemblea, ovvero di almeno 54 senatori, un numero già superato nel
voto del 12 maggio.
La destituzione definitiva della Rousseff nel prossimo novembre sancirebbe la fine formale
dei 13 anni di leadership del Partito dei Lavoratori (Pt), iniziata
nel 2003 con l’elezione alla presidenza di Inacio Lula De Silva;
dal 12 maggio il Pt è già passato
all’opposizione del nuovo governo di destra, un governo ad interim subito insediato e guidato dal
vice presidente Michel Temer, leader del Partito del movimento
democratico (Pmdb) e ex alleato fondamentale di governo che
potrebbe restare in carica fino al
31 dicembre 2018, a completare
il mandato presidenziale.
La “sinistra” borghese paga
gli errori governativi e quelle del
Partito dei lavoratori che hanno comunque favorito i capitalisti brasiliani e portato il paese
a avere un ruolo imperialista di
prima fila tra quelli emergenti, il
gruppo dei Brics. Hanno preparato la caduta del governo della
“sinistra” borghese gli effetti della crisi economica ricaduti sulle
masse popolari, anche se il governo ha cercato di nasconderli dietro il sipario dei mondiali di
calcio o delle prossime Olimpiadi; il “tradimento” delle promesse
fatte da Rousseff in campagna
elettorale e soprattutto il dilagare di una corruzione ai masimi
livelli istituzionali e politici. Per
esempio al momento sono inquisiti il 58% dei senatori che hanno
votato l’impeachement. Ma l’emblema del sistema corruttivo brasiliano sta nel caso Petrobras,
l’ente petrolifero di Stato, che ha
investito anche l’ex presidente
Lula e il Pt per vicende iniziate
quando a dirigerlo c’era l’allora
economista Dilma Rousseff che
da presidente lo voleva proteggere affrendogli un posto importante nel governo.
L’apertura dell’indagine su
Lula del marzo scorso con l’accusa di riciclaggio di denaro, corruzione e sospetto occultamento di beni a vantaggio personale,
del Pt e del suo governo andava
di pari passo con l’uscita dal governo della Rousseff del Pmdb di
Temer, fondamentale nella coalizione che teneva in piedi l’esecutivo e nel successo della presidente nelle elezioni del 2010 e
del 2014. Il Pt dichiarava di voler cambiare politica e tornare di
nuovo a guardare verso i movimenti alla sua sinistra, che nel
tempo lo avevano mollato delusi dalle promesse non mantenute, promettendo un cambio di
programma qualora vi fosse stato un nuovo gabinetto guidato
da Lula da Silva; una nuova promessa che non aveva il tempo di
essere verificata col Pmdb che si
univa all’opposizione e determinava la sospensione della presidente.
Il via all’impeachement della Rousseff era dato lo scorso
3 dicembre dal presidente della Camera dei deputati, Eduardo Cunha del Pmdb, che allora
a sorpresa autorizzava l’apertura
di un procedimento sulla base di
una richiesta presentata da parlamentari dell’opposizione che richiamava tra le altre la bocciatura da parte della Corte dei conti
federali (Tcu) del bilancio dello
Stato del 2014. Il Pmdb preparava il suo passaggio all’opposizione e il 17 aprile contribuiva alla
Camera dei deputati a far passare la sospensione con una maggioranza schiacciante, 367 sì,
137 no, 7 astenuti.
Si tratta di “un golpe mascherato con pretesti legali”, si difendeva la presidente con i suoi avvocati che sottolineavano come
tali operazioni di copertura dei
buchi di bilancio, pur non legali,
fossero stati applicati in passato
da altri presidenti. Suo malgrado
si trovava comunque in “buona”
compagnia; con l’ex vice Temer
corresponsabile dei giochi sul bilancio statale; col presidente della Camera Eduardo Cunha indagato dai giudici dello scandalo
Petrobras dopo la scoperta di
conti segreti milionari nascosti in
Svizzera e in altri paradisi fiscali;
con Aecio Neves, leader del partito socialdemocratico (Psdb) e
concorrente presidenziale sconfitto da Dilma nel 2014, sospettato di corruzione sempre nell’ambito dello scandalo Petrobras.
Pubblicati da Greenpeace le pagine segrete della trattativa tra Usa e Ue su commercio e investimenti
La manifestazione nazionale
del 7 maggio a Roma ha tra l’altro riacceso le attenzioni sul TTIP,
il Partenariato transatlantico per il
commercio e gli investimenti oggetto delle trattative segrete tra
Usa e Ue in corso da tre anni, e
sulla necessità di combatterlo per i
conseguenti rischi per lavoro, ambiente e clima che ne deriverebbero. Le ragioni dei “no” e i motivi delle campagna di “Stop TTIP” sono
risultati ancora più chiari dopo la
pubblicazione, di poco precedente alla manifestazione, da parte di
Greepeace Olanda che ha ottenuto alcuni documenti riservati sulle
trattative e li ha diffusi su un sito
dedicato.
“Cadranno protezioni su ogm
e carne trattata con ormoni”, denuncia Greenpeace, se nell’armonizzazione prevarrà la normativa
Usa basata sul principio dell’evidenza scientifica, in base alla quale un prodotto può essere vendu-
Rivelati i documenti su TTIP
Rischi per lavoro, ambiente e clima
to senza problemi fino a quando
qualcuno non dimostri la sua nocività. Nella Ue vige il principio di
precauzione, quello che prevede
che prima di vendere un prodotto,
l’azienda debba provare l’assenza
di rischi nella sua commercializzazione. Prodotti ogm e carne agli
ormoni girano lo stesso per l’Europa nonostante che il principio di
precauzione sia scritto persino nel
Trattato Ue; se prevale la regola
Usa, dilagheranno.
Riguardo la tutela ambientale, sottolinea Greenpeace, “nessuno dei capitoli che abbiamo visto fa alcun riferimento alla regola
delle Eccezioni Generali. Questa
regola, stabilita quasi 70 anni fa,
compresa negli accordi Gatt (Ge-
neral Agreement on Tariffs and
Trade) della World Trade Organisation permette agli stati di regolare il commercio ‘per proteggere
la vita o la salute umana, animale
o delle piante’ o per ‘la conservazione delle risorse naturali esauribili’”. “L’omissione di questa regola suggerisce che entrambe le
parti stiano creando un regime che
antepone il profitto alla vita e alla
salute umana, degli animali e delle piante”, denuncia l’associazione
ambientalista che in aggiunta nota
come nonostante l’allarme lanciato dall’ultima conferenza di Parigi
“non c’è alcun riferimento alla protezione del clima nei testi ottenuti”.
Altre parti dei documenti pubblicati riguardano le pressioni Usa
che minacciano ritorsioni sul mercato dei componenti dell’auto nel
caso l’Ue non ceda sugli ostacoli
all’importazione dei prodotti agricoli, o nel caso degli appalti pubblici dove la delegazione di Washington esige che le norme frutto
dell’accordo tra le due parti siano
oggetto di misure vincolanti sia a
livello Ue che dei suoi Stati membri mentre non offre la stessa garanzia per quanto riguarda i singoli
Stati americani.
Nella “guerra dei vini” la Ue a
difesa dei propri Dop e Doc vorrebbe che un produttore americano
non possa usare a piacimento in
modo generico 17 denominazioni
di vini Ue come gli italiani Chianti e
Marsala, il greco Retzina, l’unghe-
rese Tokaj, il portoghese Madeira, lo spagnolo Malaga e i francesi
Chablis, Sauterne e Champagne.
Gli Usa non vorrebbero vincoli
all’uso delle denominazioni.
La commissaria Ue al Commercio Cecilia Malmstrom ha tentato di minimizzare quanto rivelato
dai documenti pubblicati da Greenpeace sostenendo che non si
tratta di “testi consolidati”, non è
“il risultato” del negoziato ma solo
“l’insieme delle posizioni dei due
lati negoziali ed è normale che entrambe le parti di una trattativa vogliono raggiungere il numero maggiore possibile di propri obiettivi”.
Michael Froman, rappresentante
americano per il Commercio, ha
liquidato le rivelazioni di Green-
peace come “nel migliore dei casi
fuorvianti e nel peggiore completamente sbagliate“.
La Malmstrom ha assicurato
che “nessun accordo commerciale
ad opera della Ue abbasserà mai
il nostro livello di tutela dei consumatori, o della sicurezza alimentare, o dell’ambiente. Non cambieranno le nostre leggi in materia di
ogm, o sul nostro modo sicuro di
produrre carne di manzo, o il modo
di proteggere l’ambiente. Qualsiasi accordo commerciale potrà solo
cambiare i regolamenti per renderli più forti”. Più forti a vantaggio di
chi? Delle multinazionali che spesso hanno fatturati superiori ai bilanci dei singoli Stati e un potere
contrattuale certamente più forte
per imporre i loro interessi, dietro
la logica della libertà di mercato.
Se così non fosse perché negoziati di tale importanza e che durano da tre anni continuano a restare segreti?.
16 il bolscevico / documento dell’Ufficio politico del PMLI
N. 21 - 26 maggio 2016
Perché occorre astenersi
alle elezioni comunali
del 5 giugno
Documento dell’Ufficio politico del PMLI (ampi estratti)
Perché i comuni siano governati
dal popolo e al servizio del popolo
ci vuole il socialismo
NON VOTARE
I PARTITI
BORGHESI AL
SERVIZIO DEL
CAPITALISMO
Delegittimiamo
le istituzioni
rappresentative
borghesi
CREIAMO LE ISTITUZIONI
RAPPRESENTATIVE DELLE MASSE
FAUTRICI DEL SOCIALISMO
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]
quella di carpire il consenso elettorale e
il sostegno del popolo, illudendolo che il
suo voto ai partiti che ne fanno parte può
incidere sulle scelte governative e può
migliorare le proprie condizioni.
La realtà invece dimostra che non è
così. Esse vanno quindi smascherate,
delegittimate, indebolite, disgregate anche attraverso l’astensionismo cosciente, anticapitalista, antifascista, antirazzista, antiomofobo. Ma l’astensionismo
elettorale non basta, occorre combatterle ogni giorno unendosi in un organismo
politico di massa. Per questo il PMLI
propone all’elettorato di sinistra, anche
a chi non è astensionista ma vuole il socialismo, di creare in tutte le città e in
tutti i quartieri le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo,
ossia le Assemblee popolari e i Comitati
www.pmli.it
Committente responsabile: M. MARTENGHI (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515)
ASTIENITI
Stampato in proprio
L’alternarsi al governo delle città, come
al governo nazionale, della destra e della “sinistra” della borghesia, ha oramai
ampiamente dimostrato come non vi sia
una sostanziale differenza tra di esse.
Borghesi di destra possono capeggiare addirittura entrambi gli schieramenti.
Come è il caso di Milano in cui Sala per il
“centro-sinistra” e Parisi per il “centro-destra” si disputano la carica di sindaco. Le
masse non hanno quindi nulla da guadagnare dalla vittoria dell’una o dell’altra
coalizione borghese.
Il PMLI, nemico acerrimo della borghesia e del capitalismo, combatte tutte le liste borghesi in corsa, comprese
quelle che si pongono a sinistra del PD,
perché anch’esse sono al servizio del
capitalismo, e invita l’elettorato a fare altrettanto non votandole.
Sul piano elettorale, nelle attuali condizioni, gli sfruttati e gli oppressi, le masse popolari, chiunque subisce angherie,
soprusi e ingiustizie da parte dei governi
comunali, regionali e nazionale, i giovani a cui è precluso un avvenire, per farsi
sentire, per protestare, per far valere le
proprie ragioni, per penalizzare i partiti
e le istituzioni borghesi, non hanno altra
scelta che astenersi, disertando le urne,
oppure annullando la scheda o lasciandola in bianco.
Il PMLI sostiene tatticamente l’astensionismo elettorale e invita le astensioniste e gli astensionisti, in particolare
quelli di sinistra, a qualificare politicamente il loro astensionismo considerandolo come un voto dato al PMLI e al socialismo. Il socialismo, poiché è la sola
società che assicura il potere politico al
proletariato, è l’unica vera alternativa al
capitalismo; tutte le altre proposte, comprese quelle predicate da ben noti imbroglioni politici travestiti da comunisti,
come Marco Rizzo, pubblicizzato dai
media borghesi e persino da Radio Vaticana, sono tutte interne al capitalismo.
Perdurando il capitalismo, come dimostrano la storia e i fallimenti delle amministrazioni “arancioni” e pentastellate,
è impossibile che i comuni siano governati dal popolo e al servizio del popolo,
perché restano inevitabilmente succubi
della volontà e degli interessi dei grandi
capitalisti, locali come nazionali, vincolati alle leggi dello Stato borghese, sottoposti ai governi di livello superiore ed
esecutori locali delle loro politiche di lacrime e sangue. Solo il socialismo può
consentirlo attraverso un sistema elettorale che emargina la borghesia e dà tutto lo spazio al proletariato e al popolo.
Le istituzioni rappresentative borghesi, di cui fanno parte i consigli comunali,
sono le coperture “democratiche” della
dittatura borghese e la loro funzione è
popolari basati sulla democrazia diretta.
Le Assemblee popolari devono essere costituite in ogni quartiere da tutti
gli abitanti ivi residenti - compresi le ragazze e i ragazzi di 14 anni - che si dichiarano anticapitalisti, antifascisti, antirazzisti e fautori del socialismo e sono
disposti a combattere politicamente
ed elettoralmente le istituzioni borghesi, i governi centrale e locali borghesi
e il sistema capitalista e il suo regime.
Ogni Assemblea popolare di quartiere
elegge il suo Comitato popolare e l’Assemblea dei Comitati elegge, sempre
attraverso la democrazia diretta, il Comitato popolare cittadino. E così via
fino all’elezione dei Comitati popolari
provinciali, regionali e del Comitato popolare nazionale.
I Comitati popolari devono essere
composti dagli elementi più combattivi,
coraggiosi e preparati delle masse popolari, eletti con voto palese su mandato revocabile in qualsiasi momento dalle
Assemblee popolari territoriali. Le donne e gli uomini - eleggibili fin dall’età di
16 anni - devono essere rappresentati
in maniera paritaria. I Comitati popolari
di quartiere, cittadino, provinciale e regionale e il Comitato popolare nazionale
rappresentano il contraltare, la centrale
alternativa e antagonista rispettivamente delle amministrazioni ufficiali locali e
dei governi regionali e centrale.
Lo strumento organizzativo, il principio regolatore della vita, delle attività,
delle decisioni e dell’azione dell’Assemblea popolare e dei Comitati popolari è
costituito dalla democrazia diretta, che
mette al centro la volontà delle masse
organizzate e subordina a questa volontà chi è di volta in volta, o per un certo tempo, delegato a rappresentarle,
che esclude quindi la delega in bianco e
permanente, senza controlli e verifiche,
e l’egemonismo e la prevaricazione di
singoli e gruppi di potere, praticando un
rapporto stretto tra eletto ed elettore e si
basa sul coinvolgimento costante delle
masse e sul loro protagonismo.
La vittoria dell’astensionismo, specie a
Milano dove si sperimenta il “partito della nazione”, darebbe un colpo durissimo
al governo del nuovo Mussolini Renzi
che sta completando il regime neofascista preconizzato dalla P2 e realizzato da
Berlusconi; che sta seguendo le orme
nazionaliste, colonialiste e interventiste
di Mussolini, coinvolgendo l’Italia nelle
guerre imperialiste per la spartizione del
Medio Oriente e del mondo; che ha ulteriormente aggravato le condizioni di vita
e di lavoro delle masse lavoratrici e popolari, con il Jobs Act, la “Buona Scuola”,
lo “Sblocca Italia” che peggiora la vivibilità delle città dando il via libera a cementificazione e inceneritori, la controriforma
dei Beni culturali per smantellare ogni tutela pubblica sul patrimonio archeologico, storico, artistico e paesaggistico italiano, che andrebbe invece valorizzato, e
spianare la strada alla speculazione privata interna e internazionale.
Lottiamo per la vittoria dell’astensionismo anticapitalista e per il socialismo!
Creiamo le istituzioni rappresentative
delle masse fautrici del socialismo!
Solo il socialismo può cambiare l’Italia, dare il potere al proletariato e consentire che i comuni siano governati dal
popolo e al servizio del popolo!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
L’Ufficio politico del PMLI
Firenze, 9 Aprile 2016