La rassegna di oggi

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – giovedì 12 maggio 2016
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
«Cgil addio, soffro per le aziende che sono in crisi» (M. Veneto)
Salta il tavolo, cinquantamila in sciopero (Piccolo, 2 articoli)
Fincantieri, mini-utile. Il momento peggiore è ormai alle spalle (Piccolo)
Panariti bacchetta i rettori dopo lo “sfogo” a Palazzo (Piccolo)
I turchi rilanciano con una maxi offerta per la Sangalli Vetro (M. Veneto)
«Oggi siamo tutti un po’ più liberi» (M. Veneto)
Anas entro l’anno in Autovie (Gazzettino)
CRONACHE LOCALI (pag. 10)
Il caso Wärtsilä a Roma. Presidio in piazza Unità (Piccolo Trieste, 2 articoli)
I candidati anti Ferriera travolgono i possibilisti (Piccolo Trieste)
«Pronto soccorso pediatrico, difficile allungare l’orario» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Liva (Cgil): «Gli immigrati fanno i lavori più pericolosi» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Electrolux, tornano gli straordinari (Gazzettino Pordenone)
I tentacoli dei Casamonica sulla Serrmac (M. Veneto Pordenone)
Mobile, nasce l’Uti dei ribelli (M. Veneto Pordenone)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
«Cgil addio, soffro per le aziende che sono in crisi» (M. Veneto)
di Maurizio Cescon UDINE Un buon libro giallo («di Alicia Gimenez Bartlett», dice), il Giro d’Italia
in televisione («ma la tappa friulana me la gusterò dal vivo»), le arrampicate in montagna. Ci sono le
passioni di una vita nell’orizzonte immediato di Franco Belci, 65 anni, segretario regionale della Cgil
fresco di dimissioni, dopo 8 anni alla guida del sindacato “rosso”. In attesa di andare ufficialmente in
pensione (da funzionario pubblico) tra un anno e mezzo, anche lui finito, come milioni di lavoratori,
nella “rete” della legge Fornero. Ma in una chiacchierata a ruota libera Belci ripercorre i momenti
salienti della sua esperienza alla guida del sindacato, dà alcuni giudizi sui protagonisti della politica, si
toglie qualche sassolino dalle scarpe. Intanto chi sarà il suo successore? «Lo sapremo entro la metà di
giugno. I nomi in corsa sono quelli che circolano in questi mesi: Orietta Olivo di Gorizia ed Emanuele
Iodice di Pordenone. Ma la procedura per arrivare alla nomina è complessa». Come funziona? «Dopo
l’illustrazione della relazione in assemblea, cosa che ho fatto lunedì, saranno decisi alcuni criteri per
l’elezione del segretario. Criteri che al momento restano riservati, altrimenti sarebbe troppo facile fare
l’identikit. La Cgil nazionale, cioè la Camusso, farà quindi una proposta, sceglierà un nome. Quel nome
sarà sottoposto alla consultazione dei 133 membri dell’assemblea regionale, formata per il 45% da
dirigenti sindacali e per il restante 55% da delegati di fabbrica. Se il consenso sarà ampio, si andrà al
voto. Altrimenti, se dovesse servire più tempo, si riprenderà il ragionamento. Ma non necessariamente
su una nuova figura. Peseranno appartenenze territoriali e di categoria». Lei comunque resta dentro la
Cgil, da padre nobile. «Mi occuperò dell’ordinaria amministrazione fino all’ufficializzazione del mio
successore. Per il futuro mi vedo cucito addosso un ruolo meno operativo, ma più legato alla
formazione delle nuove leve del sindacato e al recupero della memoria storica del lavoro in Friuli. Per
esempio vorrei approfondire le vicende della miniera di rame di Raibl (nel Tarvisiano, ndr) che non è
mai stata studiata dal punto di vista del lavoro. Eppure vi sono delle storie incredibili: gli operai sloveni
sconfinavano attraverso le gallerie sotterranee. Ed erano gli anni della guerra fredda». C’è chi ritiene
che lei possa candidarsi in qualche competizione elettorale, magari nel 2018. «Non ho mai avuto
ambizioni di fare carriera in politica. Nel 2013 a dire il vero mi fu proposta la candidatura alle regionali
per il Pd, fui “sollecitato” dall’attuale capogruppo alla Camera Ettore Rosato, ma all’epoca declinai,
volevo proseguire e concludere il mio mandato». Però la politica è una sua grande passione... «Si,
vorrei impegnarmi con le idee. E per questo c’è l’operazione Reset, un gruppo di persone che punta al
confronto con chi ci amministrerà. Partiamo da Trieste, con il candidato sindaco Cosolini. Oggi vedo
troppo pragmatismo in politica, c’è la crisi della sinistra, sono cambiati gli schemi, il modo di pensare.
Siamo duttili e flessibili». A ottobre si vota sul referendum costituzionale. Lei che farà? «Dirò no. Ho
smesso di votare Pd nel 2014, dopo le Europee del famoso 41%. Da allora mi sono allontanato». Per
colpa di Renzi? «Mah, dopo il fallimento di Bersani serviva una ripartenza, la vecchia classe dirigente
era a fine corsa. L’ex sindaco di Firenze era un male necessario. Poi ha applicato una sorta di austerità
in salsa italiana, scaricando il peso dei sacrifici sui lavoratori. E il suo è uno stile di comando, non di
governo». Con Serracchiani i suoi rapporti sono stati altalenanti. «Diciamo che abbiamo entrambi un
carattere esuberante, lei di più perchè è più giovane di me. Ci sono stati dei contrasti, pubblici, ma pure
delle condivisioni. La sua nomina alla vicesegreteria nazionale del partito, a mio avviso, ha
condizionato il suo ruolo. A volte alcune sue critiche al sindacato hanno fatto arrabbiare, e tanto, i
nostri iscritti. Come amministratrice in Serracchiani vedo più luci che ombre, ha capacità lavorative al
di fuori del comune, è preparata su ogni tema». Della sua leader nazionale Susanna Camusso che ne
pensa? Adesso può essere meno diplomatico... «Ho avuto un ottimo rapporto sia con Epifani che con la
Camusso, improntato alla chiarezza. Susanno come leader ha capacità, è autorevole e sgobba
tantissimo. Un difetto? Forse sarebbe necessaria una maggiore comunicatività». Ha avuto una dialettica
vivace con il presidente di Fincantieri Giuseppe Bono sul tema degli appalti e dei sub appalti dello
stabilimento. «E’ una battaglia che ho portato avanti anni fa, ma forse la vinceranno altri. Credo che
l’azienda sia stata arrogante, negando che i problemi legati a truffe, caporalato, infiltrazioni criminali
esistessero. Invece è un dovere civile e morale controllare, cosa che Bono non ha fatto. Eravamo vicini
a un accordo, ma Fincantieri si rifiutò di discutere il documento preparato dall’allora prefetto di Gorizia
Zappalorto (oggi trasferito a Udine, ndr). Con il nuovo prefetto Alberti tutto si è fermato, sembra che la
questione non esista più». In questi 8 anni da capo della Cgil ha dovuto affrontare innumerevoli crisi
aziendali. I successi più rilevanti, per i lavoratori? «I tavoli più difficili sono stati Ferriera e porto di
Trieste. Io mi auguro di arrivare a una conclusione positiva, coniugando ambiente e lavoro, si può fare.
C’è stato grande impegno, positivo, su Electrolux. Abbiamo svolto un ruolo pilota, in quella vertenza.
Ricordo che molte teste pensanti, da Cipolletta ad Agrusti, volevano imporre gli stipendi polacchi in
Friuli. Non accettammo nemmeno di sederci al tavolo con Confindustria e, con la coesione totale,
abbiamo strappato un accordo che speriamo possa tenere, come sembra di capire dalle ultime
revisioni». Un operaio o un impiegato nel 2016 stanno peggio che nel 2008, è evidente. La crisi ha
davvero travolto ogni certezza? «Il crac economico e le sue ricadute hanno sconvolto il mondo del
lavoro. Il nostro compito era di salvare le aziende, a volte non ci siamo riusciti. E per questo ho sofferto
parecchio». E gli imprenditori? Sono cambiati anche loro? «Con tanti, specialmente con gli udinesi, ho
ottimi rapporti. A cominciare dal presidente Tonon, che è serio e preparato, ho un grande ricordo del
compianto Valduga, la cui opera viene portata avanti dalle figlie. Ma anche Fantoni, Moroso e altri,
penso al presidente della Crup Morandini che è attento alle dinamiche sociali. Con loro è stato meno
difficile affrontare le vertenze: c’è rispetto reciproco e sanno che le persone non sono numeri». Tra 5
anni un lavoratore italiano starà meglio di oggi? C’è speranza nel futuro? «Nel nostro Paese c’è una
situazione di apatia. Decide tutto il Governo, mentre il Parlamento ha un ruolo minore. E poi manca un
discorso di prospettiva, si naviga a vista e il Paese rattrappisce. La politica dovrebbe ritrovare
un’anima. Dopo si potrebbero aggiustare le cose».
Salta il tavolo, cinquantamila in sciopero (Piccolo)
di Marco Ballico TRIESTE Le categorie sindacali del comparto unico, all'ora di pranzo, dicono che è
«imbarazzante, irricevibile, vergognoso, mai così deludente». Non possono bastare 2 milioni di euro
comprensivi degli oneri riflessi, 8 euro lordi mensili medi a lavoratore, tanti propone la controparte
datoriale, per il rinnovo di un contratto fermo dal 2009. Una cifra troppo bassa rispetto ai 19 milioni
utilizzati nel 2008 e ai 76 milioni all'anno di risparmi prodotti dallo stallo. E quindi, a questo punto non
c'è più il condizionale, lo sciopero si farà. Il 25 maggio, dieci giorni prima del voto amministrativo che
impegnerà, tra gli altri, due Comuni capoluogo, Trieste e Pordenone. A scendere in piazza, come
anticipato, non saranno però chiamati solo i 14mila dipendenti di Regione, Province, Comuni e
Comunità montane. A manifestare contro la giunta regionale, i sindaci, il governo nazionale e tutti i
datori di lavoro coinvolti, saranno anche sanità, ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici,
Ater, sanità privata e cooperazione sociale, ovvero le 50mila persone al lavoro nei servizi pubblici in
Friuli Venezia Giulia. La misura è colma, è la sintesi di un comunicato di fine riunione condiviso da
Mafalda Ferletti (Cgil Fp), Massimo Bevilacqua (Cisl Fp), Maurizio Burlo (Uil Fpl), Fabio Goruppi
(Ugl) e Paola Alzetta (Cisal). Avevano atteso senza troppa fiducia l'appuntamento fissato da Paolo
Panontin. Ma al tavolo non hanno trovato né l'assessore alla Funzione pubblica né il direttore generale
Roberto Finardi. E la proposta consegnata loro dal neopresidente della delegazione trattante di parte
pubblica Luca Tamassia li ha gelati. «Dopo sette anni di mancato rinnovo del contratto - fanno sapere i
segretari del comparto unico - quello che i datori di lavoro sono stati capaci di confezionare, e solo
dopo nostra reiterata sollecitazione, è uno scandaloso aumento dello 0,4% lordo annuo per tre anni, non
più di 6 milioni sul triennio». Soldi che, tolto il 36,5% di oneri riflessi, si riducono a 1,3 milioni
all'anno, informano ancora i sindacati, «con l'aggiunta che si pretende pure di riassorbire in quel
minimo aumento sul tabellare la vacanza contrattuale, un istituto grazie al quale percepiamo tra i 10 e i
12 euro al mese. Come dire che per tutto il 2016 e parte del 2017 ci chiedono di fatto di restituire
qualche euro». «Uno scandalo», tuonano ancora Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Cisal, che già stamattina
avvieranno le procedure per lo sciopero. Una giornata, mercoledì 25 maggio, che vedrà protestare larga
parte del settore pubblico del Fvg. A meno di sorprese sarà l'inevitabile conclusione di una trattativa
mai decollata sul piano economico. Alla Regione che, con l'assessore Panontin, si è detta in attesa delle
decisioni del Consiglio dei ministri sui rinnovi contrattuali, il sindacato ha sempre contrapposto il
dossier dei risparmi: il blocco dei contratti, sostengono le sigle, «ha consentito ai datori di lavoro di
mettere da parte quasi 500 milioni di euro, 76 all'anno dal 2009». Ma non è nemmeno piaciuto il
silenzio sugli aspetti giuridici. In tempi di Unioni territoriali intercomunali in partenza, a far discutere è
anche il nodo della mobilità: «Posto che abbiamo consegnato una proposta già l'anno scorso mirata a
favorire spostamenti su criteri oggettivi - ribadisce ancora Ferletti della Cgil -, l'assessorato regionale è
pienamente inadempiente anche su questo». Guerra aperta, dunque. E agenda già riempita. I sindacati
hanno in programma assemblee in tutto il territorio: il 16 a Pordenone, il 17 a Udine, il 18 a Trieste il
19 a Gorizia, il 20 a Tolmezzo per i regionali, sempre il 18 a Trieste per i comunali. «Ma incontreremo
anche i candidati sindaci, in particolare quelli di Trieste e Pordenone - incalza Burlo -. Vogliamo sapere
prima del voto qual è la loro posizione rispetto a rinnovi del contratto legittimi e su cui invece la
controparte è vergognosamente assente».
Ma giunta e sindaci tirano dritti
TRIESTE «Scioperano? Non so che altro fare», dice Paolo Panontin indicando la nota di Palazzo in cui
si precisa che la proposta di incremento contrattuale sul triennio vale «il triplo di quanto previsto per i
dipendenti pubblici a livello nazionale». I sindacati non ci stanno comunque? «Non vorremmo che la
pervicace volontà di interrompere bruscamente una trattativa appena avviata - dice anche il dg Roberto
Finardi - risponda all'esigenza di portare il confronto su un piano diverso da quello delle relazioni
sindacali. Anche perché l'iniziativa ha un carattere regionale e non ha per ora riscontro a livello
nazionale, dove le prospettive economiche sono sicuramente inferiori». Meglio a Trieste che a Roma,
insiste la Regione. Anche se la prudenza è d'obbligo. Panontin prende atto infatti che il blocco forzato
dei rinnovi contrattuali «rappresenta un'anomalia», ma chiarisce che il Fvg non ha comunque totale
libertà: «L'eventuale accordo dovrà essere vagliato dalla Corte dei conti». Del resto, aggiunge, «non ci
sono ragioni oggettive per differenziare eccessivamente il trattamento economico dei dipendenti degli
enti locali della regione, che già godono di un trattamento di favore, rispetto ai colleghi delle ordinarie,
proprio in virtù del comparto unico». Altrettanto prudente l'Anci. Il comitato esecutivo dei sindaci fa
sapere che è in corso «un'analisi precisa della situazione economica dei Comuni» perché, «in presenza
di una congiuntura economica problematica e di un cambiamento dell'organizzazione dei territori, è
fondamentale verificare se le rivendicazioni salariali possono essere sostenute dagli enti locali senza
limitare la qualità dei servizi ai cittadini». (m.b.)
Fincantieri, mini-utile. Il momento peggiore è ormai alle spalle (Piccolo)
di Massimo Greco TRIESTE Fincantieri ritiene di aver superato il momento peggiore delle sue ultime
stagioni, momento che ha coinciso con il secondo semestre 2015. I risultati del primo trimestre 2016,
esaminati ieri pomeriggio dal board del gruppo, hanno registrato un’inversione di tendenza rispetto alla
chiusura dell’esercizio 2015, che - ricordiamo - aveva visto un rosso di 175 milioni, un margine
operativo in rosso per 26 milioni, una posizione finanziaria netta negativa per 438 milioni. Per capire il
messaggio dell’azienda, è quindi meglio partire da un confronto con queste cifre piuttosto che
comparare i trimestri invernali del 2015 e del 2016. Piazza Affari non si è scomposta, decretando
l’ennesimo calo dello 0,31% a 32 centesimi. Comunque, nel periodo gennaio-marzo di quest’anno
Fincantieri rimonta la china evidenziando un utile impercettibile di 300 mila euro, sicuramente più
rassicurante rispetto ai 27 milioni persi nell’analogo trimestre dello scorso anno. I ricavi sono
lievemente inferiori a quota 1050 milioni (erano 1110 un anno fa). Il margine operativo riprende fiato
con 51 milioni pari al 4,9%, il risultato operativo si ferma al 2,4%. La posizione finanziaria netta,
giovandosi degli incassi legati alle consegne effettuate nel periodo, è scesa dai 438 milioni
contabilizzati il 31 dicembre 2015 a 363 milioni. Lievita il cash flow dai 25 milioni del marzo 2015 ai
77 milioni dello stesso mese 2016. Insomma, una gestione non certo brillante (quando mai lo è stata?)
ma meglio assestata nel raffronto con il 2015. Tant’è che l’amministratore delegato Giuseppe Bono, in
procinto di incamerare un ulteriore rinnovo nell’assemblea del 19 maggio in programma alla Stazione
marittima triestina, parla di «importanti obiettivi gestionali ed economici» che «ci consentono di
confermare gli obiettivi del piano industriale». Reattivo il polso commerciale, sia in termini di carico di
lavoro complessivo a oltre 19,2 miliardi, sia per quanto riguarda le acquisizioni nel trimestre (713
milioni). Ma se il mercato crocieristico continua a mietere successi, «nel settore offshore - recita il
comunicato ufficiale - permane una situazione profondamente deteriorata a livello globale a causa della
forte riduzione del prezzo del petrolio». I dati esplicitano queste tendenze: sui 1050 milioni fatturati nel
trimestre, 764 si debbono al cosiddetto “shipbuilding” (che contiene anche il militare), mentre soltanto
236 sono stati ricavati dall’offshore, con una flessione del 28,5% rispetto al marzo 2015. Fincantieri ha
messo in atto una politica di diversificazione produttiva per supportare la controllata Vard, tramortita
dalla depressione del prezzo petrolifero. Ieri è stata annunciata una commessa per 15 battelli da
trasporto fluviale ordinati dalla Topaz (Dubai) e destinati a operare tra le acque interne russe e i campi
petroliferi del Kazakistan. Se ne occuperanno i cantieri romeni e vietnamiti.
Panariti bacchetta i rettori dopo lo “sfogo” a Palazzo (Piccolo)
Immediata la replica dell’assessore all’Istruzione, Loredana Panariti, che snocciola le tante risorse
assegnate al sistema universitarioSul fronte istruzione superiore interviene anche la leghista Barbara
Zilli, contestando il progetto che favorisce l’accesso allo studio dei rifugiatiA lanciare l’allarme sul
calo di risorse per il diritto allo studio sono stati i rettori di Trieste e Udine, Maurizio Fermeglia e
Alberto De Toni, durante l’audizione a Palazzodi Diego D’Amelio wTRIESTE Venti milioni, fra 2014
e 2016, per la ristrutturazione di mense e case dello studente. L'assessore Loredana Panariti commenta
cifre alla mano l'audizione dei rettori delle Università di Trieste e Udine, secondo cui l'Italia è
fortemente indietro sulla tutela del diritto allo studio. La somma è assorbita in buona parte dai 14,4
milioni spesi a Trieste per le ristrutturazioni degli edifici E1, E2 e Gozzi. Vi si sommeranno i 5 previsti
per gli interventi in viale Ungheria a Udine. Secondo Panariti, «la situazione del sistema universitario
italiano non è semplice, ma la Regione sta facendo più che la sua parte. Crediamo che le università
siano strategiche: senza di esse non c'è futuro economico e sviluppo civile per il territorio». L'assessore
sottolinea che «le politiche regionali pongono al centro il sostegno al diritto allo studio e ai servizi per
gli studenti, centrali per attrarre iscritti da fuori e rimuovere gli ostacoli socio-economici alla
frequenza». E ricorda che nel 2015 il Fvg ha destinato «3,8 milioni all'Ardiss, per garantire un servizio
di ristorazione e abitativo di buon livello, con tariffe basse rispetto ad altre regioni. Nel 2016
completeremo anche la nuova mensa universitaria di Gorizia con un impegno da 300mila euro».
Panariti ritiene fondamentale «valorizzare il merito e ridurre l'abbandono degli studi, anche favorendo
la creazione di un sistema integrato di orientamento: per questo la Regione ha inserito il suo sistema
universitario nel programma nazionale ed europeo di “Garanzia giovani”, prevedendo 2,4 milioni fra
questo e lo scorso anno». Vi si aggiungono 1,4 milioni per le borse di studio, in affiancamento al
contributo ministeriale da 5,5 milioni: «Copriamo così il 100% degli aventi diritto, circa 2.200: siamo
una delle poche regioni a non escludere nessuno», spiega l'assessore. Fra i capitoli di spesa regionali
figurano ancora i 6,3 milioni del Fondo sociale europeo, stanziati fino al 2020 per dottorati e assegni di
ricerca nell'ambito di progetti di integrazione fra università e mondo produttivo. Sempre dal Fse
provengono 1,2 milioni del programma “Talents”, per incentivare la mobilità internazionale dei
ricercatori in uscita ed entrata. L'ultima voce è quella del finanziamento diretto alle Università e ai
conservatori del Fvg: circa 5 milioni nel 2015, di cui 800mila per le sedi decentrate di Gorizia e
Pordenone. La posta del 2016 vale al momento 4 milioni, ma la manovra di assestamento prevede di
parificare l'impego del passato. «Mi piace inoltre richiamare i 500mila euro stabiliti per il 2016 per
assegni di ricerca nelle discipline umanistiche e nelle scienze sociali, ma anche il potenziamento del
centro High Performing Computing della Sissa», evidenzia Panariti. Sul tema interviene da prospettiva
diversa anche Barbara Zilli, consigliera della Lega Nord, secondo cui «mentre i rettori denunciano che
l'accesso allo studio universitario è troppo oneroso, il governo porta avanti il progetto "U4Refugees"
per far studiare gratis rifugiati e richiedenti asilo, come segnala il Movimento universitario dei giovani
padani. I nostri ragazzi pagano rette sempre più alte, mentre chi sbarca qui domattina riceverà
un'istruzione gratuita. L'ennesima forma di razzismo al contrario».
I turchi rilanciano con una maxi offerta per la Sangalli Vetro (M. Veneto)
di Maura Delle Case SAN GIORGIO DI NOGARO Colpo di scena alla Sangalli Vetro Porto Nogaro
Spa. L’azienda, in concordato preventivo, è finita nelle mire della Sisecam, ambita a tal punto da
spingere la società turca a mettere sul piatto 90 milioni di euro. Una cifra da capogiro, ben più
sostanziosa di quella offerta mesi addietro dall’americana Guardian per 54,5 milioni di euro. Così si
rimescolano le carte in tavola, ma l’ultima parola non è detta. Anzi, è assai meno scontata di quanto
potrebbe sembrare. Guardian ha infatti tempo fino al 15 giugno per pareggiare l’offerta e portarsi a casa
l’azienda. Un diritto di prelazione che Sisecam ha però contestato, presentando reclamo alla Corte
d’Appello di Trieste contro i decreti con cui il Tribunale di Udine ha disposto le modalità di gara e tra
queste l’automatica assegnazione alla prima offerente nel caso pareggi l’offerta migliorativa.
Automatismo che il gruppo turco punta a scardinare per aprire invece una nuova gara competitiva. E’
insomma ancora presto per dire a chi andrà Sangalli. Certo è, che rispetto alle premesse di un anno fa,
quando l’impresa di San Giorgio sembrava destinata a chiudere i battenti, affossata dai 140 milioni di
debiti accumulati dal gruppo, molte cose sono cambiate. A gennaio il tribunale di Udine ha ammesso
l’impresa al concordato preventivo in “continuità diretta”, quindi - con provvedimento di marzo - ha
dato il via libera alla proposta irrevocabile d’acquisto avanzata dal player internazionale, fino alla
sorpresa di ieri con la risposta turca agli americani: 90 milioni contro 54. Tanti da far sperare più che
bene i creditori, compresi i chirografari. La procedura competitiva è stata avviata dinnanzi al giudice
delegato del Tribunale di Udine Gianmarco Calino, presenti le parti e il commissario Cecilia Toneatto,
con l’apertura dell’unica busta contenente un’offerta migliorativa a quella di Guardian. Superiore di
ben 35,5 milioni di euro, ma non ancora decisiva. Fino al 15 giugno la prima offerente avrà infatti
tempo per pareggiare. A meno di un colpo di scena in Corte d’Appello a Trieste, che si esprimerà il 25
maggio sul reclamo avanzato da Sisecam, con una sentenza dirimente per capire chi si aggiudicherà
l’impresa e se sarà o meno possibile una nuova gara. Comunque vada, il risultato per Sangalli è
garantito. E l’avvocato Giuseppe Campeis, advisor legale della procedura, ieri non ha nascosto la
propria soddisfazione «per gli esiti della attività posta in essere dalla società coll’ausilio del suo
qualificato staff consulenziale, risultati - ha detto Campeis - in concreto idonei alla massimizzazione
della tutela del ceto creditorio». Tra le cui file si conta anche Mediocredito del Friuli Venezia Giulia,
che a Sangalli ha concesso finanziamenti propri per 4 milioni e ha gestito i 70 milioni del Frie.
L’offerta presentata dall’investitore turco è dunque una buona notizia anche per l’istituto di credito «la
cui struttura interna - afferma l’avvocato Andrea Bellotto, legale della banca - ha fatto un grande
lavoro, iniziato a luglio e concluso, dopo aver lavorato quasi 7 giorni alla settimana su 7, con il rilascio
delle garanzie lo scorso lunedì, lo stesso giorno della presentazione dell’offerta». Possono tirare un
sospiro di sollievo pure i 140 dipendenti in forze all’azienda e i 40 dell’indotto, tornati a respirare dopo
l’arrivo in azienda di Bruno Venturelli, l’amministratore unico chiamato dal socio di maggioranza
Friulia spa a gestire la difficile situazione al posto del precedente Cda. In Sangalli c’è infatti anche la
presenza della Finanziaria regionale. Anzi, soprattutto di quella, visto che all’inizio del 2015, quando la
società è entrata in crisi, c’è stato un abbattimento del capitale che ha fatto saltare Friulia dal 16% delle
quote al 56%. «Ci siamo trovati a gestire Sangalli da soci di maggioranza - ricorda il direttore generale
Carlo Moser -. Decisiva è stata la nomina dell’amministratore unico, manager che in maniera brillante
e professionale ha traghettato la società fuori dalla tempesta, garantendo continuità di produzione,
ripresa delle vendite e riconquista dei clienti». Raddrizzata la barra, Sangalli è dunque pronta a farsi
valere nuovamente da leader nella produzione di vetro extra-chiaro. Non resta che capire sotto quale
bandiera.
«Oggi siamo tutti un po’ più liberi» (M. Veneto)
di Mattia Pertoldi UDINE Le unioni civili sono una legge dello Stato italiano. La svolta storica del
Paese sul campo dei diritti civili è arrivata ieri, alle 19:33, quando la Camera ha dato il suo definitivo
via libera al ddl Cirinnà con 372 voti favorevoli, 51 contrari e 99 astenuti. In precedenza, l’Aula di
Montecitorio aveva votato, con 369 deputati favorevoli e 193 contrari, la questione di fiducia posta dal
Governo sull’approvazione senza emendamenti e articoli aggiuntivi dell’articolo unico del
provvedimento per consentire che il testo non subisse alcuna modifica rispetto a quello uscito dal
Senato. Nel momento stesso in cui la presidente della Camera Laura Boldrini ha letto il risultato della
votazione, dall’emiciclo occupato dai deputati della maggioranza si è alzato un applauso scrosciante a
partire dagli scranni del Pd la cui vicesegretaria Debora Serracchiani – e presidente di quel Fvg che con
le “battaglie” dei sindaci di Udine e Pordenone ha rappresentato una sorta di apripista nazionale – ha
espresso tutta la propria soddisfazione e felicità per l’ok definitivo di Montecitorio. «Con la legge sulle
unioni civili la politica ha dimostrato di fare il proprio dovere – ha detto –: riconoscere i diritti e
combattere le discriminazioni. Dopo anni di tentativi andati a vuoto oggi (ieri ndr) l’Italia colma un
ritardo storico e centra un obiettivo su cui il Pd si è speso con convinzione, senza superficialità né
settarismi. Per questo motivo, questa è anche la vittoria di tanti cittadini, famiglie, gruppi e
associazioni, fuori da partiti e schieramenti, che hanno condiviso una lunga battaglia e fatto sentire la
loro voce. Per Serracchiani «era semplicemente giusto portare i diritti civili in Italia al livello degli altri
Paesi europei, sappiamo che tutto questo non è stato facile e non era scontato, ma oggi nel nostro Paese
c’è un pezzetto di libertà in più». E la soddisfazione di Serracchiani è la stessa espressa dal capogruppo
alla Camera – e deputato triestino – Ettore Rosato sul proprio profilo Facebook. «Quando approviamo
una legge abbiamo in mente i volti delle persone a cui cambiamo la vita – ha scritto –. C’è chi questo
cambiamento lo vive in prima persona, anche nel nostro gruppo, così vario e, per questo, così forte. E
ci porta il suo vissuto, la sua esperienza, competenza e passione. La legge sulle unioni civili parla di
diritti, di eguaglianza tra cittadini. È un traguardo coraggioso, di civiltà, cui arriviamo dopo anni di
promesse mancate, di tante difficoltà e resistenze, che abbiamo saputo superare anche grazie
all’impegno personale di due colleghe che voglio ringraziare: Monica Cirinnà e Micaela Campana, la
nostra responsabile del partito sul tema dei diritti. Un risultato cui arriviamo anche grazie alla
determinazione del Governo, deciso a inserire, anche in Italia, i diritti tra le priorità di un Paese che
vuole crescere non solo economicamente, ma anche culturalmente e socialmente. Un iter lungo due
anni che si sarebbe prestato a possibili ulteriori rinvii, attraverso i trabocchetti nei voti segreti, se non
fosse stato per il voto di fiducia. Oggi è una giornata storica e una vittoria per tutti i cittadini italiani.
Dobbiamo essere orgogliosi del nostro Paese.» Il Pd canta vittoria anche attraverso le parole
dell’europarlamentare Isabella De Monte secondo cui «vista da Bruxelles l’Italia rompe un tabù e
diventa finalmente più europea» e della segretaria regionale Antonella Grim per la quale «siamo
davanti a un grande cambiamento, simbolico e pratico, per la vita di cittadini e amministratori
pubblici», ma quella di ieri non è stata una giornata senza tensioni sia alla Camera che all’interno della
stessa maggioranza. Il deputato cattolico Gian Luigi Gigli, infatti, ha confermato il suo voto negativo
nonostante sieda tra i banchi di chi sostiene Renzi. «Questa legge è iniqua – ha dichiarato in sede di
voto di fiducia – perché, per dirla come don Milani, con essa si fanno parti uguali tra disuguali e io non
posso rinunciare al primato della coscienza su ogni valutazione politica. Thomas Moore, patrono dei
politici che per la sua coscienza salì sul patibolo, scrisse: “è già un pessimo affare perdere la propria
anima per il mondo intero; figuriamoci per la Cornovaglia”; io potrei parafrasare: figuriamoci per la
Toscana». Parole forti, ma mai come quelle del capogruppo leghista Massimiliano Fedriga che ieri ha
attaccato pesantemente maggioranza e Governo arrivando a “scontrarsi”, in serata, anche con la
presidente Boldrini. La legge sulle unioni civili «è un attacco diretto alla famiglia» secondo Fedriga che
ha esordito leggendo le dichiarazioni del premier Renzi durante la conferenza stampa di fine d’anno, lo
scorso 29 dicembre, in cui diceva che non ci sarebbe stata fiducia sulle unioni civili. «Un presidente
bugiardo che smentisce se stesso», ha affermato. Quanto al merito della legge, per il segretario
regionale del Carroccio, questa «istituisce il matrimonio gay e richiamando gli articoli del codice civile
sul matrimonio rappresenta un attacco chiaro e diretto alla famiglia». La Lega, ha concluso Fedriga,
andrà «dal popolo italiano a chiedere la sua volontà, e nella giornata di domani (oggi ndr) come
movimento annunceremo un referendum perché la parola torni finalmente a quei cittadini che mirano a
una società normale per i propri figli».
Anas entro l’anno in Autovie (Gazzettino)
Maurizio Bait TRIESTE - Un’operazione da avviare entro la fine di quest’anno quella dell’ingresso
dell’Anas nella compagine azionaria di Autovie venete. Un passo decisivo per "sostituire" le quote
possedute dai soci privati con la grande società pubblica e spianare, in tal modo, la via alla concessione
in house da parte del Governo con scadenza 2038. Per paradosso, l’acquisizione del controllo della
Serenissima Brescia-Padova da parte del Gruppo spagnolo Abertis, che di fatto sbarra la strada agli
eventuali desideri di Anas di entrarvi, è capace di incrementare l’attenzione dell’Azienda pubblica
nazionale sull’Est del Nordest, ossia sulla rete gestita da Autovie, che oltretutto "confina" con Passante
di Mestre e autostrada Venezia-Padova gestite dalla Cav, dove Anas e Regione Veneto sono socie
paritetiche al 50%.
"Riscattare" le quote dei soci privati di Autovie, secondo stime del tutto provvisorie, comporterà
un’operazione dal valore finanziario ben superiore ai 100 milioni di euro. Occorre infatti precisare che
il passaggio di titolarità delle azioni riguarderà anche quote detenute da banche e altri soggetti privati in
Friulia. La finanziaria regionale attualmente controlla Autovie, tuttavia dovrà necessariamente
spossessarsene per consentire la concessione in house: Autovie venete (o una nuova società in cui far
confluire i suoi asset) non soltanto dove’essere a capitale interamente pubblico in base al protocollo
sottoscritto dalla presidente Fvg Debora Serracchiani con il Governo, ma deve anche far capo
direttamente a Mamma Regione, con tanto di controllo analogo dei documenti contabili. Almeno in
questa prima fase, la partecipazione di Anas in Autovie sarà minoritaria, attorno al 20-25% negli
intenti, sebbene la prospettiva di lungo respiro sia un’altra: un soggetto unitario con Autovie e Cav,
dove è chiaro che la partecipazione di Anas conseguirebbe un riequilibrio al rialzo.
Non è un caso che il nuovo corso impresso all’Anas dal presidente Gianni Vittorio Armani, in esplicita
discontinuità con la "storica" gestione di Pietro Ciucci, non soltanto punto dritto a confluire in Fs
Holding come "terzo pilastro" del gruppone pubblico delle infrastrutture di trasporto, ma di più registri
la decisione (il 18 aprile scorso) di costituire un nuovo soggetto, la Anas concessioni autostradali: sarà
chiamato a gestire tutte le partecipazioni in soggetti concessionari, naturalmente Cav e prossimamente
Autovie venete incluse. Sarà con questo braccio operativo che s’intende procedere all’operazione fra
Trieste e Venezia. Sul fronte dei cantieri, dopo il complesso parere non negativo della Corte dei conti
di Trieste, Autovie aspetta a breve un’ultima valutazione - quella dell’Avvocatura dello Stato - prima di
dar corso ai lavori dello stralcio Gonars-snodo di Palmanova della terza corsia (parte del quarto lotto
Gonars-Villesse), un cantiere che vale circa 65 milioni.
CRONACHE LOCALI
Il caso Wärtsilä a Roma. Presidio in piazza Unità (Piccolo Trieste)
di Massimo Greco Trieste chiama Roma. Vedremo se e come Roma risponde. Quasi in contemporanea,
in luoghi diversi, due atti dello stesso dramma dal titolo “Wärtsilä Italia”. Un dramma vero, un dramma
dell’occupazione, che per ora riguarda un centinaio di famiglie, ma che assai facilmente potrà allargare
la sua negativa aura ad altre parti della grande fabbrica di Bagnoli e alle iniziative imprenditoriali
dell’indotto. La sentenza di primo grado, pronunciata da Helsinki, è tosta: 90 posti tagliati, addio al
reparto “ricerca&sviluppo” e alla “propulsion”. Sentenza sperabilmente attenuabile. Ma a quale
prezzo? E’una delle numerose incognite che l’appuntamento romano cercherà di dipanare. Opportuno
mettere in conto tempi di confronto non rapidissimi, misurabili in mesi: lo si è visto nelle discussioni su
Electrolux, su Ideal Standard, su Burgo, casi spinosi nei quali gli accordi sono stati raggiunti con fatica.
Perchè nella Capitale a partire dalle 15.30 si disputerà il primo round di quella che si profila una
trattativa lunga e incerta: il ministero dello Sviluppo Economico ha organizzato un tavolo a tre fra
istituzioni, azienda, sindacati. Il dicastero si affida all’esperienza di Giampiero Castano, la Regione Fvg
alla voglia di non farsi sopraffare del vicepresidente Sergio Bolzonello, il Comune triestino manda sul
“verde” di via Molise un antico sindacalista come Roberto Treu. Wärtsilä schiera Stefan Wiik e
Raffaele Ferrio, con la previsione di una première per il neo-presidente Guido Barbazza. Sull’articolato
versante sindacale le tre sigle interverranno con un mix nazional-territoriale. Fim Cisl con Carlo Anelli,
Umberto Salvaneschi, Fabio Kanidisek, Alberto Monticco, Roberto Pizzin. Fiom risponde con Bruno
Papignani,Sasha Colautti, Andrea Dellapietra e con il rinforzo genovese Pedranghelu. Mario Ghini,
Antonio Rodà e Giacomo Viola rappresenteranno Uilm. Difficile che oggi dalle urne romane esca un
responso, ma la riunione sarà comunque utile per saggiare il livello di disponibilità negoziale dei
finlandesi. Con una lieve differita di circa mezzora, a oltre 600 chilometri di distanza in direzione
Nord-Est, il presidio sindacale organizzato in piazza Unità dalle ore 16 alle 18: i presenti saranno in
collegamento telefonico con i colleghi impegnati a Roma. A sostegno della vertenza uno sciopero a
fine turno di tre ore e mezzo. Un volantino intitolato “Tutti con noi!” chiama a raccolta i lavoratori e
sottolinea la posizione assunta dalla Regione: niente soldi senza un piano e senza garanzie sulle
prospettive dello stabilimento carsolino. Domani pomeriggio alle 16, nella sede Cgil di via Pondares,
punto della situazione a cura delle segreterie generali Cgil-Cisl-Uil e delle segreterie metalmeccanici
Fiom - Fim - Uilm: aldilà del dossier Wärtsilä i sindacati sono preoccupati per la tenuta occupazionale
nel territorio triestino e meditano quali azioni intraprendere per alzare il livello di attenzione sulle
numerose situazioni critiche emerse o emergenti. Da parte sua la Camera di commercio comprende i
pericoli che s’annidano dietro la vertenza Wartsila. «Importante scongiurare i tagli del personale interviene il presidente Antonio Paoletti - perchè comporterebbero cali di produzione che a caduta
andrebbero a riversarsi negativamente sulla produzione delle imprese di sub-fornitura e sugli occupati».
La preoccupazione di Paoletti è che «se da un punto di vista industriale Wartsila è tra i principali attori
che costituiscono il Pil del Friuli Venezia Giulia in via diretta, va anche detto che sono molte le
imprese sub-fornitrici che operano nel territorio provinciale». Preoccupazione legittima, peraltro già
espressa dai sindacati e sottolineata dal caso “Sea Metal” di cui riferiamo nel box a fianco: si stimano
in circa 400 i posti di lavoro creati dall’indotto Wärtsilä.
«Indotto, Sea Metal non anticiperà la cassa»
Fim Fiom Uilm fortemente preoccupate sulle ripercussioni della "crisi Wärtsilä" sull'indotto della
fabbrica. E’ il caso della Sea Metal - ricorda una nota - azienda che impiega circa 40 addetti e che
dall'inizio dell'anno sta facendo ricorso alla Cig per fronteggiare il minor carico di lavoro appaltato
dalla stessa Wärtsilä. «In una recente discussione sulla proroga della Cassa dovuta alla situazione resa
nota dalla multinazionale finlandese pochi giorni fa, la stessa Sea Metal ha fatto sapere di trovarsi nella
difficoltà di poter anticipare il trattamento previsto dall'Inps. La diretta conseguenza è che i lavoratori
potrebbero soffrire, a fronte di una fermata del lavoro, forti disagi economici dovuti anche al ritardo
ormai cronico dell'Inps nell'anticipare il trattamento».
I candidati anti Ferriera travolgono i possibilisti (Piccolo Trieste)
di Piero Rauber Augurarle sotto elezioni cento di questi giorni sarebbe tafazziano. E infatti nessuno ci
pensa neanche stavolta. La chiusura dell’area a caldo è la bandiera di tutti. Per alcuni è un’extrema
ratio, per molti il minimo che si possa fare. Il conto esatto fa otto favorevoli già in partenza a staccare
la spina, quanto meno a cokeria e dintorni, e tre possibilisti in base ai dati ambientali (Cosolini,
Rosolen e Furlanic, si veda la tabella, ndr). Guardando però ai precedenti degli ultimi 15 anni almeno
(tra comunali e regionali le dichiarazioni di guerra si erano sprecate, salvo mai sfociare in applicazioni
all’altezza degli annunci) vien da dire che anche stavolta la Ferriera ha le sue chances di restare lì
ancora per un po’. Il recente mea culpa di Dipiazza per quanto non fatto nel suo mandato-bis, dopo aver
dato scacco a Rosato nel 2006 con i voti dei servolani, insegna. Si badi, il grado di avversità alla
fabbrica più strumentalizzata della città non è più tanto una questione di destra o sinistra. Da Un’altra
Trieste Popolare Alessia Rosolen evoca ad esempio la chiusura dell’area a caldo solo in caso di
necessità, mentre da Sinistra per Trieste Marino Sossi rinfaccia all’amministrazione Cosolini di non
averla compiuta disattendendo gli impegni di cinque anni fa. Ora, piuttosto, tale avversità trionfa al di
fuori del partitismo classico, tra civiche indipendenti e cinquestelle. Il confronto tra le posizioni degli
11 candidati sindaco sul “che fare” della Ferriera è la prima puntata di una serie di analisi sui
programmi che il Piccolo proporrà da qui al 5 giugno. I contrari più ortodossi allo stabilimento, come
detto, rappresentano le civiche extrapartiti, oltre che il Movimento 5 Stelle. Lo slogan in testa al
programma del candidato grillino Paolo Menis, che accetta comunque l’invito al confronto dei
sindacati, è «aria nuova»: «la situazione di Servola è insostenibile a causa della Ferriera». Ergo
«l’obiettivo del M5S», che «si impegna a fermare o limitare la produzione a fronte degli sforamenti
oltre il limite di legge», «è chiudere l’area a caldo». Per Menis è ora di «ordinanze restrittive», di
«revisione dell’Aia», di «ridiscussione degli accordi di programma» e pure di «diffusione» di nuove
«centraline di rilevamento degli agenti inquinanti». E Roberto Dipiazza? Ammette che «nella sua
precedente veste istituzionale è stato da sempre favorevole alla chiusura dell’area a caldo, avendo
effettuato molti tentativi senza peraltro riuscirvi, anche a fronte delle esigenze dei lavoratori... ora
ridotti a meno della metà», e rimprovera a Cosolini che, «con i dati ambientali in possesso da alcuni
mesi», avrebbe potuto limitare «immediatamente la produzione della ghisa con un’ordinanza». «La
questione della Ferriera è quindi un tema delicato», mette le mani avanti Dipiazza, confermando «pur
tuttavia la volontà di giungere in tempi brevi alla chiusura dell’area a caldo». Per Roberto Cosolini,
invece, spegnere l’interruttore dell’area a caldo non è uno scenario segnato. «Dalla verifica
dell’efficacia degli investimenti sulle emissioni dipenderà la prosecuzione o meno», appunto,
«dell’area a caldo, mentre sono stati garantiti allo stato attuale non solo la continuità produttiva ma
anche l’avvio del laminatoio e l’ampliamento del traffico marittimo», recita il suo programma, in cui si
sostiene di rimando che «l’industria è d’importanza strategica per la crescita del Pil e
dell’occupazione» e che «la presenza industriale nella nostra città dipenderà anche da quale sarà lo
sviluppo della Ferriera», e in cui si propone un patto sociale: «Ora che sono partiti investimenti
importanti, le istituzioni, l’impresa, i sindacati ed i cittadini devono trovare una coesione nel supportare
il progetto... su basi industriali sostenibili». Alessia Rosolen, qui, pensa come detto a «soluzioni
attuabili, non slogan e facili illusioni», e quindi a «un monitoraggio costante dei parametri» e anche a
«interventi puntuali per limitare la produzione dell’area a caldo». Che «sarà opportuno limitare o
chiudere definitivamente... qualora i sistemi di filtraggio non funzionassero». Un’opzione definita
«possibile» da Iztok Furlanic per Sinistra Unita, «ove dimostrato che non sia riducibile la situazione di
inquinamento». In quel caso, però, per il candidato comunista la bonifica deve essere celere «per
evitare un’altra Aquila» e va «prevista la ricollocazione immediata dei lavoratori nella rimanente
struttura». Dal possibilismo di Rosolen e Furlanic alle certezze di Marino Sossi, secondo cui «l’aquisto
della Ferriera da parte dell’imprenditore Arvedi rappresenta un fatto importante, in controtendenza alla
crisi del settore». Ma non basta perché «è necessario recuperare l’impegno per la riconversione su cui
si era impegnato il centrosinistra senza realizzarlo nelle elezioni precedenti» e «armonizzare lo
sviluppo dell’area logistico-portuale e delle nuove lavorazioni a freddo» con «una chiusura
programmatica dell’area a caldo». Da qui non si scappa. E i civici, in particolare, non transigono. Fabio
Carini di Start Up è lapidario: «La Ferriera va chiusa completamente ad ogni costo anche senza
riqualificazione» perché «la salute di tanti è prioritaria sul lavoro di pochi che, in ogni caso, vanno
avviati verso altre occupazioni». Per i candidati filoindipendentisti la ricetta si fonda sulla franchigia
portuale. Nicola Sponza prefigura la fine dell’area a caldo «perché comporta lavorazioni incompatibili
con un insediamento urbano»: i lavoratori «potranno trovare ricollocazione» tra «attività logistiche e
industria leggera» riferibili «al nuovo terminal e al retroporto». Giorgio Marchesich del Fronte per il
Tlt parla di «chiusura della Ferriera con immediato reintegro di tutti i lavoratori negli enti pubblici» e
di «istituzione di un nuovo grande terminal sulle banchine di Servola... in modo da creare migliaia di
posti di lavoro». Per Vito Potenza «la Ferriera va chiusa definitivamente» e al suo posto va rilanciato
«il progetto Amem», che «creerà più di 1.500 posti di lavoro». Cos’è? «È un progetto austriaco, non
europeo, che lo Stato e la Regione ignorano volutamente» e che «metterebbe in discussione l’off-shore
di Venezia». Il re della sintesi è Maurizio Fogar. Per lui basta la parola, o meglio il nome della sua
lista: «No Ferriera, sì Trieste».
«Pronto soccorso pediatrico, difficile allungare l’orario» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain «Allestire un Pronto soccorso pediatrico, aperto 24 ore su 24? È una richiesta non
nuova, che riemerge periodicamente. La mia risposta? È un progetto di difficile attuazione». Giovanni
Pilati, direttore generale dell’Aas Bassa Friulana-Isontina, risponde così alle sollecitazioni di tante
mamme, del sindaco Ettore Romoli, dell’assessore comunale al Welfare Silvana Romano e del
consigliere regionale forzista Rodolfo Ziberna. Il reparto di Pediatria, è risaputo, chiude alle 18:
qualsiasi cosa accada dopo questo orario ci si deve rivolgere al Pronto soccorso del San Giovanni di
Dio, o al reparto di Pediatria di Monfalcone secondo i protocolli oppure a un altro ospedale regionale.
Il più delle volte, ci si rivolge all’astanteria di Gorizia visto che è la più vicina. Il risultato? Bambini,
magari con lievi ferite causate dalla loro esuberanza, si ritrovano in fila assieme ad anziani con la
broncopolmonite o pazienti con ferite sanguinanti. Da qui, la richiesta forte e chiara di un Pronto
soccorso pediatrico. Ma la cautela di Pilati è motivata dai numeri, dalle statistiche. «Letto l’ultimo
articolo, ho disposto immediatamente che venisse fatto un approfondimento su questo tema. È emerso spiega il direttore generale - che gli accessi di bambini al Pronto soccorso di Gorizia, in assenza del
pediatra, ovvero nella fascia oraria dalle 18 alle 8, sono stati 2,7 al giorno negli ultimi quattro mesi.
Significa che sono meno di tre i bambini che, in quella specifica fascia oraria, sono costretti a servirsi
del Pronto soccorso dei “grandi”. Un altro numero: sempre negli ultimi quattro mesi, sono stati 4 i
bimbi trasferiti in altri ospedali: 2 a Monfalcone, altrettanti al Burlo Garofolo. Capite che, di fronte a
queste evidenze statistiche, è difficile pensare all’istituzione di un Pronto soccorso pediatrico?» Ma c’è
un problema ulteriore. Anche se si volesse allargare il servizio, bisogna fare i conti con «l’obiettiva
carenza di pediatri - annota Pilati - in ambito regionale e nazionale. Carenza numerica che ha anche
portato alla chiusura del Punto nascita di Latisana. I professionisti che già ci sono, vengono utilizzati
con grande attenzione, proprio perché i numeri sono risicati». Ecco perché il dg sembra chiudere le
porte all’allestimento di un Pronto soccorso pediatrico. Il suo non è un “no” a tutto tondo, parla di
“progetto di difficile attuazione”. «Ma non va certo meglio - sottolineava ieri il consigliere regionale
Ziberna - all’ospedale di Latisana (anch’esso “privato” recentemente del Punto nascita come il
nosocomio goriziano), dove il Pronto soccorso pediatrico osserva un orario di apertura dalle 8 alle 20:
un orario - attacca il consigliere regionale d’opposizione - oggettivamente insufficiente a fronte della
legittima richiesta della popolazione di Latisana di avere una copertura h24». «Chiedo, quindi, alla
giunta regionale se intenda continuare a mantenere l’orario di apertura del Pronto soccorso pediatrico di
Gorizia dalle 9 alle 18, ritenendo che per gli utenti dell’ospedale Fatebenefratelli sia preferibile, fuori
da questo orario, rivolgersi al San Polo di Monfalcone, dove verrebbero accolti da un solo pediatra che,
contemporaneamente, deve seguire le corsie del reparto e le emergenze».
Liva (Cgil): «Gli immigrati fanno i lavori più pericolosi» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Luca Perrino RONCHI DEI LEGIONARI È polemica dopo le dichiarazioni rilasciate dal sindaco di
Ronchi dei Legionari sul tema della sicurezza e dell'immigrazione. A criticare il primo cittadino
ronchese è la segreteria provinciale della Cgil, retta da Paolo Liva, la quale sottolinea come certe
esternazioni travalichino il buon senso e denotino scarsa conoscenza del tema affrontato. Un duro colpo
nei confronti del sindaco ronchese che, nei giorni scorsi, aveva avuto il suo bel daffare con le critiche,
sempre giunte dalla Cgil, sulla questione dei lavoratori socialmente utili. «Nelle competizioni elettorali
o referendarie - lamenta Liva -, molte volte si arriva al punto in cui per far valere le proprie ragioni, si
usano toni o argomenti che possono avere facile presa sui cittadini, ma possono pure creare molti danni
specie in un momento di grave crisi economica come quello che stiamo vivendo». È proprio il caso di
questa nuova querelle. Nella lettera di Fontanot, in effetti, si solleva la questione del rapporto fra
industria locale, in modo particolare la navalmeccanica, la presenza di migliaia di lavoratori immigrati
e la criminalità sul territorio. «In una realtà economica come quella della nostra provincia - continua
Liva - basata soprattutto sulla presenza del cantiere navale, che deve però fare i conti con 15mila
disoccupati, con tanti giovani diplomati e laureati che non trovano lavoro e devono andarsene, con una
popolazione di quasi 45mila pensionati e, dove, le poche nuove iniziative industriali o di sviluppo
vengono sistematicamente boicottate o bocciate, pensiamo che un amministratore o politico che sia
dovrebbe chiedersi il perché della presenza di tanti lavoratori stranieri». Tale fenomeno non si è
evidenziato solo in questi ultimi anni, ma già 15-20 anni fa, e la crisi non era ancora scoppiata; più
della metà dei lavoratori edili dell’Isontino era costituita da lavoratori stranieri provenienti
prevalentemente dall’Est europeo. Un lavoro duro e faticoso. «Oggi le migliaia di immigrati che
lavorano dentro il cantiere navale, molte volte sottopagati, ricattati e senza diritti - prosegue il
sindacalista - sono quasi tutti dipendenti di ditte italiane ma, quello che vorremmo evidenziare, è che
sono impiegati nei lavori più “sporchi”, nocivi e pericolosi». Le recenti indagini svolte dalla
magistratura, anche su denunce e segnalazioni fatte dalla Cgil, hanno dimostrato che i lavoratori
immigrati sono nella grande maggioranza dei casi, vittime di un sistema: «Dipingere poi Ronchi dei
Legionari, come una sorta di “oasi felice” immune da fenomeni di microcriminalità come la vicina
Monfalcone, ci sembra azzardato. Auspichiamo che il sindaco - aggiunge Liva - non abbia in mente di
costruire un muro con reticolati che separi la cittadina dai propri vicini, prendendo a modello quello
che stanno facendo alcuni governanti della “civile” Europa. Resta il fatto che pur in una campagna
referendaria il cui clima si sta indubbiamente surriscaldando, un primo cittadino, nel caso specifico
espressione di una giunta di centrosinistra, in un comune di tradizioni democratiche come Ronchi dei
Legionari, non dovrebbe usare simili argomentazioni che, forse, possono portare qualche voto in più,
ma creano un danno enorme sul tessuto e nella coesione sociale della nostra comunità».
Electrolux, tornano gli straordinari (Gazzettino Pordenone)
Davide Lisetto A due anni dalla firma dell’accordo che ha salvato lo stabilimento di Porcia, Electrolux
conferma una situazione di mercato migliorata, volumi in aumento (saranno un milione e 50 mila pezzi
anziché i 950 mila previsti) grazie al successo dei nuovi prodotti e incremento degli investimenti con
quasi 10 milioni di euro in più rispetto a quelli preventivati. Allo stato restano, sulla carta fino a fine
2017, circa 300 esuberi: ma anche su questo l’azienda si è impegnata per il futuro riassorbimento.
Anche se sul fronte della creazione di nuovi cento posti attraverso la reindustrializzazione ancora non
c’è assolutamente nulla, se non quattro generiche ipotesi di investimento allo studio del vertice
aziendale, nonostante le agevolazioni previste. Saranno, invece, operativi dal 2017 50 nuovi posti di
lavoro nel nuovo magazzino ricambi traslocato dalla Germania. Su questo, il sindacato, ha ricordato
all’azienda che l’accordo prevede comunque il riassorbimento di 150 esuberi anche se non dovesse
andare in porta alcuna operazione di re-industrializzazione. E anche al netto di questo a fine percorso,
cioé tra un anno e mezzo circa rimarrebbero circa 200 esuberi. Questo il quadro emerso nel vertici
ministeriale di ieri tra la multinazionale, il sindacato Fim-Fiom-Uilm e le Regioni. Non troppo buone le
notizie, al contrario, sul fronte della mancata decontribuzione: da parte del governo (era presente la
viceministro Teresa Bellanova, assente il neoministro Carlo Calenda) c’è stato comunque l’impegno a
cercare la possibilità per assicurare gli sgravi fiscali nei contratti di solidarietà anche per il biennio
2016-2017. Essendo un provvedimento che non può essere ad hoc per Electrolux ma a beneficio di una
pluralità di imprese, il governo deve trovare le risorse necessarie. Una partita che, nonostante
l’impegno, non sarà facile. A dare una mano, intanto, arrivano gli ordini che fanno aumentare i volumi.
I nuovi prodotti di Porcia - in particolare le lavatrici semi-professionali per il mercato Usa e la lavatrice
di ultima generazione a elevato risparmio energetico - richiederanno, già da giugno, un ritorno
all’orario pieno di otto ore. E per i mesi di agosto e settembre anche gli straordinari: o un’ora in più al
giorno o il sabato mattina. Su questo si dovrà aprire il confronto a livello di stabilimento. Intanto, oggi
sono previste le assemblee. «Se consideriamo - ha sottolineato il vicepresidente regionale Sergio
Bolzonello presente all’incontro - quale era la situazione nel 2013 non si può non registrare con
soddisfazione l’esito dell’incontro. Continuerà il nostro impegno poiché anche con i finanziamenti per
la ricerca e sviluppo si è consentito di realizzare proprio quei prodotti che oggi trovano successo nei
mercati».
I tentacoli dei Casamonica sulla Serrmac (M. Veneto Pordenone)
Sei cavalli con pennacchio che trainano una antica carrozza funebre, una banda che intona la colonna
sonora de “Il Padrino”, poi le musiche di «2001 odissea nello spazio» e la canzone Paradise, altra
colonna sonora, ma del film “Laguna Blu”, che accompagnano l’uscita della bara e per finire petali di
rose lanciati da un elicottero. Scene di un film? Un padrino targato 2015? Oppure uno scorcio di
Napoli? Niente di tutto questo. È la realtà e si è svolta il 20 agosto nel popolare quartiere Tuscolano
della Capitale, davanti alla Chiesa di San Giovanni Bosco, dove è stato celebrato il funerale del boss
Vittorio Casamonica. Un funerale diventato un caso politico con polemiche che investirono anche
l’allora sindaco di Roma Ignazio Marino. Recentemente il clan dei Casamonica è tornato con forza
sulle cronache dei giornali per via di una foto uscita fuori durante le polemiche legata all’inchiesta
Mafia Capitale. L’istantanea scattata nel 2010 nel centro di accoglienza Baobab, per una cena
organizzata da alcune cooperative sociali, riprendeva l’allora sindaco di Roma Gianni Alemanno con
Luciano Casamonica, incensurato ma ritenuto uno dei boss del clan e diversi esponenti politici e delle
coop.di Ilaria Purassanta wBUDOIA L’ombra dei Casamonica si allunga sul Friuli occidentale. Figura
anche la Serrmac sas di Budoia fra le aziende coinvolte nel maxisequestro di beni riconducibili a un
nuovo gruppo criminale trasversale, formato da esponenti della ’ndrangheta, della camorra e della
famiglia sinti dei Casamonica. A finire sotto sequestro 10 immobili, 43 società, 45 aziende, 30 veicoli e
rapporti bancari presso 68 istituti, per un valore complessivo di 25 milioni di euro. L’attività è il frutto
di un’indagine patrimoniale, della Divisione polizia anticrimine. Sono stati impegnati nell’operazione
gli agenti della Squadra mobile, 28 commissariati e le Divisioni polizia anticrimine di dodici questure:
Avellino, Benevento, Caserta, Frosinone, Grosseto, Milano, Parma, Perugia, Pordenone, Reggio
Calabria, Torino e Treviso. Il sequestro è scattato nei confronti di beni riconducibili a nove persone
«dall'elevato spessore criminale» e coinvolti «a più riprese in alcune attività investigative per delitti di
particolare gravità, commessi anche in forma associativa, quali traffico e spaccio di stupefacente del
tipo cocaina, proveniente dalla Calabria e destinata al mercato romano». Il provvedimento è stato
emesso, in base alla normativa antimafia, nei confronti di Francesco Filipone, 35enne, Francesco Calvi,
57 anni, Michele Mercuri 48, Alessandro Bottiglieri, 45 anni, Rocco Camillò, 35 anni, Marcello
Giovinazzo, 46 anni, Salvatore Casamonica, 27, Roberto Giuseppe Cicivelli, 47 anni e Emanuele
Lucci, 46 anni. Secondo gli inquirenti, gli indagati avrebbero utilizzato le società come contenitori per
la gestione di capitali provenienti da attività delittuose, offrendo un volto presentabile e pulito che
potesse contrattare con l’imprenditoria e la pubblica amministrazione. Dai sigilli apposti sui locali a
due passi del Vaticano alla placida provincia nella Destra Tagliamento. La Divisione anticrimine della
Questura di Pordenone ha notificato il provvedimento dell’autorità giudiziaria romana alla curatela
fallimentare della Serrmac di Budoia, per anni considerata un’eccellenza italiana nel mondo per la
costruzione dei trapani. L’azienda, secondo gli inquirenti, sarebbe entrata nell’orbita del clan dopo la
chiusura dell’attività nel 2013. Gli investigatori della polizia stanno facendo approfondimenti, ma
finora dal monitoraggio sulle attività a rischio di infiltrazione mafiosa non sono emersi elementi tali da
far pensare a un fenomeno di rilievo nel Pordenonese.
Mobile, nasce l’Uti dei ribelli (M. Veneto Pordenone)
di Claudia Stefani PRATA I sindaci Dorino Favot (Prata), Edi Piccinin (Pasiano) e Ivo Moras
(Brugnera), ieri sera al teatro Pileo di Prata hanno sguainato la spada contro la riforma delle Uti,
sostenuti dal consigliere regionale della Lega Nord, Barbara Zilli, dal sindaco di Forgaria, Pierluigi
Molinaro, e dall’avvocato Teresa Billiani, che sta portando avanti il ricorso al Tar dei Comuni contro la
legge 26. Il sindaco Dorino Favot ha ricostruito la vicenda e sottolineato le problematiche. «La Regione
ha eliminato le quattro Province e ora intende sostituirle con 18 nuovi enti – ha detto il sindaco di Prata
–. I costi aumenteranno: chi li pagherà? Sicuramente, come al solito, i cittadini. Inoltre, chi non
aderisce si vede penalizzato economicamente». Favot ha sottolineato una volta di più come la legge sia
stata calata dall’alto: «Bastava vedere l’esempio delle associazioni intercomunali per la gestione di
servizi condivisi. Queste convenzioni tra i Comuni funzionano anche adesso che dalla Regione non
arriva più un quattrino». Il sindaco di Brugnera, Ivo Moras, ha paragonato il sistema Serracchiani a una
dittatura. «Non è così che funzionano le cose – ha sostenuto Moras –: in democrazia le riforme si
condividono. Io parlo da sindaco libero, perchè sono stato votato dai cittadini. Panontin, no. Questa
riforma è stata fatta da incapaci, in quanto è già stata modificata una decina di volte, dimostrando di
non aver mai avuto le idee chiare e di non averla condivisa. Una legge così importante non può essere
calata dall’alto, privando del confronto chi la deve applicare. L’unico obiettivo di questa riforma è il
controllo del territorio, altro che diminuire i costi dei servizi per i cittadini». La mancanza di
condivisione è stata criticata anche dal sindaco di Pasiano, Edi Piccinin, che ha rilanciato l’Unione dei
tre Comuni del Mobile: «Non ho una tessera di partito – ha detto – e la mia amministrazione unisce
ideologie diverse, dunque sulle Uti il mio ragionamento è totalmente apartitico. Secondo me, c’è la
necessità di una riorganizzazione, ma non condivido il metodo: la riforma deve partire dal basso, in
quanto soltanto i sindaci conoscono il proprio territorio. La Regione ha bocciato il nostro progetto
ragionato e motivato di Uti del Mobile. Chiediamo ai cittadini di scaricare dai nostri siti internet
comunali il progetto e di venirne a discutere con noi». Il sindaco di Forgaria ha portato la sua
esperienza, criticando in particolare il nuovo clima politico portato dalla giunta regionale, che ha
azzerato il normale confronto tra maggioranza e opposizione che in Friuli era sempre stato costruttivo.
«La riforma delle Uti è un ricatto legalizzato – ha sintetizzato il consigliere regionale Zilli –: o i
Comuni aderiscono o si vedono tagliare i fondi. Una riforma degli enti locali è necessaria, ma quello
che ha fatto Serracchiani è uno schiaffo ai sindaci e, indirettamente, ai cittadini».