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17 Aprile 2016
Referendum sulle
trivellazioni in mare
1
NOTA INIZIALE
Nel redarre questa piccola ricerca abbiamo riscontrato alcune discrepanze tra le due
posizioni che abbiamo notato nei vari articoli.
Si tratta di differenze riguardanti:

il numero di lavoratori impiegati nel settore, che verrebbero coinvolti nel caso
della vittoria del “Sì”. Secondo la FIOM sono 900; secondo il comitato per il
NO si tratta di 11.000 lavoratori.

le percentuali di estrazioni e dei consumi nazionali. Secondo il comitato per il
SI è l’1%; mentre il comitato per il NO parla di un 10 %.

di conseguenza differenze sui fatturati che l’estrazione di gas e petroli in
mare produce
Da articoli e dossiers che trovate qui di seguito abbiamo verificato che le estrazioni
di gas e petrolio che derivano da piattaforme in mare soddisfano l’1% del
fabbisogno nazionale. Il restante 9% , di cui parla il comitato del NO, è di fatto la
percentuale di fabbisogno soddisfatta dalle estrazioni di gas e petrolio che
avvengono sulla terra ferma.
Solo la FIOM sottolinea che:
“La norma (in materia di concessioni come formulata dal decreto legge 133 del 12/09/2014
altrimenti detto “Sblocca Italia”) in altri termini si pone in contrasto con il diritto dell’UE e
segnatamente con la direttiva n°94/22/CE (recepita dall’Italia con il disegno legge 25
novembre 1996 n°625) che, al fine di realizzare taluni obbiettivi, tra i quali il rafforzamento
della competitività economica e la garanzia dell’accesso non discriminatorio ala attività di
prospezione, di ricerca e di coltivazione degli idrocarburi e al loro esercizio, secondo
modalità che favoriscono una maggiore concorrenza del settore, prescrive che “ la durata
dell’autorizzazione non superi il periodo necessario per portare a buon fine le attività per le
quali essa è stata concessa” e solo in via eccezionale (e non in via generale e a tempo
indeterminato) il legislatore statale possa prevedere proroghe della durata dei titoli
abilitativi, “se la durata stabilita non è sufficiente per completare l’attività in questione e se
l’attività è stata condotta conformemente all’autorizzazione”. (…)
2
Questo vuol dire che, al netto di una procedura di infrazione che l’UE potrebbe aprire nei
confronti dell’Italia, qual’ora la norma sulla durata delle concessioni arrivasse sul tavolo
della Corte Costituzionale, questa ne dichiarerebbe quasi certamente l’incostituzionalità
per violazione dell’articolo 117 comma1 della Costituzione. Se ciò accadesse, le
concessioni tornerebbero di nuovo a scadere secondo la data originariamente prevista.
Proprio come si propone ora con il referendum abrogativo. Ma con una differenza di non
poco conto: che in questa evenienza, non conoscendosi ancora né l’ora né il giorno,
sarebbe troppo tardi per intervenire per salvare quei lavoratori (900 NDR.).
http://www.fiom-cgil.it/web/comunicazione/segnalazioni/3060-referendum-il-notriv-eun-si-al-lavoro
Servizio Civile 2015/2016
Federico Ranzanici, Marco Lanzi, Maria Spiezia
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Indice
Perché è importante andare a votare ………………………...pg.5
Il Quesito del Referendum……………………………………....pg.8
Perché votare NO………………………………………………....pg.18
Perché votare SI…………………………………………………..pg.21
Il parere della CEI…………………………………………………pg.26
Il parere delle Acli Nazionali…………………………………….pg.27
Per capire di più………………………………………………..…pg.28
4
Perché è importante andare a votare

Dalla Costituzione italiana:
Art. 48
Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.
La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti
all’estero e ne assicura l’effettività. A tal fine è istituita una circoscrizione Estero per
l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma
costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge.
Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di
sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.
Art.75
È indetto referendum popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una
legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o
cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di
autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere
la Camera dei deputati.
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione
la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente
espressi.
La legge determina le modalità di attuazione del referendum.

Roberto Benigni sull’importanza del voto
Discorso tratto dallo spettacolo “La più bella del mondo”. Spettacolo dedicato
alla Costituzione italiana, andato in onda su RAI 1 il 17 dicembre 2012.
https://www.youtube.com/watch?v=BI63XbI5Vco
“Io sono davvero emozionati di presentarveli. Prima di leggerveli questi 12 principi
fondamentali, vi dico due cose: due nemici che ha la Costituzione, che sentiremo che
cos’è. I due nemici sono: l’indifferenza alla politica, cioè il disinteresse della politica.
Ora voi mi direte: “Benigni, con questi tempi che corrono ci vieni a dire di rispettare la
politica?”, no. Infatti, io non vi dico di rispettare la politica, io vi dico di amarla. Di amare
la politica. E’ la cosa più alta, la cosa più alta del pensiero umano per costruire la
nostra vita insieme, per organizzare la pace, la serenità e il lavoro. C’è solo la
politica, non è che c’è un’altra scienza, e chi se ne occupa lo sa. Quindi vi dico di
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amare la politica. Non avere interesse per la politica è come non avere interesse per la
vita. Dice: “Non mi interessa niente”, come non ti interessa la politica? Non ti interessa non
solo della tua vita ma della vita di tuo figlio, se andrà a scuola, se avrà un buon
insegnamento, se s’ammala sarà curato, se si sposerà, se troverà un lavoro! “No, non mi
interessa fate voi” … fate voi?? La vita di tuo figlio, della tua ..questa è la politica!
Organizzare la nostra vita, la costruzione della nostra vita. Coloro che hanno scritto queste
cose che sentiremo erano politici. Uomini di politica, che si occupavano di politica dalla
mattina alla sera e hanno scritto una cosa immensa, grandiosa, che si salva. Queste sono
le cose straordinarie. Per questo bisogna interessarsene, mica tanto dalla mattina alla
sera, ma è la nostra vita. Disprezzare la politica è come disprezzare sé stessi. E non
bisogna confondere l’istituzione con chi la rappresenta in quel momento. Ci sono dei
politici tremendi ma se un padre, diciamo, schiaffeggia un figlio dalla mattina alla sera non
è la paternità orribile, la paternità è meravigliosa, è quel padre che è orribile! Quel padre. E
ci sono dei politici che non amiamo ma non sono tutti uguali. Anche quelli sono frasi
tremende: quando si dice che i politici sono tutti uguali facciamo un grandissimo favore ai
cattivi, ai disonesti e agli stupidi perché è come se non li avessimo riconosciuti, loro ne
godono! “Ah! Non ci ha visti nessuno! Vieni pure te, qui non si accorge di niente
nessuno,siamo tutti uguali”. Terribile. Alimentiamo questo.
Il secondo nemico della Costituzione e del nostro vivere insieme ordinatamente e
serenamente è il voto: votare, votare è l’unico strumento che abbiamo. Ma per arrivare
al voto ci sono volute migliaia di persone morte per non dire milioni, per darci a noi la
possibilità di esprimere, di esprimere ciò che noi desideriamo. C’è sempre la differenza,
anche tra due terribili ce n’è sempre uno meno peggio. Guardate che ognuno di noi ha
più potere di quello che pensa sul mondo. Ognuno di noi porta il suo contributo
invisibile ma concreto verso il bene o il male, verso il giusto o l’ingiusto.
Piccolissimo ma c’è! La cosa più terribile è chiamarsi fuori, non votare.
Voi mi direte: “Benigni, io faccio quello che mi pare” Giusto! La Costituzione è stata scritta
proprio per la libertà ma c’è un articolo sul voto. E’ come se loro dicessero: “Tu, ti
diamo tutte le possibilità ma non ti tirare fuori, anche se sbagli e voti una cosa
sbagliata mi dai a me la possibilità di combatterti. Di dire “guarda non sono
d’accordo” e organizziamo la nostra vita!”. Ma se ti tiri fuori è terribile. E’ come Ponzio
Pilato. Vai in mano alla folla e la folla sceglie sempre Barabba. Sempre! Si dà proprio il
potere agli altri. Sempre barabba! Non bisogna farlo!”

Articolo “Quando il voto non era sanzionato” di Francesco Palladino, pubblicato
l’11 giugno 2011 sul sito “libertà e giustizia”
http://www.libertaegiustizia.it/2011/06/11/quando-il-non-voto-era-sanzionato/
(…) Ci corre l’obbligo di ricordare alcuni dati e concetti di base costituzionali. Anzitutto ha
proprio ragione il Capo dello Stato Napolitano, il quale non parla per caso, neppure
quando si esprime al di fuori dei comunicati ufficiali. Lunedì scorso il presidente ha detto:
“Io sono un elettore che fa sempre il suo dovere”, rispondendo ai giornalisti che gli
chiedevano
se
intendeva
recarsi
alle
urne
per
i
referendum.
Napolitano si mostra così assolutamente rispettoso dell’articolo 48 della Costituzione (che
6
anche LeG richiama nella home page in questi giorni): “Il voto è personale ed eguale,
libero e segreto. Il suo esercizio è un dovere civico”. E non è neppure la prima volta che
Napolitano si esprime così. Esattamente l’8 giugno 2005, a pochi giorni dal referendum
sulle norme per la procreazione assistita, Napolitano (non ancora eletto al Quirinale)
dichiarò che certamente sarebbe andato a votare, in una intervista a radio Radicale
(autore Alessio Falconio).
La pensa così anche il presidente della Camera, Fini: ” Vado a votare, perché il
referendum è una forma di partecipazione del cittadino. Può stare a casa, è un suo diritto,
ma in questo modo si incentiva l’assenza di partecipazione. Puntare sul fallimento del
quorum
sarà
anche
legittimo,
ma
è
politicamente
sbagliato”.
Naturalmente, il premier Berlusconi non può che pensarla in modo opposto a Napolitano
(e a Fini). Infatti ha detto: ” Non mi recherò a votare. E’ un diritto dei cittadini decidere se
votare o meno per il referendum”. E il ministro del Lavoro, Sacconi: “Non votare è un diritto
costituzionale”. Addirittura.
Non è proprio così. Astenersi è certo una facoltà. Ma si può anche deporre nell’urna
scheda bianca (se non ci si vuole esprimere nel merito), adempiendo così al dovere
di votare. Inoltre, l’articolo 48 sta nella prima parte della Costituzione (Titolo IV, rapporti
politici), cioè ha un valore generale, per i voti dati dagli elettori in qualsivoglia
consultazione. Non è legato solo alla parte seconda (il Parlamento, elezione della Camera,
articolo 56). E l’articolo 75 afferma che “hanno diritto” a partecipare ai referendum i
cittadini chiamati ad eleggere la Camera; si prevede il quorum della maggioranza, ma non
si dice affatto che non votare è riconosciuto come un diritto costituzionale, pur
essendo una scelta legittima. Quindi votare è “un dovere civico”. Vorrei aggiungere
che durante il dibattito alla Costituente (erano altri tempi, luglio 1946, con altri statisti!), non
passò – perché non si volle essere troppo esigenti e vincolanti – una versione del secondo
comma dell’art. 48 che così diceva: il voto è “un dovere civico e morale”. Si pensò che,
dato che si intendeva sanzionare nella legge elettorale gli elettori non votanti, non era
opportuno censurare un atto che investiva una qualità morale del cittadino. Scrupoli
costituzionali
che
oggi
sarebbero
davvero
impensabili!
In ogni caso, poiché il sottoscritto è davvero un ‘parruccone’, ricorda bene una vecchia
sentenza della Corte costituzionale presieduta da Aldo Sandulli (n.96, 2 luglio 1968): nelle
considerazioni in diritto, al punto 3, si legge che “in materia di elettorato attivo, l’articolo 48,
secondo comma, della Costituzione ha, poi, carattere universale ed i princìpi, con esso
enunciati, vanno osservati in ogni caso in cui il relativo diritto debba essere esercitato”.
Sembra abbastanza chiaro, anche per il nostro premier.
Infine ricordo che in altri tempi i cittadini non votanti per le elezioni delle Camere, venivano
sanzionati (dpr n.361 del 30 marzo 1957). Le consultazioni referendarie erano ancora
lontane. Articolo 4: ” L’esercizio del voto è un obbligo al quale nessun cittadino può
sottrarsi senza venir meno ad un suo preciso dovere verso il Paese”. Ma c’era ben di più
all’articolo
115:
“L’elettore
che
non
abbia
esercitato
il
diritto di voto, deve darne giustificazione al sindaco (….) L’elenco di coloro che si
astengono dal voto (…)senza giustificato motivo è esposto per la durata di un mese
nell’albo comunale (…) Per il periodo di cinque anni la menzione ‘non ha votato’ è iscritta
7
nei certificati di buona condotta (…)”. Naturalmente sappiamo tutti benissimo che la
sanzione per coloro che non vanno a votare non è più in vigore. La norma è stata
abrogata nel 1993. Non esiste più la sanzione, tuttavia il “dovere civico” previsto
dall’articolo 48 rimane (proprio nei termini chiariti dalla Consulta e dalle parole
inequivocabili di Napolitano). Quindi, buon voto a tutti.
Il Quesito del Referendum
La domanda che si troverà stampata sulle schede:
“Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come
sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208
“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di
vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di
salvaguardia ambientale?
Che tradotto significa
"Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti
in attività nelle acque territoriali italiane anche se c'è ancora gas o petrolio?"
Dunque chi vuole - in prospettiva - eliminare le trivelle dai mari italiani deve
votare sì, chi vuole che le trivelle restino fino all’esaurimento dei pozzi deve
votare no.
8

Articolo di Antonio Canciullo pubblicato su “la Repubblica”
http://www.repubblica.it/ambiente/2016/03/18/news/trivelle_scheda_no_si_refere
ndum-135754360/?refresh_ce
“Sì o no alle trivelle, cosa sapere per votare al referendum”
Il 17 aprile si vota sul quesito voluto da Regioni preoccupate per le conseguenze
ambientali e per i contraccolpi sul turismo di un maggiore sfruttamento degli idrocarburi.
Ecco le ragioni dei due schieramenti
ROMA - Il 17 aprile si voterà sulle trivelle. Il
referendum è stato voluto da 9 Regioni
(Basilicata, Calabria, Campania, Liguria,
Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto)
preoccupate per le conseguenze ambientali e per i contraccolpi sul turismo di un maggiore
sfruttamento degli idrocarburi. Non propone un alt immediato né generalizzato. Chiede di
cancellare la norma che consente alle società petrolifere di estrarre gas e petrolio entro le
12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Come è accaduto per altri
referendum, il quesito appare di portata limitata ma il significato della consultazione
popolare è più ampio: in gioco ci sono il rapporto tra energia e territorio, il ruolo dei
combustibili fossili, il futuro del referendum come strumento di democrazia.
La domanda che si troverà stampata sulle schede è "Volete che, quando scadranno le
concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se
c'è ancora gas o petrolio?" Dunque chi vuole - in prospettiva - eliminare le trivelle dai mari
italiani deve votare sì, chi vuole che le trivelle restino senza una scadenza deve votare no.
I due schieramenti sono rappresentate da comitati. Da una parte c'è il Comitato Vota sì per
fermare le trivelle "Il petrolio è scaduto: cambia energia!") a cui hanno aderito oltre 160
associazioni (dall'Arci alla Fiom, da quasi tutte le associazioni ambientaliste a quelle dei
consumatori, dal Touring Club all'alleanza cooperative della pesca). Dall'altra un gruppo
che si definisce "ottimisti e razionali" e comprende nuclearisti convinti come Gianfranco
Borghini (presidente del comitato) e Chicco Testa, il presidente di Nomisma energia
Davide Tabarelli, la presidente degli Amici della Terra Rosa Filippini. Ecco, punto per
punto, le ragioni dei due schieramenti.
Quanto petrolio è in gioco?
Le ragioni del sì
Secondo i calcoli di Legambiente, elaborati su dati del ministero dello Sviluppo economico,
le piattaforme soggette a referendum coprono meno dell'1% del fabbisogno nazionale di
petrolio e il 3% di quello di gas. Se le riserve marine di petrolio venissero usate per coprire
l'intero fabbisogno nazionale, durerebbero meno di due mesi.
Le ragioni del no
Secondo i calcoli del Comitato Ottimisti e razionali la produzione italiana di gas e di
petrolio - a terra e in mare- copre, rispettivamente, l'11,8% e il 10,3% del nostro
fabbisogno. (Visto che questo dato comprende anche le piattaforme che non rischiano la
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chiusura perché non sono oggetto di referendum, su questo punto le stime dei due
schieramenti non si allontanano: l'85% del petrolio italiano viene dai pozzi a terra, non in
discussione, e un terzo di quello estratto in mare viene da una piattaforma oltre le 12
miglia, non in discussione).
Qual è l'impatto del petrolio in mare?
Le ragioni del sì
A preoccupare non sono solo gli incidenti ma anche le operazioni di routine che provocano
un inquinamento di fondo: in mare aperto la densità media del catrame depositato sui
nostri fondali raggiunge una densità di 38 milligrammi per metro quadrato: tre volte
superiore a quella del Mar dei Sargassi, che è al secondo posto di questa classifica
negativa con 10 microgrammi per metro quadrato.
Inoltre il mare italiano accanto alle piattaforme estrattive porta l'impronta del petrolio. Due
terzi delle piattaforme ha sedimenti con un inquinamento oltre i limiti fissati dalle norme
comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. I dati sono stati forniti da Greenpeace e
vengono da una fonte ufficiale, il ministero dell'Ambiente: si riferiscono a monitoraggi
effettuati da Ispra, un istituto di ricerca pubblico sottoposto alla vigilanza del ministero
dell'Ambiente, su committenza di Eni, proprietaria delle piattaforme oggetto di indagine.
Le ragioni del no
L'estrazione di gas è sicura. C'è un controllo costante dell'Ispra, dell'Istituto Nazionale di
geofisica, di quello di geologia e di quello di oceanografia. C'è il controllo delle Capitanerie
di porto, delle Usl e delle Asl nonché quello dell'Istituto superiore di Sanità e dei ministeri
competenti. Mai sono stati segnalati incidenti o pericoli di un qualche rilievo. Il gas non
danneggia l'ambiente, le piattaforme sono aree di ripopolamento ittico.
I limiti presi a riferimento per le sostanze oggetto di monitoraggio e riportati nel rapporto di
Greenpeace non sono limiti di legge applicabili alle attività offshore di produzione del gas
metano. Valgono per corpi idrici superficiali (laghi, fiumi, acque di transizione, acque
marine costiere distanti 1 miglio dalla costa) e in corpi idrici sotterranei.
Fermando le trivelle perdiamo una risorsa preziosa?
Le ragioni del sì
Dopo il rilascio della concessione gli idrocarburi diventano proprietà di chi li estrae. Per le
attività in mare la società petrolifera è tenuta a versare alle casse dello Stato il 7% del
valore del petrolio e il 10% di quello del gas. Dunque: il 90-93% degli idrocarburi estratti
può essere portato via e venduto altrove. Inoltre le società petrolifere godono di un
sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più favorevoli al mondo. I posti di lavoro
immediatamente a rischio (calo del turismo, diminuzione dell'appeal della bellezza del
paese) sono molti di più di quelli che nel corso dei prossimi decenni si perderebbero man
mano che scadono le licenze.
Le ragioni del no
L'industria del petrolio e del gas è solida. Il contributo versato alle casse dello Stato è
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rilevante: 800 milioni di tasse, 400 di royalties e concessioni. Le attività legate
all'estrazione danno lavoro diretto a più di 10.000 persone.
Non fermando le trivelle perdiamo una risorsa preziosa?
Le ragioni del sì
Sì, perché le trivelle mettono a rischio la vera ricchezza del Paese: il turismo, che
contribuisce ogni anno a circa il 10% del Pil nazionale, dà lavoro a quasi 3 milioni di
persone, per un fatturato di 160 miliardi di euro; la pesca, che produce il 2,5% del Pil e dà
lavoro a quasi 350.000 persone; il patrimonio culturale, che vale il 5,4% del Pil e dà lavoro
a 1 milione e 400.000 persone.
Le ragioni del no
L'attività estrattiva del gas metano non danneggia in alcun modo il turismo e le altre
attività. Il 50% del gas viene dalle piattaforme che si trovano nell'alto Adriatico; nessuna
delle numerose località balneari e artistiche, a cominciare dalla splendida Ravenna, ha
lamentato danni.
Insistere sulle trivelle è compatibile con gli impegni a difesa del clima?
Le ragioni del sì
Alla conferenza sul clima di Parigi 194 Paesi si sono impegnati a mantenere l'aumento
della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi. Per raggiungere questo obiettivo è
indispensabile un taglio radicale e rapido dell'uso dei combustibili fossili. Per mettere il
mondo al riparo dalla crescita di disastri meteo come alluvioni, uragani e siccità
prolungate, due terzi delle riserve di combustibili fossili dovranno restare sotto terra. In
questo quadro investire sul petrolio potrebbe rivelarsi un azzardo economico.
Le ragioni del no
Il futuro sarà delle rinnovabili, ma vanno integrate perché la loro affidabilità è limitata. Sole,
acqua e vento non sono elementi che possiamo "gestire" a nostro piacimento. Non siamo
pertanto in grado di prevedere quanta energia elettrica sarà, in un dato periodo, prodotta
dal fotovoltaico, dall'eolico o dalle centrali idroelettriche. E quindi, senza i combustibili
fossili, non possiamo programmare liberamente i nostri consumi, come siamo abituati e
talvolta obbligati a fare.
I referendum servono?
Le ragioni del sì
"Si deve comunque andare a votare - afferma il presidente della Camera Laura Boldrini perché il referendum é un esercizio importante di democrazia, tanto più quando i cittadini
sono chiamati ad esprimersi senza filtri. Il mio è un invito al voto. Dopodiché ognuno vota
come ritiene più opportuno".
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Le ragioni del no
Diciamo agli italiani: "Non andate a votare, non tirate la volata a chi vuole soltanto
distruggere".
E quanto costano?
Le ragioni del sì
Il mancato abbinamento alle imminenti elezioni amministrative, deciso per rendere più
difficile il raggiungimento del quorum, ha comportato uno spreco di oltre
360 milioni - l'equivalente degli introiti annuali dalle royalties dalle trivellazioni attualmente
presenti nel Paese.
Le ragioni del no
Questo referendum non ha senso e non si doveva fare: è uno spreco di 400 milioni.

“Referendum Trivelle: le ragioni del Sì, le ragioni del No. Votare informati”
articolo di Angelo Romano e Antonio Scalari pubblicato il 16 marzo sul sito
valigia blu
http://www.valigiablu.it/referendum-trivelle/
Il dibattito sul cosiddetto “referendum anti-trivelle” si è caricato, in queste settimane, di
significati politici e simbolici che vanno al di là della stessa questione (tutto sommato
limitata) oggetto del quesito referendario. Nel confronto tra le ragioni del sì e quelle del no,
o dell’astensione, si è finito spesso per prendere di mira non le tesi, ma i loro sostenitori,
finendo per parlare di questioni molto più ampie, come il fabbisogno energetico,
l'inquinamento ambientale, i consumi. Da una parte si è evocato il rischio della “marea
nera” o dei danni al turismo, dall’altra quello della perdita di posti di lavoro e della fine di un
intero settore economico e industriale (in una polemica contro l’“ambientalismo ideologico”
e l’“Italia dei no”).
Abbiamo, perciò, messo in fila alcune delle affermazioni che in queste settimane sono
state pronunciate a sostegno del sì e del no, convinti che la correttezza degli argomenti
utilizzati in una discussione sia indispensabile per comprendere il tema e quindi votare in
modo consapevole. In un altro articolo abbiamo ricostruito tutto il percorso referendario, la
questione istituzionale e lo scontro Stato-Regioni, gli studi sulla qualità del petrolio in Italia,
la storia dei nostri giacimenti e i rischi legati alle nuove tecniche di estrazione e ricerca
idrocarburi, in particolare la tecnica air-gun e il rischio della subsidenza dei nostri suoli.
Qual è il quesito referendario?
Il testo del quesito referendario è: Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo
periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come
sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)”,
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limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto
degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale?
Nello specifico si chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di
cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti
di tempo. Nonostante, infatti, le società petrolifere non possano più richiedere per il futuro
nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia, le ricerche e le attività petrolifere
già in corso non avrebbero più scadenza certa. Il quesito referendario, quindi, non riguarda
le trivellazioni sulla terraferma, né quelle in mare che si trovano a una distanza superiore
alle 12 miglia dalla costa (22,2 chilometri), né nuove concessioni entro le 12 miglia marine,
vietate dalle norme introdotte nella legge di stabilità 2016.
Cosa succede se vince il sì?
Se il quesito dovesse passare, alla scadenza naturale della concessione, le compagnie
petrolifere non potranno rinnovare la licenza anche se i giacimenti non sono ancora
esauriti.
Cosa succede se il referendum non passa?
Se il referendum fallisse, alla scadenza delle concessioni le compagnie petrolifere
potranno chiedere un prolungamento dell’attività e, ottenute le autorizzazioni in base alla
Valutazione di impatto ambientale, potranno estrarre gas o petrolio fino all’esaurimento
completo del giacimento.
Perché la soglia delle 12 miglia?
La soglia limite delle 12 miglia è stata introdotta nel 2010 dal cosiddetto “Decreto
Prestigiacomo”, approvato subito dopo l’esplosione nel Golfo del Messico della piattaforma
petrolifera Deepwater Horizon, per la salvaguardia delle coste e la tutela ambientale. Da
allora questa soglia è stata più volte oggetto di revisioni. Nel 2012, il Decreto legge
“Misure urgenti per la crescita del Paese” del governo Monti ha esteso il limite previsto dal
precedente decreto all’intero litorale nazionale (e non solo alle aree marine protette) e ha
stabilito che le richieste delle compagnie debbano essere sottoposte alla valutazione di
impatto ambientale e al parere degli enti locali interessati. Questa rimodulazione –
ratificata dal Decreto Ministeriale 9 agosto 2013 – ha ridotto del 44% la superficie totale
delle zone marine aperte alle attività minerarie. Tuttavia, col nuovo decreto, tale divieto si
applicava solo alle nuove richieste di ricerca ed estrazione di idrocarburi in mare, salvando
tutte le richieste presentate e le concessioni autorizzate prima dell’emanazione del
Decreto Prestigiacomo, ovvero il 20 giugno 2010. La Legge di Stabilità 2016 ha stabilito il
divieto di ricerca e coltivazione idrocarburi nelle zone di mare poste entro 12 miglia dalle
linee di costa, tranne che per “i titoli abilitativi già rilasciati, fatti salvi per la durata di vita
utile del giacimento”. Una compagnia può, così, continuare a trivellare entro le 12 miglia,
se ha ottenuto la licenza prima dell’entrata in vigore della legge di stabilità 2016 e potrà
farlo fino all’esaurimento del giacimento. In altre parole, con questa norma il governo ha
messo le concessioni già autorizzate al riparo dal divieto di poter estrarre idrocarburi entro
le 12 miglia. È sparito, inoltre, ogni riferimento al parere sul rinnovo delle concessioni (che
ogni 5 anni potevano essere prorogate di volta in volta fino all'infinito) degli enti locali,
“posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attività”,
13
come recitava la vecchia legge. Questo referendum, così come è stato riformulato dalla
Cassazione, chiede, quindi, di ripristinare uniformare il divieto di estrarre idrocarburi entro
le 12 miglia così come già previsto per le nuove licenze, estendendolo anche alle
concessioni già autorizzate, consentendo loro però di restare attive fino alla scadenza
legale del permesso.
Le ragioni del Sì
Il referendum affronta diverse questioni. Innanzitutto una giuridica. Per il costituzionalista
Enzo Di Salvatore (tra i promotori dei quesiti referendari) la norma presente nella “Stabilità
2016” è «palesemente illegittima in quanto una durata a tempo indeterminato delle
concessioni viola le regole sulla libera concorrenza». La legge, prosegue Di Salvatore, in
altri termini, si pone in contrasto con il diritto dell’Unione europea e, segnatamente, con la
direttiva 94/22/CE (recepita dall’Italia con d.lgs. 25 novembre 1996, n. 625), che in materia
di ricerca e di estrazione di idrocarburi «prescrive che “la durata dell’autorizzazione non
superi il periodo necessario per portare a buon fine le attività per le quali essa è stata
concessa” e che solo in via eccezionale (e non in via generale e a tempo indeterminato) il
legislatore statale possa prevedere proroghe della durata dei titoli abilitativi, “se la durata
stabilita non è sufficiente per completare l’attività in questione e se l’attività è stata
condotta conformemente all’autorizzazione”». La conseguenza, sempre per il
costituzionalista, potrebbe essere l’apertura da parte dell’Unione Europea di una
procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia.
Poi c’è la questione ambientale. Le trivellazioni andrebbero fermate per tutelare i nostri
mari. I promotori fanno riferimento ai rischi legati alle tecniche di ricerca (la cosiddetta
tecnica air-gun) ed estrazione di idrocarburi, che, secondo loro, possono incidere sulla
fauna marina, elevando il livello di stress o provocando danni, al rischio di subsidenza
(cioè l'abbassamento della superficie del suolo, causato da fenomeni naturali o indotto
dall’attività dell’uomo), ai danni provocati da eventuali incidenti.
A queste, si aggiunge quella di politica energetica. Il voto, per i promotori, ha un grosso
valore simbolico. Un'eventuale vittoria del Sì, darebbe un segnale al governo
nell’incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili.
Infine, il referendum ha un obiettivo politico. Mira a far sì che il divieto di estrazione entro
le 12 miglia marine sia assoluto e ad evitare, qualora non si raggiungesse il quorum o
prevalesse il No, che il Parlamento un giorno possa prevedere che si torni a cercare ed
estrarre gas e petrolio ovunque, anche all’interno delle 12 miglia. Inoltre, in caso di
fallimento del referendum, potrebbe esserci il rischio che le compagnie titolari di licenze
possano anche raddoppiare le piattaforme legate alle concessioni loro assegnate.
Le ragioni del No
Contro il referendum è stato fondato il comitato “Ottimisti e razionali", presieduto da
Gianfranco Borghini, ex deputato del Partito Comunista e poi del PdS, e che vede al suo
interno, tra gli altri, Piercamillo Falasca (presidente di Stradeonline.it), Umberto Minipoli
(Associazione Italiana Nucleare), Davide Tabarelli (Nomisma) e Chicco Testa (Presidente
14
di Assoelettrica). Anche nel caso delle posizioni del comitato per il NO al referendum
possono essere individuate quattro questioni fondamentali.
La questione energetica.
L’Italia estrae sul suo territorio il 10% del gas e del petrolio che utilizza: se le concessioni
in scadenza non dovessero essere rinnovate, la quota di energia prodotta da quelle attività
estrattive non verrebbe sostituita da altrettante pale eoliche o pannelli solari, ma da
altrettanto gas naturale o petrolio proveniente da altre parti del mondo. Diventeremmo
quindi maggiormente dipendenti dai paesi fornitori come la Russia.
La questione ambientale. Se il referendum vincesse, arriverebbero in Italia più petroliere,
aumentando i rischi di inquinamento da idrocarburi nel mar Mediterraneo.
La questione sociale e occupazionale. La chiusura delle piattaforme significherebbe per
le migliaia di persone lavorano nel settore la fine dei loro posti di lavoro.
La questione politica. Il referendum è lo strumento sbagliato per chiedere al governo
maggiori investimenti nelle energie rinnovabili e, inoltre, svela, come scrive Giordano
Masini su Strade (anch’egli membro del “Comitato Ottimisti e Razionali”), «un approccio
fideistico e superstizioso ai problemi ambientali, che ne rifiuta la complessità e ne
promuove la non-soluzione irrazionale in cambio di una comoda rimozione - occhio non
vede, cuore non duole». Il referendum sarebbe, così, “intriso di sindrombe Nimby”, cioè
attento a difendere il proprio cortile, senza porsi una visione d’insieme.
Il referendum fermerà le attività di estrazione di petrolio in Italia?
No > le piattaforme presenti entro le 12 miglia, oggetto del quesito referendario, sono 92,
di cui 48 eroganti. Di queste 39 estraggono gas e solo 9 petrolio. Solo l’8,7% del petrolio
estratto in Italia è in mare. Gran parte della ricerca di idrocarburi in Italia avviene, infatti, su
terraferma. Su 107 concessioni autorizzate, 84 sono su terraferma e 23 sul fondale
marino. Le regioni in cui sono presenti pozzi a terra sono l’Emilia Romagna, il Lazio, la
Lombardia, il Molise, il Piemonte, la Sicilia, la Toscana (con i giacimenti nelle aree di
Grosseto e Pisa) e la Basilicata, dove viene estratto il 70% del petrolio nazionale.
Se vince il Sì mettiamo a rischio la nostra autosufficienza energetica?
No > perché le quantità di gas e petrolio estratte entro le 12 miglia non sono così
significative da comportare scenari da crisi energetica per il nostro paese. Giovanni
Esentato, segretario dell’Associazione Imprese Subacquee Italiane, in un post molto
condiviso su Facebook ha scritto che: In pratica con già tutte le strutture fatte, i tubi posati
sul fondo del mare e senza dover fare nessuna nuova perforazione, saremmo costretti a
chiudere i rubinetti delle piattaforme esistenti da un giorno all’altro rinunciando a circa il
60-70% della produzione di gas nazionale (gas metano stiamo parlando e non petrolio).
Non potendo da un giorno all’altro sopperire a questo fabbisogno con le fonti rinnovabili il
tutto si tradurrebbe in maggiori importazioni ed incremento di traffico navale (navi gassiere
e petroliere) nei nostri mari, alla faccia dello spirito ambientalista che anima i comitati
promotori e con sostanzioso impatto sulla nostra bolletta energetica In realtà, come scrive
15
Dario Faccini su Aspo Italia (Associazione per lo studio del piccolo per il petrolio),
basandosi sui dati ufficiali del Ministero dello Sviluppo Economico, se il referendum
passasse rinunceremmo al 17,6% della produzione nazionale di gas (pari al 2,1% dei
consumi nel 2014) e al 9,1% della produzione nazionale di petrolio (pari allo 0,8% dei
consumi nel 2014). In questo calcolo sono state prese in considerazione solo le
piattaforme eroganti, cioè funzionanti. Facendo riferimento anche ai pozzi marini senza
piattaforme, o alle piattaforme che raccolgono la produzione di pozzi a terra, la
percentuale di gas estratto cui rinunceremmo sarebbe maggiore di tre punti percentuali.
via Aspo Italia. Le 17 concessioni di gas interessate dal referendum hanno estratto 1,21
miliardi di metri cubi di gas, mentre le 4 concessioni di petrolio hanno estratto 500mila
tonnellate di petrolio. via Aspo Italia. Nel 2014, la produzione di idrocarburi in Italia ha
soddisfatto quasi il 10% del consumo totale nazionale. I nostri giacimenti hanno prodotto
7.286 milioni di metri cubi di gas (e di questi, 4.863 milioni, pari al 67%, in mare) e 5,75
milioni di tonnellate di petrolio (di cui solo 0,75 milioni in mare). via Ministero Sviluppo
Economico.
Se vince il Sì, le piattaforme chiuderanno immediatamente e saranno a rischio
migliaia di posti di lavoro?
No > perché le concessioni saranno valide fino alla loro scadenza, come era già previsto
fino al 31 dicembre 2015, prima che entrasse in vigore la norma della legge di stabilità che
ha prorogato le licenze fino all’esaurimento dei giacimento. Di tali concessioni, una scade
fra due anni, altre cinque fra 5 anni, tutte le altre scadranno tra 10-20 anni. Questo vuol
dire che prima di quelle date non si perderà un solo posto di lavoro per effetto del
referendum. Inoltre, 9 piattaforme non sono interessate dal referendum perché la richiesta
di proroga è stata fatta prima dell’entrata in vigore della legge di stabilità e,
verosimilmente, verranno concesse anche in caso di vittoria del referendum.
Con queste piattaforme, l’Italia rischia un disastro ambientale come quello che si è
verificato nel Golfo del Messico?
No, ma > Nel 2010 una esplosione avvenuta sulla piattaforma di estrazione Deepwater
Horizon provocò nelle settimane successive la fuoriuscita di più di 500mila tonnellate di
petrolio nel mare del Golfo del Messico provocando un grave disastro ambientale.
Sebbene si possa escludere che in uno degli impianti italiani che estraggono petrolio
possa accadere un disastro di queste dimensioni in termini di volume, il rischio di incidenti
c’è, anche se ad oggi non sono mai avvenuti. Come spiega Ezio Mesini, docente
dell’Università di Bologna, la struttura dei pozzi petroliferi italiani è molto diversa da quella
delle piattaforme dove si sono verificati gravi incidenti. Negli anni ‘60 nel mare Adriatico si
è verificato un incidente al largo di Ravenna, con fuoriuscita di metano ma, dice Mesini, si
è trattato di una fuga di gas con danni ambientali non paragonabili a quelli provocati dalla
Deepwater Horizon. Il Mar Mediterraneo, però, soffre già di inquinamento da idrocarburi,
causato dal trasporto di petrolio. Secondo quanto riporta l’Istituto Superiore per la
Protezione e Ricerca Ambientale (Ispra), dal 1977 al 2010 sono state sversate nel
Mediterraneo circa 312.000 tonnellate di petrolio, senza considerare alcune decine di
incidenti per i quali non è nota la quantità di greggio fuoriuscito. Nello stesso periodo di
16
tempo nei mari italiani si sono verificati 132 incidenti di cui 52 con sversamento del carico
durante il trasporto.
L’Italia dipende ancora dai combustibili fossili per i propri consumi?
Sì, ma > Come gli altri paesi anche l’Italia non può ancora fare a meno di petrolio e gas
naturali. Nel 2015, infatti, secondo l'ultimo rapporto di GSE (Gestore Servizi Energetici,
responsabile del monitoraggio statistico dello sviluppo delle fonti rinnovabili in Italia) a
livello nazionale la stima preliminare del consumo totale di energia (che include tutti i
vettori energetici) proveniente da fonti rinnovabili è stato del 17,3%, +4,3% rispetto a
cinque anni prima. Tuttavia, secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Economico, nel
2014 si è registrata una riduzione del consumo interno lordo di petrolio dell’1,8% e di gas
naturale dell’11,6% rispetto al 2013. In generale, il consumo di energia in Italia è diminuito
del 3,8%. Per quanto riguarda la produzione nazionale di energia elettrica si è registrato
un aumento del +2,8%, in particolare, proveniente dalla produzione di petrolio (+4,8%) e
da fonti rinnovabili (+4,7%), mentre è diminuita la produzione di gas naturale (-7,6%). Il
magazine Strade nota che «un terzo dell'energia elettrica che usiamo, anche quella che
tiene accesi i nostri computer e ricarica i nostri smartphone da cui scriviamo accorati
appelli "contro le trivelle", viene dal gas». Tuttavia, come mostrano i dati sul consumo
interno lordo di energia elettrica, raccolti dalla società Terna, operatore di reti per la
trasmissione dell'energia elettrica, nel 2013 la quota percentuale di energia elettrica
prodotta da rinnovabili è stata del 33,9%. Ed è salita al 37,5% nel 2014. Mentre l'energia
elettrica ricavata da fonti tradizionali è scesa dal 53,3 al 48,8%. Questi numeri dimostrano
che il contributo delle fonti rinnovabili alla produzione nazionale di energia elettrica
eguaglia (e supera) ormai quello del gas naturale (sceso dal 33% del 2013 al 29,1% nel
2014). Energia elettrica Create your own infographics Secondo un’indagine pubblicata da
"Oil Change International" a dicembre 2015, l’Italia spende in sussidi ai combustibili fossili
risorse 42 volte maggiori dei fondi destinati alle politiche climatiche. Per 84 miliardi di
dollari l’anno dati all’industria petrolifera, solo 2 vengono destinati al Fondo verde per il
clima, creato dall’ONU per catalizzare fondi da spendere in misure di adattamento e
mitigazione degli effetti del riscaldamento globale. L’Australia spende in sovvenzioni alla
dirty energy 113 volte di più ogni anno rispetto agli impegni che prende con il Fondo per il
clima, il Canada ha un rapporto di 79:1, il Giappone 53:1, il Regno Unito 48:1, l’Italia 42:1,
gli Stati Uniti 32:1, la Germania 21:1 e la Francia 6:1. via Oil Change International.
È un referendum “NIMBY”?
No > L’espressione Not In My Back Yard, letteralmente “non nel mio cortile", viene
utilizzata per definire la protesta di una comunità locale di fronte alla realizzazione di un
impianto o di un’opera in prossimità di un centro abitato, per timore di conseguenze
ambientali o sanitarie. L’acronimo NIMBY sottointende un giudizio dispregiativo nei
confronti di una protesta che si suppone essere interessata soltanto a impedire che la
realizzazione di un’opera avvenga “nel proprio cortile”, cioè vicino a casa propria, per un
atteggiamento di egoismo locale. Secondo Dieter Rucht, NIMBY sono quei «gruppi e
movimenti che vogliono liberarsi dei problemi nel loro territorio, ma non li definiscono come
questioni di principio». Il referendum del 17 aprile non può essere definito una iniziativa
NIMBY perché ha come oggetto una questione nazionale, anche se è stato presentato
17
dalle regioni. Inoltre, tra le ragioni alla base del referendum non c’è soltanto la volontà di
impedire la costruzione di piattaforme di estrazione vicino alle coste per non danneggiare
l’economia del turismo, ma c’è anche la volontà di porre al centro del dibattito nazionale il
tema della politica energetica. Gli stessi critici del referendum imputano ai sostenitori del sì
l’intenzione di voler dare un segnale politico al di là del merito del quesito. Ma se è così,
allora il referendum non può essere ridotto a una iniziativa NIMBY.
Perché votare NO

Romano Prodi: intervista di Alberto Maggi per il sito web Affari internazionali, di
venerdì 18 marzo
http://www.affaritaliani.it/politica/trivelle-romano-prodi-referendum412990.html?refresh_ce
Prodi a favore delle trivelle. "Il referendum? Un suicidio nazionale"
Romano Prodi scende in campo per il no al referendum sulle trivelle del 17 aprile (e quindi
per mantenere le cose come stanno ora). L'ex premier risponde alle domande
di Affaritaliani.it sulla consultazione che sta dividendo il Partito Democratico e sta
scatenando molte polemiche dentro e fuori il Parlamento.
Romano Prodi scende in campo per il no al referendum sulle trivelle del 17 aprile (e quindi
per mantenere le cose come stanno ora). L'ex presidente del Consiglio, impegnato per
lavoro a Mosca, risponde alle domande di Affaritaliani.it sulla consultazione che sta
dividendo il Partito Democratico e sta scatenando molte polemiche dentro e fuori il
Parlamento. "Non ci ho ancora pensato, attualmente sono in giro per il mondo", risponde
Prodi alla domanda se andrà alle urne il prossimo 17 aprile. Ma poi l'ex premier afferma:
"E' un tema importantissimo. Ci ho riflettuto bene e devo dire che mi sono sempre
schierato sull'assoluta necessità di avere, ovviamente nella massima sicurezza, una
produzione nazionale, come hanno tutti i Paesi. E' assolutamente necessario anche
attrarre gli investimenti esteri, come accade in tutte le nazioni del mondo, certamente,
come detto, garantendo la massima sicurezza. E comunque - spiega il Professore - se non
lo facciamo noi nello stesso mare lo fanno altri. Poi, sul caso specifico della consultazione
referendaria, rifletterò bene quando torno in Italia". Quanto alle polemiche nel Pd, Prodi
afferma: "Non ho visto niente di tutto questo e non posso commentare". Ma su un punto il
padre dell'Ulivo non ha alcun dubbio: "Se dovessi votare voterei certamente per
mantenere gli investimenti fatti, su questo non ho alcun dubbio anche perché è un
suicidio nazionale quello che stiamo facendo. Quindi - conclude Prodi - se voto al
referendum voto no".
18

“Un referendum paradossale che danneggia il Paese” articolo di Salvatore
Carollo da L’Unità del giorno 19 marzo 2016, pubblicato sul sito Ottimisti e
Razionali
http://ottimistierazionali.it/un-referendum-paradossale-che-danneggia-il-paese/
II 17 aprile si svolgerà in Italia un referendum paradossale, che, in caso di successo,
avrebbe come risultato un danno grave, concreto e misurabile per il Paese. Con il passare
dei giorni, anche i promotori del referendum sembrano prenderne consapevolezza e
quindi, per non perdere la faccia, parlano d’altro. Vorrebbero far credere alla gente che si
vota per proibire la ricerca di idrocarburi (gas metano e petrolio) nel mare, per evitare il
rischio di possibile inquinamento. E invece il referendum non ha nulla a che fare con le
“trivelle”. Si vota soltanto per bloccare la produzione essenzialmente di gas naturale dei
campi a mare, che si trovano a meno di 6 miglia (11 Kilometri) dalla costa. Si tratta di 31
concessioni produttive, la cui scadenza avverrebbe secondo il seguente calendario: già
scaduta nel 2014,8 nel 2016,3 nel 2017,6 nel 2018,3 nel 2019,1 nel 2020,1 nel 2021, 1 nel
2022,1 nel 2024,6 nel 2026.
In caso di vittoria del Sì il danno maggiore avverrebbe entro il 2018 (con ben 21
concessioni scadute), prima che sia possibile solo immaginare una qualsiasi riconversione
energetica. Quindi con perdita sicura di posti di lavoro, chiusura di aziende
altamente tecnologiche e danno per il sistema di approvvigionamento del paese. Si tratta
di giacimenti che, da decenni, producono gas naturale ed una quantità marginale di
petrolio, nel pieno rispetto dell’ambiente e delle condizioni di sicurezza, contribuendo in
modo rilevante alla copertura del fabbisogno energetico nazionale. Per continuare a
produrre non occorre nessuna attività di “trivellazione” aggiuntiva. Riepilogando, i
giacimenti che verrebbero a cessare l’attività produttiva: sono già in produzione e non
richiedono alcuna attività di trivellazione. La maggior parte di loro producono gas naturale,
una energia pulita e che sarà sempre più indispensabile per la transizione verso energie
alternative e per il rispetto dei vincoli di COP21; Sono un modello nel mondo per gli
standard di rispetto ambientale. Intorno a questi impianti di produzione (piattaforme) si
sono formati spontaneamente dei parchi marini, che contribuiscono alla ripopolazione
della fauna ittica e di alcune specie in estinzione; sono impianti industriali di altissima
tecnologia, progettata e realizzata da imprese italiane, con livelli di sicurezza elevatissimi
che non hanno paragone in nessun’altra attività produttiva; hanno consentito la nascita di
aziende italiane, che, intorno a questa attività nel territorio nazionale, sono diventate e
continuano ad essere leader mondiali di questo settore, grazie allo sviluppo continuo di
nuovi standard tecnologici, ambientali e di sicurezza; hanno garantito un alto valore
economico della produzione degli idrocarburi, una importante attività delle imprese
collegate in Italia ed all’estero, posti di lavoro altamente qualificati. Il traino verso il settore
della ricerca e dello sviluppo tecnologico è immenso. Tutto questo rischia di essere
spazzato via dal referendum. Senza dimenticare che la chiusura anticipata (ovvero prima
che siano stati estratti tutti gli idrocarburi presenti nel giacimento) potrà creare gravi
contenziosi con alti costi per lo Stato e problemi ambientali e di sicurezza per la gestione
della chiusura degli impianti ed il ripristino dei siti sottomarini.
19
I promotori di questo referendum odierno sono alcuni governi regionali italiani, ovvero le
Istituzioni del Paese che dovrebbero garantire lo sviluppo e l’occupazione nei territori che
governano. E’ singolare che di questo gruppo facciano parte regioni che, dalla produzione
di idrocarburi in Italia, hanno ricevuto una spinta decisiva allo sviluppo dei loro territori e
delle loro popolazioni. Pensiamo soltanto a cosa è significato il processo di
metanizzazione del paese, reso possibile dalla scoperta di idrocarburi nazionali, a partire
dagli anni ’50. Alcuni territori italiani sono passati dal Medio Evo all’epoca moderna. Grazie
al progetto di uomini come Enrico Mattei, è stata costruita una rete di metanodotti ampia e
diffusa in tutto il paese, che comprende oggi anche le piccole località dell’entroterra
appenninico, una volta isolati e poverissimi. Se giriamo il paese non vediamo traccia dei
metanodotti costruiti. Il rispetto ambientale è stato garantito in modo totale. Verrebbero
messi in discussione oltre 130.000 addetti di alto profilo professionale legati alle attività di
produzione di idrocarburi, di cui 32 mila per le attività svolte in Italia e 100.000 nelle attività
che le stesse imprese svolgono all’estero, grazie al prestigio e know how acquisito nelle
attività nazionali. La perdita di prestigio e di leadership che queste imprese giocano oggi
nel mondo, grazie alle esperienze maturate nelle attività nazionali, finirebbe per
coinvolgere più complessivamente il complesso delle esportazioni di beni, servizi ed
impiantistica infrastrutturale che oggi supera i 100 miliardi di Euro.
Purtroppo, i soli che non si rendono conto di queste possibili conseguenze emergenze
sono i promotori del referendum, gli stessi che non hanno brillato per i modelli di governo
dei loro territori e che sono state alla ribalta per ragioni molto più prosaiche. Il vero
referendum sarà sul quesito: Dobbiamo distruggere un patrimonio di immenso valore
economico, industriale, tecnologico, lavorativo, altamente ecologico, solo per consentire
ad alcuni Governatori di Regioni di portare avanti i modelli di governo del territorio che
abbiamo ben conosciuto negli ultimi anni? Credo che i cittadini dovrebbero mostrare di
non essere strumentalizzabili da questi politici non curanti degli interessi del Paese, non
degnandoli nemmeno di un voto (nei referendum, per fortuna, questo è possibile senza
tradire il proprio senso civico).
20
Perché votare SI

Articolo pubblicato il 7 marzo sul sito rinnovabili.it
http://www.rinnovabili.it/ambiente/trivelle-referendum-votare-si-333/
L’appello del Comitato promotore alla Camera dei Deputati
Trivelle, referendum: votare SÌ è un atto dovuto
A meno che non siate petrolieri, al referendum sulle trivelle dovreste votare sì. Tutti i motivi
e le modalità per partecipare
Sappiamo che il mare vicino alle trivelle è inquinato da sostanze cancerogene in due casi
su tre. Sappiamo che il petrolio recuperabile (se fosse destinato interamente
all’autotrazione) soddisferebbe il consumo italiano per appena 7 settimane. Sappiamo che
In Italia le compagnie pagano il 10% di royalties, contro l’80% chiesto da Norvegia e
Russia, e non versano nulla se tirano fuori meno di 20 mila tonnellate di idrocarburi in terra
e 50 mila in mare. Sappiamo che per fermare cambiamenti climatici devastanti dobbiamo
chiudere i rubinetti del petrolio e aprire la porta alle rinnovabili.
Ci serve altro per votare sì al referendum del 17 aprile?
Era un po’ questo il senso della conferenza stampa tenutasi alla Camera questa mattina,
momento in cui il Comitato promotore della consultazione ha illustrato i contenuti della
campagna referendaria e il nuovo simbolo. A comporre il Comitato sono i rappresentanti
Consigli regionali di Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia,
Sardegna e Veneto, insieme al comitato nazionale “Vota Sì per fermare le trivelle“,
costituito dalle realtà associative e culturali, delle imprese della green economy, del
turismo, dell’agricoltura e del settore del mare.
Che cosa dice il quesito sulle trivelle
I promotori chiedono di eliminare la norma che permette alle società petrolifere di cercare
ed estrarre idrocarburi entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza nessuna
scadenza. In futuro non potranno più chiedere concessioni, ha stabilito il governo, ma ai
titoli abilitativi già rilasciati ha tolto la data di scadenza. Perciò il quesito propone quanto
segue: «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal
comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”,
limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto
degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?».
Per abrogare la norma è necessario votare sì. Il voto si terrà domenica 17 aprile in tutta
Italia. Possono esprimersi anche gli italiani all’estero.
Un referendum politico
«Il referendum ha un valore politico per mettere gli italiani in condizione di scegliere, dopo
la Conferenza di Parigi, quale politica energetica adottare», ha tenuto a sottolineare Piero
21
Lacorazza, presidente del Consiglio regionale della Basilicata e convinto sostenitore
dei No Triv.
Secondo Lacorazza «il referendum non metterà a rischio nessun posto di lavoro. Anche
per questa ragione faccio un appello ai parlamentari per chiedere di promuovere il
referendum e mandare i cittadini alle urne».
Il tempo è pochissimo, complice anche l’accelerata del governo spalleggiata dal
presidente della Repubblica. Mattarella non ha atteso il pronunciamento della Corte
costituzionale, che arriverà mercoledì 9 marzo, su due quesiti ancora in sospeso. Anche
se la Consulta ammetterà i quesiti oggetto di ricorso, essi saranno oggetto di un’altra
consultazione (con ulteriori costi a carico dei contribuenti). Mancano infatti i 45 giorni da
destinare per legge alla campagna referendaria.

Vademecum del Referendum del 17 Aprile del Coordinamento Nazionale No TRIV
http://www.notriv.com/wp-content/uploads/2016/03/VADEMECUMREFERENDUM-DIFENDI-IL-TUO-MARE-AL-REFERENDUM-DEL-17-APRILE-VOTASI.pdf
Il prossimo 17 aprile si terrà un referendum popolare. Si tratta di un referendum
abrogativo, e cioè di uno dei pochi strumenti di democrazia diretta che la Costituzione
italiana prevede per richiedere la cancellazione, in tutto o in parte, di una legge dello Stato.
Perché la proposta soggetta a referendum sia approvata occorre che vada a votare
almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto e che la maggioranza dei votanti si
esprima con un “Sì”.
Hanno diritto di votare al referendum tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto la
maggiore età. Votando “Sì” i cittadini avranno la possibilità di cancellare la norma
sottoposta a referendum.
Dove si voterà?
Si voterà in tutta Italia e non solo nelle Regioni che hanno promosso il referendum. Al
referendum potranno votare anche gli italiani residenti all’estero.
Quando si voterà?
Sarà possibile votare per il referendum soltanto nella giornata di domenica 17 aprile.
Cosa si chiede esattamente con il referendum del 17 aprile 2016?
Con il referendum del 17 aprile si chiede agli elettori di fermare le trivellazioni in mare. In
questo modo si riusciranno a tutelare definitivamente le acque territoriali italiane. Nello
specifico si chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare
ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di
tempo. Nonostante, infatti, le società petrolifere non possano più richiedere per il futuro
nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia, le ricerche e le attività petrolifere
già in corso non avrebbero più scadenza certa.
Se si vuole mettere definitivamente al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere occorre
votare “Sì” al referendum. In questo modo, le attività petrolifere andranno
22
progressivamente a cessare, secondo la scadenza “naturale” fissata al momento del
rilascio
delle
concessioni.
Qual è il testo del quesito?
Il testo del quesito è il seguente: «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo
periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come
sostituito dal comma 239 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”,
limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto
degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?».
È possibile che qualora il referendum raggiunga la maggioranza dei “Sì” il risultato
venga poi “tradito”?
A seguito di un eventuale esito positivo del referendum, il Parlamento o il Governo non
potrebbero modificare il risultato ottenuto. La cancellazione della norma che al momento
consente di estrarre gas e petrolio senza limiti di tempo sarebbe immediatamente
operativa.
L’obiettivo del referendum è chiaro e mira a far sì che il divieto di estrazione entro le 12
miglia marine sia assoluto. Come la Corte costituzionale ha più volte precisato, il
Parlamento non può successivamente modificare il risultato che si è avuto con il
referendum, altrimenti lederebbe la volontà popolare espressa attraverso la consultazione
referendaria.
Qualora però non si raggiungesse il quorum previsto perché il referendum sia valido (50%
più uno degli aventi diritto al voto), il Parlamento potrebbe fare ciò che vuole: anche
prevedere che si torni a cercare ed estrarre gas e petrolio ovunque.
È vero che se vincesse il “Sì” si perderebbero moltissimi posti di lavoro?
Un’eventuale vittoria del “Sì” non farebbe perdere alcun posto di lavoro: neppure uno. Un
esito positivo del referendum non farebbe cessare immediatamente, ma solo
progressivamente, ogni attività petrolifera in corso.
Prima che il Parlamento introducesse la norma sulla quale gli italiani sono chiamati alle
urne il prossimo 17 aprile, le concessioni per estrarre avevano normalmente una durata di
trenta anni (più altri venti, al massimo, di proroga). E questo ogni società petrolifera lo
sapeva al momento del rilascio della concessione. Oggi non è più così: se una società
petrolifera ha ottenuto una concessione nel 1996 può – in virtù di quella norma – estrarre
fino a quando lo desideri.
Se, invece, al referendum vincerà il “Sì”, la società petrolifera che ha ottenuto una
concessione nel 1996 potrà estrarre per dieci anni ancora e basta, e cioè fino al 2026.
Dopodiché quello specifico tratto di mare interessato dall’estrazione sarà libero per
sempre.
L’Italia dipende fortemente dalle importazioni di petrolio e gas dall’estero. Non
sarebbe opportuno, al contrario, investire nella ricerca degli idrocarburi e
incrementare l’estrazione di gas e petrolio?
23
L'aumento delle estrazioni di gas e petrolio nei nostri mari non è in alcun modo
direttamente collegato al soddisfacimento del fabbisogno energetico nazionale. Gli
idrocarburi presenti in Italia appartengono al patrimonio dello Stato, ma lo Stato dà in
concessione a società private – per lo più straniere – la possibilità di sfruttare i giacimenti
esistenti. Questo significa che le società private divengono proprietarie di ciò che viene
estratto e possono disporne come meglio credano: portarlo via o magari rivendercelo.
Allo Stato esse sono tenute a versare solo un importo corrispondente al 7% del valore
della quantità di petrolio estratto o al 10% del valore della quantità di gas estratto.
Non tutta la quantità di petrolio e gas estratto è però soggetta a royalty.
Le società petrolifere non versano niente alle casse dello Stato per le prime 50.000
tonnellate di petrolio e per i primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti ogni anno e godono
di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più favorevoli al mondo.
Nell’ultimo anno dalle royalty provenienti da tutti gli idrocarburi estratti sono arrivati alle
casse dello Stato solo 340 milioni di euro.
Il rilancio delle attività petrolifere non costituisce un’occasione di crescita per
l’Italia?
Secondo le ultime stime del Ministero dello Sviluppo Economico effettuate sulle riserve
certe e a fronte dei consumi annui nel nostro Paese, anche qualora le estrazioni petrolifere
e di gas fossero collegate al fabbisogno energetico nazionale, le risorse rinvenute
sarebbero comunque esigue e del tutto insufficienti. Considerando tutto il petrolio presente
sotto il mare italiano, questo sarebbe appena sufficiente a coprire il fabbisogno nazionale
di greggio per 8 settimane.
La ricchezza dell’Italia è, in verità, un’altra: per esempio il turismo, che contribuisce ogni
anno circa al 10% del PIL nazionale, dà lavoro a quasi 3 milioni di persone, per un
fatturato di circa 160 miliardi di euro; la pesca, che si esercita lungo i 7.456 km di costa
entro le 12 miglia marine, produce circa il 2,5% del PIL e dà lavoro a quasi 350.000
persone; il patrimonio culturale, che vale 5,4% del PIL e che dà lavoro a circa 1 milione e
400.000 persone, con un fatturato annuo di circa 40 miliardi di euro; il comparto
agroalimentare, che vale l’8,7% del PIL, dà lavoro a 3 milioni e 300.000 persone con un
fatturato annuo di 119 miliardi di euro e che nel solo 2014 ha conosciuto l’esportazione di
prodotti per un fatturato di circa 34,4 miliardi di euro; e soprattutto la piccola e media
impresa, che conta circa 4,2 milioni di piccole e medie “industrie” (e, cioè, il 99,8% del
totale delle industrie italiane), e che costituisce il vero motore dell’intero sistema
economico nazionale: tali imprese assorbono l'81,7% del totale dei lavoratori del nostro
Paese, generano il 58,5% del valore delle esportazioni e contribuiscono al 70,8% del PIL.
Il solo comparto manifatturiero, che conta circa 530.000 aziende, occupa circa 4,8 milioni
di addetti, fattura 230 miliardi di euro l’anno, equivalente al 13% del PIL nazionale, e
contribuisce al totale delle esportazioni del Made in Italy nella misura del 53,6%.
Però gli italiani utilizzano sempre di più la macchina per spostarsi. Non è un
controsenso?
Ciò che si estrae in Italia non è necessariamente destinato alla produzione del carburante
per le autovetture ed ancor meno per quelle in circolazione nel nostro Paese. Ad ogni
modo, gli italiani si trovano spesso costretti ad utilizzare l'auto di proprietà.
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A fronte di un sistema di trasporti pubblici gravemente lacunoso non hanno praticamente
scelta. In alcuni Paesi del Nord Europa l’utilizzo dell'auto privata è spesso avvertito come
un “peso” e ritenuto economicamente non vantaggioso.
Le cose andrebbero diversamente se si perseguisse una seria politica dei trasporti
pubblici. Secondo l’Unione europea, rispetto agli altri Stati membri, l’Italia è al riguardo agli
ultimi posti.
Cosa ci si attende?
Il voto referendario è uno dei pochi strumenti di democrazia a disposizione dei cittadini
italiani ed è giusto che i cittadini abbiano la possibilità di esprimersi anche sul futuro
energetico del nostro Paese.
Nel dicembre del 2015 l’Italia ha partecipato alla Conferenza ONU sui cambiamenti
climatici tenutasi a Parigi, impegnandosi, assieme ad altri 185 Paesi, a contenere il
riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi e a seguire la strada della
decarbonizzazione.
Fermare le trivellazioni in mare è in linea con gli impegni presi a Parigi e contribuirà al
raggiungimento di quell’obiettivo.
È necessario, nel frattempo, affrontare il problema della transizione energetica, puntando
anche sul risparmio e sull’efficienza energetica e investendo da subito nel settore delle
energie rinnovabili, che potrà generare progressivamente migliaia di nuovi posti di lavoro.
Il tempo delle fonti fossili è scaduto: è ora di aprire ad un modello economico alternativo.
Perché questo referendum?
Per tutelare i mari italiani, anzitutto. Il mare ricopre il 71% della superficie del Pianeta e
svolge un ruolo fondamentale per la vita dell’uomo sulla terra. Con la sua enorme
moltitudine di esseri viventi vegetali e animali – dal fitoplancton alle grandi balene –
produce, se in buona salute, il 50% dell’ossigeno che respiriamo e assorbe fino ad 1/3
delle emissioni di anidride carbonica prodotta dalle attività antropiche.
La ricerca e l’estrazione di idrocarburi ha un notevole impatto sulla vita del mare: la ricerca
del gas e del petrolio attraverso la tecnica dell’airgun incide, in particolar modo, sulla fauna
marina: le emissioni acustiche dovute all’utilizzo di tale tecnica può elevare il livello di
stress dei mammiferi marini, può modificare il loro comportamento e indebolire il loro
sistema immunitario.
Ricerca e trivellazioni offshore costituiscono un rischio anche per la pesca. Le attività di
prospezione sismica e le esplosioni provocate dall’uso dell’airgun possono provocare
danni diretti a un’ampia gamma di organismi marini – cetacei, tartarughe, pesci, molluschi
e crostacei – e alterare la catena trofica.
Senza considerare che i mari italiani sono mari “chiusi” e un incidente anche di piccole
dimensioni potrebbe mettere a repentaglio tutto questo.
Un eventuale incidente – nei pozzi petroliferi offshore e/o durante il trasporto di petrolio –
sarebbe fonte di danni incalcolabili con effetti immediati e a lungo termine sull’ambiente, la
qualità della vita e con gravi ripercussioni gravissime sull’economia turistica e della pesca.
25
Il parere della CEI

“I vescovi votano sì al referendum sulle trivellazioni” Articolo di Claudio Vigolo
pubblicato il 18 marzo sul sito
http://www.lifegate.it/persone/news/vescovi-votano-si-al-referendum-sulletrivellazioni
I vescovi votano sì al referendum del 17 aprile sulle trivellazioni. La decisione è
comprensibile, soprattutto ricordando il messaggio dell'enciclica sull'ambiente di papa
Francesco.
Il tempismo dei vescovi italiani nel dichiararsi favorevoli al dibattito sul referendum sulle
trivellazioni sembra quasi sospetto all’indomani dell’invito all’astensione del Partito
democratico (Pd).
Sta di fatto che nel comunicato finale del Consiglio episcopale permanente della
Conferenza episcopale italiana (Cei) che si è chiuso a Genova si legge testualmente che
“l’attenzione all’aspetto sociale ha portato i vescovi a confrontarsi anche sulla
questione ambientale e, in particolare, sulla tematica delle trivelle – ossia se
consentire o meno agli impianti già esistenti entro la fascia costiera di continuare la
coltivazione di petrolio e metano fino all’esaurimento del giacimento, anche oltre la
scadenza della concessioni – concordando circa l’importanza che essa sia dibattuta
nelle comunità per favorirne una soluzione appropriata alla luce dell’enciclica
Laudato Si’ di papa Francesco”.
Già in precedenza il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, si era
espresso molto chiaramente, con un editoriale sul quotidiano dei vescovi Avvenire, in cui
si chiedeva di non trivellare i mari. La cosa più importante, ha spiegato Galantino, è
“coinvolgere gli abitanti, chi di quel mare vive. Gli slogan non funzionano, bisogna creare
spazi di incontro e confronto”.
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Il parere delle Acli Nazionali
 Referendum 17 aprile sulle trivelle: le Acli per il SÌ ; articolo del 23 marzo 2016
http://www.acli.it/le-notizie/news-nazionali/10717-referendum-17-aprile-sulle-trivellele-acli-per-il-si
La Presidenza nazionale delle Acli ha deciso di aderire al Comitato per il Si al
referendum del 17 aprile per fermare le trivelle per l'estrazione di idrocarburi nei
mari italiani.
«Il primo appello che rivolgiamo al corpo elettorale – spiega Alfredo Cucciniello,
responsabile Cittadinanza attiva della Presidenza nazionale Acli – è quello per il voto. É
importante recarsi a votare, per non sciupare questa occasione di partecipazione
democratica su un tema di primaria importanza come quello energetico e ambientale.
Infatti, il quesito sulle trivelle chiama in causa temi di primaria importanza: l’ambiente, il
lavoro, la salute, la vocazione turistica del Paese, lo sviluppo sostenibile.
In secondo luogo – prosegue Cucciniello - le Acli invitano a votare Sì per contribuire a
riavviare un dibattito sull'esigenza di pensare ad un modello energetico pulito, basato sulle
energie rinnovabili; il tempo delle fossili è finito. Le quantità di gas e petrolio che estraiamo
nei nostri mari sono esigue rispetto al fabbisogno nazionale. Le attività estrattive sono
inquinanti, con impatti sull'ambiente e sull'ecosistema marino con danni al turismo, alla
fauna e all'attività di pesca.
Eventuali incidenti avrebbero effetti disastrosi, dato che il Mediterraneo è chiuso; dal 1977
al 2010 si sono verificati nel Mediterraneo 132 incidenti con 52 volte in cui c'è stata
dispersione del carico (312.000 tonnellate di petrolio in mare). Alla COP 212 di Parigi
l'Italia si è impegnata a contenere il riscaldamento e ad abbandonare le fonti fossili. In ogni
caso – conclude Cucciniello - non vi sarebbero effetti sull'occupazione in quanto in caso di
vittoria del SI, verrebbe meno solo la possibilità di proroga delle concessioni e non
determinerebbe la cessazione immediata delle estrazioni; alcune concessioni scadono
infatti tra 20 anni».
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Per capire di più
 Dal sito ENI Scuola
http://www.eniscuola.net/argomento/petrolio/dallestrazione-allutilizzo/trasporto-delpetrolio/
Il petrolio è presente in quantità apprezzabili per poterne avviare la produzione, solo in
alcune zone della Terra. Pertanto la maggior parte di esso deve essere trasportato per
raggiungere le raffinerie e i luoghi di consumo. L’Italia, ad esempio, deve importare il
91,4% del petrolio che consuma da altri paesi (Fonte dei dati: eni, World Oil & Gas Review
2014).

Royalties : dal sito http://www.petrolioegas.it/lo-sviluppo/royalty/
Le compagnie petrolifere che estraggono idrocarburi in Italia devono versare allo Stato il
valore di una quota percentuale del greggio o gas estratto (aliquota di prodotto), chiamato
comunemente royalty.
Dal 2010 per le estrazioni in terraferma è
applicata un’aliquota royalty del 10% sulle
quantità di petrolio e gas estratti mentre per le
estrazioni offshore le royalties si differenziano
dal 2012 in due aliquote: 10% sulla quantità di
gas naturale estratto e 7% sul petrolio.
Le somme incassate dallo Stato vengono in seguito distribuite tra le Regioni e i Comuni
interessati dalle attività di estrazione degli idrocarburi seguendo specifiche direttive
comprese nel decreto legislativo n.625/1996, nelle leggi n.140/1999, n.99/2009 e
n.134/2012.
Le procedure di controllo sulla quantità
d’idrocarburi estratti prevedono una verifica
della produzione da parte dell’ufficio di
competenza
territoriale
Napoli) U.N.M.I.G. del
(Bologna,
Roma,
Ministero
dello Sviluppo Economico e per la Sicilia
dell’URIG (Ufficio Regionale Idrocarburi e Geotermia) e per la Sardegna dall’Ufficio Attività
Estrattive dell’Assessorato Industria.
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Roylaties: Legambiente “14,7 miliardi di euro ogni anno in Italia per incentivare le
fonti fossili. Legambiente presenta tutti i numeri degli aiuti ai combustibili fossili in
Italia e nel mondo”
http://www.legambiente.it/contenuti/comunicati/147-miliardi-di-euro-ogni-anno-italiaincentivare-le-fonti-fossili-legambienteSussidi alle trivellazioni - Sono diversi i sussidi indiretti e gli sconti applicati a coloro che
sfruttano le risorse fossili nel territorio italiano. Un esempio sono le irrisorie royalties
previste per trivellare in Italia, che sono pari al 10% e del 7% per il petrolio in mare. Inoltre,
sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato le prime 20 mila tonnellate di petrolio
prodotte annualmente in terraferma, le prime 50 mila tonnellate prodotte in mare, i primi 25
milioni di metri cubi standard di gas estratti in terra e i primi 80 milioni di metri cubi
standard in mare. Addirittura sono esentate dal pagamento di qualsiasi aliquota, le
produzioni in regime di permesso di ricerca. Se in Italia avessimo portato le royalties al
50%, nel 2014 ci saremmo trovati invece che un gettito di 401,9 milioni di euro circa con
uno da 1,9 miliardi.

Roylaties: Fiom
http://www.fiom-cgil.it/web/la-fiom/eventi/2984-17-aprile-referendum-contro-letrivellazioni-a-mare-perche-votare-si
Non tutta la quantità di petrolio e gas estratto è però soggetta a royalty.
Le società petrolifere non versano niente alle casse dello Stato per le prime 50.000
tonnellate di petrolio e per i primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti ogni anno e godono
di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più favorevoli al mondo.
Nell’ultimo anno dalle royalty provenienti da tutti gli idrocarburi estratti sono arrivati alle
casse dello Stato solo 340 milioni di euro.

Perché votare sì in 13 punti: le motivazioni di Green Peace
http://www.greenpeace.org/italy/it/Cosa-puoi-fare-tu/partecipa/referendumtrivelle/faq/

http://www.legambiente.it/contenuti/dossier/dossier-texas-italia-luglio-2010

http://www.legambiente.it/sites/default/files/docs/stopseradrilling_dossier_0.pdf
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