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PRIMO PIANO
Giovedì 14 Aprile 2016
Si è detto che è stato abolito. Invece sopravvive, com’è capitato del resto alle Province
Senato, i funerali sono prematuri
La soluzione migliore sarebbe stata la cancellazione
DI
MARCO BERTONCINI
S
enato, addio! Tale la
lettura della riforma
costituzionale che in
questi giorni viene
data da molti commentatori. È stato celebrato, un
po’ anzitempo,
il funerale della camera alta.
Invece la soluzione adottata è
pasticciata, opaca, confusa, e in
ogni modo non
affossa il senato. Esattamente
come la prevista
soppressione
delle province
non ha affatto
abolito le province.
Le doglianze
sul bicameralismo perfetto
si sprecavano.
La pubblica
opinione è stata persuasa
che la duplice lettura delle
leggi sia un ostacolo, una
perdita di tempo, un orpello politico-burocratico. Così
non sarebbe proprio, perché
per limitare i danni causati
dalla legiferazione nostrana
ci vorrebbero non due, bensì
quattro letture, e ancora non
basterebbero.
Ammettiamo, tuttavia, che
si dovesse superare l’attuale
sistema, anche per ridurre
costi e poltrone della politi-
Vignetta di Claudio Cadei
ca. Ebbene: la soluzione lineare consisteva nel cancellare
palazzo Madama dalle sedi
istituzionali. Via il Senato;
ma via davvero. Non più due
camere, bensì un monocameralismo. Questo sì avrebbe
significato dire addio al senato.
Invece si è preferito
tenere in vita un senato
a mezzo servizio, sostituendo gli eletti dal popolo con
un’oligarchia di consiglieri
regionali e sindaci. In comp e n s o, i l p a strocchio è tale
che l’articolo 70
della Costituzione, sul procedimento legislativo, è passato
(l’hanno notato
più deputati nel
dibattito) da
una riga a 79.
In luogo di
semplificare, si
è complicato. È
mancato il coraggio di compiere un’operazione chirurgica
semplice: si è
scelto il compromesso, che ha
recato in un ginepraio già
adesso diffi cilmente districabile, come emerge dai
contrapposti progetti per
l’elezione (o la nomina o la
scelta o la designazione…)
dei futuri senatori.
GIANNI MACHEDA’S TURNAROUND
Panama papers, il premier inglese prima nega i conti
all'estero e poi ammette di avere delle quote. Cameron
con svista.
***
Ritrovo degli ufologi a Pomezia. Gente che vede cose
senza poterne provare l'esistenza. Tipo Renzi con la
ripresa economica.
***
Salone del Mobile: quella particolare settimana
dell'anno in cui su Milano invece della solita nebbia
si posa la fuffa.
***
È morto Casaleggio. Movimento senza stelle.
È esattamente quel che
si è compiuto con le province. Era stata determinata una pressione mediatica,
senz’altro ben vista dalla
pubblica opinione, per semplificare gli enti territoriali.
In luogo di abolire le regioni
(soluzione che sarebbe stata
eccellente sotto i più diversi
aspetti) si è deciso di cancellare le province.
Così non è stato, perché le
province, di cui è stata vantata la soppressione, ci sono
ancora, con tanto di amministratori, di sedi, di dipendenti, di incombenze. La vera
soppressione riguarda l’elezione popolare. Però la classe
politica vanta di aver detto
addio alle province. L’unico
risultato concreto sarà quello di aumentare le cosiddette aree vaste, ovviamente
tenendo in vita migliaia di
sottostanti comuni. In luogo
di semplificare, anche in questo caso si è complicato.
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TORRE DI CONTROLLO
Biografie scomode: Montanelli diceva di avere fatto il partigiano,
ma a farlo fuggire da San Vittore furono un agente Ovra e una SS
DI
L
TINO OLDANI
a stroncatura che Serena
Gana Cavallo ha dedicato su ItaliaOggi all’ultima
biografia-santino di Indro
Montanelli è un raro esempio di
competenza storica e di indipendenza di giudizio. A differenza dei tanti
recensori che si limitano a copiare i
risvolti di copertina o i comunicati
stampa della case editrici, Gana Cavallo ha letto la fatica letteraria del
giornalista Salvatore Merlo («Fummo giovani soltanto allora»; Mondadori), ne illustra le imprecisioni più
clamorose, e boccia il volume senza
appello: «Purtroppo un dejà vu, per di
più poco lavorato e alquanto sciatto».
Tra gli svarioni segnalati, Montanelli
che diventa balilla a 13 anni, cinque
anni prima che il fascismo introducesse quella istituzione. Ma anche il
tentativo di spacciarsi, a guerra finita, per amico del comandante di una
formazione partigiana in Val d’Ossola, nonché vicecomandante della
medesima, dopo essere stato uno dei
massimi cantori del fascismo.
Su quest’ultimo punto (il presunto partigiano Montanelli),
Gana Cavallo suggerisce «ai futuri,
immancabili biografi» di colmare le
lacune con la lettura di alcuni libri,
compreso quello della storica svizzera Renata Broggini (Passaggio in
Svizzera - l’anno perduto di Montanelli; Feltrinelli, 2007). Condivido. Nei
suoi saggi, Broggini ha raccontato le
vicende dei rifugiati e degli esuli italiani, che tra il 1943 e il 1945 cercarono asilo in Svizzera per sfuggire alle
persecuzioni politiche e razziali. Tra
questi, vi fu anche Montanelli, che
dopo l’8 settembre 1943 non aderì alla
Repubblica sociale e fu considerato,
per questo, un traditore dai fascisti.
Per sfuggire all’arresto, il giornalista
cercò di mettersi in contatto con Filippo Beltrami, capo partigiano in
Val d’Ossola. Ma ancora prima di incontrarlo, mentre era ospite sul Lago
d’Orta dell’industriale Mario Motta
(antifascista e tramite con Beltrami),
venne scoperto e arrestato dai fascisti.
A tradirlo, un biglietto incautamente
inviato a Milano alla moglie, che a
Milano era controllata dai repubblichini. Montanelli e la moglie finirono
in prigione, mentre Motta e Beltrami,
di lì a poco, furono trucidati.
«Il massimo della sua resistenza partigiana Montanelli l’ha fatta
in villa Motta», testimoniò a guerra
finita Giuliana Beltrami, vedova
del capo partigiano, con un certo risentimento. Ma poiché Montanelli
continuava a ripetere ai suoi biografi
di essere stato un partigiano, Broggini decise di appurare la verità, consultando i meticolosi archivi svizzeri sui
rifugiati, e interrogando protagonisti
e testimoni. Cercò di parlare anche
con Montanelli, ma questi, dopo essersi fatto anticipare le domande, rifiutò
di incontrarla. Aveva capito che Broggini era arrivata ad alcune verità scomode sulla sua fuga in Svizzera, che
smentivano la favola del Montanelli
partigiano, mentre svelavano aspetti inconfessabili, soprattutto un suo
ruolo doppiogiochista, in accordo con
la polizia repubblichina e, addirittura,
con il capo della Gestapo a Milano,
Theodor Saewecke.
Montanelli, nelle biografie a lui
gradite, ha sempre detto che, dopo
l’arresto, era stato condannato a morte, e di essere sfuggito alla fucilazione
soltanto perché aiutato dai partigiani
a evadere dal carcere di San Vittore.
Tutto falso, sostiene Broggini, documenti alla mano: nessuna condanna
a morte è mai stata emessa contro di
lui. Quanto all’evasione, a farlo uscire
da San Vittore è stato nientemeno che
il più abile doppiogiochista della Repubblica sociale, il poliziotto dell’Ovra
Luca Ostèria, alias «dottor Ugo», che
agiva d’intesa con Saewecke, SS, noto
fucilatore di partigiani. La guerra volgeva al termine e la sconfitta dei nazisti era data per scontata. Così, molti
fascisti cercavano di farla franca.
L’obiettivo di Ostèria era di servirsi di Montanelli per infiltrarlo
tra i politici esuli e accreditarsi come
salvatore di partigiani, dopo esserne
stato, in realtà, un tenace persecutore.
Per questo, il primo agosto 1944 fece
scarcerare Montanelli e lo accompagnò in macchina fino al valico svizzero
tra Varese e il Canton Ticino. Sulla
stessa vettura, c’erano altri due prigionieri, liberati dal dottor Ugo per
confondere le carte: una ricca donna
americana, Dorothy Gibson Bru-
latur, ex stellina del cinema muto, e
il generale Bortolo Zambon, figura
di secondo piano del Cln Alta Italia.
L’auto percorse l’autostrada da Milano a Varese, e sia in entrata che in
uscita, il dottor Ugo superò i controlli
grazie a un salvacondotto firmato da
Saewecke. Anche il passaggio della
frontiera, vigilata da repubblichini
e soldati nazisti che non esitavano a
sparare, non fu un problema. Mentre
a molti costò la vita: tra questi, due
giovani cugini di Carlo De Benedetti, che nel libro racconta a Broggini
la sua drammatica fuga notturna in
Svizzera, nel varco di una rete, per
sfuggire alle leggi razziali.
A fine guerra, Montanelli ebbe
modo di ringraziare Saewecke,
quando costui fu processato a Torino
per numerosi crimini, compresa la
fucilazione a piazzale Loreto di 15
prigionieri di San Vittore, luogo scelto
poi dai partigiani per la «macelleria
messicana» sulle salme di Mussolini
e dei gerarchi fascisti. Era il 1999,
racconta Broggini, e Montanelli testimoniò a favore di Saewecke: «Non era
un carnefice, ma solo un ex ufficiale di
marina, che si trovava suo malgrado a
comandare le SS, non voleva uccidere
nessuno». Quanto a Ostèria, «era un
bravissimo agente dei servizi segreti
militari». Giudizi che indignarono i
parenti delle vittime. E Montanelli:
«Io me ne fotto dei loro rumori». Ecco,
il grande giornalista, additato come
maestro, è stato anche questo.
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