La rassegna di oggi

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – mercoledì 13 aprile 2016
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
La “battaglia delle Uti” si deciderà al Tar (Piccolo)
Visentin (Federmeccanica): «Basta aumenti a pioggia uguali per tutti» (Gazzettino)
Fumi oltre i limiti in Ferriera, un indagato (Piccolo)
La Cgil: sull’aborto il sistema pubblico garantisca il servizio (M. Veneto)
«Aborto in ospedale Tempi troppo lunghi» (Piccolo)
Salute, caccia ai dati sensibili (Gazzettino)
Serracchiani: danneggiati dai controlli al Brennero (M. Veneto)
CRONACHE LOCALI (pag. 8)
La Burgo riduce gli esuberi da 150 a 57 (Piccolo Trieste)
Disabili licenziati, il Pd contesta l’Area (Piccolo Trieste)
Farinetti: «Eataly aprirà il primo ottobre» (Piccolo Trieste)
Ruba due milioni alla Regione e se li gioca (Piccolo Trieste, 2 articoli)
Crisi a “La Giulia”, sono 15 gli esuberi (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Chiuse altre 110 imprese in sei mesi, ma la disoccupazione non aumenta (Piccolo Go-Monf.)
Assedio al Pronto soccorso. In un anno 30mila pazienti (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Cecot: «Al Cara servizi al ribasso» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Palini e Bertoli: salta il bonus per 116 dipendenti (M. Veneto Udine)
Alla Ziac gli scavi di Trieste. Servono 3,3 milioni per smaltirli (M. Veneto Udine)
Ecco il progetto per raddoppiare la linea da Udine a Cervignano (M. Veneto Udine, 2 articoli)
«Guardia pediatrica da maggio» (M. Veneto Udine)
«Coopca, liquidazione da rivotare» (Gazzettino Udine)
Ciriani, in lista coop ed ex Cgil (Gazzettino Pordenone)
Mille studenti in marcia per l’Area giovani del Cro (Gazzettino Pordenone)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
La “battaglia delle Uti” si deciderà al Tar (Piccolo)
di Marco Ballico TRIESTE Qualche passo avanti c’è, dice l’Anci Fvg riservandosi una risposta
definitiva oggi, dopo la riunione del comitato esecutivo. Macché, ribattono Forza Italia e Lega, per
nulla convinti dal tentativo di mediazione di Paolo Panontin sulle Uti. Un’apertura, quella
dell’assessore regionale alle Autonomie al tavolo politico sulla riforma, che riguarda le funzioni da
gestire e la scadenza del termine per l’approvazione dei bilanci preventivi (dal 30 aprile al 30 giugno),
non i tempi di applicazione del nuovo assetto (l’istituzione delle Uti resta fissata il 15 aprile), tanto
meno i criteri di finanziamento delle Unioni per il 2016, con conseguente, confermata sforbiciata nei
trasferimenti del 7,5% per le amministrazioni che non ci stanno. I punti di vista, insomma, non
coincidono. A Barbara Zilli, che ufficializza l’uscita dal tavolo del Carroccio, e a Riccardo Riccardi,
capogruppo di Fi, che parla di «perdita di tempo», ribattono Diego Moretti, capogruppo del Pd, e
Vincenzo Martines, presidente della quinta commissione: «Elementi positivi, è stata ribadita l’utilità
del confronto». Una contrapposizione che, di fatto, non avvicina nemmeno di un po’ una soluzione non
giudiziaria. Non sembrano esserci più dubbi sul fatto che, il 26 maggio, il Tar Fvg sarà chiamato a
pronunciarsi sulla novantina di ricorsi dei sindaci ribelli. Di fronte all’incalzare delle richieste di Anci,
Uncem, Cal e delle forze politiche, Panontin risponde comunque con alcune proposte. Quella che
incassa i maggiori consensi riguarda le funzioni assorbite dalle Uti. Le Unioni potranno partire, il 1
luglio, gestendo a scelta tre sole funzioni di quelle elencate nell’articolo 26 della legge 26/2014, mentre
quelle dell’articolo 27 verranno modificate, ricomprendendo i servizi finanziari e contabili e il controllo
di gestione all’interno del “pacchetto” da poter svolgere anche in forma associata, attraverso una
semplice convenzione, o da parte di un comune unico, sempre che raggiunga il limite dei 10mila
abitanti in pianura e dei 3mila in montagna. Ritocchi che sembrano soddisfare l’Anci. «Si può avviare
un percorso utile da raggiungere a tappe che prevede ancora modifiche minime alla norma - commenta
il presidente Mario Pezzetta -, spostando l’idea di penalizzare finanziariamente i Comuni per le
funzioni non strategiche e riconoscendo principi obiettivi di adeguatezza per rimodulare gli aspetti
finanziari». Se per quest’anno il 7,5% non si discute, fa sapere infatti Panontin, «potremmo prevedere
per le annualità successive un graduale aumento dell’importo fisso dei trasferimenti ordinari di parte
corrente a beneficio esclusivo delle Uti nella misura del 10-15% per il 2017 e del 15-20% per il 2018,
in sostituzione del fondo perequativo». Inoltre, rispondendo alle preoccupazioni sui bilanci comunali
l’assessore anticipa che, in presenza di istanza motivata dell’Anci, verranno prorogati a fine giugno i
termini di presentazione del bilancio preventivo. Le reazioni, a porte aperte, non mancano. Alle
certezze del Pd che tira dritto si contrappongono le perplessità di Ettore Romoli, presidente del Cal:
«C’è una positiva volontà di dialogo civile, ma non vedo passi avanti. Ed è molto grave che a decidere
l’assetto istituzionale della regione sarà la magistratura: è la sconfitta della politica». Da Fi e Lega
arriva poi una totale bocciatura nei confronti della maggioranza. «Se una riforma significa mettere
insieme protezione civile, statistica e catasto lasciando fuori il sistema socio assistenziale, l’unica
funzione già collaudata, siamo alle “varie ed eventuali”», denuncia Riccardi. Da Zilli, che attende
risposte oggi in aula a un’interrogazione urgente, arriva invece un attacco diretto alla presidente:
«Inaccettabile che Serracchiani non si sia mai presentata al tavolo di una partita cruciale per il Friuli
Venezia Giulia. Il risultato è che si è trattato di un grande bluff che ha visto infine Panontin limitarsi ai
contentini».Visentin:
Visentin (Federmeccanica): «Basta aumenti a pioggia uguali per tutti» (Gazzettino)
Gli industriali metalmeccanici "sfidano" Confindustria e sindacati alla rivoluzione dei contratti. «Noi di
Federmeccanica abbiamo fatto scelte precise e chiediamo che la nuova squadra di Vincenzo Boccia
porti avanti effettivamente questo cambiamento nelle relazioni industriali», avverte Federico Visentin,
vice presidente della federazione di punta dell’industria italiana con 1,6 milioni di addetti. A una
settimana dello sciopero generale unitario dei sindacati previsto per il 20 aprile, l’imprenditore
vicentino della Mevis di Rosà (70 milioni di fatturato, 500 addetti, fabbriche di molle e componenti per
auto vicino a Bassano, in Slovacchia e in Cina) rilancia la sfida della modernizzazione: «Stiamo
perdendo tempo sul rinnovo del contratto. Ci lascia l’amaro in bocca che i sindacati stiano sposando la
logica del conflitto, noi dobbiamo lavorare insieme. Ma niente aumenti a pioggia uguali dappertutto:
così si scontenterebbe solo i dipendenti delle aziende che vanno bene e si aggraverebbe la situazione di
quelle in crisi».
Il sindacato denuncia: l’integrativo ce l’ha solo un terzo delle aziende e non le piccole imprese?
«Intanto il 37% delle aziende vale l’80% degli occupati. E poi io rilancio: dobbiamo lavorare per
introdurre il secondo livello anche nelle piccole imprese, per farle crescere insieme col sindacato».
Come spiega questo muro contro muro?
«Delle volte sembrano posizioni dettate di più da questioni di tipo politico. Noi in ogni caso vogliamo
lanciare un messaggio forte: le imprese devono puntare sulle persone e non abbiamo intenzione di
smantellare il contratto nazionale, che rimarrà a garantire il potere d’acquisto. E, ricordo, negli ultimi
tre anni abbiamo erogato 75 euro lordi in più al mese rispetto all’inflazione reale».
Non è che volete far concorrenza ai cinesi?
«Non puntiamo ai tagli di costi: con le differenze che abbiamo nei confronti con altri Paesi vicini non
ne andremmo fuori. Dobbiamo fare in modo che le nostre imprese valorizzino i propri talenti, cerchino
mercati nuovi e poi distribuiscano la ricchezza che creano».
Il governo dopo tante riforme ora sembra imballato. Renzi distratto da altri problemi?
«Non ci sono risorse e quindi c’è difficoltà a intervenire, ma credo che il governo non sia entrato in
campo soprattutto perché è consapevole che questa riforma dobbiamo farla insieme noi e il sindacato. Il
giorno in cui sarà imposta dall’alto e qualcuno dovrà soccombere non sarà una vittoria per nessuno».
Ma il sindacato è ancora rappresentativo?
«Come Confindustria anche il sindacato ha questo problema. Ma di fronte abbiamo delle persone non
dei sindacati, è al loro interesse che dobbiamo guardare».
Confindustria paga la fuga in avanti dei chimici, che hanno già sottoscritto il loro nuovo contratto?
«È un po’ prematuro dire questo: tutti quanti stiamo attendendo Boccia, dobbiamo dargli tempo di
creare una squadra. Facciamo un atto di fede, lui ha indicato la proposta di Federmeccanica come
quella da seguire. Certo è che bisogna mettersi a lavorare su questa strada con determinazione, non si
può lasciare che le cose arrivino da sole. Per questo ci aspettiamo che nella sua squadra vengano scelte
persone che abbiano competenze e determinazione. Che poi ci sia un metalmeccanico o altri è lo stesso.
Anche se uno di noi conosce a fondo le dinamiche».
Temete sorprese?
«Ci sono segnali che ci lasciano perplessi. C’è chi propone di aumentare il reddito disponibile per
aumentare i consumi. Ma aumentare il reddito a pioggia in tasca ai dipendenti se deve passare
attraverso un aumento dei costi delle imprese significa non rendersi conto della pressione
concorrenziale internazionale. Renzi con gli 80 euro non mi sembra che abbia innescato quella gran
crescita dei consumi. La questione vera è che dobbiamo rendere più forti le nostre imprese. Questa è
politica industriale».
Senta, c’è chi sottolinea: i chimici fanno man bassa di posti nel cda del Sole 24 ore. Secondo lei è vero?
«Il Sole ha avuto problemi, in parte superati, ma c’è ancora da lavorare. Devono essere scelte persone
di competenza e determinazione, mi auguro che chi ha selezionato il cda abbia scelto persone con
queste caratteristiche. Ma non dobbiamo creare divisioni, quello che conta è Confindustria».
Fumi oltre i limiti in Ferriera, un indagato (Piccolo)
di Corrado Barbacini TRIESTE Sono 33 gli sforamenti nelle emissioni di polveri, fumi e gas della
Ferriera di Servola accertati dalla Procura nel periodo tra ottobre 2014 e giugno 2015 e cioè prima
dell’entrata in campo di Arvedi. Lo ha stabilito l’ultima inchiesta triestina, che è stata gestita prima dal
pm Giorgio Milillo e successivamente dal magistrato Nicola Russo. Nel mirino dei pm è finito
Francesco Rosato, già amministratore unico della Siderurgica Triestina e gestore dello stabilimento di
cui per anni è stato direttore ai tempi della Lucchini. I reati contestati sono il mancato controllo e la
mancata manutenzione degli impianti e il mancato rispetto della precedente Aia (Autorizzazione
integrata ambientale), in particolare per quanto riguarda le disposizioni relative all’altoforno e alla
cokeria. Sotto accusa, poi, il mancato impedimento delle emissioni diffuse di fumi, gas e polveri. La
Procura, dopo l’analisi di eventuali valutazioni da parte della difesa, preparerà la citazione a giudizio.
La contestazione per il reato di imbrattamento rappresenta l’ultimo atto di una lunga vicenda
giudiziaria sull’attività della Ferriera. Solo pochi mesi fa il pm Federico Frezza aveva avviato un’altra
identica indagine relativa a otto episodi di sforamenti, accertati da Marco Boscolo, consulente per le
questioni di inquinamento dell'impianto di Servola. E anche in quella circostanza nel mirino era finito
Francesco Rosato, accusato di una serie di violazioni legate all’omesso controllo del ciclo produttivo,
alla mancata adozione dei migliori apparati antiinquinamento, alla carente o ritardata manutenzione di
alcune parti dell’impianto della cokeria oltre che al non rispetto dell’Aia. Tutto questo è accaduto dopo
la cessione da parte del commissario liquidatore della Lucchini, Piero Nardi, al gruppo Arvedi. Un altro
fascicolo sulla situazione ambientale della Ferriera di Servola era stato aperto il 17 agosto del 2013 in
assoluta sincronia con le operazioni propedeutiche all’affitto dello stabilimento da parte del gruppo
Arvedi di Cremona. Lo scopo del magistrato in quella circostanza era monitorare il livello degli
sforamenti prima che subentrasse la nuova proprietà. Questo appunto per fare chiarezza anche alla luce
di eventuali responsabilità. Che a questo punto, dopo la cessione, secondo la Procura, sono comunque
emerse. In particolare i magistrati hanno accertato che, in relazione alla cokeria, non è stata effettuata
una manutenzione adeguata e non sono state curate una serie di operazioni tecniche che, secondo i
piani, avrebbero dovuto evitare o quantomeno limitare i problemi di inquinamento. Gli stessi problemi
che il consulente Marco Boscolo aveva indicato nel poderoso report realizzato durante la prima fase
delle indagini.
La Cgil: sull’aborto il sistema pubblico garantisca il servizio (M. Veneto)
UDINE «Va garantita in tutte le strutture pubbliche una presenza adeguata di medici non obiettori.
Prima di tutto a garanzia delle donne che devono ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, ma
anche dei medici che la praticano, vittime di una sorta di segregazione professionale, dal momento che
le elevate percentuali di obiezione fanno gravare sulle spalle di pochi l’onere di garantire il diritto
all’aborto». È quanto chiede Orietta Olivo, responsabile sanità e welfare della Cgil Fvg, il giorno dopo
la sentenza del Comitato diritti sociali del Consiglio d’Europa, che ha giudicato fondato il ricorso con
cui la Cgil, già nel 2013, aveva denunciato le lacune nell’attuazione della legge 194. Un “verdetto” che
evidenzia troppe difficoltà riscontrate dalle donne in Italia per abortire nelle strutture pubbliche, ma
anche che i medici non obiettori, pochi e discriminati, sono vittime di «svantaggi lavorativi diretti e
indiretti». «La sentenza del comitato è importante – commenta Olivo –, anche se arriva più di due anni
dopo il ricorso della Cgil. Con questa decisione, di fatto, si riconosce infatti che nel nostro Paese, in
materia di aborto, i diritti delle donne vengono violati. È se è vero che in Fvg non emergono problemi
della gravità rilevata in altre regioni, collegati alle percentuali di obiezione, i tempi dell’interruzione
volontaria di gravidanza risultano comunque dilatati, con il rischio di avvicinare pericolosamente il
periodo più critico per la salute delle donne, rendendo più dolorosa e meno sicura un’esperienza già
tremenda come l’aborto». Per invertire questa tendenza, che inevitabilmente alimenta il ricorso alle
cliniche private, alle strutture estere e purtroppo anche all’aborto clandestino, la Cgil reputa quindi
doveroso e indispensabile, conclude Olivo, «che il servizio pubblico garantisca una prestazione
sanitaria e un diritto previsti dalla legge».
«Aborto in ospedale Tempi troppo lunghi» (Piccolo)
Anche in Fvg i tempi di attesa per le donne che vogliono accedere all’interruzione di gravidanza sono
eccessivamente lunghi. Lo denuncia la responsabile Welfare della Cgil, Orietta Olivo, all’indomani del
richiamo all’Italia fatto dal Consiglio d’Europa.
Salute, caccia ai dati sensibili (Gazzettino)
Maurizio Bait TRIESTE - Coniugare il diritto alla privacy con il diritto alla salute? Si può, ma è meno
facile di quanto si potrebbe pensare. Mentre partono le prime Aggregazioni funzionali territoriali (Aft)
dei medici di famiglia, da costituire entro la fine di giugno, e mentre si pongono le premesse operative
per la medicina di gruppo e i Centro di assistenza primaria, i medici di famiglia lanciano una proposta
alla Regione su un terreno fra i più delicati: il trattamento delle informazioni sanitarie sulla persona.
Occorre che il medico sappia sempre tutte le informazioni disponibili sul malato che ha di fronte. E il
passare del tempo non giova. Una buona riuscita degli intenti riformatori della Regione (e per buona
riuscita deve intendersi esclusivamente un’assistenza più efficiente) deve garantire la fruibilità dei dati
personali del paziente a tutti i professionisti della salute. Non soltanto il proprio medico di fiducia, ma
anche l’operatore del pronto soccorso o il medico di guardia che interviene - è un classico - in piena
notte su una persona del tutto sconosciuta. Questo medico "sconosciuto" deve poter attingere al
fascicolo personale del paziente, ossia a tutte le informazioni sulla sua "storia" sanitaria. E deve poterlo
fare in tempo reale per intervenire con efficacia e sicurezza. Quali malattie ha avuto quella persona?
Quali farmaci ha assunto? A quali accertamenti si è sottoposta?
Ma c’è di mezzo la privacy: prima di qualsiasi prestazione, con le nuove norme, il cittadino-paziente
deve sottoscrivere per il consenso (o il dissenso) un documentone di 14 pagine. Le firme complessive
sono 8 e commettere errori materiali non è l’ultima delle eventualità. È possibile permettere la
circolazione delle notizie personali a livello di Servizio sanitario regionale o soltanto a livello
dell’Azienda territoriale di residenza o anche, nella misura più restrittiva, al solo medico di famiglia.
Ma in teoria (raramente in pratica) è possibile negare il consenso anche a lui.
«Finora riteniamo che abbia firmato per il consenso soltanto una parte dei cittadini - spiega il segretario
regionale della Federazione medici di famiglia, Romano Paduano - anche se la stragrande maggioranza
di chi risponde lo fa in modo affermativo». Tuttavia sussiste uno zoccolo duro importante: esisistono
quelli del "no" al consenso, quelli del "no" parziale e i tanti che ancora non hanno firmato un bel niente.
Ecco perché i medici di base si rendono disponibili a confrontarsi con Mamma Regione per organizzare
una raccolta di consensi nei loro ambulatori, loro che sono e resteranno sempre la Sanità più vicina alle
persone e insieme il suo snodo decisivo. Ma attenzione: «Non vogliamo essere obbligati a conservare,
integrare e aggiornare i dati», precisa Paduano, poiché tali operazioni rappresenterebbero un peso
eccessivo. La cosa è tuttavia facilmente risolvibile: basterebbe immettere i consensi in una piattaforma
riservata della Sanità regionale.
Serracchiani: danneggiati dai controlli al Brennero (M. Veneto)
di Domenico Pecile UDINE È sempre più gelo tra il Friuli Venezia Giulia e l’Austria. Dopo lo scontro
sulla vicenda Hypho Bank, il nuovo fronte è stato aperto dalla decisione viennese di avviare i lavori per
il “muro anti-immigrati” al Brennero. Una chiusura che - come ieri ha riferito la presidente della
Regione, Debora Serracchiani - «può determinare delle rotte diverse e portare dei problemi al Friuli
Venezia Giulia». E intanto sale il pressing del nostro governo sia su Vienna sia sull’Ue perchè l’Austria
receda da una decisione che viene giudicata non rispettosa delle regole europee. Da Teheran, dove si
trova in visita, il premier Matteo Renzi ha affermato di avere «chiesto agli uffici europei e
all’ambasciatore a Bruxelles Calenda di verificare tutti i passaggi normativi a livello Ue per chiedere
conto della correttezza rispetto alle leggi europee» di fronte all’iniziativa sul muro al Brennero «che sta
facendo l’Austria: abbiamo un rapporto di amicizia ma esigiamo e pretendiamo che siano rispettate le
regole europee». «Abbiamo chiesto - ha aggiunto - formalmente a Calenda di procedere per capire se la
procedura dell’Austria si attenga alle regole europee, peraltro non ci sono comunicazioni formali,
siamo ai giornali e alle agenzie». E da Washington, dove pure si trova per una visita, il ministro
dell’Interno, Angelino Alfano, ha detto che «la decisione, se fosse vera, sarebbe inspiegabile e
ingiustificabile», nel mentre l’Austria parla di «agitazione incomprensibile dell’Italia». La ministra
dell’Interno austriaca, Johanna Mikl-Leitner, ha riferito infatti che «i lavori al Brennero saranno
applicati come pianificato, cosa che ho annunciato settimane fa e ho messo chiaramente sul tavolo
anche la scorsa settimana, a Roma». Ieri, come accennato, Serracchiani ha sottolineato che «da più
parti, anche dalla Commissione europea, è arrivata una condanna rispetto all’iniziativa dell’Austria»
che lei definisce «solitaria. Anche perchè - ha aggiunto - crediamo che le frontiere interne non siano la
soluzione, ma che, viceversa, si debbano trovare meccanismi comunitari su quanto concerne i flussi
migratori». «Tentativi - ha detto ancora - ne abbiamo fatti; purtroppo siamo ancora lontani dal trovare
delle soluzioni. L’Italia sta facendo la sua parte e lo stesso dovrebbe fare anche l’Austria». La
presidente ha poi rimarcato il fatto che «in tutta questa vicenda non può sfuggire il fatto degli eventuali
«danni economici derivanti dalla chiusura del Brennero, come ha fatto notare anche Conftrasporti.
Inutile negare - ha aggiunto - che ovviamente la preoccupazione che abbiamo anche nella nostra
regione è quella di un costante monitoraggio dei flussi anche perché la chiusura può determinare rotte
diverse e portare quindi problemi al Fvg». La presidente della Regione ha poi voluto rassicurare sul
fatto che, «come noto, ci stiamo comunque attrezzando per tutto quello che può accadere in Fvg, sia per
quanto concerne la prima accoglienza sia per quanto riguarda lo smistamento sul territorio sia,
soprattutto, per quanto attiene i problemi legati a ordine pubblico e vigilanza. Siamo però anche
consapevoli che questo ragionamento complessivo va fatto con il governo italiano, insieme agli altri
governi europei». «Noi - sono state ancora le sue parole riferite alla necessità che l’Europa assuma
decisioni condivise - quella logica non l’abbandoniamo e speriamo anzi che il dialogo con la vicina
Austria ci permetta di fargli anche riconsiderare la posizione che hanno in questo momento e anche
cercare di creare le condizioni di una maggiore collaborazione con i Paesi europei». Infine,
Serracchiani ha ribadito che la chiusura del Brennero può determinare ricadute negative per Tarvisio e
quindi per tutto il Fvg. «Per quanto riguarda Tarvisio - ha dichiarato infatti - confermo che la situazione
è costantemente monitorata. I contatti che abbiamo con Roma sono quotidiani e avvengono anche più
volte al giorno. Questa collaborazione ha fatto sì che in Fvg si siano liberati degli spazi che hanno
permesso di trasferire qualche centinaio di profughi in altre regioni del Paese. Non registriamo in
questo momento ingressi tali da destare preoccupazione. Tuttavia, siamo anche consapevoli che
dobbiamo continuare a effettuare controlli e verifiche».
REGIONE
La Burgo riduce gli esuberi da 150 a 57 (Piccolo Trieste)
di Gianpaolo Sarti Il progetto di riconversione della linea 2 della Cartiera Burgo potrebbe assicurare
lavoro per 72 dipendenti. Cinquantasette, se i numeri saranno confermati, sarebbero invece in esubero.
Ed è su questi che ora si aprono le trattative. Scenari che emergono dal delicato faccia a faccia di ieri
pomeriggio tra il management della società, le forze sindacali e la presidente della Regione Debora
Serracchiani nello stabilimento di San Giovanni di Duino. Le parti sociali non giudicano negativamente
l’incontro, dal momento che nei mesi scorsi l’azienda aveva annunciato stime ben più cupe: un surplus
di manodopera di 150 unità su un totale di 380 dipendenti attualmente impiegati. Da 150, dunque, si
scenderebbe a 57. Il piano, stando a quando illustrato dall’amministratore delegato del Gruppo Burgo
Paolo Mattei e dai suoi collaboratori, e come conferma la Regione, prevede per la “linea 2” un
cambiamento radicale nella produzione: non più carta patinata destinata all’editoria, che fa i conti con
un mercato in flessione, bensì il cartone per imballaggi. Numeri alla mano, il gruppo conta di sfornare
200mila tonnellate all’anno destinate all’industria alimentare ed elettronica. Il progetto, per stare in
piedi, richiede un investimento di circa 40 milioni. Di qui l’ipotesi di assorbire i 72 lavoratori. «Il
progetto è un passo avanti», ha affermato Serracchiani. «Il piano di riconversione era una delle basi
della richiesta nell’incontro al ministero dello Sviluppo economico - ha ricordato la presidente -. Il
lavoro da fare è ancora molto, anche perché attendiamo il piano industriale e la partnership». Quanto
cioè indicato dall’azienda come condizione necessaria affinché la riconversione della “linea 2” possa
essere realizzata. Attualmente è in funzione solo la “linea 3” che produce carta grafica. Serracchiani ha
evidenziato che «la Regione, come ha fatto in altre circostanze e ha intenzione di fare anche questa
volta, accompagna le politiche che vengono dal territorio», precisando però che «non si tratta solo di
mettere a disposizione risorse, ma bisogna avere anche una prospettiva nel medio-lungo periodo che ci
permetta di mantenere qui l’insediamento industriale e garantire i livelli occupazionali». Le modalità su
come la Regione intende sostenere il percorso di riconversione, o con un prestito o con l’ingresso di
Friulia nel capitale sociale, sono ancora da decidere. «Siamo infatti di fronte a un primo passo, un passo
comunque positivo - sottolinea il segretario provinciale della Cgil Adriano Sincovich -. Non si possono
di certo fare i salti di gioia, ma va evidenziato che i tempi previsti per la presentazione del piano di
ristrutturazione della linea sono stati rispettati. Non abbiamo però ancora un piano industriale completo
che faccia chiarezza sulla riqualificazione degli impianti, né sappiamo le possibilità di partnership
industriali capaci di supportare il finanziamento. Siamo quindi in una fase iniziale - precisa - che
necessita di molti approfondimenti. Comunque è un punto di partenza positivo se si pensa che fino a
qualche mese fa la fabbrica era ferma e l’intenzione era dichiuderla». D’accordo Maurizio Goat (Cgil):
«L’incontro è stato positivo perché ci sono prospettive future per lo stabilimento - rileva - ma è chiaro
che la previsione di un’occupazione così misera pone seri problemi. Meglio questo, comunque, che la
chiusura. Non si è capito bene però in che termini si prospetta l’aiuto della Regione». Anche la Cisl
attende un progetto più dettagliato. «Le linee guida illustrate non sono sufficienti - rimarca il
sindacalista Massimo Albanesi -. La Burgo adesso deve aprirsi a una serie di trattative con la Regione,
alla partnership, e con noi per quanto riguarda gli eventuali esuberi. Anche perché - puntualizza - se ci
sono 40 milioni di investimento si presume non ci siano esuberi, se non attraverso uscite naturali. Ma il
sindacato, con la solidarietà, ha già fatto la sua parte. Ora si deve vedere cosa fa l’impresa».
Disabili licenziati, il Pd contesta l’Area (Piccolo Trieste)
«Questi lavoratori, disoccupati ormai da oltre un anno, mentre confidavano di poter essere stabilizzati a
tempo indeterminato per effetto del decreto legge 101/2013 (la norma che prevede il superamento della
precarietà nella pubblica amministrazione), sono in una situazione inaccettabile». Interviene così il
capogruppo del Pd in Consiglio regionale, Diego Moretti, sulla situazione dei quattro lavoratori disabili
impiegati a tempo determinato fino al 2014, in applicazione della legge 68/99, e non stabilizzati presso
il Consorzio per l’Area di ricerca scientifica e tecnologica di Trieste (Area Science Park di Padriciano),
ente pubblico nazionale di ricerca. Una situazione sollevata qualche tempo fa dalla Fish – Federazione
italiana per il superamento dell’handicap – del Friuli Venezia Giulia che scaturisce da
un’interpretazione, quello del decreto legge 101/2013 da parte di Area, che ha tagliato i quattro posti
dalla propria dotazione organica senza attendere il parere del ministero a cui si era rivolta,
autointerpretando e applicando così in maniera autonoma e fortemente restrittiva la norma.
«Un’interpretazione arbitraria, che gli stessi lavoratori e i sindacati di categoria hanno contestato,
scrivendo direttamente al Dipartimento della Funzione pubblica del ministero, chiedendo che sia fatta
immediata chiarezza, e che ha visto la presentazione di interrogazioni da parte di alcuni parlamentari
regionali per lo stesso motivo, lamentando l’eccessivo zelo da parte di Area» commenta Moretti. «È
palese – continua il capogruppo dem – la disparità che un’interpretazione del genere della Legge 68/99,
se confermata dal ministero, creerebbe tra aziende private ed enti pubblici, le prime obbligate ad
assumere o a pagare le sanzioni per le scoperture, i secondi – come Area – non obbligati a rispettare
nessuna delle quote di legge senza l’applicazione di sanzioni». Di tale questione, aggiunge, «chiederò
all’assessore regionale al Lavoro Loredana Panariti che si faccia carico per sollecitare il ministero della
Funzione pubblica a dare una risposta definitiva e corretta in merito, evitando così di creare disparità
tra imprese e lavoratori. Esprimo solidarietà ai lavoratori e alle loro famiglie».
Farinetti: «Eataly aprirà il primo ottobre» (Piccolo Trieste)
di Giovanni Tomasin «Eataly aprirà il primo ottobre assieme al villaggio della Barcolana». Il patron
della più celebre “catena alimentare” italiana, Oscar Farinetti, coglie l’occasione dell’inaugurazione
della nuova sede di Confcommercio Trieste annunciare l’attesa apertura del punto vendita al
Magazzino vini. Una notizia attesa da tempo. «La Fondazione CRTrieste ha fatto un grande lavoro
sullo stabile, ora tocca a noi rendere bellissimo gli interni. Sarà una struttura analoga a quella di
Genova che, assieme a Trieste, è una delle due grandi città sul mare del Nord Italia» afferma Mr
Eataly. Ma i protagonisti della giornata di ieri sono stati senza dubbio i membri di Confcommercio. La
nuova sede di viale Mazzini 22 è stata inaugurata con un “Open Day” di incontri e conferenze iniziato
al mattino e conclusosi a sera con lo spettacolo di Massimo Lopez al Rossetti. Al taglio del nastro
hanno partecipato il presidente nazionale di Confcommercio Carlo Sangalli, la presidente della Regione
Debora Serracchiani, il sindaco di Trieste Roberto Cosolini, il presidente dell’Autorità portuale Zeno
D’Agostino e, per la benedizione, l’arcivescovo Gianpaolo Crepaldi. Ad aprire le danze il presidente
della Camera di Commercio Antonio Paoletti. «Oggi coroniamo un sogno - ha detto Paoletti -. Nel
2002 speravamo di poter aprire la nuova sede di Confcommercio al Silos. Abbiamo atteso fino al 2010
quando abbiamo comprato quest’edificio che fino a qualche tempo fa era occupato da Fvg Strade». Per
Paoletti Confcommercio ha aumentato il suo ruolo presso le imprese: «Accompagniamo gli associati
nelle banche, offriamo servizi di ogni tipo. Nessuno si chiede più per quale motivo pagare la quota
annuale. Finalmente le 29 associazioni di categoria di Trieste hanno trovato una casa comune».
Cosolini ha dichiarato: «Credo che questa sede sia un buon segno per una realtà viva di idee e progetti
come Confcommercio. I segnali di ripresa ci sono. Penso al rinnovato dinamismo del porto,
all’occasione di Porto Vecchio, agli indicatori positivi che dobbiamo valutare con prudenza ma anche
consolidare». Serracchiani ha proseguito sul filo del sindaco: «Siamo consapevoli della fatica che i
nostri operatori hanno affrontato negli ultimi anni. Ora finalmente vediamo qualche dato positivo, pur
timidamente. Se guardo all’aumento delle presenze del 2015 provo uno slancio di fiducia. Trieste è una
città con appuntamenti importanti davanti a sé». Sangalli ha confermato che «tanto il governo quanto
gli operatori devono darsi da fare per rafforzare i segnali positivi che pure ci sono. Quando si inaugura
una sede come questa si festeggia un successo costruito con il lavoro di ogni giorno. Ora più che mai
bisogna essere responsabili di questo impegno». In uno degli incontri della mattinata gli assessori
comunali alle Attività produttive e alla Pianificazione urbana, mobilità e traffico, Edi Kraus ed Elena
Marchigiani, hanno presentato lo studio propedeutico al Piano del commercio cittadino. Lo studio è
stato elaborato da Sincron Polis, in collaborazione con lo studio Novarin - De Clara. Spiega
Confcommercio: «Nell’incontro è stato in primis ribadito come sarà prioritario favorire gli investimenti
e i nuovi format produttivi nel centro storico, inteso come centro commerciale naturale». Un fulcro,
quello del centro, su cui puntare «non solo in termini promozionali, ma pure strutturali, ai fini di
valorizzare il suolo già utilizzato nell’ottica di uno sviluppo ambientale responsabile». Un indirizzo,
hanno rilevato i relatori, «in antitesi con le strategie degli ultimi decenni che hanno portato ad una
densità di attività allineata nelle aree periferiche». Secondo lo studio Trieste ha un bacino di utenza
primario di circa 280 mila persone di cui parte da oltre confine (17%). Un target che però deve fare i
conti con un calo demografico che è stato piuttosto marcato negli ultimi 14 anni. Secondo l’analisi a
Trieste l’offerta non manca, almeno per quanto riguarda la rete distributiva tradizionale e il segmento
alimentare. La città, in termini di densità commerciale, presenta infatti una media superiore rispetto alle
26 città campione per le superficie alimentari tra i 400 ed i 1500mq.
Chiude il paradiso dei casalinghi Vitrum
di Laura Tonero Trieste si prepara a dare l’addio ad altri due storici negozi del centro: il “paradiso” di
piatti, bicchieri e ogni genere di casalinghi “Vitrum” in piazza Sant'Antonio, e il punto vendita Villini
in piazza Goldoni, specializzato nella vendita di macchine da cucire. Due punti di riferimento del
commercio da decine di anni. Il negozio Villini, da sempre punto di riferimento per le appasionate di
lane, filati e cucito, abbasserà le saracinesche per sempre sabato prossimo. Sparirà l’insegna in piazza
Goldoni, ma il marchio non cesserà di esistere del tutto. «Dopo 39 anni - raccontano i due titolari, i
fratelli Carlo e Luca Villini - chiudiamo questo punto vendita e trasferiamo tutta l'attività in viale
D'Annunzio 26, dove abbiamo un piccolo foro commerciale». Vendita e assistenza a macchine da
cucire delle migliori marche proseguiranno dunque nel nuovo punto vendita. Il reparto dedicato ai filati
invece sparirà. Villini ha disposto già da settimane una svendita a prezzi ribassati e parte degli articoli è
già andata esaurita. I Villini nel 1971 aprirono il loro primo punto vendita proprio in quel negozio più
piccolo di viale D'Annunzio dove ora riapriranno. Nel '77 la scelta di destinarlo a magazzino e lo
sbarco in piazza Goldoni. «Questo locale prima del nostro arrivo ospitava il caffè Brasilia - ricordano
mostrando una foto - e prima ancora due altri due pubblici esercizi: il Costatica e il Santo Domingo che
aveva accesso anche dal via Carducci». Al posto di Villini in piazza Goldoni - 100 metri quadrati più
una quarantina sul soppalco - sbarcherà l'ennesimo esercizio pubblico. Ad aprire un nuovo locale sarà
una società veneta che ha all'attivo già decine di punti vendita in tutta Italia. Nella stessa piazza ha
riaperto i battenti la rinnovata Cremcaffè e il foro commerciale attiguo che ha ospitato un negozio di
souvenir trasferitosi poi accanto al McDonald's, sarà trasformato in una gelateria. L'altra chiusura che
lascia l'amaro in bocca è quella di Vitrum, il negozio di casalinghi e articoli per la casa che si affaccia
su piazza Sant'Antonio. Ampie vetrine su via Paganini, ma pure su via XXX Ottobre, alle quali i
triestini buttavano sempre l'occhio per scoprire le novità degli articoli da design per apparecchiare una
tavola ben curata, servire il vino, cucinare un buon piatto o abbellire la casa. Anche da Vitrum è
iniziata la svendita a prezzi ribassati e, per tutta la giornata di ieri, il negozio è stato preso d'assalto da
clienti abituali o semplici cittadini a caccia di occasioni dell’ultimo minuto. Persone desiderose di
aggiudicarsi un buon affare o di procurarsi questo o quell’articolo che temono di non trovare altrove.
tra loro anche più di qualche straniero: Vitrum è stato infatti per anni un punto di riferimento per chi
arrivava a fare shopping da fuori Trieste.
Ruba due milioni alla Regione e se li gioca (Piccolo Trieste)
di Corrado Barbacini Ha usato la Regione come un bancomat. E ha prelevato, falsificando le firme di
alcuni dirigenti, più di due milioni di euro: 2.044.190 euro, per l’esattezza, passati direttamente dalle
casse pubbliche alle sue tasche. E, dalle sue tasche, alle slot machine. Sembra incredibile eppure è
successo. Il funzionario sotto accusa, Claudio Simonutti, triestino di 51 anni, sarà processato con rito
abbreviato condizionato alla perizia che è stata disposta ieri dal gip Giorgio Nicoli e affidata allo
psichiatra Bruno Norcio. Il consulente, che sarà formalmente incaricato il 17 maggio, dovrà stabilire se
Simonutti soffriva di ludopatia. Il motivo è che gran parte dei due milioni e spicci spariti dalle casse
della Regione sono stati utilizzati proprio per giocare alle slot. La vicenda esplode nell’ottobre 2012
quando il funzionario, difeso dall’avvocato Caterina Turra, viene preso in castagna: Simonutti, che
qualche mese dopo verrà licenziato in tronco, dispone per lavoro i pagamenti agli artigiani e quelli
relativi alla gestione della manutenzione degli immobili. Prepara i mandati di pagamento, fotocopia le
fatture e, falsificando appunto le firme dei dirigenti, passa all’incasso. Nell’ottobre 2012, però, viene
“pizzicato” per una banale dimenticanza, un semplice errore, in quanto mette in pagamento per due
volte, a un mese di distanza, lo stesso modello F24. Scatta così il controllo contabile interno della
Regione. E quella che all’inizio sembra effettivamente una banale svista contabile in realtà si rivela la
punta dell’iceberg: una montagna di soldi pubblici spariti dalle casse della Regione e finiti nelle tasche
di Simonutti che, secondo gli accertamenti della Finanza disposti subito dal pm Massimo De Bortoli, se
li gioca in gran parte ai videogiochi e alle slot del bar “Al Tram” che si trova a pochi metri dalla sede
della polizia tributaria di via Giulia. Le accuse contestate sono peculato e falso. Ma anche evasione
fiscale in quanto il funzionario cinquantunenne si guarda bene dall’inserire nella dichiarazione dei
redditi i due milioni sottratti dalle casse della Regione. Proprio all’inizio dell’inchiesta, infatti,
Simonutti viene colpito da un provvedimento di sequestro dei beni per evasione fiscale. Nel mirino la
mancata dichiarazione dei 375mila euro di provenienza regionale riferiti agli anni fiscali 2009, 2010 e
2011. Ancora nell’ottobre 2012, nel corso delle indagini, i finanzieri scoprono anche l’incredibile
salvadanaio del funzionario. Quello in cui conserva i soldi per le “piccole spese”. Ebbene, il
salvadanaio si trova sotto una pietra del giardino della Rotonda del Boschetto dove, secondo gli
investigatori della Tributaria, Simonutti “parcheggia” i soldi illecitamente prelevati. Il luogo viene
individuato in maniera del tutto casuale quando un cane fiuta qualcosa di strano tra foglie e sterpaglie.
Si mette a scavare con insistenza trovando infine un borsone pieno di soldi: 70mila euro. Denaro pulito,
chiariscono dopo i controlli necessari gli investigatori della Squadra mobile, ai quali il proprietario del
cane ha consegnato la borsa. E in effetti quello è davvero denaro pulito perché proviene dalle casse
regionali. Dagli accertamenti, però, emerge che le fascette poste a sigillo delle mazzette sono siglate
proprio da Simonutti: gli investigatori della Tributaria, con l’aiuto di un esperto grafologo, provano che
quei soldi sono letteralmente passati tra le mani del funzionario. Nella vicenda giudiziaria compaiono
anche altri due dipendenti regionali scoperti dai finanzieri nel corso delle indagini: Pietro Schinaia di
60 anni e Mario Calligaris di 58. Sono finiti nei guai per aver usufruito di permessi retribuiti e
indennità per missioni mai fatte nonché, assieme a Simonutti, per aver corretto le autorizzazioni alle
trasferte. Sono difesi dall’avvocato Gianfranco Grisonich. La Regione si è costituita parte civile con
l’avvocato Mauro Cossina.
Crisi a “La Giulia”, sono 15 gli esuberi (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain Un fulmine a ciel sereno. “La Giulia”, storico stabilimento dolciario di Gorizia,
effettuerà una riorganizzazione aziendale che comporterà lo smantellamento del reparto-chewing gum.
La conseguenza? «Un esubero strutturale - annuncia Luciano Sartori della Flai-Cgil - di 15 lavoratori
su una forza lavoro complessiva di 96 persone. È uno scenario che ci preoccupa parecchio, visto anche
che “La Giulia” era indicata come una delle realtà industriali in maggiore espansione e che sembrava
cavalcare, almeno all’apparenza, le onde della crisi. Non vorremmo che a repentaglio fosse l’esistenza
stessa dello stabilimento». Le organizzazioni sindacali, cosa chiedono? Chiedono innanzitutto che
vengano utilizzati gli ammortizzatori sociali previsti. «Si valuti - sottolineano all’unisono Sartori e
Marco Savi della Fai-Cisl - quanti sono nelle condizioni di essere “accompagnati” alla pensione. Si
valuti anche l’utilizzo del part-time». Altre richieste forti: valutare la reinternalizzazione di alcune
lavorazioni (aree manutenzioni, elettricisti/meccanici...), chiudere i contratti di somministrazione,
valutare le tempistiche nell’ottica della massima copertura per i lavoratori; incentivare l’eventuale
percorso in uscita in maniera adeguata, vista la situazione provinciale di non ricollocazione degli
esuberi». Anche le Rsu dello stabilimento si dicono «fortemente preoccupate per la riduzione ulteriore
del personale impiegato nello stabilimento di Gorizia. L’aver deciso di spostare la produzione del
chewing gum e del bubble gum in altri stabilimenti senza un’adeguata compensazione, fa pensare ad
una minore attenzione rivolta verso la sede produttiva goriziana del gruppo Perfetti. L’assemblea dei
lavoratori ha rimarcato che gli attuali “esuberi” debbano essere addebitati all’incapacità gestionale della
proprietà che non da far altro che tagliare ulteriormente gli organici». Le Rsu e le organizzazioni
sindacali sono molto dure e ritengono che «non possa essere “spacciato” per piano di ristrutturazione e,
tantomeno, di rilancio le semplici economie di riorganizzazione e di risparmio. Riteniamo, invece, che
vada proposto un piano industriale che preveda investimenti in macchinari più performanti e
conseguentemente maggiormente produttivi». Un tanto per arrivare a questa conclusione: «I lavoratori
de “La Giulia” ritengono inadeguato tale piano e chiedono si attivi immediatamente un tavolo di
confronto utile a ridurre l’impatto occupazionale derivante da queste scelte, utilizzando tutti gli
ammortizzatori sociali e contrattuali possibili». La crisi de “La Giulia” arriva in un momento
industriale delicatissimo per Gorizia: una città che è sempre più deindustrializzata. L’ultimo colpo fu la
chiusura della Siap (Gruppo Carraro). «I nuovi scenari di mercato sono strutturali e non consentono di
garantire una sostenibilità economica del sito neppure in prospettiva», erano state le dichiarazioni
chiarissime e senza repliche dei vertici aziendali che sono ancora facilmente individuabili sul sito web
del gruppo Carraro. Che ne sarà dell’insediamento produttivo Siap? Verrà rilevato e riutilizzato da
qualche altra azienda? Rinascerà dalle sue ceneri? Riporterà occupazione in una città ormai
deindustrializzata? Niente di tutto questo. La sensazione è che farà la fine della “Vouk”.
Chiuse altre 110 imprese in sei mesi, ma la disoccupazione non aumenta (Piccolo Gorizia-Monf.)
Spiragli di luce, in una situazione complessivamente stabile, per il mercato del lavoro in provincia di
Gorizia. La crisi non è ancora passata - lo conferma ad esempio la persistente emorragia di imprese,
scese di altre 110 unità dall'ottobre 2015 al marzo 2016 -, e sul fronte occupazionale continuano a
soffrire in particolare le donne ed i giovani. Ma la disoccupazione in generale nel 2015 non è aumentata
e, per la prima volta dopo anni, c'è un segno positivo nel saldo tra le assunzioni e le cessazioni di
contratti di lavoro. Insomma, è un quadro cauto ma meno fosco rispetto al passato quello dipinto ieri
pomeriggio nella sede della Regione di via Roma dall'assessore regionale al Lavoro Loredana Panariti,
che ha presentato il report sull'andamento del mercato del lavoro nella provincia di Gorizia nel 2015. A
illustrare i dati è stato Marco Cantalupi dell'osservatorio regionale del lavoro, che ha innanzitutto
evidenziato il sostanziale congelamento dei numeri relativi all'occupazione: 55.215 gli occupati totali
nel 2015, solo 59 in meno rispetto all'anno precedente (-0,1%). Un dato immutato così come il tasso di
disoccupazione (8,7%, identico al 2014) e quello di inattività (31,6%, +0,1% rispetto al 2014).
Differenze si osservano però tra uomini e donne: se l'anno scorso sono aumentati del 2,5% gli occupati
tra i maschi (+803), sono scese invece di 862 unità (-3,7%) le donne con un lavoro. E anche la
suddivisione per fasce d'età dice qualcosa di significativo, ovvero che sono i più giovani a soffrire
ancora la crisi (con la disoccupazione della fascia 15-24 anni che sale dell'11,8%) a dispetto invece
della popolazione più adulta. Anche grazie agli incentivi messi in campo dalla politica, l'occupazione
degli over 55 è aumentata del 5,5% nel 2015 rispetto al 2014. Come detto se c'è un elemento che spinge
ad un cauto ottimismo è quello dettato dal rapporto tra assunzioni e cessazioni. Nel 2014 in provincia di
Goriziaera stato toccato il punto forse più basso degli ultimi anni (-1438), mentre per la prima volta dal
2009, nel 2015 il saldo è positivo per 885 unità. Anche in questo caso però i sorrisi riguardano
solamente il mondo maschile: il +13,4% di assunzioni è dell'aumento di 806 posti dei maschi (trainano
i settori di industria e costruzioni), perché le assunzioni di donne sono invece scese dell'8% (-156). I
settori che si confermano in difficoltà sono quello dei trasporti e dell'istruzione. Altra grande novità
rispetto al recente passato, il boom di assunzioni a tempo indeterminato (+2310 in totale), dettate
evidentemente dalle misure di decontribuzione messe a disposizione delle imprese: nel quarto trimestre
2015 questo tipo di contratto è salito del 26,3% rispetto allo stesso periodo del 2014 (il dato più alto
rispetto a tutta la regione, la cui media si ferma a +24%), e la variazione annua del 2015 sul 2014 è
addirittura pari al +361%. Aumentano anche i contratti di apprendistato (+60%) e tirocinio (+22,5%),
mentre sono in forte calo tutte le altre tipologie. L'analisi dei generi e delle fasce d'età interessate dalle
assunzioni a tempo indeterminato non fa che confermare poi quanto già espresso: più contratti per gli
uomini (2788 e +1.519 rispetto al 2014) che per le donne (1472 e +791 rispetto al 2014), e assunzioni
concentrate nella fascia 30-54 anni, che assorbe il 67% del totale dei contratti di questo tipo. Capitolo
ammortizzatori sociali: crolla, soprattutto in seguito alle limitazioni previste dalle nuove norme, la
Cassa integrazione (-81,1%), e scende del 16,4% anche l'accesso alle liste di mobilità. «Dopo molti
anni non osserviamo una sequela di segni negativi, e già questo in un clima ancora segnato dalla crisi è
positivo - ha commentato l'assessore Panariti -, ma poniamo attenzione soprattutto alle situazioni delle
donne e dei giovani. Proprio per questo gli incentivi regionali per le assunzioni saranno concentrati sul
lavoro femminile, e aggiungeremo un altro milione di euro ai 2,2 milioni di euro stanziati con Garanzia
Giovani. Inoltre proseguiremo nel sostenere le assunzioni degli over 55». Sottolineando anche la
necessità di un'operazione di tipo culturale, relativa all'incentivazione delle assunzioni di donne,
l'assessore Panariti ha parlato anche di «un tessuto economico che si sta rimodellando», e ha guardato
con piacere all'aumento delle professioni qualificate. «Dobbiamo proseguire quindi sulla strada già
battuta - ha concluso - ovvero quella della formazione mirata in base alle esigenze delle aziende e del
mercato». Marco Bisiach
Assedio al Pronto soccorso. In un anno 30mila pazienti (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Laura Blasich Sono 30.022 gli accessi effettuati nel 2015 al Pronto soccorso dell’ospedale di
Monfalcone, quasi mille in più rispetto all’anno precedente. E questi primi mesi del 2016 non stanno
segnalando un’inversione di tendenza, anzi, cui il servizio si trova a fare fronte con una carenza di
personale che impatta non poco sui tempi di attesa dei casi meno urgenti. Come diversi utenti hanno
avuto modo di accorgersi. I medici mancanti sono sempre tre, anche se dovrebbero arrivare in tempi
abbastanza stretti ormai, e gli infermieri in meno sono quattro. Al momento il Pronto soccorso può
contare quindi su otto medici più il primario e 27 infermieri. Se “gialli” e “rossi” non hanno
ovviamente tempi di attesa e i “bianchi” finiscono in coda, i “verdi” a Monfalcone attendono quindi più
dei tempi fissati dalle linee guida regionali, come conferma il primario Alfredo Barillari. «È difficile
essere in linea sui tempi di attesa dei codici verdi», afferma. «Incide la presenza o meno di personale spiega - e il fatto che la prestazione si deve in alcuni casi completare con la consulenza dello
specialista. Nei casi di reperibilità di quest’ultimo, i tempi, com’è ovvio, si allungano». Gli utenti si
lamentano, ma, tiene a sottolineare il primario, «la risposta c’è ed è sempre efficace». Il Pronto
soccorso di Monfalcone si trova del resto a gestire i problemi urgenti di salute di una sempre più ampia
fetta di popolazione anziana cui si sommano una forte presenza industriale e di lavoratori, in parte
stranieri, e quella di infrastrutture viarie di attraversamento e interesse quanto meno regionale. In più, il
Pronto soccorso del San Polo rimane un punto di riferimento per un’area “vasta” che va dall’altopiano
triestino alla Bassa friulana. Dei 30.022 accessi ben 15.913, quindi il 53%, sono stati classificati al
“triage”, cioè alla valutazione di ingresso, come codici verdi (basso rischio di alterazione rapida dei
parametri vitali, ma stato di importante sofferenza). Un altro 33,50% è rappresentato da codici bianchi
(presenza di problemi specifici e dilazionabili nel tempo), comunque in riduzione rispetto al 2014,
quando i “bianchi” erano stati il 38,8% del totale. In termini assoluti, si tratta di 88 accessi con codice
bianco in meno, mentre sono stati quasi 200 in meno i codici gialli in entrata al Pronto soccorso (3.820
contro 4.026). Sono aumentati invece i codici rossi, i casi in cui i parametri vitali sono già alterati o ad
alto rischio di alterazione, passati da 220 a 231. Se nella stragrande maggioranza dei casi (18.811)
l’esito è l’invio al medico curante, per 2.827 cittadini entrati al Pronto soccorso il passaggio successivo
è stato il ricovero. In larga misura nel reparto di Medicina dell’ospedale di San Polo (1.652), a
conferma dell’incidenza delle problematiche legate a una fascia in crescita di “grandi anziani”, ma non
solo, perché 224 pazienti sono stati trasferiti poi all’Unità di cura intensiva coronarica, altri 293 al
reparto di Ortopedia e 287 a quello di Chirurgia, in 68 al reparto di Anestesia e rianimazione e 75 al
reparto di Cardiologia sub-intensiva. In 75, comunque, hanno rifiutato il ricovero e in 151 ulteriori
accertamenti. Per 238 pazienti c’è stata la necessità di un trasferimento in un altro ospedale, quello
triestino di Cattinara in testa, seguito da quello di Udine, dal Maggiore e dal Burlo Garofolo. In oltre
1.100 casi le dimissioni sono state dietro pagamento del ticket. Non è scomparso il fenomeno dei
lavoratori che si presentano dopo le 19-20 per fare fronte a qualche problema, come conferma il
primario. I Cap, i Centri di assistenza primaria, sorta di maxi-ambulatori sul territorio chiamati a fornire
una risposta alla domanda di sanità non di emergenza, non saranno per ora attivati a Monfalcone. A
giugno, però, dovrebbe essere aperto il Cap di Grado da cui ci si attende la possibilità di liberare risorse
utili al servizio del Pronto soccorso di Monfalcone.
Cecot: «Al Cara servizi al ribasso» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
GRADISCA «I presupposti che si stanno delineando, rispetto alle condizioni di gara del bando indetto
dalla Prefettura di Gorizia ci rimandano a uno scenario già visto e le cui conseguenze furono
drammatiche per i dipendenti del Cara». Ad ammonire sui contenuti della nuova gara d'appalto è
l'assessore provinciale al Lavoro, Ilaria Cecot. «Punto primo: già l'aumento della capienza a 202 ospiti
va contro gli impegni più volte assunti dalla Regione, che ha sempre dichiarato di non voler ampliare la
struttura di Gradisca, intercedendo a tal fine presso il ministero». «Inoltre - argomenta - secondo quanto
disposto dal dlg 142/2016 è previsto, con il tempo, il superamento di strutture come il Cara, non il
rinforzo. Punto secondo: attualmente nella struttura governativa di Gradisca sono ospitate 400 persone,
se come sembrerebbe, il capitolato prevede l'erogazione del 35 euro pro-capite pro-die per solo 202
ospiti, vuol dire, facendo i conti della serva, che per la gestione di ogni ospite vi sono 12,5 euro circa.
Non riesco a capire, francamente, come con tale importo si possa pensare di pagare i pocket money (2,5
euro), servizio mensa, servizio lavanderia, assistenza sanitaria e pensare di riuscire a pagare anche il
personale». Il timore è insomma di una qualità del servizio al ribasso, «senza poi dimenticare, tutte
quelle politiche di inclusione, che non troveranno copertura economica e che sono quanto mai
necessarie, in una cittadina di 6000 abitanti con un numero proporzionalmente così elevato di
richiedenti». I numeri, secondo Cecot, proprio non stanno in piedi. C'è qualcosa che non torna - dice - e
sarebbe bene che la Prefettura lo chiarisse con urgenza. L'unica cosa, di buon senso, che posso pensare
è che presto verrà disposto il trasferimento del 200 esuberi, come promesso mille volte dal Prefetto
Zappalorto prima e da Gulletta dopo, per il quale la soluzione di trasferire i richiedenti a Gradisca, il 14
ottobre 2015, aprendo un'altra ala dell'ex Cie, dopo il salvataggio rocambolesco sul fiume era
assolutamente temporanea, mentre sono passati sei mesi». Se fosse così, allora per Gradisca sarebbe
un'ottima notizia, altrimenti prepariamoci a vedere nuovamente i lavoratori del Cara ridotti alla fame
per mano dello Stato».( l.m.)
Palini e Bertoli: salta il bonus per 116 dipendenti (M. Veneto Udine)
di Francesca Artico SAN GIORGIO DI NOGARO Non c’è pace per i 116 lavoratori della Evraz Palini
e Bertoli: a causa di un problema tecnico legato al Ministero del Lavoro, nel 2016 perderanno gli 80
euro del bonus Renzi che comporta una perdita annua che va dai 1.400 ai 2.110 euro per dipendente.
Intanto cresce anche la preoccupazione per il lavoro che a loro dire è garantito fino a metà maggio. A
protestare sono gli stessi lavoratori che hanno terminato il 24 novembre 2015 la cassa integrazione per
ristrutturazione, a fronte del riavvio dell’impianto. I sindacalisti Francesco Barbaro della Fim Cisl e
Maurizio Balzarini della Fiom Cgil, si dicono molto preoccupati dalla situazione di stallo in cui versa il
laminatoio per cui hanno chiesto un incontro all’assessore regionale alle Attività produttive Sergio
Bolzonello. «Non capiamo – dice Francesco Barbaro della Cisl –, come mai gli altri laminatoi lavorano
e hanno commesse e qui la situazione non decolli. Siamo molto preoccupati per cui abbiamo chiesto di
incontrare l’assessore Bolzonello che conosce l’intera vicenda». Per i primi 6 mesi di cassa del 2015,
hanno ricevuto il bonifico bancario dall’Inps nel luglio 2015. I restanti 6 mesi sono stati invece pagati a
metà marzo 2016 sempre dall’Inps e per il principio di cassa andranno a incrementare i redditi del
2016, per cui con questi ratei andranno a «sforare gli 8.174 euro annui, non avendo quindi diritto alle
detrazioni da lavoro dipendente e da famiglia con la conseguente perdita del diritto al bonus Renzi». Il
mancato pagamento della cassa nell’anno di competenza costerà a un operaio senza carichi familiari,
nell’ipotesi di continuare la cassa integrazione anche per tutto il 2016, 1.400 euro. La perdita per un
operaio con moglie e due figli a carico sarà pari a 2.110 euro. Inoltre chi poteva usufruire di detrazioni
per lavori di ristrutturazione edilizia nella propria casa perde il diritto per il 2015. «Tutti questi
problemi non ci sarebbero – dicono – se la cassa per ristrutturazione ci fosse stata interamente
anticipata dall’azienda». Ma perché si è verificato questo ritardo? Il Ministero del Lavoro, prima di
dare l’autorizzazione al pagamento della cassa integrazione, deve ottenere una relazione
dell’Ispettorato del lavoro per vedere se la ristrutturazione è in atto. Cosa questa avvenuta, ma per
problemi tecnici al Ministero hanno dato l’autorizzazione al pagamento del secondo semestre solo nel
2016, creando così il problema e causando una perdita economica per le famiglie. Intanto l’impianto –
è attivo un solo forno e quindi lavora un solo turno occupando il 30% della forza lavoro – chiuderà per
feste dal 22 al 31 aprile per poi riaprire fino al 15 maggio: da allora nessuno sa cosa accadrà.
Ricordiamo che la Palini e Bertoli fa parte del Gruppo Evraz del magnate russo Roman Abramovich.
Alla Ziac gli scavi di Trieste. Servono 3,3 milioni per smaltirli (M. Veneto Udine)
di Luana de Francisco Doveva essere sistemata a verde e rinaturalizzata. E invece è successo l’esatto
contrario: riempita di materiali da scavo provenienti da Trieste, e per l’esattezza dal cantiere per la
realizzazione del nuovo parcheggio interrato sotto il colle di San Giusto, è diventata una discarica a
cielo aperto. Il controverso destino di una delle aree del comprensorio “Feraul”, nel comune di San
Giorgio di Nogaro, è l’ennesimo capitolo della “sprecopoli” targata Consorzio per lo sviluppo
industriale dell’Aussa Corno. L’epilogo, a prescindere dagli esiti giudiziari che la vicenda avrà, è
abbastanza prevedibile: l’ennesima marea di soldi pubblici gettati al vento. La dissipazione di denaro,
in questo caso, si realizza in due tempi: ci sono i 2,6 milioni di euro che la Regione, alcuni anni fa,
finanziò per acquistare i terreni del “Feraul” e gli ulteriori 400 mila euro erogati per il progetto
paesaggistico di “Punta Sud”, rimasto irrealizzato; e ci sono i costi che, adesso, il Consorzio posto in
liquidazione commissariale dovrà sobbarcarsi, per ottemperare all’ordine emesso lo scorso 26 febbraio
dal Comune di San Giorgio di Nogaro: rimozione urgente della montagna di rocce e terra scaricate dai
camion della “Piessegi Scrl”, la società che aveva chiesto e ottenuto da Tullio Bratta e Marzio Serena,
rispettivamente allora presidente e direttore della Ziac, l’autorizzazione al deposito, e successiva
rimissione in ripristino dell’area. E se questo non avverrà entro i termini previsti (novanta giorni dalla
notifica del provvedimento), a ereditare il gravoso “lascito” sarà la stessa amministrazione comunale,
cui l’area passerebbe (gratuitamente) di diritto. Oltre al danno, insomma, anche la beffa di ritrovarsi sul
groppone una spesa extra che, conti alla mano, potrebbe costare oltre 3,3 milioni di euro. Nella stima
ipotizzata dal commissario Marco Pezzetta, le soluzioni prospettate sono quattro: quella più onerosa
dello smaltimento in una discarica per inerti, quelle del conferimento in un impianto di recupero (2,1
milioni se materiale in colonna B, 1,5 se in colonna A) e quella dell’utilizzo del materiale come
riempimento di discariche (poco meno di 800 mila euro). Costi quel che costi, comunque, l’operazione
va conclusa, e anche in fretta. A imporlo sono sia gli aspetti penali, visto che, benchè non inquinante, il
materiale stoccato ha originato un deposito abusivo, e che sul caso la Procura di Udine ha aperto un
fascicolo “ad hoc” per reati in materia ambientale (slegato da quello principale sulla malversazione ai
danni dello Stato per 10,9 milioni di euro), sia la pressante necessità di svincolare terreni che dovranno
essere messi in vendita, ai fini della liquidazione del patrimonio consortile. Un pasticcio? Sicuramente
sì, ma avvenuto alla luce del sole. Si parte da lontano, con gli espropri dei terreni del Feraul
all’Azienda agricola “Agenzia Sette”, che in cambio incassa dalla Ziac la fetta più grossa del
finanziamento regionale. Con il resto della “dote”, il Consorzio si impegna a rinaturalizzare una parte
dell’area. Il progetto prevede che nella fascia che corre intorno all’argine venga realizzata una sorta di
terrapieno alto qualche metro, propedeutico alla creazione di una barriera, anche alberata, tra la zona
industriale e l’area lagunare di Grado e Marano. È a questo punto che entrano in scena gli scarti
provenienti da Trieste. Il 13 maggio 2012 la Piessegi invia alla Ziac una richiesta di «autorizzazione al
deposito di materiale inerte risultante dagli scavi per la realizzazione di una galleria a Trieste, via del
Teatro Romano», dove la società stava appunto costruendo il nuovo parcheggio. Il mese successivo, lo
studio tecnico “Projecteam” di Porpetto consegna la relazione tecnica dei lavori di predisposizione
dell’area per la successiva rinaturalizzazione, precisando che ciò avverrà «mediante opere di riporto di
terreno naturale». Il 12 luglio il sindaco di San Giorgio, Pietro Del Frate, rilascia il permesso di
eseguire i lavori e, il successivo 9 agosto, Serena autorizza il deposito alla Piessegi. Per accorgersi che
quello scaricato non era il «materiale terroso vegetale» indicato nel progetto bisogna attendere la fine
del 2016. Quando, con sopralluogo del 16 dicembre, il Comune scopre non soltanto che dei 570 mila
metri cubi di materiale che avrebbero dovuto essere depositati, in tre anni ne erano stati scaricati
soltanto 25 mila (il 4,38%), ma anche che si tratta di inerti. Per il responsabile dell’Area tecnica è un
caso di abuso edilizio. E visto che sono aree assogettate a vincolo paesaggistico e che l’abuso è stato
«realizzato in totale difformità dal permesso di costruire», per sanarlo non basta una semplice
ammenda pecuniaria. Proprietario e responsabili dovranno provvedere alla «rimissione di ripristino allo
stato precedente».
Ecco il progetto per raddoppiare la linea da Udine a Cervignano (M. Veneto Udine)
di Monica Del Mondo SANTA MARIA LA LONGA Il raddoppio ferroviario della linea UdineCervignano non è affatto teoria. Il fatto che Rfi abbia già effettuato la progettazione preliminare per il
Piano regolatore generale ferroviario di Udine centrale e del nuovo assetto del nodo e sia in fase di
progettazione definitiva per la cancellazione del passaggio a livello di località San Marco a Palmanova,
è un segnale della volontà di procedere in questa direzione. Se n’è parlato a Santa Maria la Longa
durante un affollato incontro organizzato dal locale Circolo del Pd. Quali relatori sono intervenuti come
esperto di ferrovie, Maurizio Ionico, amministratore unico della Società Ferrovie Udine-Cividale, e il
sindaco di Palmanova, Francesco Martines, che ha fatto il punto della situazione per quanto riguarda la
soppressione del passaggio a livello di località San Marco, che di fatto interessa tre comuni: oltre alla
città stellata, anche Santa Maria e Bicinicco. Ionico ha inquadrato le motivazioni alla base dell’opera,
inserendola nei collegamenti della direttrice europea nord-sud (corridoio Baltico) e nei cambiamenti
che stanno interessando le modalità di trasporto merci. «Il raddoppio ferroviario dal nodo di Udine a
Cervignano – ha spiegato Ionico – prevede un investimento, al netto del nodo di Udine, di 170 milioni
di euro. L’obiettivo è quello di migliorare l’assetto infrastrutturale e tecnologico della tratta, di
accrescere la capacità ferroviaria e di sopprimere i passaggi a livello». Ovviamente il raddoppio della
linea ferroviaria comporta l’attraversamento di paesi e borghi, con conseguente impatto sui luoghi,
sulle abitazioni, sui cittadini. Da considerare inoltre che la soppressione dei passaggi a livello (circa
una quindicina da Risano a Bagnaria Arsa) pone il problema dei collegamenti tra le varie parti dei paesi
e delle opzioni possibili di attraversamento dei binari (sottopassi, cavalcavia, attraversamenti a raso con
passaggio della ferrovia in trincea, percorsi alternativi). Dall’incontro di Santa Maria e dal dibattito con
il pubblico (presenti anche numerosi amministratori della zona e alcuni comitati che si occupano di
ambiente) è emersa la necessità che proprio in questa fase iniziale di progettazione, al fine di garantire
l’integrazione tra infrastruttura e territorio, le amministrazioni locali facciano sentire la propria voce. Il
Circolo del Pd di Santa Maria la Longa afferma che è necessario trovare delle soluzioni unitarie tra i
comuni attraversati dall’opera e fare sistema tra le amministrazioni locali, i cittadini e tutte le parti
coinvolte. «Servono – sottolinea il Pd – una visione e un approccio comuni al fine di individuare
soluzioni unitarie per armonizzare l’infrastruttura con il territorio attraversato, partendo da Udine e fino
a Cervignano. Compatibilmente con l’opera è necessaria, già da subito, anche una pianificazione
comunale che riorganizzi le previsioni urbane e la viabilità».
Critici i No Tav: opera inutile e costosissima
Presenti alla riunione di Santa Maria la Longa anche Comitati locali, tra cui il No Tav di Bagnaria Arsa
che ha criticato il progetto. «Ma quest’opera a chi serve? – chiede il protavoce Giancarlo Pastorutti – .
E quali sono le priorità per il Friuli Venezia Giulia? Ci è stato spiegato che serve al mercato,
agevolando il trasporto merci sull’asse nord-sud e collegando il porto di Trieste al resto dell’Europa.
Ma a questo punto, visto che l’attuale linea è sottoutilizzata (ci passano 17 treni al giorno su una
potenzialità di 75) e vista anche la già avvenuta soppressione delle stazioni per il trasporto passeggeri, è
evidente che il Fvg costituisce solo una servitù di passaggio per altri». «Alla riunione – sottolinea – ho
contestato anche la reale utilità dell’opera (visti i numeri attuali dei treni in transito) e i costi esorbitanti
della stessa. Rfi, nella relazione di dicembre 2013, valuta il costo del raddoppio in 250 milioni di euro,
mentre il viceministro alle infrastrutture Nencini durante la sua visita in Regione nel 2014, ha parlato
addirittura di 500 milioni, mentre opere simili in altre parti del mondo hanno costi decisamente
inferiori». (m.d.m.)
«Guardia pediatrica da maggio» (M. Veneto Udine)
di Paola Mauro LATISANA «Ciò che serve è superare e risolvere tutte le criticità che abbiamo su
Latisana per quanto riguarda la pediatria. Questo è l’obiettivo che ci siamo posti». È questa una delle
garanzie che ieri mattina la presidente Debora Serracchiani, a margine di un incontro con i sindaci
dell’Uti, ha pronunciato discutendo con una rappresentanza del comitato Nascere a Latisana. «Vi posso
anticipare – ha detto la presidente – che abbiamo lavorato molto sul concorso dei pediatri, per
recuperare il maggior numero di competenze, per anticipare il ripristino della guardia pediatrica invece
che da giugno già da metà maggio e fino alla fine di settembre. Quello che serve e che credo abbiate
capito è lavorare sulla pediatria». Un incontro chiarificatore, in attesa di un vertice ufficiale che
Serracchiani, in accordo con il sindaco di Latisana, Salvatore Benigno, intende convocare a breve, con i
sindaci dell’Ambito, i capigruppo di Latisana e lo stesso comitato, non prima di aver esaminato tutti i
dati riferiti agli accessi pediatrici delle ultime settimane. «Stiamo facendo preparare una relazione con
tutti gli accessi, sia di Latisana che di Palmanova, da quando è stato sospeso il punto nascita – ha detto
Serracchiani – ci vogliono almeno cinque o sei settimane per fare una valutazione nel merito. Bisogna
fare un ragionamento assieme e quando avrò i dati, ho già parlato con il sindaco, incontrerò gli
amministratori di tutto l’ambito i capigruppo e poi voglio incontrare anche voi – ha detto riferendosi al
comitato – per parlare come abbiamo fatto a Trieste. Però prima voglio i dati, è inutile che continuiamo
a parlarci con opinioni che sono legittimamente diverse. Voglio vedere tutti gli accessi, come sono stati
trattati, chi è andato a Palmanova, chi è rimasto a Latisana, chi è stato dimesso, in modo che quando ci
vediamo la prossima volta abbiamo il quadro della situazione». Rispondendo a una domanda
sull'ufficialità dei dati, la governatrice ha risposto che «i numeri che vengono dati dall’amministrazione
regionale sono certificati e verificati e siccome non mi fido di nessuno me li sto prendendo
singolarmente, vedendo tutte le cartelle, per cui vi prego di pensare che i numeri che avrete sono
numeri veri». Rispetto ai tempi d’attesa registrati a Palmanova, dove la sospensione della guardia
pediatrica a Latisana, Serracchiani ha detto che «si deve arrivare a Palmanova quando c’è bisogno, per
il resto ci deve essere il territorio», ricordando quanto accaduto anche all’ospedale di Gorizia, dopo la
chiusura del punto nascita. E intanto questa mattina in consiglio regionale, saranno discusse due
interrogazioni, con la richiesta di chiarimenti proprio in merito ai disservizi segnalati dagli utenti che si
sono presentati al pronto soccorso dell’ospedale di Latisana, dopo la soppressione della guardia medica
pediatrica.
«Coopca, liquidazione da rivotare» (Gazzettino Udine)
David Zanirato Stanchi, disillusi, ancora furenti per i loro soldi andati in fumo (27,5 milioni di euro),
sono molti i soci di Coopca che si chiedono in questi giorni il perché della convocazione ricevuta
all'assemblea generale di una società ormai "defunta", attualmente in procedura di concordato e gestita
da dei liquidatori. A rispondere loro, invitandoli invece caldamente a partecipare perché direttamente
interessati, ci pensa l'avvocato del comitato soci, Gianberto Zilli. «Nel luglio 2015, in occasione
dell'assemblea generale durante la quale Coopca ebbe il suo epilogo - specifica Zilli - non ci fu, infatti,
formale messa in liquidazione della società in quanto i soci votarono contro a maggioranza eleggendo
invece un nuovo Cda; poi però il vecchio Consiglio d'amministrazione, tramite i suoi legali, presentò
comunque richiesta di nomina dei liquidatori al Tribunale di Trieste, circostanza che avvenne nelle
settimane successive. Un socio presentò, però, ricorso e sia in prima che seconda battuta gli fu data
ragione dal Tribunale di Udine, che dispose la cancellazione dal registro delle imprese della messa in
liquidazione».
In pratica i tre liquidatori sarebbero stati "disconosciuti", anche se poi la legge prevede che comunque i
loro atti svolti nei mesi successivi non possano essere invalidati, concedendo loro un regime di
«prorogatio». «A questo punto nell'assemblea del 22 aprile prossimo si dovrà rivotare la messa in
liquidazione - prosegue Zilli - stavolta però per perdita del capitale sociale. E questo andrà a beneficio
dei soci azionisti, i quali potranno avere in mano un documento da vantare nei confronti del Fisco, utile
a dirimere la questione dell'Isee».
Ovvero verrebbe certificato che i loro risparmi effettivamente non esistono più e quindi non "pesano"
nel calcolo del rispettivo indicatore economico. «Ma ciò comunque non pregiudicherà i rimborsi
derivanti da eventuali azioni di responsabilità civile che sempre nel corso dell'assemblea verranno
discusse - assicura Zilli -. Anzi, grazie a questo nuovo voto si potrà ampliare fino ai cinque anni il
periodo sul quale ci si potrà rivalere nei confronti degli amministratori che hanno gestito la società».
Domenica a Buja, come annunciato, il comitato soci farà il punto della situazione in una riunione
preparatoria, decidendo come comportarsi in occasione dell'assemblea del 22 aprile.
Ciriani, in lista coop ed ex Cgil (Gazzettino Pordenone)
Chiusura delle liste non senza bordate tra i gruppi in corsa per le elezioni. In una campagna elettorale
sempre più nervosa anche la chiusura delle liste elettorali si trasforma in accesi botta-risposta sui social.
Alessandro Ciriani - mercoledì prossimo presenterà la sua squadra - ha puntato molto su persone
impegnate nel sociale, nella cooperazione e anche nel sindacato. In lista anche una ex dirigente della
Cgil veneta. Un modo per rubare voti alla sinistra? Sembra proprio di sì. Visto che anche nel
programma ci sono punti a favore della mamme e dei genitori in difficoltà come la "baby sitter
condominiale" e il patto sociale per la casa tax-free per le giovani coppie.
«Quaranta amici, quaranta storie e quaranta competenze. Sono stanco, ma - ha scritto ieri Ciriani - ho
una compagnia meravigliosa. Amiamo Pordenone. Questo sentimento non lo esibiamo in presuntuosi
esercizi storici che rimandano al 1.200 e neppure lo contrabbandiamo come scusa per mantenere un
tentacolare potere. Questo sentimento lo chiamiamo attenzione per i pordenonesi». Immediata e piccata
la replica di Marco Salvador di "Pordenone 1291": «Potrei sottoscrivere le stesse parole per la nostra
lista, per quelle donne e uomini che hanno dato fiducia al nostro progetto. Porta rispetto per queste
persone e per ciò che c’è dietro in sforzi e contenuti. Evita di deridere il nostro nome che è pieno di
significato: il tuo deriderci rischia di testimoniare una tua preoccupazione sul piano della proposta. E
non darci dei "guardiani del potere": sarebbe facile risponderti che tu sei portatore di un sistema di
potere che si vuole sostituire a un altro».
Poco dopo Ciriani usa il fair play con gli avversari del M5S. «È morto Casaleggio. Comunque la si
pensi oggi è scomparso un innovatore nel modo di fare politica. Le innovazioni possono piacere o
meno ma vanno riconosciute. Condoglianze alla sua comunità». Samuele Stefanoni, l’ingegnere
trentenne candidato dei Cinque Stelle, non intende rispondere a Ciriani e lascia cadere il suo messaggio
di rispetto in un giorno di lutto. «Ci lascia un uomo straordinario - sottolinea Stefanoni - che con la sua
visione politica ha saputo risvegliare la coscienza e la speranza di milioni di italiani rivoluzionando il
modo di fare politica. Nostro compito è ora quello di dimostrare con tenacia quanto profondamente
crediamo in tali principi, quelli della democrazia diretta, della partecipazione attiva alla cosa pubblica e
dell'onestà senza compromessi. Faremo tesoro di quanto ci disse Gianroberto a Imola lo scorso anno:
"Non riusciranno a liberarsi di noi perché è difficile vincere con chi non si arrende mai". Grazie
Gianroberto, a riveder le stelle».
Mille studenti in marcia per l’Area giovani del Cro (Gazzettino Pordenone)
PORDENONE - Un migliaio di ragazzi dai 14 ai 19 anni in marcia per sostenere i propri coetanei
costretti a a combattere contro una malattia terribile come il tumore. Sono gli studenti degli istituti
secondari superiori che ieri mattina hanno attraversato il centro città marciando per l'Area Giovani del
Cro di Aviano. Un’onda bianca e blu «come l'acqua sorgente a richiamare il colore delle corsie
ospedaliere luogo in cui rinascere, ma anche il cielo azzurro che attende i pazienti quando escono
dall'ospedale», racconta Enrico Padovan, presidente della Consulta degli studenti organizzatrice
dell'iniziativa.
«Non siamo passati inosservati - prosegue Padovan - visto che abbiamo avuto adesioni e contributi
anche da parte di persone che si trovavano in centro città in favore dell'Area Giovani». Uno degli
aspetti più importanti della mattinata è stata la raccolta di denaro che verrà devoluta al reparto del
Centro di Aviano. Contributi che ogni anno vengono messi a disposizione da studenti e scuole, e
quest'anno anche da alcuni privati, in alcuni casi aziende che hanno voluto mantenere l'anonimato come
gesto di volontariato. Ad aver contribuito è stata anche Atap che ha messo a disposizione gratuitamente
le corriere che hanno permesso di far partecipare anche ragazzi della provincia, anche se non tutti gli
istituti della Destra Tagliamento hanno deciso di aderire.
Alla marcia intitolata «Un aiuto in pochi passi» hanno partecipato anche Maria Rosaria Laganà,
prefetta di Pordenone, e Pietro Biasiol responsabile dell'Ufficio scolastico regionale. «L’obiettivo che
ci eravamo posti era di sensibilizzare le istituzioni», aggiunge Enrico Padovan. In particolare riportare
in evidenza la necessità che l'Area Giovani (rappresentata ieri dal medico Maurizio Mascarin) ritorni ad
avere spazi idonei e previsti per questo reparto (il temporaneo trasferimento al terzo piano perdura da
tre anni, durante i quali gli spazi adibiti all'Area Giovani sono stati ridimensionata). Obiettivo raggiunto
visto che gli studenti hanno avuto rassicurazione che potrebbe - finalmente - accadere il prossimo
autunno. Valentina Silvestrini