Panorama, n.7, 15 aprile 2016

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Anno LXIV - N. 7 | 15 aprile 2016 | Rivista quindicinale - kn 14,00 | EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401
Huda jama
un gesto
di umanità
Dossier CI
Inserto speciale
«Per il momento va bene
così. Aspettiamo tempi
migliori», dice Aldo Sorgo,
presidente della Comunità
degli Italiani di Sterna
GARE D’ITALIANO – Enea Dessardo
(Fiume, II premio): «Il bello di essere
giovani è il non aver paura del futuro»
• SARANNO FAMOSI – Riflettori su
GAC, il Gruppo della SMSI di Buie •
HI-TECH – Trackmania TM Turbo •
LIBRI– L’«omofollia» secondo Cesari
p. 22
sommario
Il 25 aprile a barbana il giubileo degli esuli giuliano -dalmati
Nel segno del venerabile Bullesi
editoriale
Alto rischio d’estinzione. Riduzione delle dotazioni, erogazione congestionata
dei fondi e spese che incombono: è in
gioco la sopravvivenza dell’EDIT
di Ilaria Rocchi 3
PRIMO PIANO
La Slovenia seppelisce i morti di «Huda
jama». La miniera abbandonata, dove
giacciono i resti delle vittime dei reati
commessi per mano comunista nel secondo dopoguerra diventerà un museo
memoriale
4
attualitÀ
Euro debole imprese all’estero più
competitive
a cura di Diana Pirjavec Rameša
11
Nell’Anno Santo straordinario voluto da papa
Francesco, acquista particolare rilievo il Giubileo degli Esuli giuliano-dalmati, che si terrà
nel santuario mariano sull’isola di Barbana
(Grado) il 25 aprile, giorno della morte
di Egidio Bullesi, operaio,
religioso e marinaio polese
36
sfida di bellezza virale; ALIMENTAZIONE: Buco allo stomaco? Gli snack
che fanno bene alla salute e all’umore;
ANNIVERSARI: LEGO, 100 anni dei
mattoncini sempre più digitali; TECNOLOGIA: Internet of things, settore
in costante crescita
a cura di Nerea Bulva 39
percorsi
Simone Cristicchi sull’«isola dei dannati». Il cantautore romano racconterà
quest’altra pagina difficile di storia del
XX secolo
14
Per la macroregione delle Tre Venezie
nell’Unione europea. Un progetto promosso e sostenuto da tre personaggi:
Ivone Cacciavillani, Ferruccio Bresolin
ed Ulderico Bernardi
di Marino Vocci
17
iTALIANI NEL MONDO
Ecco com’è nata la lingua più bella del
mondo 20
tesori della terra
Pietre e cristalli dai cristiani ai celti
di Daniela Mosena Sergey Karjakin è lo sfidante al titolo
mondiale. Concluso il Torneo dei Candidati di Mosca
a cura di Sandro Damiani 49
«Da Marino» a Cremegne ristorante
d’èlite
di Sostene Schena 50
PASSATEMPI
Cruciverba
di Pinocchio 51
arte
MADE IN ITALY
«Bentornata Primavera». Pollice verde,
la fiera dei fiori a Gorizia
a cura di Ardea Velikonja
38
RUBRICHE
CURIOSITÀ: «A4 challenge», la nuova
2
Panorama
8
44
SCACCHI-PILLOLE
SOSTE DI ULISSE
Il fascino intramontabile delle porcellane.
A venezia in mostra la collezione Gozzi
di Patrizia Lazzarin 33
È in corso il rinnovo delle dirigenze dei
principali partiti politici in Croazia. L’SDP
riconferma la fiducia a Milanović
di Diana Pirjavec Rameša
Applicazioni che uccidono la batteria
dell’iPhone
a cura di Igor Kramarsich 46
CI di Sterna, il racconto del presidente
Aldo Sorgo: «Aspettiamo tempi migliori»
di Ardea Velikonja 22
«Taxi Driver» tenebroso, allucinato,
immortale. A quarant’anni dall’uscita
della pellicola, il Tribeca Film Festival
omaggia il cult di Martin Scorsese
a cura di Barbara Rosi 30
Forti come
una roccia?
multimedia
DOSSIER COMUNITÀ
cinemania
primavera politica croata
la storia oggi
Trieste al di là dei miti
Il ritratto della città dal volto complesso in
un volume innovativo, che segna una svolta negli studi di storia giuliana, troppo a
lungo condizionati dalle dolorose vicende
novecentesche
di Fulvio Salimbeni
27
Anno LXIV | n. 7 | 15 aprile
Redattore capo responsabile
Ilaria Rocchi
[email protected]
Progetto grafico-tecnico
Sanjin Mačar
Redattore grafico-tecnico
Sanjin Mačar, Teo Superina
Collegio redazionale
Nerea Bulva, Diana Pirjavec Rameša, A rdea Velikonja
REDAZIONE
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PANORAMA esce con il concorso finanziario della Repubblica di Croazia e
della Repubblica di Slovenia e viene parzialmente distribuita in convenzione
con il sostegno del Governo italiano nell’ambito della collaborazione tra
Unione Italiana (Fiume-Capodistria) e l’Università Popolare di Trieste
Ente giornalistico-editoriale
Rijeka - Fiume, Zvonimirova 20A
Direttore f.f.
Errol Superina
Consiglio di amministrazione
Oskar Skerbec (presidente), Roberta Grassi Bartolić (vicepresidente),
Roberto Bonifacio, Samuele Mori, Dario Saftich, Borna Giljević
ŽELJKO JERNEIĆ
editoriale
Riduzione
delle dotazioni,
erogazione
congestionata
dei fondi e spese
che incombono:
è in gioco
la sopravvivenza
dell’Edit
di Ilaria Rocchi
L
’insostenibile peso dell’incertezza è il
sottile filo rosso che lega l’esistenza dei
mass media della Comunità nazionale
italiana in Croazia e Slovenia e quelli della cosiddetta diaspora, tutti ugualmente
alle prese con le conseguenze dei tagli ai fondi e
di una erogazione degli stessi assai irregolare,
congestionata, lenta. Quelle che una volta erano
redazioni italiane a tutti gli effetti all’interno delle emittenti radiofoniche di Fiume e Pola hanno
perso ogni soggettività e autonomia; i problemi
assillano pure i programmi italiani di Radio e
Tele Capodistria, che combattono per mantenere
gli standard di elevata professionalità che li hanno caratterizzati e resi riconoscibili, e conservare
la visibilità sul territorio. Le risorse sono ormai
esaurite, tanto quelle finanziarie quanto quelle
umane. Andando avanti di questo passo, all’orizzonte si affaccia sempre più vicina l’opzione
più scura: il drastico ridimensionamento o addirittura la chiusura. Il rischio d’estinzione è alto.
Paolo Radivo, direttore dell’Arena di Pola, nel
numero di aprile del mensile “di attualità, storia
e cultura giuliano-dalmata”, ha lanciato un forte
allarme-appello sulla preoccupante congiuntura finanziaria del suo editore – l’Associazione
Libero Comune di Pola in Esilio –, denunciando
la mancata corresponsione, da parte del competente ministero italiano, “dei saldi dei progetti
2012 già consuntivati da tempo ai sensi della
legge nazionale 72/2001 e successive modifiche”. Per risparmiare, senza impoverire i contenuti, il giornale uscirà tutto in bianco e nero. “Ma
se lo Stato italiano non ci corrisponderà a breve
i rimborsi promessi, da maggio dovremo anche
scendere a 12 pagine. E poi chissà... ”, conclude
Radivo. È un male comune, contagioso, che nes-
Alto rischio
d’estinzione
sun filo spinato o staccionata riesce a fermare.
L’Edit sta affrontando una crisi simile; l’ennesima nella sua lunga storia, che ha conosciuto alti
e (molto più spesso) bassi.
fTra slanci e duri colpi
Anche nei periodi più oscuri, però, ha saputo trovare la forza per rilanciarsi, con fiducia e ottimismo, confidando nel sostegno degli Stati, che alla
minoranza italiana autoctona di Croazia e Slovenia hanno promesso i più alti livelli di tutela (e il
diritto allo sviluppo di mezzi d’informazione ed
editoria nella propria lingua rientra appunto in
questo “pacchetto”). L’Edit ha saputo così ripartire sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso,
uscendo dalle briglie del regime jugoslavo. L’ha
rifatto a metà anni Novanta, ammodernandosi
tecnologicamente. E poi nuovamente nel 2001,
sottraendosi allo Stato croato per diventare
“proprietà” dell’Unione Italiana, che rappresenta ed è espressione della CNI. In quel periodo ha
saputo confrontarsi e porre fine anche a certa
politica editoriale (sotto la direzione Matić) che
proponeva scelte discutibili e che aveva contribuito alla disaffezione dei lettori verso le testate
Edit. Due lustri fa, poi, ha migliorato la qualità e
la quantità della sua offerta, per contribuire al
rafforzamento e alla promozione dell’identità e
della lingua italiana in queste terre – di un’italianità che ha saputo difendere quando ce n’era
bisogno –, ma anche per riallacciare il legame
con i connazionali-lettori e collaboratori.
E quando ormai tutto sembrava procedere per
il verso giuto, nell’autunno 2011, la mazzata:
ritorno al bianco e nero, riduzione della foliaPanorama
3
zione, della tiratura, degli inserti... Le cause? Lo
scollamento tra i mezzi disponibili – nonostante
tutti gli sforzi compiuti dal fondatore e dal deputato CNI al Sabor, Furio Radin, per assicurare un
aumento dei finanziamenti – e le spese, considerato che una casa editrice – che realizza un
quotidiano (La Voce del Popolo), un quindicinale
(Panorama), un mensile (Arcobaleno), un trimestrale (La battana), manuali scolastici e libri di
autori della CNI – costa, e anche parecchio. Di
mezzo all’epoca c’era soprattutto il persistente
silenzio di Roma sull’ammissibilità della Voce
del Popolo alle prevvidenze previste dalla legge
250/90, su cui la direzione aveva fatto affidamento. Il contributo arriverà agli sgoccioli dello
stesso anno e ciò consentirà all’Edit di recuperare
un po’ di terreno perso.
fIl prossimo «passo»
Altro brutto colpo nel 2014, a seguito delle irregolarità nella gestione Forza rilevate dalla Corte
dei Conti croata. Da allora la nuova direzione sta
cercando di rimettere le cose a posto, con sacrifici
e sforzi di tutti. Ma i segnali giunti in questi ultimi tempi potrebbero mandare all’aria tutto: il
Consiglio delle minoranze croato ha diminuito le
sovvenzioni dell’11 p.c., il ministero della Cultura
le ha dimezzate, mentre quello dell’Istruzione ha
coperto solo una piccola parte dei debiti verso
l’Edit in fatto di manualistica scolastica. Inoltre,
La Voce, pur avendo inviato la documentazione
richiesta, non è stata ammessa alla 250/90 per
motivi di natura tecnica e meramente formali.
Dopo aver già ridotto le spese all’osso, ma senza intaccare i contenuti, con aprile l’Edit si è vista costretta a mettere mano anche su questi:
via libri, inserti e pagine. Giù paghe e onorari,
viaggi di servizio praticamente annullati, via
le collaborazioni esterne. Scompaiono così (si
spera provvisoriamente) firme prestigiose e
quelle di alcuni bravi giovani, laureati rientrati dall’Italia anche perché c’è un’Edit in cui
possono realizzarsi professionalmente. Non è
detto che tutti questi risparmi alla fine bastino a
garantire la continuazione dell’attività.
Che cosa porterà il futuro? Il ridimensionamento della casa editrice? È una delle possibili
opzioni, ma comunque resta un’operazione che
richiede tempo e denaro. E l’Edit oggi non ha
né l’uno né l’altro. Potrebbe sgretolarsi già domani, con un effetto domino sull’intero sistema
CNI e conseguenze che non osiamo immaginare. Per salvarla – ammesso che si reputi giusto
farlo – serve un’iniezione straordinaria. O,
viceversa, staccare la spina. Chi si assumerà la
responabilità della sua estinzione?
4
Panorama
La Slovenia sep
i morti di Hud
primo piano
L
ppellisce
da jama
Un gesto di umanità: la miniera
abbandonata Barbara rov, vicino a
Laško, dove giacciono gli scheletri e gli
effetti personali di alcune migliaia di
persone, vittime dei reati commessi per
mano comunista nel secondo dopoguerra,
diventerà un museo memoriale. Il sito
sarà iscritto nel registro dei beni culturali.
Per questo progetto il governo di Lubiana
ha stanziato 655mila euro
a Slovenia rende giustizia,
almeno in una minima
parte, alle vittime dei crimini commessi dai comunisti titini: il sito di Huda
jama – la “grotta maligna”, la miniera abbandonata Barbara rov, vicino
a Laško, dove nell’estate del 1945 le
milizie comuniste gettarono i corpi
degli oppositori, veri o presunti, del
nuovo regime jugoslavo – è destinata a diventare un museo memoriale
e sarà iscritta nel registro dei beni
culturali. L’ha deciso l’Esecutivo sloveno guidato da Miro Cerar, che nel
settembre dello scorso anno aveva
affidato a un’apposita commissione
governativa il compito di individuare il modo più consono per ricordare il luogo, ma anche le modalità di
sepoltura di quanti persero la vita in
quella località degli orrori tra maggio e giugno del 1945. Sono state
pure avviate le pratiche per l’esumazione e la traslazione dei resti dall’ossario della vecchia miniera abbandonata a quello di Maribor, che nel
passaggio subiranno anche un intervento di pulitura. Per l’attuazione del
progetto nell’area di Huda jama nel
biennio 2016-2017 sono stati messi
a bilancio 655.000 euro. Bandito un
concorso pubblico per l’affidamento
dei lavori, questi dovrebbero concludersi nell’arco di circa un anno e
mezzo.
Huda jama è una delle più grandi fosse comuni finora scoperta degli eccidi perpetrati alla fine della Seconda
guerra mondiale dalle forze del regime titino. È un vero e proprio pozzo
dell’orrore, in cui sono finiti non solo
gli uomini della “Bela Garda” (la
guardia bianca slovena, una formazione anticomunista filotedesca) ma
anche e soprattutto religiosi, piccoli
proprietari, contadini “ricchi” e tanti
poveracci presi a caso. Huda jama è
rimasta avvolta dal silenzio per quasi mezzo secolo; poi, negli anni Novanta, qualcuno ha iniziato a ricordare fatti taciuti ma non dimenticati.
Nel 2009, su pressione della diaspora
anticomunista slovena, una squadra
di minatori armati di demolitori e
picconi arrivò a Laško e distrusse il
diaframma di cemento armato con
Panorama
5
cui era stata sigillata la galleria. Chi
partecipò ai lavori parlò di scene
raccapriccianti. Nei cunicoli furono
rinvenuti almeno 2.500 cadaveri. In
una prima fase, la Commissione governativa d’inchiesta, guidata dallo
storico Jože Dežman, ha ritrovato e
“certificato” circa 800 salme; poi i lavori si sono interrotti, per mancanza
di fondi e forse anche di volontà politica. Le ricerche hanno rivelato che
le persone da eliminare furono portate ancora vive nella miniera, spogliate di tutto e fatte proseguire per
circa 400 metri e lì dentro assassinate
all’arma bianca, apparentemente con
picconi da miniera. La maggior parte
di loro al momento dell’uccisione era
inginocchiata e così è stata trovata
nella fossa. In seguito furono rico6
Panorama
perte di calce e il recinto fu chiuso
con una spessa coltre di cemento
per nascondere la strage. A causa
della grande quantità di corpi e della mancanza di ossigeno, molti dei
cadaveri sono mummificati e non si
sono completamente decomposti.
Sembra che si tratti soprattutto di
croati e di sloveni. Giudicando dagli
stivali indossati, si può dire che la
maggior parte furono militari, però
vi sono anche civili, donne e persino
bambini. Le loro spoglie, gli oggetti personali e le altre testimonianze
questa di questa brutta pagina della
storia del XX secolo sono rimasti
a giacere all’interno della miniera
fino a sei anni fa.
Quella di Huda jama è solo una
delle località della “geografia” del
terrore che imperava all’epoca in
Slovenia: ci sono, ad esempio, anche
Koevski rog e il sito di Tezno, vicino
a Maribor, una delle foibe più grandi
del Paese (nel 2007 i sondaggi che
furono effettuati dimostrarono che
l’intera cavità lunga 930 metri è piena di cadaveri e le prime stime fatte
dagli esperti parlano di circa 15mila
vittime gettate del buco). I cimiteri
degli eccidi di massa sono presenti
in più di cento comuni della Slovenia, mentre è ancora un mistero il
numero complessivo dei morti, degli omicidi avvenuti durante la guerra e a ostilità finite, coperti in modo
programmatico dall’oblio e dall’indifferenza, in modo programmatico,
rimasti impuniti. A lungo è mancata
una condanna forte, chiara e inequi-
primo piano
vocabile di questi massacri, nonché
dei singoli o dei gruppi che ne sono
stati responsabili. Lo stesso discorso
vale per la Croazia, dove sono stati
evidenziati 718 siti in cui avvennero
crimini comunisti e 628 sono fosse
comuni. Secondo alcune stime, potrebbero contenere i resti di 90mila
persone, soprattutto di nazionalità
croata, considerati anticomunisti o
“nemici del popolo”: civili, donne e
bambini, come pure di soldati italiani e tedeschi.
E se finora le istituzioni hanno fatto ben poco – nei confronti dell’opinione pubblica e soprattutto dei
giovani, insegnando nelle scuole
anche questa parte della storia nazionale – per tutelare quelli che, al
di là di ogni ideologia, dovrebbero
essere principi etici fondamentali
nella comunità politica e dei relativi
diritti umani, oggi sia la Slovenia (la
prima delle repubbliche ex jugoslave a squarciare il velo del silenzio)
che la Croazia sembrano decise a
liquidare i conti con l’epoca del terrorismo di stato titoista, avviando
una sorta di operazione verità.
L’auspicio è che si affrontino tutte
le pagine di questo passato scomodo e angosciante –, senza saltare
quelle che fino a ieri si consideravano “controverse”, senza lasciare
zone d’ombra, smettendola di relativizzare e sminuire i misfatti perpetrati dal regime della stella rossa
in Istria, a Fiume, in Dalmazia – e
che si faccia finalmente chiarezza
anche sulle atrocità attuate contro
gli italiani nelle aree dei loro insediamenti storici, finora relegati, da
croati e sloveni, a una sorta di vittime di “serie B”. È una ferita ancora aperta perché continua a venir
ignorata, perché non è riconosciuta
come tassello della storia di tutti gli
abitanti di queste terre – e quindi
anche di croati, sloveni, serbi... –,
perché nei posti in cui è stata inferta non è stata ancora elaborata.
Ci sono gli scheletri delle foibe che
attendono una dignitosa sepoltura. In una società che vuole essere
considerata civile, seppellire i morti
è un dovere; seppellire i morti delle foibe, delle varie Hude jame è un
gesto di pietà, di umanità e di maturità politica.
I. R.
Panorama
7
attualità
di Diana Pirjavec Rameša
T
ira aria di rinnovamento
ai vertici dei maggiori
partiti politici in Croazia. Hanno già votato
i membri del Partito
contadino e del Partito socialdemocratico; tra breve toccherà all’Accadizeta (ma qui il candidato è uno
solo, Tomislav Karamarko) e ai Popolari. Entro maggio si completerà
il quadro della leadership. All’inizio del mese i soci hanno affidato a
Zoran Milanović le redini dell’SDP.
Milanović, che si è giocato la sua sfida puntando sul carisma, l’energia, i
toni forti e l’aggressività, ha ottenuto un nuovo mandato con il 60 per
cento dei voti. Le sconfitte incassate negli ultimi anni non sono state
considerate motivo sufficiente per
negargli la fiducia e ora tutti attendono i suoi prossimi passi, chiendosi se ci sarà, e in quale misura, la resa
dei conti con tutti coloro che avrebbero voluto il suo prepensionamento politico. Il suo rivale Zlatko
Komadina si è fermato al 40 p.c. dei
sostegni, pescando soprattutto nel
suo bacino di provenienza, la Regione litoraneo-montana di cui è
presidente. Viceversa Milanović ha
potuto contare su tre aree: Zagabria
e il suo entourage, Osijek e la Slavonia, nonché la Dalmazia.
Nella prima fase della campagna
elettorale si è visto chiaramente che
il partito si stava spaccando in due
frazioni, una apertamente a sostegno del presidente uscente e una a
favore di Komadina. Da agguerriti,
nelle ultime due settimane i toni si
sono placati e il confronto è stato
trasferito sui social: i due candidati
hanno infatti comunicato prevalentamente su Facebook (Komadina) e su Twitter (Milanović). Una
battaglia politica in un certo senso
pilotata e guidata da social media
manager, che hanno cercato di tenere la polemica sotto controllo, ma
soprattutto di trasformare un partito “antico” e per certi aspetti obsoleto, come lo è l’SDP, in una forza
politica moderna, lanciata verso il
8
Panorama
ccZoran Milanović,
vecchio-nuovo presidente
dei socialdemocratici croati
Forti come u
futuro, in grado di proporre modelli comunicativi moderni. Sia come
sia, vanno messe in rilievo alcune
particolarità di questo confronto
politico in casa SDP. Innanzitutto,
è emerso che nonostante la diatriba
iniziale e il malcelato antagonismo
tra le due lobby in seno al partito,
nelle indagini demoscopiche l’SDP
si è assestato su una percentuale di
preferenze che oscilla tra il 25 e ili 30
p.c.; un buon risultato, che dovrebbe
costringere la dirigenza del partito –
e ciò riguarda anche gli organi di gestione politica, non solo la segreteria – a trovare un percorso comune
nel rispetto delle regole e dei valori
della socialdemocrazia. In secondo
luogo, se Milanović ha perso le politiche ha ripristinato il controllo sul
partito e in una situazione di crisi e
di precari equilibri di governo questo è un aspetto positivo.
Ma i giochi non finiscono qui. Il 16
aprile è in agenda la seconda parte della convention, in cui saranno
eletti i vari organi di gestione. Sarà
un test per entrambe le parti. C’è già
chi ipotizza possibili vendette nei
confronti del gruppo che ha appoggiato Komadina, tra cui il sindaco
di Spalato, Ivo Baldasar, e poi Rajko
Ostojić, Davor Bernardić, possibile
candidato a sindaco di Zagabria alle
prossime amministrative, e l’eurodeputato Tonino Picula. Chi segue da
vicino le dinamiche interne all’SDP
si chiede, a ragione, se ci sia effettivamente la possibilità di instaurare un
dialogo e ricucire le spaccature esplose in questi mesi? A tale proposito,
gli analisti evidenziano che in questo
momento i socialdemocratici hanno
bisogno di un leader forte, ma non
rumoroso. Propongono a Milanović
di farsi aiutare da un consulente che
curi la sua comunicazione con l’esterno, rendendola più morbida. Il
presidente dell’SDP ha infatti “esagerato” durante la campagna elettorale, usando parole pesanti, arroganza e dimostrando mancanza di
sensibilità sociale. L’americano Alex
Brown, specialista in comunicazione e campagne politiche, si è rivelato
molto utile alle recenti politiche: è
riuscito a trasformare il suo cliente
(Milanović), il cui rating scendeva
primavera politica croata
È in corso il
rinnovo delle
dirigenze partitiche,
operazione che si
concluderà entro
maggio. L’SDP
riconferma la
fiducia a Milanović,
anche se non si
esauriscono qui
i giochi di potere
una roccia?
ccLo sfidante Zlatko Komadina, si è fermato
al 40 p.c. delle preferenze
pericolosamente di settimana in settimana, in un politico moderato, dal
volto umano, empatico; ha sostituito
i “tuttofare” della segreteria di partito con figure professionali in grado
di agire in sintonia con quanto sta
succedendo nel mondo della comunicazione politica contemporanea;
quindi ha potenziato pure l’online,
affidandosi all’aiuto di un giovane
25.enne. Il costo di questo servizio?
Rimarrà probabilmente un ennesimo segreto d’ufficio....
Resta ancora da capire perché
Milanović e Komadina abbiano
rinunciato al confronto pubblico
finale. Avrebbero dimostrato che
l’SDP è un partito stabile con idee
chiare. Probabilmente si sono tenuti
ben lontani l’uno dall’altro per non
rischiare di dover “lavare i panni
sporchi in pubblico”. Così, invece,
potremo dubitare della tesi sposata da ambo i candidati i quali hanno sostentuo che il partito sia forte
come “una roccia”. Una roccia, aggiungeremo noi, che stava per sgretolarsi sotto i nostri occhi.... colpita
da frange di dissidenti, personaggi
illustri espulsi per “indisciplina”,
politici di rango e dilettanti allo sbaraglio. Tanta e varia umanità e una
piattaforma politica tutta da riscrivere e da adeguare alla tragedia economica in cui siamo piombati. Ma
questo nessuno ai cittadini glielo
vuole dire in faccia.
La Croazia,
uno dei Paesi
più corrotti
Assieme a Romania e Bulgaria, la Croazia è
uno dei Paesi più corrotti all’interno dell’Unione europea, e risulta peraltro lo Stato
membro con la più alta concentrazione di
malaffare nel settore degli appalti pubblici.
A riportare questi primati decisamente poco
invidiabili è uno studio svolto dall’istituto
no profit “RAND Europe”, presentato recentemente dal Parlamento europeo. Come
riporta l’agenzia nazionale croata HINA, l’indagine ha dimostrato che Croazia, Romania
e Bulgaria sono le capofila di un gruppo di
quattordici Paesi europei in cui il livello di
corruzione riscontrato supera la media comunitaria. I dati sono piuttosto eloquenti:
il fenomeno corruttivo “polverizza” circa il
15% del Pil di Croazia, Bulgaria, Romania
e Lettonia e un patrimonio annuale che
oscilla da 179 miliardi a 990 miliardi di
euro nell’intera Unione europea. Perdipiù,
commentando i risultati dello studio, gli
analisti di “RAND Europe” ricordano che la
corruzione comporta elevatissimi costi sociali (disuguaglianza crescente, alti livelli di
criminalità organizzata e uno Stato di diritto
sempre più debole) e politici (costante calo
dell’affluenza alle elezioni parlamentari e
minore fiducia nelle istituzioni dell’Ue).
“Occorre adottare una serie di misure strutturali, sia legislative che regolamentari, su
scala nazionale – suggeriscono gli esperti
–, tra cui l’estensione del Meccanismo di
cooperazione e verifica (Mcv) in altri Paesi dell’Ue. Tale strumento, infatti, è stato
creato dalla Commissione europea in vista dell’adesione di Romania e Bulgaria
per controllare direttamente la situazione
giudiziaria e la lotta contro la criminalità
organizzata. L’obiettivo è chiaro: agevolare
la messa in moto di drastiche ed efficaci
riforme giudiziarie. In base ai nostri calcoli, introducendo questo meccanismo anche
negli altri Stati membri dove il livello di
corruzione oltrepassa la media europea, si
otterrebbe una riduzione dei costi della corruzione in termini di Pil pari a circa 70 miliardi di euro ogni anno”. Con una soluzione
del genere, puntualizza lo studio, la Croazia
potrebbe risparmiare fino a 2,2 miliardi di
euro ogni anno.
Panorama
9
Euro debole
imprese all’estero
più competitive
10
Panorama
attualità
Il governo sloveno
ha discusso
il progetto
di programma
nazionale di riforma
per il 2016-2017
prima di presentarlo
al Consiglio
economico e sociale
(ESS) e di inviarlo
a Bruxelles
ccIl premier croato Tihomir Orešković in occasione di un
recente incontro con l’omologo sloveno Miro Cerar (Hina)
a cura di Diana Pirjavec Rameša
S
embra che misure adottate
dalla Banca centrale europea
(BCE) nel 2014 e nel 2015
abbiano avuto un impatto
positivo in Slovenia, anche
se resta difficile valutare quale sarà il
risultato a lungo termine. L’obiettivo
dichiarato era quello di sostenere l’economia, ma il rovescio della medaglia è che le banche oggi si trovano a
operare con margini ristretti, dunque
con effetti più moderati che altrove
nella zona euro, mentre gli istituti che
operano al dettaglio sono stati colpiti
negativamente.
Gli acquisti di obbligazioni e le altre misure non convenzionali cui
la BCE ha fatto ricorso per ridurre
il rendimento dei titoli di Stato, che
ha ridotto i costi di tassi di interesse
sui prestiti alle imprese e per la casa,
dice la banca centrale slovena. Le
misure si sono rivelate positive per
gli esportatori, dato che l’euro debole
ha reso le esportazioni slovene verso
Paesi non euro più competitive.
fBanche a rischio?
La Banca centrale però avverte che
è ancora troppo presto per fare una
stima complessiva degli effetti, in
quanto tali misure di solito si riflettono sull’economia con un certo ritardo. France Arhar, ex governatore
della Banca centrale che ora dirige
la “Bank Association”, sostiene che
la politica della BCE rappresenta
un rischio per le banche che ottengono il loro guadagno da ricavi da
interessi, una fonte fondamentale di
reddito che oggi è in declino. Con le
banche che lucrano sulla differenza
tra i tassi sui prestiti e tassi sui depositi, il passo logico sarebbe quello
di abbassare i tassi sui depositi, ma
questi sono già pari o vicino a zero.
Arhar afferma che è improbabile
che le banche commerciali possano
puntare sui depositi, ma è possibile
anche un’altra soluzione, quella di
applicare commissioni di conto più
elevate: “Il loro prezzo dovrebbe
salire drasticamente – aggiunge –,
ma non è realistico aspettarsi che le
banche addebitino 15 euro al mese
come spese di tenuta conto”.
fInteressi sui depositi
in discesa libera
Unicredit Banka Slovenije, la filiale
slovena dell’omonimo gruppo bancario italiano, rileva che “le misure
della BCE indicano che gli interessi
Panorama
11
attualità
sui depositi e prestiti continueranno a cadere anche se non avranno
impatto sui prezzi di altri servizi
bancari, come i pacchetti”. NLB,
istituto leader sul mercato, osserva
che le banche commerciali non si
aspettano particolari benefici dato
l’eccesso di liquidità. “Stiamo ancora preparando la nostra strategia
per il bilanciamento degli effetti negativi sulle entrate da interesse”.
Secondo gli analisti della società
di gestione del risparmio “Alta”, i
bassi tassi di interesse dovrebbero
teoricamente far aumentare l’in-
debitamento e la spesa delle famiglie, ma questo deve ancora accadere. In effetti è lecito chiedersi
se le misure della BCE saranno
in grado di raggiungere il loro
scopo: “In circostanze normali,
le banche avrebbero compensato
i margini di interesse bassi con
accredito crescita, ma ora devono
fare affidamento su altre fonti per
migliorare la redditività. Invece
puntellano le loro entrate con tasse più alte ed anche se gli aumenti
di prezzo sono pari a solo pochi
centesimi, questo rappresenta
Eurobarometro:
gli sloveni
sono soddisfatti
della loro vita
Secondo l’indagine svolta da Eurobarometro l’87% dei cittadini sloveni è soddisfatto della vita nel suo Paese, con un
risultato che si pone sopra la media Ue che
è dell’81%. Appena il 13% degli sloveni si
dichiara insoddisfatto rispetto a circa un
quinto degli europei, e rispetto alla rilevazione precedente, effettuata la scorsa primavera, la soddisfazione per la propria vita
è cresciuta di 6 punti percentuali mentre a
livello Ue è migliorata solo con dell’1%.
Quasi due terzi degli sloveni (64%) considerano la situazione finanziaria delle loro
famiglie come buona, con 4 punti percentuali al di sotto la media europea, mentre
più della metà degli intervistati (57%) considera soddisfacente la propria situazione
12
Panorama
personale per quanto riguarda il loro lavoro, quasi come nel resto d’ Europa (58%).
Gli sloveni ritengono che la qualità della
vita sia un po’ migliore nel resto d’ Europa che in patria. Il 46% degli intervistati
considera la vita in Slovenia come buona,
mentre gli intervistati provenienti da altri Paesi in media considerano la qualità
della vita migliorata (61%). Un certo
pessimismo si può notare invece nel valutare le condizioni dell’economia slovena e
dell’occupazione. Quattro intervistati su
cinque considerano la situazione economica nazionale in termini negativi, anche
se l’andamento delle variazioni di opinione
pubblica dall’ultima indagine mostra alcuni progressi.
ancora un aumento di qualche
punto percentuale rispetto agli
anni precedenti”. Per rispondere
alla sfida gli istituti stanno spingendo servizi aggiuntivi come le
assicurazioni di fondi comuni di
investimento: questo dovrà essere
accoppiato con l’ottimizzazione
dei costi.
fLa sostenibilità
dei conti pubblici
Il governo sloveno ha discusso il
progetto di programma nazionale
di riforma per il 2016-2017 prima
di presentarlo al Consiglio economico e sociale (ESS) e di inviarlo a
Bruxelles nei primi giorni di questo mese, e parlando alla stampa dopo la seduta del governo,
il ministro delle Finanze, Dušan
Mramor, ha detto che il Paese stava affrontando la questione della
sostenibilità fiscale nel lungo periodo. “Uno dei problemi principali è che siamo di fronte ad un
rischio estremo di sostenibilità a
lungo termine delle finanze pubbliche, essendo in nostro l’unico
Stato membro dell’Ue con il rischio di sostenibilità fiscale a lungo termine. Condividiamo anche
il rischio di sostenibilità fiscale a
medio termine con alcuni membri, mentre non ci sono tali problemi nel breve periodo. Dato che
la Slovenia sta vivendo un rapido
invecchiamento della popolazione, bisogna portare all’attenzione
la sfida dell’evoluzione demografica nel tentativo di preservare la
sostenibilità di bilancio.”
Mramor crede che l’invecchiamento della popolazione potrebbe
diventare sostenibile se gli studenti entrassero prima nel mercato del
lavoro e se si andasse in pensione
più tardi, e ha quindi chiesto ai ministri di trovare le migliori misure
possibili, ciascuno nella propria
area di competenza, che possano
essere adottate quest’anno e nel
prossimo. Anche le sfide del sistema sanitario sono state all’ordine
del giorno, allo scopo di rendere
il sistema più efficace possibile per
cc Karl Erjavec, ministro degli Esteri e presidente del Partito dei pensionati
stabilizzare la spesa per l’assistenza
a lungo termine.
Il ministro degli Esteri, Karl Erjavec, pensa che la riforma sanitaria
e quella della scuola siano le più
importanti. “Alcuni, tra cui il ministro delle Finanze, credono che
la riforma delle pensioni sia necessaria, ma oggi abbiamo concordato che invece non lo è”, ha detto
alla stampa. Mramor e il presidente del partito dei pensionati, Karl
Erjavec, nel frattempo non sono
riusciti a trovare un terreno comune sull’aumento delle pensioni
per quest’anno, come proposto dal
presidente di ZPIZ.
fLe formule dell’OMA
La bassa produttività, la mancanza di adattamento del sistema
pensionistico ai cambiamenti demografici, i deficit elevati e grande debito pubblico sono le principali sfide delle riforme strutturali
che in Slovenia dovrebbero essere effettuate nel più breve tempo
possibile: è il responso dell’Ufficio
per l’analisi macroeconomica del
governo (OMA).
Per reggere nel lungo termine un
sistema pensionistico sostenibile
richiederebbe in Slovenia una combinazione fra allungamento della
vita lavorativa e un più lento adeguamento delle pensioni rispetto
a quanto avviene ora. Un cambiamento radicale nel sistema pensionistico ridurrebbe il deficit di bilancio di un terzo, in base ai modelli
testati anche sui possibili cambiamenti del sistema sanitario, della
legislazione sul lavoro, del sistema
fiscale e delle modalità di finanziamento di scienza e istruzione.
fIl tempo, fattore chiave
L’Ufficio per l’analisi macroeconomia afferma che per una riforma
globale della stabilità finanziaria e
una maggiore efficienza economica sarebbe meglio adottare al più
presto un “pacchetto” di misure, e
sottolinea che il tempo è un fattore
chiave. Tuttavia si afferma che questa non è una proposta diretta al
governo, che deciderà da solo dopo
un ampio dibattito pubblico.
Alla fine di marzo la Commissione
europea ha messo in guardia Lubiana sulla più lenta riduzione del
deficit di bilancio rispetto a quanto
pianificato e sulla necessità di attuare la riforma delle pensioni.
ccDušan Mramor, ministro delle Finanze sloveno
Le SFIDE DELLE RIFORME STRUTTURALI
Alzare la produttività,
adattare il sistema
pensionistico
ai cambiamenti
demografici e
risolvere il grande
debito pubblico
Il primo ministro Miro Cerar, della
cui la coalizione fa parte il Partito
democratico dei pensionati (DeSUS) che si batte per i diritti della
vecchia generazione, ha annunciato che entro la metà del mese
prossimo presenterà tre documenti relativi al sistema pensionistico e riguardanti la struttura della
popolazione attiva, la sostenibilità
del sistema pensionistico a lungo
termine e le misure che intende
adottare sul mercato del lavoro,
aggiungendo però che quest’anno
in Slovenia non è prevista una riforma delle pensioni, come rileva
l’agenzia di stampa STA.
Panorama
13
Il cantautore romano
racconterà un altro dramma
del Novecento altoadriatico,
un’altra «pagina di storia
sepolta dal silenzio»:
il lager di Goli Otok
Simone Cristicchi
sull’«isola dei dannati»
14
Panorama
P
rossima fermata: Goli Otok. Così
Simone Cristicchi annuncia il suo
nuovo lavoro quello che per quarant’anni fu il campo di rieducazione di Tito, allestito sull’Isola Calva, o
anche Nuda come la chiamano molti. Dante,
il poeta che cantò “... sì com’a Pola presso
del Carnaro, ch’Italia chiude e i suoi termini
bagna...”, ha immaginato il Purgatorio come
una montagna altissima, che si erge su un’isola al centro dell’emisfero australe totalmente invaso dalle acque, agli antipodi di
Gerusalemme. Un ammasso di rocce brulle
in mezzo all’Adriatico settentrionale, battuto dalla gelida bora d’inverno e arso dal sole
in estate, inavvicinabile pur trovandosi vicino alla costa, perché il canale della Morlacca
che lo separa dalla terraferma è attraversato
da forti correnti: è la descrizione reale del
“purgatorio” juoslavo per eccellenza, in cui
le anime penitenti – i “dannati” del regime, avversari politici, gli “informbirovci”, ex
combattenti, ufficiali, generali, contadini,
studenti, giornalisti, professori, scrittori
economisti... – dovevano scontare il loro fio
per chissà quale “peccato capitale” prima di
riaccedere al “paradiso socialista jugoslavo”.
Un sistema di perversione che si basava –
oltre che su pesanti punizioni fisiche, corporali – sull’annientamento totale dell’uomo,
della dignità della persona, del concetto di
solidarietà. Un’isola “tanto maledetta che
al suo confronto la Ponza, di Pertini, era un
ameno luogo di villeggiatura”, afferma Ligio
Zanini (1927-1993), poeta e scrittore italiano di Rovigno, che nel suo unico romanzo,
autobiografico, “Martin Muma”, ci ha lasciato una pregnante testimonianza della
crudeltà e della perversione del sistema Goli
Otok. Non c’era soltanto questo, però.
fUn calvario
Un calvario forse anche peggiore veniva
riservato ai loro parenti: “... Martino un
giorno riconobbe con difficoltà alcuni volti,
un tempo amici. Stravolti e insanguinati, si
vide passare davanti, nel bestiale bordello,
i suoi ex compagni di prigionia... venne a
conoscenza di quello che stava succedendo
a casa sua. Apprese così che la sua Silvia
veniva trattata in maniera di gran lunga più
disumana di quella riservata dal fascismo, in
tempo di pace, alle mogli degli oppositori.
Non soddisfatti d’averla sfrattata dall’alloggio, l’avevano costretta mentr’era in gravidanza ad arrampicarsi sulle armature delle
FRANCO BILOSLAVO
percorsi
ccSimone Cristicchi sull’Isola Calva davanti alla tabella che “presenta” i giorni dell’inferno titino
navi sullo scalo di Scoglio Olivi a picchettare la ruggine. E questo trattamento da
vigliacchi non fu allora un caso isolato ma
era riservato, come lo seppe poi, a tutte le
consorti dei ‘puniti’ dell’Isola Nuda, che non
volevano cedere alle pressioni del partito”,
scrive ancora Zanini.
L’autore, che in gioventù aveva aderito al
Partito comunista jugoslavo, aveva in seguito iniziato un percorso di riflessione sulle
manipolazioni delle ideologie che lo aveva
portato, nel 1948 – nel pieno del turbolento
periodo della rottura fra Tito e Stalin e dalla
caccia al cominformista in Jugoslavia – ad allontanarsi dai comunisti jugoslavi. Ciò gli costò caro: nel 1949 la polizia segreta jugoslava
lo arrestò e internò nelle carceri di Pola, poi a
giugno dello stesso anno, dopo un processo
sommario, subì la condanna a tredici mesi di
lavori forzati a Goli Otok, salvo poi trascorrervi in definitiva tre anni, esperienza che lo
segnò profondamente.
Nel 1952 ritornò in libertà sotto l’impegno di
non parlare a nessuno delle terribili esperienze vissute nell’isola che voleva “distruggere
completamente l’uomo, pur rendendolo simile, nelle sembianze come nei gesti, a un
animale in cattività”. Zanini, alias il suo alter
ego letterario Martino, giunse sul punto di
“capitolare” , toccando il fondo della disperazione, ma fu salvato da un improvviso gesto
di umanità (tre fette di pane biscottato passategli da un altro detenuto)
fNel luogo degli orrori
“È il luogo dove i comunisti (titini) dimostrarono cosa erano capaci di fare anche ad
altri loro compagni comunisti (stalinisti),
per loro era prevista la cura ‘rieducativa’... per
gli altri?(!)”, osserva Franco Biloslavo, esule
istriano, segretario della Comunità di Piemonte d’Istria. Difatti, è stato l’unico campo
di concentramento d’Europa per comunisti,
dove, torturati da altri comunisti, finirono tra
il 1949 e il 1955, e fino al 1960, altri comunisti che non approvavano la scelta di non allineamento fatta da Tito, appoggiando Stalin
e la linea dell’ortodossia comunista dettata
dal Cremlino. Contro di loro l’establishment
di Belgrado usò il pugno di ferro: durante la
sua attività a Goli Otok furono recluse oltre
16mila persone, 15.177 uomini e 928 donne.
Di questi internati, 413 avrebbero perso la
vita; 14 di loro erano italiani, come riporta
Giacomo Scotti nel suo “Il Gulag in mezzo al
mare. Nuove rivelazioni su Goli Otok” (Lint
Editoriale, 2012; la prima edizione del libro,
risale al 1991).
“Alla scoperta degli orrori: le celle nascoste.
San Gregorio (Sveti Grgur) fu il primo lager
per prigionieri ‘speciali’ di ambo i sessi, quasi
tutti ufficiali delle forze armate e della polizia italiana. In seguito vi vennero deportati
anche dei comunisti dissidenti, oppositori
politici di Tito, soprattutto dopo la rottura fra
la Lega dei Comunisti di Jugoslavia e il Partito
Panorama
15
Comunista dell’Unione Sovietica (1948). Nel
1950, allorché furono terminate le costruzioni
all’Isola Calva, la maggior parte degli ufficiali
cominformisti furono trasferiti da San Gregorio all’Isola Calva; fino al 1988 San Gregorio fu
quindi sede di un penitenziario per prigionieri
politici di sesso femminile”, aggiunge Biloslavo
(che ringraziamo per le foto), il quale ha avuto
l’opportunità di viaggiare insieme con Simone
Cristicchi verso “l’isola dei dannati”, come l’ha
definita il cantautore romano.
Dunque, dopo il musical civile “Magazzino 18”,
in cui ha narrato con straordinaria efficacia l’esodo dei giuliano-dalmati e la complessa vicenda del Novecento italiano, dopo il progetto “Tornar. Una notte a Piemonte d’Istria”, che ha visto
andare in scena un simbolico ritorno-incontro
di italiani, istriani esuli e rimasti, Cristicchi ha
voluto affondare la sua penna in un’altra delle
dolorose piaghe del passato di queste terre.
fSmuovere le acque
Dieci anni fa la Commissione del Sabor
croato per i diritti dell’uomo e delle minoranze
nazionali, presieduta da Furio Radin,
ha approvato il progetto di trasformare questo
luogo in un centro memoriale, ma nonostante
gli appoggi (a parole) non se n’è fatto nulla
16
Panorama
Sarà un intenso reportage giornalistico (fatto
per il settimanale italiano ‘L’Espresso’) in cui,
insieme con il fotografo Giovanni Cocco, racconterà “un’altra pagina di storia sepolta dal
silenzio”. Nella seconda metà di marzo, infatti,
prendendo come base Fiume, si è spostato di
qua e di là per cercare di ricomporne i fili, comprendere ciò che è avvenuto e i segni lasciati
sui sopravvissuti e sui loro familiari. Cristicchi
ha visitato l’Isola Calva, ha parlato con gli storici che se ne sono occupati – in primis Giacomo
Scotti –, ha intervistato gli ultimi testimoni,
recandosi in Istria (anche al Centro di Ricerche
Storiche di Rovigno e a Pola) e a Zagabria, dove
ha incontrato il presidente dell’Unione Italiana
e deputato della Comunità nazionale italiana
al Sabor, Furio Radin, il presidente dell’associazione degli internati a Goli Otok “Ante Zemljar”,
Darko Bavoljak, e lo storico Martin Previšić, studioso dell’argomento.
Nel giugno 2104 l’associazione zagabrese organizzò, per la prima volta, la visita all’isola
di una delegazione internazionale di dodici
ambasciatori e altri ospiti. “La commissione
parlamentare che presiedo ha approvato
dieci anni fa, e riproposto molte volte, il progetto di un centro memoriale sull’Isola Calva,
finora sostenuto a parole ma osteggiato nei
fatti dalla destra e dalla sinistra croate”, rileva
Radin. Chissà, forse il ciclone Cristicchi riuscirà a smuovere le acque anche questa volta e
rompere il circolo vizioso che relega all’oblio
questa drammatica storia.
I. R.
percorsi
I tre saggi del
Comitato promotore
dell’iniziativa
sono Ivone
Cacciavillani,
avvocato e
federalista storico,
Ferruccio
Bresolin,
economista, e
Ulderico Bernardi,
un carissimo amico
della nostra penisola,
straordinario
interprete di questi
nostri bellissimi, ma
difficili e complessi
territori plurali
di Marino Vocci
«S
i può con Legge Costituzionale, sentiti i Consigli
regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti
o la creazione di nuove
Regioni con un minimo di un milione d’abitanti, quando ne facciano richiesta tanti
Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e
la proposta sia approvata con referendum
delle popolazioni stesse». Questo è il primo
comma dell’articolo 132 della Costituzione
italiana, dal quale con spirito partecipativo, istituzionale e culturale, assolutamente
prepartitico, predecisionale e non parlamentare (come sottolineato correttamente
dal grande giurista e insigne costituzionalista Sergio Bartole) è partita o meglio
ripartita la proposta della Macroregione
delle Tre Venezie presentata recentemente
a Villa Pisani nel Comune di Stra (Venezia).
Fra i tre saggi del Comitato promotore, insieme con Ivone Cacciavillani – avvocato e
federalista storico – e l’economista Ferruc-
Per la macroregione
delle Tre Venezie
nell’Unione europea
cio Bresolin, c’è anche un carissimo amico
dell’Istria e uno straordinario interprete di
questi nostri bellissimi ma difficili e complessi territori plurali, Ulderico Bernardi.
Che nei primi giorni di questa bella primavera abbiamo avuto la fortuna di ascoltare
nella sala degli Incontri Niccolò Tommaseo,
presso la Trattoria sociale di Contovello
(Trieste), per un appuntamento della manifestazione “Adriatico, una storia scritta
sull’acqua” promosso dal Gruppo/Skupina
85. Dove, partendo dal suo libro “Istria,
d’amore, magico frammento d’Europa”, ha
parlato di un’Istria purtroppo oggi ancora ferita, che ama e conosce come pochi e
che, zaino in spalla, ha esplorato e continua
a esplorare a piedi. Un’Istria che è un vero
museo all’aperto dove la bellezza e la ricchezza è rappresentata dalle mille diversità.
Un‘Istria che è un vero abbecedario spalancato sulle culture, un magico frammento
multiculturale che proprio oggi, in questa
Europa che alza nuovi e vergognosi muri,
dobbiamo tutelare e valorizzare. Come? Anche questo ce l’ha esposto l’amico Bernardi,
ricordando la sua lungimirante proposta,
che è una delle proposte per la Macroregione delle Tre Venezie, ed è una proposta che
vuole unire, contrariamente ad alcune forze
all’interno dell’Unione Europea, che appaiono particolarmente miopi, e che vogliono
separare o annettere.
Panorama
17
percorsi
fMosaico di cività
da ripristinare
La proposta di Bernardi parte dalla Cultura,
contro “L’Europa degli speculatori e dei finanzieri spregiudicati, che si avvalgono della
mondializzazione per accaparrarsi immense
fortune, ha oscurato le grandi speranze di
avanzamento morale che hanno invece animato i padri fondatori dopo le sanguinose
tragedie di due guerre mondiali. I grandi
statisti che si erano impegnati nella ricostruzione, avevano contato molto sul formidabile
patrimonio di pensiero, lavoro, arte, conoscenza scientifica, accumulato in tanti secoli
di civiltà, da opporre alle rovine materiali e ai
genocidi a conclusione della seconda guerra
mondiale”.
Dove risulta fondamentale “... ripristinare,
tessera per tessera, il prezioso mosaico di civiltà costituito dalle oltre trecento e trenta
culture regionali di cui è composta l’Europa,
dall’Atlantico agli Urali. Sono questi gli ambiti
primari cui va dato specifico rilievo, nella storicità del passato come nel rispetto del divenire. Ce lo ricorda da nove secoli Abelardo, nel
proporre la sua immagine tuttora più che mai
valida: Europa, diversa non adversa. Principio
che si applica a vaste aree, in cui le differenti
culture locali ritrovano il senso della loro unità. Tra queste fuori da ogni dubbio si comprende il territorio compreso tra le Alpi, la grande
pianura veneto-friulana e l’Alto Adriatico. Una
realtà plurale, che ricava il senso del proprio
esistere dalle diversità geomorfologiche, etniche, linguistiche e produttive”.
Nel secondo capitolo, “Il Triveneto non è un
espressione geografica”, Bernardi ci ricorda
come “... le nostre sono società multiculturali, dove è necessario individuare e rispettare
i valori propri a ciascuna componente regionale. Invece il mancato sostegno verso le singole vocazioni e una colpevole indifferenza
verso gli specifici contesti socioculturali hanno continuato a generare piani di intervento
e progetti di sviluppo incapaci di condurre a
risultati di maggiore giustizia e benessere.
Senza avviare processi di europeizzazione
nella quotidianità, si forma una ‘marmellata culturale’ che tiene conto solamente degli
interessi egoistici, dove contano solo valutazioni a favore di gruppi privilegiati, privi di
ideali comunitari”.
“Ricompattare le plurime identità, che hanno
sempre visto riconfermata nel tempo la sostanziale unità comunitaria di queste culture
locali, è quanto richiama nel tempo l’espe18
Panorama
eUlderico
e
Bernardi, scrittore, sociologo, accademico, giornalista,
professore ordinario presso la
Facoltà di Economia e Commercio dell’Università Ca Foscari di
Venezia: “Le nostre sono società
multiculturali, dove è necessario
individuare e rispettare i valori
propri a ciascuna componente
regionale. Invece il mancato
sostegno verso le singole
vocazioni, e una colpevole indifferenza verso gli specifici contesti
socioculturali, hanno continuato
a generare piani di intervento e
progetti di sviluppo incapaci di
condurre a risultati di maggiore
giustizia e benessere...”
rienza storica – afferma Bernardi –. Ladini
e Cimbri, Mòcheni e Carnici, Germanofoni del
Tirolo e delle isole alloglotte alpine, Comuni
della Slavia veneta e del Carso sloveno, Bisiàchi e Veneti delle diverse cadenze tra Mincio
e Quarnaro, compongono un insieme ricco di
diversità quanto di comunanza nella visione
del mondo. Queste regioni che in termini di
incidenza sociopolitica aspirano a formarne
una sola, mantengono radicamenti validamente espressi anche nell’uso degli strumenti
di comunicazione. Il Triveneto conosce rispetto
al mondo dell’informazione nazionale una
notevole presenza di pubblicazioni quotidiane
non solo in lingua italiana, ma anche in lingua
slovena, con il ‘Primorski Dnevnik’ di Trieste/
Trst, e in lingua tedesca il ‘Dolomiten’ di Bolza-
no/Bozen, (oltre all’unico quotidiano sloveno
e croato in lingua italiana di Fiume/Rijeka, ‘La
Voce del Popolo’), accompagnati da emissioni
radiotelevisive pubbliche e private in lingua
italiana, friulana, ladina, slovena”.
fUnità storica
Il terzo e ultimo capitolo, “Conquistare la
tradizione: il consenso attraverso il tempo”,
ci ricorda infine “come la sollecitazione all’unità da parte di tutte queste voci, viene dalla
profonda condivisione agli eventi storici essenziali di cui sono state partecipi attraverso
i secoli. A cominciare dalla formazione della X
Regio Venetia et Histria di Augusto imperatore
nell’anno 7 dopo Cristo... E ancora, “tutti insie-
ccVenezia e, alle sue spalle, le Alpi
me i nostri popoli hanno ricevuto la religione
di Cristo partita dall’Aquileja di Marco, Prosdocimo, Ermacora e Fortunato, e dei Patriarchi.
Poi con il Serenissimo dominio di Venezia che,
con l’espansione in Terrafera e nel Dominio
da Mar, dall’Istria alla Dalmazia, alle Albanie
Venete alle isole greche, ha diffuso costumi e
sparso ville patrizie come centri di diffusione di
modelli culturali e di tecniche agrarie innovative. Mentre francesi e austriaci si scontravano
e i Regni si alternavano, da quello Italico, agli
Asburgo del Regno Lombardo Veneto, fino al
Regno d’Italia e alla Repubblica. In epoche più
recenti dentro a queste regioni si sono sommate le comuni sofferenze di due guerre mondiali,
combattute con particolare asprezza fra Veneto orientale e Friûli, subendo le conseguenze
di drammi collettivi: l’occupazione straniera,
il profugato, la deportazione, la fame, le rabbiose violenze che hanno comportato il dolorosissimo esodo di giuliani, fiumani e dalmati
a seguito dell’amputazione di gran parte della
Venezia Giulia. Anche grandi catastrofi naturali, come il terremoto del 1976 in Friûli e
l’alluvione del Polesine nel 1951, hanno contribuito a stringere nuove solidarietà da un capo
all’altro delle nostre regioni. Mentre ancora
vive nella memoria collettiva la grande emigrazione popolare partita da queste terre, che
per un secolo, tra Ottocento e Novecento, ha
conosciuto investimenti di lavoro e di creatività
nelle Americhe e in ogni ogni altro continente.
Consentendo poi a molti di rimpatriare con le
loro rimesse e le competenze acquisite, che
costituiranno la base del riscatto sociale nelle
nostre regioni”.
fCondivisione
“Non fosse sufficiente a confermarci la fraterna condivisione di tanti mutamenti, pur
nella persistenza di una tradizione che si
consolida come consenso attraverso il tempo,
stiamo ancora vivendo la Grande Trasformazione degli anni Sessanta del Novecento,
che ha visto le nostre regioni, già gravate da
povertà diffusa, compiere uno straordinario
avanzamento economico e sociale trasformando legioni di ex agricoltori e di emigranti
rientrati in protagonisti innovatori, giungendo a collocare il Triveneto tra le prime
regioni industriali d’Europa – rileva ancora
il professore –. Questa accumulazione di
memoria condivisa, da trasmettere e tutelare
in termini istituzionali, con la proposta formazione della regione Triveneta, non può che
avvalersi del retaggio di uno spirito di comunità che è necessario nutrire di cultura delle
autonomie per l’autonomia delle culture”.
“Bisogna recuperare necessariamente il valore della memoria se si vuole progettare il
futuro di questa nostra unione regionale,
apprezzandone il senso in nome della scandalosa forza rivoluzionaria del passato, come
sosteneva il friulano Pier Paolo Pasolini. Quel
che ci si propone di ottenere con l’iniziativa
interregionale sopra richiamata, è di fornire
un’integrazione culturale capace di sostenere
il peso dei mutamenti nei processi di integrazione con cui vengono a contatto i gruppi
culturali di diversa provenienza. Adattare i
meccanismi profondi delle culture, talvolta
anche molto differenti tra loro, comporta una
robusta capacità di confronto. Solo quanti
sono stabilmente radicati nella propria appartenenza possono affrontare gli scambi e
venirne arricchiti, impedendo d’esserne travolti...”..
Bernardi osserva come “il Triveneto possiede già una sua disponibilità di gruppi coesi
di volontariato, che si avvalgono di concrete
esperienze storiche e sociali, di iniziative
culturali; mentre si guarda con molto interesse ai legami già stabiliti dal secondo
dopoguerra, con le Associazioni degli esuli
giuliani-fiumani e dalmati, ben trapiantati
e inseriti nel Triveneto e nel resto d’Italia,
insieme alle Comunità dell’Unione Italiana
operanti in Slovenia e Croazia (con propri
deputati a Lubiana e Zagabria, che possono coinvolgere in una proficua intesa le
relazioni con l’auspicata Regione Triveneta). Queste e altre sono le opportunità che
vanno conosciute e allargate per consolidare le ipotesi costitutive (della Macroregione
del Triveneto), andando oltre le miopie e le
gelosie partitiche”.
Direi piuttosto idiozie politiche se le risposte sono state: “puttanate”, così con grande
eleganza l’ex sindaco veneziano Massimo
Cacciari, oppure “... qualunquistici sentimenti d’invidia di una trimurti ottuagenaria” secondo una deputata triestina; o ancora peggio le dichiarazioni ignoranti (nel
senso che ignorano i contenuti e i tempi di
un Accordo internazionale) di un ex sindaco (bravo) di Belluno e ora sottosegretario
(modesto) agli interni della Repubblica
italiana.
Panorama
19
italiani nel mondo
Ecco com’è nata
la lingua più bella
del mondo
a cura di Ardea Velikonja
D
al latino ai volgari. L’italiano,
come le altre lingue romanze e
tutti i dialetti, deriva dal latino
volgare. Con la caduta dell’Impero romano, quindi a partire
dal V sec. d.C., il latino classico
restò solo lingua scritta, mentre, sulla base delle diverse varietà di latino
parlato nelle molte regioni dell’Impero, si
affermarono tante lingue diverse; il latino infatti era stato imposto dai Romani come lingua dell’Impero, ma era andato a sovrapporsi
alle lingue preesistenti delle popolazioni progressivamente conquistate e questi diversi
substrati avevano determinato la formazione
di varietà di latino parlato diverse da una regione all’altra dell’Impero.
Anche l’Italia, già profondamente frammentata, vide fiorire molti volgari (quelli che
poi diventeranno i moderni dialetti) che, da
lingue esclusivamente parlate, cominciarono
a essere usati anche nelle scritture; i primi
documenti volgari in territorio italiano (l’Indovinello veronese dell’800 circa; l’Iscrizione
20
Panorama
di Commodilla composta intorno all’820 e i
Placiti campani del 960) rappresentano i primi
esempi di quella lingua che sarà poi l’italiano.
Nel Duecento, in Sicilia alla corte di Federico
II di Svevia, il volgare siciliano fu adottato
da quel gruppo di letterati e poeti che presero poi il nome di scuola poetica siciliana:
in questo periodo il siciliano acquistò grandissimo prestigio e fu considerato il più
importante volgare d’Italia. Dalla fine del
Duecento cominciò ad affermarsi Firenze
come potenza economica e politica: la città
diventò la culla di una civiltà ricchissima che
vide operare grandi artisti (come Giotto e
Arnolfo di Cambio) e scrittori come Dante,
Petrarca e Boccaccio.
fLa sua evoluzione
Le opere letterarie dei grandi scrittori fiorentini, in particolare la Commedia, il Canzoniere e il
Decameron ebbero tale diffusione e successo da
diventare il modello di riferimento anche per
gli scrittori non toscani. Il fiorentino, uno dei
tanti volgari presenti nel territorio italiano, divenne così il modello linguistico per tutti coloro
L’italiano, come
le altre lingue
romanze e tutti
i dialetti, deriva
dal latino volgare.
Incredibile ma
vero: è la quarta
più studiata nel
mondo
che volevano scrivere con intenti letterari. Non
si trattò di una scelta dall’alto, nessuno Stato o
Principe impose questa lingua, fu invece il prestigio che questo volgare si conquistò attaverso
le opere dei grandi scrittori trecenteschi, che lo
portò a diventare la lingua imitata e imparata
da chi aspirava a scrivere in una “buona lingua”.
L’invenzione della stampa favorì notevolmente la circolazione di libri e il fiorentino
estese il suo impiego anche ad ambiti non
più solamente letterari, rafforzando così la
sua immagine di lingua comune. Le grandi
discussioni sulla lingua che occuparono tutto il ’500 (la famosa questione della lingua),
dettero l’avvio a un processo di normazione,
che porterà il fiorentino e il toscano a diventare effettivamente l’italiano.
Con la definizione di una norma linguistica e
quindi la promozione del fiorentino-toscano
a lingua italiana, gli altri volgari diventeranno i moderni dialetti: sul territorio italiano
i dialetti si possono suddividere in quattro
gruppi principali: i dialetti settentrionali, i
dialetti centro-meridionali, i dialetti sardi e i
dialetti ladini. L’italiano resterà però almeno
fino al secondo dopoguerra quasi esclusivamente lingua scritta e i dialetti svolgeranno
la funzione di lingue di comunicazione.
Un paio di settimane fa, la stampa italiana
ha dato è la quarta lingua studiata nel mondo, dopo inglese, spagnolo e cinese, non riuscendo a spiegarsene il perché. L’inglese è
la lingua di un miliardo e mezzo di persone
(mettendo nel conto anche gli indiani) ed è
la principale (ma non l’unica) lingua franca
del Mondo; a parlare lo spagnolo sono mez-
zo miliardo di persone e la cifra negli USA è
in rapida espansione; quanto al cinese, non
solo è la prima lingua di un miliardo e mezzo di parlanti, ma è la lingua del principale
Paese emergente (forse è meglio dire “emerso”) e seconda potenza mondiale. Sin qui
tutto chiaro. Desta invece stupore che segua
l’italiano, lingua di poco più di sessanta milioni di abitanti (si arriva a quota settanta
aggiungendovi eritrei, albanesi, somali che
lo conoscono, e un po’ di italiani all’estero)
di un Paese relativamente piccolo, ignorato
dalle grandi potenze. Precede lingue come il
francese, il tedesco, il russo, il portoghese, il
giapponese. Come mai?
fIl ruolo della Chiesa
dell’emigrazione
e dell’alta cultura
Innanzitutto non va dimenticato che l’italiano
è la lingua franca di uno dei principali soggetti
geopolitici mondiali: la Chiesa Cattolica. La lingua ufficiale della Chiesa, come si sa, è il latino,
ma quella in uso fra i prelati di nazioni diverse
è soprattutto l’italiano che è parlato correntemente in Vaticano e usata prevalentemente dal
Papa, vescovo di Roma, anche se non si tratta
più di un italiano da quasi quarant’anni. E anche in ordini religiosi con i salesiani o i gesuiti, la
lingua corrente è l’italiano.
Poi c’è da considerare che l’Italia è uno dei Paesi
che ha avuto un cospicua emigrazione nell’ultimo secolo: circa 40 milioni di persone sparse
soprattutto in Argentina, Usa, Canada, Australia, Germania, Francia e Belgio e non pochi figli
e nipoti si sono mantenuti bilingui.
C’è poi l’importanza dell’italiano sul piano culturale e anche qui si sono dimenticate troppe
cose: prima di tutto che l’italiano è la lingua
principale del melodramma e nel mondo ci
sono tanti melomani che apprrezzano la musica lirica italiani. Poi la letteratura italiana è
sicuramentge una delle primissime a livello
mondiale. Chi voglia avere una idea del peso
della letteratura italiana può consultare la
monumentale collana di testi della Ricciardi.
Infine, del peso dell’arte italiana, in particolare del Rinascimento, ma non solo, è il caso di
dire che questo spiega perché l’Italia sia una
delle principali mete turistiche nel mondo.
Panorama
21
Tante le attività portate
avanti dai ragazzi di tutti i paesi
limitrofi. La festa più grande e
attesa è il corteo mascherato
CI Sterna
Aldo Sorgo:
«Aspettiamo
tempi migliori»
22
Panorama
dossier comunità
prima non avevamo neppure una
sede, ci si ritrovava in una piccola
saletta, ma grazie all’Unione Italiana
e all’Università Popolare di Trieste
abbiamo acquistato una casa diroccata, successivamente rimessa completamente a nuovo. L’edifico in cui
ci troviamo oggi è stato inaugurato
nel 2000. Come spazi – precisa il
presidente –, abbbiamo a disposizione una sala più grande, la biblioteca,
un ufficio e il bar sociali. Per noi è
sufficiente, però quando ci sono manifestazioni più grandi la sala riunioni diventa troppo piccola”.
fUnico contenuto
ccIl presidente della CI di Sterna, Aldo Sorgo
di Ardea Velikonja
S
terna, piccolo centro abitato del Grisignanese, ha la
sua Comunità degli Italiani
dal 1990, ovvero da quando
i connazionali del Buiese si
sono staccati e sono sorti sodalizi
minori, come Castelvenere, Momiano, Crassizza, ecc. Sterna conta in
tutto 28 abitanti, ma alla CI è iscritta
tutta la popolazione – 280 persone
– dei centri vicini. Presidente dal
1991 è Aldo Sorgo, nativo e abitante a Sterna. Lo abbiamo incontrato
nella belle sede della CI, una casa
completamente rifatta con al pianoterra un bar gestito dalla stessa CI
e un bocciodromo che organizza e
ospita vari tornei.
“La nostra Comunità è nata nel 1991
e fino allora i nostri connazionali
appartenevano alla CI di Grisignana, che è il Comune cui appartiene
Sterna – esordisce Sorgo –. All’epoca
decidemmo di fare la richiesta della fondazione di una Comunità qui
proprio per raccogliere gli abitanti
delle frazioni vicine. E così fu. Dap-
“Il nostro sodalizio è l’unico punto
d’incontro per tutti i connazionali
della zona, ovvero qui non abbiamo
nulla, nessun contenuto tipo cinema o altro e quindi specialmente i
giovani,vengono volentieri a passare
un pomeriggio in CI – rileva Sorgo
–. La gente qui o lavora in campagna, altri, in particolare i giovani,
hanno trovato un impiego a Trieste,
facendo i pendolari e quindi il sabato
e la domenica, quando sono a casa,
si ritrovano al nostro bar e stanno
insieme. Il nostro paese in genere è
per così dire in via di estinzione, ci
sono più case abbandonate che intere. Fino a qualche anno fa c’è stato
un grande interesse da parte degli
stranieri per acquistare case vecchie
e campi, che hanno poi trasformato
in belle residenze con piscina, ma
per uso proprio, non in funzione del
turismo. Ma da un po’ di tempo a
questa parte anche questo mercato
di immobili si è fermato, probabilmente a causa della crisi economica
globale”, rileva ancora.
Anche se Sterna è una Comunità
piccola, le attività non mancano.
Tutto ruota intorno alla filodrammatica ragazzi e soprattutto allo
sport, dal calcetto alle bocce e alla
pallavolo. “Partecipiamo a tutti i tornei nei villaggi limitrofi, mentre nel
giorno della nostra sagra paesana,
che si svolge il 5 agosto, nella ricorrenza della Madonna della Neve,
organizziamo noi tutto quanto, con
Panorama
23
ccUno dei capolavori dei bambini
il sostegno del Comune di Grisignana. Sono tre giorni di festa, con tanto sport, incontri letterari, musica e
specialità culinarie, con ospiti anche
da altre Comunità dell’Istria”, spiega
Sorgo.
fMaschere, che passione
“Una manifestazione che organizziamo da soli e che portiamo avanti da anni con tanto successo e con
tanto entusiasmo sono le maschere.
La nostra tradizione vuole che il corteo mascherato, con tanto di musica, negli ultimi giorni del carnevale
vada di casa in casa in tutti i paesi
limitrofi. Arrivati davanti alla porta
ci si esibisce in canti e balli e i padroni di casa offrono le proprie specialità. Una festa per tutti, alla quale
partecipano grandi e piccini e ogni
anno il corteo aumenta di numero,
tanto che quest’anno abbiamo organizzato un trenino sul quale potevano salire coloro che non volevano
camminare tanto. Prima di questo,
i bambini e i ragazzi preparano qui
in Comunità le maschere. Fino a pochi mesi fa avevamo una bravissima
maestra, attualmente assente perché
in permesso parto, che guidava sia
24
Panorama
ccBabbo Natale arriva ogni a
«Ci mancano tanto le conferenze legate alle
escursioni in Italia. Era un modo per stare insieme,
ma soprattutto per far conoscere ai nostri soci la
madrepatria. Devo ammettere che piaceva a tutti
vedere luoghi in cui non c’erano mai stati e che forse
non avrebbero mai avuto l’occasione di visitare»
ccFacciamo tutto noi!
dossier comunità
la derivazione del nome
La Cisterna
di Grisignana
anno. Gli spazi della CI si popolano soprattutto di bambini, visto che i giovani sono via, per lo più a Trieste, per lavoro
la filodrammatica che il gruppo di
lavori manuali, come decorazione
delle zucche per Halloween, oggettistica natalizia e allestimento dello
spettacolino da fare assieme a Babbo
Natale, maschere di carnevale, manicaretti per le Giornate del pane, e
altro ancora. I bambini e i ragazzi
vengono volentieri a trascorrere u
pomeriggio in Comunità”, afferma il
presidente.
A proposito di giovani, qual è la
situazione attuale a Sterna?
“Siamo messi bene fino, ma solo fino
a una certa età, cioè fino ai ragazzi
ccTutti intenti a lavorare le zucche
Un tempo, la giurisdizione di
Sterna era molto ampia: comprendeva i paesi di Cuberton,
Toppolo, Cucciani, Ceppi e
Gradena. Anticamente era
conosciuta con il nome di Cisterna di Grisignana, perché ne
faceva parte. Il toponimo Sterna e la forma abbreviata di Cisterna, poiché deriva dalla sorgente perenne che qui alimenta
sei fosse nella valle a nord della
chiesa.
Nel 1067 il feudo, chiamato allora Steina, fu ceduto dall’imperatore tedesco Enrico IV al
vescovo di Frisinga. Nel 1102 il
marchese Ulrico II dono Sterna al patriarcato d’Aquileia, che
lo diede in feudo al vescovo di
Cittanova. I patriarchi cedettero Sterna nel 1260 ad Almerico
XXX di San Giorgio in Laymis,
dopo di che passo ai conti di
Gorizia e a meta del XIII secolo
entro a far parte della signoria
di Momiano.
Quando nel 1358 Venezia acquisto Grisignana con tutto
il suo territorio, anche Sterna
divenne proprieta veneta. Nel
1420, con la conquista di Venezia della parte patriarchina
dell’Istria, Sterna passo sotto
la giurisdizione di Pietra Pelosa, e nel 1564 parte divenne
feudo della famiglia Gravisi e
parte della famiglia Del Bello.
Durante la guerra tra Venezia e
la lega di Cambrai che duro dal
1508 fino al 1516, Sterna fu piu
volte devastata dai mercenari
di ambedue gli eserciti.
Il paese si trova a 304 metri di altitudine e l’abitato e leggermente
sopraelevato rispetto la chiesa,
che si trova in un piccolo avvallamento del terreno carsico.
Panorama
25
ccLa festa più attesa: il carnevale, con i suoi balli in maschera (realizzate in CI) e i cortei per il paese
delle elemetari. Quando però arriva
il momento in cui i ragazzi devono
trasferirsi altrove per frequentare
l’università allora scatta un buco
enorme. La maggior parte di loro
va a Trieste e, terminati gli studi, ci
resta per lavorare e farsi una vita.
Va tenuto presente che noi qui non
abbiamo né scuole né asili. L’asilo
italiano e la scuola elementare sono
a Momiano, a pochi chilometri da
qui, mentre nella più vicina Portole
c’è solo la scuola croata. Noi comunque continuiamo a sperare che un
giorno torneranno a Sterna. Quei
pochi giovani che restano, vengono
volentieri in Comunità”.
tutti erano felici di vedere luoghi in
cui non c’erano mai stati e che forse
non avrebbero mai avuto l’occasione
di visitare. Purtroppo, per mancanza di fondi, queste conferenze sono
state abolite come pure le gite e altre
iniziative. Oggi, se non ci fossero i
bambini, con relativi genitori e nonni che preparano qualche manifestazione, in Comunità verrebbe ben
poca gente”, ammette Sorgo.
“Siamo consapevoli della crisi econo-
fTrascinati
dai bambini
“Anche se non avevamo ancora una
sede, agli inizi c’erano più attività,
come le seguitissime conferenze
tenute da professori che venivano
dall’Italia, legate alle escursioni che
si facevano in varie città italiane. La
gente non mancava mai, consapevole del fatto che dopo c’era la gita.
Era un modo per far stare insieme
e per far conoscere la madrepatria e
26
Panorama
ccEd ecco Halloween
mica, per cui ci ritroviamo anche noi
con i finanziamenti ridotti. Quindi
dobbiamo arrangiarci con quello che
abbiamo e lo stiamo facendo da tempo. Secondo me, richiedere una quota di partecipazione alle attività della
CI non risolverà la situazione, quindi
è assurdo attivarla. Che dire, infine.
Se non meglio, speriamo di poter
andare avanti almeno così come abbiamo fatto finora”, conclude il presidente della CI di Sterna.
la storia oggi
Trieste
al di là dei miti
Ritratto di una
città cosmopolita
di Fulvio Salimbeni
I
l “bacio” di Hayez, del 1859, è un
quadro famoso non solo per le
indubbie qualità artistiche, ma
anche per il suo valore allegorico,
dal momento che i due giovani
che, teneramente avvinti, si scambiano un bacio – scena neutra in apparenza
quant’altre mai, tale da poter sfuggire ai rigori
della censura austriaca – in realtà rappresentano l’amicizia tra Italia e Francia dopo gli accordi di Plombières tra Cavour e Napoleone III,
manifestando, pertanto, un’intrinseca valenza
ideologica. Né è un caso che Luchino Visconti in
quel capolavoro cinematografico che è “Senso”,
protagonista una stupenda Alida Valli, abbia
letteralmente ripreso tale immagine nella scena cruciale del film, allorché nella Venezia del
1866 la contessa Serpieri, cedendo alla corte
dell’ufficiale austriaco Franz Mahler, si lascia
da lui abbracciare e baciare con un romantico
sottofondo di musiche decadenti di Gustav
Mahler, creando una perfetta sintesi tra storia,
Un volume innovativo che segna una svolta
negli studi di storia giuliana, troppo a
lungo condizionati dalle dolorose vicende
novecentesche, solo da poco apertisi alla
dimensione della storia sociale e culturale
in senso lato, ma finora sempre circoscritti
nei rispettivi ambiti nazionali, ogni comunità
facendo parte a sé. L’opera, bilingue (sloveno
e italiano), affronta la vicenda del capoluogo
giuliano fra Otto e Novecento, analizzando
la questione nazionale tra arte e politica
letteratura (la trama è tratta da un racconto di
Camillo Boito), pittura e musica.
A ciò è venuto naturale richiamarsi il 15 marzo presentando al Kulturni Dom di Gorizia il
volume bilingue (sloveno e italiano) Trieste:
l’espressione artistica e la questione nazionale. La musica, le arti figurative e le
lettere nella seconda metà dell’Ottocento
al confine italo-sloveno fino all’avvento
del fascismo, in cui sono raccolti gli atti del
convegno tenutosi nel capoluogo giuliano nel
2009, in occasione del centenario della locale
Glasbena Matica, che ora, a cura di Aleksander Rojc, li ha editi (pp. 440, euro 25). In essi,
Panorama
27
la storia
oggi
infatti, superando finalmente l’impostazione
tradizionale, di taglio meramente politico,
degli studi sui rapporti tra italiani e sloveni
nel Litorale austriaco prima e nella Venezia
Giulia poi, il discorso è condotto, secondo le
più moderne prospettive metodologiche e storiografiche, in una feconda impostazione pluridisciplinare, allargando il raggio cronologico
della trattazione dagli inizi dell’Ottocento sino
alla fine degli anni Venti del Novecento, allorché il regime fascista impone la chiusura della
Glasbena Matica, colpevole di mantenere viva
la tradizione culturale slovena in una Trieste
“italianissima”. Riprendendo l’auspicio finale
della commissione mista storico-culturale
italo-slovena al chiudersi dei suoi lavori nel luglio 2000, s’è documentato nel modo migliore
il fervore della vita intellettuale nell’emporio
adriatico già in quel XIX secolo che aveva visto
fiorire le varie comunità nazionali che ne avevano decretato il successo e nascere istituzioni
d’alta cultura come il rossettiano Gabinetto di
Minerva, con l’“Archeografo Triestino”, in un
clima non ancora inquinato da tensioni nazionalistiche, che sarebbero venute affermandosi
appena negli ultimi decenni del secolo.
fConfronto, scontro
e incontro
Se Stefan Zweig negli anni Venti e Trenta del
Novecento esortava ad abbandonare lo studio di ciò che divide (la storia politica e militare) per impegnarsi in quello di ciò che unisce
(la storia della civiltà europea), tale nobile
appello ha trovato pieno riscontro nella presente pubblicazione,
d’elevato spesso-
ee“Il bacio”, realizzato
nel 1859 dal pittore
italiano Francesco Hayez su commissione di
Alfonso Maria Visconti
di Saliceto. Oltre per
le indubbie qualità
artistiche, il quadro è
famoso anche per il
suo valore allegorico,
dal momento che
i due giovani che,
teneramente avvinti,
si scambiano un bacio
in realtà rappresentano l’amicizia tra Italia
e Francia dopo gli
accordi di Plombières
tra Cavour e Napoleone III, manifestando,
pertanto, un’intrinseca
valenza ideologica
re scientifico, cui hanno collaborato esperti
italiani e sloveni in un proficuo dialogo e confronto, sempre su basi rigorosamente critiche
e documentarie. L’opera, infatti, dopo l’introduzione al progetto da parte del curatore e la
premessa di Milos Budin, dall’emblematico
titolo Confronto, scontro, incontro, s’articola
in quattro parti, dedicate rispettivamente
al quadro storico, alla parentesi letteraria, al
momento figurativo e al panorama musicale, mentre in conclusione vi sono le schede
biografiche degli autori e le sintesi
dei loro contributi, tutti
in versione bilingue e uno, essendo l’autore,
Tuksar, croato, trilingue.
Nella prima sezione Aleksej Kalc analizza
le Forme organizzative degli sloveni a Trieste
all’epoca dell’affermazione dell’idea nazionale;
Borut Klabjan Il sentimento nazionale ceco,
sloveno e slavo a Trieste dal 1848 alla prima
guerra mondiale; Salvator Žitko Gli echi della
triestina “Edinost” riguardo la realtà sociale e
politica francese a cavallo tra Ottocento e Novecento nell’ambito delle proprie valenze ideologiche. Nella seconda sezione, Tatjana Rojc
illustra il percorso ideale Da Prešeren a Cankar:
dal soggetto letterario alla letteratura come
funzione, mentre Cristina Benussi esamina
L’interventismo della letteratura. La terza,
invece, comprende gli interventi
di Milček Komelj su Il percorso
dell’arte figurativa slovena nella
seconda metà del XIX secolo (in
relazione alla questione nazionale), e di Donata Levi relativamente a Istituzioni culturali e
politica artistica a Trieste nella seconda
ee La copertina del volume bilingue, in cui
sono raccolti gli atti del convegno tenutosi nel
capoluogo giuliano nel 2009, in occasione
del centenario della locale Glasbena Matica,
che ora, a cura di Aleksander Rojc, li ha editi
28
Panorama
metà dell’Ottocento. L’ultima, infine, s’articola nei contributi dello stesso curatore, Trieste
musicalissima; di Stefano Bianchi, Opera e
operisti a Trieste nel secondo Ottocento; del già
ricordato Stanislav Tuksar, Il risorgimento
nazionale croato (1830-1848) e la musica, e di
Ivano Cavallini, attualmente docente nell’Università di Palermo, ma a lungo attivo nel
Conservatorio di Trieste, appassionato cultore
di musicologia danubiana e balcanica e uno
degli artefici di questa meritoria iniziativa,
Morlacchismo, illirismo, involuzioni esotiche.
L’immagine degli slavi del sud nel teatro e nella
musica dell’Ottocento in Italia.
fUn quadro articolato
ccIl vescovo Josip Juraj Strossmayer (Osijek, 1815 –
Đakovo, 1905): la sua attività di promozione culturale
segnò il risveglio della cultura croata
ccIl vescovo Juraj Dobrila (Ieseni, 1812 – Trieste, 1882),
fu un sostenitore della popolazione slovena e croata
dell’interno dell’Istria
Già la semplice elencazione dei titoli attesta
la ricchezza di quest’innovativo volume, che
segna davvero una svolta negli studi di storia
giuliana, troppo a lungo condizionati dalle
dolorose vicende novecentesche, solo da poco
apertisi alla dimensione della storia sociale e
culturale in senso lato, ma finora sempre circoscritti nei rispettivi ambiti nazionali, ogni
comunità facendo parte a sé, eccezion fatta per
le lodevoli iniziative del Circolo “Istria” di Livio
Dorigo e della triestina Casa Editrice Beit, che
nella collana “Storia” ha pubblicato valide monografie su Croazia, Slovenia e Serbia.
Diverso, invece, il discorso per Gorizia, dove
l’Istituto per gli Incontri culturali mitteleuropei, che proprio quest’anno celebra il 50°
dell’inizio dell’attività, da subito ha promosso
il dialogo transfrontaliero. Nei suoi convegni,
sempre impostati in una logica pluridisciplinare, ha avuto come relatori studiosi di tutta
l’Europa centro-orientale quando ancora v’era la Cortina di Ferro, favorendo la reciproca
conoscenza e comprensione. Nel 1982 per iniziativa d’un maestro degli studi storici quale
Gabriele De Rosa è sorto l’Istituto di storia
sociale e religiosa, che su questo versante più
settoriale ha svolto analoga opera di collaborazione con studiosi d’oltre confine.
Questa raccolta di saggi delinea, quindi, un
quadro articolato, variegato e multiforme
della vita spirituale di quella Trieste che polemicamente Scipio Slataper in una delle vociane Lettere triestine avrebbe definito “senza
tradizioni di cultura”, ma che di cultura, invece, sia pure di stampo romantico prima e positivista poi, ne aveva non poca, esprimentesi
nei diversi ambiti artistici, dalla letteratura
alla musica e alla pittura, con rilevanti manifestazioni di mecenatismo come quelle del
barone Revoltella.
fItaliani e sloveni
si «parlavano»
Dalle pagine di quest’importante raccolta
di saggi emerge con chiarezza – all’interno
d’una scansione cronologica tripartita: dal
principiare dell’Ottocento al 1848, dal 1849
al 1882 circa (stipula della Triplice Alleanza,
che bloccava il movimento irredentista), da
lì alla fatale cesura della Grande Guerra e
all’affermazione del fascismo) – che non vi fu
affatto incomunicabilità tra italiani e sloveni
a Trieste. Sono stati messi in risalto sia il ruolo fondamentale dell’apparato ecclesiastico
nel risveglio nazionale slavo – due nomi per
tutti: i vescovi Dobrila e Strossmayer – che la
significativa presenza dell’imprenditoria e del
capitale boemo, perché la rivista “La Favilla”
guardò con interesse e simpatia alla cultura
“illirica” (questa allora era la definizione del
mondo jugoslavo), così come, d’altronde, il
Tommaseo e il Mazzini delle Lettere slave,
senza ignorare, nei decenni a noi più vicini,
l’attenzione per esso di scrittori come Biagio
Marin e Fulvio Tomizza.
Ivano Cavallini, inoltre, prendendo le mosse
dal famoso Viaggio in Dalmazia del Fortis
(1774), ha puntualmente mostrato l’evolvere,
e involvere, dell’immagine dello slavo dal settecentesco buon selvaggio rousseauiano al
romantico portatore d’un genuino Volksgeist,
per poi assumere altre connotazioni meno
positive con l’affermarsi dei contrasti nazionali, il che è messo più in evidenza in altri
interventi, dove s’illustra la trasformazione
dello slavo in un “barbaro nemico”. Sul versante sloveno, d’altronde, si manifestava
analoga attenzione e pari interesse per quanto veniva manifestandosi nella vita culturale
e politica italiana, come in più luoghi posto in
evidenza nella trattazione. Solo lo scatenarsi
dei nazionalismi di fine Ottocento, tanto ben
illustrato da Ivo Andrić ne Il Ponte sulla Drina e
da Arnold J. Toynbee ne Il mondo e l’Occidente, incrinò tale rapporto, pur senza spezzarlo
ancora del tutto.
Altro, non minore, pregio di quest’opera, davvero imprescindibile per chiunque d’ora in poi
vorrà occuparsi delle vicende non solo politiche
del confine orientale, è quello d’aver messo
nel dovuto rilievo il fatto che in parallelo, sia
pure un po’ più tardi, al nostro Risorgimento
vi fu quello slavo, affermatosi, analogamente
al nostro, prima sul piano culturale, come recupero e valorizzazione del proprio passato e
della propria lingua, e poi, progressivamente
su quello politico e istituzionale.
Panorama
29
cinemania
«Ehi tu, dici a me?»
“Ehi tu, dici a me? Ma stai parlando con me?! E con chi stai parlando allora? Dici a me... Non ci
sono che io qui”. La scena proverbiale e indimenticabile in cui Trevis Bickle (Robert De Niro) simula davanti allo specchio un confronto con un malvivente è, secondo i produttori britannici
che hanno stilato una hit-parade delle frasi celebri del grande schermo, una delle battute più
efficaci della cinematografia. “You talkin’ to me?”: basta infatti questa citazione per identificare il film cult... Eppure, come spesso avviene, non era prevista nel copione originale, che
indicava solo “Travis guarda in uno specchio”, ma De Niro decise di aggiungere delle battute
per calarsi nella personalità del tassista, personaggio borderline. Ma a Scorsese, che lasciava
ampi spazi di libertà d’improvvisazione ai suoi attori, piacque così tanto che decise di tenerla
nel montaggio finale. De Niro ha raccontato di essere stato ispirato da Bruce Springsteen,
che durante un concerto, chiamato per nome dal pubblico, rispose “State parlando con me?”.
a cura di Barbara Rosi
È
stato forse il primo film ad
analizzare la condizione
dei reduci dalla guerra in
Vietnam, una condizione
difficile caratterizzata da
una grande solitudine e da un difficile reinserimento nella società, il cosidetto disturbo da stress post traumatico. L’8 febbraio 1976 esordiva negli
Stati Uniti una delle pietre miliari
della New Hollywood, Taxi Driver,
capolavoro assoluto della cinematografia, pellicola straordinaria di una
delle più inossidabili coppie della storia del grande schermo: Martin Scorsese – Robert De Niro. L’American
Film Institute l’ha inserito al 52.esimo posto tra i 100 migliori film del
cinema statunitense; si trova al trentunesimo gradino, ex aequo con “Il
padrino – Parte II”, nella classifica dei
migliori film di sempre redatta dai
critici e pubblicata dalla rivista ingle-
30
Panorama
se Sight and Sound nel 2012, mentre
in quella stilata dai registi si trova al
quinto posto. Nel 1976 ha vinto la
Palma d’oro al Festival di Cannes e
ha ottenuto quattro nomination agli
Oscar 1977. La giovanissima Jodie
Foster vinse due BAFTA nel 1977
come miglior attrice esordiente e miglior attrice non protagonista.
Un film tenebroso e allucinato che,
a quattro decenni di distanza, continua ad inquietare con la stessa, tremenda intensità di quando esordì
sui grandi schermi americani. L’anniversario della prima proiezione
verrà ricordato ufficialmente il 21
aprile al Beacon Theatre, nell’ambito
della quindicesima edizione del Tribeca Film Festival (in programma
dal 13 al 24 del mese in corso), dal
regista Martin Scorsese, dallo sceneggiatore Paul Schrader e dagli attori protagonisti, Robert De Niro (il
tassista Travis), Jodie Foster (Iris, la
giovane prostituta di cui Travis s’innamora) e Cybill Shepherd (Betsy,
Il Tribeca Film
Festival omaggia
il cult di Martin
Scorsese, che a
quarant’anni dal
debutto sul grande
schermo torna
protagonista.
L’anniversario verrà
ricordato il prossimo
21 aprile nel corso di
una conversazione
con il regista, lo
sceneggiatore Paul
Schrader, e gli attori
protagonisti: Robert
De Niro, Jodie Foster
e Cybill Shepherd
un’impiegata dello staff elettorale del
senatore di New York, Charles Palantine, candidato alle elezioni presidenziali, che affascina Travis). “È
un grande onore per il TFF rivisitare
‘Taxi Driver’. Sono molto orgoglioso
di aver lavorato al film insieme con
Marty, Jodie, Harvey, Cybill, Paul,
Michael e Julia, come pure con gli
altri membri degli eccezionali cast
e troupe”, ha dichiarato Rodert De
Niro, co-fondatore della rassegna
sorta a New York nel 2002 in seguito
agli attentati dell’11 settembre 2001.
“Si prova una sensazione strana a
pensare che sono trascorsi ormai
quattro decenni da quando l’abbiamo girato tra le strade di una New
York molto diversa da quella odierna”, ha aggiunto l’attore, che in “Taxi
Driver” ha sostenuto il ruolo più
importante e iconico di una gloriosa carriera: quello del tassista Travis
Bickle, che di colpo si tramuta in un
sedicente giustiziere mosso dall’intento di ripulire le strade di una New
Taxi
Driver
tenebroso,
allucinato,
immortale
eeIris (Jodie Foster), la giovane prostituta che
Travis vuole riscattare: un giorno la paga per
stare con lui e invece di avere rapporti sessuali
prova a convincerla a cambiare vita. Travis si
taglia i capelli a cresta, e cerca di uccidere con
una pistola Palantine durante un evento a New
York: viene scoperto dagli agenti della sua
scorta ma riesce a scappare. Nella scena finale,
Travis va nel bordello di Sport per provare a
salvare Iris
York sordida e decadente, ma anche
uno zombie prigioniero di una bara
gialla su quattro ruote.
Il regista italo-americano, che ha
spesso raccontato storie di antieroi, ossessionati dalla religione e
contemporaneamente dediti a vite
sregolate o criminali, all’epoca sperimentava molto, sia tecnicamente
(usò riprese e montaggi non convenzionali per il cinema degli anni
Sessanta) che nei contenuti. Contraddistinto da un iperrealismo
febbrile – molto efficace la rappresentazione degli Stati Uniti post-
Vietnam (già affrontata nel corto
“The Big Shave”), tanto che quest’opera è spesso citata come una delle
migliori sulla guerra in Vietnam,
nonostante non sia un film di guerra – e da punte di scioccante violenza, quando uscì “Taxi Driver”
fu subito acclamato dalla maggior
parte dei critici e dal pubblico, rivelandosi un fenomeno di massa. Fu
la conferma del talento di un cineasta, un 33.enne Scorsese che aveva
alle spalle quattro pellicole, tra cui
“Mean Streets”, che lo fece conoscere e nel quale lavorò con Robert De
Niro e con Harvey Keitel. Le riprese di “Taxi Driver” ebbero diversi
problemi, il principale dei quali
riguardò la giovanissima età di Jodie Foster, allora tredicenne. Le autorità sullo sfruttamento minorile
americane costrinsero Scorsese a
utilizzare una sosia di Foster per le
scene più esplicite, la sorella Connie Foster, che aveva 19 anni. Il California Labor Board decise anche
Panorama
31
cinemania
La trama
Il ventiseienne Travis Bickl è un ex marine
reduce del Vietnam, congedato nel 1973. La
guerra ha fatto di lui un uomo alienato, isolato, depresso, disgustato da tutto. Soffrendo
di insonnia cronica, ha scelto di lavorare come
tassista notturno, mentre di giorno spende il
suo tempo libero in solitudine, scrivendo un
diario e guardando la tv. Il suo unico svago
è la visione di film porno in squallidi cinema
a luci rosse. S’invaghisce di Betsy, volontaria
nello staff elettorale del senatore Charles
Palantine, candidato alle presidenziali, ma a
lei basta una sola uscita e non vuole più rivederlo, compromettendo la stabilità mentale
dell’uomo. Una sera Travis fa salire sul suo
taxi una giovanissima prostituta, Iris (come
il personaggio dell’opera di Pietro Mascagni),
che sta sfuggendo dal suo protettore Sport.
Cerca di soccorrerla, ma lei rifiuta.
A un certo punto, disgustato dal degrado
morale che regna intorno a lui – dal suo
finestrino osserva una New York decadente,
popolata da puttane, sfruttatori, mendicanti, drogati, spacciatori, ladri, scippatori... – s’improvvisa “santo”, diventando una
sorta di “giustiziere”: si procura una pistola
e si taglia i capelli a cresta. Prende di mira
il senatore Palantine, che sta impostando
la sua campagna elettorale sulla moralità,
ma in effetti è un bugiardo e un ipocrita.
Per Travis incarna tutto il male borghese
che anima il mondo. Cerca di farlo fuori, ma
fallisce (viene scoperto dalle sue guardie
del corpo e riesce a sfuggire all’arresto). Poi,
non contento, tenta almeno di riscattare Iris
e portarla via dal suo sfruttatore. Iniziano
scontri a fuoco con più persone nell’ambito
dei quali il tassista uccide, ferisce e viene ferito. Alla fine cerca di suicidarsi, ma scopre di
non avere più pallottole in canna e, sfinito,
si adagia sul divano dove osserva gli agenti
di polizia accorsi a causa della sparatoria.
Alla fine Travis agli occhi dell’opinione pubblica diventerà un eroe per aver tentato di
salvare la prostituta sfidando la criminalità
(la stessa Betsy torna a guardarlo con altri
occhi, ma lui ora non è più interessato a lei).
Lui, per nulla soddisfatto, torna alla sua attività e alla vita di sempre, ma è cambiato
e nessuno sa davvero se resterà il violento
che ha scoperto di poter essere o se ciò che
ha compiuto è stato soltanto uno sprazzo
di follia. Emblematico l’ultimo sguardo nevrotico del tassista Travis riflesso nello specchietto retrovisore...
32
Panorama
che Foster sarebbe dovuta essere
intervistata da alcuni psicologi per
assicurarsi che non potesse rimanere traumatizzata dalle riprese. Per
prepararsi a interpretare il suo ruolo, De Niro prese una licenza e lavorò per un mese come tassista a New
York. Scorsese permise agli attori
del cast di improvvisare in diverse
scene. Lo sceneggiatore Paul Schrader ha affermato di essersi ispirato,
oltre che alle proprie traversie personali, all’esistenzialismo europeo
e in particolare a “Lo straniero” di
Albert Camus, “La nausea di JeanPaul Sartre”, nonché a “Memorie del
sottosuolo” di Fëdor Dostoevskij e
alla storia di episodi simili, come
quello che vide il criminale Arthur
Bremer, nel 1972, tentare di assassinare il candidato democratico alle
Presidenziali USA, George Wallace,
oppure quello del 1981, in cui John
Hinckley Jr., un venticinquenne
dell’Oklahoma – in seguito si scoprì che aveva problemi mentali ed
era ossessionato da Jodie Foster, e
aveva progettato l’attentato basandosi su “Taxi Driver” per cercare di
attirare la sua attenzione –, si accanì
contro il presidente Ronald Reagan,
ferendolo a un polmone.
“Taxi Driver” sintetizza alla perfezione le contraddizioni, la confusione e il malessere di un’America che
ha perso tutti i propri punti di riferimento. “La solitudine mi ha perseguitato per tutta la vita. Dappertutto.
Nei bar, in macchina, per la strada,
nei negozi… dappertutto. Non c’è
ccDe Niro con Matthew “Sport” (Harvey Keitel),
amante e protettore della prostituta Iris, per
la quale Travis sviluppa un’ossessione
scampo, sono nato per essere solo”:
sono questi i pensieri che attraversano la mente di Travis Bickle mentre,
al volante del suo taxi, osserva stranito la New York che lo circonda e in
cui egli non può che sentirsi alieno:
non vi è nessuno che comprenda o
che possa lenire il suo disagio. Sotto questo aspetto, il film è di una
sorprendente attualità per la capacità che ha di interpretare che cosa
significhi sentirsi individualità corporalmente e spiritualmente isolati
rispetto alla comunità di cui si è parte ogni giorno, e soprattutto come
questo male esistenziale possa arrivare a corrodere l’animo e far sragionare chi è già debole e vulnerabile.
Naturalmente, lo scenario odierno è
diverso rispetto a quello della Grande Mela degli anni Settanta (popolata da individui alienati, disadattati,
borderline come conseguenza anche
degli orrori del Vietnam). Oggi il
malessere è legato al contesto socioeconomico, all’assenza di lavoro,
all’incapacità oggettiva di costruire
un futuro: c’è una disperazione, un
desiderio di riscattare un’esistenza
“fallita” schierandosi contro tutto ciò
che appare ingiusto nell’illusione di
poter cambiare una società che non
va e magari diventare “eroi per un
giorno”, premendo il grilletto. Come
recita la tagline del film: in ogni strada, in ogni città, c’è sempre un nessuno che sogna di essere qualcuno.
arte
A 250 anni dal
privilegio concessogli
dalla Repubblica nel
1765, che segna la
nascita vera e propria
della manifattura, la
Fondazione Musei
Civici di Venezia
dedica la prima
retrospettiva in
assoluto a Geminiano
Cozzi. Fino al 12
luglio al Museo del
Settecento veneziano,
Ca’ Rezzonico
di Patrizia Lazzarin
A
Il fascino
intramontabile
delle porcellane
Venezia, Ca’ Rezzonico ospita fino al
12 luglio l’elegante e
raffinata collezione
di porcellane di Geminiano Cozzi, un ceramista della
Serenissima che ha saputo coniugare nei suoi pezzi la vivacità di
un colore ricco di riflessi alla sinuosità delle linee. La porcellana,
a lungo rimasta un segreto delle
manifatture cinesi, comincio a essere prodotta in Europa dal secondo decennio del ‘700 alla corte di
Augusto il Forte in Sassonia, per
poi diffondersi in altri paesi nonostante gli sforzi per tenerne segreta la formula. Ma solo in Italia, e
precisamente nella Repubblica di
Venezia, ci furono ben quattro privati dediti a questa attività. Palazzo
Rezzonico dedica la prima rassegna in assoluto a uno di questi pionieri, Geminiano Cozzi appunto, e
Panorama
33
arte
lo fa raccogliendo le sue opere soprattutto da collezioni private.
I committenti del tempo erano
diversi: non solo i patrizi e i ricchi borghesi, ma anche i conventi
e soprattutto le botteghe del caffè.
Le opere, spesso impreziosite da
fregi d’oro zecchino, spiccano per
la forza dei rossi ferro, dei verdi smeraldo, del blu cobalto e del
porpora su fondi bianchi che colpiscono per la loro trasparenza. Ed
è proprio interessante che proprio
Palazzo Rezzonico, sede del Museo del Settecento veneziano, ospiti al primo piano questa rassegna
che nelle immagini dipinte mostra
un’adesione e un omaggio alle passioni e ai gusti del tempo e in altri
una predilezione per temi cari al
passato, come nelle scene del mito.
La zuccheriera, la tazza e il piattino con i decori a mongolfiera e gli
spettatori che osservano ammirati
i primi passi dell’uomo nel cielo,
sono anche la testimonianza della
partecipazione ai sentimenti e allo
stupore di quest’epoca.
Si racconta che Madama Pompadour, la donna più potente di
Francia nel diciottesimo secolo,
nonché la favorita del Re Luigi XV,
avesse fatto realizzare nella sua villa di Bellevue una serra con fiori di
porcellana spruzzati con essenze
di fiori veri. La porcellana ebbe allora notevole successo diventando
quasi il simbolo del Rococò per la
sua raffinatezza ed eleganza. Voluti
dai mutamenti delle abitudini alimentari che prediligono ai piatti
abbondanti piccole portate numerose dai sapori delicati, nascono
in quest’epoca i primi veri servizi
di vasellame. Il gusto poi per le
bevande esotiche come il caffè, il
cioccolato e il tè favorisce la produzione di recipienti dalle forme
minute e assai varie.
Ed ecco, come per magia o meglio
come specchio sincero, che l’ampia rassegna di Geminiano Cozzi
racconta, attraverso i servizi di vasellame, di caffè, di tè, i corredi di
spezieria, i vasi portafiori e gli oggetti d’arredamento, le tendenze di
un secolo dove si guardava con oc34
Panorama
ccCoppia di salsiere con decorazione imari, Collezione privata
Luce su una vicenda di altissim
Fino agli inizi del XVIII secolo, la porcellana è uno dei segreti meglio conservati
della Cina. I manufatti preziosi provenienti dall’Oriente hanno stregato il mondo
occidentale. Ma è a partire dagli anni
Venti del Settecento che la ceramica viene
riprodotta, per la prima volta in Europa,
nel regno di Sassonia di Augusto il Forte e
da lì si irradia in tutto il continente. La tipica leggerezza e lucentezza del materiale
interpreta alla perfezione la quintessenza
dello spirito lezioso del secolo dei Lumi.
È a quel punto che nel piccolo stato della
Serenissima si trovano ben quattro laboratori specializzati nella produzione della
ceramica, legata a personalità controver-
se, caparbie ed affascinanti.
È il caso del giovane patrizio Giovanni
Vezzi, che nel 1720 inizia la propria produzione, o di Nathaniel Friederich Hewelcke, mercante sassone emigrato nel 1757
da Meissen a causa della chiusura della
manifattura durante la Guerra dei Sette
Anni, che chiese ed ottenne un privilegio
ventennale per la fabbricazione di “porcellane di Sassonia d’ogni e qualunque
specie” a Venezia; o ancora, oltre al già
citato Geminiano Cozzi, di Giovanni Battista Antonibon, che nel 1762 avvia a Nove
la produzione della porcellana trent’anni
dopo aver ottenuto dal consiglio dei “Savi
della Mercanzia” della Serenissima il pri-
La porcellana è forse il materiale che meglio di altri incarna lo spirito e l’estetica
del Settecento: lucente e leggera, si presta
naturalmente alla realizzazione di oggetti dalle linee eleganti e agili. Nel corso del XVIII
secolo la Serenissima fu l’unico stato dove
sorsero ben quattro manifatture di porcellane, tutte per iniziativa privata
ccMaschere della Commedia
dell’Arte, Collezione privata
ccZuccheriera con decoro
a mongolfiera, Collezione privata
ccGruppo con putti che giocano
con una maschera, Collezione privata
ma manifattura italica
vilegio di produrre maiolica di qualità per
vent’anni senza doverne pagare le tasse
(1732). I risultati, benché qualitativamente straordinari, non furono però altrettanto fortunati: Vezzi ed Hewelcke dopo pochi
anni furono costretti ad abbandonare le
loro imprese a causa dei debiti, solo Antonibon a Nove e Cozzi a Venezia riuscirono
a dar vita, pur nelle difficoltà, a imprese
durature.
Geminiano Cozzi, modenese d’origine e
vissuto tra il 1728 e il 1798, a cui la Fondazione Musei Civici di Venezia dedica ora
a Ca’ Rezzonico una mostra a 250 anni dal
privilegio concessogli dalla Repubblica nel
1765, che segna la nascita vera e propria
della sua manifattura. A cura di Marcella
Ansaldi e Alberto Craievich, la rassegna
presenta oltre seicento pezzi provenienti
da musei italiani ed esteri, tra cui i pochi
esemplari sicuramente datati e i molti
custoditi in collezioni private fino ad oggi
di difficile accesso al pubblico e agli studiosi, circostanza quest’ultima che non ha
giovato alla fortuna di Cozzi, la cui figura
e produzione oggi paiono finalmente riconosciute all’interno del panorama europeo. La mostra veneziana, che si sviluppa
parallelamente in senso cronologico e
tematico, è finalmente l’occasione per far
luce su una storia di altissima manifattura
italica fino a ora quasi dimenticata.
chi diversi all’amore e alla natura.
Cozzi rielabora in maniera originale spunti che egli ricava da
altri e la sua attenzione è rivolta
molto anche ai pittori. Nei piccoli
bambini delle sue opere plastiche
ritroviamo quell’umore malinconico e appartato dell’artista veneziano Giambattista Piazzetta come
ad esempio nel Gruppo con putti
che giocano con una maschera.
Le sue figure d’alchimisti, le maschere della commedia dell’arte e
gruppetti di genere, ispirati al costume contemporaneo hanno un
particolare sapore. In un’epoca in
cui dipingono i grandi Canaletto
e Francesco Guardi, egli punta il
suo sguardo invece che alle Vedute
tipicamente veneziane ai Paesaggi
o ai cosiddetti Bersò, motivi che
gli sono più congeniali e indicano
che la sua clientela era soprattutto
della città di Venezia e del “contado”. La sua fantasia attinge anche
ai tessuti riproducendone i decori
e impreziosendo in questo modo
con elegante e raffinata semplicità
i servizi destinati alle botteghe del
caffè.
Sono trascorsi duecento cinquant’anni da quando la Repubblica di Venezia concesse nel 1765 il
privilegio di lavorare la porcellana
a Geminiano Cozzi, un’arte che era
anche vissuta come segno distintivo di uno Stato, indice cioè di qualità, ed una passeggiata nelle belle
sale di Ca’ Rezzonico per ammirare queste porcellane potrà farci rivivere un pezzo di storia di questa
città d’acque dai mille riflessi che
si infrangono sui suoi palazzi e sui
suoi ponti.
Panorama
35
eventi
Appuntamento
nel santuario
mariano sull’isola
di Barbana
(laguna di Grado)
il 25 aprile, giorno
della morte del
giovane operaio,
religioso e
marinaio polese
ccEgidio Bullesi (Pola, 1905 – 1929)
Giubileo degli Esuli giu
in ricordo del venerabile E
Adesioni
e partecipazioni
Al raduno nazionale fissato il 25 aprile
a Barbana, si registra l’appoggio di numerose realtà del mondo esuli. All’incontro, infatti, hanno aderito la Federazione delle Associazioni degli Esuli
Istriani Fiumani Dalmati, l’Associazione
Dalmati Italiani nel Mondo - Libero
Comune di Zara in Esilio, l’Associazione
delle Comunità Istriane, l’Associazione
Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, il Libero Comune di Pola in Esilio e il Libero
Comune di Fiume in Esilio. Annunciata
la partecipazione del Circolo di cultura
istroveneta “Istria”, del Comitato 10
Febbraio, di Coordinamento Adriatico,
di Giuliani nel mondo, dell’Istituto
Regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata, della Lega Nazionale,
della Scuola Dalmata dei Santi Giorgio
e Trifone e dell’Unione degli Istriani –
Libera Provincia dell’Istria in Esilio.
36
Panorama
L’
apertura straordinaria della Porta
santa all’antico santuario mariano di
Barbana (fino alla fine di ottobre), nel
cuore della laguna di Grado, accanto
al tradizionale “Perdòn de Barbana”, al 779° anno consecutivo, che viene fatto
proprio attraverso i canali della laguna per
ringraziare la Vergine d’aver salvaguardato la
popolazione locale dalla pestilenza che allora
incombeva, si aggiunge un altro significativo
momento: il Giubileo delle Associazioni degli
esuli istriani fiumani dalmati. La data scelta è
quella dell’anniversario della morte del venerabile Egidio Bullesi, nato vissuto e morto nel
1929 a Pola, da dove l’urna dei resti giunse a
Barbana nel 1974.
“Gli esuli giuliano-dalmati quando decisero di
abbandonare terra, casa, beni ed affetti, fecero
una scelta controcorrente inseguendo ideali di
verità, giustizia e libertà, dando testimonianza del coraggio e dell’identità di un popolo,
forte e devoto – si legge nell’annuncio della
manifestazione, diramato dalla Federazione
delle Asociazioni degli Esuli –. Gli esuli e le
generazioni seguenti hanno scommesso su
questi grandi ideali nella faticosa certezza che
è sempre possibile amare la propria identità e,
da quest’amore, ricostruire una vita e lavorare
per una prospettiva. Oggi gli esuli giulianodalmati testimoniano con dignità e fierezza la
propria memoria, incarnando con la loro stessa
esistenza un esempio tangibile delle parole di
Papa Francesco, un esperienza concreta di cosa
sia la misericordia da donare e da richiedere
per la propria esistenza”.
fI resti nella cappella
dell’Apparizione
Egidio Bullesi è morto in concetto di santità il
25 aprile 1929, dopo una breve e intensa vita
da marinaio e operaio ai cantieri di Monfalcone, sempre con un impegno molto forte nella
vita ecclesiale come cristiano laico. Nel 1973
don Eugenio, fratello del venerabile, fece riesumare le ossa per trasferirle a Ramuscello di
Pordenone, sua parrocchia. L’urna fu trasportata a Portogruaro e da qui a Grado. In Sant’Eufemia fu celebrata la messa e, nonostante il
maltempo, con un corteo di barche l’urna fu
trasportata a Barbana, dove si trova tuttora,
nella cappella dell’Apparizione.
Gli sono stati attribuiti diversi miracoli. Il primo
è stato il salvataggio di alcuni marinai, quando
una scialuppa della motonave Vulcania con numerose persone a bordo si sganciò dai sostegni
Il programma
uliano-dalmati
Egidio Bullesi
precipitando a folle velocità in mare. L’impatto
sarebbe stato fatale. I marinai, tutti istriani e
della zona di Grado, si votarono all’istante a
Bullesi e la scialuppa si fermò incredibilmente
a pelo d’acqua. C’è poi l’inspiegabile guarigione
di una donna che risiedeva vicino a Pola, per la
quale i medici non avevano dato alcuna speranza. Un miracolo che, dopo aver raccolto tutta la
documentazione scientifica e le testimonianze,
è stata sottoposta all’esame del Postulatore generale della causa di beatificazione. Ma agli atti
a Roma ci sono anche alcune guarigioni avvenute a Genova e La Spezia.
fFede e virtù
Secondo di nove fratelli, figlio di Fran­cesco Bullesi – il cognome è noto anche nelle forme di
Bullessich (quella originaria) e Bulešić (traslitterazione in croato) – e Maria Diritti, la famiglia di
Egidio proviene da Sanvincenti. Il padre faceva
il disegnatore tecnico navale nell’Arsenale della
marina di guerra. Egidio nasce il 24 agosto 1905
e frequenta le prime classi della scuola elementare italiana. Ma nel 1914, essendo scop­piata
la guerra e Pola divenuta zona pericolosa, per
cui i civili veongono sgomberati, i Bullesi emigrano a Rovigno e in seguito vengono internati
in Ungheria (Seghedino), poi a Wagna in Stiria
e a Graz. Alla fine del conflitto, Egidio rientra a
Pola e inizia a lavorare all’Arsenale: ha 13 anni
e prima fa l’apprendista carpentiere in legno,
poi l’”operaio maestro”; in seguito passerà alla
costruzione delle grandi navi da guerra. Rimane
all’Arsenale per tre anni; quindi passa alle dipendenze del Cantiere navale Sco­glio Olivi in qualità
di tracciatore, al reparto carpentieri, e ciò fino al
1925, continuando a perfezionarsi nella scuola
serale. Di carattere aperto ed estroverso, testimonia la sua fede in famiglia, al lavoro e nelle
scuole. In seguito all’incontro con alcuni frati
francescani, studia la vita di San Francesco e decide di seguirne l’esempio, entrando il 4 ottobre
1920, a 15 anni, nel Terz’Ordine Francescano.
Nel 1925 viene richiamato alle armi, si licenzia
e presta servizio militare sulla nave Dante Alighieri per due anni. Qui organizza un gruppo di
riflessione e preghiera. Crea una sorta di club,
battezzato “attività serali frigorifere”, perché
si riunisce nei locali dei frigoriferi. Da questa
singolare attività cameratesca arrivano alcune
conversioni e addirittura una vocazione religiosa: Guido Foghin, prima indifferente e non
praticante, dopo la morte di Bullesi “prenderà i
Voti” diventando frate francescano, missionario
in Cina e poi in Guatemala, e assumendo si-
- Ore 09.30: dall’imbarcadero di Grado
(Riva Scaramuzza), partenza verso Barbana dei pellegrini esuli e dei rappresentanti delle loro Associazioni e Comunità;
quindi, sull’isola, accoglienza e ritrovo
alla Domus Mariae;
- Ore 10.50: rito del passaggio della Porta
Santa del Santuario; recita del Credo e
preghiera del Papa per il Giubileo della Misericordia; ingresso solenne con i
labari delle Associazioni; Santa Messa
concelebrata con commemorazione del
venerabile Egidio, presieduta dall’Arcivescovo monsignor Oscar Rizzato (la Corale
dell’Associazione delle Comunità Istriane
di Trieste sostiene i canti); al termine, corteo cantando le litanie dei santi di Istria
e Dalmazia fino alla cappella esterna; invocazioni lette da esuli giuliano-dalmati;
intervento di Lucia Bellaspiga, giornalista del quotidiano Avvenire; preghiera
dell’Esule e solenne benedizione; seguirà
pranzo nella Casa del Pellegrino.
gnificativamente il nome da religioso di Padre
Egidio-Maria. Congedato, non potendo tornare
allo Scoglio Olivi, visto che si era licenziato, si
trasferisce a Monfalcone, dove vive suo fratello,
e viene assunto al cantiere navale di Monfalcone, ma presto la malattia lo obbliga a continue
cure. Il 19 marzo 1928 è a Pola, dove alterna
lunghe degenze in ospedale con soggiorni a
casa presso la famiglia. Accetta la malattia con
grande serenità, comunicando gioia e bellezza
anche nella sofferenza. Muore la mattina del
25 aprile 1929.
I resti mortali di Egidio rimangono per 44 anni
nel cimitero di Pola; nel 1973, per interessamento dei suoi fratelli, vengono portati in
Italia, in forma strettamente privata, e l’anno
seguente a Barbana. Il 25 aprile 1974 ha inizio
a Trieste il “Processo informativo”, cioè lo studio sulla pratica delle virtù cristiane da parte
di Egidio, studio che si conclude il 6 dicembre
1977. Il materiale viene inviato a Roma. Con
decreto del 7 luglio 1997, papa Giovanni Paolo
II gli ha riconosciuto l’eroicità delle sue virtù e
il titolo di venerabile. Oltre ad essere venerato
dagli istriani, Bullesi è considerato protettore
dei marinai. Ora sono all’esame presunti miracoli per sua intercessione che dovrebbero portarlo definitivamente sugli altari.
I. R.
Panorama
37
made in italy
Bentornata
Primavera
S
i è conclusa con un bilancio più
che positivo la dodicesima edizione di Pollice Verde, la mostra
mercato dedicata all’ambiente
e all’ortogiardino, che per tre
giorni ha animato la fiera di Campagnuzza. “I visitatori sono ancora in crescita e,
considerato il momento peculiare, siamo molto
soddisfatti – commenta la presidente di Udine &
Gorizia Fiere, Luisa De Marco –. Pollice Verde è un
appuntamento consolidato e particolarmente
atteso da goriziani e non, che conferma in qualche maniera la crescita del settore merceologico
dell’ortogiardino”. Migliaia, anche quest’anno,
i visitatori giunti dalla Slovenia. Circa 100 sono
stati gli espositori provenienti dal F.V.G, Abruzzo,
Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana Veneto ma anche dalla Slovenia
e dalla Polonia. La presenza delle aziende slovene riporta alla collaborazione, positivamente
sperimentata anche durante la recente Expomego, con la Camera Regionale Imprenditoria
Artigiana di Nova Gorica. Nei padiglioni e nelle
aree esterne del quartiere fieristico di via della
Barca si è potuto ammirare e scegliere tra fiori
38
Panorama
e piante (piante da frutto, frutti antichi, piante
officinali e aromatiche, piante fiorite, succulenti,
agrumi, piante da interno, bonsai, piante grasse
e anche piante di montagna); bulbi, sementi e
ortaggi; attrezzature per la cura e la manutenzione dell’orto e del giardino; arredo giardino e
oggettistica; editoria di settore; proposte e attività di eco-didattica e di educazione ambientale.
L’indice di gradimento che Pollice Verde ha
guadagnato in questi anni richiamando in
Fiera migliaia di visitatori da tutta la Regione e
dalla vicina Slovenia, si deve non solo al “naturale richiamo” della bella stagione che invita a
rimboccarsi le maniche nel giardino o nell’orto,
ma anche alla qualità e alla varietà di quanto
messo in mostra negli stand e all’impegno
degli espositori nel proporre nel proprio spazio
espositivo incontri, dimostrazioni, laboratori e
anticipazioni di attività ed eventi.
Pollice Verde si nasce e si diventa, a maggior
ragione se fin da piccoli si è stimolati a stare
nella natura. Per i visitatori più giovani e giovanissimi, per le scuole, ma anche per le famiglie, Pollice Verde ha sempre avuto un “alleato
strategico” come Verde Pollicino, che significa
Migliaia i visitatori
provenienti anche da
Slovenia e Croazia a
Pollice verde, la fiera
dei fiori a Gorizia
proposte interattive di educazione ambientale
fatta a misura di bambini e quindi il gioco e il
coinvolgimento sono i miglior tramite per raggiungere lo scopo: conoscere e rispettare l’ambiente, la natura e gli animali. Quest’ultimo
tema particolarmente legato all’immancabile
Mostra internazionale del Coniglio riproduttore con oltre 30 razze dalle più piccole alle più
grandi, dalle più rare a quelle più diffuse, una
mostra che ha destato l’interesse dei bambini
ma anche degòli adulti.
Con Pollice verde Gorizia rinnova la sua storica
vocazione di “Città Giardino” aperta verso la
pianura e percorsa da venti freschi e umidi,
provenienti da sud -ovest, che influenzano il
suo clima rendendolo mite e temperato. Non
a caso Gorizia era chiamata la “Nizza dell’Adriatico” dalla borghesia asburgica che amava
questo luogo per il suo clima, la sua eleganza
architettonica, per i parchi che ancor oggi caratterizzano e nobilitano il capoluogo isontino
come il Parco Piuma sul fiume Isonzo e il centralissimo Parco Palazzo Coronini Cronberg,
dove convivono essenze arboree di tutto il
mondo, e il Giardino Viatori.
A. V.
curiosità
Magre come un
foglio A4, il (folle)
concorso cinese e
l’ironia del web
ccLa risposta del mondo occidentale
a cura di Nerea Bulva
C
ome calcolare la forma fisica “perfetta”?
La risposta è semplice
per le partecipanti di
A4Challenge, l’ultimo
folle concorso di bellezza cinese
lanciato sui social network. Le partecipanti alla sfida, tutte ragazze
giovani e magrissime, si fanno fotografare con un foglio A4 tenuto
verticalmente. Chi ha il girovita che
rientra nella larghezza del foglio
può considerarsi promossa. La trovata che ha avuto un grande successo su Weibo, l’equivalente di Twitter
in Cina, ha suscitato l’ironia degli
utenti occidentali che hanno preso
in giro quest’ultimo trend orientale.
fLe misure
Sono tante le ragazze cinesi che,
in pantaloncini o in bikini, hanno
partecipato alla sfida. La misura
del foglio corrisponde a un girovita di 53 cm e una taglia 34/36. Chi
riesce a rientrare in queste misure
commenta con frasi giubilanti la
propria forma “perfetta”: “Lasciatemi mostrare anche la mia magrezza” scrive con entusiasmo una
A4 challenge
la nuova sfida
di bellezza virale
diciannovenne che come le sue colleghe rientra nell’esile formato A4.
#A4waist è l’hashtag del concorso,
finito anche sul ‘Quotidiano del
Popolo’, organo ufficiale del Partito
Comunista cinese, e ha attirato su
Weibo oltre 100 milioni di visualizzazioni e 100 mila commenti.
fCritiche e ironie
Il concorso è stato accolto con ironia e sberleffo dai cittadini occidentali. Questi ultimi, su Twitter
e Instagram, hanno preso in giro
le ragazze cinesi imitando le loro
performance, ma fotografandosi
dietro ai loro diplomi universitari
o a fogli molto più grandi sui quali compaiono commenti sarcastici:
“Questa laurea mi fa apparire molto
grassa”, scrive un’utente. Sulla stessa
lunghezza d’onda un ragazzo che su
un foglio A4 sentenzia: “Sei molto
bella indipendentemente dalla tua
magrezza. La vostra bellezza resta
unica, quindi non usate standard
folli per voi stesse”.
Il concorso, tuttavia, non ha suscitato ironie e critiche solo nel mondo
occidentale. Xiao Meili, attivista per
i diritti delle donne che una volta
ha percorso 2000 km da Pechino
a Guangzhou per promuovere una
campagna contro la violenza sessuale, ha definito “estremamente
noiosa” la sfida: “In Cina i canoni di
bellezza sono comuni e scontati. La
gente è convinta che la bellezza possa essere misurata”.
Panorama
39
alimentazione
Scopriamo gli spuntini che combattono
la fame senza eccedere con le calorie
A
metà mattina o durante il pomeriggio
può capitare di avvertire appetito. Sedersi
a tavola quando si è
troppo affamati è controproducente, il rischio è di abbuffarsi e perdere di vista il reale fabbisogno. Ecco
allora alcune dritte per uno spuntino a prova di linea e buon umore
a base di yogurt, cereali integrali,
frutta fresca di stagione, frutta
secca, verdure crude e tante tisane
specifiche che aiutano a combattere la fame nervosa, migliorano la
circolazione e combattono la ritenzione idrica.
YOGURT - Idratante e nutriente,
costituisce una colazione o una
merenda all’insegna del benessere.
Aggiungete un cucchiaino di miele a una coppetta di yogurt bianco
oppure un mix di frutta per una
scorta di vitamine.
INFUSO - Preparare un infuso
caldo è un ottimo modo per calmare l’appetito e idratare l’organismo. Scegliete vaniglia e arancio
dolce: secondo gli studi aiutano a
combattere la fame nervosa. Ginepro, mirtillo e betulla migliorano
la circolazione combattendo la ritenzione idrica.
FRUTTA SECCA - Mandorle,
noci, pistacchi e nocciole sono
ricche di Omega Tre e proteggono dall’invecchiamento cellulare,
con effetti benefici per la salute del
cuore. Attenzione a non esagerare:
scegliete la frutta secca con il guscio, tenderete a mangiarne meno.
AVENA - I fiocchi d’avena sono
ricchi di fibre, regolarizzano il colesterolo e sono ricchi di sali minerali. Digeribile e saziante, l’avena
contribuisce al senso di sazietà riducendo gli attacchi di fame.
CENTRIFUGATO - Frullati e centrifugati sono una riserva di vita-
40
Panorama
mine e sali minerali. Giocate ad
inventare nuovi mix mescolando
frutta e verdura di stagione. Grazie
alla presenza di acqua e fibre eliminerete le tossine e terrete a bada
l’appetito: leggerezza e vitalità per
l’organismo.
VOGLIA DI MERENDA - Scegliete cracker senza sale e un succo di frutta naturale oppure una
fetta di pane integrale con un velo
di miele e semi di papavero. Dopo
l’attività fisica fare uno spuntino
aiuta a ritrovare energia.
MACEDONIA LIGHT - Tagliate qualche frutto di stagione, aggiungete una manciata di mirtilli
e frutti di bosco, mettete in frigo.
Per una ricetta leggera eliminate lo
zucchero e aggiungete succo d’arancia, gustoso e fresco.
BARRETTE FAI DA TE - Sapete che potete preparare le barrette
spezza fame anche a casa? Scegliete
cereali integrali misti, fiocchi d’avena, riso soffiato, frutta secca, miele e
zucchero di canna: fate sciogliere in
un pentolino e versate negli stampi,
poi confezionate singolarmente. La
ricetta naturale per una merenda
energetica ideale per lo sport.
MELA COTTA - Semplice e d’effetto, la ricetta delle mele cotte
è ottima anche senza zucchero.
Usate cannella e vaniglia per dare
un profumo particolare a questo
spuntino caldo e delizioso, da gustare a metà pomeriggio. Comfort
food all’insegna del benessere.
VERDURA CRUDA - Quando
tornate dal lavoro mangiate la prima cosa che vedete in frigo? Allora
preparate un contenitore richiudibile con sedano e finocchio già
lavati e tagliati, da abbinare a una
salsa di ceci o fave, ricche di fibre.
Le abitudini positive favoriscono
la voglia di uno spuntino sano e
leggero!!!
Buco allo
stomaco?
Gli snack che
fanno bene
alla salute
e all’umore
Panorama
41
ccIl fondatore Ole Kirk Christiansen ed il brevetto registrato
cc I bambini di ieri...
anniversari
L
e ultime generazioni non possono non
aver giocato almeno una volta con i
mattoncini Lego: si inizia a due-tre anni
con i pezzi più grandi e mano a mano i
mattoncini si rimpicciolivano e si aggiungevano - nella grande scatola del Lego presente
in ogni famiglia dagli anni ‘60 in poi - le ruote per
le automobiline o le ‘basi’ per costruire le case. I
quarantenni di oggi da piccoli giocavano già con
gli omini di Lego: indiani e cow boy, astronauti
e pirati, pompieri e poliziotti.
Insomma un po’ tutti, che siano
stati genitori o figli o nipoti, devono festeggiare i 100 anni della
fabbrica dei sogni Lego, fondata
nel 1916 da Ole Kirk Christiansen
che iniziò come falegname ma si
42
Panorama
100
dei mattoncini se
fece trasportare dal “pallino” per i giocattoli, cosa
che fu la sua fortuna. Ripercorriamo qui le principali tappe dei Lego.
IL NOME - Christiansen coniò per i suoi giocattoli il nome Lego prendendo ispirazione dalla
locuzione in lingua danese leg godt (“gioca
bene”). Solo in seguito si accorse della similitudine con il verbo latino lĕgo, che può significare
anche “metto insieme” (ma è una traduzione
piuttosto libera di un verbo di solito tradotto con
“raccolgo”, “scelgo”). C’è poi il fatto che in finlandese, legot (forma plurale di lego) è usato come
termine gergale per indicare i denti umani, a
causa della loro forma rettangolare.
CAMIONCINI E MATTONCINI - Il Lego come lo
conosciamo noi, ovviamente, per nascere deve
aspettare l’invenzione e la diffusione della plastica. Christiansen ne fu entusiasta e la introdusse nella propria produzione inventando il primo
giocattolo modulare: un camion scomponibile,
formato da diversi elementi assemblati a incastro. In seguito, gli elementi di cui erano composti i giocattoli divennero i mattoncini: nel 1947,
Ole Kirk e Godtfred crearono infatti i primissimi
esemplari di mattoncini assemblabili in plastica.
Nel 1958 fu studiato il mattoncino Lego che tutti
conosciamo e i pezzi furono migliorati con l’inserimento di un cilindretto nella cavità inferiore,
che aggiungeva supporto alla base permettendo maggiori opzioni di collegamento e stabilità
dei pezzi.
LO SBARCO IN ITALIA - Nel 1961 l’azienda
diventa globale e vende i suoi prodotti da Singapore al Marocco passando per il Giappone e
l’Australia. Ovviamente sbarca anche in Italia.
LE RUOTE - Il 1961 ed il 1962 videro l’introduzione delle prime ruote, un’innovazione che
consentì di costruire automobili e altri veicoli
con i mattoncini. Sempre in questo periodo, la
Lego introdusse una speciale linea di mattoncini
più grandi, adatti ai bimbi in età prescolare. Nel
1964 furono per la prima volta inclusi i manuali
di istruzione nelle confezioni. Una delle serie di
maggior successo fu il sistema “Treno”, prodotto
a partire dal 1966: c’era un piccolo motore a 4,5
volt, poi fu introdotto un motore a 12 volt.
LEGOLAND - Nel 1968 a Billund dove nel frattempo era stato costruito un aeroporto - nasce Legoland, il
primo parco a tema dedicato ai mattoncini: solo nel primo giorno venne
visitato da tremila persone, che ammiravano modellini di città in minia-
anni
cc...e quelli di oggi
empre più digitali
tura interamente costruiti con i mattoncini Lego.
Il parco LEGO di 12.000 metri quadrati ebbe nel
primo anno 625.000 visitatori e nei vent’anni
successivi crebbe di dimensioni fino a diventare
otto volte la grandezza originale, e raggiungere
la media di circa un milione di visitatori l’anno.
Nel 1968 furono vendute oltre 18 milioni di confezioni di Lego.
GLI OMINI - Negli anni ‘70 l’azienda conobbe
un boom di vendite ma anche un rifiorire creativo: nacquero gli omini di “Lego family”, che
all’inizio erano “giganti” nelle casette di Lego e
non entravano dalle porte. In seguito divennero
più piccoli e con braccia e gambe mobili. Intorno
alla fine del decennio nacquero i “Technic”, che
consentono di creare macchine complesse sfruttando ingranaggi, leve e piccoli motori.
LA RIVOLUZIONE DIGITALE - Negli anni ‘80 esce
la serie “Light & Sound” che aggiunge luci e suoni ai mattoncini ‘”comandati” dal Technic Control
Center, mini-computer che consente di programmare e gestire le azioni dei vari motori. Nel 1996
l’azienda apre il suo sito web, l’anno successivo
introduce il primo CD-Rom all’interno di un set e
sempre nel 1997 esce “Lego Island”,
il primo vero videogioco Lego.
IL PRESENTE: NEXO - Nel 2016 i
bambini vivono le loro avventure
in due dimensioni, quella reale e
quella virtuale e così anche Lego
si è evoluta e i suoi creativi hanno inventato “Nexo
Knights”, un set con cui creare castelli e armi medioevali che interagiscono con una App che li
trasforma in un videogioco. Il lancio mondiale è
avvenuto in gennaio: un gruppo di quasi 100 designer - che arrivano da ogni angolo del mondo - ha
lavorato al progetto per un paio d’anni. Due di loro,
il francese Frederic Roland Andre e l’americana
Melissa Pickering spiegano: “Abbiamo immaginato l’eterna lotta tra il bene e il male (ambientata in
un Medioevo techno-fantasy, ndr) dove 5 cavalieri
devono difendere il regno dal cattivo Merlok 2.0 e
dai suoi aiutanti. Per farlo servono dei super poteri
dai nomi buffi, dalle Banana Bombs al Chicken
Power, sono quasi 200 e sono scudi che si trovano
nelle scatole di Lego ma anche nei siti web della
Lego o in televisione” dove va in onda il cartone
animato Nexo Knights. Con un’App le minifigures,
gli omini gialli della Lego, diventano digitali e il
gioco continua sotto forma di videogame. Il digitale non cannibalizza il gioco fisico perché, spiegano,“si integrano e ampliano l’esperienza, i bambini
costruiscono la loro storia ma poi la condividono
ccCon “Nexo Knights” la Lego diventa virtuale
Storia di un
falegname danese col
pallino dei giocattoli
che fonda un impero
internazionale: dal
legno ai videogiochi
con gli amici, si scambiano i poteri” e il gioco si rinnova con milioni di combinazioni possibili, proprio
come succede con i mattoncini.
IL FUTURO: LA SVOLTA VERDE - Ora Lego cerca
un nuovo look per i suoi mattoncini e ha avviato
studi per trovare alternative “più amiche dell’ambiente” rispetto alla plastica. Il processo - riporta il
Wall Street Journal - sarà lungo: si stima che non
sarà concluso prima del 2030 e che i clienti potrebbero anche non accorgersi del cambiamento
“fondamentale”. Quindi, caccia al
materiale in grado di sostituire
la plastica dei mattoncini: Lego
non esclude nulla, ma preferirebbe che la nuova plastica
arrivasse da materiali riciclabili.
Panorama
43
tesori della terra
ccDolmen
Pietre e cri
dai cristiani
di Daniela Mosena
L’
ccMenhir
44
Panorama
uomo arcaico percepiva la potenza
vivente della natura in tutto ciò che
lo circondava: l’animale, il vegetale
e il minerale. Le prime offerte che
fece agli dei della natura, al sole, al
vento, o alla pioggia, le depositò su una pietra, simbolo di solidità e di eternità. Paragonata alla natura umana, effimera e in costante movimento, la vita delle pietre confina con
l’inerzia. Tuttavia è probabile che la coscienza, prima di arrivare all’uomo, sia esistita in
altri regni, tra cui anche il regno minerale. Le
pietre, i cui nomi cambiano secondo le versioni, hanno un alto valore simbolico.
Nel Nuovo Testamento la pietra è il fondamento stesso della Chiesa cristiana, come è
chiaro nelle parole di Gesù quando si rivolge
al primo dei suoi apostoli: ”Tu sei Pietro, e su
questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt
XVI, 18).
La pietra simboleggia anche le prove incontrate sulla strada del peccatore: ”Agli angeli
suoi ha dato ordini per te: essi ti porteranno
sulle mani, perché il tuo piede non inciampi
in una pietra” (Mt IV, 6 e Le IIV 9-11), o anche lo strumento della collera degli uomini:
”Allora essi presero le pietre per tirargliele,
ma Gesù si svestì e uscì dal tempio” (Gn VII,
59), ”Chi è senza peccato scagli la prima pietra!” (Gn VIII, 7).
Le pietre preziose, invece, sono citate in gran
numero nell’Apocalisse di San Giovanni: “... E
mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che
scendeva dal cielo, da presso Dio, dalla gloria
stessa di Dio. E lo splendore di lei era simile ad
una pietra assai preziosa, come il diaspro cristallino. Aveva un muro grande e alto, munito
di dodici porte, presso le quali c’erano dodici
angeli; e dei nomi vi erano scritti, che sono
quelli delle dodici tribù dei figli d’Israele. Il
muro della città ha dodici fondamenta e sopra
di esse dodici nomi, quelli dei dodici apostoli dell’Agnello (...). Il materiale del muro è di
diaspro e la città è d’oro puro, simile a puro
cristallo. I basamenti del muro della città sono
ornati d’ogni sorta di pietre preziose: il primo
basamento è di diaspro, il secondo di zaffiro,
istalli
ai celti
Caratteristiche morfologiche
e terapeutiche
fCristallo di rocca
Mineralogia: Quarzo cristallino trasparente
Sistema cristallino: trigonale
Reperibilità: ottima
Processo litogenetico: primario
Indicazioni:
Sfera spirituale: chiarezza, neutralità
Sfera psichica: consolida il proprio punto di
vista, rende più vividi i ricordi
Sfera intellettuale: acutizza la percezione,
rende consapevoli e apporta chiarezza di
pensiero
Sfera fisica: stimola il flusso energetico, i
nervi, le funzioni cerebrali e della tiroide; allevia i dolori e i gonfiori.
ccCromlech
il terzo di calcedonio, il quarto di smeraldo, il
quinto di sardonice, il sesto di sardio, il settimo di crisolito, l’ottavo di berillo, il nono di
topazio, il decimo di crisoprasio, l’undicesimo
di giacinto, il dodicesimo di ametista. Le dodici
porte sono dodici perle, ogni porta è fatta di
una sola perla” (Apo XXI, 10-21).
Sia che vengano usate per captare l’energia
divina, sia che vengano considerate semplicemente come dei simboli, le pietre della
Bibbia sono rimaste per secoli e secoli uno
dei punti d’interesse per il mondo giudaicocristiano. Anche nel mondo celtico, il sovrannaturale risiede in tutto. Minerali, vegetali,
animali e umani sono altrettante emanazioni dell’energia universale. Tutto è vivo e partecipa alla vita dell’universo. Il germe della
vita evolve ”perfezionandosi” dai minerali ai
vegetali, poi agli animali e all’uomo, culmine evolutivo degli altri tre regni. Il minerale
possiede dunque una scintilla dell’energia
divina e, di conseguenza, una sensibilità.
Per questa ragione i druidi facevano uso delle pietre e, in particolare, di due pietre che
possiedono uno speciale valore simbolico
e magico perché hanno la caratteristica di
evocare due regni contemporaneamente.
L’Ambra, resina fossilizzata, è allo stesso
tempo un’emanazione del regno minerale e
del regno vegetale. Il suo bel colore dorato
l’assimila a un simbolo del sole e, per estensione, del potere spirituale. I druidi la portavano come collana.
Il corallo appartiene sia al regno minerale
che al regno animale. Il suo colore rosso simboleggia la guerra e serviva per decorare le
armi poiché aveva la fama di proteggere dalla cattiva sorte. Tuttavia queste non sono le
uniche pietre citate nelle leggende celtiche,
che sono le principali fonti di informazione
su una civiltà in cui l’insegnamento veniva
trasmesso oralmente.
Il cristallo di rocca, per esempio, è spesso
citato come un simbolo solare e come una
pietra che aiuta l’uomo a trascendere. Di numerosi altri cristalli e pietre si faceva un uso
terapeutico.
Le altre pietre di importanza fondamentale
per la tradizione celtica sono i megaliti eretti
sui nodi tellurici, considerati come dei veri e
propri traits d’union tra il cosmo e la terra:
- i menhir sono blocchi diritti piantati nel
terreno, spesso in gruppi, ai piedi dei quali
sono stati ritrovati frammenti di utensili e di
vasellame.
- i dolmen, gruppi di pietre a forma di tavola,
che rappresentano l’apertura attraverso cui
l’anima fugge via al termine dell’esistenza
terrestre, sono tombe megalitiche ricoperte
da un ammasso di terra e provviste a volte
di un corridoio,
- i cromlech sono gruppi di menhir chiusi in
recinti circolari, probabilmente dei santuari.
È noto come la società celtica abbia accordato una grande importanza ai vari tipi di
pietre, così come a tutti gli elementi naturali. Purtroppo la maggior parte del sapere
esoterico dei druidi, affidato alla sola tradizione orale, non si è conservata. I contatti
tra le civiltà occidentali, araba e semitica
non fecero che rinforzare l’interesse per il
regno minerale. Le pietre vengono sempre
utilizzate come simboli spirituali ma ci se ne
serve anche come mezzi terapeutici, o addirittura magici.
Panorama
45
multimedia
Applicazioni
che uccidono
la batteria
dell’iPhone
a cura di Igor Kramarsich
N
onostante i vari “trick” per assicurare una maggiore durata della
batteria, ci sono applicazioni che
possono infierire in maniera più
pesante rispetto ad altre. iOS mette a disposizione una serie di strumenti per
stabilire quali sono le operazioni che utilizzano più energia. Andiamo quindi a vedere
le 5 applicazioni che causano il maggior
dispendio di batteria. Il test è stato effettuato da ZdNet, prendendo in esame le 50
applicazioni più popolari dell’App Store. Il
risultato è che:
fFacebook
l’attività in background non risolve il problema perché è ancora presente un bug (in
maniera parziale) che inibisce questo blocco.
fGoogle Chrome
fGoogle Maps
A sorpresa l’utilizzatissimo browser di Google, alternativa a Safari, utilizza molta più
batteria rispetto al browser nativo di iOS. La
mancanza di ottimizzazioni rendono Safari
il modo migliore per navigare su internet
quando non vogliamo utilizzare troppa batteria, esattamente come su OS X.
fTwitter
È in assoluto l’applicazione che consuma
più batteria, sia quando viene utilizzata
che quando è semplicemente aperta in
background. Purtroppo anche disattivare
46
Panorama
È il secondo social network più popolare al
mondo. L’applicazione continua a caricare
nuovi tweet in background anche quando
non utilizziamo l’app. Più persone seguiamo, maggiore sarà la batteria che verrà
utilizzata. In questo caso, per limitare l’uso
improprio di batteria è possibile entrare in
Impostazioni > Generali > Aggiornamento App in background e disattivare l’interruttore per Twitter.
Utilizza il GPS e la triangolazione di rete
per stabilire la propria posizione in maniera costante, è quindi ovvio che l’applicazione causi un grande utilizzo di batteria.
Tuttavia, ai fini del test, ZdNet ha voluto
confrontare quest’applicazione con quella nativa di Apple ed è stato stabilito che
“Mappe” utilizza meno energia rispetto
all’app di Google.
Interessante test
fatto da Zdnet
e pubblicato da
iSpazio. Anche
se il test è stato
fatto per gli iPhone
pure gli altri
smartphone da
quelli Android ai
Windows phone
non sono immuni a
questi «problemi»
fSkype
Un’altra applicazione a cui probabilmente
non pensiamo ma che risulta essere una delle
app più pesanti dello store.
Apple rilascia la versione finale
Dopo ben sette beta Apple ha rilasciato la
versione finale di iOS 9.3. La novità più importante riguarda sicuramente la funzione
Night Shift che, dopo essere stata attivata dal
Centro di Controllo, permette al sistema operativo di adattare la tonalità dei colori del display al momento della giornata, mostrando
una gamma di colori leggermente più fredda
di giorno e tendente al caldo di notte. Tale
variazione cromatica dovrebbe rendere più
confortevole la visione del display e, soprattutto, migliorare la qualità del sonno dell’utente che utilizza il device a letto, poiché non
ne altera i ritmi circadiani. Night Shift è disponibile su tutti i dispositivi iOS, tranne che
iPhone 5, 5c, iPod touch di 5a generazione,
iPad mini, iPad 2, iPad 3 e iPad 4.
Altra novità interessante riguarda l’app Note
che adesso permette di impostare, tramite
un’opzione presente nel menu di condivisione, l’accesso tramite Touch ID o password
ad ogni singola nota, impedendo che possa
essere vista da altre persone.
iOS 9.3 porta anche alcune novità per iPad
riguardanti il settore dell’istruzione, aggiungendo il supporto alla multiutenza e
introducendo Classroom, un software che
permette agli insegnanti una gestione completa della propria classe. Inoltre, i docenti,
dopo aver effettuato l’accesso al portale Apple School, possono mostrare contenuti agli
studenti via AirPlay, preparare verifiche e
controllare il corretto e regolare svolgimento
degli esercizi.
Tra le novità minori troviamo delle nuove
azioni tramite 3D Touch (ovviamente solo
in iPhone 6s e 6s Plus) sulle icone di sistema
quali Impostazioni, Meteo, Bussola, App
Store, iTunes Store e Salute. CarPlay riceve il
supporto alle playlist di Apple Music e alla
visualizzazione dei luoghi di interesse sulle
Mappe e, finalmente, è stata aggiunta la
sincronizzazione dei PDF e degli eBooks tramite iCloud. Ancora, la nuova release di iOS
consente di abbinare più Apple Watch ad un
solo iPhone, presenta una visualizzazione
dettagliata degli allenamenti nell’app Attività e introduce la modalità landscape nell’app
News (ancora non disponibile in Croazia).
Infine, iOS 9.3 corregge anche la vulnerabilità in iMessage scovata dai ricercatori della
Johns Hopkins University.
fConclusioni
 Utilizzare le applicazioni native di sistema come Apple Maps e Safari è meglio
rispetto a quelle App Store perché sono ottimizzate e utilizzano meno batteria.
 Le applicazioni legate ai social network
sono quelle con un impatto più alto sulla
batteria
 Alcune applicazioni continuano a funzionare in background e spesso oltre a
consumare batteria consumano anche dati.
Entrate in Impostazioni > Generali > Aggiornamento App in Background e disattivate tutte quelle app di cui non vi importa
avere aggiornamenti anche quando non è in
primo piano.
Panorama
47
tecnologia
Internet of things
settore in costante crescita
N
on esiste solo la rete internet tradizionale, ora dobbiamo fare i “conti”
anche con l’Internet delle cose (in
inglese Internet of things, abbreviato IoT). Ma che cos’è l’Internet delle
cose? È la possibilità di oggetti e sistemi, una
volta impostati, di “dialogare” tra loro attraverso le reti di comunicazione elettronica.
Stiamo parlando, ad es., degli impianti
di riscaldamento che si possono accendere da remoto con lo smartphone, di
frigoriferi che segnalano la scadenza
dei prodotti, di orologi che segnalano
al medico eventuali anomalie corporee.
Gli strumenti non sono solo smartphone e computer, ma anche dispositivi
indossabili (v. google glass), sistemi di automazione domestica (domotica) e sistemi di
geolocalizzazione. La connessione di questi
dispositivi tra loro comprende attività come la
raccolta, la registrazione e l’elaborazione dei
dati dei consumatori che permettono di tracciare dei profili dettagliati sulle loro abitudini,
comportamenti, gusti e stato di salute, senza
che essi ne siano consapevoli.
Internet of Things è un concetto coniato nel
1999 in occasione di una presentazione fatta
per Procter & Gamble, sono trascorsi diciassette anni ma adesso pare che la febbre sia
definitivamente scoppiata. La Gartner, una
che saranno raggiunti dalla tecnologia per lo
sviluppo della smart-home sia nella qualità
degli stessi e dunque nella loro potenza.
Secondo le più recenti ricerche dell’agenzia
su ciò che avverrà nel breve periodo, le nostre
case saranno sempre più caratterizzate dalla
presenza di oggetti e apparecchi elettronici
che sfrutteranno una connessione Wi-Fi
e dunque internet, rendendo gli stessi
ambienti interattivi e sempre connessi,
aumentandone il comfort ed anche la
sicurezza. Il numero degli stessi oggetti
connessi nel 2016 dovrebbe aumentare del 21 percento rispetto al 2015.
Il boom commerciale è previsto invece
per il 2018, da cui deriverà anche un notevole risparmio a livello energetico, favorito
dal dialogo tra i vari elettrodomestici ed apparecchi per ottimizzare tra loro emissioni ed
evitare sprechi. Una nuova città è quella che
ci si delinea all’orizzonte, con un conseguente
nuovo e rivoluzionato stile di vita, più tecnologico e quindi più preciso.
N. B.
La sfida della
connettività:
far parlare i dispositivi
senza interazione umana
48
Panorama
delle agenzie di ricerca più importanti nello
studio del fenomeno Internet of Things, ha
stimato che a fine 2016 ci saranno nel mondo
1,6 miliardi di oggetti installati e connessi per
le applicazioni smart. Il mondo di Internet
delle cose vedrà una crescita esponenziale,
con un aumento sia nel numero di oggetti
scacchi
ccSergey Karjakin
Torneo dei
Candidati di
Mosca: al secondo
posto a parimerito
l’italo-americano
Fabiano Caruana
e l’indiano
Wisvanthan
Anand
pillole
cc Fabiano Caruana
Sergey Karjakin è lo sfidante
al titolo mondiale
a cura di Sandro Damiani
S
arà il russo Sergey Karjakin lo sfidante
del campione del mondo Magnus Carlsen, nel match che avrà luogo a New York
nel mese di novembre. È infatti stato lui
a trionfare al Torneo dei Candidati di Mosca, tenutosi dal 21 al 29 marzo. Alle sue spalle, a
parimerito, l’italo-americano Fabiano Caruana e
l’indiano Wisvanthan Anand, già iridato nel 2000
e dal 2007 al 2012. A parimerito, ma la seconda
piazza spetta al Caruana, in quanto negli scontri
diretti il risultato è stato di 1,5 – 0,5. La grande
sorpresa del torneo, tuttavia, non è costituita
né dal nome del vincitore né dalla non vittoria
dell’Indiano, bensì l’ultimo posto – zero vittorie e
ben quattro sconfitte - del bulgaro Veselin Topalov, pure lui a suo tempo campione del mondo.
Il match che ha deciso tutto, è stato l’ultimo –
non succede quasi mai – quando Karjakin e
Caruana si sono seduti uno di fronte all’altro col
medesimo punteggio: 7,5 a testa. Nello scontro
precedente avevano impattato. Gli esperti, comunque, dicono che le chance del ventisettenne
di Miami erano minime.
Dato che avremo modo di tornare a Karjakin,
vediamo da vicino, invece, chi è questo giovane
italo-americano...
Nato a Miami (30 luglio 1992) da madre italiana e
padre italo-americano, Fabiano Caruana cresce
a Brooklyn (da dove proveniva Bobby Fischer...).
Fin da piccolo dimostra un enorme talento per gli
scacchi. Ha tredici anni quando la famiglia decide
di trasferirsi in Europa: Italia (poco), Ungheria,
Svizzera, Spagna. Viene ingaggiato dalla federazione scacchistica italiana. Quindicenne, diventa
Grande Maestro; vince quattro campionati. Nel
2012 batte addirittura il campione Carlsen e l’anno appresso è classficato terzo al mondo. Ma il risultato maggiore lo raggiunge nel 2013, quando
in virtù di strepitose e continuate vittorie, supera
i 2800 punti nella classifica ELO, dietro ai soli Magnus Carlsen e Garri Kasparov.
A questo punto, avviene la svolta. Che senso ha
restare “italiano” (peraltro, Fabiano né vive in
Italia, né parla l’italiano e pare che non abbia
mai voluto impararlo), in quanto scacchista, se
l’ambiente americano ti offre molto di più in
tutti i sensi: la Federazione USA è una potenza,
ha mezzi ingenti; i tornei che organizza sono più
forti, i montepremi più sostanziosi, la possibilità
di aggiudicarsi medaglie olimpiche infinitamente maggiore. Sicché Caruana decide di “tornare
all’antico”, soddisfacendo tutti: gli americani,
perché finalmente hanno un serio concorrente al
titolo mondiale individuale e un valido apporto
alla squadra, guidata da Hikaru Nakamura (bestia nera di Caruana: 12-2 negli incontri diretti),
che dal 2008 sono lontani dal podio, proprio per
la mancanza di una fortissima prima scacchiera. Anche la federscacchi italiana è soddisfatta,
perché il passaggio in fondo è stato un acquisto,
pagato in moneta sonante.
Tornando al torneo vinto da Karjakin (+4 -1
=9), con, dietro, Caruana (+2-1 =11) e Anand
(+4-2 =8); la classifica finale vede quattro
concorrenti con lo stesso punteggio (7) e sono
il russo Svidler, l’armeno Aronian, l’olandese
Giri e il summenzionato Nakamura; e ultimo,
Topalov. Dato curioso: Anish Giri, nativo di San
Pietroburgo, di madre russa e padre nepalese, ha
concluso il torneo conseguendo 14 patte: niente vittorie, niente sconfitte. Cosa che non riuscì
mai nemmeno a “cassaforte” Tigran Petrosjan,
il quale anzi, pur se incontrastato “re della patta”, di vittrie ne conseguiva, e pure spettacolari.
Ciò che tuttavia meraviglia di Giri, è che da più
parti viene considerato l’erede di Misha Tal, lo
scavezzacollo per antonomasia della storia degli
scacchi, l’unico giocatore che sacrificava i pezzi al
solo scopo di scombinare la strategia avversaria,
per il quale era più... peccaminoso impattare che
perdere.
Un’ultima curiosità. Il Nakamura, nato in giappone di madre americana e padre nipponico,
gioca per una società di Padova ed è sposato
alla tre volte campionessa italiana di scacchi, la
napoletana Maria Grazia De rosa. Ah, sì, a differenza dell’ex italiano Caruana, l’italiano lo parla...
Panorama
49
soste di ulisse
Da Marino
a Cremegne
ristorante d’èlite
di Sostene Schena
U
n tempo era konoba-ristorante. E la
domanda che spesso ci capitava di
porci, quando si entrava in una di
quelle taverne, dotate di caminetto
(motivo per cui possono chiamarsi
konoba ndr.) era come mai il locale avesse l’aspetto più di un ristorante che di una konoba.
Da un anno Marino a Cremegne ha cambiato
gestore visto che il proprietario, probabilmente,
ha capito che si guadagna di più a vendere vino
che a fare il ristoratore! Ora c’è Petar Banković
con la sua compagna Davorka... e le cose non ci
sembrano cambiate: dal parcheggio, alla terrazza, l’entrata (che funziona anche da bar) alle sale
(ampie e luminose) fino al caminetto, appunto,
tutto ci è sembrato di estremo buon gusto ed
eleganza. Ma questo è soltanto l’antipasto: accoglienza, servizio, vino, prezzi sono una continua
sorpresa per chi arriva fino qui per la prima volta.
E se fate un rapido giro tra i clienti troverete che
i frequentatori di questa ex konoba sono buongustai che non sono alla loro prima esperienza.
D’altronde la fama di Marino ha oltrepassato i
confini della Croazia e della Slovenia e molti dei
50
Panorama
clienti che vi trovate a ogni ora del giorno parlano italiano. Ed è il migliore dei biglietti per visita, più significativo delle foto con i personaggi
famosi appese alle pareti (anche l’ex presidente
della Repubblica croata), o i premi presi nelle
rassegne annuali imperniate soprattutto sul
tartufo.
Non abbiamo parlato volutamente della cosa
più importante, il cibo, perché a occhi chiusi
potete scegliere qualsiasi piatto del ricco menù
senza timore di sbagliare. Naturalmente i piatti
sono quelli che si riferiscono alla stagione; per
esempio asparagi in primavera, e tartufo e funghi in autunno; la pasta è fatta in casa e quindi
non potrete uscire da qui senza aver assaggiato
un primo (fuzi, gnocchi o tagliatelle che siano) al
tartufo o una carne sempre profumata dal ricco
tuber magnatum; qui trovate sempre anche le
(più famose in Italia) “fiorentine”.
Ricca la varietà di vini in bottiglia (specie il Kabola del “vecchio” Marino) ma anche quello sfuso
non è male; il rosso è un blend di merlot, cabernet e l’autoctono terrano che si accompagna sufficientemente a piatti di carne forti. Infine non
possiamo tralasciare il rapporto qualità prezzo,
tra i migliori di tutta l’Istria.
LA NOSTRA PAGELLA
Nome: MARINO
Località: CREMEGNE (Kremenje), Momiano
(Momjan)
Gestione: Marino Markežić
Indirizzo: Kremenje 96 b – 52462 Momjan
e.mail: restaurantmarinokremenje@gmail.
com
Tipo di locale: ristorante
Coperti: 100 all’interno e 50 all’esterno
Aperto dalle 12 alle 22. Chiuso: martedì
Numeri di telefono: 052/779047 anche fax
Lingue parlate: italiano, inglese e tedesco
Pagamento: anche credit card (Amex, Diners, Master, Maestro,Visa)
Prenotazione: consigliabile
Distanze: 4 km. da Buie, 7 dal confine croato
di Dragogna; 31 km da Rabuiese; 36 da Trieste; 75 da Pola.
Per arrivarci: dal confine di Rabuiese seguite la direzione Pola fino a Castelvenere
(Kaštel) e 3 chilometri dopo trovate il bivio
(a sinistra) per Momiano; non dovete arrivare
fino a Momiano ma fermarvi (3 km dopo il bivio) a Cremegne (Kremenje). Il locale è sulla
destra ed è dotato di un ampio parcheggio.
Ambiente Atmosfera Servizio Qualità Vino Prezzo Rapporto q/p
Giudizio finale 92
90 90 92 85
85 92
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passatempi
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ORIZZONTALI: 1. Estrema penuria di generi alimentari – 8. Affettato… se impacciato – 13. Nuoro
su targa d’auto – 15. La Leonessa
d’Italia – 16. Freddo pungente
nel settentrione – 17. Negazione
bifronte – 18. Ha Doha per capitale – 19. Il giorno di san Valentino – 21. Preposizione articolata
– 22. Le nicchie in cimitero – 24.
Derivati dall’unione di elementi
eterogenei – 25. Praticamente al
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37
39
41
14
17
19
21
57
10
16
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9
centro – 26. Piattaforma di legno
per il trasporto con carrelli elevatori – 27. Non conoscono ristrettezze – 29. Opposizione irrevocabile – 30. Il pasto dei soldati – 32.
Jacques famoso comico francese
– 34. Fuggita dalla prigione – 36.
Lo stesso di cartaginese – 37.
Quella da tavolo è lo Zither – 38.
Il nome di Chagall – 39. Si ripetono frequentemente – 40. Ama il
dottor Zivago – 41. Abitazione di
campagna – 43.
Soluzione del numero precedente
Pietre preziose –
45. Il simbolo del
tallio – 46. Misura
per preziosi – 47.
Dramma di Edmond Rostand
– 48. Si valuta col
contro – 49. Si abbassa chiudendo
bottega – 51. Redigono atti pubbli-
55
52
56
59
ci – 53. Birra ad alta fermentazione – 54. Nascosto nei prefissi – 55.
Gli fu rapita la moglie Elena – 57.
Congiunzione avversativa – 58.
Opera di nessun pregio – 59. Tossico o pieno di rancore.
VERTICALI: 1. Campobasso su
targa d’auto – 2. Fu l’ultimo
ritiro del Petrarca – 3. L’undici
delle merengues – 4. È levante
ad oriente – 5. Impegna i rocciatori – 6. Il suo capoluogo è
Innsbruck – 7. Si ripetono in Italia – 8. Misure per cereali – 9. Il
nome di Garfunkel – 10. Disputa
animosa – 11. Il coleottero chiamato l’orologio della morte – 12.
Una grossa zappa – 13. I frutti col
gheriglio – 14. Precedono gli altri
– 16. Imperavano in Turchia – 17.
Comprende il cria – 19. Lamentose, piagnucolose – 20. Insetti
come le mosche – 21. Modello
ridotto ai suoi elementi essenziali – 23. Il simbolo del cloro – 26.
Vi nacque Gabriele d’Annunzio –
27. Pesce... pigiato sott’olio – 28.
Il colore che può esser paglierino
– 29. Oltrepassare o superare –
31. Acido molto corrosivo e tossico – 33. La Turchia su targa d’auto
– 35. Centro di coltivazione – 36.
La patria di Karol Wojtyla – 37.
Una bocca da fuoco – 39. Avevano piedi e orecchie caprine – 40.
Il nome del Messi calciatore – 42.
Vuoto s’affloscia – 44. Belluno
su targa d’auto – 45. Il primo
periodo dell’era mesozoica – 46.
Piccola insenatura poco profonda
– 47. Regge la bandiera – 48. La
guardia dei ladri – 49. Lo zio d’America – 50. Ente Provinciale per
il Turismo – 52. Dieci inglesi – 55.
Ultime alla fine – 56. Una partita
senza reti.
Pinocchio
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