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Mastarna.
Per Gaetano De Sanctis.
La iscrizione etrusca proveniente dalla Campania che «ii recente e
stata pubblicata dal BUCHELEB {Rh. Museum 1 9 0 0 , p. 1 segg.)1) ha richiamato l'attenzione sugli argomenti che attestano il dominio etrusco a sud
del Tevere. Ε il VON DUHN, che prima aveva negato la signoria etrusca
in Campania, si e affrettato a „confessare francamente" di aver errato
(Rio. cli St. Antica
V, p. 36). Questa confessione rallegrerä certamente
quelli che, come me, ritengono il dominio etrusco nel Lazio ed in Campania uno dei fatti meglio assodati della storia d'ltalia piu antica. Peraltro nella scoperta sporadica di una iscrizione etrusca io non posso vedere
che una lieve conferma ad altri argomenti di gran peso. Per se essa
costituisce tanto poco una prova irrefragable del dominio etrusco, quanto
p. e. una qualche iscrizione fenicia rinvenuta a Delo od al Pireo prova
per un dominio fenicio in quelle localitä.
In attesa di nuove scoperte, gli elementi fondamentali del problema
del dominio etrusco al sud del Tevere sono ben altri. In questa memoria
non voglio dare che un piccolo contributo alio studio di esso esaminando
un gruppo di tradizioni etrusche, le quali presuppongono una signoria
etrusca su Koma, in confronto con le tradizioni romane parallele, ma indipendenti, in cui e adombrato lo stesso fatto. II punto di partenza
saranno le pitture vulcienti della tomba detta di Francois.'2)
Le pitture tolte alia leggenda indigena che facevano riscontro in
questa tomba a rappresentazioni attinte alle leggende troiane e tebane
vengono riferite da uno dei migliori conoscitori di arte etrusca, il KORTE
1) L ' autenticita di essa E stata messa in dubbio dal DE PETRA e dal SOGLIANO
(Bull, del Min. della P. I. 1901 n. 6 p. 410 seg.); ma vedansi in risposta le dichiarazioni del PAIS ibid. n. 27 p. 1267. Ciö che credo sapere sulle oireostanze del ritrovamento e l'esame del parziale facsimile dato dal LATTES nei Bend, dell' 1st. Lombardo
1900 p. 347 mi fa ritenere che i dubbi sull' autenticita sono completamente infondati.
2) L e pitture si trovano al Museo Torlonia in Roma. L a riproduzione migliore e
in GARRUCCI, Tavole fotografiche delle pitture vulcenti staccate da un ipogeo
etrusco
presso ponte della Badia, E o m a 1866.
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[Jahrb. des Instituts X I I , 1897, p. 64 segg.), alia prima metä del sec.
IV. Forse la data e troppo alta (cf. Petebsen, ibid. XIY, 1899, p. 46).
Ma se anche
accordiamo
al Ghibakdini (presso P a i s ,
St. Romana
I 1,
p. 342) che appartengano „a quel periodo dell'arte etrusca che manifesta
l'efflcacia alessandrina 1 ', non possiamo scendere in ogni modo che poco
al di sotto della conquista romana dell' Etruria. Vi son rappresentati
cinque gruppi di due persone, sormontati dai nomi, non sempre perö interamente leggibili. Prima di tutto vi e un Caile Vipinas liberato da
Macstrna, che gli strappa i legami delle mani. Poi abbiamo tre guerrieri
che ne mettono a morte tre altri, disposti due a due. I vincitori, eccettuato un solo, sono nudi e con barba come i due della pittura precedente;
i vinti son vestiti di tunica e senza barba: con che par vengano nettamente caratterizzati due partiti. Tra i nomi ha per noi importanza quello
di Avle Vipinas, che designa uno dei vincitori. Da ultimo c' e un gruppo
in cui un guerriero chiamato Marce Camitlnas sta per uccidere un Cneve
Tarchu Rumach. II primo e nudo e barbato come tutti gli assalitori, il
seconclo e tunicato, perö a difEerenza degli altri assaliti porta la barba.
La posa degli assaliti e identica in queste pitture. Son tutti giacenti ο
semigiacenti: parrebbero tutti sorpresi, forse nel sonno, dagli assalitori.
Fin qui nella analisi delle pitture non puö esservi alcun disaccordo.
Ma il disaccordo v'e sulla questione se le pitture sono strettamente connesse, se fanno ο no parte d'una sola grande composizione. Giustamente
il Kobte ha richiamato l'attenzione sulla distribuzione delle pitture stesse
nelle pareti dell' ipogeo. Esse son disposte sopra tre tratti di muro, due
piu piccoli paralleli tra loro, ed uno piu grande, perpendicolare ad essi,
che Ii congiunge. Ma si badi: il primo angolo del muro non segna punto
una interruzione nella composizione. Caile Vipinas e rappresentato nel
muro breve; Macstrna, che lo libera, e nel muro perpendicolare. Ed anche
l'impressione generale della pittura e favorevole alia unitä di composizione
in specie pel gruppo di Marce
Camitlnas
e di Cneve Tarchu
che si t r o v a
intero sul secondo muro breve. Marce Camitlnas e infatti nudo e barbato come gli assalitori dei gruppi precedenti. Cneve Tarchu ha la stessa
posa degli assaliti degli altri gruppi.
Le iscrizioni dänno la conferma decisiva della unita di composizione.
Nel primo gruppo infatti abbiamo trovato i nomi di Caile Vipinas e di
Macstrna, successivamente quello di Avle Vipinas. Or a e fuor di dubbio
che i due Vipinas erano secondo la tradizione fratelli e compagni di
avventure. Sara bene ricordare qui il passo di Festo (p. 355 Mülleb)
dove si p a r l a
dei fratres
Caeles et Vibenna,
nel quale il G-abbucci h a
supplito giustamente A. dopo et ed il passo di Arnobio {Adv. Nat. VI 7),
in cui secondo vari scrittori tra cui Fabio (Pittore) ricordava come Aulo
a germani
servuli
(corr. servulo ο servidis)
vita fuerit
spoliatus
et
lumine;
ne vanno trascurate le rappresentanze etrusche (su cui v. oltre) nelle quali
Beiträge ζ. alten Geschichte I I I .
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G. De
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Sanctis,
i clue Yibenna son figurati nell'atto di assalire Caco. Cio posto, in una
pittura in cui apparentemente e rappresentato un assalto dato cla Aulo
Vilbenna e da'suoi compagni di Ventura, yien fatto di cercare al suo fianco
il fratello e compagno: e cio fa ritenere che il primo g'ruppo in cui comparisce Caele non possa separarsi dai tre seguenti in cui comparisce Aulo.
Ora la tradizione, ο per lo meno una traclizione, mette in rapporto Caele
Yibenna con Tarquinio Prisco. Lo fa ritenere la menzione di Tarquinio
nel passo citato di Festo, per quanto, essendo monco il passo, non si
possa capir bene quale sia la natura di questa connessione. Ε pure
Tacito (Ann. IY 65) dice di Caele: sedem earn (il Celio) acceperat a Tarquinio Frisco,
seu quis alius regum dedit:
nam, scriptores
in eo
dissentiunt.
Ε finalmente Claudio nel frammento della nota orazione al senato {CIL.
XIII 1668), se non accenna a rapporti tra Tarquinio e Caele, Ii riguarda
almeno come contemporanei. Del resto Claudio indica esplicitamente clie
Mastarna ha occupato il Celio a tempo di Tarquinio Prisco. E d anche
il luogo citato di Festo sembre accennare a qualche relazione t r a Tarquinio e Mastarna. Sara bene riportarlo coi supplementi di 0. M Ü L L E R :
Tuscum vtcum
dictum, aiunt ab \iis qui Porsena rege\ descedente ab
obsi[dione e Tuscis remanserint] Romae, locoque his dato SJiabilaverint,
aut
quod Volci\entes fratres Caeles et Vibenn[a, quos dicunt regem\
Tarquinium
Romam secum max[ime adduxisse, eum colue\rint.
Non c'e dubbio che gli
ultimi supplementi del Müller son poco soddisfacenti e che va letto piü
verisimilmente con G A R R U C C I , Caeles et [A.~\ Vibenn[ae, quos dicunt ad regem]
Tarquinium
Romam se cum Max\tarna
contulisse, eum incolue\rint
ο con
(Mastarna p. 4 0 ) Vibenn[ae,
qui patria expulsi ad regemJ
Romam se cum Max\tarna
contulerunt, eum colue~\rint.
Ora
GARDTHAUSEN"
Tarquinium
se insieme ad un gruppo di pitture in cui son rappresentati Mastarna e
i due Vibenna c'e una pittura che per vari argomenti e probabilmente
connessa con le altre, in cui e rappresentato un Cneve Tarchu Rumach,
dobbiamo senza esitare intendere Cn. Tarquinius Romanus, e trovare nel
comparirvi di un Tarquinio una nuoya prova della unitä di composizione.
A queste considerazioni, che mi paiono evidenti, si e opposto con
sottile dialettica F. M U N Z E R (Rh. Museum 1898, p. 614 segg.). Egli adduce, contro l'unitä di composizione, che nel combattimento tra Camitlnas
e Tarchu non e propriamente rappresentata una uccisione ( k e i n e i g e n t l i c h e r M o r d ) , mentre nei gruppi precedenti si vede anche il sangue
dei caduti. Con che il M U N Z E R puö voler dire soltanto che nell' ultimo
gruppo l'azione non e cosi progredita come nei precedenti; ma quale argomento questo formi per separare il gruppo dagli altri, non vedo. Ne
maggior peso ha l'osservazione che qui il guerriero soggiacente, a differenza dei compagni di sventura, e barbato. Piccole anomalie di questo
genere sono insignificanti. Ε difficile p. e. negare che i sei combattenti
del muro maggiore sieno in stretto rapporto tra loro; eppure anche qui
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uno degli assalitori e tunicato e gli altri no. Molto meno poi si deve
f a r e assegnamento sul fatto che i due rappresentati nell' ultima scena
hanno prenomi romani. In primo luogo Marco e preriome tanto romano
quanto etrusco ( M U L L E R - D E E C K E , Die Etrusker,
I I 467). Poi prenome
romano — voglio dire prenome usato anclie in Roma — ha pure Aule
Vipinas.
Ed egualmente deboli mi sembrano le osservazioni del M U N Z E R in
ordine alia equazione Gneve larchu Rumach = Cn. Tarquimus
Romanus.
Secondo lui non e propriamente sicuro clie la desinenza ach caratterizzi
in etrusco gli etnici. Certo non e assolutamente sicuro; ma che Rumach
qui signiiichi Romanus e reso assai probabile, per non dir certo, dalle
circostanze concomitant!. Ε non e neppure per se assolutamente sicuro
che Tarchu voglia dire Tarquinio, e se la parola si fosse trovata isolata
non vorrei sostenerlo: ma anche qui bisogna teuer conto delle circostanze concomitanti. Ε lo stesso vale anche pin per 1'altra obbiezione del
M U N Z E R che i nomi potrebbero esser messi a caso dall' artista.
Qui non
si t r a t t a di nomi scelti a caso, ma d'un complesso di personaggi che la
tradizione mette in rapporto gli uni con gli altri. Ne si dica che l'artista
ha scelto a caso i nomi da un ciclo di leggende che gli era famigliare,
perche i nomi non sono collocati a caso. Caele Yibenna si trova accanto
al suo fidelissimus sodalis, Mastarna.
Ε se i due fratelli Vibenna non
compariscono insieme t r a gli assalitori, la ragione sta evidentemente in
ciö che uno e prigioniero e viene liberato da Mastarna e dal fratello.
Insomma il M U N Z B R in tutto il suo lavoro ha esaminato soltanto i singoli
elementi della prova e Ii ha trovati isolatamente ipotetici e deboli. Ε
forse non a torto. Ma cio che e forte non e ciascun argomento per se,
si bene il loro complesso. L' apologo del fascio delle verghe si applica
anche alia critica storica.
Da queste premesse deriva che io ritengo perfettamente riuscita al
la interpretazione delle pitture vulcienti. Esse rappresentano un
assalto fatto da Mastarna ed A. Yibenna contro Cn. Tarquinio Eomano
per togliergli Caele Yibenna da lui f a t t o prigioniero. Ε solo punto in
cui l'analisi data dal K O S T E vada corretta e, come ha notato giustamente
il P E T E R S E N (loc. cit.), che la sorpresa di Tarquinio e de'suoi evidentemente non e accaduta in Roma. L a maggiore verisimiglianza e che
l'artista abbia voluto rappresentarla come accaduta mentre Tarquinio era
tuttora in campo e ritornava da quella impresa in cui aveva fatto prigioniero Caele Vibenna. Riguardo ai particolari si possono tentare, e in
p a r t e sono state t e n t a t e , interpretazioni che ne rendano completamente
ragione. Io credo che in un' opera d'arte convien rinunciare a spiegar
tutto. Ad ogni modo ecco un saggio delle spiegazioni che potrebbe dare
chi non si contenta di questa modesta riserva. Si puo dire che gli assalitori, in quanto son nudi, vengono caratterizzati come avventurieri che
KORTE
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G. De
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lianno bisogno di essere molto spediti nelle loro imprese; in quanto son
barbati, mostrano una trascuranza del cultus corporis facile a spiegare
nella loro condizione. Si potrebbe dire che, se l'uccisore di Tarquinio e
in procinto di cavar la spada dal fodero, mentre gli altri compagni hanno
giä ferito i loro avversari, e perche Marce Camitlnas non ha potuto pervenire alia persona del re finche i compagni non ne hanno abbattuto le
guardie. Ε si potrebbe continuare; ma chi si diletta di simili spiegazioni,
ριιό anche trovarle da se.
Queste ultime son quisquilie. D'importanza capitale e un altro punto.
Se l'archeologo che per primo ha avuto il merito d' interpretare rettamente questa pittura, ha creduto di poterne senz' altro tradurre in storia
il contenuto, ciö gli si puö ragionevolmente perdonare. Sarebbe perö
imperdonabile di seguirne l'esempio. Ε di prima evidenza quel che il
PAIS ha osservato (St. Romana I 1, p. 3 4 0 n.), che non si puö attribuire
al dipinto vulciente valore superiore a qualsiasi tradizione letteraria.
Ma ciö non vuol dire che il dipinto abbia scarsa importanza; poiclie esso
ci rivela la tradizione etrusca in una forma abbastanza genuina ed antica,
e senza dubbio superiore a quella che le e data nella citata orazione
dell' imperatore Claudio. Servius Tullius (cosi Claudio), si nostros sequimur,
captiva natus Ocresia, si Tuscos, Caeli quondam Vivennae sodalis fidelissimus omnisque eius casus comes, postquam varia fortuna exactus cum omnibus reh'quis Caeliani exercitus Etruria excessit, montem Caelium occupavit et
a duce suo Caelio ita appellitavit (cosi Niebuhr: nell' epigrafe e appellitatus), mutatoque nomine (nam Tusce Mastarna ei nomen erat) ita appellatus
est, ut dixi\ et regnum summa cum reip. utilitate optinuit. Secondo Claudio
parrebbe che Mastarna fosse venuto a Eoma dopo la morte di Caele,
secondo il dipinto parrebbe che al momento in cui Tarquinio soggiacque
ai compagni di Mastarna Caele fosse tuttora vivo, anzi yenisse liberato
da Mastarna e da'suoi. Ma queste son divergenze di secondaria importanza. Tanto piu importante e l'accordo sostanziale. La pittura ci
rappresenta Mastarna che assale co' suoi e sopraffa Tarquinio. Claudio
dice che Mastarna, yenuto a Eoma con le sue truppe, succede a Tarquinio. Pare evidente che Claudio cerca qui di nascondere l'occupazione
violenta del regno e che l'orazione di Claudio e la pittura yolciente ci
rappresentano due versioni parallele della leggenda etrusca, la prima in
parte alterata per metterla in rapporto con la leggenda romana.
Ciö che nel discorso di Claudio e in contraddizione tanto con la tradizione etrusca quanto con la tradizione romana, che egli tenta di conciliare, e la identificazione di Mastarna con Servio Tullio. Si tratta di
una congettura, probabilmente di Claudio stesso. Per la tradizione romana
Servio Tullio e un favorito della Fortuna, di nascita ignobile, di sentimenti popolari, al quale viene attribuita la origine delle principali istituzioni repubblicane. Per la tradizione etrusca Mastarna e un capo di
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avventurieri, che vince per sorpresa un re di Koma e s'impadronisce della
eittä. Diversitä maggiore e piü profonda non potrebbe darsi; e a questo
scoglio si spezza la critica combinatoria di Claudio come quella di
GAEDTHAUSBN.
Ed E perciö inutile cercare se Mastarna potrebbe derivare
da Marcus Tama (ossio Tarquinius), il che del resto non ha per se ombra
di verisimiglianza. Ed e del pari inutile il cercare da questo punto di
vista se nelle leggende di Servio Tullio ci sia qualche elemento di origine
etrusca. Anche se la leggenda della nascita di Servio dalla divinitii
manifestatasi oscenamente nel focolare di Tarquinio Prisco (Plin. Ν. H.
36, 204. Ovid. Fasti VI 627. Plut. De fort. Rom. 10) fosse di origine
etrusca, ciö proverebbe assai poco. Ma non e menomamente dimostrato.
La sola prova infatti che se ne adduce e questa: che la narrazione vien
ripetuta in una forma della leggenda romulea (Plut. Rom. 2) in cui e
manifesta l'influenza etrusca. Ora se l'influenza etrusca e qui evidente
nel nome di Tarchetio, nulla prova che sia d'origine etrusca il sostrato
stesso della leggenda, il quale si connette con l'antichissimo concetto
comune a tutti gli Indoeuropei della efficacia generativa del fuoco ( E A P P
presso ROSCHEJR, Myth. Lexikon I 2058 seg.) ed ha, come e noto, riscontro
nella leggenda di Caeculus, il fondatore di Praeneste.
Su questo punto avevan giä giudicato rettamente SCHWEGLER (R. G.
1 - 7 2 1 ) e MOMMSBN (1 8 p. 12). Ε singolare che piü recentemente vari
critici, come GTAEDTHAUSEN, CUNO (Vorgeschichte Roms I I p. 256) e P A S C A L
(La
leggenda
latina
e la
leggenda
etrusca
di Servio
Tullio
negli
Atti
dell'Accad. di Torino 32 p. 760 segg.), abbiano posto invece a base delle
loro ricerche l'equazione Mastarna — Servio Tullio. Ε lo stesso P A I S
(p. 345) dice che „Mastarna e la forma etrusca che risponde al mitico
Servio." Le prove di cio, quando si prescinda da ipotesi vacillanti come
quella della etimologia di Mastarna, non riesco a trovarle negli scrittori
citati. Ε non mi pare neppure dimostrato che Claudio abbia attinto
questa identificazione alia tradizione etrusca, come ritiene il M Ü N Z E R
(mem. cit. p. 610). Non si citino le frasi di Mitridate presso Pompeo
Trogo (Justin. 38, 6, 7): Banc illos (seil. Romanos) omnibus regibus legem
odiorum dixisse, scilicet quia ipsi tales reges habuerint, quorum etiam nominibus erubescant, aut pastores Aboriginum aut haruspices Sabinorum aut exsules
Corinthiorum aut servos vernasque Tuscorum aut, quod honoratissimum nomen
fuit inter haec, Superbos.
Qui coi servi e vernae Tuscorum si allude evidentemente a Servio Tullio (quem ferunt ex serva Tarquiniensi
natum,
come dice Cie. De rep. Π 37); ma nulla prova che si alluda alia sua
identificazione con Mastarna, il quale non apparisce punto come un verna,
ma come un bellicoso condottiero, amico fedelissimo d'un altro avventuriere
simile, Caele Vibenna, il quale egualmente non apparisce punto come un
servo ne nella tradizione romana ne nella etrusca.
Ma se la identificazione di Servio Tullio e di Mastarna e una con6
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G. De Sanctis,
gettura di Claudio ο al ρίΐι della sua fonte, la quale non ha alcuna
verisimiglianza, bisogna vedere se a questa congettura se ne puo sostituire una migliore. Naturalmente non s'ha da cercare un personaggio
della leggenda romana che possa avere avuto anche il nome di Mastama:
ricerche simili si potevano ben fare ai tempi di Claudio; ma esse disconoscono completamente la natura della tradizione conservata su quella eta.
Voglio semplicemente vedere se ha riscontro nella tradizione romana quel
complesso di fatti che la tradizione etrusca collega con Maslama.
Ora
la tradizione romana piii antica ignora Mastama, ma si accosta alia
tradizione etrusca assai piu che non apparisse a Claudio. La tradizione
romana piii antica riferisce piu ο meno velatamente che, cacciato da
Koma L. Tarquinio Superbo, si era impadronito della cittä l'etrusco
Porsenna. Non c'e chi non veda il parallelismo con la tradizione etrusca
che ucciso Cn. Tarquinio, si era impadronito della cittä l'etrusco Mastama.
La differenza nel prenome del re romano e nel nome dell' etrusco mostra
che, la tradizione e stata elaborata lungo tempo indipendentemente da
una parte e dall'altra, e questo, nonche scemarne, ne accresce il valore.
In un punto fondamentale la tradizione romana appare piu alterata della
etrusca. Nella tradizione romana L. Tarquinio e cacciato dal popolo.
Porsenna viene per rimetterlo sul trono, vince i Romani, impone loro condizioni onerose (Tac. Hist. I l l 72. Plin. Ν. H. 34, 139); ma di rimettere
sul trono Tarquinio non se ne parla. Molto piii logica e la versione
etrusca secondo cui Tarquinio viene ucciso da Mastama etrusco che gli
succede. Quella romana pare un' alterazione dovuta alia vanitä nazionale,
mediante la quale si aveva anche il vantaggio di spiegare la caduta della
monarchia.
Una traccia della originaria morte violenta di re Tarquinio ci e
conservata del resto anche nella tradizione romana. Infatti Tarquinio
Prisco e Tarquinio Superbo non sono che lo sdoppiamento di una stessa
personality leggendaria.1). Tutti e due hanno un fratello Arunte che
muore prima che essi arrivino al regno. Tutti e due si occupano della
costruziono del tempio di G-iove Capitolino, l'uno con la preda di Apiolae
nell'agro pontino, l'altro con la preda di Suessa Pometia. Ora e evidente
che Apiolae e Pometia, come ha visto acutamente il P A I S , non sono che
due nomi di una stessa cittä. Ε misure rigorose per costringere i cittadini a lavorare alle loro costruzioni son narrate d'ambedue. Ε inoltre
l'uno e l'altro usurpano il regno a tradimento, l'uno e l'altro hanno una
moglie ambizioza che ve li spinge, ed il regno d'ambedue termina con
una catastrofe in cui l'uno perde la vita e l'altro il regno. Beninteso
con ciö non voglio punto negare che piü Tarquinii abbiano regnato in
Roma; ciö sarebbe tanto imprudente quanto l'afferniarlo; ma voglio dire
1) Su questo punto basti rimandare a PAIS I 1 p. 346 segg.
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Mastarna.
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che nelle leggende dei due Tarquinii abbiamo soltanto lo sdoppiamento
di una leggenda unica. L a morte violenta che da occasione di salire
sul trono ad un usurpatore ci e conservata nella leggenda di Tarquinio
Prisco. Anzi nel Marce Gamitlnas del dipinto vulciente si e voluto
persino riconoscere uno dei flgli di Anco Marcio che, secondo la tradizione
romana, fecero uccidere Tarquinio Prisco. Questo e arbitrario. L a tradizione romana ed etrusca, per quanto parallele, non sono poi cosi identiche
nei particolari. Marce nel dipinto e prenome, mentre Marcio e gentilizio;
e Gamitlnas non si vede che relazione possa avere col nome d'Anco Marcio.
Ε ad ogni modo l'uccisione di Tarquinio nel dipinto e per liberare il suo
prigioniero Caele Vibenna, e non ha bisogno di altra motivazione. Se
vi fosse realmente uno dei figli di Anco Marcio, dovremmo dire che si
t r a t t a di una seconda motivazione sovrapposta alia prima in omaggio
alia leggenda romana.
In conclusione il confronto della leggenda etrusca e romana mi sembra assai favorevole ai partigiani del dominio etrusco in Roma; non
troppo favorevole invece a chi nega che uno ο piu Tarquinii abbiano
regnato nella cittä. Ε voglio qui notare che mi pare assai debole l'argomento principale con cui si nega ora da alcuni la storicita di Tarquinio.
Ε noto come identificando Tarquinius con Tarpeius si e voluto trovare
nel primo l'eponimo del monte Tarpeo.
Ma questa identificazione va
incontro a difficoltä dal punto di vista della fonologia. Un q™ originario
non e rappresentato mai in parole latine da ρ , salvo che si t r a t t i di
parole importate. Cosi Tarpeius sarebbe forma non latina, mentre sarebbe
latina Tarquinius.
Yiceversa Tarpeius non ha riscontro fuori di Eoma,
mentre il nome di Tarquinius h a riscontro nella leggenda etrusca coi
nomi di Tarchon e Tarchetius, nella cittä di Tarquinii e nei Tarchna di
Caere, sia pure che la traduzione piu corretta di Tarchna sia Tarquitius
e non Tarquinius,
il che del resto non ριιύ ammettersi senza riserva. 1 )
Che se si riguardasse come originario il p, bisogna osservare che i pochi
passaggi di ρ in gutturale nei dialetti italici son dovuti all' influenza
' d'una gutturale seguente (coquo, quinque). Quanto poi alia identificazione
di Tarpeia con la vestale Tarquinia (Plut. Fojiilic. 8), e interamente a r b i t r a r i a :
quel che v'e di comune t r a le clue e solo questo: che ambedue son chiamate vestali; ma ciö, come si vede, e troppo poco per ridurle ad una
persona sola.
Un punto degno di nota e che mentre il nome di Mastarna e estraneo
alia leggenda romana, vi e penetrato invece quello di Caele Vibenna.
La
ragione sta in ciö che esso offriva una comoda etimologia del monte Celio.
1) Infatti chi ha tradotto Tarchna coil Tarquitius piu chc con Tarquinius
(CIL.
X I 3630) potrebbe aver avuto ot.time ragioni indipendenti affatto dalle considerazioni
filologiche.
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Cr. De Sanctis,
Mastarna.
Cosi alcuni riferivano con Varrone che Caele Vibenna fosse venuto in
aiuto a Romolo contro Tazio, altri che il Celio gli fosse stato concesso
da Tarquinio Prisco (Tac. 1. c. cf. Fest. s. τ. Tuscum vicum). La leggenda
romana pertanto non e che una leggenda etimologica. Nella sua stessa
incertezza palesa soltanto che i Romani nulla sapevano di Caele. Quanto
alia leggenda etrusca, manchiamo completamente di elementi per tentarne
l'analisi, sebbene nostre fonti sulla leggenda etrusca dei fratelli Yibenna
non sieno solo il discorso di Claudio e le pitture vulcienti. Uno specchio
etrusco con iscrizioni (Etrushische Spiegel V tav. 127) e tre urne etrusche
in cui e rappresentato lo stesso soggetto senza iscrizioni {Urne etrusche
II 2 tav. 119 p. 255) ci mostrano Caco {Caeu) mentre si dilettava a
suonare la lira in un luogo selvoso, minacciato da una imboscata dei
fratelli Avle e Caile Vipina od anclie assalito da costoro con le spade
sguainate. Non entro nei particolari e non noto le parziali differenze di
queste rappresentazioni. Basti rimandare a K Ö R T E (1. c.) ed a P E T E R S E N
{Jahrb. des Inst. 1899, p. 4 3 seg.). Ε appena credibile quanto K Ö R T E e
P E T E K S E N si siano dati briga per conciliare il mito qui rappresentato col
racconto dell'annalista Cn. Gellio (fr. 7 P E T E R ) secondo cui Caco, mandato
ambasciatore da Marsia a Tarcone re dei Tirreni, vien da questo fatto
prigioniero e poi riesce a fuggire. Stando a P E T E R S E N Tarcone non ha
voluto imprigionare gli ambasciatori all a sua corte per non peccare contro
gli ospiti, ma, mentre erano di ritorno, Ii ha fatti assalire da due suoi
satelliti, i fratelli Yibenna. Stando a K Ö R T E i Vibenna avversari di
Tarcone (Tarquinio) catturano il vate diretto al loro nemico e ne intercettano il messaggio. Dal punto di vista del metodo e da obbiettare che
non v'e alcuna ragione per collegare il passo di Gellio con queste rappresentanze etrusche, e che l'una e l'altra combinazione sono in completa
contraddizione col testo di Gellio. Ε del rest,ο non e punto detto che
nelle rappresentanze si tratti di semplice cattura; senza il passo di Gellio
tutti avrebbero ritenuto probabilmente trattarsi di una uccisione. P a r piü
metodico il ritenere che Caco, rappresentato come un incantatore venga
in questa versione etrusca della leggenda fatto uccidere da due eroi nazionali, i fratelli Vibenna, come la leggenda romana lo faceya uccidere da
Ercole.
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