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PARTE I – LA LEGGE PENALE
collochino all’interno dell’area segnata da linee guida o da virtuose pratiche mediche, purché esse
siano accreditate dalla comunità scientifica”.
La questione venuta in rilievo pare, quindi, inquadrarsi nella più ampia problematica della successione
di norme “integratrici” della legge penale (o modificazioni “mediate” della fattispecie penale, o
successione di leggi extrapenali), che richiede di stabilire se l’abolitio criminis possa conseguire alla
modifica di norme in vario modo richiamate dalla norma incriminatrice: attraverso elementi normativi,
norme chiamate a riempire un precetto in tutto o in parte in bianco, norme definitorie. Nel caso
esaminato dalla sentenza viene in rilievo la modifica di una norma definitoria e, pertanto, la soluzione
favorevole all’abolitio criminis risulta essere coerente con il criterio strutturale.
Limitatamente ai reati colposi commessi nell’esercizio della propria attività dall’esercente la professione
sanitaria, che si sia attenuto a linee guida e best practices, la nuova disposizione concorre infatti oggi
con l’art. 43 c.p. a definire il concetto di “colpa” penalmente rilevante. Quando ricorre l’anzidetta
situazione, infatti, l’interprete deve ricavare la nozione di “colpa” - nel caso di specie, in relazione alla
norma sull’omicidio colposo - dal combinato disposto degli artt. 43 c.p. e 3, co. 1 d.l. n. 158/2012, cit.;
combinato disposto dal quale risulta che, in quella data situazione, e solo in quella, “colpa” non significa
“colpa lieve” (e significa dunque colpa grave). Siamo dunque in presenza di una nuova norma definitoria
e, pertanto, di una vera e propria norma integratrice della legge penale; di una norma, cioè, che
contribuisce a descrivere la fattispecie legale astratta - il tipo di fatto penalmente rilevante.
B) La tesi che dà rilievo all’incidenza della norma extra penale sul disvalore del fatto. Per
tale impostazione occorre valutare effettivamente l’incidenza delle modifiche indirette al
precetto penale sul disvalore penale del fatto.
Pertanto, sono riconducibili al fenomeno successorio le ipotesi di nuove norme integrative,
poiché si rende punibile un fatto che prima non lo era e i casi di abolizione della norma
integrativa di norma penale in bianco, implicante il venir meno della stessa tutela penale
dell’interesse prima protetto.
Quanto alle ipotesi di abolizione della norma integrativa di un elemento normativo: va esclusa
l’applicabilità dell’art. 2, co. 2, nei casi in cui tale abolizione non faccia venire meno il
disvalore penale del fatto criminoso commesso anteriormente e, quindi, la ratio puniendi del
medesimo; positiva è la risposta, invece, allorché l’abolizione della norma integrativa faccia
venire meno lo stesso disvalore del fatto commesso.
C) La tesi che applica sempre l’art. 2 c.p. Per ulteriore impostazione deve riconoscersi
l’applicabilità dell’art. 2 c.p. in tutte le predette ipotesi, senza distinguere tra norme
incorporate o meno nel precetto penale, posto che la modifica extrapenale, nella misura in cui
incide su uno dei presupposti di rilevanza del fatto richiesti per la configurabilità dell’illecito
penale, comporta comunque la non punibilità dello stesso.
A tale esito si perviene sull’assunto per cui la modifica extrapenale, nella misura in cui incide
su uno dei presupposti di rilevanza del fatto richiesti per la configurabilità dell’illecito penale,
comporta comunque la non punibilità dello stesso; del resto, si afferma che la nozione di fatto
di cui al primo comma dell’art. 2 c.p., comprensivo di tutti i presupposti rilevanti in concreto ai
fini dell’applicazione della fattispecie penale, non potrebbe non assumere il medesimo
significato nel comma 2 dell’art. 2 c.p., con la conseguenza che l’intervento legislativo
posteriore, incidendo su uno dei presupposti di rilevanza del fatto, dovrebbe fare si che lo
stesso fatto non possa più essere punito non costituendo più reato.
4.3. La depenalizzazione del reato con contestuale introduzione di illecito
amministrativo.
Occorre, infine, accennare all’ulteriore fenomeno successorio della c.d. depenalizzazione, che
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CAPITOLO II – L’EFFICACIA DELLA LEGGE PENALE
ricorre quando fatti che prima costituivano reato vengono qualificati, ad opera di una
successiva disciplina normativa, come illeciti amministrativi.
Non vi è dubbio che per le condotte costituenti reato al tempo della loro commissione valga il
principio della retroattività della legge abolitrice dell’incriminazione ex art. 2, co. 2, c.p.
Tuttavia, ci si è chiesti se il giudice, nel dichiarare che il fatto non costituisce più reato, debba
al contempo applicare la sanzione amministrativa ora prevista per lo stesso fatto in quanto
illecito amministrativo.
Al riguardo si osserva che vi sarebbe di ostacolo il principio di irretroattività dell’illecito
amministrativo sancito dall’art. 1 l. 689/1981, ai sensi del quale “nessuno può essere
assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima
della commissione della violazione”. A tenore di tale principio, quindi, la sanzione amministrativa,
in assenza di una norma specifica che ne consenta l’applicazione retroattiva, non potrà essere
applicata che per l’avvenire.
Sennonché, la medesima legge n. 689 del 1981, con cui è stata attuata una vasta
depenalizzazione, ha delineato una disciplina generale della materia e ha dettato una
espressa disciplina transitoria, stabilendo - agli artt. 40 e 41 - che se il procedimento penale
non era stato ancora definito, trovavano applicazione le nuove sanzioni amministrative;
perciò, in tal caso l’autorità giudiziaria, per le violazioni non costituenti più reato, se non
riteneva di archiviare o prosciogliere, doveva trasmettere gli atti all’Autorità competente.
Tale disposizione, seppur dettata specificamente per le prescrizioni di cui alla l. 689/1981, è
stata interpretata estensivamente dalla giurisprudenza di legittimità (S.U. 15629/2009), la
quale ha sostenuto che l’art. 40 della l. 689/1981 esprime un principio di carattere generale,
non limitato alle violazioni contemplate nella legge stessa, ma applicabile a tutti i
provvedimenti di depenalizzazione, anche successivi, in difetto di apposita disciplina
transitoria. Invero, si è osservato che, in caso di trasformazione di illeciti penali in illeciti
amministrativi, i fatti commessi nel vigore della precedente disciplina non restano, pur nel
silenzio del legislatore, sottratti a qualsiasi sanzione, ma − in considerazione della ratio legis,
che è quella di attenuare, non già di eliminare, la sanzione per un fatto che rimane illecito −
trova comunque applicazione quella amministrativa. Inoltre, contrasterebbe con il principio di
uguaglianza una disciplina giuridica che preveda la totale impunità di coloro che hanno
commesso un illecito penale, successivamente depenalizzato, e la responsabilità − sia pure
sul piano dell’illecito amministrativo − di coloro che hanno commesso la stessa violazione
dopo la depenalizzazione.
Pertanto, anche il fenomeno della trasformazione dell’illecito penale in illecito amministrativo
finisce per essere regolato dal principio dell’applicazione della norma sopravvenuta più
favorevole al reo (art. 2 c.p., quarto comma), nella misura in cui verrà applicata
retroattivamente, in luogo della sanzione penale ormai non più prevista, la (più favorevole)
sanzione amministrativa disposta successivamente per la medesima condotta.
Di tali principi guida è stata fatta applicazione dal legislatore nei due recentissimi Decreti
Legislativi n. 7 e n. 8 del 2016.
• Il D.Lgs. n. 7 del 2016, che è entrato in vigore il 6 febbraio 2016, che dispone l’abrogazione di
diversi reati e prevede che venga applicata al posto della sanzione penale una sanzione pecuniaria
civile, cui si affianca il risarcimento del danno della persona offesa, statuisce all’art. 12 del D. Lgs. 7 del
2016 come “Le disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili del presente decreto si applicano
anche ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso, salvo che il
procedimento penale sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili.
2. Se i procedimenti penali per i reati abrogati dal presente decreto sono stati definiti, prima della
sua entrata in vigore, con sentenza di condanna o decreto irrevocabili, il giudice
dell'esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come
reato e adotta i provvedimenti conseguenti”.
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PARTE I – LA LEGGE PENALE
• Così anche il D. Lgs. n. 8 del 2016, entrato anch’esso in vigore il 6 febbraio 2016, che depenalizza e
trasforma in illeciti amministrativi i reati previsti al di fuori del codice penale per i quali è prevista la sola
pena della multa o dell’ammenda ed alcuni reati presenti nel codice penale, statuisce all’articolo 8 che
le disposizioni in esso contenute si applichino anche alle violazioni precedentemente commesse alla
entrata in vigore dello stesso, purché il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o con
decreto divenuti irrevocabili.
Prevede, inoltre, il secondo comma dell’art. 8 come “Se i procedimenti penali per i reati depenalizzati
dal presente decreto sono stati definiti, prima della sua entrata in vigore, con sentenza di condanna
o decreto irrevocabili, il giudice dell'esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiarando che il
fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti”.
(Per i reati depenalizzati si rinvia all’introduzione della Parte Speciale).
VIII. GIURISPRUDENZA: Successione tra reato ed illecito amministrativo
Di contrario avviso si sono però recentemente mostrate le Sezioni unite con sentenza 28 giugno 2012,
n. 25457, sostenendo l’esclusione della valenza generale degli artt. 40 e 41 della legge n. 689 del
1981, i quali operano invece solo con riguardo agli illeciti depenalizzati con la stessa legge. Ciò
risulterebbe evidente sia dai lavori preparatori, sia dalla circostanza che le leggi di depenalizzazione
successive hanno provveduto a dettare disposizioni transitorie ad hoc (delle quali non si sarebbe
ravvisata alcuna necessità, qualora tali disposizioni rivestissero un valore generale).
Peraltro, le Sezioni unite ripudiano la teoria della “persistenza dell’illecito”, posto che il mutamento della
natura dello stesso esclude il rilievo penale del precetto, a seguito di una diversa valutazione del
disvalore sociale del fatto. Ne consegue un’ introduzione ex novo dell’illecito amministrativo, con un
duplice corollario. In primo luogo essa comporta il divieto di una lettura dell’art. 2, comma 4, c.p. come
riferibile anche alla successione nel tempo tra legge penale e legge punitiva amministrativa, ed in
seconda battuta alla stessa consegue l’applicazione del divieto di retroattività non solo alle previsioni
sanzionatorie di fatti dapprima leciti, ma anche ai casi di “degradazione” dell’illecito da penale ad
amministrativo.
Pertanto le Sezioni unite concludono nel senso della “piena autonomia dei connotati e dei principi delle
violazioni amministrative rispetto a quelle penali, sicché non può ritenersi consentita l’applicazione
analogica al regime sanzionatorio amministrativo di categorie generali desunte dal diritto penale, anche
se si tratta di categorie o principi favorevoli all’agente”.
La ratio di tale ricostruzione esegetica viene rinvenuta in un’esigenza di garanzia del cittadino che non
può trovarsi esposto all’irrogazione di sanzioni amministrative per fatti compiuti quando, non essendovi
ancora una legge che le prevedesse, egli non aveva avuto la possibilità di autodeterminarsi
responsabilmente rispetto ad esse.
La penalizzazione di un illecito amministrativo
Quanto al caso inverso di “penalizzazione” di una condotta originariamente sottoposta a sanzione
amministrativa successivamente sostituita con una sanzione penale, non vi è dubbio circa
l’inapplicabilità di quest’ultima alle condotte poste in essere prima della trasformazione dell’illecito da
amministrativo in penale, trattandosi di un fenomeno che ricade evidentemente nel caso di nuova
incriminazione di cui all’art. 2, co. 1, e in quanto tale soggetto al divieto di retroattività della norma
incriminatrice. Resta da verificare, tuttavia, se residui spazio per l’applicabilità della sanzione
amministrativa (oramai venuta meno pro futuro per effetto della sua sostituzione) alle condotte tenute
sotto la vigenza della norma originaria.
La giurisprudenza si è espressa, sul punto, in senso favorevole alla soluzione positiva, facendo
applicazione del principio del tempus regit factum: la possibilità di continuare ad applicare, alle condotte
poste in essere anteriormente, la sanzione amministrativa (prevista da una legge che era entrata in
vigore prima della commissione della violazione) non è, infatti, ritenuta incompatibile con il principio di
irretroattività, ribadito per l’illecito amministrativo dall’art. 1 l. 689/1991, il quale vieta solo
l’applicazione a fatti già commessi di leggi che prevedano nuovi illeciti, ma “non esclude di per sé
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CAPITOLO II – L’EFFICACIA DELLA LEGGE PENALE
l’ultrattività di una legge abrogata o divenuta inefficace, purché vigente al momento della
consumazione dell’illecito”. In definitiva, “allorché un fatto, già sanzionato come illecito amministrativo,
non abbia perduto il carattere di illiceità, ma lo abbia visto aggravarsi, assurgendo al rango di illecito
penale, non può tenersi conto del più grave regime sanzionatorio penale introdotto successivamente
alla sua realizzazione, ma alla violazione deve essere applicata la sanzione amministrativa”, vigendo in
materia “il principio tempus regit factum, in virtù del quale è del tutto irrilevante che norme
successivamente entrate in vigore abbiano eliminato o modificato tali sanzioni”.
5. L’ambito applicativo dell’art. 2 c.p.: le ipotesi delle leggi eccezionali e
temporanee e dei decreti-legge non convertiti o convertiti con modificazioni.
Così affrontati i problemi interpretativi posti dall’art. 2 c.p., occorre soffermarsi sull’ambito
applicativo della citata norma, posto che la stessa provvede a disciplinare specificamente
alcune ipotesi relative a peculiari atti normativi.
■ Leggi eccezionali e temporanee. In particolare, il quinto comma dell’art. 2, c.p.
introduce una deroga per le leggi eccezionali e temporanee (“se si tratta di leggi eccezionali o
temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti”).
Per quanto riguarda la prima tipologia, va segnalato che il concetto di eccezionalità qui
rilevante si discosta dal modello tracciato dall’art. 14 delle preleggi, afferente invece il
rapporto strutturale fra norme allorché definisce eccezionali le disposizioni “che fanno
eccezione a regole generali o ad altre leggi”. Nella successione di leggi, il carattere di
eccezionalità che realmente osta all’applicazione della disciplina dell’art. 2 c.p. deve,
viceversa, essere riferito non già alla norma in sé, quanto alla situazione socio-politica o
criminologica che ne ha richiesto l’introduzione nel quadro normativo.
In relazione alle leggi temporanee, la loro peculiarità strutturale consiste nel fatto che il
carattere normativo transeunte si ricollega già ad una preventiva determinazione da parte del
legislatore, che, in via del tutto eccezionale rispetto alla consueta durata indeterminata delle
leggi, fissa il termine finale di efficacia della previsione di nuovo conio.
Il regime derogatorio cui sono sottoposte fa sì che per le leggi in esame troverà
applicazione esclusivamente il criterio della irretroattività ex art. 25, co. 2, Cost., di rango
costituzionale, come tale inderogabile da una semplice norma di grado ordinario, mentre
per il resto varrà sostanzialmente la regola tempus regit actum. In altri termini, le norme
eccezionali e temporanee si applicano, dunque, in modo esclusivo, con riguardo ai fatti
dispiegatisi nel loro vigore; a tali fatti non potranno applicarsi norme comuni successive,
ancorché più favorevoli, né la norma eccezionale e temporanea più favorevole potrà
operare retroattivamente in relazione a fatti intervenuti sotto la vigenza di precedenti
norme comuni.
Le ragioni che giustificano tale vistosa deviazione del loro regime giuridico in punto di
successione delle leggi penali sono rinvenute, da taluni, nelle istanze general-preventive
delle norme penali, che sarebbero vanificate ove la disciplina introdotta dalle leggi
temporanee o eccezionali potesse essere travolta dall’applicazione retroattiva di norme
successive più favorevoli; da altri, nella peculiare connotazione genetica e finalistica delle
leggi temporanee ed eccezionali, le sole idonee a disciplinare la situazione eccezionale o
transeunte per le quali sono state coniate ed introdotte.
■ In prospettiva ulteriormente derogatoria rispetto all’assetto normativo delineato dai
primi tre commi dell’art. 2 c.p. si configurava in passato anche la disciplina della successione
nel tempo delle leggi penali finanziarie. A tenore dell’art. 20, l. 4/1929, infatti, “le disposizioni
penali delle leggi finanziarie e quelle che prevedono ogni altra violazione di dette leggi si
applicano ai fatti commessi quando tali disposizioni erano in vigore, ancorché le disposizioni
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