Non possiamo stare fermi. In tutti i sensi

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Transcript Non possiamo stare fermi. In tutti i sensi

arcireport
settimanale a cura dell’Arci | anno XIV | n. 12 | 1 aprile 2016 | www.arci.it | [email protected]
Non possiamo stare
fermi. In tutti i sensi
di Greta Barbolini responsabile nazionale Arci Politiche economiche
Lunedì prossimo, in concomitanza con
la partenza della campagna fiscale 2016,
prende il via la nuova campagna di comunicazione del cinque per 1000 dell’Arci.
Una campagna completamente rivista e
ripensata per promuovere l’Arci, accrescere
la sua visibilità nell’opinione pubblica, tra
i circoli e i soci. Iniziamo con quest’anno
un lavoro più curato, che si avvale di una
consulenza specifica sulla raccolta fondi,
con l’obiettivo di rimettere in gioco la
nostra associazione affinché, anche tramite un’accresciuta capacità di intercettare
donazioni, raggiunga un posizionamento
all’altezza del suo radicamento e della sua
importanza nella società italiana.
Il punto da cui ci muoviamo registra alcune
criticità: la frammentazione con cui ci siamo
presentati nel passato per raccogliere il
5x1000 e la debolezza nella comunicazione, che rappresenta indiscutibilmente
un fattore decisivo per sollecitare i soci,
e i cittadini in generala, a sostenere l’Arci
attraverso la specifica modalità del conferimento di una parte del proprio Irpef in
fase di dichiarazione dei redditi. Abbiamo
di fronte una grande sfida culturale da assumere pienamente, oserei dire una grandissima sfida culturale per un’associazione
come l’Arci che in generale non è abituata a
chiedere alle singole persone di collaborare
con una donazione al raggiungimento di
un obiettivo e tanto meno ad esplicitare
una richiesta di donazione per rafforzare
la propria rete. Su questo abbiamo tanto
da imparare a partire dalla convinta consapevolezza che abbiamo le giuste ragioni
ed enormi potenzialità, se sapremo modificare il nostro linguaggio e il nostro modo
di comunicare. Le giuste ragioni siamo
tutti noi insieme, per quello che facciamo
e per come lo facciamo. Un reticolato immenso di presenze vigili nelle città e nelle
periferie, di progetti, azioni, presidi nel
campo sociale, culturale, educativo, per
l’inclusione sociale,per tradurre i diritti in
opportunità concrete. Anche la campagna
del 5 x1000 è un’opportunità tramite cui
fare sì che i nostri soci e un numero crescente di cittadini vedano e attribuiscano un
valore all’esistenza della rete dei circoli Arci.
Ecco perché abbiamo scelto di presentare
l’Arci come rete nazionale di esperienze
locali straordinarie ed uniche, mettendo
in primo piano una selezione di circoli e
progetti che raccontano nel loro insieme
cosa significa essere Arci e impegnarsi in
prima persona per agire percorsi di cam-
biamento culturale e sociale. Storie, attività,
obiettivi, settori di intervento in cui tutti
noi possiamo riconoscerci, farci conoscere
e chiedere un sostegno all’Arci donando il
cinque per mille del proprio Irpef. Dunque
proviamo a cambiare linguaggio e accettiamo la sfida di chiedere cercando di fare
del nostro meglio per chiedere nel modo
giusto, con le immagini e le parole giuste.
Dal punto di vista grafico abbiamo scelto
di rappresentarci tramite l’immagine di
un gruppo di persone in un luogo aperto.
Tante persone in piedi, ciascuna con un
cartello in mano che riporta uno dei temi
su cui l’associazione si impegna. Persone
che tramite il loro impegno sono presenti
e attive nella piazza dell’impegno sociale,
culturale e politico.
Lo slogan è Non possiamo stare fermi che
descrive molto bene una sorta di nota caratteriale delle persone impegnate nell’Arci
che tutti noi ben conosciamo, l’operosità,
l’incapacità di stare fermi. «Non possiamo
stare fermi» però è anche una dichiarazione
di intenti e un invito ad agire che rivolgiamo
a chi ci guarda.
Il legislatore, introducendo la possibilità per
i contribuenti di destinare una percentuale
della propria Irpef, ha inteso che fossero
i cittadini e le cittadine a scegliere direttamente gli obiettivi e i soggetti tramite cui
intervenire per migliorare la qualità della
vita delle persone e delle comunità locali.
La responsabilità di offrire a quante più
persone la possibilità di agire un cambiamento sociale dando il proprio 5 x 1000
all’Arci è solo nostra.
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esteri
arcireport n. 12 | 1 aprile 2016
“Sul volto distrutto di Giulio tutto
il male del mondo”
I genitori denunciano i depistaggi delle autorità egiziane
e chiedono verità sulla morte del figlio
Abbiamo espresso da subito il nostro
orrore e la nostra indignazione per l’assassinio di Giulio Regeni e invitato il
governo italiano a mettere in atto tutte le
forme di pressione possibili per costringere le autorità egiziane a dire la verità, a
individuare e processare gli esecutori del
barbaro assassinio chiunque essi fossero.
Questo non è avvenuto, malgrado che
il Parlamento europeo, l’Onu, lo stesso
segretario di stato americano John Kerry, la stampa di tutto il mondo abbiano
denunciato il mancato rispetto dei diritti
umani in Egitto e abbiano chiesto verità
sull’uccisione di Giulio.
Da febbraio ad oggi abbiamo assistito
solo a dichiarazioni tronfie e retoriche
da parte del generale Al Sisi, rilasciate al
più venduto quotidiano italiano che si è
prestato ad intervistarlo lungamente, e
alle ben più concrete manovre di depistaggio messe in atto dalle autorità egiziane,
come era purtroppo facile prevedere.
Ora si è levata con grande coraggio civile la voce della famiglia di Giulio. In
una conferenza stampa emotivamente
intensa, la madre di Giulio ha dichiarato
di avere visto nel volto distrutto del figlio
tutto il male del mondo. Con grande dignità ha elevato il proprio dolore privato
a dolore pubblico.
Una esternazione necessaria ma severa e
composta di fronte alla sordità dei poteri
politici. Il velo è stato squarciato. È stato
il vero e unico atto di accusa sollevato
contro il tentativo delle autorità egiziane
di seppellire la verità e di quelle italiane
di cercarla troppo debolmente.
Le parole della madre di Giulio non
hanno espresso desiderio di vendetta,
ma di giustizia.
Non si sono attorcigliate attorno all’immenso dolore per la perdita nel peggiore
dei modi immaginabili di un figlio, ma ci
hanno raccontato della sorte di tanti altri
giovani egiziani che hanno subito e subiscono le stesse torture e maltrattamenti
di cui Giulio è stato vittima.
Ilaria Cucchi ha dichiarato: «non costringeteli a mostrare le fotografie del corpo
straziato di Giulio», così come la famiglia
di Stefano ha dovuto fare per mostrare
una verità che si voleva occultare. Non
si dovrebbe arrivare fino a questo punto.
È un monito rivolto alle autorità politiche
e giudiziarie dei due paesi.
Il 5 aprile ci sarà un incontro a Roma tra
gli investigatori dei due paesi, su iniziativa del Procuratore della Repubblica
di Roma, Pignatone. Ci auguriamo che
non sia un’altra giornata vuota o, peggio,
piena di reticenze e di menzogne.
Ma se così dovesse essere, il governo
italiano ha una sola strada perché la
battaglia per la verità abbia possibilità di
affermarsi: ritirare il nostro ambasciatore
dal Cairo, dichiarare l’Egitto «paese non
sicuro», fermare gli accordi economici
e commerciali tra i due paesi, battersi
perché in tutti i consessi internazionali si
chieda il ripristino del rispetto dei diritti
umani in Egitto.
Lo dobbiamo a Giulio, ai tanti che hanno
subito e subiscono le stesse violenze, a un
popolo che voleva liberarsi di una classe
dirigente incapace e corrotta e si trova
con un regime militare che non rispetta i
più elementari principi della democrazia.
Solo la pace può garantire diritti e democrazia
di Franco Uda coordinatore nazionale Arci Pace, solidarietà e cooperazione internazionale
Esiste una stretta associazione tra guerra
e fame. I conflitti hanno ripercussioni
a catena sul benessere umano e i paesi
che ne sono vittime registrano livelli
di malnutrizione molto più alti, una
diminuzione dell’accesso all’istruzione
e una mortalità infantile molto più elevata rispetto a paesi con potenzialità
economiche simili, ma stabili. D’altro
canto, la sicurezza alimentare non è
solo una componente essenziale del
benessere umano, ma anche una base
per la stabilità politica. La maggior parte
delle nuove guerre sono guerre civili
che si espandono sempre più spesso
oltre i confini nazionali. Tali conflitti
tendono ad essere meno letali rispetto
alle guerre di un tempo, ma sono spesso
ingestibili e mostrano una violenza non
riconducibile a schemi precisi e dalla
quale nessuno può dirsi in salvo. Sono
proprio i conflitti armati ad essere trattati
estensivamente nel rapporto sull’Indice
Globale della Fame (GHI) pubblicato
nel 2015 dall’International Food Policy
Research Institute (IFPRI). Nonostante
i progressi degli ultimi decenni, il livello
di malnutrizione nel mondo resta alto,
con una persona su nove che soffre la
fame, un bambino su quattro con ritardi della crescita e il 9% in stato di
deperimento. Quasi la metà di tutti i
decessi di bambini sotto i cinque anni
sono dovuti alla malnutrizione, che ne
uccide circa 3,1 milioni l’anno. La guerra
viene identificata tra le cause principali
della fame acuta e persistente. I conflitti
armati perturbano i sistemi alimentari,
distruggono i mezzi di sostentamento,
costringono le persone a fuggire o, in
alcuni casi, a restare in una situazione di
terrore senza sapere quando sarà il loro
prossimo pasto. Il numero di conflitti
e di decessi legati ai conflitti è tornato
a crescere negli ultimi 2 anni. A livello
globale le stime parlano di 172 milioni
di persone vittime dei conflitti e di circa
59,5 milioni di profughi. Solo nel 2014
ben 13 milioni di persone sono state costrette a lasciare il proprio paese a causa
della violenza. Ed anche se i rifugiati
ne costituiscono l’aspetto più visibile,
l’87% delle vittime di guerra sono in
realtà persone che non hanno lasciato
le proprie case e soffrono di gravissimi
problemi alimentari. Il GHI assegnava
nel 2000 i punteggi più alti ad Angola,
Ruanda ed Etiopia, afflitti dalle guerre
civili su larga scala degli anni Novanta
e Duemila. Oggi questi paesi sono politicamente più stabili e i livelli di fame
sono diminuiti. C’è dunque ancora molto
da fare affinché la fame acuta e cronica
possa essere sconfitta. Lo sviluppo economico, il miglioramento delle politiche
alimentari, la risoluzione dei conflitti
e le risposte umanitarie internazionali
devono continuare a giocare ruoli di
primo piano. Se non si riuscirà a ridurre
la persistenza dei conflitti armati e a
porvi fine, a far fronte alle necessità delle
persone coinvolte, le conquiste raggiunte
andranno perdute. In quest’epoca di
movimenti di popolazioni senza precedenti, è necessaria un’adeguata risposta
globale, un impegno politico ai più alti
livelli e la consapevolezza diffusa che
la pace non è solo l’assenza di conflitto
ma la precondizione indispensabile per
l’esigibilità dei diritti, la giustizia sociale
e la democrazia nel mondo.
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arcireport n. 12 | 1 aprile 2016
campidellalegalità
Dal 1 aprile è possibile iscriversi
ai campi e ai laboratori antimafia
Tornano anche quest’anno i campi e i laboratori della legalità democratica e dal 1 aprile è possibile iscriversi direttamente al portale www.
campidellalegalita.it
Giunti all’undicesima edizione, i circa trenta campi e i laboratori – promossi da Arci, Cgil, Spi Cgil, Flai Cgil, Rete degli studenti medi e Unione
degli universitari – saranno organizzati in Lombardia, Veneto, Liguria,
Piemonte, Marche, Puglia, Campania, Calabria e Sicilia.
A vent’anni dall’entrata in vigore della legge 109/96 che prevede il riutilizzo sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata, la filosofia
che sta alla base della promozione dei campi non è cambiata: restituire
questi beni alla comunità, tornare a renderli produttivi e vivi, animarli
con iniziative culturali, formative e informative sulla difesa della democrazia, della legalità, della giustizia sociale, del diritto al lavoro. Una
pacifica ‘occupazione’ di questi spazi, dunque, abitata dalla presenza
di centinaia di persone che si spendono con impegno e dedizione per
costruire comunità alternative alle mafie.
Il programma alternerà decine di attività, tra laboratori e campi di
lavoro, nelle diverse località fino ai primi di ottobre. Il primo campo a
partire sarà quello a Corleone, in Sicilia, nel mese di maggio, con turni
sino alla metà di ottobre
Da quando sono iniziati, nel 2005, i campi hanno ospitato migliaia di
giovani (l’iscrizione è possibile anche per i minorenni), e hanno visto
impegnati nel lavoro volontario anche tanti anziani, in un’ottica positiva
di scambio di memoria e di rapporto intergenerazionale.
Ai campi, nel 2015, hanno partecipato circa 700 persone. Di queste, più
della metà, sono stati ragazze e ragazzi tra i 14 e i 19 anni, e quasi un terzo giovani tra i 20 e i 29 anni. La presenza femminile è stata superiore a quella maschile.
Per maggiori informazioni: [email protected] | Tel 0641609274
I campi 2016
♦ Calabria
Campi del Sole - Pentidattilo (RC) dal 24/7 al 30/7
♦ Campania
Terra di lavoro e dignità - Parete (CE) dal 24/7 al 2/8
Campi del Sole - Pentidattilo (RC) dal 28/8 al 3/9
Terra di lavoro e dignità - Parete (CE) dal 3/8 al 12/8
Campi del Sole - Rosarno (RC) dal 25/7 al 31/7
Terra di lavoro e dignità - Parete (CE) dal 22/8 al 31/8
Campi del Sole - Rosarno (RC) dal 1/8 al 7/8
Diritti legalità e immigrazione - Riace (RC)
dal 25/7 al 1/8
♦ Sicilia
Se non io chi - Catania (CT) dal 24/6 al 3/7
Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 2/5 al 7/5
Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 6/6 al 13/6
Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 16/6 al 30/6
Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 1/7 al 15/7
Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 18/7 al 28/7
Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 29/7 al 12/8
Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 17/8 al 31/8
Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 2/9 al 16/9
Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 19/9 al 3/10
Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 4/10 al 18/10
Liberarci dalle spine - Canicattì (AG) dal 12/9 al 26/9
♦ Liguria
In riviera per la legalità: idee per l’Italia e l’Europa
Ventimiglia (IM) dal 1/7 al 10/7
♦ Marche
Coltivare i Frutti della Legalità - Isola del Piano (PU)
dal 18/7 al 26/7
♦ Veneto
Laboratorio Il giardino della legalità - Campolongo Maggiore (VE) dal 29/8 al 9/9
Diritti in campo - Erbè (VR) dal 2/7 al 9/7
♦ Lombardia
Attivatori di cittadinanza - Lecco (LC) dal 22/7 al 31/7
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migranti
arcireport n. 12 | 1 aprile 2016
L’Italia sono anch’io
«Il Senato approvi al più presto il ddl di riforma
della cittadinanza, nonostante i limiti che presenta»
Si è svolta il 30 marzo in commissione
Affari Costituzionali del Senato l’audizione di alcune associazioni che si occupano
di diritti di migranti e che fanno parte
della Campagna L’Italia sono anch’io.
Oggetto dell’audizione è stato il Ddl sulla
cittadinanza licenziato dalla Camera e
ora al vaglio del Senato.
A nome della Campagna ha parlato Neva
Besker, della Rete G2, che ha ribadito il
giudizio complessivamente critico sul
testo approvato in prima lettura.
La Besker, nel suo intervento, ha ricordato
che L’Italia sono anch’io ha raccolto più
di 200mila firme per due proposte di
legge di iniziativa popolare: una per la
riforma dell’attuale legislazione sulla cittadinanza, l’altra per il diritto di voto alle
amministrative degli stranieri residenti.
La proposta di legge di iniziativa popolare
di riforma della cittadinanza prevede
l’introduzione dello ius soli, sia pure in
forma temperata (il diritto viene attribuito
nel caso uno dei genitori abbia da almeno
un anno il permesso di soggiorno) e un
iter particolare per i minorenni di origine
straniera arrivati da piccoli in Italia.
Il Ddl licenziato dalla Camera presenta
invece molte criticità e carenze, per esempio sul tema delle naturalizzazioni (che
non viene nemmeno affrontato), sulle
misure atte ad evitare la discrezionalità
delle pubbliche amministrazioni nella
valutazione delle singole richieste di cittadinanza, sull’introduzione della clausola
del possesso, da parte di uno dei genitori,
della Carta di lungo soggiornante, il cui
rilascio è legato al reddito e alle dimensioni dell’abitazione, sulla normativa
che riguarda i minori arrivati da piccoli
in Italia. Ciò nonostante, la Besker ha
ribadito come interesse prioritario delle
organizzazioni che fanno parte della
Campagna sia quello di superare l’attuale
pessima e anacronistica legislazione con
una nuova legge da approvare al più
presto. Sarebbe un segnale importante
per quel milione di giovani di origine
straniera che si sentono italiani di fatto,
ma non lo sono per la legge.
Nelle sue conclusioni, la presidente della
Commissione, senatrice Finocchiaro, non
ha fornito purtroppo rassicurazioni sui
tempi di discussione. Ha fatto presente che hanno la precedenza una serie
di provvedimenti già incardinati e che
dunque non è possibile per ora indicare
una data certa per la discussione e l’approvazione del Ddl.
La Campagna ritiene grave che l’esame
del Ddl non sia stato nemmeno calendarizzato, dimostrando così scarso interesse
per la volontà di integrazione delle nuove
generazioni di italiani con cittadinanza
diversa.
L’Italia sono anch’io chiede pertanto che
tutti facciano quanto di loro competenza
perché il Senato esamini in tempi rapidi
e certi il Ddl.
Una Commissione parlamentare
sull’hate speech
di Filippo Miraglia Vicepresidente nazionale Arci
Le parole d’odio (Hate Speech) rappresentano oramai uno dei principali
strumenti utilizzati nel dibattito pubblico,
soprattutto in politica. Esse, infatti, consentono di ottenere grande attenzione
da parte degli organi d’informazione,
tanto più se sono utilizzate per indicare
facili soluzioni a problemi complessi o
capri espiatori alle paure diffuse, che
peraltro contribuiscono ad alimentare.
C’è un rapporto diretto tra lo spazio che
i predicatori d’odio ottengono nei mass
media, soprattutto in quelli ‘main stream’ e la frequenza con cui usano parole
d’odio. Ci sono movimenti e partiti, oltre
a singoli leader, che hanno aumentato il
consenso proprio grazie al ricorso alle
parole d’odio.
In particolare il web e i social network
sono oramai una cassa di risonanza che
amplifica gli effetti delle parole d’odio,
raggiungendo un largo pubblico che si fa
convincere dalle soluzioni semplificate,
ingiuste e sbagliate, che si accompagnano alle parole d’odio. Sono soprattutto
i social media, attraverso la diffusione
di tablet e smartphone, ad arrivare a
un pubblico più giovane e quindi meno
predisposto alla mediazione. Per questo
come Arci abbiamo deciso, insieme ai nostri partner, di investire su una campagna
di comunicazione contro l’hate speech,
partita col progetto Prism e presentata
lo scorso 21 marzo, giornata internazionale contro il razzismo, alla Camera dei
deputati. In quell’occasione, abbiamo
accolto con grande favore la proposta
avanzata dalla Presidente Boldrini, durante l’incontro che abbiamo avuto con
lei, dell’istituzione di una Commissione
di studio mista, presso la Camera, sulle
parole d’odio. Una Commissione di cui
siamo stati chiamati a far parte insieme
ad altre associazioni e alla quale parteciperanno anche i rappresentanti di tutti
i gruppi parlamentari. La scelta della
Presidente Boldrini, che valorizza la
presenza della società civile organizzata,
rappresenta una conferma della centralità
di questo tema e della tempestività con
cui l’Arci è riuscita a programmare un
intervento che ha coinvolto molte città,
che vedrà come protagonisti i nostri
comitati territoriali e, successivamente,
tutta la nostra rete associativa.
Una campagna che punta ad intervenire
soprattutto sui social media (da qui la
collaborazione con Twitter e Facebook) e,
attraverso una ‘valigia degli attrezzi’ (Tool
Kit), nelle scuole. Con una particolare
attenzione quindi ai giovani e agli spazi,
virtuali e reali, che frequentano di più.
La Commissione parlamentare contribuirà a monitorare e analizzare il fenomeno,
tenendo conto che alcuni dei protagonisti
delle campagne d’odio sono rappresentati
in Parlamento e potranno partecipare ai
lavori della Commissione. La speranza è
convincere anche loro almeno a limitare
il ricorso alle parole d’odio.
La Commissione potrà anche intervenire
sullo spazio che ad esse viene dato nei
mass media, con particolare riferimento
al servizio pubblico.
C’è infatti uno squilibrio evidente tra le
presenze televisive e radiofoniche dei
predicatori d’odio e le associazioni che
cercano di tutelare i diritti dei più deboli.
Richiamare il servizio pubblico e tutti
i media a un maggiore equilibrio e a
dare più spazio a chi le parole d’odio le
contrasta, può essere uno degli obiettivi
del nostro lavoro e della nostra presenza
nella Commissione parlamentare.
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referendumnotriv
arcireport n. 12 | 1 aprile 2016
I trabocchetti per i nuovi pozzi
di Enzo Di Salvatore giurista, Comitato nazionale No Triv
Il prossimo 17 aprile i cittadini italiani
si recheranno alle urne per decidere
se cancellare la norma che attualmente consente alle società petrolifere di
cercare ed estrarre gas e petrolio entro
le 12 miglia marine dalle coste italiane
senza limiti di tempo. Lo stato dell’arte
è il seguente: ad oggi nessuna società
petrolifera può chiedere nuovi permessi
e nuove concessioni. Ma quel che la
legge non consente non significa che
venga impedito. Ad alcune condizioni.
I procedimenti amministrativi che erano in corso al momento dell’entrata
in vigore della legge di stabilità 2016,
finalizzati al rilascio di nuovi permessi e
di nuove concessioni, sono stati chiusi;
le attività di ricerca e di estrazione di
gas e petrolio attualmente in essere
sono state tuttavia procrastinate dalla
legge di Stabilità 2016 senza limiti di
tempo, ossia per tutta la «durata di vita
utile del giacimento». Ciò significa che
quelle attività cesseranno solo in due
casi: qualora le società petrolifere concluderanno che sia ormai antieconomico
estrarre oppure qualora il giacimento
sarà esaurito.
Dal punto di vista normativo, aver procrastinato senza limiti di tempo quelle
attività non può dirsi del tutto coerente
con la ratio che informa la decisione legislativa, in quanto il divieto di effettuare
nuove ricerche e nuove estrazioni si giustificherebbe sulla base di «gravi ragioni
di carattere ambientale»; così almeno
si leggeva nella relazione illustrativa al
decreto Sviluppo adottato dal Governo
Monti, con il quale si introduceva il
limite delle 12 miglia marine. Eppure,
tertium non datur: o quelle ragioni
sussistono sempre o quelle ragioni non
sussistono mai.
Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi,
che ha definito il referendum ‘inutile’,
è però di altro avviso: egli sostiene che
l’attuale quadro normativo sia perfettamente coerente, in quanto, nonostante
le attività di estrazione già autorizzate e
ricadenti entro le 12 miglia marine potranno continuare ad essere esercitate,
non sarà più possibile installare nuove
piattaforme e perforare nuovi pozzi.
In altre parole, non sarà più possibile
‘trivellare’.
Questa affermazione è, però, inesatta:
attualmente, la legge non consente che
entro le 12 miglia marine siano rilasciate
nuove concessioni, ma non impedisce,
invece, che a partire dalle concessioni
già rilasciate siano installate nuove
piattaforme e perforati nuovi pozzi. La
costruzione di nuove piattaforme e la
perforazione di nuovi pozzi è, infatti,
sempre possibile se il programma di
sviluppo del giacimento (o la variazione
successiva di tale programma) lo abbia
previsto.
Questa conclusione è avvalorata anche
da un parere del Consiglio di Stato del
2011, reso al Governo Berlusconi, che
chiedeva lumi sulla portata del divieto
di ricerca ed estrazione di petrolio entro
le 5 miglia marine introdotto l’anno
prima nel Codice dell’ambiente. La
risposta del Consiglio di Stato è stata
la seguente: il divieto non riguarda i
permessi e le concessioni già rilasciati
e non ricomprende le seguenti attività:
Passaggi
radio-televisivi
in Rai
Anche l’Arci parteciperà alle tribune radio-televisive della Rai e avrà
diritto a registrare un messaggio
autogestito.
Le date di messa in onda sono le seguenti: tribuna referendaria, durata
30 minuti, per il Sì saranno presenti
Arci e regione Basilicata, per il No o
l’astensione Circoli ambiente cultura
rurale e PD. La Tribuna televisiva
andrà in onda il 15 aprile, alle 14.05
su Rai 1 e in replica su Radio 1 alle
23.20.
I messaggi autogestiti andranno in
onda l’8 aprile alle 23.50 su Radio
1, il 14 aprile alle 9.20 su Rai 2 e alle
23.50 in replica su Radio 1
l’esecuzione del programma di sviluppo
del campo di coltivazione come allegato
alla domanda di concessione originaria;
l’esecuzione del programma dei lavori
di ricerca come allegato alla domanda
di concessione originaria; la costruzione
degli impianti e delle opere necessarie,
degli interventi di modifica, delle opere
connesse e delle infrastrutture indispensabili all’esercizio; i programmi di
lavoro già approvati con la concessione
originaria; la realizzazione di attività
di straordinaria manutenzione degli
impianti e dei pozzi che non comportino
modifiche impiantistiche.
Ora, è sufficiente andare a verificare
quali siano le concessioni tutt’ora vigenti
(e ricadenti entro le 12 miglia marine)
e leggere l’originario programma di
sviluppo del giacimento per capire che
nuove trivellazioni ci saranno eccome.
Basti pensare alla concessione C.C 6.EO
nel Canale di Sicilia, che interessa le
12 miglia marine per circa 184 kmq:
rilasciata nel 1984, essa ha ottenuto
una proroga il 13 novembre scorso, con
scadenza al 28 dicembre 2022.
Ebbene, in base a tale proroga, la società Edison potrà costruire una nuova
piattaforma - denominata Vega B - e
perforare 12 nuovi pozzi.
Se vincerà il ‘no’ (o se il referendum non
raggiungerà il quorum) la piattaforma
potrà essere realizzata, i pozzi perforati
e l’estrazione potrà darsi senza limiti di
tempo, fino a quando la società petrolifera lo vorrà; se, al contrario, vincerà il
‘sì’, potrebbero profilarsi due differenti
epiloghi: o si riterrà - come sarei propenso a ritenere - che la piattaforma
Vega B non potrà essere realizzata, i
pozzi non potranno essere perforati e
l’estrazione non potrà essere avviata
(e questo in quanto il quesito originariamente proposto dalle regioni aveva
ad oggetto anche l’abrogazione della
norma sui «procedimenti autorizzatori
e concessori conseguenti e connessi»
e sulla «esecuzione» delle attività relative); oppure dovrà ritenersi che la
Edison potrà comunque completare la
sua attività, ma fino alla scadenza della
proroga, e cioè fino al 2022; il che, per
ragioni di mero calcolo economico, potrebbe anche comportare una rinuncia
preventiva da parte della società petrolifera alla realizzazione degli impianti
e all’estrazione del greggio.
Ma quale che sia l’epilogo, una cosa
sembra certa: che il referendum del 17
aprile proprio inutile non sarà.
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referendumistituzionali
arcireport n. 12 | 1 aprile 2016
Una lunga stagione referendaria
di Massimo Villone costituzionalista, presidente Comitato referendum istituzionale
Si è tenuta a Roma, il 18 marzo, un’assemblea, affollata e partecipata, dei
comitati referendari, per il lancio della
campagna per la raccolta delle firme. Un
passaggio importante, soprattutto per
aver visto insieme i promotori dei referendum istituzionali e di quelli sociali.
Perché un forte iniziativa referendaria?
Rodotà ha scritto (su Repubblica) di
come le nostre istituzioni siano diventate
indisponibili all’ascolto, traendo anche
da questo la spiegazione del drammatico
calo di fiducia degli italiani. Ha ragione. Perché e come fidarsi di istituzioni
indifferenti?
Il punto è che non accade per caso. Un
tempo, l’attenzione costante della politica e delle istituzioni verso la domanda
sociale era assicurata da organizzazioni
di massa - partiti, sindacati - forti e radicate. Attraverso quelle organizzazioni
era possibile incidere su indirizzi di
governo e orientamenti legislativi. Che
il popolo fosse sovrano non era un mero
omaggio verbale, ma si traduceva nelle
forme di una democrazia ampiamente
rappresentativa.
Oggi, i partiti sono sostanzialmente
dissolti, e ridotti ad assemblaggi di
comitati elettorali di capi e capetti, da
attivare in occasione di elezioni o, al
più, di primarie. I sindacati sono stati
messi nell’angolo dal governo in omaggio
alla concentrazione e verticalizzazione
del potere, e - finita la concertazione - faticano a ritrovare un ruolo e la
disponibilità alla lotta. Le assemblee
elettive sono ridotte, anche per le leggi
elettorali vigenti, a un obbediente parco
buoi in cui le voci delle minoranze sono
sistematicamente imbavagliate con forzature regolamentari e raffiche di voti
di fiducia. Tutto è sacrificato sull’altare
del decidere e del governare. Ma l’esito
collaterale ultimo è l’azzeramento dei
sensori che rendevano le istituzioni
aperte e percettive rispetto agli orientamenti del paese.
Ed ecco l’indifferenza di chi governa
verso manifestazioni e scioperi, anche quando interi mondi scendono in
campo. Ecco la sordità verso petizioni e
leggi di iniziativa popolare, per quanto
fortemente sostenute. Ecco l’illusione
che l’arte del governare sia decisione
e comando piuttosto che confronto e
sintesi. Ecco la caricatura di una democrazia in cui i cittadini siano usi a
obbedir tacendo.
È per questo che il referendum rimane
l’unico strumento attraverso il quale il
popolo sovrano possa riguadagnare il
ruolo garantito dalla Costituzione. Una
via obbligata, ancorché difficile.
I Costituenti avevano attribuito al referendum un ruolo ridotto, ritenendolo giustamente - uno strumento marginale
in un sistema rappresentativo di tutte
le voci e fondato su organizzazioni di
massa. La Corte costituzionale, con
una giurisprudenza che nasce alla fine
degli anni ’70, ha posto al referendum
ulteriori limiti e argini. Ma anche quello era un tempo diverso. Oggi, il voto
popolare si mostra come l’unica via per
riguadagnare ciò che è stato per altro
verso perduto. Dobbiamo saperlo ed
esserne convinti.
Proprio per questo il governo teme i
referendum. Per questo Renzi vuole
costruire quello sulla riforma costituzionale come un plebiscito su sé stesso. Per
questo ha ora scelto la data del 17 aprile
per il referendum sulle trivelle, nella
speranza di farlo fallire per mancato
raggiungimento del quorum.
Lo stato maggiore del Pd attacca con il
trito argomento del costo, dimenticando che proprio il governo ha rifiutato
l’accorpamento con le amministrative
che avrebbe evitato la spesa. E altresì
argomentando che con il Sì il popolo
sovrano reca danno al paese. È falso.
Ma poi come può dirlo chi va ad approvare una nuova Costituzione insieme
al condannato Verdini, tassista di una
nuova maggioranza?
Il 17 aprile sarà già in corso la raccolta
delle firme per i referendum abrogativi
del 2017 su scuola, ambiente, lavoro,
Italicum.
Subito dopo l’approvazione definitiva
della riforma costituzionale, attesa più
o meno per la stessa data, partirà anche
la raccolta delle firme per la richiesta di
referendum confermativo, che dovrebbe
tenersi in ottobre. Andiamo quindi a
una stagione in cui si intrecceranno
referendum istituzionali e sociali, che
partirà con la raccolta delle firme e il voto
del 17 aprile, passerà per il cruciale No
alla riforma costituzionale in ottobre, e
si concluderà nel giorno in cui la metà
più uno degli aventi diritto - questo è
l’auspicio - andrà a votare Sì ai referendum abrogativi delle leggi renziane.
Non è una bulimia referendaria, né una
sommatoria per fare numero. È invece
importante far convergere nella battaglia
referendaria mondi diversi, per dare
il segnale che una parte importante
del paese chiede con forza un cambio
di rotta.
D’altronde la connessione tra referendum istituzionali e sociali è nelle cose.
L’attuale degrado politico-istituzionale
avviene con la Costituzione vigente,
prima della riforma. Questo dimostra
che un No alla riforma può certo evitare
maggiori guai, ma non basta a tirarci
fuori dalla palude in cui siamo caduti.
Non si può non guardare anche alla
legge elettorale. Se dovesse rimanere in
piedi il modello Italicum, ne verrebbe
un parlamento non migliore - anzi peggiore - di quello del Porcellum. Quanto
resisterebbero i risultati conseguiti dai
referendum sociali in un tale parlamento?
L’esperienza dell’acqua pubblica insegna
che il referendum può abbattere una
legge, ma non cancella l’indirizzo politico
che la esprime, e che può ripristinarla tradendo la volontà popolare. Cosi
domani un referendum vittorioso sulla
cattiva scuola potrebbe essere azzerato
da una scuola peggiore.
Solo i referendum istituzionali possono
creare condizioni in cui i risultati dei
referendum sociali non siano fatalmente
effimeri.
Dobbiamo anche considerare che se
vincesse sulla riforma della Costituzione, Renzi vorrebbe probabilmente
sfruttare il successo con uno scioglimento anticipato e nuove elezioni, che gli
consegnerebbero istituzioni riformate
e un parlamento addomesticato. Un
potere consolidato per la legislatura.
Se ciò accadesse, i referendum abrogativi slitterebbero al 2018. E di per
sé il passare del tempo non favorisce
certo una battaglia referendaria. Per
questo bisogna impegnarsi, da subito,
sia per la raccolta delle firme sui quesiti
referendari, sia per il voto del 17 aprile.
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arcireport n. 12 | 1 aprile 2016
cultura
Ricordo di Paolo Poli, ‘Regina del
teatro’, amante della libertà
di Federico Amico coordinatore nazionale Arci Diritti e buone pratiche culturali
Presenza costante nell’immaginario collettivo Paolo Poli è stata una delle figure
più divertenti e dissacranti del teatro
italiano del secondo novecento.
Ha popolato con la sua forbita e deliziosa
irriverenza televisione, radio, palchi e
dischi mescolando cultura popolare con
grande ricerca ed erudizione, lasciandoci
in eredità fulminanti e sagaci aforismi
quando, per esempio, alle conferenze
stampa dei suoi spettacoli, invitava con
stupenda ironia i professori a non portare
gli studenti, perché toglievano posti ai
vecchi signori omosessuali e alle signore
in pelliccia innamorate di lui «che pagavano il biglietto intero».
«Non fare finta di offrire a Dio ciò che il
diavolo ha rifiutato», «In amore prima
paroloni, poi paroline e infine parolacce»,
«Mentre i Promessi sposi iniziano con
il fidanzamento e finiscono con il matrimonio, Madame Bovary comincia con il
matrimonio e si conclude con l’arsenico.
Molto meglio», «La sola legge che non
ho infranto è quella di gravità», sono
solo alcuni dei più fulminanti passaggi
dell’attore fiorentino.
Poli ha vinto ogni forma di intolleranza
giocando per primo al politically incorrect
con autoironia e intelligenza, con leggerezza. Nelle sue interpretazioni, anche il
doppio senso più spinto diventava lezione
di Storia, di Costume, di Arte, passando
da Apuleio e i latini fino all’Ode al pitale
di Olindo Guerrini/Lorenzo Stecchetti,
incarnando così nel novecento la figura
del giullare che dice la verità ridendo
anche davanti ai potenti.
Tra le sue tante qualità, aveva questa capacità di unire storie, età, visioni differenti. I
suoi spettacoli vedevano tra gli spettatori
gente ideologicamente e sessualmente
schierata, ma anche ricche dame raffinate,
signori dell’iperborghesia, intellettuali
di grido, sfaccendati, impegnati. Tutti si
ritrovavano per assistere al rito del teatro
ufficiato da questa adorabile, saltellante
e indiscussa signora delle scene, tanto
da meritarsi l’appellativo di ‘Regina del
teatro italiano’.
Poli, del resto, non ha mai fatto mistero
della propria omosessualità, anche quando questa poco era tollerata nell’Italia del
boom economico: «Sapevo fin dall’inizio
di essere gay. Entrai in una panetteria, e
vidi che mi garbava il fornaio. Andai al
cinema, davano King Kong, avevo cinque
anni, e vidi che mi garbava pure il gorilla.
Il dado era tratto».
Così infatti racconta l’affiorare della sua
consapevolezza, sempre in bilico tra dileggio e sberleffo.
I fondali di Emanuele Luzzati, la compagnia tutta al maschile, i quadri che si
susseguivano, i continui cambi, i falsetti
che improvvisamente lasciavano il posto
a una voce da basso profondo, il gusto
dell’Oriente, anche a volte nel gioco dei
movimenti corporei, le danze, le canzoni
e canzonette, le poesie elevatissime, le
filastrocche popolari, l’alto, il basso e il
medio, come in Dante, in una parola: la
vita nelle sue sfaccettature è ciò cui ci
aspettavamo di assistere ogni volta che
varcavamo la soglia del teatro per andare
a vedere il signor Poli.
Era anticonformista su tutto Paolo Poli,
perché amava la libertà, quella vera,
illuminista, dei diritti di ogni individuo.
Nelle sue vene è scorsa la sintesi dell’umanità e lui ha saputo restituircela quell’umanità, spiegarcela, insegnarcela e lo farà
ancora, grazie al tanto materiale che ha
lasciato con la sua opera instancabile.
‘Ogni opera di confessione’
Un film documentario di Alberto Gemmi e Mirco Marmiroli. In collaborazione
con Emilia-Romagna Film Commission e Arci Reggio Emilia
di Marco Trulli e Claudio Zecchi curatori del progetto
Ricorrendo all’estetica della videoarte, il
progetto pone al centro della ricerca la
vasta area delle Ex Officine Meccaniche
Reggiane che, tra abbandono e i discussi
piani di riqualificazione, rappresenta
uno spazio marginale estremamente
ricco e complesso. È in questo luogo
liminale che si osserva quasi spiritualmente l’interazione tra suoni, paesaggio
e le azioni di chi lo abita. Nato dalle
riflessioni di Strati della Cultura 2013,
il progetto ha preso corpo ed è stato
portato a compimento anche grazie a
una positiva campagna di crowdfunding.
Oggi approda alla selezione ufficiale di
Vision du réel per la sezione competitiva
Regard Neuf e sarà quindi presentato
in anteprima mondiale il prossimo 15
aprile a Nyon (Svizzera).
Ogni opera di confessione è un lavoro
che mette a fuoco la densità di tempi,
relazioni e memorie che scaturiscono
dalla penetrazione in uno spazio vuoto,
quello delle ex Officine Meccaniche Reggiane. Il vuoto di uno spazio produttivo,
una grande città-officina disabitata,
un rottame del Novecento che rimane spiaggiato, inanime alla fine di un
lungo corso. Ma nei vuoti si aggirano
personaggi, brulicano protagonisti come
residui di una grande storia, soldati
giapponesi ancora in trincea di fronte
all’evidente collasso. Le Reggiane non si
materializzano nel loro insieme se non
per pochi fotogrammi. In realtà tutto il
film è una strategia di avvicinamento allo
spazio che mette in luce una pluralità
di personaggi e di singole comunità che
vivono ai margini del vuoto. Comunità
religiose (pentecostali o islamiche) che
testimoniano il ruolo di grande cambiamento che ha avuto l’immigrazione nella
trasformazione dei quartieri circostanti
le Reggiane. Una serie di personaggi,
visioni imperniate su due racconti silenziosi che si dispiegano lungo il film e
che vengono raccontati attraverso gesti
minimi e quotidiani dei personaggi.
Ogni Opera di Confessione è un oggetto
complesso. Un’opera che poggia sulla
certezza formale del linguaggio cinematografico, ma allo stesso tempo capace
di declinare e muovere contenuti che
si rivolgono in maniera quasi plastica
ad un tempo, ad uno spazio e ad una
gestualità che escono dalla specificità di
quel linguaggio per abbracciarne altri: la
scultura, l’installazione, la performance,
fin anche la pittura nell’uso dei colori e
della ritrattistica.
www.ognioperadiconfessione.com
8
ucca/arci
arcireport n. 12 | 1 aprile 2016
Temi etici, scelte di libertà
di Maria Chiara Panesi coordinatrice nazionale Arci Laicità e diritti civili
Vi sono temi su cui l’Italia non ha scelto,
su cui coscientemente, volontariamente,
ed opportunisticamente vorrei aggiungere, ha scelto di non scegliere. Sono i
grandi temi dei diritti civili e delle libertà
individuali, temi complessi che dividono
ed accendono il dibattito, che radicalizzano le posizioni tra le diverse sensibilità,
temi irrisolti su cui l’Italia segna un
deprecabile ritardo. Una delicatezza
particolare ha assunto la discussione sugli
scenari rispetto al fine vita, alle scelte
di libertà ed ai diritti ad esso correlati;
profonde sono le implicazioni morali,
religiose e sociali che hanno impedito che
si aprisse nel nostro paese una riflessione
pubblica sul morire, relegando invece la
morte ad un aspetto della sfera privata,
un tabù mai superato.
Ma come spesso accade abbiamo la
percezione che il sentimento diffuso nel
paese sia più avanzato della capacità delle
istituzioni di normare i temi complessi.
Vediamo dunque con soddisfazione
l’avvio di un dibattito parlamentare su
questi temi, nei prossimi mesi si vaglieranno in Commissione Affari Sociali
alla Camera le proposte di legge sul testamento biologico, e parallelamente in
Commissione Giustizia e Affari Sociali si
avvierà il lavoro sulle proposte di legge
in tema di eutanasia. Ed in questa fase
che si apre vogliamo sollecitare un dibattito pubblico nel paese, che affronti
il tema del consenso informato, delle
dichiarazioni anticipate di trattamento,
dell’accanimento terapeutico e dell’autodeterminazione nelle scelte di salute.
Il nostro contributo potrà essere un
approccio laico rispetto alle discipline
del fine vita, nel segno della tutela della
libertà dell’individuo, della sua capacità
di autodeterminarsi e della sua libertà di
scegliere, dall’inizio alla fine della vita.
Temi complessi, sospesi, ma sostanzialmente scelte di libertà.
The Perfect Circle narra, se vogliamo, di
tutto questo e dell’ineluttabilità del ciclo
della vita, tratteggiando il senso della
vita ed il senso della morte e restituendo
centralità alla dignità delle persone, in
ogni fase della loro vita.
‘The Perfect Circle’
Intervista alla regista Claudia Tosi
a cura di Anna Ferri Arci Modena
«Questo film serve per abbattere le barriere, colpire la diffidenza su hospice,
cure palliative, malattie inguaribili e sul
prendersi cura». Claudia Tosi, regista
modenese il 4 aprile porterà alla Camera
dei Deputati il suo docufilm The perfect
circle - il cerchio perfetto, una storia di
amore e vita - e quindi anche di morte
- che racconta i percorsi che compiono
insieme chi è malato e chi lo assiste:
mariti, mogli, famiglia, figli, medici,
operatori, amici. «Questo film è dedicato a mia madre, perché prendendomi
cura di lei ho imparato ad ascoltare e ad
andare oltre il corpo malato».
Il film racconta la vita all’interno della
Casa Madonna dell’Uliveto, un hospice
nel reggiano. Nell’immaginario comune
un luogo dove si va a morire.
«È proprio questa una delle barriere da
abbattere: non si va lì per morire ma
per avere la possibilità di riprendere a
vivere quando sai che stai per morire.
Quando ho conosciuto questo luogo ero
titubante: mia madre era appena morta
e mi sono resa disponibile per realizzare
un filmato ad uso interno, una sorta di
presentazione. Mentre lo giravo però
ho capito che c’erano tutti gli elementi
che mi servivano per raccontare la mia
storia: persone che si prendevano cura
e che come me guardavano oltre il corpo
malato. In quel momento ho cominciato
a fare ricerca e a scrivere il film e quando
finalmente ho avuto un’idea proponibile,
come Movimenta - che è un’associazione
culturale Arci con sede a Carpi, in provincia di Modena - abbiamo mandato il
progetto al Fondo Media e ottenuto un
finanziamento per svilupparlo. Siamo
stati la prima associazione a riceverlo
per un’opera cinematografica».
La storia è quella di Ivano e Meris,
ospiti dell’hospice, e dei rispettivi coniugi
che si prendono cura di loro. Come si
è avvicinata?
«In realtà sono stati loro a scegliere me.
La cosa buffa è che il film non doveva
essere su di loro ma su un medico bravissimo che mi aveva colpito e sul suo
lavoro quotidiano. Ero pronta a girare
quando, tre giorni prima, il dottore mi
dice che non poteva fare parte del film,
che era in un periodo troppo pesante dal
punto di vista psicologico e che doveva
staccare. Non avevo un piano B e tra
l’altro il direttore della fotografia era in
arrivo dalla Macedonia, che non è proprio
dietro l’angolo, e allora ho pensato di girare il trailer che comunque avrei dovuto
fare. Tutti i giorni andavo in hospice per
vedere chi c’era, conoscere le persone.
Così ho incontrato Ivano, un vecchietto
ruvido e burbero che è diventato mio
amico. Quando gli ho chiesto di essere
il protagonista del mio film però mi ha
detto di no, che era troppo triste e che non
ci voleva essere. Tra gli accordi presi con
la dirigenza della struttura c’era quello
di rispettare completamente il volere
degli ospiti, quindi non ho in nessun
modo insistito e me ne sono andata con
la coda tra le gambe. Poi, per fortuna,
è arrivata Meris che aveva sentito che
volevo fare un film e si è proposta: nella
sua stanza organizzava feste, faceva
musicoterapia, tante attività e aveva
molta voglia di parlare. Nel frattempo
Ivano mi vedeva sempre meno e così mi
ha chiesto di richiedergli di fare il film
e abbiamo iniziato a lavorare insieme.
Alla fine, come dicevo, sono stati loro a
scegliere me».
Il film nasce da un’esperienza molto
personale legata alla malattia di sua
madre. Come l’ha affrontata?
«Mia madre ha avuto una malattia cronica inguaribile per 19 anni: non era
un tumore e non ci siamo rivolti ad un
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ucca/arci
arcireport n. 12 | 1 aprile 2016
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hospice. Sebbene non conoscessi le cure
palliative, io e la mia famiglia ci siamo
ritrovati a praticarle in casa. Se una
malattia non è guaribile non significa
che non si possa prestare cura. Ovviamente non distruggi la causa del male
ma crei le condizioni per cui la vita può
continuare ad essere vissuta.
Se ti dicono che hai 5 anni di vita cosa
fai? Per cinque natali consecutivi a mia
madre hanno dato pochi giorni di vita,
poi quei giorni sono diventati anni e
pure belli: andavamo dal parrucchiere, a
pranzo con gli amici e la famiglia, stava
molto in giardino e ci siamo divertite.
Quello che ho imparato è che prendersi
cura di qualcuno che ha una malattia
inguaribile è dolorosissimo, faticosissimo
e provoca sentimenti contrastanti dei
quali non sempre sei orgoglioso. Alla
fine, però, conservi ricordi bellissimi.
Soffrivo quando le altre persone, guardandoci, vedevano solo una giovane
donna malata e una figlia che se ne
prendeva cura. Non eravamo ‘poverine’:
ci siamo godute ogni secondo, amandoci
molto, senza pensare alla morte. Questo
film vuole dire a tutti che non dobbiamo permettere alla malattia di definire
chi siamo e alla fine della proiezione
devi provare una leggerezza, perché è
a quello che portano le cure palliative:
sei sopravvissuto all’esperienza più dura
della tua vita, sei ancora vivo e ti porti
a casa i ricordi belli».
Che cos’è il ‘cerchio perfetto’ del titolo?
«C’è una poesia di John Donne che si
chiama: Commiato: divieto di dolersi
dove il poeta paragona le persone che
si amano ai due piedi di un compasso.
Più o meno dice così: se tu sarai il mio
piede fisso, per quanto io mi allontani
il mio cerchio sarà sempre perfetto e
finirò laddove ho sempre cominciato.
Quando mia madre è mancata ho iniziato
a chiudere dei cerchi e un po’ lei era quel
piede fisso che mi aiutava a finire le cose
che avevo iniziato. Vita e morte sono
fortemente legate: non c’è vita senza
morte. Il cerchio perfetto è questo».
Un film che parla di persone che stanno
morendo non sarà stato facile da realizzare e neanche da proporre al pubblico.
Hai incontrato difficoltà?
«È vero: un film che parla di fine vita
non è esattamente quello che le persone vogliono vedere, o almeno questa è
l’idea generale. Solo per farlo ci sono
voluti cinque anni: dopo la richiesta
con Movimenta abbiamo avuto fondi
dalla Cineteca e dalla Film Commission
Emilia Romagna. Ho viaggiato molto in
Europa dove ho trovato coproduttori e
tv, come la Lichtpunt del Belgio che ha
pre-acquistato il film, un co-produttore
inglese, uno sloveno e uno olandese che
si sono uniti a noi. Il film è andato ad
Helsinki al DocPoint e in altri festival, tra i
quali anche il Modena ViaEmiliaDocFest
dello scorso anno. Adesso cerchiamo di
fare distribuzione con una modalità non
convenzionale: usiamo i social network
per trovare il nostro target, che sono le
persone che conoscono le cure palliative.
Chi passa attraverso questa esperienza
vuole che gli altri cambino punto di
vista e vogliamo avvicinare i cittadini al
lavoro straordinario che fanno in questi
hospice. Ho voluto, attraverso il cinema,
fare un’operazione di sensibilizzazione. Il
cinema è emozione: se ti parlo utilizzando
il linguaggio scientifico oppure molto
logico, dipende da chi ho davanti e che
strumenti ha per comprendere, mentre
nel momento in cui ti costringo a provare
un’emozione in sala siamo tutti uguali. Ti
faccio arrivare un messaggio, parlando
delle cose con il cuore».
Ora il film arriva alla Camera dei Deputati in un momento storico importante
per l’Italia, perché la Commissione Affari Sociali ha iniziato una discussione
sul tema.
«Facendo ricerca per il film ho scoperto
che è dagli anni Quaranta che il paziente
si può autodeterminare, il problema è che
se un medico esaudisce il suo desiderio
rischia di andare in galera. I medici
palliati che ho conosciuto mi hanno
spiegato che queste cure possono fare
tantissimo, aiutando a superare la paura
di essere solo nella morte e un peso per
la famiglia. Facciamo un esempio: nel
consenso informato si parla di respirazione artificiale, firmo, me lo mettono e
poi guarisco e me lo tolgono. Ma se non
guarisco? Chi me lo toglie quel tubo lì?
Il gesto di causa e la morte - che è l’effetto - per chi toglie il respiratore, sono
vicinissimi. Le cure palliative aiutano
il processo. Le procedure sono frutto
di consultazione tra professionisti, il
medico non è mai solo con questa responsabilità enorme sulle spalle. Con
la proiezione portiamo in Parlamento
medici palliativisti, ci sarà Mina Welby,
l’associazione Luca Coscioni. Sarà un’occasione per stabilire delle relazioni. Non
si risolverà nulla ma inizia il dialogo, il
percorso per fare una bella legge. Il film
deve avvicinare le persone: chi si occupa
di fine vita ma non può fare nulla e chi
può fare qualcosa ma forse non ha tutte
le competenze per decidere».
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arcireport n. 12 | 1 aprile 2016
daiterritori
Quattro big per ‘Leggera’
sul palcoscenico del Valli
Nacque come Canzone d’Autore, facendo
così subito capire che avrebbe proposto
solo musica di qualità. Era il 1995 e il battesimo fu affidato al Consorzio Suonatori
Indipendenti di Ferretti, Zamboni e soci.
Ora di anni ne ha 21 e da qualche tempo
ha cambiato il nome in Leggera, ma la
voglia di proporre canzoni e sonorità di
buon respiro è rimasta.
L’edizione 2016 promossa da Arci e Fondazione I Teatri col sostegno di Hera
Comm propone tre date tra la fine di
marzo e l’inizio di aprile. Tre spettacoli
tutti ospitati dal teatro Romolo Valli.
Il 29 marzo è stata la volta di Franco
Battiato e Alice, andati in scena accompagnati dall’Ensemble Symphony Orchestra
diretta da Carlo Guaitoli.
Il concerto è stato diviso in parti diverse
ma comunicanti tra loro, ha visto rinnovarsi un’intesa artistica profonda tra
due anime affini, nella celebrazione di
un legame che è rimasto solido anche
quando i rispettivi percorsi non si sono
incrociati direttamente.
Il 5 aprile, alle 21, arriva invece Acrobati, il primo tour interamente teatrale
di Daniele Silvestri che prende il nome
dall’omonimo album di inediti ‘Acrobati’.
«Sono sempre stato affascinato dal teatro
- dice Silvestri - un luogo che permette
di usare diversi registri e linguaggi e
che consente di amplificare quell’idea di
magia e di funambolismo di cui il disco
è intriso. Cercheremo il coinvolgimento
del pubblico, provando a ‘svelare’ alcuni
aspetti dello spettacolo, perché in fondo
quello che succede su un palcoscenico,
quello che permette di creare una canzone o un concerto, nasce proprio da un
insieme di trucchi e di magie».
Ad accompagnare Silvestri sul palco ci
saranno sette musicisti.
Il pianista e compositore Ludovico Einaudi sarà in scena l’11 aprile alle 21 con
Elements, dopo il fortunato giro sui palchi
più importanti del mondo cominciato nel
2013 con In a Time Lapse Tour, accompagnato da cinque musicisti.
«Elements - spiega Einaudi - nasce da
un desiderio di ricominciare daccapo,
d’intraprendere un nuovo percorso di
conoscenza. C’erano nuove frontiere che
da tempo desideravo indagare: i miti
della creazione, la tavola periodica degli
elementi, le figure geometriche di Euclide,
gli scritti di Kandinsky, la materia sonora,
ma anche i colori, i fili d’erba di un prato,
la forme del paesaggio. Per mesi ho vagato
dentro una miscela apparentemente caotica d’immagini e sensazioni; poi, tutto
gradualmente si è amalgamato».
Arriva BraiNet: il nuovo progetto per
coinvolgere i giovani sul territorio
Creare un sistema di luoghi di aggregazione e produzione culturale capace
di ‘aprire il territorio’ a giovani di età
compresa tra i 18 e i 30 anni e alla
loro creatività. È questo l’obiettivo del
progetto BraiNet - rete di centri di produzione culturale, coordinato da Arci
Siena. BraiNet è tra i progetti vincitori
del Bando di aggregazione giovanile
e animazione finanziato da Regione
Toscana - Giovanisì, in accordo con
il Dipartimento della gioventù e del
Servizio civile nazionale. L’iniziativa,
inoltre, porta avanti il lavoro avviato nei mesi scorsi da Arci Siena con
il progetto Next. Nuove energie x te,
anche questo finanziato dalla Regione Toscana nell’ambito di Giovanisì e
rivolto a giovani fra 18 e 30 anni non
inseriti in alcun percorso di formazione,
istruzione o lavoro.
«Il progetto - spiega la presidente di
Arci Siena, Serenella Pallecchi - punta
a stimolare una reale cittadinanza attiva
nei giovani in un’età in cui devono decidere spesso il proprio futuro formativo
o lavorativo e in cui è importante coinvolgerli nella società civile. Per questo
motivo, il progetto non vuole creare spazi
ad hoc solo per le giovani generazioni,
ma luoghi che, facendo sistema, possano
renderle protagoniste. È in questa ottica
di sistema che i soggetti coinvolti, dagli
enti pubblici alle associazioni culturali,
di promozione sociale e di volontariato,
devono considerarsi parti di un unico
telaio».
Il progetto punta a intercettare il maggior numero di giovani sul territorio con
modalità innovative; coinvolgerli nella
nell’organizzazione e nella promozione
delle attività; valorizzare il territorio e
promuovere i valori di intergenerazionalità e inclusione.
in più
Prima giornata
Nazionale del Cricket
per profughi
e rifugiati
Villa San Giovanni - È
stata presentata alla stampa locale la
‘Prima Giornata Nazionale del Cricket
per Profughi e Rifugiati Politici’ a cui
aderiranno i beneficiari del Progetto
Sprar Approdi Mediterranei che si
sta realizzando nel Comune di Villa
San Giovanni. L’iniziativa, promossa
dalla Federazione Cricket Italiana e
patrocinata dal CONI e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i
Rifugiati (UNHCR), si svolgerà sabato
2 aprile 2016 a partire dalle ore 10.00
presso lo Stadio Comunale di Bianco
e prevede una partita di cricket tra
i ragazzi del progetto di accoglienza
SPRAR Approdi Mediterranei gestito
dell’Arci Provinciale di Reggio Calabria
e i ragazzi dell’Asd Cricket Calabria.
L’evento sportivo, supportato anche
con la collaborazione del progetto Asofi
nell’ambito dei propri laboratori sportivi, vuole essere un ulteriore strumento
di integrazione per i nuovi cittadini.
www.arcireggiocalabria.it
La Rossa Primavera
San Paolo D’Enza - Per il
quarto anno consecutivo, al Circolo
Pontenovo arriva...La Rossa Primavera. Una rassegna di film, documentari,
presentazioni di libri, con i quali si vuole
tenere viva la memoria ed insieme
l’attenzione sulle tante Resistenze di
ieri e di oggi. La rassegna è organizzata dal Circolo in collaborazione con
Anpi, Spi-Cgil, Pollicino-GNUS, con
il patrocinio del Comune di San Polo
d’Enza, e andrà avanti fino al 5 maggio.
E proprio con una Resistenza di
oggi si comincia: domenica 3 aprile, alle 16.30 al Circolo Pontenovo
proiezione del documentario Nekuje
- Non uccidere, in collaborazione
con Rete Kurdistan Italia e la presenza dell’autore Garip Syaben Dunen.
Garip, 30enne curdo, è conosciuto in
Italia per essere stato tra i protagonisti
di un reportage di Zerocalcare. Dopo
aver lavorato a fianco di decine di
giornalisti, a novembre Siyabend ha
imbracciato la telecamera per mostrare
il massacro nella città della sua famiglia.
Nekuje offre una rara testimonianza
su cosa accada alle famiglie curde che
non riescono ad abbandonare le proprie
case all’avvicinarsi dei convogli militari.
[email protected]
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arcireport n. 12 | 1 aprile 2016
culturascontata
i tanti vantaggi della tessera Arci
w w w. a r c i / a s s o c i a r s i . i t
a cura di Enzo Di Rienzo
Marisa e Mario Merz
Roma - MACRO, via Nizza, fino al
12 giugno. Marisa e Mario Merz sono
due tra i più significativi protagonisti
della storia dell’arte del Novecento.
Il rapporto tra i due artisti, durato
oltre cinquant’anni, ha permesso la
nascita di alcune opere realizzate a
quattro mani. La mostra partirà proprio da queste esperienze, con una
particolare attenzione al legame che
i due artisti hanno stretto con Roma.
www.museomacro.org
Egosuperegoalterego
Roma - MACRO, via Nizza, fino
all’8 maggio. La mostra analizza il volto
e il corpo nell’arte contemporanea, con
focus sul volto e il corpo dell’artista che
si auto-rappresenta e/o, a sua volta, è
rappresentato.Fra dipinti, fotografie,
installazioni site specific, stencil, la
mostra cercherà anche di approfondire
e dimostrare, nel concreto dell’arte
stessa, l’iter contemporaneo di quella
che storicamente è definita come ‘pittura
di genere’, con riferimento appunto
all’autoritratto e al ritratto attualizzando la denominazione fino al selfie.
www.museomacro.org
I Vivarini
Conegliano (TV) - Palazzo
Sarcinelli, fino al 5 giugno. Un evento
di straordinario interesse, la prima mostra
interamente dedicata ai Vivarini, la famiglia
di artisti veneziani, che tra il Quattrocento
e il Cinquecento a Venezia si contende il
primato con la celebre bottega del Bellini.
I Vivarini segnano un momento di passaggio decisivo dell’arte veneta e italiana dal
Gotico fiorito al rigore del Rinascimento.
www.mostravivarini.it
Toulouse - Lautrec
Roma - Museo dell’Ara Pacis
- Nuovo spazio espositivo Ara
Pacis, fino all’8 maggio. Con circa
170 opere provenienti dal Museo di Belle Arti di Budapest la grande mostra su
Toulouse-Lautrec, il pittore bohémien
della Parigi di fine Ottocento, ripercorre
la vita dell’artista dal 1891 al 1900, poco
prima della sua morte avvenuta a soli 36
anni. Attraverso questa esposizione sarà
possibile conoscere a tutto tondo l’opera
grafica di Toulouse-Lautrec: manifesti,
illustrazioni, copertine di spartiti e locandine, alcune delle quali sono autentiche
rarità perché stampate in tirature limitate.
www.arapacis.it
società
Ddl Terzo Settore: positivi
i cambiamenti prodotti
dal Parlamento
Rimangono ancora criticità per l’associazionismo
popolare. Il governo deve coinvolgerci nella stesura
dei decreti di attuazione
di Francesca Chiavacci Presidente nazionale Arci
Il Senato ha finalmente approvato il
Ddl sul Terzo Settore, che tornerà nei
prossimi giorni alla Camera per la terza lettura. In questi due anni il testo
del provvedimento è molto cambiato
rispetto all’impostazione originaria.
Le proposte e le richieste delle organizzazioni del Terzo Settore hanno
portato a modifiche significative ed
apprezzabili: la nuova formulazione
dell’impresa sociale, il servizio civile
nazionale, il ruolo delle reti associative.
È da valutare sicuramente in maniera positiva l’introduzione della
definizione contenuta nell’art.1 che
valorizza le finalità civiche e solidaristiche delle organizzazioni sociali.
Rimangono però alcune norme ancora,
volutamente, poco definite - che in
modo rilevante riguardano l’associazionismo di promozione sociale - e
che per l’Arci e molte altre associazioni di promozione sociale come la
nostra, sono invece molto importanti:
ad esempio, non è chiaro come dovranno essere inquadrate le attività di
autofinanziamento delle associazioni
e cioè la modalità attraverso la quale
la gran parte delle organizzazioni che
non usufruiscono di contributi pubblici
riescono a realizzare le proprie attività.
Cosi come è poco comprensibile il
permanere della differenziazione tra
i volontari che operano nelle Organizzazioni di volontariato e tutti gli altri
(che sono la stragrande maggioranza), anomalia, questa, tutta italiana.
Non si sentiva poi il bisogno dell’istituzione di una nuova Fondazione
per il sostegno finanziario del Terzo
Settore, dato che gli strumenti di sviluppo ci sono e basterebbe far funzionare al meglio quelli che già esistono.
Infine, siamo preoccupati di come
verrà declinato il tema dell’attuazione
della revisione complessiva di ente
non commerciale e il collegamento
tra le norme che riformeranno il codice civile e quelle di natura fiscale.
Se la Camera, come sembra, darà il via
libera e non modificherà ancora il testo,
si passerà nelle prossime settimane alla
fase di scrittura dei decreti attuativi che
rappresenterà un passaggio determinan-
te per tradurre operativamente le norme
necessariamente generiche del Ddl. Sarà
fondamentale, in questa nuova fase,
che venga rafforzata l’interlocuzione e
il confronto tra il governo e le associazioni, le reti nazionali e gli organismi
di rappresentanza del terzo settore,
che già ha prodotto una riscrittura positiva di alcuni contenuti problematici.
Ci aspettiamo quindi di essere coinvolti attivamente in un confronto
sulla stesura, e che vengano costituiti tavoli di lavoro comuni per la
redazione delle norme di attuazione.
Chiediamo al Governo di avere come
obiettivo, nel legiferare, la salvaguardia e
lo sviluppo di questa grandissima risorsa
sociale che è l’associazionismo popolare
- di cui l’Arci è parte importante - che
promuove, attraverso l’attività di circoli
e associazioni, la partecipazione attiva
di tante cittadine e cittadini, migliora
la qualità delle relazioni sociali nel territorio, arricchisce le nostre comunità.
arcireport n. 12 | 1 aprile 2016
In redazione
Andreina Albano
Maria Ortensia Ferrara
Direttore responsabile
Emanuele Patti
Direttore editoriale
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Progetto grafico
Avenida
Impaginazione e grafica
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Redazione | Roma, via dei Monti
di Pietralata n.16
Registrazione | Tribunale di Roma
n. 13/2005 del 24 gennaio 2005
Chiuso in redazione alle 16
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