Transcript Jean-Paul Sartre The Wall

Jean-Paul Sartre
The Wall
Title: The Wall
Author: Jean-Paul Sartre
Format:
Language: English
Pages: 183
Publisher: , 0
ISBN: 184391400X
Format: PDF / Kindle / ePub
Size: 7.9 MB
Download: allowed
Description
'The Wall', the lead story in this collection, introduces three political prisoners on the night prior
to their execution. Through the gaze of an impartial doctor--seemingly there for the men's
solace--their mental descent is charted in exquisite, often harrowing detail. And as the morning
draws inexorably closer, the men cross the psychological wall between life and death, long
before the first shot rings out.
This brilliant snapshot of life in anguish is the perfect introduction to a collection of stories where
the neurosis of the modern world is mirrored in the lives of the people that inhabit it.
Insightful reviews
Bogdan Gavriliuc: Good parts.
I found the prisoner situation of the first story "The Wall" to be fascinating. And Sartre made
what I expected to be a cliche ending, quite a well played out one.
I found the final story "The Childhood of a Leader" to give some interesting insights into
childrens' thinking and progression of thought as they mature. The antisemitism disgusted me a
little but I'll ignore it and focus on the story, and place it simply as a literary tool used for the time
period.
I liked the story of Erostratus.
Bad part.
In "Intimacy" I got so bored with Lulu and her indecision that I put the book down, for a about a
month. I did not want to pick it up because I didn't care anything about this story.
"The Childhood of a Leader" is a wall of lengthy paragraphs with no separation. It got to me for
some reason. I assumed that it was done for some effect that I missed, perhaps the feeling that
you're not really progressing, or that Lucien's life was perceived as continuous. Nevertheless, it
strained me.
Overall, it was OK. 2 stars might seem harsh, but hovering over them you find their definition to
mean just that. The only things I'll leave with from this book are:
a deviation from reading anything from Freud,
a curiosity at the mentality of one placed in the situation of Pablo Ibieta,
and the feeling that Sartre was a bit of a misogynist.
Alex: You gotta love Sartre's sexy objectification of women. I totally think Sartre was an ass
man. Exempli gratia:
"Her tail is small, yes, a lot smaller than mine, but you can see more of it. It's all around, under
her thin back, it fills the skirt, you'd think it was poured in, and besides it jiggles."
Hell is other people... other people who can't appreciate a nice jiggling booty!
If Sartre was alive today, I'm sure he'd give that comment a high five or whatever the French
existensialist equivalent of that is (maybe a quiet snooty glare?)
In fact, how can you appreciate someone who is perhaps the biggest influence on rap music in
this century, still 20 years after his death? Allow me to demonstrate:
The first example I have occured in 2005, with a song stemming from a famous Sartre quote
from Nausea (and the idea that he was an ass man):
Sartre: "I exist. It's sweet, so sweet, so slow."
Juvenile:
"Uh I like it like that \
she working that back \
I don't know how to act \
Slow motion for me\
slow motion for me\
slow motion for me\
Move it slow motion for me."
Sweet slow motion indeed. That's why I exist!
To further belabor the point, we have the well known example from Lil Jon and the Eastide
Boys's hit with the following lyrics:
"Let me see you get low\
you scared you scared \
Drop dat ass to the floor \
you scared you scared \
Let me see you get low \
you scared you scared \
Albert Camus and Jean Paul Sartre differed in view of \
the abserd the abserd"
Unfortunently, the rap community felt that this rift between Camus and Sartre would result in yet
another (possibly violent) dichotomizing of the rap world. To avoid this, the final lyics were
changed, altering the course of the song tremendously, also resulting in the removal of 20 other
verses leaving only the tale of a shorty getting krunk thus avoiding any deep philosophical
discussion.
Fewlas: I cinque racconti de Il muro hanno come protagonisti dei personaggi che purtroppo e
troppo spesso vengono considerati delle copie un po’ più commerciali e un po’ meno pesanti
di Roquentin de La nausea. Sebbene molte delle patologie che affliggevano Roquentin si
trovino anche in questi nuovi protagonisti, c’è da dire che Sartre approfondisce molto
l’indagine cominciata in altre sue opere.
Se a svegliare Roquentin era stato il celebre ciottolo levigato, in questi racconti vi sono ben altre
esperienze rivelatrici. Esperienze più crude, come l’attesa della pena di morte, la follia della
claustrazione, la perversione, l’omosessualità e la malafede. È proprio l’esperienza della
malafede che costituisce la base comune di tutte queste esistenze. Con troppa facilità si sono
considerati questi nuovi personaggi dei mentitori. Non si può parlare di menzogna. Questi non
sono personaggi che sono intrappolati nei loro drammi perché il timore di muoversi li spinge ad
una menzogna paralizzante. Giocano, inscenano delle tragedie, si cuciono addosso delle parti,
è vero. Ma l’origine di queste loro esperienze è di natura ontologica. E si chiama malafede.
Da L’Essere e il Nulla:
«Consideriamo questo cameriere. Ha il gesto vivace e pronunciato, un po’ troppo preciso, un
po’ troppo rapido, viene verso gli avventori con un passo un po’ troppo vivace, si china con
troppa premura, la voce, gli occhi esprimono un interesse un po’ troppo pieno di sollecitudine
per il comando del cliente, poi ecco che torna tentando di imitare nell’andatura il rigore
inflessibile di una specie di automa, portando il vassoio con una specie di temerarietà da
funambolo, in un equilibrio perpetuamente instabile e perpetuamente rotto, che perpetuamente
ristabilisce con un movimento leggero del braccio e della mano. Tutta la sua condotta sembra
un gioco. Si sforza di concatenare i movimenti come se fossero degli ingranaggi che si
comandano l’un l’altro, la mimica e perfino la voce paiono meccanismi; egli assume la
prestezza e la rapidità spietata delle cose. Gioca, si diverte. Ma a che cosa gioca?... Gioca a
essere cameriere».
E non immaginiamoci ora una macchietta d’uomo inventata per darci un esempio estremizzato
di ciò che si intende dire. Questo cameriere recita, come recitiamo tutti, semplicemente per
riuscire ad affermare e ad afferrare se stesso. Rifiuta la sua libertà d’uomo nel momento stesso
in cui, per esistere come uomo, deve rappresentarsi per-sé e per gli altri. Non si accorge di
essere contraddittorio. Quando fa qualcosa per essere qualcuno riesce allo stesso tempo a
trascendere la sua condizione d’uomo. Questo è lo scarto paralizzante, una contraddizione
intrinseca tra fattità e trascendenza: il cameriere esiste ma arriva anche a trascendersi a causa
della troppa voglia di essere.
Questo tipo di “inganno” involontario Sartre lo descrive con una terribile efficacia nel
racconto La camera. Protagonista è una donna, moglie di un uomo che, giorno dopo giorno,
scivola sempre di più nella follia. Ma la donna persiste nel suo processo di mimesi. Non ascolta
i genitori che vorrebbero aiutarla. Continua a sforzarsi per riuscire a vedere le stesse
allucinazioni che tormentano il marito, vuole farlo con gli stessi occhi folli. Vuole riuscire a
sentire ronzare per l’aria le stesse terrificanti statue volanti che insidiano il marito. A volte crede
di sentirle, altre volte lo desidera fortemente.
«Le statue volavano basse e leggere: ronzavano. Eva sapeva che avevano un’aria maliziosa e
che ciglia vere uscivano dalla pietra intorno ai loro occhi. Sapeva pure ch’esse non erano
ancora del tutto vive e che chiazze di carne, come scaglie tiepide, affioravano sui loro grandi
corpi; sulla punta delle loro dita la pietra si sbucciava e le palme cominciavano loro a pizzicare.
Eva non poteva vedere tutto questo: pensava semplicemente che delle donne enormi le
strusciavano addosso, solenni e grottesche, con qualcosa di umano e con la compatta
testardaggine della pietra.»
Non si creda che la pazzia sia necessaria a questo tipo di esistenza. Non si deve crederlo,
perché la malafede, come già accennato, è condizione ontologica. Precede, quindi, tutti i nostri
piani, tutti i nostri progetti di autenticità. Essa non si insinua, è pre-esistente. Se l’uomo è ciò
che è, è perché fugge da ciò che non era per diventarlo. Dice Sartre in L’Essere e il Nulla: «[…]Io
non sono mai nessuno dei miei atti, dei miei comportamenti.»
Ma come è possibile non accorgersi di questo inganno? Ovvero, si può riuscire a superare
questa condizione di teatrante? Si può riuscire a sapere di vivere in malafede? Come è
possibile credere in malafede a quei concetti che creiamo col solo intento di persuadere noi
stessi e gli altri? Risponde Sartre, di nuovo in L’Essere e il Nulla: «[…] credere è sapere che si
crede e sapere che si crede non è più credere.»
Nel racconto Intimità, considerato erroneamente uno dei meno validi della raccolta, Sartre
utilizza svariati punti di vista per descrivere una delle situazioni più comuni: un triangolo
amoroso. A tradire è la moglie, bloccata però in mezzo ad un ambiguo bivio. Perché se è vero
che crede di non poter sostenere più l’impotenza del marito e la sua troppo convenzionale e
borghese tranquillità, è anche vero che non è del tutto convinta di volere le ardite attenzioni del
suo amante. Crede di sapere ciò che vuole ma, allo stesso tempo, inevitabilmente, non è lei a
crederlo. Da una parte cerca di sfuggire alla malafede, inventando in questo modo un’ulteriore
appendice di se stessa, dall’altra ne è inconsapevolmente piena. Così alla fine trionfa la scelta
più banale, ritorna l’esistenza di diritto dei borghesi de La nausea. Anche qui, per vincere la
paralisi e per far dileguare la nebbia, serve una scelta convenzionale, una scelta che gli altri
possano trovare giusta.
Cosa che succede anche al protagonista di Infanzia di un capo, incantevole racconto lungo (ma
sarebbe più corretto chiamarlo romanzo breve), in cui Sartre racconta la storia di un uomo. È
necessaria la linearità della cronologia: dal bambino che dubita della sua esistenza e di quella
degli altri, all’uomo che lotta contro la sua voglia di azione e contro i propri istinti per poter
adempiere al suo destino di figlio di un capo. È un uomo che prova ad esistere, a svelarsi la
menzogna dell’esistenza e a vivere con la consapevolezza del nulla e dell’inutilità del nulla. Ma
poi ritorna ad essere un esistente di diritto:
«Ed ecco che Luciano, per l’appunto, era questo: un fascio enorme di responsabilità e di diritti.
Per molto tempo aveva creduto d’esistere per caso, alla deriva: ma era per aver riflettuto
troppo. Molto tempo prima della sua nascita, il suo posto era segnato al sole, a Férolles. Già – e
molto prima ancora del matrimonio di suo padre – egli era aspettato; era venuto al mondo per
occupare questo posto: “Esisto,” pensò “perché ho il diritto d’esistere.” E per la prima volta,
forse, ebbe una gloriosa e sfolgorante visione del suo destino.»
Al contrario, il protagonista de Il muro non rinnega la propria presa di coscienza. Mentre attende
di essere giustiziato si rende conto che l’uomo non può e non deve vivere nell’illusione
dell’immortalità:
«Nello stato in cui mi trovavo, se fossero venuti ad annunciarmi che potevo tornarmene
tranquillamente a casa mia, che mi avevano graziato, la cosa mi avrebbe lasciato indifferente:
qualche ora o qualche anno d’attesa è assolutamente la stessa cosa, una volta che si è
perduta l’illusione d’essere eterni. Non tenevo più a niente, in un certo senso, ero calmo.»
E non si illude nemmeno il protagonista di Erostrato il quale, a mio avviso, pronuncia uno dei
brani più affascinanti dell’intera raccolta:
«Gli uomini, bisogna vederli dall'alto. Spegnevo la luce e mi mettevo alla finestra: essi neppure
sospettavano che si potesse osservarli dal di sopra. Curano la facciata, qualche volta la parte
posteriore, ma tutti i loro effetti sono calcolati per spettatori d'un metro e settanta. Chi ha mai
riflettuto sulla forma di un cappello duro visto da un sesto piano? Gli uomini dimenticano di
difendere le spalle e crani con colori vivi e stoffe vistose, non sanno combattere questo grande
nemico dell'umanità: la prospettiva dall'alto. Mi sporgevo e mi mettevo a ridere: dov'era andato
a finire quel famoso "portamento eretto" di cui andavano così orgogliosi? Erano spiaccicati sul
marciapiede e due gambe mezzo rampicanti uscivano da sotto le loro spalle.
Sul bancone di un sesto piano: è qui che avrei dovuto passare la vita. Bisogna puntellare le
superiorità morali mediante simboli materiali, se no quelle si afflosciano. Ora, di preciso, qual è
la mia superiorità sugli uomini? Nient'altro che una superiorità di posizione: io mi sono piazzato
al di sopra dell'umano che è in me e lo contemplo.»
Con la frammentarietà dei racconti Sartre riesce a farsi ascoltare meglio, ad unire con più forza
le sue riflessioni filosofiche alla vita. Raccontando delle situazioni talvolta esasperate, è vero,
ma il linguaggio che utilizza è più letterario di quello de La nausea, è più diretto. Non c’è quindi
da temere alcunché se si riuscirà ad identificarsi maggiormente in questi individui che sono
omicidi, folli, perversi piuttosto che in un noioso storico di provincia nauseato da ciottoli e radici
d’albero. A mio avviso, però, manca quella poeticità che rende il Sartre filosofo anche un bravo
romanziere.
Reza.Montazer: ??? ?? ?????? ????? ? ???? ?????? ??? ???? ????? ?? ??? ??? ???? ??????
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Joe: there is a cause that Sartre *is* existentialism. He methods his subject's angst with a
endurance and dread that now not even Camus can match. The name tale is "The Stranger" in
20 pages, with a true ending. the ultimate novella safely captures the tumultuous early life of an
highbrow brute. And the tales in-between catch love, rage, and pity at their ugliest, whereas
even as portray them in a disturbingly human gentle of reason. "At that second I felt that I had
my complete lifestyles in entrance of me and that i thought, "It's a damned lie." It used to be
worthy not anything since it was once finished. I questioned how i might been capable of walk,
to snort with the girls: i would not have moved rather a lot as my little finger if I had purely
imagined i'd die like this... I had spent my time counterfeiting eternity, I had understood nothing."
[11 - The Wall:]"In the kingdom i used to be in, if somebody had come and informed me i may
cross domestic quietly, that they'd depart me my existence whole, it is going to go away me
cold: numerous hours or numerous years of ready is the entire related in case you have
misplaced the semblance of being eternal." [12 - The Wall:]"He loves me, he does not love my
bowels, in the event that they confirmed him my appendix in a pitcher he would not realize it, he
is constantly feeling me, but when they placed the glass in his palms he would not contact it, he
would not imagine "that's hers," you must love all of somebody, the esophagus, the liver, the
intestines. might be we do not loves them simply because we're not used to them, if we
observed them the way in which we observed our palms and palms perhaps we might love
them; the startish needs to love one another greater than we do." [56 - Intimacy:]"Disorder: the
note had all started delicate and white as moonlight however the ultimate "order" had the
coppered flash of a trumpet." [108:]
Pamela W: Oh you recognize these whacky existentialists . . . only a standard seashore read,
really. Early chick-lit. Love the stories, they're colourful and reasonably sensible within the
method they depict the ridiculous, repetitive or futile behaviors humans express (other peeps,
no longer me, of course). i am guessing that Sartre should have been hella strong occasions at
cocktail parties. ask yourself who could have received in a loss of life fit among Jean-Paul, Al
Camus and lil' Freddie Nietzsche? (I'm making a bet Nietzsche, he was once uber-efficient.)
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