E se le politiche di tassi negativi fossero parte del problema?

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Febbraio 2016

AUTORE

Scott Mather

Chief Investment Officer U.S. Core Strategies

E se le politiche di tassi negativi fossero parte del problema?

Le banche centrali di tutto il mondo stanno sviluppando un’inedita propensione a sperimentare politiche di tassi d’interesse negativi nonostante le conseguenze tuttora ignote e l’effetto in apparenza raggelante sui mercati finanziari.

Dopo aver inizialmente rifiutato l’idea a causa delle incertezze e del rischio di danni collaterali, la Banca centrale europea nel 2014 e la Banca del Giappone il mese scorso hanno seguito l’esempio degli istituti di emissione di Danimarca, Svezia e Svizzera, spingendo i tassi d’interesse in territorio negativo. Sembra che adesso anche la Fed inizi ad accarezzare questa possibilità, dopo essere passata dal sostegno velato a una sottaciuta preparazione in vista del potenziale avvio di una politica di tassi negativi. (A titolo di esempio, gli scenari per gli stress test bancari del 2016, pubblicati dalla Fed a fine gennaio, indicano fra gli sviluppi “gravemente avversi” l’eventualità che i tassi sui titoli di Stato americani a breve termine scendano a -50 punti base.) Mentre non permane alcun dubbio circa la capacità o la volontà di molte banche centrali di introdurre tassi d’interesse negativi, l’efficacia di questa politica per la crescita o l’inflazione è tutt’altro che certa. In effetti, le autorità monetarie potrebbero aver nettamente sottovalutato i rischi economici.

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LA NUOVA ANORMALITÀ

I sostenitori della politica di tassi negativi in seno alle banche centrali sembrano descriverla sempre più spesso come null’altro che una naturale estensione della politica monetaria convenzionale. In un “normale” ciclo dei tassi d’interesse le banche centrali riducono i tassi ufficiali per spingere al ribasso i tassi d’interesse nominali e reali (corretti per l’inflazione), con l’obiettivo di alleviare il fardello dei debitori e abbassare il tasso di rendimento minimo per gli investimenti. Si ritiene infatti che una diminuzione dei tassi (anche a livelli negativi) produca sempre un effetto di stimolo e che un loro aumento eserciti invece un impatto restrittivo. Tuttavia, la discesa dei tassi a un livello estremamente basso per un periodo prolungato potrebbe provocare un aumento esponenziale dei rischi.

Benché sia difficile conoscere lo scenario opposto, dal momento che ci troviamo in una situazione senza precedenti, pare che le politiche di tassi negativi non abbiano sortito effetti di rilievo nello stimolare la crescita o l’inflazione o nel risollevare le aspettative sulla crescita e l’inflazione future. Anzi, sembra che i mercati finanziari vedano in questi interventi sperimentali tentativi sempre più disperati e quindi deleteri per la stabilità economica e finanziaria.

Quali sono le potenziali conseguenze che potrebbero turbare i mercati finanziari?

MERCATI

Come minimo, le politiche di tassi negativi hanno contribuito alla volatilità finanziaria osservata negli ultimi mesi. Inoltre, contrariamente all’attuale dogma delle banche centrali, queste politiche potrebbero essere uno dei principali catalizzatori alla base dell’inasprimento delle condizioni finanziarie globali. I tassi negativi contribuiscono senz’altro a ridurre i rendimenti dei titoli di Stato, il che di per sé rappresenta un allentamento delle condizioni finanziarie; tuttavia, a livello complessivo potrebbero produrre l’effetto opposto, causando un aumento dei premi al rischio azionario e di credito, un’impennata della volatilità e una contrazione del credito offerto da un sistema bancario soggetto all’aumento delle tensioni.

Inoltre, le politiche di tassi negativi potrebbero causare una diminuzione delle aspettative d’inflazione incorporate negli attivi finanziari, anziché incoraggiare la previsione di un ritorno verso il target d’inflazione. I rendimenti dei titoli di Stato nominali possono infatti essere suddivisi in due componenti: una che rappresenta il rendimento atteso in termini “reali”, ossia al netto dell’inflazione, e una che costituisce la remunerazione per l’inflazione attesa. Questa scomposizione non viene determinata esattamente con metodi scientifici, ma è lasciata alla valutazione soggettiva dei singoli investitori. Tuttavia, le autorità sperano che la diminuzione dei rendimenti nominali sia dovuta unicamente al calo della componente reale e non a una flessione dell’elemento che rispecchia le aspettative d’inflazione.

Questa ipotesi sembra irrealistica. Quando i tassi d’interesse diventano negativi, la conseguente riduzione del rendimento nominale tende a trasmettersi dalla componente reale a quella che incorpora l’inflazione attesa. Le banche centrali non possono controllare questo processo, che è impreciso per natura. Il risultato, tuttavia, è che le politiche di tassi negativi e la discesa dei rendimenti nominali possono deprimere le aspettative d’inflazione a medio e lungo termine. Ciò è in diretto contrasto con l’obiettivo delle banche centrali di riportare l’inflazione effettiva e attesa in linea con il target.

In aggiunta, i tassi d’interesse negativi possono contribuire ad alimentare l’avversione al rischio e l’incertezza nell’intero sistema finanziario attraverso le decisioni di portafoglio. Se i tassi d’interesse scendono a zero o in territorio negativo, le attività finanziarie “più sicure” – i titoli di Stato e altre obbligazioni di alta qualità – diventano in realtà più rischiose. A fronte di rendimenti sottozero, infatti, la detenzione di questi strumenti fino alla scadenza comporta una perdita garantita di potere d’acquisto. Essenzialmente, le attività ritenute “prive di rischio” o comunque di qualità elevata vengono rimosse dal sistema finanziario e sostituite con asset più rischiosi dalle performance attese negative. Anche se questo potrebbe incoraggiare alcuni investitori ad assumere maggiori rischi per compensare la perdita di reddito, altri saranno certamente costretti a ridurli di conseguenza.

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3 EFFETTI MACRO

I tassi d’interesse negativi sono un’ennesima escalation delle cosiddette guerre valutarie; queste politiche sembrano esercitare infatti un’enorme influenza sul livello e sulla volatilità dei tassi di cambio. Una politica valutaria “beggar-thy-neighbour” finalizzata a ridurre il valore di una valuta con l’obiettivod di acquisire un vantaggio competitivo può accelerare un ritorno al protezionismo e a politiche nazionalistiche, con ricadute negative sulla crescita globale.

I tassi negativi producono anche altri effetti avversi sul sistema finanziario. Nel settore bancario si registra una diminuzione dei margini di interesse e un aumento del costo del capitale, in quanto i premi al rischio azionario e di credito aumentano per compensare il calo della redditività. Le banche cercano di trasferire questi maggiori costi sui consumatori e sulle imprese, oltre a limitare il credito e ad innalzare i tassi di prestito, provocando un rallentamento della crescita. Le compagnie assicurative e i fondi pensione potrebbero inoltre ritrovarsi sotto pressione, poiché in conseguenza della potenziale diminuzione delle future performance di portafoglio diventa più difficile onorare gli impegni nei confronti degli assicurati e dei pensionati.

Infine, i tassi d’interesse negativi equivalgono a un’imposta sui risparmiatori e gli investitori, che devono pianificare in vista di minori rendimenti in futuro. Questo, a sua volta, può determinare un aumento dei saggi di risparmio, con un’ulteriore decelerazione della crescita nel breve termine.

ALTERNATIVE ALLA POLITICA DI TASSI NEGATIVI

In sintesi, lo strumento dei tassi d’interesse negativi potrebbe rivelarsi sempre più inefficace nel dare impulso alla crescita e all’inflazione, e comportare per il sistema finanziario maggiori rischi di quanto comunemente si pensi.

È perfettamente plausibile che una normalizzazione dei tassi ufficiali favorisca il ritorno verso condizioni economiche e aspettative d’inflazione più normali.

Se anche così non fosse, una politica monetaria più mirata ad allentare le condizioni finanziarie mediante una riduzione diretta dei premi al rischio azionario e di credito (per esempio, acquisti di asset incentrati su azioni e obbligazioni societarie, o un aumento del target d’inflazione) potrebbe dimostrarsi molto più incisiva delle politiche di tassi negativi che presentano molti costi e rischi sconosciuti e che ad oggi hanno fatto più male che bene.

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