La sinistra dem si prepara a rottamare il Rottamatore

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| IL FATTO QUOTIDIANO | Mercoledì 16 Marzo 2016 |
» 15
ALL’INTERNO Stampubblica, il ritorno degli anni 80 • Banche, stop
ai risarcimenti • Il mito degli Usa d’Europa e il salvataggio dell’euro •
NUMERI AL LOTTO Nel 2015 il saldo con l’estero è negativo, i consumi fermi e gli investimenti nulli
La produzione in eccesso ha ingrossato le scorte di magazzino, cosa che peserà sulla performance 2016
I
I numeri
2024
Quando,
procedendo
con una
crescita
dell’1%,
l’Italia potrà
tornare ai
livelli pre-crisi
del 2007
8,3%
Quanto è
diminuito il Pil
italiano dal
2007 ad oggi.
Quello della
Germania,
nello stesso
periodo, è
cresciuto del
7,1%
15
miliardi:
quanto è
calato il Pil
nominale del
2012 e 2013
(-0,9%).
Mentre quello
del 2014 è
calato di 4,2
miliardi
(-0,3%)
CAPITANI
DI SVENTURA
» FRANCO MOSTACCI
l Pil nel 2015 è aumentato in
Italia dello 0,8% in volume e
dell’1,5% in termini nominali, ossia se si tiene conto anche della variazione dei
prezzi. Il primo valore è utilizzato per misurare la crescita della quantità e qualità
della produzione; il secondo
si prende a base per una valutazione standard di alcune
grandezze caratteristiche (il
deficit, il debito pubblico, la
pressione fiscale, ecc.).
Cosa c’è dietro quello
zero virgola
Nel dibattito seguito alla diffusione dei dati, è stata messa in evidenza la debolezza
della crescita italiana in rapporto a quella delle altre
principali economie (+2,4%
negli Stati Uniti, +2,2% nel
Regno Unito, +1,7% in Germania, +1,2% in Francia) e le
difficoltà che stanno emergendo nel recuperare le pesanti perdite accumulate negli ultimi anni. Procedendo a
un ritmo dell’1% l’anno, bisognerà attendere il 2024
per tornare ai livelli pre-crisi
del 2007. È stato, tuttavia, in
gran parte trascurato un aspetto affatto secondario: la
qualità della crescita. Attraverso la scomposizione della
variazione del Pil in volume,
è possibile ricavare un’informazione fondamentale non
solo per chiarire il quadro
macroeconomico attuale,
ma anche per sapere cosa ci
aspetta nell’immediato futuro. Analizzando i contributi
alla crescita, nel 2015 in Italia si è importato (+1,6%) più
di quanto si è esportato
(+1,3%) con un saldo netto
con l’estero negativo
(-0,3%); si è consumato poco
(+0,5%) e investito quasi per
nulla (+0,1%), con la conseguenza che la produzione in
eccesso è andata ad aumentare le scorte di magazzino
(+0,5%). E l’eredità lasciata
al 2016 potrebbe rivelarsi
pesante. Con una domanda
interna ed estera deboli, la
produzione rallenterà per
smaltire le scorte accumulate, con riflessi negativi su occupazione, redditi e domanda interna, esercitando anche un'azione depressiva sui
prezzi. In Germania le cose
sono andate in tutt’altro modo. Pur non avendo quest’anno particolarmente
brillato (+1,7%), i consumi
delle famiglie sono aumentati dell’1%; si è utilizzata la
leva pubblica (+0,5%) grazie
all'assenza di deficit e le
A cifra variabile
La revisione al ribasso negli ultimi
anni ha avuto carattere sistematico,
amplificando in positivo – in misura
marginale – il dato più recente
Meno soldi
agli anziani
e più ai giovani
» STEFANO FELTRI
C’È COSÌ tanta
retorica sui giovani che
qualcuno potrebbe pensare
che siano in cima all’agenda
della politica. Non è così. C’è
un grafico diffuso dall’Ocse, il
think tank dei Paesi ricchi,
che sta facendo parecchio
rumore (lo ha rilanciato il
Corriere della Sera, ieri, dopo il
Guardian). Sulla base del
Luxembourg Income Study
Database, si vede quanto
sono variati i redditi
disponibili per fasce di età,
rispetto al tasso di crescita
nazionale. Se si guarda la
Gran Bretagna, per esempio,
il reddito dei giovani (25-29)
è cresciuto il 2 per cento in
meno della media nazionale
mentre quello dei 65-69enni
e dei 70-74enni è aumentato
il 62 e il 66 per cento in più
nell’arco di tempo
1979-2010. In Italia la
situazione è questa: 19 per
cento in meno per i giovani,
12 e 20 per cento in più
rispetto all’aumento medio
per le fasce più anziane, nel
periodo 1986-2010.
Negli anni più duri della crisi,
questa tendenza è stata
evidente. Prendiamo
sempre gli studi dell’Ocse
(Income distribution del
giugno 2014): in media il
reddito disponibile in
termini reali, cioè al netto
dell’inflazione, tra 2007 e
2011 è sceso dell’1 per cento
all’anno tra i giovani e dello
0,7 per cento tra quelli in età
sicuramente lavorativa
(26-65). Nello stesso
periodo di tempo è cresciuto
dello 0,9 per cento all’anno,
in media, per gli over 65.
L’Italia non è il Paese dove
questo fenomeno è stato più
marcato (si vede meglio in
Grecia e in altri Stati che
hanno avuto la Troika), ma
non facciamo eccezione:
con la crisi i vecchi sono
diventati più ricchi e i
giovani più poveri, tanto che
ora l’Ocse considera i nipoti
molto più a rischio di
povertà rispetto ai loro
nonni. Segno che è molto più
fragile chi ha un reddito
legato al lavoro rispetto a chi
si affida alla previdenza e al
welfare. Sono numeri da
tenere presenti ora che si
riapre il dibattito sulle
pensioni e se ci debbano
essere incentivi all’uscita dal
lavoro pagati dalla fiscalità
generale o tagli degli
assegni. Ai più anziani è
andata bene, con l’inflazione
a zero che ha conservato il
valore delle loro pensioni e
stipendi. Ai giovani è andata
peggio. Ricordiamocelo.
q
Il Pil spiegato a tutti:
cresce poco e male
E il futuro è nero
scorte sono diminuite
(-0,4%). Anche nel medio
periodo il confronto appare
impietoso. Rispetto al 2007
il Pil italiano è diminuito
dell’8,3%, mentre quello tedesco è aumentato del 7,1%.
Nei lunghi anni della crisi, la
domanda nazionale nostrana è stata fortemente negativa, sia per quanto riguarda i
consumi (privati e pubblici)
sia per gli investimenti fissi
lordi.
Giocare coi dati,
le continue correzioni
In questo quadro strutturalmente affatto rassicurante,
trova spazio anche la questione della revisione dei numeri già diffusi in via provvisoria e sistematicamente
ridotti che negli ultimi anni
ha avuto carattere sistematico, con l’effetto di amplificare in positivo – anche se in
misura marginale – il dato
più recente. Rispetto alla
prima stima, il Pil nominale
del 2012 e 2013 è diminuito
di quasi 15 miliardi di euro
(-0,9%) e quello del 2014 di
4,2 miliardi (-0,3%). La riduzione ha riguardato sia il deflatore (i prezzi sono aumentati meno di quanto detto inizialmente), sia la crescita
l
0,8
%
Crescita
Quanto è
aumentato il
Pil in Italia
nel 2015.
Una crescita
debole
(e di cattiva
qualità)
rispetto alle
principali
economie
reale. Ha destato particolare
interesse la revisione dei
consumi delle amministrazioni pubbliche del 2014,
passati da 314,5 a 312,5 miliardi di euro. Contemporaneamente all’Istat, il ministero dell’Economia e delle
Finanze il 1° marzo scorso ha
ampiamente modificato il
fabbisogno dello Stato per il
biennio 2014-2015. Rispetto
ai dati precedentemente
pubblicati (l’ultimo quello di
dicembre 2015 era stato diffuso appena 15 giorni prima), sono stati resi noti numeri completamente diversi. Il saldo del fabbisogno
dello Stato per il 2014 si ridimensiona da 77 a 75,4 miliardi di euro, mentre nel
2015 passa da 59,5 a 60,3
(+0,8 miliardi). Ma a diminuire fortemente sono sia gli
incassi (di 63 miliardi nel
2014 e 51 nel 2015) che i pagamenti (di 65 miliardi nel
2014 e 50 nel 2015).
Ministero e Ragioneria
avari di spiegazioni
Il Mef e la Ragioneria Generale dello Stato (sul cui sito è
consultabile la nuova serie
storica dal 2008) al riguardo
sono stati avari di spiegazioni, anche se sembra potersi
desumere che i radicali cambiamenti possano avere a
che fare con “il perimetro al
quale i dati si riferiscono”,
ovvero l’elenco delle amministrazioni pubbliche classificate nel sotto-settore delle
amministrazioni centrali
dello Stato. Un aiuto all’interpretazione dei numeri,
che ormai si susseguono con
cadenza pressoché quotidiana, sarebbe stato gradito
anche in occasione del rilascio delle entrate tributarie
per il 2015 da parte del Dipartimento delle Finanze. Il
gettito erariale (imposte dirette e indirette) e territoriale, registrato secondo il criterio della competenza giuridica è aumentato del 3,4%,
laddove l’Istat – che invece
considera la competenza economica – registra un più
contenuto 0,6%. Con l’apparente paradosso che lo scorso anno gli italiani hanno pagato 16,5 miliardi di euro di
tasse in più, ma la pressione
fiscale è diminuita. In questa
girandola di cifre ben pochi
ormai si raccapezzano, mentre, invece, sarebbe meglio
per tutti avere sotto gli occhi
un quadro chiaro e non contraddittorio.
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