La rassegna di oggi

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – mercoledì 9 marzo 2016
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
Motori truccati, bufera sulla Wärtsilä (Piccolo)
Acqua e rifiuti, la Cgil chiede una clausola salvalavoratori (Piccolo)
Parti, Latisana può riaprire a tempo (Gazzettino)
Buco da 39 milioni per Mediocredito Fvg (Piccolo, 2 articoli)
Le malattie professionali in aumento tra le donne (Piccolo)
CRONACHE LOCALI (pag. 7)
Insiel Mercato, match decisivo il 14 marzo (Piccolo Trieste)
Sessanta giorni per costruire il dopo Ezit (Piccolo Trieste)
Lo scontro sulle soglie Isee infiamma i lavori di Palazzo (Piccolo Trieste)
Gorizia più povera, 122 sfratti per morosità (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
«Carcere, la cucina fa schifo. Intervenga l’Aas» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Convincere l’Austria: imprenditori pronti a interrare la linea (M. Veneto Udine, 2 articoli)
Travesio, mobilità per i 51 del cementificio (M. Veneto Pordenone)
Atap, i soci pubblici ora vogliono scendere (M. Veneto Pordenone)
Supplente, 3 mesi senza stipendio (M. Veneto Pordenone)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
Motori truccati, bufera sulla Wärtsilä (Piccolo)
di Massimo Greco TRIESTE Una vicenda brutta e strana, le cui dinamiche avranno bisogno di essere
approfondite, anche alla luce degli assetti dirigenziali e occupazionali di Wärtsilä, protagonista
mondiale nel mercato motoristico marino e terrestre. Tutto parte da un comunicato ufficiale diffuso
lunedì scorso dal quartier generale Wärtsilä a Helsinki che fa riferimento ad «alcune deviazioni in
alcuni test per la misurazione del consumo di carburante eseguiti su motori marini» nel centro consegne
di Trieste, situato nel grande stabilimento carsolino di Bagnoli. Ad accorgersene una verifica interna
disposta da Helsinki su tutte le realtà produttive del gruppo: nella rete dei controlli sarebbe, dunque,
caduta la fabbrica italiana. Deviazioni che vengono misurate nell’ordine dell’1% dei consumi e che
riguardano il 2% dei motori marini prodotti. Non sono stati invece coinvolti gli impianti destinati a
generare energia a terra, il cosiddetto “power plant”. A determinare queste alterazioni dei test,
“taroccando” i risultati delle prove, sarebbe stato «un numero limitato di dipendenti». Una successiva
comunicazione, giunta da Helsinki nel tardo pomeriggio di ieri, puntualizza poi che la dirigenza non
era a conoscenza di questi episodi. La stessa comunicazione spiega che i colpevoli hanno causato
queste alterazioni prendendo «una scorciatoia». Cioè, i motori vengono sottoposti a una serie di
sollecitazioni in termini di carichi e di velocità, affinchè non si verifichino problemi nella meccanica e
nell’automazione. Temperatura, flussi, pressioni vengono così misurati durante la marcia: in queste
situazioni - spiegano da Helsinki - il personale ha influenzato il consumo di carburante, invece che
creare le condizioni ottimali per lo svolgimento dei test. «Grave violazione delle politiche aziendali»,
commentano dalla Finlandia, che «va affrontata molto seriamente». I dipendenti coinvolti «hanno
chiaramente agito contro le disposizioni di lavoro e il nostro codice di condotta». Nessuna
anticipazione su eventuali misure disciplinari a carico dei “deviazionisti”, in quanto rientrano nella
privacy. Tornando alla prima nota, quella ufficiale del 7 marzo, il gruppo finlandese chiarisce a ogni
buon conto che i motori “toccati” dalle alterazioni hanno soddisfatto gli obblighi regolamentari e di
classificazione, mentre le navi interessate hanno superato il collaudo in mare. Wärtsilä puntualizza, sia
il 7 che l’8 marzo, che non prevede effetti finanziari negativi. Anche se la “prima linea” commerciale
dovrà dimostrare che non vi saranno ripercussioni negative sulle vendite e che le previsioni sul 2016
resteranno invariate. Preoccupato però il leader della multinazionale finnica, Jaakko Eskola, che si
scusa «per la perdita di fiducia causata da questa violazione dei nostri valori e delle nostre politiche
aziendali». E conclude annunciando un pronto intervento sulla clientela. Lunedì alla Borsa di Helsinki
il titolo Wärtsilä ha perso il 2,9%, mentre ieri è sceso dello 0,22%. La nota del 7 è stata ripresa e
rilanciata con enfasi sia dal “Wall Street Journal” che dalla Reuters. Entrambi gli articoli riportano le
valutazioni dell’analista Juha Kinnunen, che sottolinea come l’efficienza dei consumi di carburante sia
la chiave di questa fascia di mercato. Il 70% dei costi relativi all’armamento provengono proprio dal
carburante. Ieri il capo-azienda di Wärtsilä Italia, Sergio Razeto, non ha rilasciato dichiarazioni, perchè
gli aspetti comunicativi di questa vicenda sono direttamente seguiti dalla casamadre di Helsinki. Ma
molti restano gli aspetti da meglio comprendere. Tanto per comiunciare, l’arco temporale del “giallo”,
ovvero quando le alterazioni sarebbero state commesse. Lo stabilimento triestino ha avuto attenzioni
positive da parte di Helsinki. Ma ci sono anche esuberi, decisi a livello di gruppo, ancora da attribuire.
A Bagnoli suona l’allarme.
Acqua e rifiuti, la Cgil chiede una clausola salvalavoratori (Piccolo)
TRIESTE Tutelare i lavoratori del servizio idrico e del ciclo dei rifiuti inserendo una clausola sociale
nella nuova legge regionale in fase di discussione. È quanto chiede la Cgil del Friuli Venezia Giulia,
con il segretario regionale Emanuele Iodice, alla giunta e al Consiglio regionale, in vista dell’approdo
in aula della proposta approvata la scorsa settimana dalla commissione Lavori pubblici. «La Cgil –
dichiara Iodice, a margine di un incontro con Vittorino Boem e Giulio Lauri, presidente e
vicepresidente della quarta commissione, entrambi firmatari della proposta – condivide la filosofia e gli
obiettivi della nuova legge che punta a costituire un’unica Autorità regionale per la gestione del
servizio idrico e del ciclo dei rifiuti, intervenendo sull’eccessiva frammentazione del settore e ponendo
le condizioni per gli importanti investimenti richiesti, a partire da quelli contro la dispersione idrica e
sui sistemi di depurazione. Vista l’importanza della legge e tenuto conto del suo impatto sui lavoratori
interessati, però, sarebbe stato necessario mettere in calendario tempi adeguati per il confronto con le
organizzazioni sindacali». Nell’incontro svoltosi ieri pomeriggio la Cgil ha pertanto presentato una
richiesta di emendamento, un nuovo articolo che prevede espressamente, nel caso di cambio di gestore
nell’ambito dei servizi disciplinati dalla legge, il passaggio diretto del personale con le modalità
previste dal 2112 del codice civile, vale a dire con il mantenimento della propria posizione
previdenziale e delle tutele reali rispetto ai licenziamenti illegittimi. «Tutele – conclude Iodice – che
non possono certo essere considerate come ostacoli agli obiettivi della legge e che potranno essere
oggetto di emendamento in sede di dibattito consiliare: in questo senso va la proposta che abbiamo
presentato oggi, sulla quale c’è l’impegno dei firmatari a verificarne la fattibilità».
Parti, Latisana può riaprire a tempo (Gazzettino)
TRIESTE - Il direttore generale dell’Azienda sanitaria 2 Giovanni Pilati ha decretato la sospensione dei
parti a Latisana dal 18 marzo in poi. Ieri il Comitato Nascere a Latisana ha promosso un sit-in sotto lo
slogan "Tenetevi le mimose", visto che era proprio la Giornata della donna. Il capogruppo forzista in
Regione, Riccardo Riccardi, tuona incolpando la Regione di lasciare ai tecnici decisioni proprie.
Affondi non proprio delicati anche dai 5 Stelle Bianchi e Ussai e dalla leghista Zilli. Tuttavia la verità è
flessibile: il destino del punto-nascita è ancora da scrivere. L’inesorabilità della sua chiusura, pur se
data ancora per scontata, fluttua in una sorta di limbo del consenso: le condizioni politiche per
assumere una posizione definitiva ancora non si manifestano, si spiega in Regione. Come dire:
potrebbe farsi strada una riapertura del servizio fintanto che la Regione Veneto non riaprirà, come ha
annunciato anche nei propri documenti di programmazione, il punto-nascita di Portogruaro. E intanto,
magari, passano le elezioni amministrative di giugno.
La chiusura provvisoria è stata dettata da ragioni tecniche legate alla sicurezza di mamme e neonati da
un lato e alle responsabilità del direttore generale e dei professionisti della sanità sul campo dall’altro. I
turni massacranti dei pochi pediatri disponibili, ben oltre i nuovi obblighi in fatto di orario di lavoro,
non favoriscono un’eccellenza delle prestazioni. E se dovesse avvenire un incidente, le responsabilità
penali, che sono personali per loro natura, fioccherebbero come neve bagnata di primavera.
Dopo che sei avvisi per contratti a tempo determinato sono andati deserti, l’Azienda sanitaria ha
bandito un concorso per assumere in pianta stabile due pediatri, con prove già fissate al 23 marzo. Poi
ci vorrà qualche settimana per espletare l’intera procedura concorsuale prima che i due prescelti entrino
effettivamente in gioco. Latisana, insomma, potrebbe durare ancora, togliendo una parte delle castagne
dal fuoco alla Giunta regionale, che però in ogni caso dovrà decidere un bel momento quale puntonascita, fra Latisana e Palmanova, si debba chiudere. La Regione, numeri dei parti alla mano, considera
comunque impensabile chiudere il servizio a Palmanova. Tutto sta a vedere, adesso, quando riaprirà
Portogruaro, ponendo fine alla migrazione di neo-mamme al di qua del Tagliamento. Già a fine 2015
dal Veneto si annunciava la riapertura come questione di giorni, ma siamo sotto Pasqua e ancora il
punto-nascita è saldamente chiuso.
Buco da 39 milioni per Mediocredito Fvg (Piccolo)
di Giovanni Tomasin TRIESTE La perdita di esercizio 2015 di banca Mediocredito si è attestata a
quota 39 milioni di euro. Una quota superiore del 125% rispetto a quanto previsto nel business plan per
lo scorso anno. L'hanno annunciato ieri in Consiglio la presidente, Cristiana Compagno, e l'assessore al
Bilancio, Francesco Peroni. Secondo l'esponente della giunta e la numero uno dell'istituto, però, il
bilancio con un pesante segno “meno” è premessa a un rilancio: il 2016 sarà l'anno in cui Mediocredito
punterà a liberarsi di 357 milioni di sofferenze attraverso una radicale operazione di cartolarizzazione «saremo i primi in Italia» - e a concludere il percorso per l'ingresso nel gruppo Iccrea. Il risultato
negativo si è verificato a dispetto di proventi operativi netti per oltre 30 milioni, per una banca che
secondo Peroni «rappresenta ancora un asset strategico per il Fvg». Resta da capire, e sono domande
cruciali, quale sarà l’entità dell’aumento di capitale e se tutti gli azionisti saranno disponibili a
sottoscriverlo. La soluzione del doppio rebus - cartolarizzazione e aumento di capitale - dovrebbe
arrivare entro giugno, e poi a valle dovrebbero essere definite le modalità della fusione in Iccrea
(holding delle banche di credito cooperativo). Le asperità del 2015 La perdita d'esercizio fuori misura,
ha spiegato Compagno, è dovuta in buona parte al saldo netto delle rettifiche di valore sui crediti che,
rispetto a una previsione di 39 milioni, si è attestato su 68,3 milioni. L'entità delle rettifiche è stata
colpita da due componenti impreviste: «Nel corso del 2015 il cda ha deciso di procedere a realizzare
alcune operazioni finalizzate a ridurre il volume delle sofferenze, accumulate nel primo decennio degli
anni Duemila e che dal 2012 hanno iniziato a manifestarsi. Sono state pertanto perfezionate alcune
operazioni di cessioni di crediti e di conferimento di beni immobili leasing a fondi (per un totale di 56
milioni) che hanno determinato la rilevazione di perdite per 16,4 milioni». A questi si aggiungono 13,5
milioni derivanti da ulteriori rettifiche di valore, rilevate in seguito a una modifica della normativa
interna: preso atto della debolezza del mercato immobiliare, in giugno il cda ha deciso di rivedere «in
termini più severi» i criteri di valutazione applicati nella «valorizzazione dei beni immobili oggetto di
garanzia sulle esposizioni o relativi a beni leasing». Il “salvabanche” Come se non bastasse, ci si
mettono anche le magagne del sistema bancario italiano. Mediocredito, «e quindi i cittadini del Fvg» ha
specificato Compagno, ha dovuto sborsare quasi 3 milioni di euro per il Fondo unico di risoluzione per
le crisi bancarie: «Soldi che pesano molto sui nostri bilanci». La cartolarizzazione Le fatiche del 2015
erano, hanno spiegato Peroni e Compagno, un passo necessario verso il risanamento. Lo strumento
scelto è una cartolarizzazione del portafoglio sofferenze, che al 31 dicembre assommava a 357 milioni
lordi. I crediti verranno ceduti a una società veicolo esterna alla banca, che procederà all'emissione di
titoli di cartolarizzazione, che verranno sottoscritti in buona parte da investitori di mercato. Il primo
passaggio necessario è quindi identificare i recuperi conseguibili sulle sofferenze, elemento base per la
determinazione del prezzo e l'attrazione quindi degli investitori. E pure per capire la misura
dell’aumento di capitale che i soci dovranno sostenere, in modo da presentarsi adeguatamente alla
fusione per incorporazione in Iccrea. Il patto con Iccrea La pulizia dei conti è indispensabile per il
passaggio successivo: l'ingresso di Mediocredito nel gruppo Iccrea. «Il 22 dicembre abbiamo firmato
una lettera d'intenti che è una road map per il passaggio - ha annunciato Peroni -. Il fine complessivo è
liberare la banca dalle sofferenze, entrare nel gruppo Iccrea così da avere una banca regionale corporate
che operi in integrazione con la rete delle Bcc, il tutto sotto l'ombrello di quello che si avvia ad essere il
terzo gruppo bancario italiano». L'Operato Nel 2015 i volumi di raccolta diretta della clientela di
Mediocredito sono cresciuti del 3,76% arrivando a 803 milioni. Il nuovo credito erogato alle imprese è
arrivato a 231 milioni. A fine anno le imprese clienti erano 3.214 e i rapporti 5.040. Positivi anche i
risultati economici della gestione caratteristica: i proventi operativi netti del conto economico
riclassificato sono cresciuti del 10,91%, il risultato loro della gestione operativa si attesta ad un valore
di 16 milioni, pari a +17,39%.
Aumento di capitale in vista, Compagno frena
di Marco Ballico TRIESTE Un nuovo aumento di capitale di Mediocredito Fvg? Una soluzione
inevitabile alla luce del quarto anno consecutivo di perdite? Cristiana Compagno rimanda tutto al dopo
cartolarizzazione, l'operazione straordinaria di cessione delle sofferenze approvata dal cda. Operazione
peraltro ancora da costruire nei dettagli. Ma Compagno non ha dubbi: «Per accelerare con coraggio
strategico sul fronte del risanamento è necessario far uscire dal bilancio i crediti classificati a
sofferenza». Presidente, visto il pesante passivo è prossima una nuova ricapitalizzazione? Non abbiamo
indicazioni per ora. Si tratta prima di definire le caratteristiche dell'operazione di cartolarizzazione.
Concretamente? Vanno fissati i prezzi di cessione. È dunque prematuro parlare di aumento di capitale.
Lo si potrà fare eventualmente a valle della struttura di cartolarizzazione. Prematuro anche capire
quanti di questi 357 milioni riuscirete a cedere? Noi cediamo l'intero pacchetto di sofferenze. Bisognerà
però che qualcuno compri. Le operazioni di cartolarizzazione sono in atto nel mercato. Quando avremo
la struttura precisa potremo conoscere più elementi. Anche sulle eventuali nuove perdite
contabilizzate? Un altro scenario da verificare a valle. Ora costruiamo l'operazione e cerchiamo gli
investitori istituzionali. Azioni che vanno allestite secondo una procedura pubblica. I tempi? Credo
brevi. Direi qualche mese. Che ne pensano i soci di questa svolta? Il confronto con i soci sulle necessità
evolutive e pure sui problemi della banca è continuo. Può chiarire tempi e modi della fusione con
Iccrea? Abbiamo definito una road map con Iccrea. Ci saranno passi procedurali e tecnici, ma
l'orientamento è sempre stato di realizzare l'operazione entro il 2016. Sulla base di quali valori? Un
passaggio ancora da definire. Banca d'Italia e Bce che posizione hanno sulla trattativa? L'organo di
vigilanza è informato da tempo della strategia. In un con testo bancario che, alla luce delle riforme in
atto, vede la necessità di realizzare economie di scala, è chiaro che, come stabilito del resto nel piano
industriale già nel 2014, si impone per Mediocredito Fvg un'alleanza da concretizzare entro quest'anno.
Un modo per rafforzare il modello di business. Il bilancio 2015 e la cartolarizzazione influenzeranno un
piano industriale che ipotizzava il pareggio di bilancio nel 2016? L'operazione straordinaria potrà avere
ripercussioni. Vedremo come riusciremo ad allestirla e come risponderà il mercato.
Le malattie professionali in aumento tra le donne (Piccolo)
di Silvio Maranzana TRIESTE Le denunce di malattie professionali in Friuli Venezia Giulia sono
passate dalle 1.270 del 2010 alle 1.786 del 2014. E se nel primo caso quelle denunciate dalle donne
erano 335 cioé il 26,38% del totale, nell’ultimo sono state 557 cioé il 31,19%. Quelle effettivamente
riconosciute nel 2014 sono state in regione 799 di cui 140 a Gorizia, 127 a Pordenone, 176 a Trieste e
356 a Udine. Cinquanta di queste hanno avuto esito mortale: 20 a Gorizia, 4 a Pordenone, 18 a Trieste e
8 a Udine. Gli infortuni sul lavoro denunciati da donne sono invece calati a livello regionale del
19,86%. I dati sono stati comunicati nel corso dell’incontro promosso ieri alla sede Inail di Trieste
dall’Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro (Anmil) in occasione della “Giornata delle
donne infortunate”. Un’ulteriore specificazione con dati più aggiornati ma ancora ufficiosi è stata fatta
per quanto riguarda l’andamento del 2015 nella provincia di Trieste: i casi di infortuni denunciati sono
stati 3.609 rispetto ai 3.852 del 2014 e di questi 1.588 riguardano donne (1.664 nel 2014). Tra le donne
vi sono 1.344 italiane e 244 straniere. I casi avvenuti sul luogo di lavoro sono stati 1.294 e 294 quelli in
itinere. Di questi 979 sono avvenuti nel settore industriale, 38 nei servizi e 7 in agricoltura. Le malattie
professionali denunciate da donne nel 2014 sono state 130 e di queste 39 sono state riconosciute: 4
sono malattie della pelle, 11 del sistema nervoso e 24 del sistema osteomuscolare e del tessuto
connettivo. Dopo i saluti dell’assessore comunale e di quello provinciale Antonella Grim e Adele Pino,
l’intervento introduttivo è stato svolto dalla presidente territoriale dell’Anmil, Anna Mladenic, che ha
specificato come l’associazione da oltre settant’anni si occupa della tutela degli infortunati e dei
familiari delle vittime del lavoro e raccoglie oltre 400mila iscritti. «Da circa 15 anni - ha sottolineato la
presidente - abbiamo avvertito la necessità di riservare un’attenzione particolare alla prospettiva al
femminile e da allora ogni anno dedichiamo alle donne lavoratrici e a quelle infortunate sul lavoro un
evento oppure uno studio speciale allo scopo di accrescere e diffondere la cultura della prevenzione e
della sicurezza nel lavoro». Lo studio di quest’anno, dal titolo “Il vecchio e il nuovo”, è stato realizzato
da alcuni tra i più qualificati professionisti Anmil in materia statistica e giuridica ed è stato suddiviso in
due parti: il quadro storico-statistico e quello storico-giuridico. Le cifre peggiori risultano coincidere
con gli anni del boom economico: nel 1963 si contarono complessivamente 1,6 milioni di infortunati e
4.600 morti per incidenti sul lavoro, segnando il picco più alto della storia repubblicana. Da allora
molte cose sono cambiate, l’occupazione femminile è cresciuta di 4 milioni di unità, il rischio di
infortunio si è praticamente dimezzato e le morti sul lavoro si sono ridotte di oltre due terzi. Anche
perché, parallelamente la tutela normativa, sotto la spinta iniziale delle organizzazioni sindacali, ha
fatto passi da gigante fino al “Testo unico della sicurezza” del 2008 che è però ancora in fase di
completa attuazione. «Stiamo vincendo la battaglia - ha sottolineato anche la presidente Anmil - per
tutelare le donne che lavorano dal dover subire passivamente, nella solitudine e nel silenzio, le violenze
psicologiche di genere che le hanno tradizionalmente vessate. Lo stalking, cioé molestie continuative
gravi e assillanti, lo streaming ovvero quelle azioni isolate ostili e stressanti e il mobbing, cioé il terrore
psicologico sul luogo di lavoro non vedono più le donne senza difesa e senza tutela». I dati sono stati
poi illustrati dalla direttrice delle sede Inail di Trieste e Gorizia, Maria Gabriella Grasso che si è
soffermata sull’analisi delle differenze di esposizione al rischio che si riscontrano tra il genere
femminile e quello maschile.
CRONACHE LOCALI
Insiel Mercato, match decisivo il 14 marzo (Piccolo Trieste)
Nulla di fatto al tavolo ministeriale dedicato a Insiel Mercato e aggiornamento a lunedì 14. Ieri mattina
è iniziato il confronto al dicastero del Lavoro riguardo alla vertenza che interessa l’azienda, che opera
nel comparto dell’informatica sanitaria ed è controllata da Tbs Group. La riunione è decollata nella
tarda mattinata sotto la supervisione del dirigente ministeriale Andrea Annesi. Per Insiel Mercato
“capo-delegazione” era l’amministratore delegato Alberto Steindler, accompagnato dal responsabile del
personale Tbs Nicola Seren. A Roma anche un funzionario di Confindustria Venezia Giulia. I sindacati
erano presenti con Fiom e Fim: Alexander Vecchiet e Maurizio Balzarini pilotavano la pattuglia della
prima sigla, Umberto Salvaneschi rappresentava la categoria cislina. La Regione autonoma ha
“conferito” ben due assessori, Paolo Panontin, che segue le attività informatiche, e Loredana Panariti,
che detiene la delega al Lavoro. Le posizioni si sono ben presto cristallizzate. La parte datoriale ha
confermato il menu già illustrato ai sindacati giulio-friulani una settimana fa: 22 esuberi (di fatto 19),
70 Casse integrazioni straordinarie per un anno e, al termine dei 12 mesi, 12 esuberi più tre
trasferimenti. Le 70 Cigs riguardano 12 “a zero ore”, 3 trasferimenti, 4 eccedenze da gestirsi con 55
Casse a rotazione per due giorni al mese. D’accordo Fiom e Fim nel respingere le richieste di Insiel
Mercato. Un “no” che si articola su tre punti: un anno di solidarietà (ad aggiungersi ai due già
compiuti), ritiro degli esuberi, presentazione di un piano industriale, coinvolgimento della Regione
Fvg. Il coinvolgimento regionale è motivato dalla peculiare genesi di Insiel Mercato, nata all’inizio del
2009 da uno spin-off da Insiel e ceduta successivamente a Tbs Group. Fino alla fine di gennaio il
“contact center” di Insiel Mercato copriva, mediante un contratto definito con la Regione, una serie di
attività: attività che la Regione ha poi deciso di “internalizzare” utilizzando personale Insiel. In poche
parole, la decisione regionale ha determinato l’esubero del “contact center”. Questa è la ragione per cui
i sindacati hanno sollecitato il presidio istituzionale della Regione: in assenza di note ufficiali da parte
istituzionale, Vecchiet (Fiom) ha riferito che Panontin (a Roma per altri impegni) ha chiesto di studiare
la situazione venutasi a creare. Da ciò il rinvio della discussione a lunedì prossimo. I sindacati - rileva
ancora Vecchiet - non sono soddisfatti della piega che ha preso la vertenza. Temono che l’opzione
“solidarietà” sia difficilmente percorribile. Sollecitano «maggiore serietà» da parte della controparte
aziendale. Stamane alle 10 saranno in Prefettura per la cosiddetta procedura “di raffreddamento” : si
stabilirà il servizio minimo qualora scatti - come probabile - lo sciopero. magr
Sessanta giorni per costruire il dopo Ezit (Piccolo Trieste)
di Massimo Greco Sergio Bolzonello, vicepresidente della Regione, detta con poche ma abili mosse
l’agenda di lavoro per costruire il dopo Ezit. Le volontà della Regione Fvg sono state esposte ieri
mattina nell’aula consiliare del Comune triestino dove erano riuniti i principali “portatori d’interesse”
del territorio giuliano: istituzioni, industriali, artigiani, sindacati. Bolzonello auspica che al posto del
liquidando Ezit sorga un consorzio, così come configurato dalla legge regionale “Rilancimpresa” varata
un anno fa. Che sia una struttura amministrativa agile con una “governance” snella, si è raccomandato
l’esponente giuntale. Non serve moltissimo tempo per costruire il percorso: Bolzonello sostiene che 60
giorni possono essere sufficienti per andare a dama, ma una prima, sostanziale risposta dal mondo
politico-economico triestino è bene che giunga in Regione nel giro di un paio di settimane. Perchè la
costituzione del consorzio “post Ezit” passerà al vaglio del Consiglio regionale. Se il “contenitore” è
approntabile con relativa rapidità, spetta invece alle rappresentanze territoriali - ha precisato il “vicario”
regionale - provvedere al “contenuto”, cioè decidere chi farà parte dell’impianto consortile. In altri
termini, quali saranno i soci. Vecchio cestista, Cosolini ha preso la palla al balzo per poi tirare verso tre
canestri. Ovvero, ha chiesto una veloce ricognizione di chi vuole partecipare al progetto-consorzio e ha
premesso che, a differenza di un troppo lungo passato, la nuova parola d’ordine sarà «evitare la
frammentazione» delle competenze e degli sportelli nei quali l’impresa è costretta a rimbalzare tra i
quattro cantoni. Il sindaco si è inoltre augurato che nel dopo-Ezit abbia posto e ruolo l’Autorità
portuale, in quanto industria-logistica-banchina sono fattori produttivi assolutamente collegati (anche
dal punto di vista topografico). Detto e fatto: primo appuntamento per gli uomini di buona volontà
lunedì 21 marzo con una probabile appendice mercoledì 23. Non sfugge che le prossime scadenze
elettorali (Trieste e Muggia) possano rappresentare un valido propellente per stringere i tempi: se 60
giorni saranno sufficienti per dare alla luce la creatura - come pensa Bolzonello - in teoria Cosolini &
Nesladek ce la possono fare a trainare i soggetti imprenditoriali. Il presidente di Confindustria Vg,
Sergio Razeto, è parso disponibile. Più prudente Dario Bruni per Confartigianato, che probabilmente
vuole capire quale sarebbe il costo consortile per la micro-impresa. Favorevole Giancarlo Carena
(Cna). Adriano Sincovich (Cgil) e Roberta Vlahov (Ugl) hanno raccomandato celerità e niente
“spezzatini” di competenze. Inoltre Bolzonello è stato cortesemente tranchant con le caute ambizioni
nutrite dalla Camera di commercio, presente con il presidente Paoletti: l’ente camerale gestisce
contributi per 10,8 milioni di euro destinati alle imprese e questo compito le può bastare. Il
vicepresidente, in seguito alle polemiche e ai dubbi creati dalla liquidazione dell’ente, ha voluto
puntualizzare l’intero ambito tematico del commissariamento chiamando a raccolta i dirigenti Franco
Milan, Lidya Alessio-Vergnì, Roberto Schak. Proprio Schak, che lavora all’Ambiente, ha voluto
rassicurare che il programma di bonifiche relativo al Sin non subirà rallentamenti. Il piano unitario di
caratterizzazione attende la conferenza di servizi “decisoria” in sede ministeriale, poi partiranno gli
affidamenti per l’effettuazione dei test di cessione. Per quanto riguarda i terreni Ezit, tempo 3-4 mesi
per procedere alla gara per l’analisi di rischio.
Lo scontro sulle soglie Isee infiamma i lavori di Palazzo (Piccolo Trieste)
di Pierpaolo Pitich Il caos Isee infiamma la seduta congiunta della prima e seconda commissione
consiliare. Una convocazione urgente chiesta da Paolo Rovis (Trieste Popolare), alla luce della
sentenza del Consiglio di Stato che ha rigettato il ricorso del governo, ribadendo quanto affermato dal
Tar del Lazio e cioè che le pensioni di invalidità, le indennità di accompagnamento e tutte le altre
forme risarcitorie per persone disabili non possono essere considerate fonti di reddito come stabilito in
un primo tempo. Due le mozioni presentate a riguardo. La prima da Marino Andolina (FdS) che invita
sindaco e assessore competente a «prendere atto di tale sentenza e ad attuare tutte le misure affinché il
ricalcolo dell'Isee per chi lo richiede risulti gratuito». La seconda a firma Everest Bertoli (Fi), che
impegna gli assessori competenti a «modificare i termini per la presentazione dei nuovi modelli per
accedere a tutti i servizi almeno al prossimo 30 giugno». A delineare la situazione attuale il direttore
dell'area servizi sociali del Comune Mauro Silla. «Va precisato che la certificazione Isee non è di
competenza del Comune o dei Caf, ma dell'Inps, attraverso un’applicazione informatica che viene
aggiornata in modo automatico e riguardo la quale al momento non vi è certezza sui tempi - ha spiegato
Silla -. Concretamente ci potrebbero essere delle persone che, a causa di questo problema, hanno
ricevuto dei benefici inferiori sul fronte dei servizi o che sono state totalmente escluse dagli stessi.
Adesso l'impegno è quello di affrontare caso per caso. Se si tratta di contributi comunali procederemo
con l'autotutela e il ricalcolo della prestazione economica. Nel caso di contributi regionali chiederemo
all'ente come muoverci per il conguaglio degli importi dovuti e per sanare gli errori». Poi gli interventi
dei consiglieri. «La legge nazionale è una vera e propria porcata sulla pelle dei più deboli - ha attaccato
Bertoli -. Serve una proroga nei termini di presentazione per evitare che al danno si aggiunga la beffa».
Per Marino Andolina (FdS) si tratta di «un pasticcio gigantesco che ha creato una situazione molto
seria. Come partito stiamo valutando l'ipotesi di un esposto all'Inps». Per Piero Camber (Fi): «il rischio
è di generare una sorta di impasse con il blocco delle migliaia di domande per accedere ai diversi
servizi sociali», mentre per Paolo Rovis (Tp): «l'auspicio è che le verifiche vengano fatte d'ufficio per
favorire i cittadini». C'è anche chi va all'attacco dell'amministrazione comunale. «È passato un anno
dalla pronuncia del Tar ma non si è fatto nulla in vista di una sentenza prevista e prevedibile»- incalza
Claudio Giacomelli (FdI) che ricorda «l'emendamento di Fratelli d'Italia alla legge di Stabilità che non
prevedeva il calcolo dell'indennità di accompagnamento, ma bocciato dal Pd, che è quindi
corresponsabile del disastro», mentre per Carlo Grilli (Gruppo Misto): «il Comune aveva un obbligo
morale nel garantire un servizio a famiglie in difficoltà». Sugli scudi anche il fronte di sinistra, con
Iztok Furlanic che ha parlato di «un atto di estrema arroganza del governo nazionale ed è scandaloso
che in un anno non si sia fatto nulla per cambiare la situazione», mentre Marino Sossi (Sel) si chiede se
«gli enti locali tutelino ancora i cittadini e soprattutto se esista ancora uno stato di diritto ed il rispetto
delle istituzioni». La voce del Pd è quella di Manuel Zerjul, per il quale: «la questione Isee si sviluppa a
livello nazionale ed il Comune in questo caso può fare ben poco», mentre per Paolo Menis (M5S): «la
battaglia sull'Isee non è stata vinta da qualche partito come qualcuno ha millantato, ma da chi ha fatto
ricorso al Tar contro il governo e che poi ha vinto anche al Consiglio di Stato». Chiusura affidata agli
uffici comunali che hanno chiarito che «l'attività dei servizi sociali prosegue con regolarità in attesa
degli aggiustamenti Isee. Il problema riguarda le situazioni pregresse: a tal fine si percorreranno più
strade per tutelare tutte le situazioni possibili».
Gorizia più povera, 122 sfratti per morosità (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain È sempre stato un problema tipicamente monfalconese. Parlavi di “sfratti” e pensavi
subito alla città dei cantieri, quasi fosse un riflesso condizionato. Ma oggi anche a Gorizia, nella
tranquilla Gorizia, nella città che negli anni passati si piazzava stabilmente nelle posizioni al vertice
delle classifiche sulla qualità della vita, il problema dei senza-casa sta diventando un autentico
problema, a riprova che la crisi morde ancora e sta colpendo duro. Senza pietà. Statistiche preoccupanti
Iniziamo dai numeri. Oggi, in tutta la provincia, sono centocinquantotto le persone che hanno lo sfratto
esecutivo in tasca. In soli 12 mesi, c’è stato un aumento che sfiora il 10 per cento. Quello che fa
maggiormente preoccupare è che nella stragrande maggioranza dei casi (122 su 158) non sono più,
come un tempo, frutto della scadenza contrattuale ma derivano dalla morosità dell’inquilino. Pertanto,
il fenomeno degli sfratti, da queste parti, riguarda quasi esclusivamente il disagio economico delle
famiglie. Le famiglie non riescono più a sostenere le cifre decretate dal libero mercato, nonostante si
tratti di somme molte volte contenute se raffrontate con quanto succede nel resto d’Italia. Limitando il
discorso alla sola Gorizia, gli sfratti pendenti sono oggi 61, il triplo rispetto a soli tre anni fa. La
posizione di Federcasa Complice la crisi, è in aumento il numero di casi di morosità incolpevole:
locatari, cioè, che non riescono per più mesi a far fronte al pagamento del canone d’affitto, dopo aver
perso il lavoro o dopo aver comunque visto mutare drasticamente le proprie condizioni reddituali.
«L’aumento, soltanto negli ultimi due anni, è stato del 10 per cento», spiega il segretario provinciale di
Federcasa, Fulvio Fantini. E uno degli aspetti più preoccupanti che riguarda l’emergenza abitativa, che
non risparmia neppure Gorizia. «È sotto la luce del sole che c’è sempre un maggior bisogno di alloggi,
sempre più richiesta, sebbene la popolazione sia in costante e progressivo calo - denuncia Fantini -. E
in tutto questo, soltanto nel capoluogo, ci sono tantissimi appartamenti di proprietà pubblica sfitti, che
vanno riattati: è semplicemente inconcepibile». Fantini ha qualcosa da ridire anche sull’ultimo bando
redatto dall’Ater relativo ai 60 alloggi popolari previsti dal “Contratto di quartiere” della
Campagnuzza. «Vi invito a leggere attentamente il bando: scoprirete che non c’è spazio per coloro che
sono stati colpiti da sfratto per... morosità incolpevole. In più, c’è un’altra novità peggiorativa
riguardante l’uomo separato. Insomma, da qualsiasi parte la si guardi, Gorizia non è più un’isola
felice». La situazione nel resto della regione A Trieste, tanto per guardarsi un po’ attorno, risultano
esserci 453 sfratti; a Udine il loro numero ha raggiunto quota 409. Pordenone, in rapporto al numero di
abitanti, è quella che sta meglio con 275 procedure aperte. Giustamente preoccupato l’assessore
provinciale al Welfare, Ilaria Cecot. Che sviluppa questo ragionamento: «La situazione, purtroppo, non
è migliorata nonostante il Job act, nonostante l’importantissima misura del reddito di sostegno. Ricevo
segnalazioni giornalmente di persone che non ce la fanno più e di famiglie in grandissima difficoltà».
Cecot lancia un appello forte e chiaro: «È quantomai urgente - dice - che si sblocchi la situazione del
reddito di sostegno: la gente non ha più un euro in tasca e non può fare nulla. Inoltre, è necessario
potenziare le poste relative ai contributi taglia-affitti».
«Carcere, la cucina fa schifo. Intervenga l’Aas» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
«Chiederemo un intervento dell'Azienda Sanitaria, per verificare le condizioni di salubrità delle cucine
e di altri ambienti del carcere». Se sulla situazione di degrado e inadeguatezza della casa circondariale
di Gorizia ormai da tempo ci sono pochi dubbi, l'allarme del segretario Triveneto della Uil Polizia
Penitenziaria Leonardo Angiulli getta nuovi interrogativi sul carcere di via Barzellini. Ieri Angiulli assieme al collega Umberto Carrano e alla rappresentante locale della sigla sindacale degli agenti di
polizia penitenziaria Patrizia Di Fiore - ha effettuato nel carcere un sopralluogo con tanto di reportage
fotografico nell'ambito dell'iniziativa nazionale "Lo scatto dentro", per testimoniare le condizioni in cui
il personale di sicurezza è costretto ad operare, e i detenuti sono costretti a vivere. «La struttura è stata
recentemente interessata, almeno in parte, da una ristrutturazione da un milione di euro - spiega
Angiulli -, ma le sue condizioni sono ugualmente al limite della decenza. Anzi, riteniamo che questo
limite sia stato superato. In particolare ci hanno colpito i locali della cucina per i pasti dei detenuti, che
si trova al livello interrato e si presenta in condizioni tali da spingerci a chiedere all'Azienda Sanitaria
un sopralluogo. A nostro parere non ci sono le condizioni di igiene e salubrità necessarie». Dalle foto
scattate dai sindacalisti si vedono chiaramente le macchie di umidità e la vetustà degli spazi, mentre si
possono solo immaginare gli odori descritti dai membri della Uil. Ma anche i camminamenti sui muri
di cinta sono ricoperti di muschio e allagati, i locali di servizio sono malridotti, le pareti scrostate, le
docce ricoperte di muffa. «La vera criticità poi sono le postazioni degli agenti, a dir poco inadeguate dice Angiulli -. E il personale, durante il giorno, non ha nemmeno a disposizione un bagno, visto che
questo si trova in una cella nell'area occupata dai detenuti». C'è poi il capitolo risorse umane. A fronte
di una pianta organica di un'ottantina di agenti, sono in servizio appena in 31 (per 37 detenuti totali),
con un agente che spesso deve coprire tre posizioni contemporaneamente. «Ed è capitato - assicurano i
sindacalisti - che un turno fosse coperto da un solo agente presente in tutto il penitenziario. E' chiaro
che in queste condizioni la sicurezza non può essere garantita». Ecco allora che la Uil Penitenziari
chiede da un lato nuove assegnazioni di personale per Gorizia, dall'altro di sbloccare il milione e
300mila euro necessario per realizzare i lavori del secondo lotto sulla struttura. E, ancora, invita il
sindaco Romoli e la governatrice Serracchiani «a fare un giro tra i locali del carcere».m.b.
Convincere l’Austria: imprenditori pronti a interrare la linea (M. Veneto Udine)
di Maura Delle Case UDINE L’imprimatur europeo, riaffermato dal commissario per l’energia e il
clima in risposta a una interrogazione dell’europarlamentare Isabella De Monte (Pd) è tutt’altro che un
dettaglio. Promette anzi d’essere decisivo per la futura realizzazione dell’elettrodotto SomplagoWurmlach. Inserito tra le 195 opere energetiche ritenute strategiche dalla commissione Ue, eppure al
palo da 10 anni. Ora, la società proponente, Alpe Adria Energia, emanazione dei gruppi Pittini, Fantoni
e Burgo, è pronta, anche in ragione di questa riaffermazione, a cercare una soluzione che possa far
superare al progetto anche l’ultimo scoglio. Vale a dire l’impatto paesaggistico che ha spinto l’Austria
a bocciare il progetto e la Regione a non inserirla nel piano energetico. Come? Interrando la linea.
«Stiamo cercando di concertare una soluzione che accolga quanto auspicato dalla giunta - afferma il
capo progetto, Fabrizio Scaramuzza - che ha manifestato il desiderio di veder interrati gli elettrodotti ed
evitata la duplicazione delle linee lì dove ce ne sono di esistenti». Tempi? «Due anni, se tutto andrà
bene». Poi precisa: «Intendiamo rispettare i desiderata del territorio e ci prepariamo a parlare
nuovamente con la Regione prima di concludere l’iter per la parte italiana». Incassato il decreto
interministeriale sulla positiva valutazione d’impatto ambientale ora non manca infatti che la
conferenza dei servizi conclusiva, «ma ripeto, per rispetto attendiamo di quadrare il cerchio con il
territorio». Una mediazione fondamentale anche per superare la chiusura manifestata dall’Austria e
arrivare a realizzare l’elettrodotto. Strategica, per l’appunta, la recente e nuova presa di posizione della
Commissione europea in risposta a una interrogazione della De Monte. La risposta è arrivata proprio in
questi giorni, firmata dal commissario europeo per il clima e l’energia: «La commissione si metterà in
contatto con le parti interessate - scrive a De Monte il commissario Arias Canete - per assicurare che il
progetto sia attuato secondo le disposizioni del regolamento Ue, in particolare per quanto riguarda il
procedimento di rilascio delle autorizzazioni, la relativa durata e i principi della partecipazione
pubblica». Una “benedizione” all’ipotesi di mediazione. Sul fronte dell’elettrodotto Udine-Redipuglia,
la cui strategicità è stata ribadita dalla presidente, Debora Serracchiani, Terna sta procedendo con la
nuova procedura di Via per superare lo scoglio del rilievo ministeriale. Duro il commento di Cristian
Sergo del M5s: «Serracchiani dovrebbe dimettersi visto il suo tentativo di delegittimare la magistratura
dimenticando che la carta che manca è l’autorizzazione a costruire».
«Coinvolgere subito i Comuni»
UDINE Quando sentono la parola “interrato” si rilassano. Il tono di voce cambia e quell’iniziale
atteggiamento sulla difensiva, divenuto negli anni una reazione epidermica dinanzi al suono
Wurmlach-Somplago, sembra attenuarsi. Una nuova ipotesi progettuale per l’elettrodotto? Sindaci e
comitati della Carnia paiono disposti ad approfondirla, se quella vecchia diventi carta straccia e finisca
nel cestino. Contro l’elettrodotto aereo i sindaci della montagna friulana con loro i comitati si battono
da anni. Stessa determinazione. Da Tolmezzo fino a Paluzza, al valico di Monte Croce, dove il tricolore
cede il passo alla bandiera austriaca. Insindacabile il “no” che nel tempo è dilagato tra la gente, ha
animato più d’una manifestazione e la cui eco è arrivata fino al Capo dello Stato, al quale nel 2014 i
sindaci della Valle del But si sono rivolti per chiedere l’annullamento del decreto interministeriale
relativo alla valutazione d’impatto ambientale dell’opera. Alla loro contrarietà si è aggiunto il “niet”
austriaco, che ha cassato il progetto ritenendolo paesaggisticamente impattante, e pure la posizione
della Regione che non lo ha inserito tra le infrastrutture del suo piano energetico. A meno della
disponibilità a valutane l’interramento da parte della società proponente. Oggi i tempi sembrano maturi.
Ma dopo tanti anni è difficile azzerare le perplessità e nella voce di chi ha combattuto questa battaglia
in prima linea è difficile non leggere un filo di amara ironia. «In più d’una situazione - ricorda
Antonino Galassi, portavoce del Comitato di Paluzza - ci hanno raccontato che interrare l’elettrodotto
era impossibile, non ultimo per il costo esagerato. Gli abbiamo sempre risposto che se l’opera era
necessaria, cosa di cui continuiamo a dubitare fortemente, quello dei costi non era una problema nostro,
ma loro. Ora si dicono pronti a tornare sui propri passi? La nostra posizione non cambia. Ribadiamo: se
è necessario lo facciano interrato. Punto e basta». Margini di trattativa non ce n’è. L’infrastruttura aerea
che dovrebbe portare energia da Wurmlach a Somplago, correndo lungo 45 chilometri, di cui 11 in
territorio austriaco, passerebbe stando all’ultimo progetto attraverso Paluzza, Cercivento, Sutrio,
marginalmente toccherebbe Arta Terme, quindi Zuglio, Tolmezzo e infine Cavazzo Carnico. «Uno
scempio» secondo Galassi: «L’elettrodotto aereo si tradurrebbe in un tremendo disastro ecologico
poiché attorno ai tralicci andrebbe disboscata una fascia di competenza di circa 60 metri, con pesanti
ripercussioni ambientali e paesaggistiche. Immaginiamo di vedere sulla costa dello Zoncolan i tralicci
dell’elettrodotto Udine-Redipuglia. Una cosa mostruosa». Sottoscrive il sindaco di Cercivento, Luca
Boschetti, che pure si dice pronto a discutere. «Siamo stufi - afferma - d’essere chiamati in causa a cose
fatte e accusati di impedire lo sviluppo economico. Se finalmente s’inizia a valutare la soluzione
interrata vorrei che i Comuni fossero coinvolti subito. Dall’inizio. Per verificare soluzioni, chiedere
garanzie, dare il proprio contributo e - conclude il sindaco - mettere i necessari paletti». Dai tre progetti
iniziali - di Pittini, Fantoni e Burgo - si è arrivati ad un’unica proposta, da rivedere, ma con uno
“sponsor” niente affatto trascurabile, di stanza a Bruxelles. (m.d.c.)
Travesio, mobilità per i 51 del cementificio (M. Veneto Pordenone)
TRAVESIO Non bastasse la vicenda della Sintesi di Spilimbergo, un’altra pesantissima tegola è pronta
ad abbattersi sull’economia dello Spilimberghese. Finito il periodo di cassa integrazione straordinaria e
vista la volontà espressa dall’azienda di non riattivare più la linea di produzione (ferma da un paio di
anni), da martedì 22 marzo scatterà la procedura di mobilità per tutti e 51 gli addetti del cementificio
Buzzi Unicem di Usago. Ad anticipare quanto da quella che si sperava fosse solo un’ipotesi,
confidando in una ripresa del mercato, si è drammaticamente tradotta in realtà, era già stato alcune
settimane fa lo stesso sindaco di Travesio Diego Franz al termine di un colloquio con la proprietà dello
stabilimento. Che le cose alla Buzzi Unicem non andassero granché bene purtroppo non era affatto una
novità data appunto la produzione ferma e il forno spento che per un impianto produttivo come un
cementificio è il cuore dell'azienda. Schiacciante il peso della crisi dell’edilizia, oltre a quello della
concorrenza spietata degli stabilimenti della Slovenia: nel giro di un quinquennio, la capacità
produttiva dell’impianto travesiano si è ridotta da un potenziale di 300 mila tonnellate di cemento
prodotte nel 2008 alle appena 80-90 mila tonnellate del 2014. Numeri impietosi dinanzi ai quali anche i
rappresentanti sindacali delle maestranze si sono dovuti “arrendere”, arrivando alla sigla di un accordo
di mobilità per tutti i lavoratori: «Purtroppo, non avendo più alcun tipo di ammortizzatore sociale che
possa mantenere i lavoratori all'interno dell'azienda, è stato sottoscritto un accordo che prevede la
mobilità, e quindi il licenziamento, per tutti e 51 i lavoratori vista la cessazione dell’attività
produttiva», spiega Simonetta Chiarotto della Fillea Cgil, precisando che l’accordo sottoscritto prevede
«sia il ricollocamento su base volontaria di quei lavoratori disponibili a spostarsi nelle altre aziende del
gruppo Buzzi Unicem (scelta al momento compiuta da 6 addetti) sia l'impegno, nel caso in cui lo
stabilimento travesiano dovesse riprendere l'attività, anche acquistato da terzi, che i lavoratori oggi
espulsi siano reintegrati». Di certo c’è che almeno per i prossimi tre anni l’impianto di Usago non sarà
smantellato: c’è un accordo per la cessione dello stabilimento all’austriaca Wietersodorfer, che ha una
opzione per l’acquisto.(g.z.)
Atap, i soci pubblici ora vogliono scendere (M. Veneto Pordenone)
Nell’epoca della dematerializzazione dei documenti, occasione di risparmio e di rispetto dell’ambiente,
i documenti di Atap viaggiano ancora in carta e per posta. Ai Comuni soci, infatti, è stata trasmessa la
copia cartacea delle modifiche dello statuto. E nei prossimi giorni possiamo immaginare addetti dei
municipi alle prese con le fotocopiatrici per stampare le copie che serviranno a consiglieri che
dovranno votare i documenti. L’iter prevede infatti che la bozza sia approvata dai consigli comunali
degli enti soci: diciannove Comuni e la Provincia. E, buona regola, è che ai consiglieri comunali siano
consegnate le copie dei documenti che vanno in approvazione. Forse sarebbe stata meglio una
trasmissione via posta elettronica: evitando di sprecare carta. I consiglieri avrebbero potuto consultare
gli atti on line e stamparli solo se necessario. (d.s.)di Donatella Schettini Sono solo poche righe, ma in
grado di cambiare l’assetto della società. E se la società si occupa di trasporto pubblico locale – Atap –
e la modifica consiste nel infrangere il tabù della maggioranza pubblica, poche righe fanno la
differenza. E soprattutto possono far nascere la preoccupazione di alcuni sindaci. Scadenza. Entro l’8
aprile diciannove Comuni, la Provincia di Pordenone e i singoli soci privati (una ventina di persone
fisiche, a cui si aggiunge la società stessa che ha quote proprie) dovranno approvare le modifiche allo
statuto di Atap. Cambiamenti considerati importanti tanto che alcuni primi cittadini hanno già chiesto
un incontro chiarificatore al presidente della società Mauro Vagaggini. Se le variazioni passeranno,
sarà ampliato anche l’oggetto sociale: una alternativa qualora la gara regionale per il trasporto pubblico
locale non dovesse dare il risultato sperato?. Quote. La modifica più importante prevista dalla bozza del
nuovo statuto è indicata all’articolo 5 dove viene cancellato il secondo comma: scompare
l’affermazione che “la quota di partecipazione degli enti pubblici territoriali della provincia di
Pordenone non potrà in ogni caso essere inferiore del 51 per cento del capitale sociale, salvo diversa
delibera dell’assemblea straordinaria”. Comma che garantiva che la società per la maggioranza delle
sue quote rimanesse in mano pubblica, degli enti locali. Attualmente la parte pubblica è in mano per il
60 per cento circa alla Provincia e al Comune di Pordenone (guidati entrambi da Claudio Pedrotti), e il
resto diviso tra 18 Comuni. In base al nuovo statuto la prelazione nella cessione non sarà più solo dei
soci pubblici. E se i soci non fossero interessati chi decidesse di vendere potrà farlo direttamente
comunicando agli altri a chi intende trasferire le proprie quote. Core business. L’altra pesante modifica
riguarda l’articolo relativo all’oggetto sociale. Già modificato alcuni anni fa per permettere l’ingresso
nell’ambito dei rifiuti, adesso si amplia ulteriormente. Una modifica dettata probabilmente dalle
preoccupazioni per l’incertezza della gara regionale per il tpl. Così in futuro Atap potrà anche
reinventarsi come autoscuola per il conseguimento della carta di qualificazione del conducente e ogni
attività amministrativa “finalizzata all’ottenimento di ogni licenza, permesso, diploma e titolo
abilitativo previsto dalla normativa in materia di trasporto di persone o cose con qualsiasi mezzo”.
Previsto anche l’esercizio di noleggio di rimessa autobus con conducente e l’esercizio, con o senza
conducente, di noleggio autovettura di rimessa ad altri soggetti terzi. Una serie di possibilità aggiuntive
potenzialmente in grado di garantire la vita della società anche nel caso che la gara per il trasporto
pubblico locale venisse persa. Preoccupazione. Modifiche che hanno fatto nascere timori in alcuni soci.
A preoccupare principalmente è la modifica all’articolo 5 e la cancellazione del limite del 51 per cento
garantito agli enti pubblici della Destra Tagliamento. In vista dei consigli comunali in cui dovranno
illustrare il nuovo statuto, alcuni sindaci vogliono avere chiarezza: le amministrazioni comunali di
Aviano, Fontanafredda, San Quirino e Roveredo in Piano nei giorni scorsi hanno chiesto un incontro al
presidente di Atap, Mauro Vagaggini.
Supplente, 3 mesi senza stipendio (M. Veneto Pordenone)
di Chiara Benotti FIUME VENETO «Precari della scuola ancora senza stipendio: nell’istituto
comprensivo a Fiume Veneto il caso di Graziella Anguzza è la punta dell’iceberg». Giuseppe
Mancaniello, sindacalista di Fl Cgil, ha segnalato tre mesi di ritardo nei pagamenti dei maestri
supplenti nell’istituto comprensivo fiumano e altrove. «Le storie degli insegnanti che arrivano dal Sud
come Anguzza e fanno i salti mortali tra affitto e carburante (in media, 300 euro al mese) per andare a
scuola, sono l’emergenza quotidiana – riferisce Mancaniello a nome dei supplenti –. Anguzza aspetta il
salario da dicembre 2015. L’acconto da settembre a dicembre 2015 è stato di circa 1.700 euro. Non
bastano, per vivere». Le maestre precarie assunte con supplenze brevi hanno incassato l’ultimo
stipendio a dicembre: lo scaricabarile sui ritardi si gioca tra ministero dell’Istruzione e Tesoro. «Da 80
giorni non ci sono bonifici sui conti correnti di tante maestre precarie a Fiume Veneto e altrove –
Mancaniello chiede il diritto di salario –. Nel Pordenonese sono circa 300». La storia di Anguzza è il
simbolo di quelle delle decine di precari che vivono una situazione assurda. «Lavorano per lo Stato, ma
hanno contratti a termine – sottolinea il sindacalista – e non incassano un euro al mese. I soldi
potrebbero arrivare prima di Pasqua: da Natale 2015 si stanno arrangiando con i prestiti». Non si
contano le richieste di aiuto ai sindacati. Alcuni docenti si sono rivolti agli avvocati per sollecitare i
pagamenti. «Ma tanti vivono con la paura di una ritorsione, dal momento che alcuni di loro hanno i
contratti in scadenza – fa sapere Mancaniello, rilevando come i supplenti si sentano ostaggio della
precarietà –. L’incubo è quello di un mancato rinnovo».