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NOTIZIE DALL’EUROPA E DAL MONDO
NASCE ALLE ISOLE EOLIE IL DODICESIMO BIO-DISTRETTO
ITALIANO
Domenica mattina (6 marzo), a Lipari, è stato apposto il sigillo ufficiale al Bio-Distretto
Eolie. Grande entusiasmo tra i produttori locali e gli operatori turistici per quella che
potrebbe rappresentare un'iniziativa basilare per il miglioramento della qualità della vita
nell'arcipelago: nasce, così, alle isole Eolie il dodicesimo Bio-Distretto italiano, promosso
dall'AIAB.
Decisamente soddisfatto il Presidente di AIAB Sicilia, Alfio Furnari, "gli obiettivi partecipativi
del nascente Bio-Distretto Eolie sono quelli di coniugare il sole, il mare e la storia
dell'arcipelago con la produzione di ambiente, cibo e cultura per lo sviluppo ecosostenibile
che generi una migliore qualità della vita degli abitanti, il mantenimento della straordinaria
biodiversità di interesse agricolo e alimentare e la destagionalizzazione del turismo,
principale risorsa dell'arcipelago".
Il Bio-Distretto è un'area geografica dove agricoltori, cittadini, operatori turistici,
associazioni e pubbliche amministrazioni stringono un accordo per la gestione sostenibile
delle risorse locali, partendo dal modello biologico di produzione e consumo (filiera corta,
gruppi di acquisto, mense pubbliche bio). Nel Bio-Distretto, la promozione dei prodotti
biologici si coniuga indissolubilmente con la promozione del territorio e delle sue
peculiarità, per raggiungere un pieno sviluppo delle potenzialità economiche, sociali e
culturali.
"Il Bio-Distretto ha paramentri sicuri come l'impegno di
una percentuale significativa di aziende agricole
biologiche del territorio - ha detto Vincenzo Vizioli,
presidente AIAB - "Non nasce per essere un accordo tra
sindaci,
ma
tra
operatori
del
territorio
e
amministrazione per dare una spinta allo sviluppo
locale".
(leggi QUI il comunicato stampa ufficiale)
(da AIAB – marzo 2016)
Spopolamento aree montane: ma sono davvero
così marginali?
§§§
OGM: non confondiamo
ricerca e coltivazione
commerciale
§§§
Amazon fa il fruttivendolo. Ne
abbiamo davvero bisogno?
(da Slow Food - marzo 2016)
EMERGENZA PFAS: NEL VENETO SI RISCHIA IL DISASTRO
AMBIENTALE
“Quanto si sta registrando nel Veneto, dove il 52% delle
falde acquifere sarebbe contaminato dalla presenza di
PFAS, molecola velenosa utilizzata nei trattamenti
idrorepellenti, conferma quanto pubblicato nel nostro
magazine Ambienti d’Acqua e ribadito, nella recente
Conferenza ANBI a Firenze, da Salvatore Giacchetti,
Presidente Aggiunto Onorario del Consiglio di Stato: in
Italia dovrebbe introdursi il reato di attentato all’ambiente,
affiancandolo al principio di chi inquina paga”.
E’ questo il commento di Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei
Consorzi di Gestione del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI) di fronte alle
preoccupanti notizie, che indicano negli scarichi di un’industria del vicentino, la causa della
contaminazione delle risorse idriche utilizzate dalla popolazione di 79 comuni in 3 province
(Verona, Vicenza e Padova), ma il problema potrebbe estendersi. I PFAS sono sostanze
perfluoroalchilice, utilizzata nel trattamento per rendere idrorepellenti i materiali, ma che,
assunta dall’uomo attraverso la catena alimentare, creerebbe gravi conseguenze
soprattutto al cervello ed al fegato. E’ notizia di questi giorni che l’industria Saint Gobain,
nello stato di New York, deve pagare i danni per un inquinamento causato dalla fuoriuscita
in ambiente della stessa sostanza che, secondo l'Epa, l’agenzia ambientale americana,
sarebbe tra le cause di cancro, malattie della tiroide, colite ulcerosa e colesterolo alto.
“Evitando inutili allarmismi, poiché gli acquedotti ad uso potabile sono già stati dotati di
adeguati filtri ed esprimendo fiducia sull’operato della task force istituita dalla Regione
Veneto – aggiunge Massimo Gargano, Direttore Generale ANBI - non possiamo esimerci
dal sottolineare come, ancora una volta, sia il settore primario a correre i maggiori rischi
per un atteggiamento irresponsabile verso l’ecosistema. Per questo ci allineiamo alla
richiesta di una voce autorevole come quella di Giacchetti nel richiedere l’istituzione di
attentato ai danni dell’ambiente, un reato, di cui proprio l’attività irrigua dei Consorzi di
bonifica è spesso tra le prime vittime”.
(da Asterisco Informazioni - marzo 2016)
** leggi qui di seguito – sullo stesso tema – l’articolo
pubblicato su Ecopolis Newsletter di Legambiente Padova:
PFAS: L’INQUINAMENTO DELLE ACQUE VENETE DIVENTA
UN CASO NAZIONALE
PD ANTIITALIANO VOTA L'INVASIONE DELL'OLIO TUNISINO
Altro che Ministro dell'Agricoltura, chiamatelo Ministro dell'invasione. Maurizio
Martina non ha bloccato in Consiglio europeo l'importazione senza dazio di
70.000 tonnellate di olio tunisino in due anni, dando così carta bianca al
Parlamento europeo che oggi ha dato il via libera definitivo all'invasione.
Il Pd è il grande architetto di questa operazione. É
del Pd Federica Mogherini, l'Alto Commissario per la
Politica estera che ha negoziato la misura direttamente
con il Premier tunisino (che guarda caso è anche uno
dei più grandi produttori di olio del Paese). Sono del
Pd i voti favorevoli nella plenaria di Strasburgo e in tutte
le Commissioni Parlamentari in cui il testo è stato
discusso.
Gli europarlamentari del Pd hanno votato in massa l'invasione dell'olio tunisino. Quando si
tratta di rovinare gli italiani non si spaccano e non litigano come hanno fatto alle primarie
di Napoli o Roma: sono uniti e compatti. Come uniti e compatti sono Renzi e la sua cara
Europa. I portavoce del Movimento 5 Stelle hanno incontrato Federica Mogherini
e a lei hanno spiegato come aiutare la Tunisia senza mettere in ginocchio l'agricoltura
italiana, ma tutti hanno tirato dritto e voltato le spalle agli agricoltori e ai consumatori.
C'è un dato che fa capire a cosa e a chi serve l'olio
tunisino: nel 2015 l'import dalla Tunisia
aumenta del 600% e, sempre nel 2015, si sono
quadruplicate le frodi nel settore degli oli. I
sequestri e le inchieste della magistratura su tutto il
territorio italiano dimostrano che c'è una correlazione
fra aumento dell'import e contraffazione.
VIDEO: Il portavoce M5S porta l’olio di oliva italiano
al Parlamento europeo
Hanno votato a favore del provvedimento i piddini Gianni Pittella, David Sassoli,
Cecile Kyenge e Sergio Cofferati. Non hanno partecipato al voto (avran avuto
vergogna?) Alessia Mosca e Goffredo Bettini che, invece, in Commissione Commercio
Internazionale avevano dato il prima via libera.
Hanno fatto i furbi, invece, altri europarlamentari del Pd (dalla Bonafè alla Picierno):
sapevano benissimo che il provvedimento avrebbe avuto la maggioranza e hanno votato
contro, visto che i loro voti erano ininfluenti rispetto all'esito finale...Gli italiani non sono
stupidi e riconoscono chi li difende davvero e chi fa finta.
A Renzi, e all'Europa delle multinazionali, interessa solo difendere chi
commercializza olio comprandolo a metà prezzo rispetto a quello
italiano. Per gli affari di pochi si compromette la sopravvivenza di molti
piccoli contadini e proprietari terrieri che adesso subiranno il crollo dei
prezzi del loro olio.
Non a caso gli agricoltori sono sul piede di guerra. Le prime proteste organizzate si
terranno a Catania durante il fine settimana. Il Movimento 5 Stelle è al loro fianco. Il
Ministro dell'invasione Martina si dovrebbe vergognare!
(dal Blog di Beppe Grillo – M5S Europa - marzo 2016)
COMUNICATO STAMPA
La società cooperativa sociale Caresà organizza
“La Salute vien mangiando”
corso teorico e pratico per imparare a conoscere il cibo che
mangiamo.
L’iniziativa si svolgerà tra marzo e aprile, in collaborazione con
l’Associazione di promozione sociale TerraMani e l’Associazione
“Nutrizionisti per l'ambiente”.
Piove di Sacco, marzo 2016: “La Salute vien
mangiando” è il titolo del ciclo di incontri - in
aula e in campo - che la società cooperativa
sociale agricola Caresà propone a Piove di Sacco,
nell’ambito della più ampia rassegna “Salute nel
piatto, salute del pianeta” promossa appunto
da Caresà in collaborazione con LegambienteCircolo della Saccisica ed Associazione Al
ritmo del Tam Tam per promuovere il consumo
di cibi sani e valorizzare metodi di produzione meno impattanti per l’ambiente.
“Riteniamo che il nostro contesto lavorativo nasce innanzitutto per promuovere e
stimolare” – spiegano Sara Tognato e Giovanni Badan, soci fondatori della società
cooperativa sociale agricola Caresà – “In quest’ottica i due cicli di incontri sono parte attiva
del nostro sentirci cooperativa sociale. Riteniamo fondamentale porre l’accento sulla
qualità del cibo che consumiamo perché è il nostro carburante quotidiano.
Con questi incontri vorremmo avvicinare tutti coloro che, diversamente da noi, non vivono
quotidianamente a contatto con la terra e i suoi prodotti e renderli consapevoli
dell’importanza di: consumare più cibi di origine vegetale; conoscere chi produce il cibo
che si mangia e prediligere gli alimenti del territorio. Dobbiamo ricordarci sempre che i
nostri acquisti “fanno” cultura e un consumo critico può orientare i produttori a seguire
metodi di coltivazioni meno impattanti per l’ambiente. Crediamo che il cibo sia un valore
prima che una merce di scambio.”
Due le tipologie di percorsi formativi proposti dalla cooperativa Caresà:
 Un primo ciclo di quattro incontri di educazione alimentare - in programma
il 16 e il 30 marzo e il 13 e il 27 aprile alle 20.45 a Piove di Sacco presso il
patronato di Sant’Anna, via Petrarca 1 - durante i quali le biologhe nutrizioniste
Michela Trevisan e Roberta Franceschini illustreranno le caratteristiche e la qualità
degli alimenti utili al nostro benessere; come funziona il corpo umano e di cosa ha
bisogno per stare bene; come scrivere un proprio menù personalizzato; quali sono
gli alimenti per ridurre comuni disturbi di salute e infine alcune informazioni sul
consumo di latticini e glutine. Per partecipare alle serate, organizzate in
collaborazione con l’Associazione di promozione sociale TerraMani e
l’Associazione “Nutrizionisti per l’ambiente”, è obbligatoria l’iscrizione e il
pagamento della quota di 50 euro.
 Un secondo percorso riguarda la coltivazione dell'orto familiare biologico ed è
suddiviso in tre lezioni in programma il 9 e il 16 aprile e il 7 maggio dalle 16
alle 18 presso i terreni Caresà in via San Rocco a Piove di Sacco. L’obiettivo è di
fornire delle conoscenze di base e pratiche del metodo di coltivazione biologico da
applicare facilmente nel proprio orto domestico. Sarà spiegato come aumentare
e ben conservare la fertilità del terreno; come organizzare il proprio piano colturale
anche attraverso un calendario delle semine e dei trapianti; la progettazione degli
avvicendamenti e le tecniche di contenimento dei parassiti e delle erbe infestanti. È
obbligatoria l’iscrizione. Il costo di partecipazione è di 30 euro.
Per informazioni e prenotazioni: scrivere a [email protected] oppure chiamare
Sara Tognato 348-7580206 o Matteo Sardella 345-0604673
CEMENTIFICATO IL 15% DELLE CAMPAGNE IN 20 ANNI
In appena vent'anni il 15% delle campagne è stato abbandonato o cementificato:
ciò significa un territorio grande come la Lombardia. È allarme e gli agricoltori
sono denunciano: «Anche questo contribuisce ai cambiamenti climatici».
Ogni giorno sparisce - precisa la Coldiretti - terra agricola per un equivalente di circa 400
campi da calcio (288 ettari) e quella disponibile non si riesce più ad assorbire
adeguatamente la pioggia perché siamo di fronte ai drammatici effetti dei cambiamenti
climatici che si sono manifestati quest'anno con il moltiplicarsi di eventi estremi, sfasamenti
stagionali e precipitazioni brevi ma intense e il
repentino passaggio dal sereno al maltempo con vere
e proprie bombe d'acqua.
Il risultato è che in Italia - sottolinea la Coldiretti –
oltre 7 milioni di cittadini si trovano in zone esposte al
pericolo di frane e alluvioni che riguardano ben l’88 per
cento dei comuni sull’intero territorio nazionale.
Per proteggere il territorio ed i cittadini che vi vivono
l’Italia - conclude la Coldiretti - deve difendere il
proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile dalla cementificazione
nelle città e dall’abbandono nelle aree marginali con un adeguato riconoscimento
dell’attività agricola che ha visto chiudere 1,5 milioni di aziende negli ultimi venti anni.
QUI trovate la petizione promossa da Daniele Uboldi
collaboratore di Decrescita Felice Social Network: "Fermiamo il consumo di suolo. Un
cambio planetario di paradigma: di meno e meglio".
Firmatela anche voi!!!!
(da Il Cambiamento - marzo 2016)
PERCHÉ IL GLIFOSATO È SPRUZZATO SULLE COLTURE PRIMA
DELLA RACCOLTA?
Il glifosato, l'ingrediente principale dell'erbicida
Roundup della Monsanto, è riconosciuto nel mondo
come il diserbante più usato.
Ciò che non è noto è che gli agricoltori usano il
glifosato anche su colture come grano, avena,
mais, fagioli commestibili e altre colture proprio
prima del raccolto, sollevando preoccupazioni che
l'erbicida potrebbe essere presente nei prodotti
alimentari.
Glifosato utilizzato per accelerare la mietitura del grano
Il professor Charles Benbrook, che ha pubblicato il documento sull'uso quantitativo del
glifosato, conferma che la pratica di irrorazione sul grano, prima della raccolta, con il
glifosato, noto come essiccante, è stata iniziata in Scozia nel 1980. "Gli agricoltori
avevano spesso difficoltà ad ottenere dell grano e dell'orzo completamente asciutti in modo
uniforme in modo che potessero iniziare la raccolta- afferma il professore.
"Così si avvicinò l'idea di uccidere il raccolto (con glifosato) una o due settimane prima
della raccolta per accelerare l'asciugatura della parte bassa della spiga di grano". L'uso di
pre-raccolta con glifosato consente agli agricoltori di raccogliere le colture fino a due
settimane prima di come normalmente avviene nelle regioni più fredde, avvantaggiando le
regioni più a Nord.
La diffusione di questa pratica avvenne, in seguito, nelle aree di coltivazione del grano del
Nord America, come le province degli Stati Uniti e del Canada del Midwest superiore, quali
Saskatchewan e Manitoba. "L'essiccazione forzata avviene principalmente in anni in cui le
condizioni sono umide e il raccolto ha bisogno di tempo per asciugare", ha detto Joel
Ransom, un agronomo a North Dakota State University.
Ransom sostiene quindi che i disseccanti per grano che contengono il glifosato sono stati
uno strumento utile per gli agricoltori. "Aiuta ad accelerare l'asciugatura verso il basso e
controlla le erbacce che infestano il grano e che rallentano la pratica della trebbiatura", ha
detto. "Ha un ruolo importante nelle zone in cui c'è molta umidità".
Ransom afferma che la pratica è aumentata nel corso degli ultimi 15 anni a causa del
tempo umido, come ad esempio nel Dakota del Nord, che è lo stato leader di produzione
di grano negli Stati Uniti, mentre è più comune negli stati del Midwest superiore dove c'è
più umidità; L'essiccazione ha meno probabilità di essere fatta in aree più secche come
Kansas, Oklahoma, Washington e Oregon.
Tutti gli agricoltori convenzionali disseccano il grano.
Secondo un coltivatore di grano in Saskatchewan(Canada) i disseccanti di grano contenenti
glifosato sono comuni nella sua regione. "Penso che ogni agricoltore non biologico in
Saskatchewan utilizzi glifosato ogni anno, sulla maggior parte dei propri acri di grano ", ha
detto il contadino parlando a condizione di rimanere in anonimato.
Ha preoccupazioni circa la pratica: "Penso che gli agricoltori abbiano bisogno di rendersi
conto che tutte le sostanze chimiche che usiamo sono 'cattive' in una certa misura," ha
aggiunto. "Monsanto ha fatto una efficace lavoro di marketing sul glifosato, promuovendolo
come 'sicuro' e 'biodegradabile', e gli agricoltori qui credono ancora sia così anche se tali
affermazioni sono false".
La stragrande maggioranza degli agricoltori in Manitoba, la terza provincia del
Canada che produce più grano – e da cui prende nome la famosa farina di grano tenero
usata anche da noi - utilizzano molto glifosato sul grano, ha detto Gerald Wiebe,
contadino e consulente agricolo. "Direi che il 90 al 95% di ettari di grano in Manitoba sono
spruzzati in pre-raccolta con glifosato. L'eccezione si avrebbe solo in zone aride della
provincia in cui i livelli di umidità al momento del raccolto non sono un problema", ha
concluso.
Una pagnotta di pane al glifosato
Eppure, ci sono ovvie preoccupazioni perché il
glifosato sia presente nei prodotti alimentari. "Ci è
stato detto che questi (residui di glifosato) sono
troppo piccoli per essere rilevati, ma ci possiamo
credere?”, chiese il contadino dello Saskatchewan.
"Penso che tutti, anche i contadini che utilizzano e
amano il glifosato, non mangierebbero un pezzo di
pane con il glifosato".
Un
altro contadino, Wiebe, condivide le
preoccupazioni simili: "I consumatori non si
rendono conto che quando acquistano prodotti di grano come farina, biscotti e pane,
soprattutto integrali, si stanno esponendo a residui di glifosato". "È barbaro mettere
glifosato nel cibo un paio di giorni prima di raccoglierlo".
Potete immaginare la risposta del pubblico se sapesse che il glifosato viene
spruzzato sull'avena dei loro cereali per colazione solo poche settimane prima
che siano prodotti?
(da Bio@gricoltura Notizie di AIAB - marzo 2016)
TUTTO QUELLO CHE C'È DA
SAPERE SUL REFERENDUM
“NO TRIV” DEL 17 APRILE
Il prossimo 17 aprile si terrà un referendum
popolare.
Si
tratta
di
un referendum abrogativo, e cioè di uno
dei pochi strumenti di democrazia diretta
che la Costituzione italiana prevede per richiedere la cancellazione, in tutto o in parte, di
una legge dello Stato. E riguarderà le concessioni estrattive per le piattaforme entro le 12
miglia.
Come si spiega qui è stato proposto "da 10 Regioni italiane (Abruzzo, Basilicata, Marche,
Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise; l’Abruzzo ha poi ritirato il
suo sostegno ai quesiti)".
Purtroppo non è stato possibile accorparlo con le imminenti amministrative di giugno
perché "È intervenuta invece una legge della Repubblica Italiana, approvata nel 2011, nella
disputa riguardante la possibilità di un “Election Day” ovvero l’accorpamento delle votazioni
amministrative con il quesito referendario. Proprio il citato “decreto 98/2011″ esclude
l’ipotesi che le due consultazioni possano avvenire in concomitanza l’una con l’altra".
Tutto questo costerà circa 300 milioni di euro.
In questi giorni sta girando un utile FAQ con domande e risposte sulla consultazione fatta
dai comitati territoriali. La pubblico qui in basso. Internazionale ha messo in rete una
propria FAQ dove si spiegano anche quali sono i siti interessati dal provvedimento. In rete
c'è anche un video di Greenpeace ed un altro autoprodotto. Mentre invece ComuneInfo ha pubblicato un articolo denuncia che racconta un po' l'insieme delle vertenze di tutti
i territori coinvolti: Il referendum che spaventa l’Eni.
Il referendum è comunque un esercizio di democrazia. E' importante perché, di fatto, apre
la campagna referendaria sui diritti sociali (scuola, lavoro, beni comuni) e perché riguarda
temi importanti che toccano la vita delle persone sui quali non si viene generalmente
consultati. Motivo in più per sapere di cosa si tratta e provare a bucare la cappa di
silenzio che è già calata su tutta la questione da qualche settimana.
** leggi QUI l’articolo completo che spiega tutti i dettagli **
(da Act!-Agire.it - marzo 2016)
Leggi anche:
TRIVELLE FUORILEGGE: ECCO COME LE
PIATTAFORME ITALIANE INQUINANO
ACQUA E AMBIENTE
da greenme.it - marzo 2016
LA BENZINA "BIO" RISCHIA DI TOGLIERE IL CIBO AL PIANETA
I ricercatori del Politecnico di Milano: con i terreni coltivati per produrre i
biocarburanti si possono sfamare 280 milioni di persone.
Grano e soia, mais e canna da zucchero coltivati per
alimentare le auto, attraverso la produzione di
biocarburanti di prima generazione che promettono di
ridurre il ricorso al petrolio, se fossero usati invece
come cibo, potrebbero sfamare un terzo delle persone
malnutrite nel mondo.
L'allarme per l'impatto delle benzine 'bio' sulla sicurezza
alimentare - impatto destinato ad aumentare col
crescere della popolazione mondiale - arriva da un team di ricercatori del Politecnico di
Milano. Stando al loro studio, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, nel 2013 per i
biocombustibili si sono utilizzati il 4% delle terre agricole e il 3% dell'acqua dolce dedicata
alla produzione di cibo: un quantitativo di risorse naturali sufficiente a dar da mangiare a
280 milioni di persone, se impiegato per l'agricoltura.
In base ai dati, nel 2013 abbiamo bruciato 65 milioni di tonnellate di bioetanolo e 21 milioni
di tonnellate di biodiesel a livello globale. Alla loro produzione sono stati destinati 41,3
milioni di ettari di campi e 216 miliardi di metri cubici d'acqua. L'Italia è il quinto
consumatore mondiale - dopo Usa, Brasile, Francia e Germania - di biodiesel, cui ha
dedicato 1,25 milioni di ettari di terreno e 4,3 miliardi di metri cubici d'acqua.
Il bioetanolo italiano ha invece comportato l'uso di 39mila ettari di campi e 229 milioni di
metri cubici d'acqua. Il bioetanolo è prodotto dalla fermentazione di canna da zucchero e
mais, cui seguono grano, barbabietola da zucchero e sorgo.
Le risorse agricole che impiega potrebbero essere usate per coltivare cibo per 200 milioni
di persone. Il biodiesel è invece ricavato chimicamente da olio di palma, soia e colza. A
colpire è il fatto che alcune delle materie prime per questi biocarburanti di prima
generazione "potrebbero essere usate direttamente a scopo alimentare", dice all'ANSA
Maria Cristina Rulli del Politecnico, tra gli autori dello studio. "La ricerca sta andando avanti
sui biocombustibili di seconda generazione in cui si usano prodotti secondari", come scarti
della produzione agricola e oli esausti, "e anche di terza generazione, in cui si impiegano
le alghe". Tali soluzioni puntano a "diminuire la competizione tra energia e cibo, ma servirà
del tempo prima riescano a produrre la stessa quantità di biocombustibili di prima
generazione prodotta oggi".
Nel frattempo la competizione, spinta dalle leggi sulle energie rinnovabili, rischia di acuirsi.
Se la produzione di biocombustibili aumentasse, come si prevede, fino a rappresentare il
10% di tutti i carburanti usati nel settore dei trasporti, il Pianeta potrebbe rispondere alla
domanda alimentare solo di 6,7 miliardi di persone, a fronte di una popolazione mondiale
attuale di 7,4 miliardi. Ci sarebbe cioè un deficit di cibo per 700 milioni di persone. Una
situazione destinata a peggiorare col crescere degli abitanti della Terra, che dovrebbero
raggiungere i nove miliardi già entro la metà di questo secolo.
(da Repubblica.it-Ambiente - marzo 2016)
Colpire le donne è colpire la comunità
§§§
Coltivare comunità migliori
§§§
I semi di Taraba
§§§
Nella Gaza che ha spento il
sorriso
(da comune-info.net - marzo 2016)
IL LAND GRABBING SI MANGIA
L’AFRICA. MA NON ALZIAMO LE SPALLE,
L’EUROPA (ITALIA COMPRESA) NON È
FUORI PERICOLO
Sono oltre 56 milioni gli ettari di terra che l’Africa ha
ceduto ai grabbers. Avete letto bene: cinquantasei
milioni. In Mali si parla di quasi l’85% del terreno
coltivabile ceduto in affitto o in compravendita. In
Tanzania, oltre 3.000 contadini sono stati sfrattati da grossi investitori stranieri in un solo
anno. Il risultato lo conosciamo bene, lo vediamo ogni giorno al Tg, mentre ceniamo con
le nostre famiglie.
Privare le popolazioni locali dell’acqua, della terra e dunque del cibo è ovviamente tra le
prime cause di impoverimento. Il land grabbing è un furto che costringe intere comunità
all’esodo, ad attraversare il deserto, e poi il mare. Per chi ce la fa (vi consiglio a tal
proposito il bellissimo documentario di Gianfranco Rosi, Fuocoammare, storia di
migranti fresco di vincita dell’Orso d’Oro alla Berlinale). Che poi non è detto che chi ce la
faccia trovi una vita degna di questo nome: nella maggior parte dei casi si finisce per venire
intrappolati nella rete di sfruttamento e caporalato che tristemente e vergognosamente
caratterizza la filiera alimentare del nostro Paese.
Eppure questa emergenza lascia indifferenti molti di noi e ancor più grave i Governi
responsabili. Per ricordare e chiedere a politica e istituzioni di intervenire e fermare questo
furto legalizzato, è partita ieri la Carovana dell’Africa occidentale per la terra, l’acqua e i
semi: oltre 2.000 chilometri di strada, da Ouagadougou, nel Burkina Faso, fino all’oceano
di Dakar, in Senegal.
Oltre 400 delegati da 15 Paesi differenti si sono messi in marcia con l’intenzione di ottenere
risposte, e soprattutto provvedimenti, dalle autorità politiche e amministrative nazionali e
delle istituzioni sub-regionali (come la Comunità economica degli Stati dell’Africa
occidentale o l’Unione economica e monetaria ovest-africana). L’idea è di sottoporre loro
proposte per fermare il problema (tra cui la convergenza verso modelli agroecologici basati
s sovranità alimentare e controllo delle risorse naturali da parte delle comunità rurali) e
chiedere l’applicazione delle Direttive della Fao sul diritto all’alimentazione.
Nemmeno noi europei possiamo stare tranquilli. Ce lo ricorda Paola De Meo
dell’associazione Terra Nuova: «La Carovana è un’occasione imperdibile, un esempio che
dovrebbe essere seguito anche qui in Europa, dove il land grabbing è un problema molto
serio quanto sottovalutato che assume varie forme, tra cui la concentrazione delle terre e
la sparizione delle piccole aziende agricole. Basti pensare che nei territori dell’Unione, un
quinto delle terre disponibili è nelle mani dell’uno per cento delle aziende agricole. Inoltre,
solo tra il 2003 e il 2010 abbiamo assistito alla scomparsa di un quarto delle piccole imprese
agricole europee, mentre sono aumentate esponenzialmente le transazioni per i grandi
appezzamenti».
E alla fine dei conti scopriamo che 80% delle aziende agricole comunitarie controlla appena
il 14.5% della terra disponibile. La Commissione europea fa spallucce e non è ancora
intervenuta sulla questione. Evidentemente non è un interesse prioritario…
(da Slow Food - marzo 2016)
Dallo stesso sito leggi anche:

Quando la finanza scommette sulla fame
 «Con gli Ogm l’uso dei pesticidi
non è diminuito». Parola di
scienziati
APPELLO CONTRO LA CEMENTIFICAZIONE:
LA SOCIETÀ CIVILE SI MOBILITA
L’Amministrazione comunale minaccia il verde cittadino: è
il momento di mobilitarsi tutti insieme per difenderlo. Entro
i primi di aprile infatti verrà discussa la “Variante al Piano
degli Interventi” sulla quale Legambiente e Italia Nostra
hanno presentato un corposo dossier di osservazioni (vedi
qui).
Per stimolare un dibattito cittadino e costruire una mobilitazione in difesa del verde,
associazioni, comitati ed altre realtà sensibili al tema lanciano ora un appello
per modificare la Variante, e promuovere una vera politica ambientale a Padova (leggi
qui il testo completo).
Questi i principali contenuti della Variante contestati:
 Consumo di suolo e “urbanistica spezzatino” (cioè la frammentazione in alcune
zone di prestigio del poco verde rimasto), nuove grandi strutture commerciali
e infrastrutturali. La variante conferma il sovradimensionamento del P.A.T. e
del Piano degli Interventi attualmente in vigore, ai quali aggiunge un incremento
volumetrico;



Cementificazione delle aree verdi non ancora lottizzate. La variante aggredisce
ulteriormente quel che resta dei cunei verdi, ossia di quei terreni che penetrano
nella città urbanizzata salvaguardando la rete ecologica e la qualità dell’aria;
Diminuzione degli alberi. Peggiora il regolamento comunale sugli alberi e
introduce una forte riduzione dell’obbligo di piantare nuovi alberi in seguito alle
lottizzazioni. La nuova norma riduce infatti di circa due terzi le nuove alberature nei
cunei verdi;
Aumento dello smog. In questi mesi, l’inquinamento atmosferico (in primis
di Pm10) dovuto prima di tutto al traffico veicolare, si è rifatto sentire con
particolare
virulenza,
causando
una
nuova
ondata
di danni
alla
salute. L’Amministrazione, assolutamente restia a parlare di provvedimenti
strutturali di limitazione del traffico, è corresponsabile della perdita del 10%
di utenza del trasporto pubblico, grazie ai tagli dovuti alla pessima
gestione della fusione (per incorporazione) di APS Mobilità in Busitalia. Con questa
variante, aumentando il consumo di suolo e l’edificazione, soprattutto nelle aree
verdi, aumenterà ancora lo smog.
E’ ora che la società civile reagisca!
Vogliamo lanciare una mobilitazione che, fino al momento in cui il Consiglio comunale
voterà la “Variante al Piano degli Interventi”, metta in campo tutte le iniziative possibili
per bloccarla o quanto meno per modificarla profondamente. E’ necessario realizzare una
vera politica ambientale per Padova. Invitiamo quanti condividono questa proposta
a contattarci ed affiancarci in questa battaglia. Il primo incontro è previsto per martedì
15 marzo presso la sala di via Boccaccio 80 (vedi qui l’evento su Facebook). Sarà una
serata pubblica di approfondimento sul tema della Variante da cui emergeranno
osservazioni e possibili azioni di mobilitazione.
I primi sottoscrittori dell’appello:
Legambiente Padova e Italia Nostra Padova, Aiab Veneto, Ass.ne Ca’ Sana–fucina di
idee, Ass.ne per la Pace, Circolo Wigwam Il Presidio, Comitato CheAriaRespiriamo,
Comitato Difesa Alberi e Territorio, Comitato Lasciateci Respirare Padova, Coop. I dodici
mesi–Osteria di Fuori Porta, Coop. El Tamiso, GLA-TAVV Gruppo di Lavoro Tavoli Verdi del
Veneto, Residenti “Padova zona Nazareth”, Rete Arcella Viva, Sacro Cuore PACTA, Slow
Food Padova, toniCorti, verso l’ass. Agri Parco Veneto…
(da Ecopolis Newsletter di Legambiente Padova - marzo 2016)
Ma quanto inquinano gli aerei?
da Il Cambiamento – marzo 2016
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L'esempio cubano del miele solo
biologico
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La tedesca BASF disinveste dagli OGM
(da Bio@gricoltura Notizie di AIAB - marzo 2016)
NON C'È PIÙ VITA NELL'OCEANO PACIFICO:
L'ATROCE TESTIMONIANZA DEL NAVIGATORE AUSTRALIANO IVAN
MACFADYEN
L'intervista in rete, disponibile su Youtube, ad un grande viaggiatore dei mare e
degli oceani, Ivan Macfadyen, australiano che ha viaggiato in lungo e in largo i
mari e gli oceani più e più volte, lascia un magone nello stomaco e rende
inevitabile la domanda: "Siamo davvero già a questo punto!". Ma soprattutto le
sue dichiarazioni sono del 2013, voi ne avevate mai sentito parlare?
Macfadyen, con un'imbarazzante semplicità e con un tono pacato, racconta la sua
esperienza, quello che i suoi occhi hanno visto durante la sua ultima traversata dell'Oceano
Pacifico nel 2013, partendo da Melbourne fino ad Osaka, migliaia di miglia nautiche senza
vita ne' in acqua ne' fuori, impossibile per lui non notare l'assenza di uccelli marini,
impossibile non notare che nessun pesce abboccava all'amo e che non si vedevano nuotare
e giocare i delfini affianco alla barca, come nella traversata, con lo stesso itinerario, del
2003 dove l'oceano pullulava di vita: balene, tartarughe, squali, delfini, tanti uccelli marini
che cercavano cibo e usavano la barca per farsi accompagnare nella ricerca.
Desolazione! Distruzione! Deserto nell'acqua e
fuori!
Un silenzio doloroso interrotto solo da rumori vuoti, privi
di vita! Solo 10 anni prima era tutto così meraviglioso e
rigoglioso, come è possibile, è il risultato del disastro
nucleare di Fukushima? Probabilmente sì, infatti uno dei
pochi esemplari in vita che ha visto durante il percorso è
stata una balena con un enorme escrescenza sulla testa
che sembrava senza dubbio un tumore.
Ma non finisce qui, no non è ancora abbastanza straziante questo racconto, c'è ancora
molto altro, infatti Macfadyen continua a raccontare che l'assenza di vita inizia in
concomitanza con il confine con la Grande Barriera Corallina, infatti descrive le acque del
Queensland come completamente sterili e prosciugate dalla massiccia pesca industriale.
Durante il viaggio infatti, racconta, che si videro venire incontro un piccolo motoscafo, un
attimo ebbero paura che potessero essere pirati ma non lo erano, erano pescatori che
volevano offrire tantissimo pesce che altrimenti sarebbe finito nuovamente in acqua privo
di vita, perché la loro pesca mirava solamente al tonno, tutto il resto veniva ributtato in
mare, ma non erano piccoli pescatori, erano parte dell'equipaggio di enormi pescherecci
che rastrellavano senza pietà, con la pesca a strascico, ogni centimetro cubo d'acqua
uccidendo ogni forma di vita!
Il viaggio di Macfadyen non è stato accompagnato solo da tristezza e desolazione per
l'assenza di vita e da enormi navi assassine, non è mai mancata la presenza massiccia di
rifiuti, egli afferma che hanno percorso 23.000 miglia nautiche e 7000 di queste sono state
navigate tra rifiuti, enormi rifiuti, rifiuti di ogni genere; racconta ancora che non osavano
accendere il motore della barca di notte per paura che qualcosa potesse incepparsi e
danneggiare il motore. Al largo delle Hawaii i rifiuti si vedevano fino in profondità, ma c'è
chi afferma, pensate, proprio un funzionario dell'ambiente, che inquinerebbe molto più il
consumo di carburante per cercare di ripulire l'Oceano...quindi tanto vale lasciarlo così
come sta.
Macfadyen ha cercato di lanciare un grido, un appello all'umanità intera per far capire che
forse è già troppo tardi ma almeno bisogna adoperarsi in ogni modo per far regredire
questa distruzione galoppante che presto farà terminare la vita laddove la vita stessa ha
avuto origine.
(da Greenme.it - marzo 2016)
Concludiamo la settimana con due interessanti articoli, tratti da Terra Nuova:
 L’Agenda della Salute di marzo
e
 Realizzare la Spirale delle erbe aromatiche
e
Aspiranti contadini cercasi: “Antiche Terre” disponibili
per giovani progetti
da Italia che Cambia – marzo 2016