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GIUBILEO DEGLI OPERATORI DI PASTORALE FAMILIARE

Basilica Cattedrale 28 febbraio 2016

È un mondo che sembra sordo al richiamo di Dio quello nel quale viviamo la nostra esperienza di uomini e di cristiani. Certamente i parametri morali sono saltati, il senso del peccato eliminato, mentre la separazione tra il bene e il male non la si attende dal Creatore ma dal codice penale scritto dagli uomini. In tale contesto diventa sempre più difficile orientarsi e i cristiani stentano a far sentire la loro voce, soffocata continuamente dal pensiero dominante e dai mezzi di comunicazione che orientano altrove o remano contro utilizzando anche mezze verità o calunnie. Un esempio tra tanti: diversi quotidiani a tiratura nazionale il giorno dopo la grande festa della famiglia vera che è stato il

Family Day

dello scorso 30 gennaio, hanno accuratamente evitato di riportare in prima pagina un evento che ha coinvolto 2 milioni di persone (non solo cattolici) che serenamente e senza ostentazione hanno voluto dire la loro sulla realtà della famiglia fondata sull’amore di un uomo e di una donna aperti al dono della vita.

Di fronte alla situazione, per certi versi drammatica, è da considerare come stiamo affrontando nelle nostre realtà diocesane e parrocchiali il delicato tema e soprattutto se stiamo prendendo a cuore il problema. Non si tratta di combattere contro ma di proporre il vero umanesimo che il Convegno Nazionale di Firenze ha voluto ribadire. Nel memorabile discorso di Papa Francesco all’apertura dell’importante raduno abbiamo sentito un appello al dialogo, al rispetto e alla fraternità ma anche all’impegno: “

Ricordatevi che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere… ma quello di costruire insieme: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà. E senza la paura di compiere l’esodo necessario. Altrimenti non è possibile comprendere le ragioni dell’altro, né capire fino in fondo che il fratello conta più delle posizioni che giudichiamo lontane dalle nostre pur autentiche certezze

”. Però poi immediatamente – con la chiara schiettezza che lo contraddistingue – il Santo Padre aggiunge: “

Ma la Chiesa sappia anche dare una risposta chiara alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune. I credenti sono cittadini

”. Carissimi fratelli e sorelle, operatori della pastorale familiare, qui riuniti per il vostro giubileo, sappiamo dare una risposta chiara alle istanze che vengono dalla società secolarizzata dialogando con serenità con il fratello che, come persona, conta più delle sue posizioni talvolta diametralmente lontane dalle nostre certezze? Sappiamo, nello stesso tempo, anche all’interno delle nostre Comunità parrocchiali, parlare con chiarezza evitando l’instaurarsi di un qualunquismo morale per cui tutto può essere permesso se non mi dà personalmente fastidio? Tentiamo di contrastare l’appiattimento etico per cui ognuno è giudice di se stesso? Molti di voi sono impegnati ad accompagnare i nubendi al grande passo del matrimonio sacramento: gli incontri sono, per i giovani che si preparano ad uno dei passi più importanti della loro vita, vera riflessione che nel sacramento i coniugi sono chiamati ad amarsi come “

Cristo ama la Chiesa

” (Cfr. Ef 5, 25)? E la pastorale per i fidanzati chiamati a prepararsi alla grande scelta è curata con passione? Siete i primi collaboratori dei vostri parroci in questa particolare missione, siate loro vicini con la vostra esperienza, le vostre intuizioni, il vostro entusiasmo. Fate vedere che siete felici di essere sposi cristiani, genitori riconoscenti per il dono stupendo dei figli, manifestate la gioia di amarvi in Gesù nonostante le difficoltà che tutti avete

sperimentato e sperimenterete, ma sempre certi della presenza del Signore nella vostra vita. Il vostro impegno pastorale deve essere aperto anche alle situazioni di disagio che possono verificarsi nella vita familiare e a quelle che hanno lasciato ferite, talvolta profonde, nell’animo di quanti hanno sperimentato fallimenti laceranti. Il vostro intervento, illuminati dallo Spirito, deve tendere perché tutti possano aprirsi alla luce del Vangelo sanando l’inquietudine in coloro che si sono allontanati e aiutando, col consiglio e con l’esempio, i dubbiosi e gli erranti perché ritrovino la retta via della Verità che è Gesù stesso. Sarà il modo più bello di vivere il Giubileo della misericordia. Sarà inoltre necessaria una vivacizzazione di quanto già viene fatto nelle nostre parrocchie e a livello diocesano promovendo i

gruppi famiglia

come cenacoli di incontro e di preghiera e valorizzando sempre più e sempre meglio il nostro Ufficio Famiglia e il Consultorio diocesano. Sempre spalancati su orizzonti di speranza come l’agricoltore che non si stanca di zappare intorno all’albero infruttuoso nonostante la cura premurosa, e continua a metterci il concime evitando di tagliarlo. Il Vangelo di questa domenica ce lo insegna. Quante volte non ci accorgiamo che la nostra fede non trasforma la nostra qualifica esistenza, la non nostra valutazione delle cose, non ci significativamente rende propositivi nella nostra quotidiana testimonianza di annuncio e di carità!

Tempo di Quaresima tempo di conversione e di perdono non solo per gli altri ma soprattutto per noi. C’è sempre una possibilità che il Signore ci offre nonostante le nostre inefficaci risposte, c’è sempre la possibilità di un cambiamento di mentalità senza restare intrappolati nel ricordo delle precedenti occasioni mancate. È anche per noi tempo di Esodo come per Mosé che riceve la rivelazione sul Sinai scoprendo che il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è anche il suo Dio che si interessa di lui e della sua storia. Esodo cioè uscita dalle nostre false certezze verso il futuro di libertà che però richiede l’esperienza dura e faticosa del deserto. San Paolo nel brano della seconda lettura ci invita a riflettere su questo quando afferma che le vicende dell’Antico Testamento, particolarmente dell’Esodo, devono essere lette da noi come prefigurazione della nostra esperienza di liberazione dal peccato che si realizza nella morte e risurrezione di Cristo: “

Ciò avvenne come esempio per noi

e

[queste cose]

sono state scritte per nostro ammonimento

” (Cfr. 1Cor 10, 6 e 11). L’abbraccio misericordioso di Dio è senza confini e tutti raggiunge; è necessario però sentire il bisogno di essere da lui accolti e consolati. Solo in un caso si impedisce questo incontro liberante e trasformante, quando si pensa di non averne bisogno, quando si crede di poter farcela da soli. Le parole forti e incisive di Paolo ai Corinti ce lo ricordano lapidariamente: “

Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere

” (1Cor 10, 12). Non ci accada, carissimi fratelli, di voler salvare gli altri e di essere incapaci di permettere al Signore di custodirci nel suo amore. ✠ Salvatore, arcivescovo