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ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI
UNITA’ PER LA COSTITUZIONE
6, 7, 8 MARZO 2016
Programma per il rinnovo del Comitato direttivo dell’A.N.M.
A cura della Segreteria Nazionale e dei candidati
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Lucia Cannella Giudice Tribunale Brescia
Giuliano Caputo Sostituto Procura Santa Maria Capua Vetere
Tiziana Caradonio Giudice Tribunale Matera
Luigi Cuomo Sostituto Procura Generale Corte Cassazione
Silvia Corinaldesi Giudice Tribunale Rimini
Tommasina Cotroneo Consigliere Corte d’Appello Reggio Calabria
Rita De Donato Consigliere Corte d’Appello Ancona
Bruno Fedeli Magistrato distrettuale requirente Procura Generale Trento
Bianca Ferramosca Giudice Tribunale Roma
Paolo Fietta Magistrato distrettuale Giudicante Corte d’Appello Venezia
Fabio Florini Consigliere Corte d’Appello Bologna
Mario Formisano Sostituto Procura Perugia
Rossana Giannaccari Giudice Tribunale Lecce
Stefano Giovagnoni Sostituto Procura Teramo
Enrico Infante Sostituto Procura Foggia
Giancarlo Mancusi Sostituto Procura Bergamo
Rossella Marro Giudice Tribunale Napoli
Manuela Matta Giudice Tribunale Gela
Maria Militello Giudice Tribunale Messina
Francesco Minisci Sostituto Procura Roma
Daniela Monaco Crea Giudice Tribunale Catania
Lucia Monica Monaco Presidente sezione Tribunale Vibo Valentia
Daria Monsurrò Sostituto Procura Latina
Pierluigi Perrotti Giudice Tribunale Milano
Giuseppe Pintori Giudice Tribunale Cagliari
Annunziata Puglia Sostituto Procura Udine
Angelo Renna Sostituto Procura Milano
Francesco Rossini Giudice Tribunale Potenza
Alessandra Salvadori Presidente sezione Tribunale Torino
Antonio Sangermano Sostituto Procura Prato
Carla Santese Consigliere Corte d’Appello Firenze
Antonio Saraco Consigliere Corte d’Appello Catanzaro
Alfonso Scermino Giudice Tribunale Nocera Inferiore
Alessia Sinatra Sostituto Procura Palermo
Valeria Sottosanti Sostituto Procura Milano
Mario Tuttobene Giudice Tribunale Genova
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L’A.N.M. CHE VOGLIAMO
Il 6, 7 e 8 Marzo si terranno le elezioni per il rinnovo del Comitato Direttivo Centrale dell’A.N.M., organo deliberante permanente dell’azione associativa. E’ composto da
36 magistrati che al loro interno designano il presidente dell’A.N.M. e la Giunta Esecutiva
Centrale. È eletto da tutti i magistrati iscritti all’A.N.M. con sistema proporzionale fra liste
contrapposte; ogni elettore può esprimere al massimo cinque preferenze nell’ambito della
lista prescelta. Il C.D.C. delibera su tutto ciò che inerisce l’azione associativa, uniformandosi alle decisioni dell’Assemblea Generale, impartisce direttive alla Giunta Esecutiva
Centrale su tutte le materie inerenti gli scopi dell’associazione. Tra questi ultimi si segnalano i seguenti: operare affinché siano garantite, secondo i principi costituzionali, le funzioni e le prerogative dell’ordine giudiziario; propugnare l’attuazione di un ordinamento
giudiziario che realizzi la piena autonomia ed indipendenza della magistratura; tutelare
gli interessi morali ed economici dei magistrati, il prestigio ed il rispetto della funzione
giudiziaria.
Crediamo necessaria una rappresentanza associativa che sappia essere intransigente sui contenuti, ma moderata nei toni e rispettosa verso tutti gli interlocutori, che sappia
accettare il primato della legge, anche se non gradita, che ripudi qualsiasi forma di collateralismo, che proponga nel ragionamento pacato con le Istituzioni, le rappresentanze
dell’Avvocatura e del personale amministrativo, la concreta attuazione del modello costituzionale di giustizia. In continuità con i valori fondanti nel nostro gruppo, proponiamo
un rinnovamento di prassi e di metodo.
Vogliamo un’associazione che sappia essere più vicina ai problemi quotidiani dei
magistrati, i quali devono essere incentivati ad operare con dedizione e professionalità in
un quadro ordinamentale ed organizzativo coerente con l’impegno crescente che a loro si
richiede; vogliamo discutere insieme dei progetti organizzativi delle procure e delle proposte tabellari degli uffici giudicanti; vogliamo confrontarci con i capi degli uffici, affinché,
nell’assoluto rispetto delle loro competenze ed attribuzioni, vengano adottate le misure
necessarie ad evitare il rischio di burocratizzazione della funzione e la perdita di tensione
ideale che inevitabilmente ne discenderebbe; vogliamo che l’A.N.M., in uno spirito di ritrovata unità d’intenti, sappia recepire le istanze dei magistrati italiani e fornire tempestiva ed esauriente informazione in merito all’attività associativa, alle leggi in materia di
giustizia in discussione al Parlamento, alle tematiche prettamente sindacali ed ai rapporti
con le associazioni forensi; vogliamo soprattutto dar voce a tutti quei colleghi che, spesso
sopraffatti dal lavoro quotidiano, non riescono a trovare gli spazi per vivere la fondamentale dimensione associativa e contribuire in questo ambito alla crescita dell’intera magistratura. Perché l’interesse del cittadino è quello di trovare in ogni ufficio giudici attenti,
preparati e sensibili, che siano in grado di rispondere efficacemente alla domanda di giustizia.
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La specificità del nostro ruolo richiede la creazione di spazi di riflessione e confronto sul modo di essere giudici e pubblici ministeri. In questa riflessione la questione morale,
come diremo nel seguito della nostra riflessione programmatica, riveste parte essenziale,
perché riguarda il nostro essere magistrati chiamati ad adottare decisioni che possono incidere fortemente sulla vita dei cittadini e sui loro patrimoni. Da ciò discende la necessità
di avere un altissimo senso della funzione che esercitiamo ed una capacità di reagire a tutte quelle forme di opacità che possono recare pregiudizio all’immagine della giurisdizione. Per noi la questione morale significa etica dei comportamenti in sede associativa ed istituzionale, quando, in virtù di una riconosciuta rappresentatività dei colleghi, si deve rispondere, non solo alla propria coscienza, ma anche alla coscienza collettiva sviluppatasi
attraverso le varie articolazioni di cui si nutre l’attività associativa.
Occorre un’etica della funzione del magistrato, che comporta totale dedizione della
persona umana del giudice alla funzione di rendere giustizia, che richiede in primo luogo
un altissimo senso di umanità, un sentimento, per il nostro specifico compito, che deve far
provare al giudicante amore per il vincitore come per il soccombente, per l’innocente come
per il colpevole.
Occorre poi un’etica del decidere, cioè del sapere scegliere fra diverse e spesso opposte soluzioni che comportano un giudizio rispetto ad un fatto del passato, la colpevolezza per un reato o il giudizio di inadempienza di un’obbligazione, o anche un giudizio
prognostico sui possibili comportamenti dell’individuo, come nel caso dell’affidamento di
un minore o della sospensione dell’esecuzione della pena; e molto spesso i due giudizi si
integrano a vicenda confluendo in un’unica complessa valutazione di fortissimo impatto
per l’individuo al quale si riferisce.
In via prioritaria occorre un’etica costituzionale del magistrato: è questa l’etica del
dovere essere e del dovere operare, con il metodo della Costituzione, in una società in rapida e perenne trasformazione; è l’apertura al dubbio sui propri convincimenti e la disponibilità a confrontarsi con tutte le argomentazioni che vengono proposte nel processo ed
anche con le critiche legittime ai criteri prescelti di amministrazione della giustizia.
Occorre un’etica politica che deve ispirare il magistrato nell’esercizio delle sue funzioni: attraverso l’interpretazione della legge, che è attuazione della volontà popolare, il
magistrato partecipa al governo della polis, nel senso che con le sue decisioni e la mediazione della sua cultura generale e specialistica, unita alla sua sensibilità umana, è chiamato
ad entrare nei tormenti quotidiani dell’essere umano e della società e ciò deve fare impedendo che la decisione assunta possa essere inquinata da pregiudizi o interessi particolari.
A questa riflessione Unità per la Costituzione non intende sottrarsi, richiamandosi
ai valori fondanti di questo gruppo. Un gruppo nato con un progetto ben definito: creare
una sintesi unitaria fra diverse anime e sensibilità esistenti nella magistratura associata, allora troppo divisa e frazionata; rappresentare la maggioranza dei magistrati italiani e proporsi, quindi, come guida delle scelte dell’A.N.M. Tale linea, nel rispetto dello spirito pluralistico del gruppo, poggiava sulla forza unificatrice dei principi costituzionali, allora in
parte ancora da attuare, oggi radicati, ma frequentemente messi in pericolo, come recentemente e’ accaduto con l’approvazione della legge sulla responsabilità civile; una linea
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nella quale continuano a ritrovarsi tanti magistrati nell’assoluta convinzione che l’attività
dell’associazione debba essere estranea e non collaterale rispetto a qualsivoglia forza politica o centro di potere.
Conseguenza di tale indirizzo è il rifiuto della logica del bipolarismo che, seppure
imperante nella politica, deve essere con decisione bandito dalle dinamiche interne ed esterne dell’associazionismo giudiziario. L’Associazione dei magistrati italiani non deve
schierarsi con questa o con quella parte politica, ma deve salvaguardare l’autonomia e
l’indipendenza dell’istituzione nel superiore interesse della cittadinanza. Nel confronto
con le forze politiche intendiamo andare oltre la sterile pratica degli anatemi, ma non siamo disposti a concedere a nessuno aperture di credito pregiudiziali e illimitate, perché rivendichiamo il diritto di suggerire tutte le modifiche normative ed organizzative da noi
ritenute necessarie od opportune nella direzione di una migliore efficienza e qualità del
servizio giustizia, che quotidianamente assicuriamo con serietà ed impegno, come pure la
libertà di giudicare con spirito laico e non preconcetto ogni proposta di riforma che venga
avanzata in materia.
Intendiamo ancora, ispirandoci ai valori della terzietà costituzionale, riaffermare la
separatezza dalla politica connaturale alla funzione istituzionale che esercitiamo, perché
crediamo che tale separatezza, unitamente alla cura puntigliosa e costante della professionalità di ciascun magistrato, possa restituire autorevolezza all’attività giurisdizionale ed
alimentare la fiducia della collettività verso i giudici ed i pubblici ministeri. Troppo spesso, infatti, eccessi di protagonismo, a volte anche solo mediatico, di singoli o di gruppi
hanno determinato una sovraesposizione della categoria. Così, in una stagione politica
nella quale emergono da più parti segnali di insofferenza verso alcuni valori fondanti del
nostro patto sociale, si è inconsapevolmente offerto l’alibi a chi cercava giustificazioni
spendibili nei confronti della pubblica opinione per introdurre significative limitazioni alle
prerogative del potere giudiziario. Nel respingere con decisione ogni tentativo di comprimere, dall’esterno o dall’interno, l’autonomia del potere diffuso della magistratura, ci
riconosciamo pienamente nella soggezione del giudice esclusivamente alla legge, nella
convinzione che l’interpretazione di essa debba essere fortemente ancorata ai principi costituzionali, mentre manifestiamo la più netta contrarietà a qualunque forma di interpretazione ideologicamente orientata che finisca per assegnare alla giurisdizione una funzione diversa dal controllo di legalità e dalla ricomposizione dei conflitti privati.
Per coltivare questi ideali che appartengono al nostro patrimonio culturale e collaborare affinché l’A.N.M. diventi un luogo di effettiva discussione tra i magistrati, dove i
rappresentanti eletti sappiano autorevolmente interpretare le esigenze e le sensibilità di
tutti, Vi invitiamo a votare la lista di UNITA’ PER LA COSTITUZIONE ed in particolare i
suoi candidati sopra indicati.
Il Presidente
Angela Scalise
Il Segretario Generale
Roberto Carrelli Palombi
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1. LA QUESTIONE MORALE
Unità per la Costituzione ribadisce la centralità della questione morale.
La giustizia italiana, e con essa i Magistrati, hanno avuto bisogno nel tempo di un
profondo rinnovamento e ne hanno ancora bisogno. E’ su questo terreno che si giocano il
nostro futuro, la nostra capacità di dare voce alle speranze della società civile, il nostro
impegno per fare crescere nel Paese un diverso senso delle Istituzioni. La capacità di rinnovarsi appartiene alla storia della magistratura italiana, ed è stata una straordinaria risorsa nei momenti più drammatici dell’esperienza istituzionale repubblicana.
La magistratura ha affrontato sempre con maggiore impegno il problema
dell’autoriforma. Difendere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura passa, infatti,
anche attraverso il coraggio di cambiare, interrogandoci su quello che non ha funzionato.
Indispensabile passaggio questo per evitare che l’esercizio del potere giudiziario possa
rappresentarsi all’esterno come arbitrario, sganciato dalle regole, incomprensibile ai più.
Unità per la Costituzione si riconosce in un modello di magistrato moderno, responsabile, serio, integerrimo, professionalmente attrezzato, che non frequenta o partecipa
a squallide consorterie, che rifugga da collateralismi politici e da aggregazioni di interessi,
che ripudi cointeressenze affaristiche e prima ancora familistiche, che non frequenti impropriamente parti processuali e la cui credibilità non possa essere, dunque, in alcun modo attaccabile.
Possiamo esigere il rispetto della funzione che svolgiamo, garantendo in primo luogo il rispetto della dignità della persona, in quanto proprio dal modo in cui la esercitiamo
discende spontaneo negli altri il rispetto per questa. E connotato essenziale della nostra
funzione è l’imparzialità e, prima ancora, l’integrità morale. E’ dall’esercizio onorevole
della funzione che dobbiamo aspettarci, per quanto riguarda il lavoro e la nostra vita pubblica, ogni motivo di gratificazione.
Questione morale ed esercizio delle funzioni.
I magistrati si legittimano esclusivamente nello svolgimento dell’attività giurisdizionale esercitata con indipendenza e imparzialità e senza che si insinui il dubbio di illeciti
condizionamenti esterni; è questa la magistratura che intendiamo rappresentare. I comportamenti inopportuni vanno severamente censurati. Tra di essi, innanzitutto, qualsiasi profilo di cointeressenza che connetta il magistrato al conflitto di interessi che amministra o al
contesto sociale in cui opera. La prima regola è quella di essere non solo onesti, ma anche
imparziali ed equilibrati; essere ed apparire tali. La distanza dagli interessi che permeano
e caratterizzano il contesto sociale in cui si opera è una manifestazione basilare di questi
elementari doveri. L’imparzialità ne è un altro naturale corollario.
Gli orientamenti personali, sessuali, religiosi, culturali rientrano nell’insindacabile
sfera personale e intellettuale di ogni magistrato, ma ogni condotta che direttamente o indirettamente involga la visibile appartenenza all’Ordine Giudiziario, e pertanto ne attinga
la funzione, deve essere pregna di coscienza etico-deontologica.
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La volontaria sovraesposizione mediatica, il protagonismo narcisistico, la partecipazione a iniziative politico-elettorali, le lungamente annunciate e declamate “discese in
campo”, sono tutti profili che minano la credibilità del magistrato, e che pertanto rientrano
a pieno titolo nella questione morale.
Il c.d. collateralismo non è soltanto, dunque, una forma di dipendenza ideologica
che porta a considerare la giurisdizione come una “manifestazione succedanea della politica”, ma anche una propensione a coltivare relazioni che valgano alla bisogna. Il magistrato non deve essere una monade irrelazionata, certamente, ma neppure una pedina
condizionabile. Non ci sono spazi di compromesso perché il modello di magistrato in cui
ci riconosciamo non entra ed esce dalla politica, non costruisce la propria professionalità
per il tramite di carriere parallele, non frequenta lobby e salotti dove garantisce ciò che
non può garantire, non appare poco distante dagli interessi che si muovono nel contesto
sociale nel quale opera, non fa pressioni per diventare capo di un ufficio, non si ispira ad
una logica clientelare e deve rinnegare collateralismi politici, manifestazione degenerativa
per il magistrato della peggior politica, e gruppi di potere esterni ed interni alla magistratura.
Questione morale e dirigenza.
La funzionalità degli uffici, la capacità organizzativa dei dirigenti ed il loro stesso
prestigio, la irreprensibilità dei magistrati tutti, dovranno essere valutati anche in riferimento ai criteri di rotazione, alternanza, trasparenza, economicità, professionalità, correttezza con cui vengono scelti i consulenti, i curatori, gli amministratori giudiziari, i custodi,
le ditte che effettuano le intercettazioni. Le cointeressenze affaristiche e familistiche, le frequentazioni improprie con parti processuali, l’intraneità a contesti di potere, gli inevitabili
condizionamenti derivanti da relazioni personali ed affettive, l’uso improprio delle dotazioni d’ufficio, la sistematica ricorrenza di circuiti di referenti professionali per l’ affidamento di importanti incarichi, la rilevanza degli emolumenti retributivi anche a fronte di
prestazioni scadenti o inadeguate, sono tutti profili che annientano la credibilità del magistrato e ne compromettono irreparabilmente la immagine e la moralità. Avere una condotta professionale e privata irreprensibile è pertanto necessario quanto sapere organizzare
gli Uffici sulla base dei suddetti criteri generali, vigilando sulla loro puntuale attuazione.
Questione morale è anche capacità e coraggio di disvelare e denunciare le c.d. “opacità”, mettendone a parte gli organi competenti. Questione morale attuata anche mediante
criteri di organizzazione degli uffici, in particolare nei settori dove vi è impegno di spesa
pubblica ed esigenza di massima trasparenza, quali, in particolare, il settore fallimentare e
quello delle misure di prevenzione.
Dobbiamo chiedere ai nostri Dirigenti di affrontare la “questione morale” anche sul
piano organizzativo, adottando prassi e regole che valgano a prevenire ed a punire le distorsioni. Vigilanza, ferrea vigilanza da parte dei dirigenti e di tutti i magistrati
dell’ufficio. Non si tratta di sollecitare la delazione o il “terrore”, ma di sapere giudicare la
Dirigenza anche in base al tasso di eticità, trasparenza e correttezza che sa infondere nelle
regole, sapendone poi assicurare la coerente attuazione.
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I pareri attitudinali devono essere lo specchio non solo del magistrato scrutinato,
ma anche del dirigente, della sua capacità di restituire con onestà e coraggio l’immagine
reale del collega; questa capacità richiede tante attitudini, prima fra tutte la assoluta imparzialità di giudizio.
Questione morale e incarichi politici.
La questione morale non può, peraltro, prescindere anche da una seria riflessione
sugli incarichi fuori ruolo, che non devono mai rappresentare canali preferenziali per il
conseguimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, sempre subvalenti rispetto
all’effettivo, continuo e silenzioso esercizio della funzione giurisdizionale, e stigmatizzati
allorquando siano strumento mascherato per dare credibilità alla politica, così piegando
l’immagine della magistratura a fini distorti.
Quanto, in particolare, all'attività politico amministrativa svolta dai magistrati, Unità per la Costituzione si riconosce nella recente proposta inviata dal C.S.M., ai sensi
dell'art. 10 legge 195/1958, al Ministro della Giustizia: è quanto mai necessario, difatti, un
intervento del Legislatore a tutela dell'immagine di terzietà della funzione giurisdizionale
che rischia di essere appannata in caso di rientro alle funzioni giudiziarie di magistrati
impegnati per lungo tempo in incarichi di carattere politico amministrativo; in tali situazioni, pur nella tutela dei diritti di elettorato passivo del cittadino magistrato, deve necessariamente prevedersi, al termine dell'esperienza politica o amministrativa, il transito in
altri ruoli dell'amministrazione dello Stato.
Questione morale e attività associativa.
L’impegno associativo del magistrato non può, non deve mutuare le categorie peggiori della politica, intesa quale “genere” del reale. La politica come trama, accordo sotterraneo ed obliquo, congiura, furbizia, opportunismo, brama di potere, fascinazione semplificatoria, affiliazione personalistica, non dovrebbe neppure lambire l’ impegno associativo,
che è pur sempre manifestazione strumentale e servente della giurisdizione. La politica associativa è e deve essere altro da questo.
La correttezza, la linearità nell’adempiere gli impegni assunti, il valore della parola
data, la sincerità, l’ onestà intellettuale, il rispetto umano, la capacità di mediazione politica e di sintesi unitaria, la cortesia, la consapevolezza della assoluta provvisorietà delle cariche assunte, che non possono e non debbono diventare rendita di potere, non sono “valori a circolazione limitata”, al più buoni e validi per la vita e la giurisdizione ed improvvisamente obsoleti per la politica associativa.
L’A.N.M. e le correnti da cui è costituita devono diventare sempre più propulsori
culturali, incentivando l’ adozione di quelle prassi virtuose che valgano a correggere ed estirpare errori e opacità, e ciò nel quadro di un impegno politico-associativo che senza mai
diventare supervisione impropria di prerogative istituzionali sappia essere stimolo costruttivo e critico sul piano proprio della nostra attività.
L’attività associativa è impegno “puro”, è dialettica, è crescita culturale, è entusiasmo, è unità d’intenti, pur nelle diverse sensibilità culturali, è democrazia, è lotta per sconfiggere la parte degenere del ruolo delle correnti nell’occupazione degli spazi
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dell’autogoverno, è autonomia da questo, è vicinanza ai giovani colleghi ed allentamento,
con la forza dell’esempio e della tensione morale, della loro comprensibile disaffezione che
poggia sulla paura della etichettatura politica. Su questo terreno innanzitutto si gioca il riconoscimento della nostra autorevolezza, l’affermazione della nostra legittimazione, il
mantenimento del nostro ruolo nella dinamica istituzionale, politica e sociale del nostro
Paese. Ed è proprio all’interno dei confini di un’azione credibile e di un sistema affidabile
per efficienza e tensione morale che potranno essere meglio perseguiti lo scopo di tutela
della funzione giudiziaria e gli obiettivi sindacali, che meglio tuteleremo in quanto mai vestiremo abiti impiegatizi. E mai vestiremo abiti impiegatizi quanto più, pur senza chiusure
corporative, scalzeremo vecchie incrostazioni e impostazioni aziendalistiche, quanto più al
nostro impegno si affiancherà l’intervento delle altre Istituzioni nell’assicurarci mezzi e risorse e nella distribuzione razionale ed ottimale di quelli esistenti, quanto più tuteleremo i
singoli, che con scrupolo e dedizione prestano il loro servizio, da carichi insostenibili, individuabili per il tramite di risposte meditate, serie, concrete e credibili che rifuggano da
effetti dirompenti che inducano alla burocratizzazione della magistratura; quanto più li tuteleremo dalla richiesta di un insano produttivismo sganciato dalla qualità della risposta
di Giustizia assolutamente prioritaria e con essa sostanzialmente incompatibile e dal cappio disciplinare orbo e formale.
In quest’alveo vuole muoversi la nostra forza associativa in un confronto con le altre Istituzioni dialettico e pacato, ma parimenti fermo ed intransigente senza mai abdicare
al diritto di suggerire tutte le modifiche normative ed organizzative da noi ritenute necessarie od opportune nella direzione di una migliore efficienza e qualità del servizio giustizia, nella tensione continua verso la concreta attuazione del modello costituzionale di giustizia, nella tutela della dignità della funzione giudiziaria, nella tutela della qualità della
risposta di Giustizia, nella posizione, mai dismessa, di difesa del potere giudiziario come
uno dei cardini della struttura-Stato e funzionale a tale struttura, nella lotta per
l’affermazione ed il mantenimento della democrazia, nella lotta contro ogni forma di isolamento della magistratura, nello sforzo di far comprendere ai cittadini che la neutralizzazione di un potere dello Stato produce, per effetto domino, la distruzione degli altri due
poteri e l’annientamento della democrazia. E potremo essere autorevoli interlocutori solo
se manterremo altissima la tensione morale con tutti gli strumenti attivabili al nostro interno e solo se saremo intransigenti, leggibili e credibili nella valutazione delle nostre professionalità e nella scelta della nostra Dirigenza.
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2. ESSERE SINDACATO OGGI, QUALITÀ E QUANTITÀ DEL LAVORO, CARICHI.
Qualità, quantità, carichi.
Essere sindacato oggi, più che in passato, vuole dire farsi seriamente carico della
questione dell’oggettivo aggravio delle condizioni di lavoro del giudice. L’aumento progressivo della domanda di giustizia, la scopertura degli organici, la ponderosa consistenza
della gran parte dei ruoli, la mancanza, in molti uffici, di forme di specializzazione del lavoro, la difficoltà di garantire “numeri” e, insieme, qualità e puntualità delle decisioni con
la tendenza legislativa alla sommarizzazione dei giudizi, l’impellenza di fronteggiare modifiche anche “epocali” del proprio lavoro ( come avvenuto per il PCT) in difetto di adeguata formazione e di idonei supporti tecnici e la sempre più massiccia attività di supplenza del magistrato in ragione della riduzione progressiva del personale amministrativo
sono alcune tra le tante cause del grave disagio avvertito da molti di noi, che non si identificano solo con i giovani colleghi alla prima esperienza lavorativa.
Accanto alle molteplici indecisioni e timidezze della politica che perpetuano lo scadimento delle condizioni di lavoro e l’irrefrenabile aumento delle difficoltà dei singoli, la
magistratura si è vista anche additata quale causa d’inefficienza organizzativa della quale,
al contrario, è spesso vittima. L’incoerenza tra la costante riduzione delle risorse destinate
al miglioramento del sistema e l’affermata intenzione di recuperare efficienza ed efficacia
della risposta giurisdizionale si è risolta sempre più spesso nell’aggravio per il singolo, al
quale sono stati richiesti sforzi aggiuntivi che hanno, però, determinato la sua sovraesposizione personale, con concreto rischio di ricadute disciplinari e professionali, anche per
l’impossibilità, in siffatte condizioni, di garantire l’indispensabile accuratezza e qualità
della propria opera.
E’ chiaro a tutti, ormai, che è stato raggiunto il limite massimo e la fissazione di uno
o più parametri di esigibilità della prestazione, sia di produttività che di carico di ruolo,
distinti per funzione, non può essere più rimandata.
Lo richiede, prima di tutto, l’importanza e l’assoluta specificità della funzione giurisdizionale, che deve rimanere sottratta tanto agli usuali e limitanti parametri orari di un
normale lavoratore, quanto all’esigenza, altrettanto condizionante, di raggiungere un determinato prodotto indipendentemente dalla qualità offerta, inevitabilmente pregiudicata
nel momento in cui l’arretrato e i tempi di trattazione, per l’impossibile gestibilità delle
sopravvenienze, aumentano e determinano l’impossibilità di poter dimostrare di avere
davvero fatto tutto quanto era nelle proprie capacità.
E’ ora che venga concretamente garantito ad ogni magistrato il diritto-dovere di assumere, in piena autonomia, la responsabilità di lavorare in base alle sue concrete possibilità e alle esigenze che, di volta in volta, gli si presentino, continuando a studiare, scrivere
e approfondire fino a quando ve ne sia la necessità, senza che sia sottoposto a richieste in9
sostenibili e stabilendo, finalmente, in modo netto il confine oltre il quale le responsabilità
dei ritardi e dei disservizi sono esclusivamente addebitabili alle scelte politiche.
Come in concreto si debba giungere all’individuazione di tale parametro è ovviamente compito del C.S.M., che ha già avviato in seno alla IV Commissione la riflessione
che dovrà condurre all’individuazione del carico esigibile.
Unità per la Costituzione intende stimolare l’A.N.M. ad affiancare l’impegno consiliare, attraverso le sue proposte, tecniche e politiche, e soprattutto mediante la ricerca di
un punto comune tra le varie sensibilità, ritenendo praticabile la strada che conduca
all’individuazione di un limite minimo ed un limite massimo (“forbice”) di carico, con fissazione non di obiettivi numerici, bensì di obiettivi prioritari, ma non chiudendo a differenti soluzioni che riescano a coniugare qualità e quantità del lavoro, nella convinzione
che solo una reale e unitaria intesa tra le diverse sensibilità, evitando le occasioni di divisione, potrà realmente accelerare il percorso diretto al raggiungimento di tale fondamentale obiettivo.
Giustizia e benessere organizzativo
La complessiva situazione di disagio nella quale la gran parte dei magistrati si trova
ad operare, unita alle difficoltà sempre più crescenti derivanti dal trasferimento delle
competenze dagli enti locali all’autorità centrale (con delega di responsabilità, senza reale
predisposizione di misure e risorse idonee, ai vertici distrettuali) ed alle legittime apprensioni legate ai tragici eventi che le deficienze organizzative in ambito di sicurezza hanno
consentito, determina effetti negativi sulla serenità professionale del magistrato. La percezione, sempre più diffusa negli uffici giudiziari, di uno squilibrio avvertito dal singolo
quando le richieste, di ogni genere, provenienti dall’ambiente lavorativo eccedono le capacità individuali per fronteggiarle ha un nome e si chiama stress, una condizione che può
essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale.
L’attuale quadro normativo di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro,
costituito dal Decreto Legislativo 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni, ha specificamente individuato lo "stress lavoro-correlato" come uno dei rischi oggetto
di obbligatoria valutazione a far data dal 31 dicembre 2010, secondo i contenuti dell'Accordo Europeo dell'8 ottobre 2004 ( cui richiama il decreto stesso) e di conseguente adeguata gestione in tutti gli ambienti lavorativi privati e pubblici.
Il citato decreto ha, poi, demandato alla Commissione Consultiva permanente per
la salute e la sicurezza del lavoro il compito di "elaborare le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio stress lavoro-correlato", successivamente emanate il 17/11/2010 sotto
forma di un "percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione
dell’obbligo". La valutazione del rischio stress lavoro-correlato è parte integrante della valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro - prevista e disciplinata dal citato decreto legislativo.
Il percorso metodologico prevede diverse fasi: ove dalla prima valutazione preliminare in merito alla rilevazione di indicatori oggettivi del rischio non emergano elementi di
rischio da stress lavoro-correlato tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, se ne deve dare conto nel Documento di valutazione del rischio e prevedere un piano di monito10
raggio; diversamente, nel caso in cui si rilevino elementi di rischio da stress lavorocorrelato tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, si procede alla pianificazione e
all’adozione degli opportuni interventi correttivi.
Lo stress legato all’attività lavorativa rappresenta una delle sfide principali con cui
l’Europa è chiamata a confrontarsi nel campo della salute e sicurezza sul lavoro. Tale
priorità emerge con assoluta evidenza dai dati aggiornati forniti dall’OSHA - Agenzia Europea Sicurezza e Salute del Lavoro.
Unità per la Costituzione intende verificare e, se del caso, sollecitare la corretta applicazione della normativa nazionale ed europea a tutela del diritto fondamentale alla salute dei magistrati ed assumere iniziative perché si diffonda, anche negli uffici giudiziari,
la cultura del c.d. “benessere organizzativo”, che, ovvio precisarlo, non può non comportare, innanzi tutto, il recupero di ambienti lavorativi “salubri” e “sicuri”.
La questione economica
Sono passati sedici anni da quando la classe politica, per l’ultima volta, ha seriamente affrontato, senza pregiudizi, la questione dell’adeguamento del trattamento economico della magistratura ordinaria a quella amministrativa e contabile. Questione che allora venne maliziosamente collegata da alcuni esponenti politici all’esigenza di intervenire, contestualmente, con la riforma dell’ordinamento giudiziario, quasi a voler contrattare
la doverosa perequazione economica con le altre magistrature con un atteggiamento accondiscendente in seno associativo rispetto alle profonde modifiche ordinamentali che si
andavano delineando.
L’ordinamento giudiziario è stato cambiato; il tema della perequazione economica è
stato abbandonato con un trasversalismo politico significativo. Ma proprio quella riforma,
che ha “innovato” profondamente e rigorosamente sulla vita professionale del magistrato,
ha però fatto venir meno l’unico argomento in precedenza speso per giustificare la differente “velocità” di progressione economica che ancora oggi caratterizza la carriera del magistrato ordinario rispetto agli amministrativi-contabili, quello relativo all’accesso in magistratura, ormai di fatto equiparato. Un’incongruenza che non può essere più ignorata.
Unità per la Costituzione intende, dunque, rilanciare con forza e mettere al centro
delle rivendicazioni sindacali del prossimo quadriennio la questione della perequazione e
della rivalutazione della carriera economica, che certo non presenta la magistratura ordinaria quale categoria di “privilegiati” e che deve essere perseguita con convinzione sia per
tutelare i magistrati più giovani, i più esposti a difficoltà e disagi collegati alla necessità di
trasferimenti onerosi all’atto dell’assunzione delle funzioni, sia per consentire alla magistratura di poter continuare ad “attirare” e “conservare” i giovani più attrezzati professionalmente, al fine di garantire ed accrescere la qualità della risposta giurisdizionale che ci
legittima agli occhi dei cittadini.
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3. LA DIRIGENZA DEGLI UFFICI GIUDIZIARI SECONDO UNICOST
IL DECALOGO DEL BUON DIRIGENTE
Quella di capo dell’ufficio è una specifica funzione, “altra” rispetto alla normale
attività giurisdizionale e, quindi, non può configurarsi semplicemente come un “premio
alla carriera”. La recente emanazione da parte del C.S.M. del nuovo T.U. sulla dirigenza
giudiziaria, in vigore per i concorsi banditi a far data dal 30/6/2015 in poi, frutto
dell'abbandono del risalente e criticato criterio selettivo dell'anzianità di servizio e della
risposta data dall'autogoverno alla sempre più diffusa esigenza di oggettivizzare e rendere
trasparente l'individuazione e la nomina dei dirigenti, rende ancora più attuale la
riflessione sul modello di dirigente del terzo millennio e sulla idoneità delle scelte
normative ( primarie e secondarie) al raggiungimento dello scopo di individuare il
“ dirigente giusto al posto giusto”, oltre che sulla idoneità delle stesse a produrre risultati
selettivi la cui efficacia sia oggettivamente riconoscibile, e quindi condivisa.
Il poco tempo trascorso dall'introduzione delle nuove regole non consente una
valutazione attendibile sulla loro adeguatezza in ordine agli scopi sopra specificati, ma
certamente, onde consentire l'avvio di una riflessione che produrrà i suoi frutti più maturi
nei prossimi anni, oggi si palesa utile rappresentare una sorta di decalogo delle qualità e
delle condotte che devono contraddistinguere il dirigente “ modello” secondo Unità per la
Costituzione, e ciò per tre scopi principali:
a) individuare le attitudini e i comportamenti che, in sede di selezione, abbiano un’elevata
probabilità di predire prestazioni dirigenziali coerenti con la definizione di ruolo adottata;
b) valutare e verificare i comportamenti e le prestazioni complessive dei capi degli uffici
( sia giudicanti che requirenti);
c) orientare i percorsi e i programmi di formazione atti a fornire ai singoli magistrati le
competenze necessarie a un adeguato svolgimento del ruolo di responsabilità dell’ufficio.
Con queste finalità UNICOST ritiene di condensare nei seguenti punti le qualità e
le condotte da ritenersi“ esigibili” dai capi degli uffici:
1. il dirigente dell'ufficio giudiziario assicura tutte le condizioni affinché i magistrati
possano svolgere al meglio l’attività professionale e supporta il pieno dispiegamento della
professionalità degli stessi, anche praticando l'imparzialità e l'equidistanza nei rapporti
interni ed esterni;
2. tutela l'autonomia e l'indipendenza dei magistrati da pressioni e indebiti
condizionamenti esterni, ed egli stesso è ed appare indipendente;
3. valorizza l’ufficio, inteso come organizzazione, promuovendo l’identità organizzativa e
il senso di appartenenza alla struttura;
4. promuove la massima trasparenza dell’attività degli uffici e cura, in collaborazione con
il dirigente amministrativo, l’organizzazione del servizio e dei rapporti con l’utenza;
5. si adopera per ottenere l’adeguamento della dotazione organica dell’ufficio, rispetto al
modificarsi nel tempo dei flussi di attività e dei carichi di lavoro, pianifica, in relazione alle
esigenze dell’ufficio, l’assegnazione del personale togato e onorario, la mobilità interna e
le sostituzioni;
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6. non è autoritario, ma indiscutibilmente autorevole, preparato, equilibrato, predisposto
all'ascolto e al dialogo ma anche determinato, dotato di grande umanità e pronto ad
assumersi la responsabilità delle scelte effettuate, quotidianamente presente in ufficio;
7. il dirigente adotta le misure necessarie volte ad assicurare un indirizzo unitario
dell’ufficio, promuovendo, in ottemperanza alle diverse discipline degli uffici giudicanti e
requirenti, il confronto e l’armonizzazione delle prassi interpretative e comportamentali;
8. promuove la visione dell’ufficio non come una “monade”, ma come un’organizzazione
che opera all’interno di una rete costituita da una pluralità di interlocutori pubblici e
privati, con i quali si rapporta, dialoga, collabora;
9. assicura un’effettiva valutazione dei magistrati dell’ufficio, non limitata alla
compilazione dei rapporti, ma fondata su un esame periodico dell’attività svolta, sul
confronto con i singoli magistrati e le figure semidirettive, provvedendo, ove necessario,
ad un equilibrato intervento di supporto atto a prevenire le difficoltà del singolo e
dell’ufficio e la persistenza di situazioni rilevanti sul piano deontologico e disciplinare;
10. si adopera per affermare il principio secondo cui la giustizia è una funzione pubblica
di servizio alla società e ai singoli cittadini e, come tale, è un bene comune di valore
universale, che incide tanto sulla crescita civile che sullo sviluppo socio-economico del
territorio in cui opera l’ufficio.
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4. RAPPORTI TRA C.S.M. E S.S.M.
L’istituzione della Scuola Superiore della Magistratura, conseguente all’attuazione
della disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 26 del 30.6.2006, ha rappresentato senza dubbio un passaggio evolutivo importante sia per l’adeguamento delle istituzioni dedicate alla formazione dei magistrati ai modelli diffusi nella maggior parte dei Paesi
dell’Unione europea, sia per la realizzazione di una forma organizzativa stabile destinata,
in via esclusiva, al complesso compito sia di programmazione delle attività didattiche a livello centrale che di coordinamento di quelle realizzate dalle strutture territoriali su base
distrettuale.
Dunque, la Scuola, come modello organizzativo della formazione, non può e non
deve essere messo in discussione. Esso, dopo una prima fase di sperimentazione realizzata
nel passato quadriennio (nel corso del quale va dato atto dello sforzo “costitutivo” compiuto dall’originario comitato direttivo), va tuttavia migliorato proprio alla luce
dell’esperienza maturata durante questo primo periodo di prova anche recuperando le
best practices sviluppatesi durante il lungo ed importante periodo di “gestione diretta” della formazione da parte della IX commissione del CSM e del Comitato Scientifico.
Sotto quest’ultimo profilo si avverte la necessità che il ruolo del C.S.M. non si limiti
ad un’enunciazione delle linee d’indirizzo perché, ove non corroborate da un’attività di
raccordo costante con l’attività di disciplina concreta attuata dalla Scuola, esse si svuoterebbero di concreto significato riducendosi ad un mero simulacro di attuazione del principio costituzionale di cui all’art. 105 della Cost., dal momento che questa disposizione attribuisce all’autogoverno consiliare il compito di presiedere alle scelte afferenti ad ogni aspetto della vita professionale dei magistrati.
L’obiettivo di assicurare l’autonomia ed indipendenza dei magistrati si realizza sicuramente anche attraverso una formazione improntata alla consapevolezza, difesa e cultura di quei valori. Ma questo – è necessario ribadirlo con chiarezza - è un dovere/missione che la Costituzione assegna al Consiglio Superiore della Magistratura, quale
organo cui – attraverso l’autogoverno - è demandata la difesa delle prerogative della giurisdizione. Siamo, a questo riguardo, profondamente convinti che l’autonomia e
l’indipendenza siano valori che si manifestano ed affermano ricercando il confronto con le
altre Istituzioni coinvolte, a vario titolo, nella carriera dei magistrati e che siano la qualità
delle scelte metodologiche e la trasparenza delle modalità di coinvolgimento dei colleghi
nell’attività di formazione centrale o periferica i migliori “manifesti” per affermare che la
Scuola della Magistratura è libera ed indipendente.
Per questo appare ineludibile che il Consiglio recuperi a sé, nell’interesse dei fini istituzionali che gli sono propri, accanto ad una funzione programmatica e d’indirizzo iniziale, anche quella di verifica durante lo svolgimento dell’annualità didattica. L’istituzione
del tavolo tecnico può rappresentare, a questo fine, un valido strumento per rendere concreto questo coinvolgimento del Consiglio nelle scelte operate dal Comitato direttivo.
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5. LA FORMAZIONE
E’ ormai principio teorico largamente sostenuto, e da noi sempre condiviso, quello
secondo cui la formazione è non solo un diritto, ma anche un dovere del magistrato, poiché, già sul piano dei princìpi costituzionali, è innegabile il legame tra professionalità ed
indipendenza. Infatti, solo il magistrato culturalmente attrezzato è realmente indipendente
nelle decisioni, potendo effettivamente valutare la soluzione del caso più idonea sulla base
dei princìpi generali e costituzionali.
La formazione ha quindi ricadute anche di ordine costituzionale, non dubitandosi
del fatto che la professionalità dei magistrati contribuisce ad assicurare la soggezione del
giudice solo alla legge ex art. 101 comma 2 Cost.; e quindi la formazione è un mezzo di rafforzamento dell’indipendenza di ciascun magistrato e garanzia del pluralismo formativo
quale antidoto per ogni rischio di omologazione.
In particolare, se autonomia significa consapevole e veramente autonoma scelta tra
le interpretazioni possibili, soltanto un elevato livello di cultura della funzione mette il
magistrato al riparo dalla tentazione di imboccare la strada delle scorciatoie e della disinvoltura, senza ovviamente che ciò porti alla conformazione dei magistrati e della loro attività ad un unico modello imposto dall’alto.
Infatti, lo scopo della formazione non è certo quello di appianare i possibili contrasti
nell’interpretazione delle norme indicando ex cathedra la scelta ritenuta preferibile, ma
piuttosto quello di evitare il contrasto inconsapevole, poiché è proprio dalla conoscenza
delle motivazioni poste alla base delle diverse posizioni che si possono trarre spunti utili
ad alimentare il percorso decisionale, ed eventualmente a facilitare la composizione del
contrasto stesso secondo un percorso condiviso e non già calato autoritativamente.
Se ciò è vero, a nostro avviso gli obiettivi che la Scuola della Magistratura deve perseguire sono i seguenti:
- prevedere un vasto numero di corsi che intercetti nel modo più vasto ed articolato possibile i molteplici e variegati bisogni formativi dei magistrati, proseguendo nella strada, recentemente intrapresa, di organizzare anche in sede diversa da Scandicci alcuni
dei corsi, laddove esigenze logistiche lo rendano utile;
- assicurare un reale pluralismo culturale dei docenti ed una apertura anche ai saperi extragiuridici;
- esigere dai relatori un contributo scritto, da porre a disposizione di tutti i magistrati in
una banca dati che, diversamente da quella ora in uso e così come invece accadeva in
precedenza quando la formazione era gestita dal C.S.M., consenta una adeguata consultazione tramite i canali della ricerca per autore, per parola chiave nel titolo del corso
e per parola chiave nel titolo della relazione;
- rafforzare lo spazio dedicato all’analisi dei fenomeni sociali che fanno spesso da sfondo
a temi giuridici di grande interesse, perché attraverso la formazione si contribuisca a
rinsaldare anche nei magistrati la sensibilità e la tensione al rispetto dei valori fondamentali per il corretto esercizio del potere di giudicare;
- potenziare l’offerta formativa nel settore dell’informatica giuridica (tenuto conto
dell’ormai completa entrata a regime del processo civile telematico tramite Consolle e
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della prossima informatizzazione del processo penale), della formazione europea e sovranazionale, della formazione linguistica;
garantire che la formazione decentrata sia adeguata ed efficace in tutte le realtà territoriali, nonché realmente complementare rispetto alla formazione nazionale;
valorizzare, nella formazione dei MOT, non solo gli aspetti teorici, ma anche gli approfondimenti tecnico-pratici che sviluppino le capacità operative e concrete necessarie allo svolgimento del lavoro quotidiano del magistrato, tenuto conto del lungo periodo
che, per scelta normativa, in cui il tirocinio deve essere svolto presso la Scuola;
valutare la possibilità di predisporre, così come ora già accade in alcuni Distretti, una
periodica newsletter informativa a livello nazionale, per garantire ai colleghi una pronta informazione sulle modifiche legislative o sugli arresti giurisprudenziali di particolare spessore.
( Contributo redatto con la collaborazione dei componenti del Comitato Direttivo della
Scuola Superiore della Magistratura Gianluigi Morlini e Nicola Russo).
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6. LE PARI OPPORTUNITÀ IN MAGISTRATURA
Occuparsi oggi di pari opportunità in magistratura non significa più trattare temi
limitati alla tutela di una giovane minoranza di genere: su un totale di 9.098 magistrati in
servizio, infatti, le donne sono 4.553 mentre gli uomini si attestano a 4.545 e si registra,
ormai da qualche anno, una sensibile prevalenza di donne tra i vincitori dei concorsi per
l’ingresso in magistratura. L’indicato dato numerico impone, quindi, che l’analisi di genere divenga ordinario approccio sistematico nell’affrontare tutte le questioni afferenti alla
gestione degli uffici ed all’organizzazione del lavoro giudiziario, tenendo conto che, in Italia, la donna in magistratura rispecchia il modello sociale della donna italiana cui, nonostante l’evoluzione normativa - vuoi per tradizione e costume vuoi per carenza di servizi
socio-assistenziali - è rimessa in via pressoché esclusiva la cura della famiglia.
Unità per la Costituzione ha sempre portato i temi delle pari opportunità sul piano
ordinamentale e concreto esprimendo, nelle ultime due Consiliature, le uniche donne
componenti togate del Consiglio Superiore della Magistratura e garantendo una partecipazione attiva e stimolante negli organismi istituzionali di parità operanti nel circuito
dell’autogoverno in sede centrale e decentrata oltreché nell’importante azione
dell’Associazione Donne Magistrato Italiane.
La storia degli interventi normativi ed amministrativi del C.S.M. è ricca di iniziative
che hanno tentato e ancora oggi tentano di assicurare una effettiva parità in tutti i settori
della vita professionale dei magistrati anche se non si può certamente dire ancora raggiunta la concreta parità di genere sia nelle opportunità iniziali sia negli obiettivi finali della vita professionale delle donne giudici.
Contribuire in sede associativa a superare gli ostacoli che ancora si frappongono al
raggiungimento del difficile equilibrio tra l’impegno nella professione e la cura della famiglia costituisce non solo per le donne giudici, ma per tutto l’ordine giudiziario, un obiettivo primario ispirato agli alti valori Costituzionali di pari opportunità, di tutela della persona, di valorizzazione dei doveri di assistenza famigliare e di solidarietà sociale garantiti
dagli artt. 29, 30 e 37 Cost. Nell’indicata prospettiva, intendiamo approfondire temi e possibili linee di intervento che possano supportare future azioni del sistema di autogoverno
ovvero ispirare interventi legislativi, tra i quali:
1. Accorgimenti diretti ad evidenziare, in sede di redazione dei progetti tabellari e loro successive variazioni, i dati sensibili in un’ottica di genere ( quali: redazione di
elenco dei magistrati in servizio distinti per genere con indicazione della sezione/settore di appartenenza, dei magistrati in stato di gravidanza e/o impegnati
nella cura di figli di età inferiore ai 3 anni, della fruizione dei relativi congedi e della
eventuale sostituzione con magistrati distrettuali) così da consentire ai Consigli
Giudiziari e, nell’ambito degli stessi, ai Comitati Pari Opportunità, di valutare le
scelte organizzative operate dai capi degli uffici anche con riferimento alle esigenze
di tutela della maternità ed alle previsioni di tutela di genere stabilite nella circolare
sulla formazione delle tabelle.
2. La concreta valutazione dei risvolti organizzativi connessi con le esigenze di tutela
della maternità e della genitorialità in sede di periodica pubblicazione dei posti va17
canti per i trasferimenti ordinari, che dovrebbe indurre a prevedere doverose eccezioni alla scelta tendenziale di mantenere una percentuale di scopertura uguale per
tutte le sedi giudiziarie in favore di quegli uffici che - per le non ampie dimensioni,
l’elevato tasso di avvicendamento dei magistrati in servizio e la gravosità dei carichi di lavoro - più difficilmente di altri possono fare fronte alle necessità connesse
alle sostituzioni di magistrate in maternità ed alla riorganizzazione degli uffici in
funzione del contemperamento delle esigenze di cura della prole.
3. Il potenziamento numerico dei magistrati distrettuali e la tendenziale coincidenza
tra la loro specializzazione effettiva ed il ruolo da ricoprire ( quantomeno con riferimento alle macro-aree civile/lavoro e penale) che garantirebbero, insieme, pari
opportunità alla categoria dei magistrati distrettuali rispetto ai colleghi che lavorano nei diversi circondari ed efficace attuazione del principio interpretativo, espresso
dal C.S.M. nella risposta a quesito del 13 maggio 2010, di assicurare in concreto la
prioritaria assegnazione di detti magistrati alla sostituzione di magistrati assenti
per maternità, i cui ruoli, in difetto di effettiva supplenza, assumono sovente caratteristiche di ardua gestibilità nel periodo più delicato del rientro in servizio della
magistrata con prole in tenera età da curare, con conseguente richiesta al C.S.M. di
monitoraggio ogni 6 mesi presso le Corti di Appello e le Procure Generali della destinazione dei magistrati distrettuali e della tipologia dei posti vacanti da coprire
temporaneamente.
4. L’ampliamento dell’ambito applicativo e l’effettiva operatività dell’istituto dei
provvedimenti organizzativi ex par. 45 della circolare sulle tabelle che rappresenta,
de iure condito, l’unico strumento di flessibilizzazione del lavoro in funzione conciliativa a disposizione dei/delle magistrati/e impegnati/e nella cura della prole entro i tre anni. Monitoraggi svolti sia in ambito nazionale che in ambito decentrato
hanno evidenziato criticità applicative dell’istituto connesse alla limitatezza dei casi
di ammissione all’esonero rispetto alle potenziali situazioni di difficoltà in cui il
magistrato può trovarsi nel corso della vita professionale e alla sua scarsa applicazione, che si spiega sovente con le remore personali delle interessate ( legate alla volontà di non pregiudicare l’organizzazione del lavoro, evitare polemiche e non
danneggiare i colleghi ), cui fanno da pendant la carenza di direttive dei dirigenti
degli uffici, la difficoltà di pensare ad una modulazione del lavoro compatibile con
le esigenze di tutti i magistrati dell’ufficio, specie in tribunali particolarmente gravati, ma anche la carenza di una cultura di genere veramente sentita negli uffici
giudiziari. A tal fine, l’ampliamento dei casi ammessi all’esonero ( ad esempio elevando il limite di età della prole minore ovvero prevedendo anche le esigenze di
cura di prole e/o famigliari affetti da gravi patologie, a prescindere dall’età) ed una
più marcata procedimentalizzazione dell’iter necessario all’adozione dei provvedimenti di cui al par. 45 citato - con la previsione di un termine congruo per l’interpello
del magistrato in procinto di rientrare in servizio e la formalizzazione scritta della interlocuzione con l’interessata e gli altri giudici in servizio - potrebbero concorrere ad una rivitalizzazione dell’istituto in termini di condivisione negli uffici delle scelte organizzative orientate in ottica di genere con innegabili ricadute positive in termini di
efficienza del servizio giustizia e maggiore diffusione della cultura di genere.
5. Possibili forme di flessibilità della prestazione lavorativa che consentano, in taluni
specifici casi di particolare gravità e rilevanza, temporanee riduzioni effettive del
carico di lavoro nel solco delle prospettive di riforma cui fa riferimento la Delibera18
zione assunta dal C.S.M. il 12 maggio 2005 e, più recentemente, riprese nelle delibere del 3 luglio 2013 e del 24 luglio 2014. L’esperienza concreta negli uffici dimostra
che, spesso, la rimodulazione organizzativa della prestazione lavorativa di cui al citato par. 45 - che, come è noto, non consente una riduzione del carico di lavoro ma
solo una riduzione della presenza in ufficio della donna giudice - non riesce a compensare le difficoltà connesse alle esigenze di cura della prole o, comunque, di assistenza famigliare che, potendo assorbire gran parte dei tempi di vita della lavoratrice, rendono insostenibile un carico di lavoro ordinario, a prescindere dal mero dato
della presenza in ufficio. Inoltre il deficit di produttività o di diligenza che può avere
il magistrato in precisi periodi della vita professionale può comportare gravi conseguenze anche sul piano disciplinare ove si consideri che parte significativa delle azioni disciplinari per illecito da ritardo conseguono a periodi in cui il magistrato incolpato non è stato in grado di adempiere esattamente ai propri doveri per situazioni personali o famigliari contingenti che, magari, non arrivano realmente ad avere una portata esimente. Dunque la momentanea crisi lavorativa, dovuta a ragioni meritevoli di protezione, può comportare una condanna disciplinare che verosimilmente inciderà sull’intera vita professionale del magistrato. Nella ritenuta inapplicabilità al personale di magistratura dell’istituto del part-time,
l’introduzione, seppure in via di eccezione, di forme di impiego flessibile ( quali il lavoro a tempo parziale verticale a quota fissa) opererebbe nel senso di un bilanciamento tra
i valori tutelati dall’art. 97 Cost e dagli artt. 29, 30 e 37 Cost.:"lo scopo è di consentire
agli uffici di avvalersi dell'attività di magistrati che, altrimenti, per motivi familiari o di salute, sarebbero costretti, come avviene attualmente, a ricorrere a periodi anche molto lunghi
di astensione dal lavoro, e dall'altro di assicurare a questi magistrati il diritto all'espletamento delle loro funzioni secondo modalità compatibili con la loro contingente situazione. Il
beneficio, come emerge con evidenza, è duplice: per l'ufficio, che recupera energie lavorative,
e per il magistrato, il quale non viene costretto ad assenze non desiderate ed all'inevitabile
perdita di professionalità conseguente a lunghi periodi di inattività” ( queste le valutazioni ancora attuali espresse dal C.S.M. nella delibera del 10 aprile 1996). Sotto altro
profilo, il ripristino di condizioni di partenza paritaria tra i due generi, con una disciplina ispirata ai criteri dell’uguaglianza sostanziale, garantirebbe alle donne in
magistratura un percorso professionale di valore e qualità e, con esso, migliori
chance di progressione futura.
6. Monitorare il “nuovo volto” della dirigenza giudiziaria conseguente al massiccio
turn over imposto dalle recenti innovazioni ordinamentali, come introdotte dal d.l.
n. 90/2014, con la riduzione a 70 anni dell’età lavorativa, al fine di verificare se
l’aumento degli approdi femminili ai posti direttivi e semidirettivi - già registrato
dal C.S.M. nella delibera del 24 luglio 2014, all’esito di un monitoraggio sulla partecipazione delle donne al processo decisionale – raggiunga percentuali analoghe a
quelli maschili e, comunque, proporzionali agli ingressi delle donne nell’ordine ed,
in caso di perdurante sottorappresentazione delle donne giudici nei ruoli direttivi e
semidirettivi, individuarsi criteri di effettiva valorizzazione delle magistrate nella
selezione dei dirigenti, che tengano conto della difficoltà per le donne di svolgere
attività collaterali nel periodo in cui normalmente è più stringente l’attività di cura
all’interno della famiglia e della minore mobilità che caratterizza il percorso professionale delle donne.
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7. L’adozione di azioni positive, quali la previsione di quote di risultato, che consentano di risolvere il problema della sottorappresentazione delle donne magistrato
all’interno del C.S.M., dei Consigli Giudiziari e del Comitato Direttivo della Scuola
Superiore della Magistratura, come individuate dal C.S.M. nella delibera del 2 aprile 2014, nella consapevolezza che una partecipazione equilibrata delle donne e degli
uomini ai processi decisionali è elemento di giustizia sociale e condizione necessaria al migliore funzionamento di una società democratica.
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7. IL PROCESSO CIVILE TELEMATICO.
Culto o cultura del telematico.
In vista delle prossime elezioni per il rinnovo del Comitato Direttivo Centrale, UNITA’
PER LA COSTITUZIONE ribadisce con forza il proprio impegno nel realizzare una rappresentanza associativa a tutto campo, sempre tesa a perseguire i dettami costituzionali, e
dunque non solo incentrata sulla specifica funzione giurisdizionale, ma necessariamente
accompagnata ad una responsabilità di amministrazione della Giustizia.
Continue riforme ed innovazioni da parte della politica nel delicato settore della
giustizia, civile e penale, si traducono in una sempre più pressante richiesta alla magistratura di far fronte ad una domanda di giustizia peraltro in continuo aumento, che tuttavia
non viene accompagnata dalla fornitura di idonee risorse a supporto, e che finisce quindi
per creare nei magistrati un senso di inadeguatezza e di ansia per il crescente aumento di
(quelli che vengono percepiti solo come) oneri e responsabilità. In questo contesto si colloca l’introduzione, da ormai circa due anni, ma con continui aggiustamenti e modifiche in
progress, del PCT - processo civile telematico.
Ebbene, l’analisi svolta dal gruppo di UNITA’ PER LA COSTITUZIONE, culminata
nel documento conclusivo del Congresso di Orvieto del 25-28 giugno 2015, consente di affermare che, se da un lato il PCT sicuramente costituisce una significativa innovazione
nell’ambito della gestione del processo civile (e, in prospettiva, del processo penale PPT e
del lavoro delle Procure), finalizzata alla realizzazione di molteplici funzionalità, d’altro
questo strumento presenta delle criticità, che devono essere attentamente individuate ed
analizzate allo scopo di porre i fondamenti per le azioni positive necessarie al consolidamento di questo strumento. Si può infatti considerare definitivamente superata una prima
fase, connotata soprattutto dalla entusiastica e per alcuni versi acritica glorificazione delle
pretese qualità taumaturgiche del PCT, presentato all’opinione pubblica come la soluzione
di larga parte dei problemi della giustizia italiana.
È tempo invece di riflessioni più mature, scaturite dalla quotidiana esperienza applicativa.
Sicuramente l’informatizzazione del settore civile consente l’aumento del livello di
efficienza del sistema (si pensi alla possibilità per il magistrato di avere la visione complessiva, sempre, del proprio ruolo e le ricadute positive in termini di organizzazione dello stesso), nonchè un risparmio di tempo e di spesa, soprattutto in termini di più snelle
modalità di comunicazione e di più agevole conservazione ed archiviazione dei fascicoli e
degli atti (dematerializzati, per cui non occorre vengano reperiti spazi fisici idonei alla loro
custodia), che potranno costituire banche dati usufruibili dall’intero ufficio giudiziario.
Tutto questo, tuttavia, ha a che fare, a ben vedere, con il principio di buon andamento e
buona organizzazione della pubblica amministrazione consacrato nell’art. 97 Cost.; non è
invece del tutto adattabile all’esercizio della giurisdizione. E proprio qui sta infatti la questione: le criticità rilevate e che si continuano a rilevare nel PCT attengono a problematiche
che ostacolano l’efficace (e quindi l’efficiente) esercizio della funzione giurisdizionale da
parte del magistrato, nello specifico del giudice civile.
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Sgombrando il campo da ormai retrivi contrasti di posizione (soprattutto sul tema
delle cd. copie cartacee di cortesia), anche grazie ai recenti interventi normativi, può dirsi
acquisito, perlomeno tra larga parte dei magistrati operanti nel settore civile, pieno consenso all’utilizzo del PCT: si vorrebbe però unanimemente “che funzionasse meglio”, anzi,
“al meglio” e che, in altre parole, costituisse una adeguata e duttile risorsa, e non invece
un ostacolo al quotidiano lavoro giudiziario, tale da contribuire a far sentire i magistrati
sempre più schiacciati dal peso del loro carico di lavoro e da ulteriori, non richieste, responsabilità. Esemplificando:
1. è tollerabile che persistano anomalie, blocchi che rallentano ed ostacolano il lavoro
del magistrato nella gestione dell’udienza con redazione del verbale a consolle, o
nel deposito dei provvedimenti ?
2. è tollerabile che non esistano o non vengano adottati adeguati sistemi di sicurezza,
soprattutto in caso di perdita di dati ?
3. è tollerabile la persistente mancanza di stabile presenza negli uffici di personale
tecnico in grado di fronteggiare queste evenienze ?
4. è mai possibile che non si pensi (tra le istituzioni tutte – Governo, C.S.M., S.S.M.) di
realizzare una formazione congiunta tra magistrati, cancellieri, avvocati ed ausiliari
(si pensi per es. ai CTU), lasciando invece che ognuna di queste figure abbia una
preparazione (e dunque una consapevolezza dei problemi, tecnici ma anche con ricadute giuridiche) solo settoriale ?
Il PCT non può e non deve essere l’alibi per eludere la domanda di risorse da destinare al settore giustizia. UNITA’ PER LA COSTITUZIONE continuerà a chiedere con forza nelle sedi competenti sia l’inserimento di nuovo personale, sia investimenti nelle necessarie risorse destinate all’assistenza tecnica, alla formazione permanente dei magistrati e
del personale, alla disponibilità in tutti gli uffici di hardware e software di ultima generazione. Non va dimenticato, ma anzi costantemente testimoniato all’esterno, che i magistrati
italiani hanno acquisito in tempi molto rapidi la piena consapevolezza dell’importanza di
questa storica evoluzione tecnologica, acquisendo al proprio bagaglio professionale anche
l’uso quotidiano dei programmi applicativi del PCT.
Ma vi è di più. I magistrati italiani sono pronti a rilanciare su questo fronte e ad assumersi l’impegno serio a lavorare per il necessario perfezionamento di questo strumento,
compiendo ogni sforzo utile in tale direzione, anche nella prospettiva di contribuire al superamento del rischio di possibili contrapposizioni con gli altri operatori del diritto su
questo tema. Facendosi portatrice di questo impegno della magistratura, UNITA’ PER LA
COSTITUZIONE chiede quindi che tutte le Istituzioni riconoscano l’effettiva centralità del
PCT, quale punto prioritario e qualificante di un’agenda sulla Giustizia, e come tale meritevole di tutto il necessario supporto in termini di risorse concrete.
Altri profili devono essere necessariamente evidenziati. Allo stato attuale il PCT
rappresenta un elemento neutro sulla durata del processo, incapace di incidere in modo
apprezzabile sul contenimento dei tempi di definizione dei procedimenti. Perlomeno sul
breve periodo, il PCT non accorcerà di un solo giorno la durata dei processi e non certo
per colpa dei magistrati che lo gestiscono. Se da un lato i magistrati italiani, come emerso
dal rapporto CEPEJ, sono già tra i più produttivi in Europa, dovendo fronteggiare una
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mole di contenzioso che non ha eguali negli altri Paesi Membri, per altro verso gli ancora
ampi margini di perfettibilità dello strumento determinano inevitabilmente un lungo periodo di “rodaggio” e di migliorie che certo non depone nel senso dell’accelerazione.
In ogni caso, poi, anche gli auspicabili miglioramenti rimangono tali sotto un profilo puramente tecnico, mentre c’è ancora molta strada da fare sul versante del raccordo tra
regole tecniche e regole di diritto. Le regole tecniche che disciplinano il funzionamento del
PCT presentano delicati profili di intersezione con i principi generali del processo civile.
Occorre quindi ripensare in modo sistematico alle norme del processo, in una prospettiva
di armonizzazione e non di mera sovrapposizione a cascata di discipline, al fine di scongiurare una proliferazione di eccezioni e questioni processuali tale da frustrare la legittima
domanda di giustizia dei cittadini. Non è certo questa la giustizia civile in cui UNITA’
PER LA COSTITUZIONE crede e si identifica. Va quindi affermata l’assoluta indifferibilità di un riordino razionale e sistematico delle norme vigenti e la fissazione di regole chiare
che, pur nel rispetto della indipendenza e della serenità di giudizio del magistrato, gli assicurino una certezza nel procedere senza oneri di responsabilità.
UNITA’ PER LA COSTITUZIONE continua infine a perseguire la strenua difesa
delle condizioni di lavoro del magistrato che utilizza lo strumento del processo telematico.
La progressiva scomparsa del fascicolo cartaceo fa sì che il magistrato sia costretto a trascorrere un numero imprecisato, ma sicuramente elevato, di ore davanti al computer, con
rischi specifici per la salute.
UNITA’ PER LA COSTITUZIONE continuerà a chiedere che in tutti gli uffici giudiziari vengano prescritte ed avviate visite mediche periodiche, non potendo queste misure
essere frutto di iniziative isolate, ma dovendo costituire la concreta manifestazione di una
capillare azione positiva su tutto il territorio nazionale.
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8. L’INFORMATIZZAZIONE DELLA GIUSTIZIA PENALE
La modernità pone al centro di ogni riflessione la necessità di una profonda fase
di rinnovamento, intesa come autoriforma, rinascita etica, innovazione delle leggi e
dell’organizzazione del lavoro e degli Uffici giudiziari. L’elevata laboriosità individuale
dei magistrati non trova corrispondenza in un’equivalente efficienza del sistema penale
e del livello di automazione delle risorse attualmente disponibili.
La scarsità di risorse rende necessario orientare ogni sforzo sul piano di una più
efficiente organizzazione delle dotazioni umane e materiali e sull’introduzione del processo penale telematico, per la cui funzionalità occorrono investimenti, fornitura agli uffici di strumenti informatici di facile uso, formazione e riqualificazione del personale, oltre ad un’operosa sinergia con gli avvocati e con gli altri operatori professionali. Non a
caso si parla di organizzazione e di innovazione come di un processo unitario, perché gli
interventi non possono che procedere congiunti.
L’impegno di Unità per la Costituzione in questo settore tenderà a sollecitare un
incremento del livello automazione e a sensibilizzare tutti i soggetti coinvolti, in quanto
con le notifiche telematiche a persone diverse dall’imputato è terminata la gestione in
forma esclusivamente “cartacea” degli atti ed è iniziata una vera e propria “dematerializzazione” del processo penale. È notorio che il sistema penale sconta in questo campo, a differenza di quello civile, le maggiori problematicità derivanti da un elevato numero di soggetti coinvolti, che trattano i dati processuali e, soprattutto, interagiscono con
le norme a garanzia della privacy.
Il sistema informativo della cognizione penale costituisce l’elemento strategico
più importante e rappresenta un apparato complesso, che offre una vasta gamma di utilità per raccogliere, registrare e restituire in maniera analitica i dati digitali e le attività
compiute nell’arco dell’intero procedimento penale.
In attesa di costruire un vero ufficio del processo, i programmi informatici, le
buone prassi e la cultura dell’automazione devono trovare ingresso in maniera omogenea in tutti gli uffici giudiziari per formare un sistema efficace di gestione dei flussi documentali, che consenta la formazione di fascicoli processuali interamente digitalizzati,
con conseguente recupero di risorse, in termini di energie lavorative e materiali. Il sistema dovrà essere in grado di gestire gli atti in formato digitale e di farli circolare tra tutte
le parti del processo, in ogni fase procedimentale, dalla notizia di reato fino
all’espiazione della pena, senza limitarsi a gestire in forma integrata le notifiche penali ai
soggetti interessati.
Ogni magistrato dovrà essere posto in grado di monitorare i propri flussi di lavoro e di accedere immediatamente alle informazioni relative al proprio ruolo, con possibilità di gestire le udienze e le scadenze, nonchè di formare gli atti. È tempo, ormai, di adeguarsi alle esigenze informatiche e ai ritmi imposti dal progresso, che richiedono un
nuovo modello di giudice, ripudiando ogni approccio conservatore: la tecnologia non
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può più essere relegata a mera funzione servente, perché essa stessa incide sulla struttura del processo, in cui sarà preminente la dimensione elettronica di atti e documenti.
Il sistema telematico sta per assurgere a “luogo” di accesso delle parti al processo,
perché più che la cancelleria nella sua fisicità, acquisterà progressiva importanza l'area
virtuale di accesso e trasmissione elettronica dei documenti in formato immateriale.
L’intero meccanismo è disciplinato da regole tecniche per adattare l’impianto normativo
esistente alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che imporranno
nell’immediato futuro l’adozione di un “fascicolo informatico penale”, nel quale confluiranno atti e documenti da chiunque formati, ricevute di posta elettronica, allegati e copie
digitali.
L’informatizzazione del processo sarà progressivamente inarrestabile e
l’operatore del diritto dovrà confrontarsi non solo con le notifiche elettroniche e con il fascicolo processuale in forma dematerializzata, ma anche con la formazione della prova
in ambito digitale, come del resto già accade per la videoconferenza.
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9. PROCESSO PENALE ED ORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI DEL PUBBLICO
MINISTERO
Unità per la Costituzione ritiene non più procrastinabile un intervento deciso da
parte del C.S.M. idoneo a trovare un ragionevole punto di equilibrio fra l’indubbia accentuazione del ruolo del Procuratore, quale strumento di garanzia di una maggiore omogeneità ed efficienza nell’esercizio delle attività di competenza del P.M., ed il rispetto delle
garanzie di autonomia e di indipendenza che la Costituzione assicura a tutti i Magistrati:
giudici e pubblici ministeri. Un intervento che, prendendo spunto dall’indiscusso potere
riconosciuto al Procuratore della Repubblica in tema di organizzazione dell’ufficio (ex art.
1 co. 6 d.lgs. 106/2006) e di verifica del corretto, puntuale e uniforme esercizio dell’azione
penale (ex art. 1 co. 2 d.lgs. 106/2006, che richiama pure il doveroso rispetto delle regole
del giusto processo), deve essere in grado di garantire un esercizio dei poteri ed un adempimento dei doveri dirigenziali nei limiti di quanto in proposito previsto dall’assetto normativo in essere, a partire dal rispetto delle garanzie di indipendenza e autonomia che la
Carta riconosce, appunto, sia ai Giudici sia ai P.M. (ai sensi degli artt. 97, 101, 102, 105, 107
e 112 Cost.).
Un intervento che rimandi, quindi, alla vera natura del potere del Procuratore che
esercita una gerarchia di tipo organizzativo, capace di esprimere le opportune linee di indirizzo circa l’adozione, da parte degli Aggiunti e dei Sostituti, di criteri omogenei ai fini
delle determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione penale e circa l’utilizzo delle risorse
disponibili: problemi reali, presenti in ogni Procura. In questa direzione, e peraltro nel solco delle linee guida in parte già tracciate, deve quindi – ed anzitutto – essere valorizzata la
prevista trasmissione al C.S.M. dei progetti organizzativi degli uffici requirenti. Il recepimento degli stessi non può ridursi ad una pura e semplice presa d’atto, eventualmente con
la formulazione di rilievi destinati a non incidere sul concreto funzionamento dell’ufficio.
E’ giunto il tempo di un nuovo ed organico intervento teso ad individuare, in termini di maggior dettaglio, la portata minima dei progetti organizzativi; a valorizzare i
principi informatori posti a fondamento della recente riforma – interpretata in chiave costituzionalmente orientata – al fine di favorirne la concreta attuazione nella redazione dei
progetti stessi; a riconoscere maggiormente gli effetti del controllo dell’organo di autogoverno e dei relativi ed eventuali rilievi (da valorizzare non soltanto ai fini ed in occasione
di conferme quadriennali e nuove domande, ma anche e soprattutto nell’immediatezza
dell’incarico in corso). Solo la restituzione al C.S.M. di un potere di sindacato effettivo dei
progetti organizzativi varati dai Procuratori, accompagnato da una procedimentalizzazione compartecipativa nel relativo varo, con adeguato e disciplinato, ruolo delle osservazioni formulate dai sostituti, consentirà infatti di qualificare la figura del Dirigente in termini
di “vertice” di tipo “organizzativo”. Tale prospettiva di “democratizzazione” degli Uffici
di Procura non è volta a sostenere un surrettizio depotenziamento delle prerogative del
Dirigente, quanto piuttosto a formalizzare prassi virtuose già sperimentate, disciplinandone in maniera omogenea la cogenza.
Nel contesto dei possibili interventi Unità per la Costituzione, sulla scorta di quanto
già ha fatto peraltro il C.S.M. nel parere espresso in data 31 maggio 2007, auspica che la
cultura tabellare torni “a trovare cittadinanza negli Uffici di Procura così come già la trova negli
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Uffici giudicanti, a dimostrazione ulteriore di un rinnovato ed auspicato senso della parificazione
tra gli uni e gli altri ed in omaggio al principio di gestione trasparente, ed anche per questo efficiente, della funzione requirente” e che al Consiglio sia quindi “restituita la prerogativa, del tutto costituzionalizzata dal combinato disposto degli artt. 25, comma 1, e 97, comma 1, Cost., di dettare
criteri sulla ripartizione del lavoro per materie e per magistrati”.
Estremamente delicata la tematica delle assegnazioni e revoche dei procedimenti,
oltre a quella dei visti preventivi del Procuratore della Repubblica. Qui la presa di posizione deve essere forte e decisa. La revoca dell’assegnazione deve porsi come la “extrema
ratio” determinata dalla violazione da parte del magistrato assegnatario del fascicolo dei
“criteri generali” pre-individuati per la trattazione di affari omogenei nell’ ambito del progetto organizzativo, ed eventualmente specificati in relazione ad un determinato procedimento, quale indicazione di dettaglio di una direttiva a carattere generale. I “visti”, i “riferire”, istituti non espressamente previsti dalla legge, necessitano di una riconduzione ad
unitarietà, non essendo accettabile una diversificazione tra Uffici sul tema, in ossequio ad
una linea interpretativa che riconduca il ruolo e le prerogative del Dirigente alla sfera organizzativa e non al sindacato di merito delle opzioni giurisdizionali adottate dai sostituti.
Gli interventi complessivi, in conclusione, devono estendere ed ampliare i principi e
le garanzie a tutela della autonomia dei sostituti, esplicitando e rendendo inequivoca la interpretazione costituzionalmente orientata del ruolo dei dirigenti e del complessivo assetto
ordinamentale delle Procure.
E’ poi assolutamente necessaria ed improcrastinabile una chiara e decisa presa di
posizione relativamente alla figura dei Procuratori Aggiunti che consenta di individuarne,
prima di tutto, le prerogative tipiche della funzione semi-direttiva, attraverso il riconoscimento di compiti effettivi di coordinamento e direzione da esercitarsi sempre nel rispetto
della piena autonomia del sostituto titolare del procedimento. Nel medesimo contesto, poi,
non potendosi trascurare la duplice veste ricoperta dal Procuratore Aggiunto, dovranno
essere disciplinate anche le attribuzioni proprie della funzione requirente, proponendosi
un’estensione della disciplina generale dettata per le assegnazioni dei procedimenti.
Infine, e non ultimo, una nuova attenzione al raccordo (o meglio al rapporto) che
deve intercorrere tra la Procura della Repubblica ed il Tribunale, già previsto a livello di
normativa secondaria sia per gli uffici requirenti sia per i giudicanti. Una buona organizzazione delle attività della Procura della Repubblica non può astenersi dall’instaurare se
non momenti dialogici, quanto meno momenti di confronto e, soprattutto, di attenzione e
raccordo con il rispettivo ufficio giudicante proprio in punto di (e per una migliore) organizzazione delle attività affidate all’organo inquirente. In quanto parti di un unico sistema
“giustizia”, la valutazione dell’operato di una di esse non può più prescindere da un attento esame dell’an e del quomodo in cui la stessa si è posta rispetto all’altra. Una valorizzazione del coordinamento tesa a consentire una completa valutazione del dirigente dell’ufficio
di procura in termini di efficienza effettiva, concreta e “lungimirante” del suo operato ed
altresì volta a rivendicare l’unità della magistratura attraverso il netto rifiuto, anche sotto
l’aspetto valutativo, di una separazione sostanziale tra le carriere di giudici e pubblici ministeri.
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In linea con le riflessioni rese all’indomani del Congresso di Orvieto, non può poi
che sottolinearsi l’impegno di Unità per la Costituzione nel sollecitare un intervento riformatore organico anche del processo penale, svincolato da logiche emergenziali e volto ad
incidere sulla efficienza e sulla ragionevole durata del processo.
In tale ottica si intende continuare a promuovere interventi in tema di:
 ampliamento dei meccanismi di estinzione del reato per effetto del risarcimento del
danno e rafforzamento del principio di “giustizia riparativa”;
 razionalizzazione del sistema delle impugnazioni e introduzione di filtri idonei a ridurre il carico di lavoro dei gradi superiori di giudizio;
 moderazione del principio di immutabilità del giudice in ragione della frequente necessità di rinnovare integralmente il dibattimento, con conseguente dilatazione eccessiva e irragionevole dei tempi di conclusione del processo;
 gestione informatica organica dei flussi di informazione tra Uffici del P.M. e del dibattimento e, in generale, adozione di un unico contesto progettuale nazionale volto a favorire l’efficienza interna attraverso la dematerializzazione dei dati e la formazione del
personale giudiziario;
sotto il profilo sostanziale, in quanto diretto riflesso del processo penale, Unità per la Costituzione intende sollecitare interventi in tema di:
 maggiore diversificazione delle pene agganciate a meccanismi deflattivi del processo;
 eliminazione del divieto di concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare prevista dall’art. 47 ter comma 1 bis O.P. nei casi di reati appartenenti alla seconda fascia dell’art. 4 bis O.P.;
 razionale gestione dei beni sequestrati e confiscati e parziale destinazione degli stessi al
finanziamento delle risorse materiali necessarie a garantire una giurisdizione efficiente.
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9. IL SISTEMA DISCIPLINARE.
La responsabilità disciplinare dei magistrati è regolata dalla L.109/2006, che ha abrogato il R.D. Lgs. n. 511/1946 (cosiddetta legge delle guarentigie). Il controllo disciplinare risponde ad un’esigenza ineludibile dello Stato: quella di garantire la correttezza, il
prestigio e l’autorevolezza di una delle funzioni fondamentali di un’organizzazione statuale, quella giurisdizionale, che possono essere assicurati solo da condotte dei soggetti che
la esercitano immuni da inescusabili negligenze, scarso impegno, carenza di professionalità, parzialità, strumentalizzazioni.
La precedente normativa non tipizzava gli illeciti disciplinari, limitandosi a ritenere disciplinarmente rilevanti i comportamenti dei magistrati lesivi del prestigio
dell’ordine giudiziario, ovvero dei comportamenti pregiudizievoli della fiducia e della
considerazione di cui deve godere la magistratura. Proprio l’assoluta genericità delle ipotesi disciplinarmente rilevanti e la conseguente imprevedibilità delle decisioni emesse dagli organi disciplinari giustificò, con sempre maggiore convinzione, la ripetuta richiesta
da parte dell’A.N.M. di un intervento legislativo secondo la direttrice della tipizzazione
degli illeciti e della predisposizione delle sanzioni in concreto applicabili. Tale richiesta
associativa sfociò nel d.lgs. n. 109/2006, che, se da un lato conteneva una analitica tipizzazione delle fattispecie disciplinarmente rilevanti, dall’altro conteneva previsioni particolarmente punitive in relazione ai cosiddetti illeciti “di opinione”, perché lesivi della libertà di espressione cui devono godere tutti i cittadini. Non vi fu però bisogno di investire
della questione il giudice costituzionale, posto che, a soli otto mesi dall’approvazione del
d.lgs. n. 109/2006, il legislatore intervenne nuovamente, attraverso la legge n. 269/2006,
eliminando i cosiddetti illeciti di opinione ed introducendo la esimente di cui all’art. 3
bis, ovvero la non configurabilità dell’illecito disciplinare quando il fatto è di scarsa rilevanza.
A distanza di quasi dieci anni dall’entrata in vigore della L. 269/2006, è necessario
fare un primo bilancio e comprendere in quale direzione deve muoversi la magistratura
associata per sollecitare gli interventi legislativi volti ad eliminare le criticità e le incongruenze che si sono manifestate nell’applicazione della normativa sulla responsabilità disciplinare dei magistrati.
Tipizzazione degli illeciti disciplinari e rapporti con la L.19/2015 sulla responsabilità
civile dei magistrati
Certamente la tipizzazione degli illeciti costituisce una garanzia dell’autonomia e
dell’indipendenza dei magistrati, che non possono essere sottoposti a procedimento disciplinare se non per i fatti espressamente previsti come illecito dal legislatore, in analogia
con quanto avviene per l’azione penale. Vanno, pertanto, scongiurate le proposte di introduzione di nuovi illeciti disciplinari incoerenti con l’attuale sistema di fattispecie tipiche.
Desta perplessità, quanto al profilo di indeterminatezza della fattispecie la previsione dell’art. 9 della L. 27.2.2015 n.18 sulla responsabilità civile dei magistrati. L’art. 9,
modificato dalla l. 18/15 stabilisce che i titolari, diversi dal ministro, «devono» esercitare
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l’azione disciplinare «salvo che non sia stata già proposta». La questione forse più delicata
che pone l’art. 9 è che con esso è stata introdotta una nuova fattispecie di illecito disciplinare, costituita, in sostanza, dalla condanna dello Stato al risarcimento del danno, salvo
che non si ritenga che il fatto generatrice della responsabilità civile debba essere comunque riconducibile alle ipotesi previste dall’art. 2 d.lgs. 109/06. Se così fosse, si dovrebbe
ritenere la sussistenza di un’ulteriore fattispecie di illecito disciplinare oltre quelle contemplate dall’art. 2 d. lgs. 109/06. In giurisprudenza si rinvengano due decreti di archiviazione della Procura Generale della Cassazione (8 febbraio 2013,proc. n. 370/12/SD1 e
10 febbraio 2014, proc. n. 409/2013-SD1, emessi nella vigenza del precedente testo dell’art.
9), i quali hanno escluso che debba esercitarsi l’azione disciplinare a seguito dell’acquisita
conoscenza della domanda risarcitoria.
L’A.N.M. deve sostenere con forza che il principio costituzionale di legalità e tassatività debba essere applicato anche all’illecito disciplinare e manifestare ogni contrarietà
alle ipotesi di una azione disciplinare per un fatto che non rientri nelle ipotesi tassativamente previste dal d. lgs 109/06. L’A.N.M. dovrà farsi carico di monitorare la giurisprudenza disciplinare nell’applicazione della normativa sulla responsabilità civile e, conseguentemente, sui risvolti in sede disciplinare.
Principio di offensività
Nell’ultimo quadriennio ad una interpretazione particolarmente rigorosa da parte
della giurisprudenza della Sezione Disciplinare del C.S.M. e delle Sezioni Unite della Cassazione si è accompagnata una tendenza da parte del legislatore di allargare l’area dei
comportamenti disciplinarmente rilevanti. A titolo esemplificativo, si pensi all’art. art.81
bis disp. att. c.p.c. un 2° comma, introdotto con la L. d.l. 13 agosto, 2011 n. 138, convertito
dalla l. 14 settembre 2011 n. 148, il quale prevede come illecito disciplinare il mancato rispetto dei termini fissati nel calendario del processo, senza tener conto delle innumerevoli difficoltà che quotidianamente il giudice incontra nel fissare le scadenze in caso di ruoli
particolarmente gravosi e, a fortiori, nel rispetto dei termini, ove fissati.
Ancora più grave è la paventata previsione dei cosiddetti reati di opinione, che si
atteggiano a misure punitive e non finalizzate a perseguire condotte pregiudizievoli per il
prestigio e l’autorevolezza della magistratura, oltre che a comprimere la libertà di espressione del pensiero di cui deve godere il magistrato. Bisogna evitare che
l’allargamento delle ipotesi di responsabilità disciplinare e civile inducano il magistrato
ad un atteggiamento timoroso delle conseguenze della sua attività e a degenerazioni burocratiche, che sviliscano la natura e l’essenza della funzione giurisdizionale.
Deve essere affermato con vigore il principio secondo cui va evitata ogni sovrapposizione tra responsabilità civile e disciplinare ma soprattutto la convinzione che la sanzione disciplinare ha lo scopo di punire comportamenti che in concreto arrechino pregiudizio al prestigio dell’ordine giudiziario ed alla fiducia che i cittadini ripongono nelle funzioni giurisdizionale. Va, pertanto, censurato il paradigma “punire per educare” o la tentazione di applicare in modo automatico le ipotesi disciplinari senza che vi sia una effettiva offensività della condotta del magistrato, come è, purtroppo, accaduto negli ultimi
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anni ( si pensi, a titolo esemplificativo all’ipotesi del ritardo nella scarcerazione di un
soggetto detenuto per altra causa o all’ipotesi di ritardi, anche gravi e reiterati, in relazione a provvedimenti che non arrecano pregiudizio al cittadino come le sentenze di cessazione della materia del contendere ecc).
Introduzione dell’istituto della riabilitazione
Un’ulteriore proposta di cui la magistratura associata dovrà farsi fautrice è quella
relativa all’introduzione dell’istituto della riabilitazione in favore dei magistrati attinti da
sanzioni disciplinari più lievi come l’ammonimento o la censura; va accolta con favore la
recente richiesta dell’apertura di una pratica ai sensi dell’art.10 L.195/58 da parte dei
consiglieri di UNICOST del Consiglio Superiore della Magistratura. A differenza degli
altri pubblici dipendenti la L. 109/206 non prevede l’istituto della riabilitazione, nonostante l’espressa declaratoria di compatibilità dell’istituto con le funzioni giurisdizionali,
come espressamente previsto dalla Corte Costituzionale con sentenza N.289/92, che ha
tuttavia ritenuta che l’assenza dell’istituto della riabilitazione sia frutto di una espressa
scelta legislativa.
L’aumento negli ultimi anni dei procedimenti disciplinari che hanno attinto i magistrati e le sanzioni comminate hanno risvolti negativi nel percorso professionale dei colleghi. Nonostante l’autonomia tra valutazioni di professionalità e sanzione disciplinare, è
indubbio che trattasi di elemento di valutazione da parte degli organi di autogoverno, soprattutto nei casi più diffusi di sanzione inflitta per il ritardo nel deposito dei provvedimenti, che incide sul profilo della diligenza (nel quadriennio 2010 – 2014, i procedimenti
per ritardi nel deposito di provvedimenti sono stati pari al 32,47% del totale, con sentenze
di condanna all’incirca nel 49% dei casi). In molti casi i procedimenti riguardano giovani
magistrati alle prese con ruoli particolarmente gravosi in sedi disagiate che, nello sforzo
di far fronte ad un impegno gravoso e, spesso per inesperienza, accumulano ritardi consistenti, subendo condanne in sede disciplinare nonostante l’elevata laboriosità.
L’esperienza maturata nel Consiglio Giudiziario dimostra, infatti, come magistrati scrupolosi e validi possano incappare nel procedimento disciplinare, con evidente frustrazione
personale e con il rischio di burocratizzazione della funzione, in quanto in futuro cercheranno di rispettare i termini diminuendo la produttività o pregiudicando la qualità dei
provvedimenti. Ancora più rilevante è l’incidenza della sanzione disciplinare nelle valutazioni per il conferimento degli incarichi direttivi o, talvolta anche per altri incarichi istituzionali (formatore decentrato, affidatario o collaboratore dei MOT).
L’istituto della riabilitazione per i magistrati attinti da sanzioni più lievi come
l’ammonimento o la censura (con esclusione di quelle più gravi al fine di evitare la delegittimazione della magistratura nella “riabilitazione” di chi ha commesso gravi illeciti disciplinari) rappresenta un modo per evitare che un comportamento disciplinarmente rilevante costituisca un “marchio” che segni il magistrato in tutto il suo percorso professionale.
Formazione specifica sulla responsabilità civile e disciplinare
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Dal contatto con i colleghi (e soprattutto con i giovani magistrati) emerge una scarsa conoscenza del sistema della responsabilità disciplinare, che, invece, appare necessario per
comprendere non solo i comportamenti sanzionati ma anche le peculiarità del procedimento disciplinare, e ciò non tanto nell’ottica riduttiva della tutela personale del singolo,
quanto nella necessaria consapevolezza del proprio status che non può prescindere della
conoscenza di obblighi e doveri, anche deontologici, nell’ambito e fuori dell’esercizio delle funzioni.
La magistratura associata deve preoccuparsi di promuovere concretamente momenti di
approfondimento della materia disciplinare non solo attraverso la formazione in sede istituzionale, ma anche autonomamente, attraverso seminari e convegni, al fine di stimolare
la conoscenza della normativa ed il dibattito culturale su come essere magistrati nella società moderna.
Creazione di uno sportello per l’assistenza dei magistrati in caso di esposti, denunce ed
apertura di un procedimento disciplinare
Una proposta concreta in chiave sindacale è di istituire uno “sportello” per i colleghi destinatari di denunce, esposti e, soprattutto per i magistrati attinti da procedimento civile e
disciplinare, al fine di fornire informazioni sull’iter procedimentale e sulla giurisprudenza
disciplinare oltre che fornire assistenza sulle eventuali strategie da adottare. Oltre alla
messa a disposizione di materiale conoscitivo, sarebbe opportuno individuare un gruppo
di magistrati che, avendo approfondito la materia, possano indirizzare i colleghi mettendo a disposizione la propria esperienza e, eventualmente, assumendo la difesa in sede disciplinare.
Procedimento disciplinare e valutazioni di professionalità.
L’altro aspetto di grande novità introdotto dal legislatore del 2006 è costituito
dall’obbligatorietà dell’azione disciplinare; in realtà l’azione disciplinare è obbligatoria per
il P.G. presso la Corte di Cassazione, mentre rimane facoltativa per il Ministro della Giustizia, nel senso che, quando gli uffici del Ministero vengono a conoscenza di fatti che possono configurare illeciti disciplinari, il Ministro può esercitare l’azione ai sensi dell’art. 14
comma 2 d. lgs. 109/2006 e lo fa chiedendo al P.G. di attivare le relative indagini. Tale differenziazione trova giustificazione nel fatto che, mentre il P.G., oltre ad essere politicamente irresponsabile, è vincolato ai canoni dell’uguaglianza e dell’imparzialità; viceversa il potere disciplinare attribuito al Ministro direttamente dalla Costituzione risponde a criteri
di opportunità anche di carattere politico che presuppongono diversi regimi di responsabilità.
Da quando detto scaturisce che il procedimento disciplinare deve considerarsi pendente, a tutti gli effetti che andremo a verificare, non soltanto quando il P.G. ha dato obbligatoriamente inizio all’azione in presenza di un fatto che appare configurabile come illecito disciplinare, ma anche quando il Ministro ha fatto richiesta al P.G. di intraprendere
le indagini. In ciò deve registrarsi un’asimmetria del procedimento disciplinare rispetto al
processo penale, sul quale pure il primo dovrebbe essere modellato: il procedimento penale, infatti, è considerato pendente, quando un fatto, qualificato come reato, è attribuito ad
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una persona in un atto (richiesta di rinvio a giudizio, richiesta decreto penale …), con il
quale il P.M. esercita l’azione penale; viceversa nel giudizio disciplinare basta anche un atto – la richiesta del Ministro – di un soggetto estraneo, non solo al circuito
dell’autogoverno, ma anche alla giurisdizione, perché il procedimento disciplinare debba
considerarsi pendente, con tutti gli effetti che ne derivano sul piano amministrativo. In
sostanza, nel procedimento disciplinare l’esercizio dell’azione precede la fase delle indagini, che possono concludersi con la richiesta di fissazione dell’udienza dinanzi alla sezione disciplinare o con la richiesta di non luogo a procedere, sulla quale, pure provvede la
sezione disciplinare in camera di consiglio. Difatti la fase del cosiddetto predisciplinare ed
il cosiddetto potere di cestinazione riconosciuto al P.G., è sottratta a qualsiasi controllo di
carattere giurisdizionale, essendo previsto solo l’invio degli atti al Ministro, il quale può
esercitare l’azione disciplinare .
La normativa secondaria stabilisce che nell’ambito delle valutazioni di professionalità debba tenersi conto delle informazioni esistenti presso la segreteria della sezione disciplinare. In caso di pendenza dell’azione disciplinare la prassi prevede che la pratica relativa al conseguimento della valutazione di professionalità venga sospesa fino alla definizione del procedimento anche con sentenza non irrevocabile. Quindi già il solo inizio
dell’azione disciplinare, prescindendosi da qualsiasi valutazione in ordine alla fondatezza
della stessa, determina un danno, non solo di carriera, ma anche economico, stante il ritardo nella progressione stipendiale legata al conseguimento della valutazione di professionalità.
Quanto poi al rapporto fra sentenza disciplinare e valutazioni di professionalità del
magistrato che abbia riportato una condanna per l’illecito previsto dall’art. 2 comma 2 lett.
q) d. lgs. 109/2006 per ritardi nel deposito dei provvedimenti giudiziari, deve preliminarmente prendersi atto del maggior rigore nella valutazione del ritardo nell’ambito delle
valutazioni di professionalità rispetto a quanto avviene nel procedimento disciplinare. Difatti se il ritardo per essere rilevante da un punto di vista disciplinare deve essere superiore al triplo dei termini fissati dalla legge per il deposito dei provvedimenti, viceversa la
circolare sul conseguimento delle valutazioni di professionalità nell’ambito del parametro
relativo alla laboriosità prevede che si debba tenere conto della generale osservanza dei
termini previsti per la redazione ed il deposito dei provvedimenti giudiziari, unitamente
ai carichi di lavoro e ad eventuali ragioni che abbiano reso oggettivamente giustificabile il
ritardo. E qui l’ambito di valutazione a cui è tenuto il C.S.M. in via amministrativa deve
necessariamente essere più ampio. Difatti se da un lato è evidente che l’irrogazione di una
sanzione disciplinare per l’accertata infrazione consistente nel reiterato, grave ed ingiustificato ritardo nel compimento di atti relativi all’esercizio delle funzioni debba necessariamente incidere nella valutazione del parametro relativo alla laboriosità, laddove è previsto
che debba tenersi conto del rispetto dei tempi di trattazione dei procedimenti accertato attraverso le informazioni acquisite presso la sezione disciplinare; ciononostante i due procedimenti, in ragione della loro diversa natura e funzione, devono rimanere distinti e separati, evitandosi qualsiasi automatismo fra condanna disciplinare ed valutazione di professionalità negativa o non positiva. Difatti il primo si connota per il suo carattere giurisdizionale, ponendosi a presidio della deontologia del magistrato, mentre il secondo di carattere amministrativo è volto ad assicurare a tutti i gradi della giurisdizione un adeguato
e sufficiente livello di professionalità; è importante poi segnalare il ruolo fondamentale che
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la normativa primaria e secondaria riconosce nel procedimento per la valutazione di professionalità al Consiglio giudiziario, chiamato ad esprimere un parere motivato non vincolante sulla professionalità del magistrato in valutazione utilizzando gli stessi parametri di
capacità, laboriosità, diligenza ed impegno, ai quali poi dovrà rifarsi il C.S.M.
nell’esprimere il giudizio finale. In conclusione sul punto mi sembra importante evidenziare che in ogni fase del procedimento di valutazione della professionalità ed a tutti i livelli del circuito dell’autogoverno (capi degli uffici, consigli giudiziari, C.S.M.), debba tenersi conto di tutti gli indicatori previsti nella circolare, pervenendo ad un giudizio unico
in relazione ad ogni singolo parametro; in tale articolata procedura di valutazione il rispetto dei termini per la redazione ed il deposito dei provvedimenti giudiziari, richiamato in
più parti della circolare anche in relazione a diversi parametri (diligenza e laboriosità), rileva non in quanto tale, ma solo se adeguatamente rapportato a quanto previsto negli altri
indicatori: ciò comporta che, in relazione al parametro della diligenza, il rispetto dei termini deve essere valutato unitamente a quella che risulta essere la situazione dell’ufficio in
cui opera il magistrato in valutazione; per il parametro della laboriosità occorre poi tener
conto, al di là dell’ingiustificatezza ritenuta dalla sezione disciplinare, dei carichi di lavoro
e di eventuali ragioni che rendano oggettivamente giustificabili i ritardi.
Quanto poi alla materia degli incarichi extragiudiziari è tuttora previsto che non
possono essere autorizzati incarichi a magistrati nei cui confronti sia pendente un procedimento disciplinare, previsione modificata nel senso che il diniego dell’autorizzazione allo svolgimento dell’incarico è previsto solo nel caso in cui vi sia stata richiesta di fissazione
dell’udienza e non semplice inizio dell’azione disciplinare; la prescrizione in questo caso
non è assoluta, essendo prevista una possibilità di deroga nell’ipotesi in cui la pendenza
del procedimento, per l’entità dei fatti ed in considerazione della natura dell’incarico, non
sia tale da pregiudicare la credibilità ed il prestigio dell’ordine giudiziario.
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10. IL RUOLO DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI NELL’ULTIMO
QUADRIENNIO
Come Associazione Magistrati, in questi anni ci siamo mantenuti fedeli alla missione indicata nei principi del nostro statuto: tutela dell’indipendenza, dell’autonomia, del
prestigio e delle prerogative della magistratura, contributo di pensiero nella fase di elaborazione delle riforme legislative e nei progetti di innovazione. Lo abbiamo fatto con passione, talvolta con critiche forti, nell’intento di essere ascoltati per sostenere una giustizia
in grave affanno. L’attività che abbiamo svolto attraverso gli organi statutari
dell’Associazione è stata intensa e continua, ancor più delicata in ragione della difficoltà
del momento storico che viviamo, caratterizzato dalla sfiducia nel sistema giudiziario e
dal tentativo di scaricare sulla responsabilità del magistrato le carenze dell’organizzazione
e l’inadeguatezza delle regole.
L’associazionismo giudiziario, infatti, non è indenne dalla crisi che investe tutte le
forme tradizionali della rappresentanza esercitata dai corpi intermedi, alle quali, tuttavia,
non vi è ad oggi una valida alternativa. Ma è proprio nella convinzione di dover rappresentare e tutelare la dignità dei magistrati che l’ANM, guidata in questi quattro anni dal
nostro gruppo, ha incessantemente ribadito, in ogni occasione ed in tutte le sedi, attraverso una strategia comunicativa di utilizzo massivo dei mezzi di comunicazione tradizionali
e di sviluppo di quelli più moderni, che la magistratura patisce l’insoddisfazione profonda
per lo stato di crisi in cui versa l’amministrazione della giustizia, al pari dei cittadini e degli altri operatori della giustizia, ma che non è l’artefice. L’attuale difficoltà del sistema
giustizia non è certo causata dall'inettitudine o dalla scarsa laboriosità dei magistrati (come ben evidenziato da rapporti di studio a livello europeo), ma da carenze organizzative,
da gravi vuoti nell’organico del personale amministrativo − largamente inferiore alle necessità minime del sistema −, da un’innovazione tardiva e insufficiente, da una politica da
troppo tempo disattenta e incoerente nei settori della giustizia civile e penale. La crisi della
giustizia e soprattutto l’eccessiva durata dei processi dimostrano come ci sia bisogno di riforme che restituiscano efficacia al sistema. E i magistrati sono i primi che quelle riforme
vogliono, essendo peraltro indubitabile che le disfunzioni del sistema giustizia si traducono purtroppo in una perdita di fiducia nella giurisdizione e nella alta funzione che la magistratura è chiamata a svolgere. Ciò avviene anche perché troppo spesso si fanno ricadere
sul magistrato tutte le inefficienze del sistema, in gran parte addebitabili invece all’assenza
di risorse, di investimenti, alle riforme inadeguate, quale da ultimo la modifica del sistema
di gestione degli immobili giudiziari, che si pretende di realizzare a costo zero e senza alcuna struttura di supporto.
Interpretando il sentimento comune dei magistrati che rappresentiamo, abbiamo
respinto con forza e con orgoglio le accuse di responsabilità e abbiamo risposto con iniziative concrete ai tentativi di delegittimazione, pur mantenendo un atteggiamento responsabile e proseguendo il confronto costruttivo. Ciò nel rispetto del ruolo dell'A.N.M. di interlocutore essenziale nel dibattito sui temi della giustizia, ruolo riconosciutoci espressamente di recente dal Ministro Orlando nel Congresso Nazionale di Bari. Perché le logiche
di mera contrapposizione non ci appartengono. Vogliamo ricordare, tra le varie iniziative
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intraprese, la Giornata della Giustizia del 17 gennaio 2015 presso i Tribunali italiani aperta alla cittadinanza e alle scuole. Nell’esercizio del proprio ruolo di interlocutore con le
altre istituzioni, l’Associazione ha continuato a chiedere a tutti i livelli gli interventi correttivi necessari, in primo luogo di porre fine al blocco delle nuove assunzioni del personale
amministrativo che ha portato gli uffici alla paralisi. L’abbiamo fatto formulando proposte
concrete (si pensi alla pubblicazione “La Giustizia del Futuro. Non c’è futuro senza giustizia. Le proposte dell’A.N.M. per il Paese” del febbraio 2013), partecipando alle Commissioni ministeriali di studio e di coordinamento (ad esempio, alla commissione in materia
di prescrizione nel processo penale, al Tavolo per l’implementazione del Processo Civile
Telematico, agli Stati Generali dell’Esecuzione Penale), offrendo il nostro contributo attraverso i numerosi pareri sui disegni di legge resi alle Commissioni parlamentari in sede di
audizione parlamentare ( ex multis: 1) Parere sulla delega fiscale, schema di decreto legislativo
n.183 recante revisione del sistema sanzionatorio; 2) Osservazioni su DDL 2953/C "Delega al governo recante disposizioni per l'efficienza del processo civile; 3) Proposte di legge recanti l'introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano; 4) Proposta di legge C. 2798, modifiche al codice penale e codice procedura penale oltre che all’ordinamento penitenziario; 5) Schema di decreto
legislativo recante disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto -art. 1,
commi 1, lettera m-, e 2, L. 28/04/14, n.67); 6) Proposta di legge C. 2738 -S. 1070 senatori Buemi
ed altri- in materia di responsabilità civile dei magistrati; 7) Proposte di legge C. 1174 Colletti, C.
1528 Mazziotti di Celso, C. 2150 Ferranti su modifiche al codice penale in materia di prescrizione
dei reati; 8) Osservazioni su conversione in legge DL 132 per la definizione dell'arretrato in materia
di processo civile; 9) Magistratura onoraria, audizione informale dei rappresentanti dell'ANM davanti alla commissione giustizia del Senato;), oltreché approvando e diffondendo importanti
documenti su temi cruciali della vita associativa e della giurisdizione (ad esempio, il documento del CDC del 12 dicembre sulla questione morale e sulla proposta di introdurre
nello statuto dell’ANM la sospensione cautelare dall’esercizio dei diritti sociali in ipotesi
di gravi violazioni).
Il nostro agire è stato sempre improntato a una critica costruttiva, unico metodo nel
quale crediamo e che abbiamo praticato: accanto alla denuncia delle inefficienze, alla protesta per le innovazioni fasulle e alla richiesta di risorse abbiamo sempre affiancato un
contributo fattivo basato sull’esperienza della giurisdizione. Con lo stesso metodo, in questi quattro anni abbiamo operato un costante e continuo richiamo del Governo e del legislatore ad attivarsi per rimuovere le omissioni croniche del sistema, per eliminare le storture derivanti da una legislazione imperfetta e messe in luce di volta in volta dagli eventi
di attualità, per porre rimedio all’inadeguatezza dei disegni di riforma degli ultimi anni
volti a imporre precetti impossibili più che al fine di rendere giustizia. L’inadeguatezza
della legislazione è, infatti, uno dei fattori delle tensioni nel rapporto tra giustizia e società,
nella misura in cui rimette all’azione della magistratura la risoluzione di conflitti economico-sociali, in assenza di un’opzione normativa che si faccia carico dell’opera di bilanciamento degli interessi contrapposti. Ed è anche una delle cause dell’attività di supplenza
che la magistratura è costretta a svolgere, suo malgrado. Se la magistratura è chiamata ad
intervenire nella sua doverosa attività di tutela dei diritti, nel rispetto dei principi costituzionali, essa non può farsi carico, come pure qualcuno vorrebbe, della sostenibilità economica delle decisioni giudiziarie, né supplire alle carenze legislative e alle mancanze degli
altri organi amministrativi e istituzionali.
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Sul versante dell’ordinamento interno, le riforme operate sullo stato giuridico di una categoria già sofferente per il peso dei carichi di lavoro, delle crescenti responsabilità e della
carenza di risorse, unite a demagogiche semplificazioni, hanno aggravato il diffuso malcontento dei colleghi e rischiato di incoraggiare istanze e reazioni di stampo corporativo.
Allora, non abbiamo rinunciato a difendere con forza le nostre prerogative e i nostri
diritti, funzionali alla tutela del principio di indipendenza, ma al tempo stesso abbiamo
avvertito la gravità di quei rischi e vi abbiamo resistito, difendendo l’immagine e
l’autorevolezza della magistratura associata, contro ogni tentativo di ridimensionamento
del suo rilievo istituzionale, del suo ruolo di rappresentanza e della sua stessa dignità.
Siamo, infatti, consci dei pericoli che potrebbero venire dall’immagine, facile e falsa, di
un’associazione raffigurata come espressione di una corporazione volta unicamente alla
difesa di presunti privilegi. Siffatta immagine è stata purtroppo sostenuta e rilanciata da
più parti, in una consapevole strategia di delegittimazione. La rappresentazione della magistratura come ceto oligarchico sarebbe stata amplificata dall’adesione allo sciopero proposto per ben due volte nel 2014 e nel 2015 da altre componenti associative, sciopero al
quale Unità per la Costituzione –a differenza di quanto scelto in passato- si è responsabilmente opposta, nella consapevolezza dell’inutilità dello strumento in termini di ottenimento del risultato perseguito, e nell’intento di scongiurare il rischio di normalizzazione
della magistratura da esso derivante, in quanto categoria potenzialmente e riduttivamente
riconducibile al pubblico impiego nel momento in cui ne rivendica le medesime tutele.
In questo difficile panorama, l’apporto dell’A.N.M., quale autorevole protagonista
del confronto politico-istituzionale e quale rappresentante sindacale dei magistrati, è stato
spesso decisivo. L’attività dell’A.N.M. è stata particolarmente intensa ed incisiva nel corso
della discussione della legge 18/2015 sulla responsabilità civile dei magistrati, articolandosi in varie forme di intervento, che hanno portato all’approvazione di un testo depurato
dalle originarie e più penalizzanti statuizioni, quali –a titolo esemplificativo- l’azione diretta verso i magistrati e l’abolizione del tetto massimo di responsabilità. Tali azioni sono
consistite nella predisposizione ed esposizione di due relazioni in sede di audizione parlamentare ( 3 aprile 2012- Indagine conoscitiva sulle problematiche connesse alla responsabilità civile magistrati e 10 dicembre 2014 - Proposta di legge C. 2738 - S. 1070 senatori
Buemi ed altri), nell’organizzazione del partecipatissimo Convegno tenutosi il 16 maggio
2012
in
Roma
dal
titolo
“La
responsabilità
civile
dei
magistrati.
Le
proposte
di
modifica
tra
disinformazione
e
realtà" , oltre che nella capillare attività informativa ai colleghi in sede di assemblee locali. Approvata la legge, la Giunta Esecutiva Centrale ha immediatamente negoziato con il broker
Marsh le migliori condizioni assicurative possibili, così contenendo in poche decine di euro l’aumento del costo dell’assicurazione per la responsabilità civile e prorogando di cinque anni dal pensionamento il periodo di copertura assicurativa. Ulteriori miglioramenti
della polizza sono in fase di studio, anche grazie al contributo del lavoro svolto dalla
Commissione appositamente istituita dall’ANM e presieduta dal nostro gruppo. Detta
Commissione si è in principalità occupata di studiare i profili di criticità e di incostituzionalità della legge 18/2015, in un’ottica di futura revisione, e soprattutto con lo scopo di
fornire un ausilio a chi è chiamato ad applicare quelle norme e a chi da quelle norme dovrà difendersi. Ha affrontato, inoltre, tutte le questioni connesse alla nuova legge, tra cui
l’analisi del contratto di assicurazione attualmente in essere.
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Aperta alle esperienze e al confronto internazionale, specialmente nel contesto europeo e nell’ottica della creazione di una Procura sovranazionale, l’ANM ha sviluppato i
rapporti con le associazioni di magistrati di altri Paesi, in particolare tramite la UIM Union Internationale des Magistrats, di cui l’ANM è membro fondatore. Tra le azioni svolte in seno alla UIM si segnala, quale esempio di concreta manifestazioni di tutela
dell’indipendenza del potere giudiziario, l’adozione di risoluzioni di sostegno in favore
dei corpi giudiziari di Turchia e di Ucraina, a seguito delle plurime aggressioni
dell’indipendenza del primo da parte del Governo nazionale turco e in ragione dei rischi
alla sicurezza e all’incolumità personali cui sono esposti i colleghi ucraini per via della
guerra civile in corso.
Il cammino percorso
In questo quadriennio l’Associazione ha organizzato due Congressi Nazionali incentrati su temi di forte attualità (“Giustizia e Società. L’orizzonte possibile” del 2013 e
“Giustizia, economia, tutela dei diritti. Il ruolo del giudice nella società che cambia” del
2015), volti a stimolare il confronto politico-istituzionale con tutte le forze politiche, con
l'Avvocatura, con l'Università, col mondo economico, con le tante istanze culturali che
continuano ad arricchire la vita del nostro Paese. Gli argomenti prescelti per i congressi
rimarcano l’attenzione dell’Associazione verso la società in continuo cambiamento, verso i
conflitti che in essa maturano e che attendono risoluzione da parte del potere giudiziario.
Con lo stesso spirito di apertura al dialogo sono stati tenuti numerosi convegni su
temi di interesse comune agli associati, organizzati direttamente o patrocinati dall’ANM:
due convegni sul processo civile telematico, un seminario sul processo penale telematico,
il convegno sulla responsabilità civile dei magistrati, "Venticinque anni di processo penale
tra principi e realtà – Due voci a confronto” organizzato congiuntamente con l'Unione delle Camere Penali Italiane, il convegno “Donne in Magistratura 1963-2013...50 anni dopo”
per ricordare l’ingresso delle donne in magistratura, plurimi convegni sull’esecuzione penale, sul carcere e sulla pena, il convegno sul sistema disciplinare dei magistrati. Essi hanno portato all’elaborazione di proposte concrete da offrire al mondo politico e al nostro
organo di autogoverno, a sostegno o in alternativa ai disegni di legge del momento. Ad
esempio, la proposta di introdurre l’istituto della riabilitazione dei magistrati in campo disciplinare, a determinate condizioni, è stata recentemente fatta propria dal CSM attraverso
l’apertura di una pratica.
Importanti lavori di studio sono stati realizzati dalle Commissioni
dell’Associazione. Oltre ai numerosi pareri resi sui disegni di legge in occasione delle audizioni parlamentari, consultabili sul sito alla voce “approfondimenti giuridici”, si segnalano il documento sull’organizzazione delle Procure approvato dal CDC del 12 dicembre
2015, e le schede di diritto internazionale in materia di cooperazione giudiziaria internazionale e mandato di arresto europeo, che costituiscono, tra l’altro, strumento pratico di
ausilio ai colleghi.
Sul versante sindacale, l’Associazione ha creato un servizio di consulenza on-line
per tutti i colleghi, denominato “sportello sindacale”, che consente di porre quesiti sul nostro stato giuridico. Il servizio è stato affidato ad un professionista, che ha risposto a decine di questioni con pareri di altissimo livello, molti dei quali sono stati sintetizzati nelle
FAQ consultabili sul sito da tutti gli interessati .
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A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 223/2012, che ha accolto i ricorsi patrocinati dalla precedente Giunta dell’ANM avverso la normativa che tagliava gli
stipendi dei magistrati, l’Associazione si è immediatamente attivata, con esito positivo,
perché il Governo procedesse a darvi esecuzione. Si è così ottenuto che il pagamento degli
arretrati avvenisse in forma integrale a distanza di soli tre mesi dalla pronuncia della Consulta. L’Associazione ha promosso anche iniziative in campi diversi da quello strettamente giudiziario e ha intrapreso attività di interazione con altri enti al fine di diffondere la
cultura della legalità. Sulla scia dell’esperienza di collaborazione con le scuole maturata
negli anni, l’Associazione ha siglato un protocollo con il MIUR e con altri soggetti per istituzionalizzare la pratica dell’insegnamento della legalità a scuola, che ha consentito la creazione di una stabile rete territoriale fra istituzione scolastica e associazione, con
l’individuazione di referenti locali presso ogni sezione A.N.M. In campo sportivo, è stata
promossa l’iniziativa dal titolo “Un muro contro le mafie” per onorare il giornalista Giancarlo Siani , ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985, anche come uomo di sport, giocatore di pallavolo e allenatore di squadre giovanili. il 20 settembre 2015 a Napoli la Pallavolo
italiana e l’Associazione Nazionale Magistrati sono scesi in campo per ricordarlo in occasione del trentennale della sua morte.
Nel corso del quadriennio abbiamo raggiunto numerosi risultati. Dopo anni di infruttuosi tentativi, è stata finalmente attuata la revisione delle circoscrizioni giudiziarie che
consentirà –una volta ultimata- la razionalizzazione delle risorse, le economie di scala, il
coordinamento distrettuale o provinciale quale miglior risposta a problemi gravi come gli
attacchi della criminalità organizzata o l'aumento esponenziale del contenzioso civile e del
lavoro.
Si è proceduto ad un cospicuo ammodernamento delle modalità di comunicazione
con gli associati e con l'esterno attraverso un miglior impiego degli strumenti informatici
messi a disposizione dalla innovazione tecnologica: è stato riordinato, aggiornato ed arricchito il sito dell’A.N.M., è stata ideata la versione on-line della storica rivista
dell’Associazione “La Magistratura”, sono stati creati profili dell’A.N.M. sui social
network più diffusi, come Twitter e Facebook, tenuti costantemente aggiornati, si è fatto
abituale ricorso agli strumenti di connessione a distanza per permettere agli associati il
collegamento alle sedute del Cdc e ad alcuni convegni. E’ stata istituita pochi mesi fa una
Commissione di studio per consentire il voto telematico quantomeno in talune ipotesi statutarie, previa analisi delle possibili opzioni, i cui lavori sono ancora in corso.
L’ampliamento dei mezzi di comunicazione ha costituito una parte importante della strategia comunicativa dell’Associazione, che è stata fortemente sviluppata a 360° attraverso
tutti i mezzi di comunicazione, sia innovativi che tradizionali. La partecipazione a trasmissioni televisive e radiofoniche è stata sistematica, così come costante è stata la frequenza delle interviste rilasciate ai quotidiani.
Restano naturalmente altri obiettivi da perseguire. In primo luogo, si deve pretendere di porre fine al blocco delle nuove assunzioni del personale amministrativo con il
bando di nuovi concorsi, per l’assunzione di giovani specificamente formati per le funzioni di cancelleria, unitamente alla riqualificazione del personale già in servizio e alla piena
realizzazione dell’ufficio del processo. Va, poi, sollecitata l’attuazione della revisione della
distribuzione sul territorio della pianta organica dei magistrati e del personale amministrativo, per il completamento del processo di revisione della geografia giudiziaria.
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Si deve insistere sul tema dei carichi di lavoro perchè venga affrontato non solo in termini
quantitativi, ma anche al fine di assicurare la qualità del servizio che si rende ai cittadini.
Si deve agire perché vengano preservati in materia disciplinare il principio di tassatività
delle fattispecie, con esclusione di nuovi illeciti di formulazione incerta e generica, e
l’autonomia dell’organo disciplinare, senza alterare la natura e la composizione del collegio giudicante e senza sottrarlo al circuito del governo autonomo. Si deve vigilare affinchè
il nuovo regime previsto per la manutenzione degli uffici giudiziari non determini lo scadimento dei luoghi di lavoro e delle condizioni di sicurezza.
Conclusioni.
Questa è la nostra identità, che Unità per la Costituzione difende nell’Associazione,
senza cedere alla chiusura corporativa, ma aprendosi al mondo esterno, dall’Avvocatura
alla Scuola, dall’Informazione alle diverse realtà istituzionali, sociali e professionali,
all’Europa e conservando nel contempo la distanza da ogni centro di potere.
Continueremo a chiedere alle istituzioni politiche riforme coraggiose e di sistema,
che evitino scelte affrettate, rivolte a esigenze più contingenti e d’immagine che strutturali.
La magistratura associata offrirà sempre tutto l’impegno di cui è capace, nel rispetto della
dignità del proprio ruolo, che rifugge da indebiti protagonismi quanto da ogni burocratica
assuefazione.
Sotto l’aspetto sindacale, l’A.N.M. potrà continuare a svolgere un ruolo autorevole
nello scenario pubblico nella misura in cui continuerà ad essere anche sindacato e viceversa: non può essere sindacato forte ed ascoltato senza saper essere autorevole soggetto del
dibattito politico-culturale.
Indipendenza garantita dal C.S.M. , soggezione dei magistrati soltanto alla legge, obbligatorietà dell'azione penale , unità delle carriere, indipendenza del P.M. dall'esecutivo restano per l'A.N.M. i punti imprescindibili della giurisdizione nello Stato Costituzionale di diritto , e ferma ne resterà la difesa da parte dell'Associazione. Come ferma resterà la difesa
di ogni normativa e di tutti quegli strumenti processuali che possano consentire di continuare a svolgere i ruoli essenziali della giurisdizione: la tutela e l'arricchimento dei diritti,
il controllo di legalità dei poteri pubblici e privati, il contrasto alla piccola e grande criminalità nel rispetto delle garanzie e della funzione del processo.
Contributo redatto a cura dei componenti della Giunta Esecutiva Centrale di Unità per la
Costituzione: Rodolfo Sabelli, Cristina Marzagalli, Ilaria Sasso del Verme, Angelo Busacca
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