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DOMENICA 28 FEBBRAIO III DOMENICA DI QUARESIMA (C)
padre Gian Franco Scarpitta
Comune denominatore: l'amore di Dio
Più volte in queste note si è
sottolineato come Dio non chiede
curriculum. Nella scelta delle persone da
inviare come latrici del suo annuncio, il
Signore non si avvale di criteri
prettamente umani quali la selezione in
base a qualifica, esperienza, preparazione
culturale o informatica e neppure guarda
alle particolarità fisiche o estetiche della
persona. Semplicemente Dio sceglie
nella sua libertà piena e incondizionata,
non è mosso da limitazioni o
impedimenti eccetto quelli riguardanti la refrattarietà oggettiva di chi è chiamato.
Chiama chi vuole e può farlo in ogni occasione. Nella maggior parte dei casi, le
persone prescelte da Dio per una determinata missione non hanno prerogative
culturali o di autorevolezza sociale e neppure grandi attendibilità morali. Si tratta
quasi sempre di persone in partenza inadeguate, che lo stesso Signore di volta in volta
attrezza in vista della missione che dovranno compiere. Nel caso di Mosè, Dio non
bada a predisposizioni particolari o a innate qualità del soggetto che ha di fronte: si
rivela come il Dio "Colui che è", l'ineffabile e onnipotente che sovrasta tutto il cosmo
e l'intera realtà, ma che dimostra amore e fiducia nei suoi confronti instaurando
innanzitutto un dialogo e un'intesa con lui. Il che avviene nella speciale visione del
roveto che rimane incombusto resistendo alle fiamme. Di conseguenza gli affida il
delicatissimo ruolo di guida e di accompagnatore degli Israeliti nella fuga dall'Egitto,
missione questa per cui Mosè verrà debitamente attrezzato, pur essendo egli solo un
pastore quasi improvvisato e per di più assassino. La chiamata di Mosè si instaura
nell'ottica di un incontro intersoggettivo che si basa sull'amore e sula confidenza e
che prescinde dalle innate qualità della persona. Dio gli si propone, poi gli propone
qualcosa: la missione. A Mosè non resta che immedesimarsi in quel particolare
ambito di amicizia e di intimità e lasciarsi coinvolgere in tutto ciò che ne consegue.
E' evidente che la corrispondenza di Mosè comporta un cambiamento di prospettiva
e una radicale trasformazione nella sua vita, che tuttavia avviene senza ostacoli e
senza difficoltà da parte dell'eletto: questi infatti crede e aderisce perché si è lasciato
avvincere e trasformare. Scrive Ratzinger: "La fede ha il suo posto nell'atto di
conversione, nella svolta dell'essere, che passa dall'adorazione del visibile e del
fattibile al fiducioso abbandono all'invisibile". La conversione conduce alla fede non
nel senso del "credo", ma nel significato profondo di "credo e confido; anzi mi
affido.." Affidarsi a piene mani all'Io sono che pur restando l'irraggiungibile ci
raggiunge fino in fondo è un'attitudine risolutiva soprattutto per chi da Dio viene
eletto per un particolare ministero o per un incarico missionario. Oltretutto è pur vero
che l'espressione "Io sono", anche se da una parte evince l'assolutezza dell'Essere
divino, dall'altra descrive anche la sua vicinanza continua con l'uomo: osserva Kasper,
nel suo attualissimo volume sulla misericordia, che "Io sono" nell'originale ebraico
ha un valore dinamico e non solo statico: significa in effetti "Sono con voi", "vi
accompagno" e comporta quindi l'accoglienza nella fede di un atto favorevole di
amicizia da parte di Dio.
Anche nella pedagogia di
Gesù si esclude che si possano tracciare
paragoni da persona a persona nella scelta
vocazionale: il Padre è misericordioso verso
tutti e non vi è distinzione nel suo tratto con
gli uomini, ad eccezione dei poveri e dei
sofferenti. Gesù ribadisce, soprattutto nelle
sue parole e nelle sue opere, la misericordia
del Padre ma sottolinea il primo aspetto
succitato della vocazione: la conversione
del cuore. Essa è necessaria anche per
evitare nefaste conseguenze. Nell'Antico Testamento (Gen 9, 1 - 3) i fatti tragici e
rovinosi erano considerati conseguenza di un peccato o di indifferenza da Dio, per
cui si meritava il giudizio. Gesù spiega (anche in altri passi sinottici) che non
necessariamente c'è relazione fra le colpe e le calamità naturali che non è detto che
coloro che sono colpiti da sciagure siano peggiori di tutti gli altri, ma che in ogni caso
occorre sempre convertirsi per non essere vittime della propria presunzione. Per non
perire nei nostri stessi peccati. La conversione a Dio è la prima reazione necessaria
da parte nostra in conseguenza dell'esperienza del suo amore ed è un passo
ineluttabile e improcrastinabile per non precipitare in rovina. Sempre Gesù ci rallegra
tuttavia del fatto che Dio attende con pazienza questo nostro passo e non cessa di
attendere che noi torniamo a lui. Come il padrone della vigna nella quale sorge questo
fico sterile, che ascolta il consiglio del vignaiolo suo dipendente: non taglia il fico ma
continua ad affidarlo alle cure del suo bracciante. Il padrone della vigna è Dio Padre,
il vignaiolo a cui è affidato il fico è Cristo suo Figlio. Noi siamo il fico sterile piantato
nel bel mezzo della vigna che è il popolo di Dio. Cristo Figlio di Dio non cessa di
"spargere concime" e di bonificare il nostro terreno, fiducioso che esso rechi frutto.
La sua pazienza è inverosimile e rappresenta anch'essa l'amore di Dio Padre e la sua
sollecitudine nei nostri confronti affinché ci convertiamo per recare frutti di penitenza
e di umiltà. Con tutti i mezzi provvede a renderci produttivi, ma in un'altra occasione
Gesù maledirà e farà seccare un fico vero e proprio, non perché non sappia recare
frutti (non era ancora la stagione dei fichi) ma ad esempio di condanna per tutti coloro
che non avranno voluto convertirsi (Mt 21, 18 - 20). E' la conseguenza perniciosa a
cui soccomberanno tutti coloro che rifiutano la comunione con Dio. Piuttosto che
intimorirci perché altri hanno subito sciagure paragonando il nostro possibile destino
al loro, occorre semplicemente che ci convertiamo cogliendo l'opportunità di un Dio
amorevolmente paziente e misericordioso considerando che eventuali refrattarietà e
ritrosie nei suoi confronti verteranno solo a nostro danno. Eravamo partiti dalla
vocazione di speciale mandato missionario e siamo giunti al tema della conversione.
Convertirsi a Dio è la prima condizione per aderire adeguatamente alla vocazione
perché una volta trasformata in meglio la nostra vita ogni situazione diventa semplice
e dominabile e qualsiasi progetto diventa realizzabile. Fra la conversione e la
vocazione vi è però un comune denominatore: l'amore di Dio che liberamente chiama
e invia.