Rassegna stampa 23 febbraio 2016

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Il Piccolo 23 febbraio 2016 Attualità Neonata muore in ambulanza I genitori: il mezzo non era attrezzato. Il ministro invia i Nas MONZA. La madre sostiene che la sua bambina le è morta in ambulanza, tra le sue braccia. Secondo l’ospedale da cui era partita, la piccola sarebbe invece deceduta all’arrivo nell’altro pronto soccorso, la cui direzione ha precisato fra l’altro che i medici hanno tentato tutte le manovre per rianimarla. Ma che non c’è stato comunque nulla da fare. Si è consumato così un dramma per una giovane coppia brianzola che giovedì scorso ha perduto la figlia di quattro mesi, affetta, da una patologia cardiovascolare che, secondo loro, non era comunque così grave da giustificare ciò che è successo. I genitori vogliono sapere la verità e si sono rivolti ad un legale che presenterà nella giornata di oggi una denuncia contro ignoti per omicidio colposo. Intanto, il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin ha chiesto un rapporto preliminare ai carabinieri del Nas e assicura che se verranno riscontrate anomalie, farà intervenire la task force di esperti istituita dal ministero per le situazioni di crisi. Il calvario della piccola comincia mercoledì scorso, quando viene ricoverata all’ospedale a Carate Brianza, in provincia diMonza per violenti attacchi di tosse. La bimba ha avuto qualche problema già dalla nascita. Pochi giorni dopo essere venuta al mondo era stata portata a Bergamo al reparto di patologia neonatale in vista di un possibile intervento cardiochirurgico che non era ancora stato fissato. Quella sera comunque alla neonatologia di Carate, la piccola viene trattata con antibiotico ed ossigeno. La terapia fa effetto e le sue condizioni migliorino. Ma è a questo punto che le versioni dei genitori e dell’ospedale divergono. La madre sostiene che la piccola che in quel momento sta meglio (la donna ha anche girato un video che sarà allegato alla denuncia), ma viene convinta dai medici a trasferirla a Bergamo. La direzione sanitaria sostiene invece che le condizioni della bimba stavano peggiorando e che la decisione del trasferimento è stata presa in accordo con i genitori. Ma loro respingono questa versione. «La decisione è stata presa arbitrariamente dai medici che hanno solo informato i genitori della necessità di spostare la piccola che non era in quel momento in pericolo di vita -­‐ dice il legale della famiglia -­‐ alle 19 di giovedì sono state staccate le cannule di ossigeno e la bimba è stata caricata in ambulanza, tenuta in braccio dal personale perché il mezzo non era attrezzato per il trasporto neonatale e di strumentazione per ossigeno terapia». Il viaggio si rivela drammatico. La mamma racconterà poi che la piccola le è morta tra le braccia. Secondo una nota emessa dell’ospedale “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo, quando la piccola è arrivata in pronto soccorso è già in arresto cardiocircolatorio. I medici tentano di rianimarla, ma la piccola muore. Ora la parola spetta ai carabinieri che sono stati inviati dal ministro. Regione Malattie rare, il drammatico caso di Farra Madre e figlia sono 2 dei 200 malati al mondo vittime di una patologia che li rende immuni all’Aids di Luigi Murciano. GRADISCA. Vivono a Farra d'Isonzo le uniche persone in Italia – perlomeno note alla comunità scientifica -­‐ ad essere affette da una rarissima forma di distrofia muscolare. Una malattia subdola e beffarda, che colpisce appena 200 persone in tutto il mondo: quasi tutte in Spagna, e tutte imparentate. Ma una patologia che per assurdo, al mondo, regala anche una speranza: perchè chi ne soffre al tempo stesso è immune al virus dell'Hiv. Il che spalanca prospettive di ricerca impensabili anche alla lotta su scala planetaria all'Aids. Le due farresi afflitte da distrofia muscolare dei cingoli 1F sono madre e figlia: Maria Caballero, di origine spagnola, casalinga, e sua figlia Jessica Furlan, 34 anni, impiegata all'ufficio Servizi finanziari 1 al Comune di Medea. La loro ragione di vita è l'associazione “Conquistando Escalones”, in italiano “Conquistando scalini”, che si batte per raccogliere fondi per la ricerca. La distrofia muscolare dei cingoli (all’altezza del bacino) colpisce la loro vita quotidiana provocando pesanti limitazioni. È degenerativa: comincia colpendo le capacità motorie e finisce compromettendo la capacità respiratoria e la funzione cardiaca. È ereditaria: identificate già più di 8 generazioni di malati, 3 quelle viventi e imparentate, per massima parte nelle regioni spagnole di Murcia, della Catalogna, Valencia e Huelva. Duecento persone in tutto: poche per solleticare l'interesse delle case farmaceutiche. Ma qualcosa sta cambiando. “Conquistando Escalones” si farà conoscere lunedì 29, in occasione della Giornata delle Malattie Rare, alle 20.45 nella sala conferenze di Fondazione Carigo a Gorizia nel corso di una serata intitolata “Unitevi a noi per far sentire la voce delle malattie rare”, in cui sarà presentato il toccante cortometraggio “Come tutti gli altri”, che racconta la vita di un malato. «Il nome dell'associazione – spiega Jessica Furlan con una voce che incanta per la sua gioia di vivere -­‐ deriva dal fatto che la vita di noi malati è segnata dagli scalini: uno dei primi sintomi, infatti, è quello di fare fatica a salire le scale. A volte anche gesti semplicissimi come pettinarsi, mangiare, tenere in braccio un bambino ci sono impossibili». Il decorso della malattia è caratterizzato da un processo degenerativo che porta alla sedia a rotelle, ed infine alla morte. «Ma possiamo dare un messaggio positivo – spiega Jessica -­‐scalino dopo scalino conquisteremo la vetta, trovando la cura per la nostra malattia». Per chi convive con una patologia quasi invisibile la diffidenza delle persone è una lama che ferisce. «Spesso siamo costretti a scontrarci con giudizi pesanti o con l’indifferenza». Regione «La Regione vuole potenziare il Burlo» Telesca in audizione davanti al Consiglio comunale difende le scelte in tema Irccs. Critiche da sindacati e forze politiche di Giovanni Tomasin. «Mondi lontanissimi» è il titolo di un’opera del maestro Franco Battiato ed è anche un po’ l’impressione che si poteva trarre dal dibattito svoltosi ieri sera fra i consiglieri comunali e i vertici regionali della sanità sulla questione Burlo. Il confronto è nato in seguito alla denuncia, presentata qualche settimana fa da parte del consiglio, degli effetti del «depauperamento dell’Irccs» a partire dallo spostamento del laboratorio d’analisi all’Azienda sanitaria. Un’accusa cui l’assessore regionale alla Sanità Maria Sandra Telesca ha risposto assicurando che al contrario l’istituto verrà «potenziato». Il primo intervento è stato quello di Marino Andolina (Fds, ex medico del Burlo) che ha presentato il senso della richiesta di convocazione: «Dagli anni Novanta è iniziato il declino di un istituto storico -­‐ ha dichiarato -­‐. Abbiamo perso una serie infinita di ottimi chirurghi, l’oculistica è ridotta all’osso per non parlare dei dentisti. Stiamo perdendo la miglior radiologa. Sei anni fa fummo concordi nel lamentare lo scippo della banca del sangue, ora tocca al laboratorio d’analisi ma stiamo perdendo anche la criobiologia. Aspettiamo di capire quale sia il vantaggio di tutti queste privazioni». Ha risposto Telesca: «In sede di riforma abbiamo fatto la scelta precisa di preservare e potenziare gli Irccs. Ne consegue il rafforzamento della chirurgia, la ricerca di professionalità importanti per porre rimedio a quelle perse, la conferma del Burlo come punto di riferimento della sanità regionale per i percorsi materno-­‐infantili, per lo screening neonatale». Telesca ha annunciato il rafforzamento «dell’area della diagnostica e dell’interventistica prenatale»: «Entro un paio di settimane poi il ministero proporrà il nuovo direttore scientifico e a quel punto potremo avviare questi percorsi. Il Burlo non è un ospedale di rete ma un istituto di ricerca: per esserlo davvero bisogna usare bene le risorse». Il direttore generale del Burlo Gianluigi Scannapieco ha detto: «La vicenda del laboratorio è un passaggio del processo di rafforzamento dell’Irccs. Le attività di routine devono essere 2 messe in comune, mi preoccuperei se venisse meno il ruolo di ricerca e questo rimane. Il ruolo del Burlo è portare avanti la ricerca e la diagnostica. Quando quest’ultima diventerà routine la passeremo all’azienda, perché così si fa ricerca». Il pediatra del Burlo Alessandro Ventura ha difeso la possibilità di espandere l’operatività dell’istituto. Sono poi intervenuti i sindacati, di cui riporteremo in sintesi le posizioni. Il neonatologo Pierpaolo Brovedani, Cgil, ha sottolineato la necessità di «evitare problemi con le urgenze e che lo spostamento a Cattinara non venga visto da fuori come la perdita di caratteristiche essenziali del Burlo». Rossana Giacaz di Cgil Fp ha criticato «l’impianto politico della riforma, non solo quello tecnico: restare senza laboratorio, dopo la banca del sangue, significa perdere pezzi». Giovanni Maria Severini del sindacato medici dirigenti Anaao ha difeso lo spostamento dei laboratori all’azienda «purché i fondi risparmiati rimangano al Burlo». In sintesi alcuni degli interventi dei consiglieri. Carlo Grilli (Misto) ha auspicato «che il Burlo non diventi terreno di scontro politico, perché il danno arriva in primis alle famiglie che ne usufruiscono». Così Stefano Patuanelli (M5S): «La Regione provi i suoi intenti verso l’Irccs varando il piano materno-­‐
infantile, atto amministrativo che manca dal 2004». Franco Bandelli (Uats): «Si dice che il Burlo non può essere ospedale di rete, ma di fatto anche questo è stato per Trieste. Quali sono le contropartite per le perdite che sta subendo?». Loredana Lepore (Pd) ha ricordato invece: «In sanità la centralizzazione degli esami di laboratorio comporta maggiore efficacia». Così Lorenzo Giorgi (Pdl): «Mi sento dire che al Burlo va tutto bene ma dal collega Andolina e da Cgil sentiamo una storia ben diversa. Spiace che dopo questo incontro i consiglieri non potranno dare risposte ai cittadini». Marino Sossi (Sel): «Continuate a dirci che tagliando andrà tutto meglio, ma non possiamo fingere di non sapere che il personale rinuncia alle ferie ed è oberato dagli straordinari. Diciamo chiaramente che mancano fondi». La vita di Valentina spezzata da un batterio Uno pneumococco all’origine della tragedia. I vertici sanitari: «Nessun rischio per la popolazione». Domani i funerali di Piero Rauber. Domattina alle 11, nella Chiesa di Sant’Apollinare di Montuzza, i familiari e gli amici (e idealmente la comunità triestina, scossa da quanto è successo e dalla risonanza mediatica della tragedia) saluteranno Valentina Chiaruttini. Una ragazza di 35 anni che fino a giovedì scorso, sei giorni prima del suo funerale, faceva la vita di ogni giorno. Di cittadina, di lavoratrice, di mamma. Ieri, nel giorno in cui i suoi colleghi di Genertel sono tornati in ufficio per l’inizio della settimana dopo un week-­‐end surreale (dal sabato dell’evacuazione choc della sede di Roiano alla domenica in cui è divenuta di pubblico dominio la notizia della morte, avvenuta nella notte), da un lato si è appresa la data dell’addio in Chiesa (domani alle 11 a Montuzza, per l’appunto) e dall’altro i vertici sanitari della città hanno deciso di diffondere agli organi di stampa il primo bollettino scritto. Un bollettino anticipato a voce fin da sabato a tarda ora. Ma messo nero su bianco ora di fronte a una potenziale psicosi dura a sgonfiarsi del tutto. Si perché la tragedia -­‐ proprio a causa di quell’improvvisa evacuazione degli uffici di via Stock, sabato pomeriggio verso le 15, ai fini di un’igienizzazione degli ambienti che sarebbe emersa soltanto in serata -­‐ portava umanamente i pensieri di molti a un qualcosa di assai pericoloso, non solo per la persona che l’aveva contratto ma anche per chi le era stato vicino. «La direzione dell’Azienda ospedaliero universitaria e dell’Azienda per l’Assistenza sanitaria, in relazione alla vicenda della morte dell’impiegata Genertel Valentina C., esprime vicinanza ai familiari e comunica che non si tratta di un caso di meningite. Si è trattato di una grave infezione che non comporta pericoli per la salute pubblica». Stop. Così si legge, testualmente, nella nota stampa che reca congiuntamente le firme del commissario straordinario della sanità triestina Nicola Delli Quadri, del direttore sanitario dell’Azienda ospedaliera Lucia Pelusi e di quello dell’Azienda sanitaria Emanuela Fragiacomo. Che cosa è stato, allora, a uccidere in poche ore Valentina? Qual è il germe che l’ha attaccata? E perché lei non è riuscita a combatterlo? Il germe, chiarisce a voce lo stesso Delli Quadri, dopo che ieri mattina ha 3 tenuto una riunione con i suoi dirigenti, è uno «pneumococco, un batterio comune che può essere trasmesso, come possono esserlo i virus». Che è presumibile però -­‐ posto che la comunicazione ufficiale sul fatto che «non sussiste pericolo per la popolazione» e che «non siamo in presenza di malattie trasmissibili pericolose e dunque non è necessaria alcuna profilassi» è stata perentoria -­‐ possa aver intaccato un fisico che si è ritrovato inaspettatamente impossibilitato a difendersi adeguatamente. E per ora non è dato sapere per quale motivo: «Siamo tutti costernati, noi facciamo gli scienziati e non gli stregoni, dunque stiamo cercando di capire». Per ora non è dato sapere, si diceva. E forse non lo sarà mai, perché la causa autentica della morte di Valentina è una di quelle cose che, quando i medici l’avranno capita, accertata, medici e familiari potrebbero anche decidere di non darla in pasto a tutti. La privacy non vale solo per chi rimane. La disabilità conquista il palcoscenico Al Rittmeyer lo spettacolo “Una questione di forma” nato dal corso di scrittura curato da Roveredo Sarà la palestra dell'Istituto Rittmeyer il palcoscenico di “Una questione di forma”, rappresentazione teatrale in atto unico, in programma giovedì alle 16.30. La performance, promossa dallo scrittore Pino Roveredo sotto il patrocinio della Consulta regionale delle Associazioni delle persone disabili e delle loro famiglie, vede protagonista il gruppo nato all'interno del progetto speciale “Scritture mal-­‐educate”, corso di scrittura creativa proposto ed attuato dalla Cooperativa sociale onlus Reset in collaborazione con il Distretto 4 dell'Azienda Sanitaria n. 1 Triestina, sotto al coordinamento dello psicologo-­‐Psicoterapeuta, Cristiano Stea, e grazie al finanziamento di "TriesteAbile", Centro Informativo Integrato per la tutela dei diritti, l'orientamento, l'autonomia e la piena integrazione delle persone disabili. Non si tratta dunque di un semplice corso di scrittura ma di un autentico percorso di vita aperto a tutti, finalizzato all'integrazione tra persone con “disabilità” e quelle cosiddette normodotate e perciò al riconoscimento indistinto delle “abilità” di ciascuno di noi. Si tratta di un progetto unico in Italia e che pone Trieste, non a caso simbolo della de-­‐
istituzionalizzazione e della realizzazione di percorsi finalizzati al benessere e all'inclusione, quale capo fila nell'integrazione e nella qualità di vita di chi quotidianamente affronta il macigno della sofferenza, del pregiudizio, dell'isolamento. Un'esperienza avviata nel 2014 che, articolandosi in incontri settimanali dove ci si ascolta e ci si racconta attraverso storie, stati d'animo, parole, versi, scritture, ha dato vita alla pubblicazione dei lavori prodotti, la prima dal titolo “Fuori controllo”, la prossima d'imminente uscita nonchè alla rappresentazione di spettacoli teatrali in diverse sedi cittadine e non. L'incontro con la realtà del Rittmeyer diventa così occasione esemplare di inclusione come ribadito da Vincenzo Zoccano, presidente della Consulta regionale disabili, nonché componente del Cda dell'Istituto. «L'inclusione sociale è elemento fondamentale per la vita di ogni persona, e a maggior ragione lo è per le persone con disabilità. Ringrazio il gruppo di scritture "Mal-­‐educate" e l'amico Pino Roveredo per l'iniziativa, esempio chiarissimo d'inclusione dove la persona con disabilità non è più considerata per le sue disabilità, ma per le abilità residue, ovvero non più per ciò che non può fare, ma per le tante cose che vuole e può ancora fare». Un pensiero condivisi anche da Roveredo, che così spiega il significato del progetto: «Gente senza passo e gente senza sole, all'apparenza, gente che si incontra per regalarsi la bellezza di una luce e un movimento». 4 Messaggero Veneto 23 febbraio 2016 Udine Sereni Orizzonti licenzia i dipendenti e il direttore Dopo i gravissimi atti di violenza sui disabili psichici nella clinica in Piemonte L’amministratore della Spa: «Siamo sconcertati, la decisione era necessaria» di Giulia Zanello. Licenziati. Tutti a casa i dipendenti e il direttore della struttura piemontese: non hanno svolto adeguatamente il proprio ruolo di vigilanza. Le pesanti accuse di violenze e minacce a danno dei pazienti ospitati nella casa di cura vercellese «La Consolata» – gestita dalla spa friulana Sereni Orizzonti – si sono tradotte in un provvedimento di licenziamento per i dipendenti della struttura di Borgo d’Ale coinvolti nella spiacevole vicenda. La conferma è arrivata ieri, direttamente dall’amministratore delegato di Sereni Orizzonti, Valentino Bortolussi. «Oggi (ieri, ndr) sono stati tutti licenziati gli operatori socio-­‐sanitari che hanno compiuto, in un nucleo della residenza, gravissimi atti su disabili psichici in Piemonte, a Borgo D’Ale. Tra loro, ovviamente, anche il direttore della struttura, che non ha vigilato adeguatamente». Riavvolgendo il nastro della vicenda, si ritorna allo scorso agosto, quando il padre di una ragazza ospitata nella casa di cura aveva notato delle lesioni sul corpo della figlia e aveva deciso di sporgere denuncia. Le indagini erano immediatamente scattate e gli agenti della polizia avevano installato alcune telecamere nascoste nella stanza della ragazza e al primo piano dell’edificio, che ospita una quindicina di disabili gravi, sul totale di un centinaio di posti letto e una sessantina di dipendenti. Per tre mesi la polizia ha visionato le immagini registrate dagli occhi elettronici nascosti: oltre a botte, pugni, calci, violenze di ogni genere addirittura utilizzando scope e chiavi, gli operatori responsabili spogliavano i disabili – gravi e di ogni età –, li legavano per poi, ancora, malmenarli. Venerdì pomeriggio, approfittando del cambio turno, l’ordine del sostituto procuratore Davide Pretti e del capo della squadra mobile Sergio Papulino ha dato il via al bliz degli agenti, che ha portato all’arresto di 18 persone – 14 donne e quattro uomini – tra cui medici, infermieri e operatori sanitari. «La Casa dei Mostri», nome dell’operazione conclusa dalla seconda divisione della squadra mobile, aveva inevitabilmente suscitato le reazioni da parte dei soci di Sereni Orizzonti che, sull’intera vicenda, si è costituita parte lesa. Già nella giornata di sabato uno dei componenti del consiglio di amministrazione, Giorgio Zucchini, aveva ribadito l’estraneità della società, attribuendo le responsabilità al personale e assicurando che per i responsabili non ci sarebbe stata alcuna pietà. «Siamo sconcertati e questa reazione ci è sembrata assolutamente necessaria: nessuna tolleranza per chi danneggia i più deboli – ha evidenziato Bortolussi –. Dobbiamo peraltro tutelare anche il lavoro di tanti assistenti e infermieri che, con dedizione e professionalità, operano, ogni giorno, nelle nostre residenze in Italia, e sono 1.800 in 55 diverse sedi». Primo piano friuli L'ok della Serracchiani: qui è già sanità-­‐modello La presidente Fvg e l’assessore Telesca in visita alle strutture della città ducale La riforma punterà sull’assistenza agli anziani. Ambulanza garantita nelle Valli di Lucia Aviani. CIVIDALE. Dalla città ducale il primo esempio, per quanto ancora settoriale, degli effetti concreti del piano di riordino della sanità regionale. In visita istituzionale, ieri mattina, all’ospedale e al Distretto sanitario cividalese, la governatrice Debora Serracchiani e l’assessore Fvg alla salute e all’integrazione sociosanitaria, Maria Sandra Telesca, hanno «toccato con mano la parziale attuazione della riforma, il cui obiettivo, come noto – ha rimarcato la presidente – , è l'incremento e il miglioramento dell’assistenza sul territorio». Il modello E Cividale, appunto, «soprattutto – ha chiarito la presidente – per buone prassi già in essere, che hanno favorito la nascita di uno stretto rapporto di collaborazione fra nosocomio, 5 Ambito e Distretto», offre ormai una fotografia piuttosto nitida di quello che dovrà avvenire in tutto il Friuli Venezia Giulia. «Il paziente, qui, è davvero al centro del sistema – ha rilevato Serracchiani – : può contare su una presa in carico efficace, con risvolti multidisciplinari. Le condizioni dell’assistenza ci sono parse ottimali. Proprio per tale motivo – ha ribadito – dico che qui troviamo un primo riscontro di quei processi di presa in carico dell’utente che rappresentano il perno del programma di riassetto della nostra sanità». Per quanto, insomma, ci sia ancora molto da fare, le premesse sono «decisamente incoraggianti». Assistenza ai pazienti anziani Adesso, ha puntualizzato la governatrice, si deve rivoluzionare l’approccio nei confronti delle persone avanti con gli anni, che non devono entrare nella rete dell’assistenza dopo le dimissioni dall’ospedale «bensì fin dal loro ingresso in pronto soccorso». Il sistema deve farsi più capillare, in altre parole, più puntuale, più efficiente: «E ciò, naturalmente – ha evidenziato Debora Serracchiani – , richiede investimenti importanti, soprattutto per la cura domiciliare». In tale direzione va il progetto (al debutto entro l’anno) di due nuove aggregazioni funzionali territoriali, una nella cittadina ducale e la seconda a Manzano; nelle stesse località verranno attivati pure centri di assistenza primaria, strutture finalizzate a rafforzare le sinergie tra ospedale, Ambito e Distretto. Ambulanza Confermata e ormai imminente l’attivazione di una postazione di ambulanza a San Pietro al Natisone. Sulle tempistiche presidente e assessore non si sbilanciano, ma a quanto pare manca poco per il varo del nuovo punto 118, che disporrà di uno dei due mezzi attualmente in dotazione al nosocomio locale. L’ambulanza, peraltro, rimarrà a servizio dell’intero bacino del Cividalese: la sua operatività non sarà cioè limitata al contesto valligiano. «Si sta provvedendo alla formazione del personale che opererà a San Pietro – ha annunciato Serracchiani – . Il mezzo destinato al capoluogo valligiano, al pari di quello in attività al pronto soccorso dell’ospedale, sarà in funzione sulle 24 ore, garantendo i massimi standard di assistenza». Centro geriatrico Procede, intanto, il progetto che mira a specializzare nel settore della geriatria il polo ospedaliero ducale, in modo tale da conferirgli una specifica vocazione. «L’obiettivo è attivare, in questa struttura, una corsia preferenziale per la consulenza e l’assistenza geriatrica», ha ribadito Maria Sandra Telesca. Una prima mossa è già stata messa a segno: «Il dottor Olivo – ha sottolineato la presidente – ha attivato al pronto soccorso di Cividale un punto stabile di consulenza nel ramo in questione, in funzione dalle 8 alle 18. Nell’anno in corso, poi, svilupperemo i rapporti con l'Università di Udine, per favorire un’ampia specializzazione in geriatria, appunto, del nosocomio». Pordenone Caso lungodegenti La Regione taglia i fondi: il Policlinico ricorre al Tar Il Policlinico San Giorgio di Pordenone ha presentato ricorso al Tar contro la decisione della Regione di classificare il reparto dei post acuti come lungodegenza territoriale e non ospedaliera: il risultato della diversa qualificazione è un consistente taglio di risorse. E’ stato applicato il “codice 60” che riconosce un contributo giornaliero di 150 euro. Troppo pochi per la struttura per delle prestazioni che sono di natura ospedaliera. Il reparto oggi conta su 4 posti letto, mentre prima del trasferimento al quinto piano se ne contavano 8. Il post acuti da una risposta sempre maggiore in tempi di risparmi anche nella sanità. Gli ospedali, infatti, devono fare i conti con la riduzione del numero di giornate di ricoveri. Superata la fase acuta, quindi, il paziente viene dimesso e mandato a casa o nelle rsa nel caso della riabilitazione. Ma ci sono dei casi in cui è necessaria una assistenza ospedaliera: in questi anni nel reparto sono state accolte persone affette da Sla o tracheotomizzate, nutrite artificialmente o in stato vegetativo. Pazienti “scomodi” da un certo punto di vista, perché vivono a lungo, ma hanno necessità di cure intense quotidianamente che certamente famiglie o altre strutture non sono in grado di dare. A questo bisogno, sempre crescente proprio per le dimissioni rapide dai 6 reparti ospedalieri, ha sopperito fino a ora il Policlinico San Giorgio con il reparto prima chiamato dei lungodegenti e ora post acuti. I rapporti sono con la Regione, che però non rimborsa secondo le modalità applicate a una struttura ospedaliera, ma con una rimborso giornaliero. Si è partiti dagli inizi del 2000 quando l’attività è cominciata con 270 euro giornalieri, calando negli anni successivi fino ad assestarsi tra i 230 e i 250 euro giornalieri. Ma con le procedure di accreditamento, è arrivata anche una nuova classificazione del reparto, qualificato lungodegenti ma associato al territorio e non all’ospedale: si scende, quindi, a 150 euro, allo stesso livello di una rsa. La differenza, però, è che in questo caso le cure che vengono fornite ai pazienti sono di tipo ospedaliero con una spesa che è di molto superiore al contributo regionale proprio per la complessità della loro situazione. Il Policlinico ha deciso di non cedere e ha presentato ricorso al Tar per ottenere quanto si ritiene necessario per il reparto. In attesa della decisione, attesa a settimane, il reparto rimane a 4 posti letto ma è evidente che qualora ci siano le condizioni si ritornerà a 8. Solo alcuni anni fa il reparto, nonostante l’importanza che ricopre, era stato a rischio cancellazione: l’allora Ass 6 ne aveva disposto la chiusura e il trasferimento dei pazienti nelle Rsa o in case di riposo. Proposta che aveva sollevato un polverone ed era subito rientrata. (d.s) " Case di riposo, non dovute le rette per i malati di Alzheimer" Parla l’avvocato Elena De Luca: «L’associazione ha chiesto un incontro al sindaco. Non c’ mai stata risposta» SACILE. Ci sono sviluppi nel caso della donna denunciata dal Comune perché non paga le rette della casa di riposo per la madre. La sospensione delle rette dei malati di Alzheimer o demenza non è dovuta a “questioni di principio” – sostiene l’avvocato Elena De Luca, responsabile della Confconsumatori di Gorizia – ma all’applicazione delle norme. Infatti, «nel caso di malati di Alzheimer, quando le prestazioni sanitarie siano prevalenti su quelle di natura assistenziale, l’intero importo della retta deve essere a carico del servizio sanitario nazionale, o regionale, come nel caso del Fvg, non del malato o dei suoi parenti. Cosa ampiamente illustrata alla casa di riposo di Sacile, al Comune e alla Regione, ma, evidentemente non gradita perché le rette delle case di riposo sono costituite per circa il 70-­‐
80% proprio dalle rette dei malati di Alzheimer o demenza)». Già nel 2012 la Cassazione ha condannato alla restituzione agli eredi di una malata di Alzheimer di oltre 100 mila euro di rette indebitamente versate, ma Comuni e Regioni continuano a pretendere il pagamento da malati e loro parenti. Da allora peraltro sono seguite altre pronunce analoghe e pendono diverse cause sia in Fvg che nel resto d’Italia. Confconsumatori e Afap (l’associazione familiari Alzheimer) da anni si battono sia per divulgare dette sentenze, sia per far sì che le Regioni vi si adeguino senza che i malati ed i loro parenti siano costretti a ricorrere al giudice per veder riconosciuti i loro diritti. La presidente di Confconsumatori ha scritto a tutte le Regioni chiedendo di conoscere l’adeguamento della normativa regionale alla sentenza della Cassazione del 2012 e, ad oggi, fra le poche Regioni che hanno risposto, solo una, la Sicilia, risulta esservisi adeguata. Secondo l’avvocato De Luca «non questione di principio: diversi giudici tutelari della nostra regione (e non solo) hanno autorizzato o, comunque, avallato il blocco del pagamento delle rette da parte degli amministratori di sostegno dei malati; diversi Comuni e case di riposo hanno interpellato la Regione in merito; la questione è finita al tavolo di Federsanità-­‐Anci; nella seconda metà di dicembre 2015 anche il consiglio regionale ha discusso della spinosa vicenda; a oggi, per quel che consta, le controversie civili e amministrative sono ancora pendenti in quanto nessun giudice è andato subito a sentenza valutando la suddetta interpretazione manifestamente infondata». Nel caso di Sacile, Confconsumatori e Afap onlus «sono sconcertate invece della resistenza della direzione della casa di riposo a consegnare la documentazione sanitaria: a quasi un anno dalla richiesta è stata consegnata solo parzialmente e la figlia della malata non è stata messa nelle condizioni di esaminare i documenti sanitari relativi a sua madre, suo preciso diritto, anche 7 costituzionale». «E risulta – sempre secondo il legale – che anche la richiesta di incontro al sindaco di Sacile fatta ad aprile 2015 è rimasta priva di riscontro». La Nuova -­‐ Venezia 23 febbraio 2016 Regione Indagine sui medici a Camposampiero Zaia ordina al direttore Mantoan di accertare se la nascita dell’Unità di Endoscopia sia stata dettata da pressioni lombarde di Filippo Tosatto. VENEZIA. Tangenti nella sanità lombarda e rivoli di denaro destinati al Veneto. Ma anche pressioni sospette e ingerenze indebite. Quelle -­‐ è l’ipotesi degli investigatori -­‐ esercitate dallo staff del leghista Fabio Rizzi sull’ospedale di Camposampiero per ottenere la creazione di un’Unità semplice di endoscopia e metterne a capo il chirurgo Francesco Pincini, indicato come un amico di vecchia data del consigliere regionale finito in cella insieme a Maria Paola Canegrati, la “zarina dell’odontoiatria” dispensatrice di mazzette. Per centrare gli obiettivi, si sarebbe speso il primario competente, Diego Fregonese di Gastroenterologia, allettato dalla promessa di un sostegno “politico” al trasferimento nella natia Treviso. Qual è la verità? Per appurarlo il governatore Luca Zaia ha ordinato al direttore della sanità veneta, Domenico Mantoan, di compiere un’indagine interna a Camposampiero e quest’ultimo ha sollecitato a Pincini e Fregonese una relazione scritta sui fatti citati. Fregonese, en passant, non ha ottenuto il sospirato passaggio a Treviso: al concorso è giunto terzo e svolge tuttora il suo lavoro a Camposampiero; al pari di Pincini, il primario vanta un curriculum di tutto rispetto, Zaia però vuole sapere se la scelta di istituire l’Unità semplice -­‐ autorizzata dall’allora direttore generale dell’Ulss Francesco Benazzi -­‐ sia stata dettata da ragioni esclusivamente professionali. Analoga memoria, d’altronde, è stata richiesta dal governatore leghista a Luca Coletto, l’assessore regionale alla sanità oggetto di un insistito corteggiamento da parte di Rizzi, del suo factotum Mario Longo e della “zarina”. Coletto ha accettato di incontrare «due o tre volte» i lombardi nella sede dell’Ulss di Verona. Perché? «Dapprima sembravano interessati a conoscere i contenuti della riforma sanitaria che abbiamo elaborato in Veneto, poi hanno voluto espormi le linee del piano di “odontoiatria sociale” adottato dalla Regione Lombardia». Conclusione? «Tante chiacchiere inutili, una perdita di tempo per me e per loro. Qui non abbiamo mai esternalizzato tramite appalto il servizio odontoiatrico, se cercavano affari sottobanco, hanno sbagliato luogo e persona». E l’affaire Camposampiero? «Mai mosso un dito per favorire qualcuno e sfido chiunque ad affermare il contrario. Non posso escludere che in questi anni mi abbiano raccomandato qualcuno ma sono state parole al vento». Versione confermata da Benazzi: «Mai subìte pressioni politiche, l’apertura dell’Unità semplice, ce ne sono a decine nell’ambito dell’Ulss, è stata presa a conclusione di una trattativa sindacale e su indicazione del primario». Infine, dalla carte dell’inchiesta avviata dalla Procura di Monza spunta per la seconda volta il nome di Flavio Tosi. Il 29 maggio 2015, alla vigilia della sfida elettorale al rivale Zaia, il sindaco di Verona ha beneficiato del contributo di 10 mila euro erogato alla sua Fondazione “Ricostruiamo il Paese» dalla società Pangea Onlus di Canegrati, una circostanza ammessa dal leader di Fare! che precisa però di non aver «mai vista né conosciuta» Canegrati e rivendica «l’immediata pubblicazione della somma ricevuta». A ciò, ora, si aggiunge una dichiarazione attribuita dagli investigatori a Mario Longo (il braccio destro di Rizzi) che indica nell’affarista Stefano Lorusso il mediatore di un ulteriore e più ingente versamento: «Alessandro Albano (un leghista piemontese ndr) gli ha dato 100 mila euro in nero da convertire per la campagna di Tosi». Stavolta la reazione del veronese oscilla tra l’ironia e lo sdegno: «Magari dall’amico Albano fossero arrivati così tanti soldi per la campagna elettorale! Al di là delle battute, abbiamo raccolto quasi mezzo milione tutti attraverso bonifici tracciabili e trasparenti. Quella 8 è una bufala colossale, del resto il contesto è riportato come un sentito dire; pertanto ho dato mandato ai miei legali di querelare chi ha fatto quella affermazione». L’intesa Pincini-­‐Fregonese e l’assedio a Coletto Il chirurgo al telefono con la segretaria del leghista milanese Rizzi, in carcere per tangenti VENEZIA. Il passo che segue è tratto dalle intercettazioni eseguite dai carabinieri e accluse alla richiesta di ordinanze di custodia cautelare del pm di Monza. È il 12 maggio 2014, al telefono ci sono Mario Longo e Francesca Bariggi, factotum e segretaria del consigliere leghista Fabio Rizzi; nonché Francesco Pincini, ora dirigente dell’Unità semplice di Endoscopia all’ospedale di Camposampiero. Longo: Veneto ? Donna: Quella è la zona ... Longo: Eh, poi te lo spiego meglio Francè......eh il passo che si devono prendere un appuntamento con l'assessore che è favorevole a promuovere questa cosa, perché visti i numeri e vista la dinamica eh è una cosa assolutamente da portare avanti. Pincini: Eh, si... eeeeeh... io ti chiedo in maniera molto... mi sembra di capire, però io la chiedo lo stesso, che sia impossibile che ci sia un input verso il nostro dg ? Longo: Cioè al contrario ? Pincini: Eh, eh un input per dire, ho ricevuto sollecitazioni in favore di questo... Longo: Dammi un attimo (ndr si sente la voce di una terza persona in sottofondo). Longo: Aspetta che ti passo Francesca... Francesco, un attimo solo... Francesca: Dottor Pincini! Pincini: Si, buongiorno. Francesca: Allora, buongiorno, piacere conoscerla. Pincini: Piacere. Francesca: Venerdì, ho incontrato l'assessore Coletto, perché sono andata ad un appuntamento con lui per parlare di altre cose, e mi avevano detto di sottoporre all'attenzione dell'assessore la storia dell'endoscopia semplice e dell'endoscopia complessa, ho spiegato all'assessore che, come mi hanno detto sia Longo che Rizzi, che praticamente siete tutti d'accordo, l'assessore ha detto, ok fammi vedere un attimo e poi ne riparliamo, eventualmente io professore le consiglio di prendere lei un appuntamento con l'assessore Coletto, facendo riferimento al mio nome e cognome e il giorno che mi sono incontrata con il dottor Coletto, facendo riferimento che io gli ho già anticipato tutto quanto. Pincini: Ho capito! Perfetto, è stata molto gentile. Francesca: Lei con il suo primario, mi scusi, mi ero dimenticata il primario. Pincini: Si. Francesca: Facendo riferimento al mio appuntamento di venerdì con lui, che io gli ho anticipato, voi andate a completare per spiegare numeri e tutto quanto. .. Fin qui la trascrizione. Secondo gli investigatori «Emerge con chiarezza che il Pincini all’interno dell’azienda ospedaliera, gode già dell’appoggio del suo primario, il dottor Diego Fregonese. Ciò che deve essere attivato, come espressamente spiega il Pincini al Longo, sono le “pressioni forti” al suo direttore generale». All’epoca l’Ulss Alta Padovana era diretta da Francesco Benazzi: «Mai ricevuto pressioni politiche», è la replica del manager. M5S: «L’assessore chiarisca in aula la sua posizione» VENEZIA. «Abbiamo preparato un'interrogazione all'assessore Coletto. Dalle intercettazioni disponibili al momento sappiamo che ha respinto le pressioni dei corruttori per alcune nomine. Ma perché abbiamo dovuto aspettare un processo per saperlo? Che rapporti aveva l'assessore con queste persone? Fare chiarezza, oltre ad aiutare la giustizia, tutelerà la stessa immagine di Coletto, una persona che non abbiamo motivo di credere disonesta. Ci dica però chi sono gli “altri” ai quali lascia quel tipo di “pasticci». Lo dichiara in una nota il capogruppo in Regione del Movimento 5 Stelle e vicepresidente della commissione sanità, Jacopo Berti, puntualizzando che «i fatti di cronaca e le ricerche ci dicono che la sanità italiana è tra le più a rischio, la più corrotta d’Europa dopo quella polacca secondo uno studio dell’università di Torino. Perciò bisogna muoverci con estremo rigore». Pet Therapy a Pediatria al via la sperimentazione 9 Dolo. Da ieri l’iniziativa, che continuerà per 5 mesi. Soddisfazione del primario A giocare con i bambini c’erano un gatto europeo e una cagnolina chihuahua DOLO. Al via da ieri al reparto di Pediatria dell’ospedale di Dolo la prima esperienza di “pet therapy” in provincia. Una sperimentazione innovativa che si è potuta realizzare grazie all’aiuto dei volontari dell’associazione Teama (Terapie e attività mediate da animali) di Padova. Nel reparto di Dolo sono attualmente ricoverati una quindicina di piccoli pazienti. L’iniziativa, completamente gratuita per l’Asl 13, avrà una durata di cinque mesi con una cadenza settimanale di circa un’ora in cui, a fianco al gioco con gli animali, si propongono tutta una serie di attività di tipo creativo che abbinano come tema il mondo della natura e degli animali. L’esperimento per la prima volta ha messo insieme cani e gatti. Due animali che solitamente stanno separati e che invece a Dolo giocheranno un ruolo importante insieme, nel periodo di ricovero dei piccoli. Nello specifico ieri mattina sono entrati nella sala giochi di Pediatria a Dolo, un gatto europeo di nome Rossana e una cagnolina chihuahua misto pincher di nome Minù, entrambe di cinque anni settimane. Lo spazio assegnato sarà ogni volta disinfettato e lasciato in buone condizioni. «È un progetto», ha sottolineato il primario Luca Vecchiato, «che se riscuoterà successo, verrà ancora riproposto nel nostro reparto. Si affianca ad altre iniziative che da qualche anno proponiamo per dare sollievo alle famiglie e ai loro bambini». Questa, infatti, non è stata l’unica iniziativa avviata a Pediatria a Dolo. È già attiva infatti la clown terapia, svolta da un gruppo di volontari che si vestono da clown e intrattengono due volte alla settimana i bambini ricoverati; ogni 15 giorni. Ci sono poi i volontari dell’ associazione veneziana Il Castello, a disposizione dei piccoli per leggere libri e inscenare alcuni divertenti spettacoli; infine, ci sono i rugbisti di Mirano che periodicamente vengono in reparto per raccontare della loro attività, regalando la colazione ai bambini e invitandoli alle loro partite gratuitamente. Soddisfatto il direttore generale dell’Asl 13: «L’efficacia della pet therapy è ormai conclamata», commenta Giuseppe Dal Ben, «ma richiede un’organizzazione particolare, che spesso ne frena l’applicazione. Sono particolarmente soddisfatto del risultato raggiunto dal reparto di Pediatria di Dolo, perché la voglia di fare bene ha superato quegli ostacoli di cui parlavo prima. I nostri piccoli pazienti ne avranno sicuramente beneficio». Alessandro Abbadir Sel contro l’asl «Pochi i posti letto riservati in ospedale» SAN DONÀ. Pochi posti letto per gli anziani, denuncia di Sel che contesta la riorganizzazione della sanità nell’Asl 10 e le scelte della Regione. Ma il direttore generale, Carlo Bramezza, replica: «Utilizzati dati ormai anacronistici». Salvatore Esposito parla di emergenza letti per gli anziani negli ospedali: «Nel 2006 venivano dati 605 posti letto all’Asl 10, le ultime schede ne danno 532. L’area medica aveva, sempre nel 2006, 225 letti, oggi ne conta 211. L’area riabilitativa e di lungodegenza dieci anni fa aveva cento letti, oggi ne rimangono 65. Tenendo presente che gli anziani aumentano mentre i letti diminuiscono vistosamente, comprendiamo il motivo per cui le astanterie del pronto soccorso ospitano anziani in attesa di essere ricoverati». Ma la direzione generale non è affatto d’accordo. «Paragonare il numero dei posti letto ospedalieri attuali con quelli del 2006 è anacronistico», spiega Bramezza, «questo perché nell’ultimo decennio la sanità e la gestione dei pazienti sono profondamente cambiate. L’evoluzione della tecnologia permette oggi di effettuare interventi chirurgici con tempi di recupero impensabili rispetto a quell’epoca, le patologie sono in continua evoluzione, i modelli medico assistenziali notevolmente cambiati. La riforma socio sanitaria del Veneto è stata pensata per far fronte alle nuove necessità dei pazienti. Infatti ha previsto ospedali rivolti agli acuti e su due livelli di operatività, Hub e Spoke, ha previsto meno ricoveri e più assistenza sul territorio, dove i malati possono beneficiare del contesto familiare o delle strutture intermedie, delle medicine di gruppo integrate, delle case di riposo trasformate ora in centri di servizi residenziali, e molto altro». (g.ca.) 10