Don Angelo - il gibbo

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Transcript Don Angelo - il gibbo

ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA AL CORSO
La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci
“28 febbraio 2016”
www.ilgibbo.it
CHIESA E POVERI, UN AMORE LUNGO E PROBLEMATICO
(A. M. Fanucci, pro manuscripto. Lezioni alla LUMSA-GUBBIO, anno 1999 ss)
Cap. 5
TRA PIETÀ E FORCA (sec. XVI)
Parte quattordicesima
12. All’insegna della forca, nascono le politiche sociali
Ma ben presto il clima cambia. l’Evangelismo è poco più che una fiammata.
La sensibilità della Riforma per la povertà prende sempre più il verso dell’éscamotage burocratico.
12.1 Assistenza come pratica burocratica
Alla metà del Cinquecento
 si parla sempre di meno della necessità di riservare, nella riformare della Chiesa, un posto
d’onore ai poveri;
 emergono altre preoccupazioni, che presto diventeranno dominanti:
o bisogna dare una risposta alla Riforma protestante, che inizialmente è stata presa
sottogamba ma che, anno dopo anno, si conferma nella sua estrema serietà;
o bisogna consolidare l’esercizio dell’autorità così come lo si è sempre inteso, perché l’aria
che tira dal nord non promette, a questo proposito, niente di buono.
Menozzi1 cita l’azione caritativa di un Vescovo di Bologna, Mons. Paleotti, che da una parte esprime il
sincero desiderio di permeare la società intera con la forza espansiva della carità, ma la sua azione in
ultima analisi si risolve in una forma di controllo sociale, contro il pericolo che i poveri rappresentano
per la società. E difatti, ad onta della continua citazione della vita comune dei primi Cristiani così come
la raccontano gli i Atti degli Apostoli, anni nei quali –secondo il presule- l’elemosina era la chiave di
tutto- nel 1563, giudicando inutile la periodica distribuzione di elemosine nei conventi e nei monasteri,
Mons. Paleotti fece concentrare tutti i mendicanti di Bologna nel cortile del vescovado: prima vennero
mandati via, a calci nel sedere, i non/bolognesi, poi quelli che rimasero vennero condotti
processionalmente e rinchiusi col lucchetto nella «casa degli appestati», vuota perché (chissà come) la
peste da qualche anno latitava. A lucchetto chiuso, i mendicanti venivano nella dottrina cristiana e nella
1
D. MENOZZI, o.c., 20
disciplina del vivere civile: Messe a volontà, preghiere a non finire, soprattutto per la Chiesa e le
Autorità… E anche qualche servizio (presumibilmente gratis, o per lo meno abbondantemente
sottopagato) nella case dei Signori.
Non siamo di fronte ad una stranezza isolata, ma all’inizio di una prassi che continua a chiamarsi
“caritativa”, ma risponde non ad una precisa provocazione del Vangelo, bensì ad un bisogno che nella
società si fa sempre più forte a mano a mano che cresce il numero dei mendicanti: il bisogno di
difendersi dai poveri, tenendoli sempre sotto tiro.
Nel concreto cammino della storia le distinzioni che il potere chiede agli intellettuali sono solo una
piccola dilazione dei problemi.
Da una parte abbiamo visto come lo Stato moderno non voglia e non possa ignorare i problemi che
riguardano la società civile, in questo caso la povertà dei mendicanti.
Ma allora la domanda diventa: carità o polizia? forca o pietà? Visto che noi governanti non possiamo
non assumerci le nostre responsabilità, come dobbiamo trattare i poveri? come dobbiamo trattare i
vecchi soli, i malati di mente, i disabili, le ragazze/madri?
Farcene carico o scaricarli? Difenderli o difenderci da loro?
12.2 La tentazione della forca
La nuova situazione costringe gli Stati e le Municipalità ad una scelta, secondo il linguaggio che ben
conosciamo, fra pietà e forca, fra vicinanza e repressione.
Di fronte alle nuove forme della povertà le misure tradizionali di assistenza si rivelano insufficienti da
ogni punto di vista; i governi, costretti a dar vita ad una nuova politica assistenziale, nella prima metà
del sec. XVI elaborano, da un inedito angolo di osservazione della povertà, alcune linee di politica
sociale che continueranno nella stessa direzione anche nel sec. XVII e nel sec. XVIII.
La nuova angolazione dalla quale si prende atto del problema della povertà è questa: la povertà
dall’angolazione della dottrina cristiana rimane una condizione da sopportare (da parte di chi ne soffre)
e da soccorrere cristianamente (da parte chi l’incontra).
Ma l’angolazione che deve prevalere è un’altra, è l’angolazione sociale: da questo nuovo e originale
punto di vista la povertà è una patologia del corpus sociale, una patologia che di recente è divenuta
endemica. Bisogna intervenire, con le medicine o con il bisturi, se necessario.
Siamo in piena elaborazione di quella cultura delle autonomie che ha in Machiavelli un maestro assoluto e
appassionato. Ogni attività umana (la politica, l’economia, l’arte) ha un suo ambito di sviluppo e delle
leggi tutte sue, che ne regolano la crescita. La politica è l’arte di realizzare il bene comune di una certa
società inm un certo tempo; e non va confusa con la morale. La politica deve prendere gli uomini per
quello che sono, concretamente: “Magari gli uomini fussino tutti buoni!”. Ma gli uomini, dietro la
patina di perbenismo che esibiscono, sono in realtà “golpi e lioni”. E bisogna essere forti quanto basta
per abbattere la forza del leone e furbi quanto basta per dare scacco alla furbizia della volpe.
Anche le società e gli Stati hanno delle leggi proprie, che non sempre coincidono con le leggi della
morale. Dura lex, sed lex. La tesi è particolarmente cara ai cultori delle nuove teorie mercantiliste, che
supportano il capitalismo trionfante, ma non dispiace nemmeno ai teologi, che hanno accantonato le
sapide fanciullaggini di Francesco d’Assisi & C., con la loro puerile sacralizzazione del povero, nel
contesto della nuova teologia del lavoro, che demonizza non solo l’ozio colpevole,ma anche la povertà
subita.
La povertà va combattuta. Facile, agevolissimo il passaggio dalla lotta contro la povertà alla lotta contro
i poveri.
12.3 Le linee ispiratrici della politica della forca
La sconfitta della povertà e dei poveri si concretizza in una serie di affermazioni forcaiole che fanno da
fondamento delle nascenti politiche sociali centralizzate:
o
I poveri vanno innanzitutto controllati, contenuti. Poi si vedrà cosa si deve e si può fare:
intanto schediamoli. Molte le città che, magari senza spendere un bocco per i poveri, tengono in
ordine perfetto gli elenchi con nome, indirizzo, professione, età, stato civile, condizioni fisiche e
salario dei potenziali fruitori della pubblica assistenza.
o
La proibizione dell’accattonaggio deve essere senza se e senza ma.
o
I poveri abili al lavoro devono lavorare: tutti, ma non si parli di “giusto stipendio”;
o
L’assistenza va prestata solo ai veri poveri .Immaginarsi la bagarre al ribasso che si scatena tra
gli incaricati della fissazione del concetto di vero povero!!
o
Il bastone e la carota debbono saggiamente alternarsi. Teniamoli a debita distanza, i
poveri, ma ogni tanto ricordiamoci di allungare verso di loro un boccone di pane, per calmarli.
Ma perché, attraverso percorsi diversi, si arriva sempre privilegiare in maniera netta la linea del
controllo su quella dell’aiuto??
o
Perché la repressione è funzionale all’ordine socio/politico incarnato dai nascenti Stati
assolutisti; nello stato assolutista l’individuo non è ancora un cittadino, è solo un suddito,
destinato solo
o
ad obbedire, pena le sanzioni anche più dure; cittadino lo diventerà, con molti “se” e
molti “ma”, solo con la nascita dello stato liberale.
o
Perché la repressione è funzionale alle più rozze esigenze del mercato moderno del lavoro;
qual è, dal punto di vista dell’imprenditore, lo stipendio ideale da corrispondere ad un
dipendente? Quello che gli è strettamente necessario per non morire di fame, in modo tale che
domattina possa ripresentarsi di nuovo al lavoro.
Una risposta che avrà sostanziale vigore fino agli anni 30 del sec. XX, quando
l’economista statunitense Keynes dirà che, visto dalla logica dell’imprenditore, lo stipendio
ideale di un dipendente è quello che gli permette non solo di sopravvivere, ma anche di
acquistare i beni che lui stesso produce.
La forca vince sempre, negli stati nazionali non meno che nelle tradizionali municipalità.
Gubbio, 23 febbraio 2016
don Angelo M. Fanucci, Canonico Penitenziere, Rettore della Chiesa di S. Maria de’ Servi
FINALMENTE I POVERI SALGONO IN CATTEDRA: MARISA GALLI, IL LATO UMANO
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DA MADRE SPERANZA
Madre Speranza di Gesù, Spagnola, fondatrice della Congregazione delle Ancelle
dell'Amore Misericordioso, Risiede a Collevalenza, in provincia di Perugia,
presso il Santuario dell'Amore Misericordioso, al quale affluiscono pellegrini da
ogni parte.
Decido di recarmi da Madre Speranza insieme a un'amica di un paese vicino. Siccome i bisogni miei
sono molteplici, in genere avverso per principio di dare fastidio alla gente; questa volta comunque c'è
un motivo buono per cui passo sopra ogni cosa e impongo un sacrificio grosso a me stessa e agli altri.
Certo arrivarci non è impresa facile, pur restando inteso che la signorina mia amica ha espresso in
precedenza un invito specifico ed è contenta di portarmi con sé; intanto però occorre scomodare il
cappellano della Parrocchia, che la sera precedente mi conduce in macchina a casa di lei, poi viene
un'altra ragazza capace di vestirmi e spogliarmi; ricordo un particolare comico: che la notte, per
aiutarmi a girare su me stessa, quella poverina si mise in ginocchio sul letto. Le ore passano lente quasi
tutte senza dormire, poi al mattino ci alziamo prestissimo, per partire con un pullman mezzo
sgangherato, dove fischia aria da tutte le parti, insieme ad altre cinquanta persone. Essendo il mese di
dicembre, non è davvero la stagione propizia per affrontare un viaggio del genere; infagottata nei panni
invernali assomiglio a uno strano pupazzo da quattro soldi che la gente del gruppo guarda per la prima
volta con occhi pietosi e curiosi allo stesso tempo, forse del tutto convinta che vada da quella Suora,
che ha fama di santità, solo per chiedere la grazia della guarigione fisica; invece no, se fosse stato
davvero questo l’unico movente, sarei rimasta volentieri calda e riposata accanto al fuoco del
caminetto. Nessuno suppone la forza di volontà indomabile che mi sorregge, sono troppo bloccata,
limitata e circoscritta in apparenza, sembra che la malattia abbia segnato e distrutto ogni cosa senza
rimedio, di conseguenza nessuno intuisce il desiderio concreto di superamento, di risolutiva e irridente
rivalsa: dimostrare con la mia testimonianza di vita che il progetto che mi porto dentro è una cosa
doverosa e possibile, nonostante tutto.
Oh, si, lo costruiremo l'ambiente adatto, se Ia Provvidenza ci assiste, per accogliere e aiutare tante
creature in questo senso. Allora parto, come rappresentante di un gruppo già unito e compatto, ansioso
e impaziente di dare battaglia. Allora vado, quasi per trovare conferma alle nostre speranze, per
attingere un briciolo solo di forza, tanto necessaria nel sacrificio che impone il tempo dell'attesa.
Così, mentre la corriera traballante percorre colline e vallate nell'umida giornata invernale, il viaggio
risulta lungo e disagiato; un mare fitto di nebbia si stende sotto lo sguardo e affoga nel nulla i vasti
uliveti umbri. Eccola, l'immagine perfetta dell'umanità sofferente, piena di mille bisogni, proiettata
così, a tentoni, all'inconscia ricerca del bene.
Intanto penso quello che debbo dire in sintesi alla Suora e spero solo di non rimanere impappinata
quando sarò davanti a lei, cosa non troppo improbabile.
Appena arrivati ci mettiamo in fila insieme ad altre persone; ci viene teso un dischetto di plastica, con
un numero scritto, che praticamente autorizza ad essere ricevuti a turno. Però a me danno la
precedenza ed entro sostenuta da due ragazze che a portarmi fanno fatica; scorgo subito lei, in piedi,
vestita di bianco, un viso tutto rugoso dal colorito olivastro, che appena mi vede esclama in tono sor-
preso e accorato: ”Figlia, che hai fatto?” Aggredita all'improvviso da una profonda, intima commozione, chino il capo balbettando: « Madre! », senza essere capace di aggiungere altro. Segue un momento di silenzio, poi interroga: “Da quanti anni stai così?”. “Dalla nascita”, rispondo; poi quasi
paventando che non afferri subito il motivo esatto per cui sono arrivata fin lì, io vado avanti nel
discorso per conto mio: « Il Signore mi ha dato però il dono gratuito della rassegnazione e con questa
infermità spero solo di guadagnare il Paradiso ». Allora, come se avessi detto davvero qualcosa
d'ingenuo e scontato in partenza, lei afferma con sicurezza: « Oh sì, questo sì! ».
“Ascolti comunque un altro fatto importante: ecco, io sono venuta da lei, membro volontario,
anonimo e ignoto, a presentare il sogno e la causa di un gruppo nutrito di sofferenti che sospirano da
tempo una casa tutta per loro, come già le è stato reso noto in precedenza dallo stesso Don Franco” ».
« SìI » aggiunge di nuovo « E io prego ». Dice questo con un tono di voce particolare, quasi fosse un
giuramento.
Presto viva attenzione a tutto quello che odo, resto muta così, con l'animo sospeso; poi, alla fine, frasi
accorate e discontinue fanno ressa alle labbra e rivelano in pieno lo stato interiore. Come fare? Dio
mio, sento in modo tormentoso che ho una missione santa da assolvere senza indugi fra questi fratelli,
vorrei scuotermi, annullarmi, dare tutto per l'iniziativa, mentre invece non posso far niente!
Gli occhi suoi sono fissi nei miei, uno sguardo singolarissimo, profondo, che trapassa 1' intimo; al di
là delle apparenze percepisco, sento, senza alcuna possibilità di equivoci, la sua anima grande trepidare
accanto alla mia; certo prova indubbiamente una palpabile, delicata pietà per il mio fisico crocifisso e.
si limita solo a fare eco alle mie parole, forse con una nota di pianto appena percettibile nella voce.
Sì, lei vorrebbe far tanto e non può far niente, Io ripete quasi volesse imprimerselo bene nella mente.
Poi con la mia mano stretta alla sua, ripete più volte una frase, che dice sempre a tutti i visitatori del
resto, e che, pronunciata così, con accento leggermente straniero, essendo ella di origine spagnola,
suona di conseguenza più dolce, convincente, capace di per se stessa d'infondere un senso infinito di
pace e tanto, fiducioso, sereno coraggio: « Mi pregherà per ti”. Sono momenti unici e rari in cui
l'essere limitato si eleva, si lascia ghermire teneramente, si lascia assorbire, con filiale amoroso
abbandono, dalla potenza dell'Altissimo.
Pochi minuti soltanto, poi avviene il congedo; scendiamo allora nella Cappella: qui tutto è bello,
mistico, nuovo.
IL Crocefisso a grandezza naturale che sovrasta l'altare e attira subito lo sguardo attento del visitatore.
Quella vista produce grande effetto, per cui si resta stupiti e col respiro sospeso perché è talmente
originale nelle fattezze da sembrare addirittura vivo: la persona eretta nel dolore, due braccia tese che,
proprio in quell'immobilità inchiodata, testimoniano il dono totale di Sé, il trasporto incontenibile per
l'Universo intero, pronte a ricevere tutti gli uomini, indistintamente, in un amplesso infinito, fedeli e
infedeli, ricchi e poveri, sani e malati, buoni e cattivi; un volto illuminato da una luce singolare che
attrae e parla solo d'amore, sì, quello misericordioso.
La preghiera sgorga allora dal cuore fitta e accorata, strappata dalle fibre dell'intimo quasi con dolce
violenza. Gli affido tutto il mio essere, valori e miserie, scarico il nostro prezioso fardello di speranze,
fatiche e incertezze: sono venuta essenzialmente per questo.
Così, pian piano, si placa il mio tormento, mi sento riconfortata, sicura, leggera, succede la pace. Ecco,
i pensieri seguono un filo logico, davvero Lui ci vuole minuscoli strumenti da niente, per attuare
un'opera grande, su questo lato non si può dubitare; ebbene siamo tutti d'accordo, proprio qui,
prostrati per terra, protestiamo con slancio, una volta di più, la nostra assoluta disponibilità fatta di
fuoco, perciò spetta a Lui il compito di rafforzare la nostra risaputa fragilità e regolare gli eventi in
proposito.
Fuori ci attende la strada interminabile del ritorno.
Ma non importa, predomina solo la gioia autentica di esser venuti.
13.a continua
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CREDERE, OGGI
Come praticare e predicare la fede oggi
IL VANGELO CHE TORNA ad ENTUSIASMARE
nella lettura che ne dà PAOLO CURTAZ: da GESÙ INCONTRA Ed. Paoline
Zaccheo, scendi subito!
(Lc 19,1-10)
3.a continua
Zaccheo l'insalvabile
Or un uomo di nome Zaccheo, che era capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi fosse Gesù, ma non ci riusciva;
c'era infatti molta gente ed egli era troppo piccolo di statura.
Entra in scena "un uomo" come, nel caso dell'adultera, era entrata in scena "una donna" (Le 7,37).
Gesù ricrea la nuova umanità, plasma l'umano in uomo e donna ma, questa volta, non crea un essere
che cadrà miseramente nella colpa. Prende due peccatori, una prostituta e un esattore, per dimostrar e la
logica illogica di Dio, che innalza gli umili, che restituisce dignità a chi è caduto, e li fa diventare
discepoli...
È l'inverso della creazione: non più dall'armonia al caos conseguenza della colpa, ma dalla colpa al
discepolato.
Eccolo, Zaccheo.
Già il nome è un programma: significa il puro. Ma se è la contrazione di Zaccaria, “Zaccheo” significa
Dio ricorda: il Signore vede in lui un puro, un semplice. Dio ci restituisce la nostra immagine ancestrale,
la nostra idealità profonda, egli sa cosa siamo veramente. Dietro la scorza indurita di un uomo che è
diventato un aguzzino, Dio vede l'innocenza nascosta.
E la rianima.
La folla vede in lui un delinquente; Dio, che si ricorda di com'era Zaccheo quando lo ha creato nel
grembo della madre, vede in lui un santo.
Due sono le peculiarità che caratterizzano Zaccheo: è un capo dei pubblicani ed è ricco.
Ovviamente.
I pubblicani sono ebrei che appaltano la riscossione dei tributi da parte di Roma con ricarichi
piuttosto onerosi. Quindi peccatori al cubo: collaborazionisti con l'odiato invasore, ladri, idolatri,
visto che maneggiano le monete con I'effige dell'imperatore. Difficile immaginare qualcuno di più
odiato del pubblicano, in Israele. E Zaccheo, dei pubblicani è un capo.
Non sappiamo altro di lui: nulla sul suo carattere, sui suoi sogni, sulle sue amicizie, sulla sua fede.
È il suo molo, non si scappa.
Potrebbe essere una bella persona ma il mestiere che fa impedisce ogni clemenza, ogni desiderio di
conoscerlo meglio. È pubblicano e ricco. Non è altro.
Come la donna era un'adultera. Un'altra una prostituta. Un'altra una samaritana.
Per Gesù quell'uomo ha un nome, Zaccheo, non un ruolo.
Peggio. La natura non è stata clemente con lui: è basso, piccolo di statura.
Piccolo. Piccolo di cuore, anche.
Possiamo lasciar correre la fantasia e immaginare.
Forse quel difetto fisico l'ha fatto penare, nell'infanzia. Forse da lì ha deciso di diventare importante
ad ogni costo, anche pagando il prezzo di un odio collettivo. Visto che non è stato amato, ora è
rispettato e temuto. Quanta rabbia nasconde quell'apparentemente innocua annotazione fisica.
Quanto rancore, quanta voglia di riscatto in Zaccheo!
Sono temuti, i pubblicani: alle spalle hanno l'aquila romana.
Ma i suoi concittadini, ora, si tolgono una piccola soddisfazione, diventano un muro davanti alla strada,
gli impediscono di vedere. Piccola e innocente vendetta fra uomini, come ancora si usa oggi.
In questo quadro a tinte fosche, però, Luca lascia intravvedere uno spiraglio.
L'insalvabile, antipatico e odiato Zaccheo, ricco e temuto, è curioso.
Curiosissimo.
3.a continua