ROMANO Enzo Domenico

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Transcript ROMANO Enzo Domenico

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE D’APPELLO PER LA
REGIONE SICILIANA
composta dai signori magistrati:
dott. Pino ZINGALE
Presidente f.f.
dott. Vincenzo LO PRESTI
Consigliere
dott. Valter Camillo DEL ROSARIO
Consigliere
dott. Eugenio MUSUMECI
Consigliere
dott. Sergio VACCARINO
Primo Referendario
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A N.12/A/2016
nel giudizio in materia di responsabilità iscritto al n. 5386 del registro di
segreteria promosso ad istanza del P.M., nei confronti di
 RIGGIO Francesco (c.f.: RGGFNC61P18G273Q), nato a Palermo il 18
settembre 1961, rappresentato e difeso dall’avv. Alberto Stagno
d’Alcontres;
 AVILA Daniela (c.f.: VLADNL58H54G273D), nata a Palermo il 14
giugno 1958, rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Immordino;
 BONADONNA Giuseppe (c.f.: BNDGPP58A01L740V), nato a
Ventimiglia di Sicilia (PA) l’1 gennaio 1958, rappresentato e difeso
dagli avv.ti Giuseppe Cozzo e Daniela Pibiri;
 BONGIORNO Calogero (c.f.: BNGCGR52H28A351X), nato ad
Aragona (AG) il 28 giugno 1952, rappresentato e difeso dagli avv.ti
Mario Giudice e Fulvio Ingaglio La Vecchia;
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 CANDELA Rosario (c.f.: CNDRSR63B12L282U), nato a Torretta
(PA) il 12 febbraio 1963, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe
Cozzo e Daniela Pibiri;
 CONTI Santo (c.f.: CNTSNT51A24A638W), nato a Barcellona Pozzo
di Gotto (ME) il 24 gennaio 1951, rappresentato e difeso dagli avv.ti
Gaetano Spoto Puleo e Giovanni Sciangula;
 GATTUSO Giangiuseppe (c.f.: GTTGGS55A18C344S),
nato a
Castronovo di Sicilia (PA) il 18 gennaio 1955, rappresentato e difeso
dagli avv.ti Giuseppe Varisco, Leonardo Cucchiara e Massimiliano
Valenza;
 GENTILE Luigi (c.f.: GNTLGU59S11H159A), nato a Raffadali (AG)
l’11 novembre 1959, rappresentato e difeso dall’avv. Girolamo
Rubino;
 NATOLI Natalino (c.f.: NTLNLN61T11I086G), nato a San Piero Patti
(ME) l’11 dicembre 1961 e ivi residente in via Toscana n. 27;
 SCHEMBRI Salvatore Federico (c.f.: SCHSVT56A25A638U), nato a
Barcellona Pozzo di Gotto (ME) il 25 gennaio 1956, rappresentato e
difeso dall’avv. Giuseppe Benedetto;
 TESTAGROSSA Enzo Stefano (c.f.: TSTNST67T30F251P), nato a
Mistretta (ME) il 30 dicembre 1967, rappresentato e difeso dagli
avv.ti Gaetano Spoto Puleo e Giovanni Sciangula;
 LO NIGRO Gaspare Carlo (c.f.: LNGGPR55LO6A239U), nato ad
Altofonte (PA) il 6 luglio 1955, rappresentato e difeso dagli avv.ti
Luigi Fortunato e Massimiliano Mangano;
per la riforma della sentenza n. 325/2015 emessa dalla Sezione
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Giurisdizionale per la Regione Siciliana.
Visto l’atto introduttivo del giudizio depositato il 28 maggio 2015.
Visti gli atti e documenti tutti del fascicolo processuale.
Uditi alla pubblica udienza del 17 dicembre 2015 il relatore Consigliere
Pino Zingale, il P.M. nella persona del Vice Procuratore Generale Diana
Calaciura e gli avvocati Cozzo, La Vecchia, Puleo, Mangano, Benedetto,
e Lucia Alfieri su delega degli avv.ti Cucchiara, Rubino e Stagno
d’Alcontres.
FATTO
Con Decreto n. 793/AG/Serv. VI del 19/6/2007, a firma del Dirigente
Generale LO NIGRO Gaspare Carlo, l’Agenzia Regionale per l’Impiego
e la Formazione Professionale approvava il progetto CO.OR.AP.
(Consulenza, Orientamento e Apprendistato) presentato dal C.I.A.P.I.
(Centro
interaziendale
addestramento
professionale
integrato)
di
Palermo, ammettendolo a finanziamento, con i Fondi della Misura 3.18
del POR Sicilia 2000-2006, per complessivi € 7.048.433,65.
In tale Decreto, per quanto di specifico rilievo nel presente giudizio, era
evidenziato che doveva essere costituito un comitato tecnico scientifico
(di seguito CTS) con il compito di assicurare la coerenza e la validità dei
contenuti delle attività progettuali, garantire la validità delle scelte
metodologiche inerenti alle attività progettuali, assicurare la congruità tra
gli obiettivi raggiunti e quelli prefissati dal progetto, composto da undici
persone, tra cui il Presidente del C.I.A.P.I., che lo doveva presiedere, un
direttore del progetto, un segretario del C.I.A.P.I. di livello apicale scelto
tra il personale, due componenti designati dal C.I.A.P.I., tre
3
rappresentanti dell'Assessorato regionale del lavoro, della previdenza
sociale,
della
formazione
professionale
e
dell'emigrazione,
tre
rappresentanti dell'Agenzia regionale per l'impiego e la formazione
professionale; l’affidamento dell’iniziativa di formazione al C.I.A.P.I.
assumeva dichiaratamente i connotati dello "in house providing",
trattandosi di ente strumentale della Regione ed, anzi, articolazione della
medesima (tanto sul piano formale che sostanziale), nel settore della
formazione
professionale
ed
accesso
al
lavoro
sul
quale
l’Amministrazione regionale esercitava un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi; in ragione di tale peculiare rapporto, era
esclusa la necessità di una polizza fidejussoria per garantire l’esatto
adempimento delle obbligazioni assunte con la Regione siciliana e
ritenuto, invece, sufficiente che nel caso di accertata inadempienza nello
svolgimento delle attività finanziate, il C.I.A.P.I. si obbligasse, con
apposito atto deliberativo, a restituire all'Amministrazione regionale le
somme indebitamente percepite.
In data 7/8/2007 si insediava il Comitato Tecnico Scientifico, nella
seguente composizione: Francesco RIGGIO, Presidente del Comitato; i
Santo CONTI, Natalino NATOLI e Enzo Stefano TESTAGROSSA,
rappresentanti dell'Assessorato Regionale del lavoro, della Previdenza
Sociale,
della
Formazione
Professionale
e
dell'Emigrazione
-
componenti; Daniela AVILA, Giuseppe BONADONNA e Rosario
CANDELA, rappresentanti dell'Agenzia Regionale per l'Impiego e la
Formazione Professionale – componenti; Calogero BONGIORNO,
Direttore del progetto e Valeria IOVINO, segretaria del Comitato.
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Nella seduta del 5/9/2007 veniva completata la compagine del Comitato
con la nomina dei componenti designati dal CIAPI, GATTUSO
Giangiuseppe e GENTILE Luigi, già componenti del CdA dell’Ente.
Con D.D.G. n. 357 del 21/5/2008, il medesimo Dirigente dell’Agenzia
Regionale per l’Impiego e la Formazione Professionale, vista la direttiva
dell’Assessore prot. n. 4434/GAB del 31 dicembre 2007, con la quale si
disponeva che, ai fini della prosecuzione delle attività previste dal
progetto CO.OR.AP., fossero impegnate ulteriori risorse a valere sul
P.O.R. 2007/2013 per la prosecuzione delle attività progettuali dopo il 31
maggio 2008, approvava l’integrazione del finanziamento per un importo
pari ad € 3.796.184,39, nonché la modifica del termine di chiusura delle
attività al 30 settembre 2008, autorizzando la rimodulazione del budget
finanziario.
Con DDG n. 667 del 23 settembre 2008, vista la determinazione
favorevole dell’Assessore regionale del lavoro, posta in calce al promemoria n. 3326 del 16 settembre 2008, in ordine alla prosecuzione del
progetto “Co.Or.Ap.” affidato al C.I.A.P.I. di Palermo, veniva approvata
un’ulteriore integrazione del finanziamento pubblico, per un importo pari
ad € 969.737,01, nonché la proroga al 31/10/2008 del termine di
conclusione
delle
attività
progettuali
e
l’autorizzazione
alla
rimodulazione del budget finanziario.
Infine, con DDG n. 715 del 27/10/2008, lo stesso Dirigente Generale
firmatario dei precedenti provvedimenti (LO NIGRO), rievocando la
medesima determinazione favorevole dell’Assessore regionale del lavoro
già citata nel preambolo del precedente provvedimento, approvava
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un’ultima integrazione di € 3.379.007,69, prorogando il termine di
chiusura delle attività al 31/12/2008.
Complessivamente, pertanto, il finanziamento erogato dalla Regione
Siciliana al C.I.A.P.I. per la realizzazione del progetto CO.OR.AP.
ammontava ad € 15.193.362,74.
Nell’agosto 2008 l’Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode (di seguito
«OLAF»), prendendo spunto da un’informativa che indicava l’esistenza
di possibili irregolarità in un progetto del Fondo Sociale Europeo in
Sicilia, avviava un’indagine esterna sul caso e conduceva una verifica sul
posto (dal 29 settembre al 2 ottobre 2009).
Con nota del 28/10/2011, l’OLAF trasmetteva, fra gli altri, alla Procura
regionale per la Sicilia il rapporto finale che compendiava i risultati
dell’attività investigativa svolta.
Da tale rapporto emergevano criticità in ordine a quattro profili della
gestione del progetto:
- il reclutamento del personale dipendente assunto a tempo
determinato;
- le procedure per la fornitura di beni e servizi;
- l’assegnazione delle consulenze esterne e dei contratti di lavoro a
progetto e lavoro occasionale;
- il mancato raggiungimento degli obiettivi del progetto.
Le risultanze dell’indagine compiuta dall’OLAF e gli ulteriori
approfondimenti istruttori svolti, inducevano la Procura a reputare
sussistente un ingente
danno erariale,
pari
all’ammontare del
finanziamento complessivamente erogato al CIAPI per il progetto
6
Co.Or.Ap., causalmente riconducibile all’attività gravemente colposa dei
componenti del CTS del medesimo progetto (Francesco RIGGIO,
Daniela AVILA, Giuseppe BONADONNA, Calogero BONGIORNO,
Rosario CANDELA, Santo CONTI, Natalino NATOLI, Enzo Stefano
TESTAGROSSA, Giangiuseppe GATTUSO, Luigi GENTILE, Salvatore
Federico SCHEMBRI) e del Dirigente Generale dell’Agenzia Regionale
per l’Impiego e la Formazione Professionale, (Gaspare Carlo LO
NIGRO).
Pertanto, in data 4/6/2013, la Procura, ritenendo le scelte gestionali
operate da tali soggetti incongrue rispetto ai precetti normativi di
riferimento e inidonee a garantire la corretta realizzazione delle
prescrizioni progettuali, li invitava a dedurre formulando contestualmente
istanza di sequestro conservativo.
Con decreto n. 6/SEQ/2013 del 17 giugno 2013, il Presidente f.f. della
Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Siciliana
autorizzava la misura cautelare nei termini richiesti.
Il Giudice designato, con Ordinanza n. 270/2013 del 2/10/2013, assunta
all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 19/7/2013, nel
condividere l’impianto della prospettazione attorea dichiarava inefficace
solo in parte il decreto di sequestro su alcuni crediti, beni immobili e beni
mobili registrati perché non correttamente eseguito.
In data 19/11/2013, la Procura, ritenute le copiose deduzioni difensive
formulate dalla quasi totalità degli invitati inidonee a superare le
contestazioni, li citava in giudizio confermando integralmente la
prospettazione iniziale circa la sostanziale inutilità del finanziamento
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pubblico, rispetto all’obiettivo finale dell’ausilio all’ingresso nel mondo
del lavoro dei giovani che avevano completato il primo ciclo di
istruzione, e la sussistenza, nell’impiego della provvista finanziaria, di
molteplici criticità connesse a iniziative gestorie non coerenti con le
inderogabili prescrizioni normative di riferimento.
Venivano prospettate responsabilità a titolo di colpa grave, la
consistenza delle quali era disomogeneamente ripartita tenendo conto dei
diversi apporti causali.
A nove dei componenti del CTS (con l’eccezione dei sigg. RIGGIO e
BONGIORNO), ai quali si imputava di aver realizzato il presupposto per
le scelte gestionali compromettenti il corretto impiego del finanziamento
pubblico, era addebitato un importo pari al 45% dell’intero danno oggetto
della domanda di risarcimento, suddiviso in otto quote di € 854.626,65,
di cui sette imputate ai sigg. AVILA, BONADONNA, CANDELA,
CONTI, NATOLI, TESTAGROSSA e GATTUSO, ed una ripartita in
parti uguali tra i sigg. GENTILE e SCHEMBRI, che si erano succeduti
nella carica.
Al RIGGIO, la Procura, valorizzando la posizione dominante rivestita
nell’ambito del Comitato, derivante dalla carica di Presidente del CTS
connessa a quella di presidente del CdA del C.I.A.P.I. di Palermo,
addebitava una quota di danno pari al 35% per cento dell’intero danno
contestato.
Un apporto causale di maggiore consistenza veniva riconosciuto anche
alla condotta del BONGIORNO, il quale, per la funzione di Direttore del
progetto contrattualmente conferita (contratto di lavoro sottoscritto in
8
data 31 ottobre 2007 con il C.I.A.P.I. di Palermo), aveva un ruolo di
verifica della corretta gestione dell’attività progettuale, della regolarità
contabile e della congruità nel merito di tutte le scelte poste in essere per
la realizzazione del progetto. In ragione di tale differenziato ruolo
all’interno del CTS, a tale soggetto la Procura imputava una quota di
danno pari al 10% dell’intero nocumento patrimoniale contestato.
Infine, un significativo collegamento causale era dal P.M. ravvisato con
l’attività amministrativa posta in essere dal Dirigente Generale
dell’Agenzia Regionale per l’Impiego e la Formazione Professionale, LO
NIGRO, cui si imputava di aver inciso in modo determinante sull’intera
vita del progetto CO.OR.AP., dalla sua approvazione e dal suo
finanziamento ai reiterati rifinanziamenti a richiesta dell’ente attuatore.
In particolare, imputandogli di avere negligentemente omesso
un’attenta verifica sul contenuto e sulle reali potenzialità del progetto
CO.OR.AP., sia nella fase propedeutica alla sua approvazione che nella
successiva adozione dei tre provvedimenti di integrazione del contributo,
veniva formulata una richiesta di condanna pari alla residua quota del
10% dell’intero importo del danno.
Pertanto, l’importo del danno di € 15.193.362,74, da incrementare della
rivalutazione monetaria e interessi legali, era ripartito della Procura
procedente nei termini seguenti:
- RIGGIO Francesco, euro 5.317.676,95;
- AVILA Daniela, euro 854.626,65;
- BONADONNA Giuseppe, euro 854.626,65;
- BONGIORNO Calogero, euro 1.519.336,27;
9
- CANDELA Rosario, euro 854.626,65;
- CONTI Santo, euro 854.626,65;
- NATOLI Natalino, euro 854.626,65;
- TESTAGROSSA Enzo Stefano, euro 854.626,65;
- GATTUSO Giangiuseppe, euro 854.626,65;
- GENTILE Luigi, euro 427.313,33;
- SCHEMBRI Salvatore Federico, euro 427.313,33;
- LO NIGRO Gaspare Carlo, euro 1.519.336,27.
Il giudizio di reclamo avverso l’ordinanza del Giudice designato,
proposto da taluni (AVILA, GENTILE, BONADONNA, CANDELA,
GATTUSO,
BONGIORNO,
LO
NIGRO)
dei
destinatari
del
provvedimento di sequestro, veniva definito con ordinanza 8/2014.
Con tale provvedimento, la valutazione, su base prognostica, di
verosimiglianza e di probabilità di esistenza della pretesa azionata,
conduceva alle seguenti conclusioni:
1)
il CTS aveva sostanzialmente svolto anche compiti di natura
gestoria, unitamente agli organi del C.I.A.P.I.;
2)
vi erano elementi per ritenere sussistenti illegittimità nel
reclutamento del personale (a fronte di un progetto che già di per
sé comportava in buona parte una duplicazione dei servizi già resi
dagli sportelli multifunzionali e dagli uffici del lavoro, si
assumeva che il CTS avesse avallato la scelta di assumere, con un
notevole onere economico e indiscriminatamente personale,
ritenendo tali assunzioni coerenti con le finalità del progetto
stesso, pur difettando in capo agli assunti una particolare
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competenza in materia di apprendistato);
3)
vi erano elementi per ritenere sussistenti illegittimità nel
conferimento di incarichi di consulenza e nella stipulazione di
contratti di lavoro a progetto e di lavoro occasionale (si era
provveduto a nominare una serie di figure professionali non
previste nel progetto; non erano state esplicitate le ragioni per le
quali la scelta della nomina era ricaduta su determinati soggetti, di
cui non è stata accertata la competenza professionale) e l’onere
dell’ingiustificato esborso doveva essere addossato ai reclamanti,
ancorché fossero emersi ulteriori profili di responsabilità di
soggetti, estranei al CTS, non coinvolti nel giudizio;
4)
non vi erano supporti probatori idonei a dimostrare la sussistenza
di un danno connesso all’ipotizzato irregolare espletamento delle
procedure per la fornitura di beni e servizi: partendo dalla
distinzione tra l’illiceità della condotta e l’illegittimità dell’atto, il
Giudice del reclamo, fra l’altro, reputava non provato che alla
mancata esecuzione di gare pubbliche era seguito un onere di
spesa superiore a quello che avrebbe potuto essere sopportato a
seguito di virtuose procedure di scelta del contraente;
5)
circa il mancato raggiungimento degli obiettivi del progetto,
veniva evidenziato che l’impegno di ingenti risorse, per una
semplice attività di consulenza fine a se stessa, per altro già in
gran parte fornita dagli sportelli multifunzionali e dagli uffici
provinciali del lavoro, non aveva comportato risultati concreti
tangibili e contrastava con i canoni di economicità ed efficacia cui
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deve essere improntata l’azione amministrativa, pur evidenziando
che il mancato raggiungimento del reale obiettivo dell’incremento
occupazionale era in parte imputabile anche alla fase genetica
della programmazione dell’iniziativa di formazione, piuttosto che
solo a quella esecutiva.
In definitiva, il Collegio, pur ritenendo che le condotte dei componenti
del CTS e del Dirigente generale dell’Agenzia Regionale dell’impiego
erano connotate quantomeno da inescusabile negligenza, giudicando che
gli stessi avevano svolto i rispettivi munera nella prospettiva che il
progetto “CO.OR.AP.” fosse esclusivamente uno strumento di spesa,
reputava che parte del danno erariale contestato ai componenti del CTS,
o non risultasse supportato da adeguato corredo probatorio oppure fosse
riferibile anche ad altri soggetti.
Ciò si riverberava, per alcuni del reclamanti, sul requisito del periculum
in mora, poiché veniva a mancare la notevole sproporzione tra
patrimonio posseduto e l’importo del credito risarcitorio.
Conseguentemente, il sequestro conservativo era revocato nei confronti
di AVILA, GENTILE, BONADONNA, CANDELA e GATTUSO.
Veniva, invece, confermato in capo al BONGIORNO, Direttore del
progetto, che per il ruolo ricoperto e per la maggiore consapevolezza
delle vicende avrebbe dovuto incanalare l’operato del CTS nei binari
della piena legalità e del rispetto del contenuto del progetto
“CO.OR.AP.” ed al LO NIGRO, in ragione della particolare posizione
rivestita nell’ambito dell’Amministrazione e del diretto coinvolgimento
soprattutto nella fase ideativa del progetto e del finanziamento.
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In sintesi, quindi, il giudizio incardinato risultava finalizzato
all’accertamento della fondatezza della pretesa azionata dal Pubblico
Ministero
concernente
un’ipotesi
di
danno
erariale
connesso
all’erogazione di finanziamenti, da parte della Regione Siciliana e a
valere su una provvista di origine comunitaria, per un progetto di
formazione realizzato in modo reputato insoddisfacente rispetto agli
obiettivi prefissati ed attraverso iniziative gestorie ritenute non coerenti
con le inderogabili prescrizioni normative di riferimento.
Le prospettate responsabilità sono state ripartite in modo disomogeneo
tra i molteplici soggetti che, titolo di colpa grave, si assume abbiano
concorso alla iniziativa di formazione e, segnatamente:
 a nove dei componenti del CTS del Progetto (con l’eccezione dei sigg.
RIGGIO e BONGIORNO) era stato imputato di aver realizzato il
presupposto per le scelte gestionali compromettenti il corretto
impiego del finanziamento pubblico ed addebitato un importo pari al
45% dell’intero danno oggetto della domanda di risarcimento,
suddiviso in otto quote di euro 854.626,65 di cui sette imputate ai
sigg. AVILA, BONADONNA, CANDELA, CONTI, NATOLI,
TESTAGROSSA e GATTUSO, e una ripartita in parti uguali tra i
sigg. GENTILE e SCHEMBRI, che si erano succeduti nella carica;
 ad uno (RIGGIO), valorizzando la posizione dominante rivestita
nell’ambito del Comitato, derivante dalla carica di Presidente del
CTS connessa a quella di presidente del CdA del C.I.A.P.I. di
Palermo, veniva imputata una quota di danno pari al 35% per cento
dell’intero;
13
 un apporto causale di maggiore consistenza era stato riconosciuto anche
alla condotta del Direttore del progetto (BONGIORNO) che aveva un
ruolo di verifica della corretta gestione dell’attività progettuale, della
regolarità contabile e della congruità nel merito di tutte le scelte poste
in essere per la realizzazione del progetto. In ragione di tale
differenziato ruolo all’interno del CTS, a tale soggetto la Procura
imputava una quota di danno pari al 10% dell’intero nocumento
patrimoniale contestato;
 infine, un significativo collegamento causale veniva ravvisato con
l’attività amministrativa posta in essere dal Dirigente Generale
dell’Agenzia Regionale per l’Impiego e la Formazione Professionale,
LO NIGRO, cui era stato imputato di aver inciso in modo
determinante sull’intera vita del progetto CO.OR.AP., dalla sua
approvazione e dal suo finanziamento ai reiterati rifinanziamenti a
richiesta dell’ente attuatore; in particolare, imputandogli di avere
negligentemente omesso un’attenta verifica sul contenuto e sulle reali
potenzialità del progetto, sia nella fase propedeutica alla sua
approvazione che nella successiva adozione dei tre provvedimenti di
integrazione del contributo, era stata formulata una richiesta di
condanna pari alla residua quota del 10% dell’intero importo del
danno.
I primi Giudici, con sentenza n. 326/2015, dopo avere affermato in
parte motiva la propria giurisdizione, a fronte di eccezione di parte
mirante ad un suo diniego, dichiarava integralmente prescritta la pretesa
risarcitoria nei confronti di GENTILE Luigi, mentre, nei confronti di
14
AVILA Daniela, BONADONNA Giuseppe, BONGIORNO Calogero,
CANDELA Rosario, CONTI Santo, GATTUSO Giangiuseppe, LO
NIGRO
Gaspare
Carlo,
SCHEMBRI
Salvatore
Federico
e
TESTAGROSSA Enzo Stefano, dichiarava parzialmente prescritto il
diritto al risarcimento del danno per l’importo complessivo pari ad €
8.675.694,43 (somma corrispondente alle erogazioni dei finanziamenti
operate con pagamenti nr. 1851 del 20/11/2007, per € 3.524.216,83; nr.
749 del 19/5/2008, per € 2.114.530,09; nr. 975 del 1/7/2008, per €
3.036.947,51). Dichiaravano, infine, infondata l’azione di responsabilità
amministrativa nei confronti di RIGGIO Francesco e di NATOLI
Natalino, per l’intera pretesa azionata nei loro riguardi, nonché nei
confronti di AVILA Daniela, BONADONNA Giuseppe, BONGIORNO
Calogero,
CANDELA
Rosario,
CONTI
Santo,
GATTUSO
Giangiuseppe, LO NIGRO Gaspare Carlo, SCHEMBRI Salvatore
Federico e TESTAGROSSA Enzo Stefano, per la porzione di pretesa non
prescritta.
In conseguenza dell’esito del giudizio veniva dichiarata l’inefficacia dei
provvedimenti di sequestro conservativo ed ordinata la cancellazione dei
sequestri conservativi trascritti.
Avverso la predetta sentenza ha interposto appello l’Ufficio del
Pubblico Ministero con atto depositato il 28 maggio 2015.
Rappresenta il P.M. che con informativa prot. n.28835 del 28 ottobre
2011 l’OLAF – Ufficio europeo per la lotta antifrode della Commissione
Europea ha trasmesso la relazione finale dell’attività investigativa (caso
OF/2008/0789) svolta attraverso un controllo sul posto dal 29 settembre
15
al 2 ottobre 2009, finalizzato a verificare la regolare esecuzione del
progetto “CO.OR.AP. – Consulenza, Orientamento e Apprendistato”,
finanziato con i fondi del POR Sicilia 2000-2006.
Avviata l’istruttoria il P.M., previa acquisizione di copia della relativa
documentazione presso l’Ufficio europeo per la lotta antifrode della
Commissione Europea (nota dell’OLAF prot. n.9307 del 14 aprile 2013,
trasmessa in esecuzione della richiesta istruttoria prot. n.0007311 del 5
aprile 2012) e il Dipartimento Regionale del Lavoro, dell’Impiego,
dell’orientamento, dei servizi e delle attività formative (nota prot.
n.30177/A1/2013 del 27 maggio 2013, trasmessa in esecuzione della
richiesta istruttoria prot. n.0009434 del 15 maggio 2013 e acquisizione
diretta effettuata in data 31 maggio 2013), nonché esame degli atti
trasmessi in data 28 marzo 2013 dalla Sezione del Controllo della Corte
dei conti per la Regione siciliana, riguardanti la procedura di recupero
coattivo a carico del C.I.A.P.I. di Palermo dell’intero importo del
finanziamento erogato per l’esecuzione del progetto CO.OR.AP., aveva
ritenuto come accertata l’illegittima esecuzione del progetto, per la cui
realizzazione era stata erogata la somma complessiva di € 15.193.362,74.
In particolare, erano state riscontrate illegittimità gestionali causalmente
riconducibili all’attività gravemente colposa dei componenti del
Comitato Tecnico Scientifico, organo di gestione del progetto
CO.OR.AP. (nelle persone dei sigg. RIGGIO Francesco, AVILA
Daniela,
CANDELA
BONADONNA
Rosario,
Giuseppe,
CONTI
Santo,
BONGIORNO
GATTUSO
Calogero,
Giangiuseppe,
GENTILE Luigi, NATOLI Natalino, SCHEMBRI Salvatore Federico e
16
TESTAGROSSA Enzo Stefano), nonché del sig. Gaspare Carlo LO
NIGRO, Dirigente Generale dell’Agenzia Regionale per l’Impiego e la
Formazione Professionale, responsabile di avere colposamente proceduto
all’approvazione del progetto e ai successivi finanziamenti integrativi.
Conseguentemente, con atto di citazione del 19 novembre 2013, la
Procura regionale, pertanto, aveva convenuto in giudizio i predetti,
chiedendone la condanna al risarcimento del danno cagionato alla
Regione siciliana, quantificato nella complessiva somma di €
15.193.362,74, imputato in diverse proporzioni ai soggetti convenuti.
Evidenziava il P.M. che, contestualmente, era stato avviato a loro carico
un procedimento cautelare con istanza di sequestro conservativo del 4
giugno 2013, per un importo pari al danno erariale accertato, autorizzato
con decreto del Presidente della Sezione Giurisdizionale n.6/SEQ/2013 in
data 17 giugno 2013; il provvedimento cautelare era stato integralmente
confermato dal Giudice designato (fatta eccezione per alcuni cespiti, a
causa della esecuzione non corretta delle relative formalità) con
ordinanza n.270/2013 del 2 ottobre 2013 e, in sede di reclamo (proposto
soltanto da sette dei destinatari della cautela), revocato nei confronti di
AVILA, GENTILE, BONADONNA, CANDELA e GATTUSO e
confermato nei confronti di BONGIORNO e LO NIGRO, con ordinanza
n.8/2014 del 17 gennaio 2014 con la quale il giudice del reclamo aveva
affermato che:
1) il CTS aveva sostanzialmente svolto anche compiti di natura
gestoria, unitamente agli organi del C.I.A.P.I.;
2) vi erano elementi per ritenere sussistenti illegittimità nel
17
reclutamento del personale (a fronte di un progetto che già di per sé
comportava in buona parte una duplicazione dei servizi già resi dagli
sportelli multifunzionali e dagli uffici del lavoro, si assumeva che il CTS
avesse avallato la scelta di assumere, con un notevole onere economico e
indiscriminatamente personale, ritenendo tali assunzioni coerenti con le
finalità del progetto stesso, pur difettando in capo agli assunti una
particolare competenza in materia di apprendistato);
3) vi erano elementi per ritenere sussistenti illegittimità nel
conferimento di incarichi di consulenza e nella stipulazione di contratti di
lavoro a progetto e di lavoro occasionale (si era provveduto a nominare
una serie di figure professionali non previste nel progetto; non erano state
esplicitate le ragioni per le quali la scelta della nomina era ricaduta su
determinati soggetti, di cui non è stata accertata la competenza
professionale) e l’onere dell’ingiustificato esborso doveva essere
addossato ai reclamanti, ancorché fossero emersi ulteriori profili di
responsabilità di soggetti, estranei al CTS, non coinvolti nel giudizio;
4) non vi erano supporti probatori idonei a dimostrare la sussistenza di
un danno connesso all’ipotizzato irregolare espletamento delle procedure
per la fornitura di beni e servizi, reputando non provato che la mancata
esecuzione di gare pubbliche aveva determinato un onere di spesa
superiore a quello che avrebbe potuto essere sopportato a seguito di
virtuose procedure di scelta del contraente;
5) con riguardo al mancato raggiungimento degli obiettivi del progetto,
l’impegno di ingenti risorse per una semplice attività di consulenza fine a
se stessa, per altro già in gran parte fornita dagli sportelli multifunzionali
18
e dagli uffici provinciali del lavoro, non aveva comportato risultati
concreti tangibili e contrastava con i canoni di economicità ed efficacia
cui deve essere improntata l’azione amministrativa, pur evidenziando che
il
mancato
raggiungimento
del
reale
obiettivo
dell’incremento
occupazionale era in parte imputabile anche alla fase genetica della
programmazione dell’iniziativa di formazione, piuttosto che solo a quella
esecutiva.
Rimarcava il P.M. come la fattispecie di danno erariale contestata ai
predetti soggetti fosse relativa alle illegittimità gestionali agli stessi
imputate quali componenti del Comitato Tecnico Scientifico del progetto
“CO.OR.AP. – Consulenza, Orientamento e Apprendistato”, finanziato al
C.I.A.P.I. di Palermo dalla Regione siciliana, nell’ambito delle misure
3.18 azione C e 4.05 del POR Sicilia 2000-2006, ripercorrendo in punto
di fatto l’intero iter progettuale.
Rappresentava il P.M. come, a conclusione del progetto, in sede di
controllo del rendiconto delle spese sostenute per l’attuazione del
progetto, effettuato dal servizio Rendicontazione del Dipartimento
regionale Formazione Professionale, l’importo delle spese ammesse a
contributo fosse stato di € 15.191.274,73 (verbale del 3 luglio 2009).
L’esame della documentazione prodotta agli atti evidenziava come la
realizzazione del progetto CO.OR.AP. fosse caratterizzata, secondo il
P.M., da plurime irregolarità, che avrebbero sostanzialmente determinato
la mancata corrispondenza tra le previsioni e la realizzazione del progetto
medesimo.
Ad avviso del Pubblico Ministero, l’enorme sforzo finanziario e
19
organizzativo affrontato per la gestione del progetto non sarebbe stato
certamente funzionale al raggiungimento dei risultati fissati, che hanno
giustificato la concessione del finanziamento, indicati nel paragrafo 3.6
del formulario di presentazione, in cui su un numero di 3.000 giovani in
cerca di prima occupazione (dato desunto dal censimento ISTAT 2001)
veniva previsto l’avviamento all’apprendistato del 50% del campione
(pari a 1.500 unità) con una percentuale del 20% di assunzioni (pari a
600 nuovi lavoratori, calcolati sul numero complessivo di 3.000 giovani).
Infatti, il risultato raggiunto sarebbe stato manifestamente risibile, in
quanto su un numero di 12.633 giovani destinatari del servizio di
consulenza e di 578 aziende contattate (cfr. relazione conclusiva del
Direttore del progetto in data 22 dicembre 2008) soltanto 12 giovani sono
stati avviati all’apprendistato, mentre nessuna azienda ha proceduto a
regolarizzare un rapporto di lavoro con gli apprendisti.
Se ne dedurrebbe, quindi, che la ricaduta del progetto CO.OR.AP., in
termini occupazionali, sarebbe stata percentualmente prossima allo zero.
Inoltre, sottolinea il P.M. appellante che, come anche lucidamente
argomentato nella ordinanza n.270/2013 del Giudice designato, si
riscontrino molteplici elementi per ritenere l’avviamento degli inoccupati
all’apprendistato e alla successiva firma di un contratto di lavoro il vero
scopo del progetto CO.OR.AP.
Tra di essi, assumerebbero particolare rilievo:
- la provenienza dei finanziamenti e l’affidamento del progetto in house
providing al C.I.A.P.I. da parte della Regione siciliana (modello
organizzativo attuato per la mancanza di differenza sostanziale tra ente
20
affidante ed ente affidatario), che dimostrano la sussistenza di un
interesse
pubblico
alla
realizzazione
del
progetto
CO.OR.AP.,
chiaramente non soddisfatto dalla sola erogazione di servizi di
consulenza orientativa;
- l’indicazione al paragrafo 3.12 del formulario di presentazione della
“…esigenza di ridurre, attraverso nuove forme di intervento, il tasso di
disoccupazione particolarmente elevato nel territorio siciliano”;
- la previsione, nello stesso paragrafo 3.12, del parametro della
“ricaduta occupazionale” fra i criteri per la scelta dei destinatari
dell’attività progettuale, nonché nel successivo paragrafo 3.13 della
concreta prospettiva occupazionale (indicata, in via d’ipotesi, nella
misura “del 20% circa”);
- la necessità di assicurare “…la coerenza delle azioni progettuali con
gli obiettivi previsti e i risultati attesi anche al fine di riformulare le stesse
in itinere” (paragrafo 3.28 del formulario di presentazione).
Pertanto, secondo il P.M., anche a voler attribuire rilevanza all’attività
strumentalmente posta in essere per l’esecuzione del progetto, la concreta
mancanza di risultato determina l’impossibilità di valorizzare in alcun
modo le condotte gestionali contestate ai convenuti, limitate alla ricerca
di un contatto con i giovani in cerca di prima occupazione, che
rappresentava soltanto uno dei presupposti per realizzare il programma
finanziato.
Conseguentemente, il mancato raggiungimento degli obiettivi del
progetto CO.OR.AP. qualifica come inutile la spesa affrontata con il
rilevante contributo a carico del Fondo Sociale Europeo e della Regione
21
siciliana per complessivi € 15.193.362,74, determinando l’avvio da parte
dell’Amministrazione regionale, a carico del C.I.A.P.I. di Palermo, della
procedura di recupero coattivo dell’intero importo del finanziamento.
Evidenzia il P.M. come, alla data odierna, considerata la perdita di
disponibilità di risorse finanziarie da parte dell’ente assegnatario del
contributo per la realizzazione del progetto CO.OR.AP., attualmente in
liquidazione, e l’impossibilità ormai definitiva del recupero delle somme
corrispondenti (anche per la non irrilevante circostanza della sostanziale
identità soggettiva delle posizioni di debitore e creditore), sarebbe
indubitabile che dalla vicenda oggetto del presente giudizio sia derivato
un danno erariale caratterizzato da certezza, concretezza e attualità.
In dettaglio, le criticità, riscontrate in sede ispettiva dall’Ufficio
europeo per la lotta antifrode della Commissione Europea e confermate
dagli accertamenti svolti da questa Procura regionale, che hanno
condizionato negativamente la fase di realizzazione del progetto
CO.OR.AP., consisterebbero:
- nell’illegittimo reclutamento del personale dipendente assunto a
tempo determinato;
- nell’irregolare espletamento delle procedure per la fornitura di beni e
servizi;
- nell’illegittima assegnazione delle consulenze esterne e dei contratti di
lavoro a progetto e lavoro occasionale.
Per quanto riguarda il primo profilo, il P.M. sottolinea come il progetto
CO.OR.AP. non prevedesse l’assunzione dei 277 operatori specializzati
reclutati dal C.I.A.P.I. per offrire il servizio di consulenza orientativa ai
22
giovani destinatari del programma finanziato con i fondi del POR Sicilia
2000-2006.
Nel
paragrafo
3.6
del
formulario
di
presentazione
(campo
MODALITA’) veniva soltanto specificato che le attività di consulenza e
orientamento sarebbero state erogate presso le strutture degli Sportelli
multifunzionali dislocati sul territorio regionale, con il supporto di
operatori specializzati che “…andranno, quindi, ad integrare il personale
già in funzione presso gli Sportelli Multifunzionali svolgendo analoghe
mansioni ma con specifico riguardo all’istituto dell’apprendistato” (negli
stessi termini, cfr. il par.3.8 del formulario).
Ad avviso del P.M., la circostanza che l’apporto lavorativo delle
eventuali nuove unità da reclutare fosse destinato ad accrescere le
potenzialità di assistenza e orientamento delle strutture già esistenti nel
territorio regionale renderebbe ingiustificata (soprattutto in mancanza di
espressa previsione progettuale) la scelta di assumere un così alto numero
di operatori da inserire negli Sportelli multifunzionali con contratti a
tempo determinato della durata di 13 mesi, pari alla scadenza delle
attività progettuali (inizialmente prevista per 6 mesi), per una spesa di €
8.969.649,00, nonché di altro personale da adibire a mansioni
organizzative e/o di segreteria presso il C.I.A.P.I., con contratti di lavoro
di tipo para-subordinato per un ulteriore costo di € 798.076,79 (con un
importo totale di spesa per il personale di € 9.767.725,79).
Inoltre, secondo il P.M., ad avvalorare la tesi dell’inutilità di
provvedere alla considerevole dotazione organica di cui è stata contestata
la legittimità, non essendo stata organizzata alcuna nuova struttura cui
23
destinare il personale da assumere, concorrerebbe la circostanza che
(come precisato a pag.19 del progetto) gli operatori avrebbero reso la
loro
attività
professionale
di
consulenza
con
prestazioni
che
“corrisponderanno ai servizi normalmente erogati dagli Sportelli
Multifunzionali…”.
Evidenzia il P.M. che, d’altra parte, dell’importanza dell’attività svolta
dagli Sportelli multifunzionali ai fini della realizzazione del progetto era
consapevole lo stesso Comitato Tecnico Scientifico che, nella seduta del
16 ottobre 2007, deliberava “…di mantenere il personale già in servizio
presso gli stessi (Sportelli multifunzionali), nella sede ove opera
attualmente. Per quanto riguarda coloro che non prestano attualmente
servizio presso gli sportelli, gli stessi saranno aggregati e distribuiti
presso gli sportelli già esistenti dell’ANFE, CEFOP e IAL.”
Sotto diverso profilo, sottolinea sempre il P.M., laddove nell’economia
del progetto dovesse ritenersi in astratto ammissibile il reclutamento dei
nuovi 277 operatori specializzati, si rileva che le modalità di assunzione
– sia inizialmente che nelle successive procedure di rimodulazione del
progetto – sarebbero comunque viziate da illegittimità.
Infatti, tenuto conto della natura di ente strumentale della Regione
siciliana attribuita al C.I.A.P.I. di Palermo, rientrante tra gli “organismi
di diritto pubblico” secondo i principi introdotti dalla disciplina
comunitaria in materia di affidamento in house providing (cfr., tra le altre
fonti, la direttiva comunitaria 31 marzo 2004 n.18), risulterebbe violata la
normativa
che
disciplina
l’assunzione
del
personale
nelle
amministrazioni pubbliche, e segnatamente il decreto legislativo 30
24
marzo 2001 n.165 che, all’art.35 (“Reclutamento del personale”), che
prescrive l’obbligo di ricorrere alle assunzioni “tramite procedure
selettive … volte all’accertamento della professionalità richiesta”
attraverso un procedimento finalizzato ad assicurare “adeguata pubblicità
e modalità di svolgimento che garantiscano l’imparzialità” mediante la
“adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti”.
Al contrario, stigmatizza il P.M., per il reclutamento del personale:
- l’ente attuatore si è limitato a pubblicare sul suo sito web, in data 5
luglio 2007, un bando di selezione senza data certa;
- l’avviso è stato pubblicato sino al 15 luglio 2007, data di scadenza per
la presentazione della domanda, escludendo – a tal fine – la rilevanza
della data del timbro postale di spedizione della domanda (come
ordinariamente previsto in tutte le procedure concorsuali e selettive);
- non risulta che sia stato dato adeguato rilievo al bando di selezione;
- nell’avviso pubblicato sul sito “ciapipa.it” il 5 luglio 2007 non sono
stati indicati criteri selettivi che avrebbero condizionato gli esiti della
medesima selezione;
- gli unici requisiti richiesti per l’assunzione, risultanti dai verbali di
riunione del C.T.S., sono stati il rispetto dei ristretti termini per
presentare la domanda e avere già avuto rapporti di lavoro con l’ente, con
la conseguenza che alcuni operatori assunti, lungi dall’essere specialisti
nel campo dell’apprendistato, non avevano maturato alcuna esperienza né
erano in possesso di qualificazione professionale attinente alla materia
(come espressamente affermato dal Direttore del progetto nella seduta del
C.T.S. del 18 dicembre 2007).
25
Secondo il P.M., la mancata previsione e valorizzazione, fra i criteri di
scelta del personale, del possesso del requisito della specializzazione
degli operatori da assumere (esperienza e qualificazione professionale in
materia di apprendistato) determina un rilevante vulnus dei procedimenti
di selezione, di cui era evidente sussistenza e consapevolezza da parte
del C.T.S. (come dimostrano le controdeduzioni al rapporto finale
dell’OLAF, prodotte in data 4 novembre 2011 dal C.I.A.P.I. e riversate
nel fascicolo agli aff. 1009/1043), colpevolmente non corretto nelle fasi
di attuazione del progetto CO.OR.AP.
Peraltro, a conferma della negligenza contestata, il P.M. ritiene
contraddittorio che, per rispondere alla necessità di “integrare” gli
Sportelli Multifunzionali con lavoratori che dovevano prestare la loro
attività “…con specifico riguardo all’istituto dell’apprendistato” (cfr. i
paragrafi 3.6 e 3.28 del formulario, prima richiamati), si sia proceduto ad
assumere soggetti privi di specifica qualificazione nel settore
dell’apprendistato, perseguendo così il risultato di aumentare a dismisura
l’organico degli operatori, a discapito della qualità del servizio offerto.
Assumerebbe, inoltre, rilievo la circostanza che il Comitato Tecnico
Scientifico del progetto abbia determinato i criteri selettivi per scegliere
gli operatori soltanto nella seduta del 12 settembre 2007 (cioè
successivamente alla pubblicazione del bando); individuazione che è
avvenuta sulla base delle indicazioni scaturite dal “tavolo di
concertazione” tenutosi il 22 agosto 2007 tra i rappresentanti della
Regione siciliana, del C.I.A.P.I. di Palermo, degli enti che operano
nell’ambito del PROF e delle organizzazioni sindacali di categoria, senza
26
che in fase di esecuzione del progetto non sia stata neppure valutata la
necessità di apportare dei correttivi per garantire la validità dei contenuti
delle attività progettuali e, conseguentemente, il raggiungimento dei
risultati prefissati.
Per quanto riguarda il secondo profilo, quello, cioè, dell’irregolare
espletamento delle procedure per la fornitura di beni e servizi, il P.M. ha
evidenziato che, con nota prot. n.5156 in data 12 dicembre 2012,
indirizzata all’OLAF, l’Agenzia Regionale per l’Impiego ha comunicato
che “…non erano state esperite gare d’appalto ad evidenza pubblica
nell’ambito del progetto”.
Dai successivi accertamenti è risultato che, per realizzare il piano
finanziario
B3)
“Promozione,
sensibilizzazione,
informazione,
diffusione”, sono stati spesi euro 3.794.856,29 senza effettuare
preventivamente indagini di mercato ed espletare gare di evidenza
pubblica.
Ad avviso del P.M., l’ente attuatore non poteva affidare in via diretta le
forniture anche nelle ipotesi in cui il loro importo era inferiore alla soglia
fissata dalla direttiva 2004/18/CE (euro 211.000,00), in quanto durante
l’esecuzione del progetto l’affidamento è stato più volte reiterato con gli
stessi concessionari superando il limite previsto dalla disciplina
comunitaria,
come
nell’ipotesi
dei
fornitori
“SC
Strategie
di
comunicazione” di Messina Pietro, “FMR group 007 s.r.l.”, “Damir
Pubblicità s.r.l.”, “Alessi S.p.A.” e “Simeto Docks s.r.l.”.
Inoltre,
il
“Piano
di
Comunicazione
e
diffusione
media”,
(sbrigativamente) approvato dal C.T.S. nella seduta del 27 novembre
27
2007, senza che risultasse dal relativo verbale alcuna motivazione in
ordine alle procedure da seguire e alle ragioni di una decisione senza
alcun contraddittorio o discussione sulle scelte da adottare per impiegare
le notevoli risorse destinate ai costi del piano, prevedeva al paragrafo 11
l’affidamento diretto alle ditte concessionarie in esclusiva dei mezzi di
comunicazione, ai sensi dell’art.57 comma 2 lettera b del decreto
legislativo n.163 del 2006, mediante consultazione con i fornitori dei
beni e i prestatori di servizi e negoziazione dei termini del contratto con
uno o più di essi, a seguito delle quali doveva svolgersi la contrattazione
(sia oralmente che per iscritto); infine, con la formulazione di
controproposte e trattative doveva essere definito il contenuto del
rapporto contrattuale, che doveva essere accettato dalle parti per iscritto.
Sul punto il P.M. ha osservato che:
- il carattere assolutamente eccezionale delle ipotesi di aggiudicazione
mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di
gara giustifica la previsione, nel citato disposto normativo, di una
“adeguata motivazione nella delibera o determina a contrarre” che, non si
riscontrerebbe nella determinazione di approvazione del piano da parte
del C.T.S. in data 27 novembre 2007, né risulterebbero specificamente
adottate delibere o determinazioni a contrarre;
- non esisterebbero ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti
alla tutela di diritti esclusivi che potessero consentire l’affidamento
unicamente ad un operatore economico determinato, come previsto
dall’art.57 del codice dei contratti;
- non sarebbe stata riscontrata traccia di alcuna negoziazione, risultando
28
soltanto (ed in alcuni casi) generici contatti con i concessionari (cfr.
“01.10.09 Annex 9” in produzione OLAF);
- sarebbe assolutamente incomprensibile che per l’esecuzione del piano
siano stati reclutati diversi consulenti (tra cui due Account supervisors,
tre Account executives, cinque Buyers, un Esperto di marketing e due
Esperti/consulenti di comunicazione), tenuto conto della scelta di
affidamento diretto dei servizi di comunicazione e dell’accertata
mancanza di qualsiasi forma di negoziazione, con ulteriori costi per euro
364.400,00 (cfr. “30.09.09 Annex 2” in produzione OLAF);
- il Piano di Comunicazione e Diffusione Media approvato dal C.T.S.
non esprimerebbe indicazioni sui costi, mentre il piano finanziario
prevedeva in € 1.965.000,00 (importo così definito a seguito della prima
rimodulazione) le spese relative al primo semestre indicate con il codice
B3 (cfr. “02.10.09 Annex 4b” e “02.10.09 Annex 4c” in produzione
OLAF), somma che a seguito delle successive e generiche rimodulazioni
finanziarie è stata maggiorata di € 1.829.856,29 (arrivando alla somma
totale di € 3.794.856,29), destinate a spese ulteriori rispetto a quelle
inizialmente previste, per cui gli ordini ad esclusivisti successivi al primo
semestre, disposti in assenza di alcuna pianificazione, risultano
assolutamente arbitrari.
D’altra parte, sostiene il P.M., la mancata rispondenza tra la gestione
delle spese per l’esecuzione del piano di comunicazione e le finalità del
progetto risulterebbe dimostrata dalla sconnessione riscontrata tra
l’azione d’informazione attraverso i media e l’attività svolta presso gli
Sportelli multifunzionali, tenuto conto che mentre l’ultimo giorno di
29
attività degli Sportelli è stato il 13 dicembre 2008 (cfr. “02.10.09 Annex
6.10” e “29.09.09 Annex 18” in produzione OLAF), in data 20 febbraio
2009 è stato conferito l’incarico professionale di buyer a Craparotta
Daniela per un compenso di euro 15.000,00 (cfr. “30.09.09 Annex 2” in
produzione OLAF), mentre nel corso dello stesso anno 2009 è stata spesa
in pubblicità la somma di euro 487.414,08 (cfr. fatture elencate nei
documenti “01.10.09 Annex 9” e seguenti, in produzione OLAF).
In ordine al terzo profilo, quello, cioè, dell’illegittimità degli incarichi
di consulenza e dei contratti di lavoro a progetto e lavoro occasionale, il
P.M. ha evidenziato come nell’ambito del progetto CO.OR.AP. fossero
stati conferiti incarichi di consulenza esterna e sottoscritti contratti di
lavoro a progetto e lavoro occasionale per un costo complessivo di euro
1.265.032,00, al netto dell’IVA.
Con riguardo alla nomina di consulenti esterni mediante incarico
professionale, il C.T.S. ha proceduto all’individuazione dei consulenti
nelle sedute del 7 agosto, 3 ottobre e 11 dicembre 2007, nonché del 12
maggio e 22 settembre 2008, senza procedere ad alcun esame
comparativo né motivare la scelta sulla base dei requisiti professionali
posseduti dall’incaricato, richiamando soltanto i curricula degli
interessati, che peraltro gli investigatori OLAF non hanno riscontrato
allegati ai verbali delle sedute (nonostante la loro espressa menzione).
Peraltro, sottolinea il P.M., gli elenchi dei curricula vitae acquisiti
presso l’ente (cfr. “02.10.09 Annex 9a e Annex 9b” in produzione
OLAF) non contenevano informazioni specifiche sulla professionalità dei
numerosi consulenti da nominare, consistendo in meri elenchi alfabetici
30
con dati anagrafici e titolo di studio (diploma di laurea o di scuola
secondaria superiore) dei professionisti.
A conferma dell’irregolare e incontrollata gestione delle nomine,
sarebbe risultato che per cinque consulenti non sarebbe stata adottata
alcuna procedura di nomina, essendosi il C.T.S., nella seduta del 3
ottobre 2007, limitato a ratificare gli incarichi già precedentemente
assegnati (secondo il rapporto OLAF, con provvedimenti del Presidente
del C.I.A.P.I. in data 3 settembre 2007).
Inoltre, molte figure di professionisti incaricati non sarebbero state
neanche previste in progetto, quali l’addetto alla segreteria, l’addetto alla
newsletter, il consulente di comunicazione, l’esperto amministrativo,
l’esperto di comunicazione, l’esperto contabile gestionale, l’esperto
gestione e contabilità, l’esperto di marketing, il progettista.
Per quanto concerne i contratti di lavoro a progetto e lavoro
occasionale, il P.M. ha sottolineato come gli investigatori OLAF abbiano
rilevato nella specie l’illegittima applicazione del D.Lgs. 10 settembre
2003 n.276 (“Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e
mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003 n.30”), in quanto
tale forma negoziale è incompatibile con la natura di ente strumentale
della Regione siciliana, attribuita al C.I.A.P.I., come recita il disposto
dell’art.1 commi 2 e 3 dello stesso decreto n.276/2003, confermato dal
parere dell’Ufficio legislativo e legale della Regione siciliana n.18 in data
18 novembre 2008.
Sotto il profilo soggettivo, il danno erariale oggetto della domanda di
risarcimento,
secondo
il
P.M.
appellante
sarebbe
causalmente
31
riconducibile ad una gestione discutibile e negligente del progetto
CO.OR.AP. da parte del Comitato Tecnico Scientifico, ai cui componenti
esso è integralmente imputabile.
Con riguardo alla funzione attribuita al C.T.S., il P.M. rileva che il
D.D.G n.793/AG/Serv. VI del 19 giugno 2007 di approvazione del
progetto CO.OR.AP. presentato dal C.I.A.P.I. di Palermo ne ha previsto
la costituzione, in adesione alle indicazioni del progetto, con “il compito
di assicurare la coerenza e la validità dei contenuti delle attività
progettuali, garantire la validità delle scelte metodologiche inerenti alle
attività progettuali, assicurare la congruità tra gli obiettivi raggiunti e
quelli prefissati dal progetto”.
A tal proposito il P.M. ha posto in rilievo come nel giudizio di primo
grado, ma ancora prima nella fase preprocessuale e nel contestuale
giudizio cautelare, si sia constatato un punto di contatto tra accusa e
difesa in ordine alla natura del C.T.S., in quanto entrambe le parti hanno
escluso che esso fosse organo della Regione siciliana o del C.I.A.P.I. di
Palermo.
Tale (comune) osservazione è stata oggetto di approfondimento e
valutazione nell’ordinanza n. 270/2013 del Giudice designato, che ha
correttamente individuato la “posizione sostanziale del C.T.S. nel
disegno istituzionale dell’attuazione del progetto…” sulla base dei
riscontri oggettivi offerti dalla Procura regionale.
La mancanza di sostanziale differenza, sotto l’aspetto soggettivo, tra la
Regione Siciliana ed il C.I.A.P.I. di Palermo (rispettivamente, ente
committente ed ente affidatario), determinata dalla indiscussa natura del
32
secondo di ente strumentale della regione, avrebbe consentito il ricorso al
modello organizzativo dell’in house providing per la realizzazione del
progetto CO.OR.AP.
A tal riguardo il P.M. ha richiamato la giurisprudenza comunitaria la
quale, al fine di disciplinare l’affidamento di forniture e servizi pubblici
senza l’applicazione di procedure di evidenza pubblica, ha elaborato dal
1999 l’istituto dell’in house providing, che rappresenta una deroga alle
regole del diritto comunitario (ispirato ai principi di libera concorrenza,
non discriminazione e trasparenza), consentita dalla mancanza di un
rapporto di intersoggettività tra ente affidante ed ente affidatario.
E’, però, necessario, sottolinea il P.M., un preventivo e rigoroso
accertamento circa la sussistenza dei requisiti che caratterizzano l’ente in
house, per ricorrere a tale forma di affidamento:
-
l’amministrazione aggiudicatrice deve esercitare un livello di
controllo, definito analogo perché corrispondente a quello
esercitato dall’ente sui propri servizi, “equivalente, ai fini degli
effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica” (cfr.
circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 19 ottobre
2001 n.12727), così intenso da escludere una sostanziale
distinzione tra i due soggetti;
-
l’attività dell’ente controllato deve essere prevalentemente
destinata in favore dell’ente controllante.
Pertanto, tale modello organizzativo è consentito soltanto perché l’ente
in house non può qualificarsi terzo rispetto all’amministrazione
controllante, di cui rappresenta una sorta di longa manus, pur non
33
costituendo una sua articolazione interna (in tal senso, cfr., Corte di
giustizia dell’Unione europea 6 aprile 2006 proc. n. C-410/04, 19 aprile
2007 proc. n. C-295/05, 10 aprile 2008 proc. n. C-323/07).
Questo aspetto è stato posto in ulteriore rilievo dalla sentenza della
Corte di giustizia dell’Unione europea 11 gennaio 2005 n. C-26/03, dalla
quale si ricava che, pur riconoscendo sostanzialmente all’ente affidatario
la natura di “organismo di diritto pubblico” (figura già elaborata negli
anni ‘90 dal diritto comunitario, individuata dalla menzionata direttiva
comunitaria 31 marzo 2004 n.18 e recepita nel nostro ordinamento), deve
essere escluso il ricorso all’affidamento in house, anche in presenza di
un’influenza pubblica dominante sull’affidatario, nell’ipotesi in cui risulti
una “partecipazione anche minoritaria, di un’impresa privata…”. Infatti,
tale motivo interdice il pieno esercizio del controllo analogo, con ciò
confermando che l’affidatario in house rappresenta una proiezione
organizzativa dell’amministrazione controllante e aggiudicatrice.
Peraltro, per la medesima ragione, il P.M. ha sostenuto che l’ente fosse
da considerarsi sottoposto all’osservanza della disciplina pubblicistica
per l’acquisizione delle risorse necessarie alla realizzazione dell’attività
affidata fiduciariamente dalla P.A.
Sarebbe, pertanto, coerente con l’istituto dell’in house providing
ritenere che il Comitato Tecnico Scientifico, ordinariamente previsto
nella fase di realizzazione dei programmi finanziati nell’ambito del
P.O.R. Sicilia, potesse svolgere per l’ente finanziatore una funzione di
garanzia sulla correttezza della gestione del progetto e sul buon fine del
contributo erogato, tanto da attribuirgli – sia formalmente che
34
sostanzialmente – la funzione di organo di amministrazione del progetto.
Inoltre, il P.M. ha rilevato che nell’ambito di questo sistema di
affidamento, non sarebbe ammissibile introdurre un’attività di controllo
dell’operato dell’ente attuatore da parte della Regione siciliana, essendo
già disciplinate compiutamente – sotto tale profilo – le relazioni tra i due
enti, tenuto soprattutto conto sia del menzionato rapporto di strumentalità
esistente che della composizione del C.T.S., della quale facevano parte il
Presidente del C.I.A.P.I. oltre a due componenti e al direttore del
progetto nominati dal Centro, per sarebbe irrazionale, e altamente
improbabile, prevedere un organismo di controllo caratterizzato dalla
parziale identità soggettiva tra controllore e controllato.
Con specifico riguardo, poi, alla posizione dell’appellato Gaspare Carlo
LO NIGRO, il P.M. ritiene dimostrata la sussistenza di un collegamento
causale tra l’evento dannoso e l’attività amministrativa posta in essere dal
Dirigente Generale dell’Agenzia Regionale per l’Impiego e la
Formazione Professionale, il quale avrebbe inciso in modo determinante
sull’intera vita del progetto CO.OR.AP. (dalla sua approvazione e dal suo
finanziamento ai reiterati rifinanziamenti a richiesta dell’ente attuatore).
Quanto all’accoglimento dell’eccezione di prescrizione da parte del
Giudice di primo grado, il P.M., sostiene che il Collegio di prime cure
avrebbe errato nel ritenere che il termine di prescrizione debba farsi
decorrere da ogni singola erogazione.
Per il P.M., il giudice di primo grado non avrebbe adeguatamente dato
rilievo alla opposta argomentazione, espressa in dibattimento dal
pubblico ministero, per cui l’esordio della prescrizione coinciderebbe con
35
la data di presentazione del rendiconto delle spese sostenute per
l’attuazione del progetto, esaminato dal servizio Rendicontazione del
Dipartimento regionale Formazione Professionale (verbale del 3 luglio
2009) a conclusione dell’attività di formazione.
Osserva il P.M., infatti, che alle diverse fasi di realizzazione del
progetto CO.OR.AP e alle corrispondenti erogazioni di quote del
contributo pubblico non può essere riconosciuto un grado di autonomia
tale da svincolarle dalla loro finalizzazione alla realizzazione del
programma finanziato dal P.O.R. Sicilia 2000/2006, per cui è soltanto
dalla definizione (vera o dichiarata) dell’intera iniziativa che possono
essere contestate irregolarità delle spese sostenute ed eventualmente
formulata la richiesta di restituzione dei finanziamenti indebitamente
percepiti.
Con riguardo al merito, ad avviso del P.M., le motivazioni della
sentenza impugnata sarebbero caratterizzate da grave contraddittorietà,
determinata dall’insufficiente e inadeguata valutazione delle fonti di
prova prodotte al fascicolo del giudizio.
Anzitutto, l’appellante osserva come induca profonde perplessità la
circostanza che il giudice di primo grado abbia riduttivamente motivato
la pronuncia di assoluzione facendo riferimento alle “facili superficiali
suggestioni” cui sarebbe incorso l’attore pubblico, tralasciando di
valorizzare le prove fornite in ordine agli scopi e ai risultati del progetto
CO.OR.AP., che pure erano stati oggetto di attenta analisi nel parallelo
procedimento cautelare da parte del giudice designato della stessa
Sezione (cfr. ord. n.270/2013), e pertanto – come aveva operato il giudice
36
della cautela – erano facilmente riscontrabili in atti e valutabili, anche in
senso critico.
Infatti, con riguardo al ruolo del Comitato Tecnico Scientifico, il P.M.
lamenta il sostanziale appiattimento del primo giudice alle tesi difensive
degli odierni appellati, che limitano la funzione dell’organo alla
formulazione di pareri sulle modalità di esecuzione del progetto
CO.OR.AP., contraddetto dal contenuto dell’attività ad esso demandata,
in quanto nella fase successiva al suo insediamento (avvenuto in data 7
agosto 2007) il C.T.S. ha provveduto ad approvare gli atti più
significativi per la realizzazione del progetto, autorizzando tutte le
attività progettuali comportanti disposizioni di spesa.
Nell’espletamento di tale funzione il Comitato, che secondo il P.M.
avrebbe rappresentato il vero organo di gestione de facto del progetto,
avrebbe operato soltanto delle valutazioni generiche e sommarie sulla
rispondenza di quanto approvato alle prescrizioni progettuali e alle
finalità da perseguire, come sarebbe ampiamente dimostrato dal
contenuto delle determinazioni assunte nelle sedute dell’organo.
Il P.M. evidenzia come l’attribuzione di qualificati poteri gestionali al
C.T.S., peraltro, sarebbe stata non solo determinata dalla previsione della
sua costituzione e funzione nel progetto CO.OR.AP. e nel decreto di
approvazione n.793/2007, ma anche disciplinata dal Regolamento
approvato il 5 settembre 2007, che ne ha delineato compiti e attività.
Ne consegue che, ad avviso dell’appellante, andrebbe ribaltata l’ipotesi
di assegnare all’ente attuatore C.I.A.P.I. di Palermo la funzione della
gestione del progetto e al C.T.S. il compito di fornire agli amministratori
37
“…solo indicazioni di carattere generale senza nulla concretamente
disporre anche relativamente ad assunzioni, modalità di utilizzo di risorse
finanziarie e scelta di contraenti…” quale “…articolazione organizzativa
interna al progetto…” (come prospettato dai convenuti ed acriticamente
recepito dal primo giudice).
La Procura appellante ribadisce che la corposa documentazione
acquisita al fascicolo del giudizio dimostrerebbe che al Comitato Tecnico
Scientifico è stata attribuita la funzione di esprimere discrezionalmente le
scelte gestionali necessarie per la realizzazione del progetto, riguardo le
quali il C.I.A.P.I. (amministratori e struttura burocratica, nelle rispettive
competenze) si poneva in funzione di esecuzione delle valutazioni
dell’organo di gestione.
In tal senso, sarebbe chiara la deliberazione del CdA del C.I.A.P.I.
n.106 in data 21 settembre 2006, che – con riguardo alla “procedura per
l’utilizzazione, nell’ambito dei progetti, di collaborazioni esterne e
prestazioni professionali” – pone proprio il C.T.S. al vertice della catena
decisionale, attribuendogli il potere di procedere “…se lo riterrà
opportuno, alla ratifica, totale o parziale, della proposta” del Direttore del
progetto e delegando la predisposizione degli atti consequenziali al
C.I.A.P.I. e la loro sottoscrizione al legale rappresentante dell’ente (cfr.
aff. 1195/1197).
D’altra parte, secondo il P.M., la circostanza che i componenti del
C.T.S. non svolgessero di fatto la funzione loro attribuita, e che la
violazione dei doveri discendenti dal mandato assegnato non è stata
determinata da eventi o situazioni eccezionali (tanto da essere reiterata
38
per tutta la durata del progetto, senza soluzione di continuità), tesi
sostenuta da alcuni convenuti e non ritenuta meritevole di attenzione dal
giudice di primo grado, contribuirebbe a qualificare come negligente la
loro attività, contrariamente a quanto ritenuto da alcuni di essi, per i quali
costituirebbe un elemento esimente della loro responsabilità l’avere
aderito a scelte effettuate da altri soggetti.
Sotto tale profilo, secondo il P.M., sarebbe significativo che alcuni
appellati abbiano:
- riconosciuto al Presidente Riggio l’esercizio di un “effettivo potere
decisionale… (che) …non concedeva ai componenti del Comitato alcuna
possibilità di sostanziale replica critica nei confronti degli argomenti
sottoposti al Comitato stesso…”;
- affermato, con riguardo all’assunzione degli operatori, che il C.T.S.
non avesse avuto “…voce in capitolo né sui criteri di selezione dei
curricula, né sulla valutazione delle istanze pervenute”, pur rientrando “in
astratto” tale funzione tra i compiti del Comitato;
- rilevato che, per quanto concerne la scelta dei consulenti e il ricorso ai
contratti di lavoro a progetto “…il C.T.S. ha sempre e soltanto avallato le
scelte effettuate da altri”.
Peraltro, secondo il P.M., anche a volere ritenere che al C.T.S. non
fossero formalmente attribuiti compiti di amministrazione del progetto
CO.OR.AP. (valutazione non condivisa dal P.M.), va rilevato come non
possa revocarsi in dubbio che l’esercizio di fatto di funzioni gestionali da
parte dei suoi componenti – concretate nelle determinazioni assunte nelle
richiamate sedute dell’organo – determinerebbe comunque la sussistenza
39
della responsabilità amministrativa in capo ai convenuti.
Né sarebbe comprensibile come “l’ausiliarità dell’organo rispetto al
(preteso) ruolo gestorio che aveva l’organo attuatore del programma…”
(cfr. pag.60 della sentenza impugnata) possa trasparire “…anche dalla
sua articolata composizione”, che al contrario sarebbe soltanto
strumentale all’esercizio diretto di verifica da parte dell’ente finanziatore.
Anche per tale motivo, ad avviso del P.M., avrebbe costituito un grave
errore di giudizio qualificare come “…decisiva … la constatazione del
ruolo che il medesimo (C.T.S.) era chiamato a svolgere all’interno del
CIAPI” (cfr. pagg. 58/59 della sentenza impugnata), tenuto altresì conto
della contraddittorietà cui è incorso il primo giudice sulla natura di
organo ausiliario del C.T.S., in sede di esame dell’eccezione di
giurisdizione sollevata dai convenuti (cfr. pagg. 44/45 della sentenza
impugnata).
Inoltre, le statuizioni di merito della sentenza impugnata, che ha
ricondotto nell’alveo delle scelte discrezionali i comportamenti gestionali
contestati dalla Procura regionale, sarebbero palesemente inconciliabili
con alcune saltuarie, ma inequivocabili, considerazioni in ordine a
“fortemente
anomale
…
scelte
gestionali”
e
alla
“…struttura
dell’iniziativa nel suo complesso, realizzata ricorrendo ad onerosissime
soluzioni operative connotate da singolari peculiarità e provviste di
un’attitudine a produrre utilità difficilmente apprezzabili in termini
obiettivi” (cfr. pag.56 della sentenza impugnata), nonché alla previsione
di una duplicazione dei servizi forniti dagli sportelli multifunzionali e
dagli uffici del lavoro, che “…è più che una naturale percezione
40
dell’osservatore obiettivo” (cfr. pag.62 della sentenza impugnata).
Con specifico riferimento alla posizione del LO NIGRO, il P.M. ha
confermato le imputazioni di responsabilità formulate con l’atto
introduttivo del giudizio a carico dell’appellato, il quale avrebbe
negligentemente omesso un’attenta verifica sul contenuto e sulle reali
potenzialità del progetto CO.OR.AP., sia nella fase propedeutica alla sua
approvazione che nella successiva adozione dei tre provvedimenti di
integrazione del contributo concesso al C.I.A.P.I. di Palermo.
Con riguardo al D.D.G. n.793 del 19 giugno 2007, il contenuto del
progetto non sarebbe stato oggetto di approfondimento e adeguata
valutazione, dovendosi già in quella sede esprimere notevoli perplessità
sulla necessità di un progetto che “offriva” una duplicazione delle
prestazioni già erogate dagli Uffici provinciali del lavoro e dagli Sportelli
multifunzionali, circostanza indicata con chiarezza alla pag.19 del
progetto medesimo.
Per quanto concerne i decreti d’integrazione del contributo, il Dirigente
Generale sarebbe responsabile di avere creato prima i presupposti per le
rimodulazioni
(non
solo)
finanziarie
del
progetto
CO.OR.AP.,
prospettando all’organo politico la necessità del prolungamento e del
rifinanziamento delle attività progettuali per i primi due provvedimenti
d’integrazione (nn. 357 e 667 del 2008), e decidendo in assoluta
autonomia l’adozione del terzo decreto (n.714/2008), senza richiedere
specifiche superiori indicazioni o disposizioni (ciò a conferma
dell’inutilità dell’avviso dell’assessore del Lavoro richiesto per
l’adozione dei primi due decreti dirigenziali).
41
Con riguardo alle quote di danno singolarmente attribuibili agli
appellati, nel confermare le imputazioni di cui all’atto di citazione, il
P.M. ribadisce le richieste di condanna già formulate, addebitando a nove
dei componenti del Comitato Tecnico Scientifico, con esclusione di
RIGGIO e BONGIORNO, un importo pari al 45% dell’intero danno
oggetto della domanda di risarcimento, suddiviso in otto quote di euro
854.626,65
ciascuna
di
cui
sette
imputate
ai
sigg.
AVILA,
BONADONNA, CANDELA, CONTI, NATOLI, TESTAGROSSA e
GATTUSO, e una ripartita in parti uguali tra i sigg. GENTILE e
SCHEMBRI, che si sono succeduti nella carica.
Sul punto, il P.M. ritiene che l’arco temporale durante il quale i
convenuti hanno partecipato alle sedute del Comitato costituisca un
criterio concreto di riferimento per formulare le singole contestazioni di
responsabilità e le consequenziali imputazioni di danno, precisando che
le deliberazioni del C.T.S. hanno costituito il presupposto per le
successive scelte gestionali dell’organo, mai messe in discussione nel
prosieguo della sua attività (anche in diversa composizione).
Con riguardo al presidente RIGGIO, rileva il P.M. che lo stesso, nella
qualità di presidente del CdA del C.I.A.P.I. di Palermo (motivo per il
quale gli è stata attribuita la carica di presidente del Comitato), avrebbe
rivestito nell’ambito del Comitato un ruolo di assoluto dominus, avendo
sempre avuto approfondita conoscenza del progetto, per cui più degli altri
componenti poteva riscontrare le anomalie di esecuzione e la mancata
rispondenza dell’attività agli obiettivi e alle finalità del progetto
medesimo.
42
La prevalente posizione di responsabile attribuita al presidente
discenderebbe, in particolare, dalla circostanza che l’appellato avrebbe
condizionato diverse scelte operative gestendo personalmente alcune
delicate fasi del progetto in qualità di rappresentante legale dell’ente
attuatore, assumendo determinazioni recepite acriticamente dal C.T.S.,
per la cui esecuzione sono stati disposti costi che, altrimenti, non
sarebbero stati sopportati.
Per tali motivi, il P.M. reputa corretto addebitare al predetto appellato
una quota di danno pari al 35% per cento dell’intero danno contestato.
Sempre all’interno del Comitato, assumerebbe più rilievo rispetto agli
altri nove componenti il Direttore del progetto BONGIORNO il quale,
per la maggiore consapevolezza delle attività progettuali in fase di
concreta attuazione, avrebbe potuto (e dovuto) intervenire più
efficacemente per riportare la gestione del progetto nei canali della
legittimità, al fine di non determinare lo sperpero delle pubbliche risorse,
poi verificatosi.
Al fine di individuare gli obblighi esistenti in capo al BONGIORNO e
la correlativa responsabilità, rammenta il P.M. che il paragrafo 3.28 del
formulario di presentazione precisa che il Direttore del progetto “…è
responsabile a livello generale della realizzazione delle attività previste
dal progetto …. gestisce le varie azioni, coordina e sincronizza le diverse
fasi di sviluppo, verifica che le attività si svolgano nel rigoroso rispetto
della legislazione vigente, dei regolamenti comunitari, del progetto e del
piano finanziario…”, assegnandogli un ruolo di verifica della corretta
gestione dell’attività progettuale, della regolarità contabile e della
43
congruità nel merito di tutte le scelte poste in essere per la realizzazione
del progetto; obblighi coincidenti con l’Azione EM del progetto, la cui
esecuzione da parte del Direttore del progetto è stata oggetto del contratto
di lavoro sottoscritto in data 31 ottobre 2007 con il C.I.A.P.I. di Palermo.
La maggiore incidenza causale nella produzione del danno delle
violazioni imputate al sig. BONGIORNO rispetto alle attività poste in
essere dagli altri componenti del C.T.S. motiva adeguatamente la
formulazione di una domanda di condanna per un importo superiore a
quello richiesto a carico degli convenuti, pari al 10% dell’intero danno
contestato.
Nei confronti del dirigente LO NIGRO la richiesta di condanna del
P.M. è stata confermata pari al restante 10% dell’intero importo del
danno, corrispondente all’apporto causale attribuito al convenuto per il
verificarsi dell’evento dannoso.
Conclusivamente, il P.M. ha chiesto la riforma della sentenza
impugnata e, per l’effetto:
- dichiarare non prescritta l’azione nei confronti di GENTILE Luigi,
con conseguente rinvio al giudice di primo grado per la pronuncia nel
merito, limitatamente alla posizione del predetto convenuto e per la quota
addebitata di euro 427.313,33;
- condannare i restanti convenuti al risarcimento del danno, in favore
della Regione siciliana, quantificato nella complessiva somma di euro
14.766.049,41 (risultante dall’intero danno depurato della quota attribuita
al GENTILE), come ripartita nell’atto di appello, oltre rivalutazione,
interessi legali e spese dei due gradi di giudizio.
44
Gli appellati si sono costituiti tutti in giudizio, ad eccezione di NATOLI
che, sebbene ritualmente evocato dal P.M. è rimasto contumace.
BONADONNA Giuseppe e CANDELA Rosario si sono costituiti in
giudizio rappresentati e difesi dagli avv.ti Daniela Pibiri e Giuseppe
Cozzo e, oltre a presentare un’istanza di sospensione del presente
giudizio in attesa della definizione di quello penale relativo ai medesimi
fatti – rigettata in udienza con ordinanza a verbale – hanno dedotto ed
osservato:
1) il difetto di giurisdizione della Corte dei conti;
2) la presunta inadeguatezza del progetto non potrebbe essere in alcun
modo addebitata al C.T.S., il quale non è in alcun modo
intervenuta nella sua fase progettuale;
3) in ogni caso la spesa non potrebbe essere qualificata inutile sol
perché l’entità del finanziamento non giustificherebbe i risultati di
avviamento all’apprendistato di 1.500 giovani disoccupati e la
successiva assunzione di 600 unità, trattandosi di spesa finalizzata
solo semplice orientamento professionale, senza necessariamente
determinare un aumento dell’occupazione, nell’ambito del POR
Sicilia 2000-2006;
4) comunque, i risultati raggiunti dal progetto sarebbero stati di ben
maggiori a quelli prospettati dal P.M., come risulterebbe da un
elenco depositato nel presente grado di giudizio, dal quale si
evincerebbe che il numero dei giovani titolari di contratto di
apprendistato professionalizzante contrattualizzati da aziende
avente
sede
nella
Regione
Siciliana
sarebbero
stati
45
complessivamente
n.
1.616
e,
quindi,
di
più
di
quelli
originariamente previsti dal progetto medesimo;
5)
la quasi totalità delle somme per il finanziamento del progetto
sono state esitate positivamente in sede di rendicontazione, ad
eccezione di € 2.088,01;
6) per affermare la sussistenza del danno erariale occorrerebbe
dimostrare che, a fronte delle violazioni lamentate dal P.M., se non
ci fossero state tali violazioni il risultato prefissato sarebbe stato
raggiunto;
7) il C.T.S. non aveva e non ha mai svolto funzioni gestorie del
progetto né, tantomeno, di c.d. controllo analogo per conto della
Regione;
8) non risponderebbe a diritto l’affermazione del P.M. secondo il
quale il CIAPI – associazione privata - avrebbe dovuto rispettare le
norme pubblicistiche per l’assunzione di personale ed il
conferimento di incarichi, nonché per l’acquisizione di servizi e
forniture;
9) l’eventuale obbligo restitutorio graverebbe esclusivamente in capo
al CIAPI nei confronti della Regione e solo in via sussidiaria si
porrebbe a carico degli odierni appellati.
Gli appellati chiedevano, in conclusione ed in via gradata:
a) dichiararsi il difetto di giuridizione del giudice contabile;
b) dichiarare l’assenza di responsabilità amministrativa;
c) restituire gli atti al Giudice di primo grado per l’integrazione del
contraddittorio con la chiamata in causa del CIAPI e dei suoi
46
amministratori, nonché degli amministratori e dirigenti della
Regione che hanno partecipato alla redazione, presentazione,
approvazione e finanziamento del progetto, nonché di tutti i soggetti
che hanno partecipato alle conferenze di servizi del 7 giugno 2007 e
12 giugno 2007 ed al tavolo di concertazione del 22 agosto 2007, e
dei membri degli organi di controllo della Regione e del collegio
dei revisori del CIAPI che non avrebbero correttamente vigilato;
d) rideterminare il danno, diminuendo in misura significativa la
percentuale da porre a carico degli appellati in relazione al concreto
apporto causale della loro condotta e tenendo conto del concorso dei
soggetti sopra indicati, sia che appartengano alla Regione o al
CIAPI, sia che siano estranei a tali enti;
e) esercitare con maggiore ampiezza possibile il potere di riduzione
dell’addebito;
f) dichiarare, in ogni caso, che la loro obbligazione risarcitoria ha
carattere sussidiario rispetto all’obbligazione di restituzione del
CIAPI, nonché rispetto all’obbligazione risarcitoria dei soggetti
sottoposti al procedimento penale e che con dolo abbiano concorso
a determinare il danno;
g) in via istruttoria, disporre l’acquisizione degli atti del procedimento
penale R.G.N.R. n. 14318/2013 – R.G. GIP n. 8247/2013 pendente
innanzi al Tribunale di Palermo.
CONTI Santo ed TESTAGROSSA Enzo Stefano si sono costituiti in
giudizio rappresentati e difesi dagli avv.ti Giovanni Sciagula e Giovanni
Spoto Puleo, i quali hanno dedotto ed osservato:
47
1)
a prescrizione del diritto al risarcimento fatto valere dalla Procura,
nei termini dichiarati dal Giudice di prime cure, contestando la
fondatezza delle argomentazioni del P.M. sviluppate nell’atto di
appello;
2)
l’assenza di ogni competenza gestoria in capo al CTS e, quindi,
l’assenza di ogni responsabilità ad esso riferibile per i fatti di
causa, così come già ritenuto dal Giudice di primo grado;
3)
l’assenza di ogni decisione da parte del CTS in ordine
all’assunzione del personale;
4)
l’assenza di ogni prova relativamente al fatto che la violazione
delle procedure di evidenza pubblica per la fornitura di beni e
servizi sia stata causa di danno erariale;
5)
l’assenza di ogni partecipazione operativa del CTS in ordine
all’affidamento
di
comunicazione
e
diffusione
media
a
concessionari esclusivi, senza svolgere gare ad evidenza pubblica;
6)
l’assenza di ogni responsabilità in capo al CTS in ordine al
mancato raggiungimento degli obiettivi;
7)
l’assenza di colpa grave;
8)
l’assenza di ogni valutazione dell’effettiva utilità di parte del
progetto che, comunque, avrebbe raggiunto alcuni risultati, con
apprezzamento della compensatio lucri cum damno e, anche, la
necessità dell’applicazione del potere riduttivo nella misura di
almeno il 30% sull’intero.
Gli appellati chiedevano, in conclusione ed in via gradata:
a)
il rigetto dell’appello proposto dal P.M. perché infondato e carente
48
dei presupposti di legge;
b) la conferma della sentenza di primo grado con l’accertamento che
nessuna responsabilità è addebitabile ai convenuti sia per
l’intervenuta prescrizione sia per l’assenza di presupposti;
c)
la riduzione della responsabilità degli appellati, alla luce sia
dell’effettivo danno erariale quanto alle effettive conseguenze del
proprio operato e, comunque, l’esercizio del potere riduttivo entro i
termini rassegnati;
d) la condanna dell’Amministrazione al rimborso delle spese legali.
GATTUSO Giangiuseppe si è costituito in giudizio rappresentato e
difeso
dagli
avv.ti
Leonardo
Cucchiara,
Giuseppe
Varisco
e
Massimiliano Valenza ed ha dedotto ed osservato:
1)
la prescrizione del diritto nei termini dichiarati del Giudice di
prime cure ed infondatezza delle argomentazioni del P.M.
contenute nel gravame sul punto;
2)
l’insindacabilità da parte del Giudice, nel merito, dell’utilità del
progetto, rimesse alle discrezionali valutazioni della P.A., nonché,
in ogni caso, assenza di prova del danno effettivo come
conseguenza dell’attività svolta dall’appellato;
3)
l’assenza di funzioni gestorie in capo al CTS;
4)
la previsione, nel piano finanziario – ancorchè, poi, non riportata
nel progetto – dell’assunzione del personale contestata dal P.M. e,
con riferimento alle procedure adottate, assenza di obbligo per il
CIAPI di fare ricorso a procedure di evidenza pubblica (o
paraconcorsuali) per l’assunzione del personale;
49
5)
l’assenza di ogni prova in ordine alla circostanza che la violazione
delle procedure di evidenza pubblica per l’acquisizione di forniture
e servizi abbia provocato un danno per l’erario;
6)
l’assenza di ogni prova in ordine alla circostanza che la violazione
delle procedure di evidenza pubblica per l’approvazione del piano
di comunicazione disposta dal CTS nella seduta del 27 novembre
2011 abbia provocato un danno per l’erario;
L’appellato chiedeva, in conclusione ed in via gradata:
a) dichiararsi improcedibile e/o inammissibile l’appello proposto dal
P.M. per intervenuto decorso del termine di prescrizione;
b) ritenersi infondata e/o inammissibile l’azione proposta dal P.M. e,
per l’effetto, respingersi l’appello;
c) riquantificare il danno erariale contestato, tenendo conto delle
responsabilità riferibili ad altri soggetti;
d) applicarsi il potere riduttivo.
AVILA Daniela si è costituita in giudizio rappresentata e difesa
dall’avv. Giovanni Immordino, ed ha dedotto ed osservato:
1)
l’inammissibilità ed infondatezza dell’atto di appello, in relazione
alla dedotta inammissibilità ed infondatezza della citazione per
l’intervenuta prescrizione del presunto credito erariale;
2)
l’inammissibilità ed infondatezza dell’atto di appello, in relazione
alla dedotta infondatezza ed inammissibilità dell’azione di
responsabilità. Insussistenza del danno erariale. Mancanza del
nesso di causalità. Assenza dell’elemento psicologico della colpa
grave;
50
3)
l’insussistenza
della
attualità
del
danno,
in
quanto
l’Amministrazione regionale ha già iscritto a ruolo a carico del
CIAPI di Palermo la somma complessiva di € 15.191.274,73, a
titolo di recupero del danno medesimo;
4)
l’errata individuazione dei presunti responsabili e della quota di
danno erariale ascrivibile.
L’appellata chiedeva, in conclusione:
a)
rigettare l’impugnazione proposta dal P.M. e confermare
integralmente la sentenza impugnata;
b)
emettere ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese ed
ai compensi del doppio grado di giudizio.
BONGIORNO Calogero si è costituito in giudizio rappresentato e
difeso dagli avv.ti Mario Giudice e Fulvio Ingaglio La Vecchia, ed ha
dedotto ed osservato:
1)
la prescrizione del diritto con riferimento ai comportamenti
asseritamente produttivi di danno, anteriori al quinquennio dalla
data di notifica dell’invito a dedurre e di adozione del
provvedimento di sequestro;
2)
la responsabilità delle inutilità della spese come effetto della
istruttoria carente nella pianificazione delle politiche del lavoro;
difetto genetico del presupposto del progetto Co.Or.Ap.;
3)
l’assenza di ogni rilevanza causale nella produzione del danno,
riferibile a comportamenti dell’appellato in fase di esecuzione;
4)
l’abnorme, irragionevole, illogica ed ingiusta ripartizione delle
percentuali di responsabilità con riferimento alla posizione
51
dell’appellato.
L’appellato chiedeva, in conclusione:
a) rigettarsi l’appello del P.M., perché infondati i fatti, non sostenuti
da dolo e/o colpa grave, e comunque prescritti (i fatti) da cui
deriverebbe
gran
parte
dell’asserito
danno,
integralmente
confermando la sentenza n. 325/2015 della Sezione Giurisdizionale
di questa Corte per la Regione Siciliana;
b) emettersi ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese ed ai
compensi di giudizio.
GENTILE Luigi si è costituito in giudizio, rappresentato e difeso
dall’avv. Girolamo Rubino, ed ha dedotto ed osservato:
1)
l’integrale prescrizione del danno erariale dedotto a suo carico in
giudizio, nei termini già dichiarati dal Giudice di prime cure;
2)
la piena conformità dell’esecuzione del progetto ai contenuti del
progetto medesimo;
3)
l’assenza di funzioni gestionali in capo al CTS;
4)
l’assoluta regolarità delle assunzioni di personale e la sua coerenza
con le previsioni progettuali;
5)
l’assoluta regolarità e coerenza del piano di comunicazione con le
previsioni progettuali e con le finalità del progetto medesimo;
6)
la necessità di un diversa ripartizione delle quote di danno e
dell’applicazione del potere riduttivo.
L’appellato chiedeva in conclusione ed in via gradata:
a)
dichiararsi l’appello improcedibile per intervenuta prescrizione del
diritto;
52
b) dichiararsi infondato, nel merito, l‘appello del P.M.;
c)
procedersi ad una diversi ripartizione delle quote di danno con
ulteriore applicazione del potere riduttivo;
d) vittoria di spese legali.
SCHEMBRI Salvatore Federico si è costituito in giudizio rappresentato
e difeso dall’avv. Giuseppe Benedetto ed ha dedotto ed osservato:
1) la prescrizione del danno nei termini già dichiarati dal Giudice di
primo grado;
2) la validità del progetto e regolarità formale e sostanziale
dell’operato del CIAPI; assoluta estraneità del CTS alla gestione
del progetto;
3) la predisposizione del progetto come obbligazione di mezzo e non
di risultato;
4) la legittima assunzione del personale impiegato nel progetto;
5) l’estraneità del CTS ad ogni procedura per la fornitura di benei e
servizi;
6) la previsione progettuale delle figure consulenziali e dei contratti di
lavoro a progetto ed occasionale contestati dal P.M.;
7) l’assenza di ogni funzione di controllo sul progetto in capo al CTS.
L’appellato chiedeva in conclusione:
a) rigettarsi l’appello del P.M.;
b) vittoria di spese legali.
LO NIGRO Gaspare Carlo si è costituito in giudizio rappresentato e
difeso dagli avv.ti Luigi Fortunato e Massimiliano Mangano, ed ha
dedotto ed osservato:
53
1)
la prescrizione del diritto nei termini già dichiarati del giudice di
prime cure;
2)
l’assenza di colpa grave;
3)
l’erronea ed eccessiva quota di danno imputata all’appellato, in
particolare senza tener conto del ruolo svolto dalla conferenza di
servizi del 7 giugno 2007;
4)
l’assenza di prova in ordine al mancato raggiungimento
dell’obiettivo prefissato nel progetto;
5)
l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali.
L’appellato chiedeva in conclusione rigettarsi l’appello in quanto
inammissibile ed infondato.
RIGGIO Francesco si è costituito in giudizio rappresentato e difeso
dall’avv. Alberto Stagno d’Alcontres ed ha dedotto ed osservato:
1) la genericità ed infondatezza dei motivi di appello;
2) l’inammissibilità dell’appello che si limiterebbe a riproporre nella
formulazione letterale le argomentazioni sviluppate nel precedente
grado di giudizio, senza confrontarsi realmente con le motivazioni
della sentenza di primo grado;
3) la prescrizione del danno nei termini già dichiarati dai primi
Giudici;
4) l’assenza delle prospettate irregolarità nel reclutamento del
personale, posto che al CIAPI non può essere riconosciuta la veste
giuridica di ente pubblico;
5) l’assenza delle prospettate irregolarità nell’espletamento delle gare;
6) l’assenza delle prospettate irregolarità nell’assegnazione degli
54
incarichi;
7) la presenza di un obbligo di mezzi, con riferimento alla struttura
progettuale, e non di risultato.
L’appellato chiedeva in conclusione ed in via gradata:
a)
dichiararsi l’appello inammissibile per mancata specificazione dei
motivi;
b)
dichiararsi la prescrizione del diritto per € 3.030.193,05 ed
infondata la pretesa nel resto.
La Procura Generale ha depositato ritualmente proprie memorie
conclusionali con le quali ha contestato le memorie degli appellati ed
insistito per l’accoglimento del gravame.
Alla pubblica udienza di discussione del 17 dicembre 2015 il P.M.,
nella persona del Vice Procuratore Generale Diana Calaciura, ha
confermato la richiesta di accoglimento del gravame e di condanna degli
appellati, mentre i difensori presenti hanno insistito nelle rispettive
domande ed eccezioni di cui agli atti scritti ed hanno, conclusivamente,
chiesto il rigetto dell’appello.
DIRITTO
In via pregiudiziale, e con riferimento alla posizione dei soli
BONADONNA Giuseppe e CANDELA Rosario che hanno riproposto
l’eccezione nel presente grado di giudizio – in presenza di una domanda
a titolo di responsabilità ripartita –, il Collegio deve farsi carico di
verificare la giurisdizione di questa Corte.
Infatti, il difetto di giurisdizione, sebbene possa essere rilevato, anche
d'ufficio, in ogni grado e stato del giudizio, comporta che la facoltà,
55
concessa al giudice, di sollevare la questione di carenza di giurisdizione
trovi un limite nel c.d. "giudicato implicito", con la conseguenza che, se
il giudice di primo grado – come nel caso di specie – ha esaminato e
ritenuto la propria giurisdizione e non vi sia stata alcuna impugnazione
da parte del soggetto legittimato, il giudice di appello non può dichiarare
il difetto di giurisdizione (Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione,
sentenza 24 gennaio 2013, n. 1706).
La giurisdizione di questa Corte, pertanto, deve positivamente
considerarsi coperta da giudicato (implicito) per tutti gli appellati ad
eccezione di BONADONNA Giuseppe e CANDELA Rosario.
La valutazione della sussistenza o meno della giurisdizione per danno
erariale di questa Corte, come ripetutamente affermato dalla stessa Corte
Suprema di Cassazione (cfr. Cass. SS.UU. 11229/2014, 2926/12,
20902/11, 15323/10, 23561/08), va compiuta con riferimento, in
concreto, alla domanda formulata dal P.M. contabile ed al relativo
petitum sostanziale.
Peraltro, qualora il soggetto giuridico fruitore dei fondi pubblici sia un
ente, la responsabilità erariale attinge anche coloro che con l’ente
abbiano intrattenuto un rapporto organico, ove dai comportamenti da loro
tenuti sia derivata la distrazione dei fondi in questione dal fine pubblico
cui erano destinati (Cassaz. civ. Sez. Unite, Sent. 9/1/2013, n. 295 e 19
luglio 2013, n. 17660), e ciò in uno – per quel che qui rileva – con le
molteplici pronunce del Giudice regolatore della giurisdizione (cfr. Cass.
SS.UU. n. 14825 del 2008 e n. 5019 del 2010) che hanno, tra l’altro,
affermato che il soggetto destinatario del contributo concorre alla
56
realizzazione del programma della pubblica amministrazione e, quindi,
«fra la stessa e il beneficiario si instaura un rapporto di servizio, sicchè il
beneficiario assume, ai fini della giurisdizione della Corte dei conti, la
stessa posizione propria di un dipendente o amministratore della pubblica
amministrazione» (così Cass. SS.UU. n. 5019 del 2010).
In ogni caso, nella fattispecie, il P.M. agisce nei confronti di soggetti
(persone fisiche) che ritiene legati da rapporto di servizio con la Regione
Siciliana e che nell’esercizio di tale funzione avrebbero determinato il
danno lamentato.
La circostanza che, in ipotesi, il danno, invece, come sostenuto da parte
degli appellati, dovesse essere richiesto al CIAPI (ente di diritto privato
assegnatario del progetto in questione) e non agli odierni appellati,
costituisce un profilo di merito della fondatezza della domanda che non
impinge certo sulla giurisdizione di questa Corte.
Non appare, pertanto, censurabile in questa sede l’affermazione di
giurisdizione correttamente già formulata dai Giudici di prime cure.
La seconda questione, pregiudiziale di merito, alla quale il Collegio
deve dare soluzione, è quella della prescrizione.
I primi giudici hanno ritenuto che gli accadimenti da prendere in
considerazione per la verifica della tempestività dell’esercizio del diritto
al risarcimento del preteso danno erariale fossero le erogazioni delle
quote dei finanziamenti per l’attività di formazione.
E, tenuto conto del fatto che il prospettato danno è connesso a condotte
gravemente colpose comunque connesse all’impiego di finanziamenti
pubblici operati nel formale rispetto delle procedura di spesa, in linea con
57
la regola generale dell’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione inizia a
decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, secondo i
Giudici di primo grado con i pagamenti si sarebbero manifestati gli effetti
pregiudizievoli sul patrimonio dell’Amministrazione, provvisti dei
caratteri della
certezza, concretezza, attualità ed irreversibilità,
indispensabili connotati che renderebbero promuovibili le iniziative per il
ristoro del pregiudizio erariale.
Gli stessi Giudici hanno ritenuto che l’esordio della prescrizione non
potesse, invece, come sostenuto dalla Procura in udienza, essere spostato
in avanti, al momento di presentazione del rendiconto, a conclusione
dell’attività di formazione, ciò in quanto, sebbene astrattamente
configurabili, non sarebbero state prospettate criticità nelle procedure di
verifica e controllo, rispetto alle quali il rendiconto avrebbe costituito
momento condizionante l’esercizio di poteri di vigilanza, bensì il
censurabile impiego della provvista finanziaria pubblica attraverso
condotte palesi e percepibili in tutta la loro essenza, che hanno
manifestato la loro potenziale lesività del pubblico erario nel corso di
esecuzione.
Considerato che il primo atto cui poteva essere annessa valenza
interruttiva è l’invito a dedurre, notificato a tutti i convenuti tra il 3 ed il
5 luglio 2013, risulterebbe prescritta una consistente porzione
dell’ipotizzato danno, pari ad € 8.675.694,43 cioè quella riferibile ai
seguenti pagamenti:
 nr. 1851 del 20/11/2007, per € 3.524.216,83, relativo al mandato n. 72
del 2/10/2007;
58
 nr. 749 del 19/5/2008, per € 2.114.530,09, relativo al mandato n. 13 del
5/5/2008;
 nr. 975 del 1/7/2008, per € 3.036.947,51, relativo al mandato n. 35 del
18/6/2008.
La prescrizione ha investito parte della pretesa per tutti i soggetti che,
avendo formulato la pertinente eccezione, ne hanno potuto beneficiare;
per GENTILE Luigi, invece, la cessazione dalla carica di membro del
CTS avvenuta il 27/2/2008 preclude, secondo i primi Giudici, la
possibilità di configurare un apporto alla causazione del danno per il
periodo successivo al termine dell’ufficio: poiché il contributo causale
non oltrepassa la soglia temporale del quinquennio antecedente la
notifica dell’invito a dedurre, l’intero danno erariale al medesimo
addebitabile risulterebbe, quindi, prescritto.
Con riferimento alla posizione di tale soggetto, pertanto, il giudizio di
primo grado si è limitato alla dichiarazione di integrale prescrizione del
diritto al risarcimento del danno azionato nei suoi confronti.
Orbene, che nel caso di somme soggette a rendicontazione il relativo
termine prescrizionale cominci a decorrere dalla presentazione del
relativo rendiconto, costituisce principio giurisprudenziale dal quale il
Collegio non ravvisa motivo per doversi discostare (cfr. Corte dei conti,
Sicilia, sentenza n. 498/2015).
Può essere utile, a tal proposito, richiamare gli arresti giurisprudenziali
contenuti nella sentenza n. 2/QM/2003 delle SS.RR. di questa Corte,
ancorchè riferiti alla materia dei lavori pubblici.
I Giudici della nomofilachia hanno ricordato che oggetto tipico
59
dell’azione di responsabilità amministrativo-contabile è accertare se il
danno sofferto da un ente pubblico sia ascrivibile ad un comportamento
illecito di un pubblico dipendente, aspetto che assume particolare rilievo
nelle ipotesi nelle quali il danno venga causato attraverso l’emanazione
di provvedimenti ovvero nell’ambito di un rapporto contrattuale che lega
la pubblica amministrazione ad un privato.
Il momento giuridicamente rilevante per accertare se il comportamento
del soggetto agente sia stato o meno conforme ai doveri d’ufficio è quello
in cui i suoi atti o la sua attività vengono (o debbono venire) sottoposti a
verifica nell’ambito di articolazioni tipiche dell’organizzazione della
pubblica amministrazione o del procedimento amministrativo.
Forme di controllo o di verifica dell’attività dei pubblici amministratori
e dipendenti sono puntualmente previste da norme di organizzazione o da
norme sui vari procedimenti amministrativi (si pensi in particolare al
procedimento dell’evidenza pubblica per i contratti della P.A.) emanate
in attuazione di principi anche di livello costituzionale. In quella sede si
attua la differenziazione tra attività del pubblico dipendente (che viene
sottoposto a verifica) e posizione della P.A. che esercita poteri di
verifica.
Nell’esercizio della funzione di verifica diviene, pertanto, conoscibile
per la P.A., in forza di specifiche norme giuridiche, il comportamento
illecito del soggetto agente.
La prescrizione, pertanto, decorre dal momento in cui è nelle modalità
previste dall’ordinamento conoscibile il comportamento illecito del
soggetto agente salvo che, ovviamente, detto comportamento sia stato
60
comunque anteriormente conosciuto dalla P.A.
Quanto al profilo oggettivo va ricordato che nel campo dei diritti di
credito il termine iniziale della prescrizione coincide con il momento in
cui la prestazione dovuta è esigibile dal creditore. In tal senso la
giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. per tutte n. 1306 del 15
marzo 1989) precisa che il concetto di fatto da cui decorre il termine di
prescrizione non deve considerarsi ristretto all’azione od omissione, ma
deve essere esteso all’evento, la cui certezza ed attualità integra la
responsabilità.
In detti termini va letta la norma di cui ai commi 2 e 2 ter dell’art. 1
della L. n. 20/1994 e successive modificazioni, secondo la quale il diritto
al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni.
Pertanto, sotto il profilo della conoscibilità del fatto causativo del
danno, l’accertamento dialettico del comportamento del soggetto
sottoposto alla giurisdizione di questa Corte può avvenire nella sequenza
procedimentale secondo le articolazioni in essa previste ed in relazione
all’atto o all’attività che si assumono causative del danno e nella cui
adozione o espletamento è stato tenuto il comportamento illecito.
E’ da escludere, quindi, che il solo pagamento di somme possa segnare
l’esordio della prescrizione, qualora l’ordinamento preveda delle forme
di controllo e verifica a conclusione dell’attività, mirate a riscontrarne la
correttezza e legittimità, nonché l’aderenza al fine pubblico per il quale
quelle somme erano state erogate, anche se non può escludersi che, per
fattispecie particolari, la P.A. già in una fase pregressa possa avere
rilevato irregolarità che siano indice di un possibile danno erariale e che,
61
pertanto, già in quella fase, determinino l’esordio del termine
prescrizionale (evenienza che non ricorre nel caso sottoposto all’esame di
questo Giudice).
Le Sezioni Riunite hanno affermato, in conclusione, che in ipotesi di
appalto di opere pubbliche (ma lo stesso principio può e deve valere per
la realizzazione di progetti finanziati con risorse pubbliche e per i quali il
soggetto privato si renda partecipe nell’esercizio della funzione
pubblica), la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui sia
conoscibile o effettivamente conosciuto da parte dell’amministrazione
appaltante (nel caso di specie conferente il progetto ed erogante le
relative risorse finanziarie) il comportamento illecito del soggetto legato
da rapporto di servizio e il danno abbia assunto il carattere della certezza
ed attualità; in ogni caso siffatte condizioni esistono al momento della
conclusione del procedimento di collaudo (nel caso di specie del
procedimento di presentazione e verifica del rendiconto) e salvo che non
si siano verificate anteriormente con conseguenti effetti in ordine
all’esordio della prescrizione.
Tale principio è ampiamente condiviso in giurisprudenza, proprio con
riferimento all’erogazione e successiva rendicontazione dei contributi
provenienti dall’UE (cfr. Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la
Regione Liguria, sentenza 25.5.2015, n. 34), là dove si è affermato che,
ai fini dell’individuazione del dies a quo della prescrizione, non possono
assumere rilievo le date in cui è avvenuta l’erogazione dei contributi,
considerato che fino alla scadenza del termine fissato per la
rendicontazione delle spese effettuate il soggetto potrebbe dimostrare
62
l’avvenuta utilizzazione dei contributi per le finalità prestabilite e, d’altra
parte, prima della scadenza di detto termine, la Regione non avrebbe
potuto diffidare il CIAPI alla presentazione della rendicontazione e non
poteva, quindi, accertare l’inadempimento dello stesso e non poteva
costituirlo in mora (né gli odierni appellati) per la restituzione dei
contributi erogati.
E’ solo dopo la scadenza del termine in questione che la Regione,
soggetto danneggiato, doveva e poteva attivarsi per la verifica degli
adempimenti prescritti dal Bando (rendicontazione inclusa) e per
l’accertamento degli inadempimenti.
In siffatto contesto, poiché la data di conclusione del progetto era
fissata al 31 dicembre 2008, l’azione di responsabilità amministrativa è
stata tempestivamente incardinata, posto che gli inviti a dedurre sono
stati notificati tra il 3 ed il 5 luglio 2013.
La dichiarazione di prescrizione, totale per GENTILE Luigi e parziale
per gli altri appellati, deve essere, pertanto, annullata.
Ciò determina, solo con riferimento alla posizione del GENTILE, un
ulteriore problema.
Va preliminarmente osservato che, in applicazione del principio del
tantum appellatum quantum devolutum, l’ambito del giudizio, nei
confronti del GENTILE, è delimitato alla fondatezza o meno delle
dichiarazione di prescrizione effettuata dai primi Giudici, posto che il
P.M. con il proprio gravame non ha riproposto le domande formulate in
primo grado, limitandosi a richiedere la rimessione degli atti ai primi
Giudici, in caso di accoglimento del gravame, ai sensi dell’art. 105 del
63
R.D. n. 1038/1933, trattandosi – quella della prescrizione – di questione
di carattere pregiudiziale.
Da ciò consegue che, se la predetta normativa non fosse applicabile
all’ipotesi della dichiarazione di prescrizione, un appello che si limitasse
(come quello qui proposto dal P.M.) a tale profilo sarebbe in radice
inammissibile, in quanto del tutto privo di motivi sul merito – che non
essendo stati riproposti dovrebbero intendersi rinunciati ai sensi dell’art.
346 c.p.c. – incorrerebbe nella sanzione processuale prevista dall’art.
342, comma 1, c.p.c.
Rileva il Collegio che sul punto dell’applicabilità dell’art. 105 del R.D.
n. 1038/1933, nel testo attualmente vigente, là dove i primi giudici si
siano pronunciati solo sulla prescrizione, accogliendone la relativa
eccezione, ha fatto e continua a registrare nel tempo significativi contrasti
giurisprudenziali, a volte anche all’interno della medesima Sezione
d’appello.
Così, mentre alcuni Giudici – e tra questi, finora costantemente, questa
Sezione di appello – ritengono che in presenza di una pronuncia di prime
cure che si sia limitata alla sola dichiarazione della prescrizione debba
farsi applicazione dell’art. 105 del R.D. n. 1038/1933, il quale prevede
che quando in prima istanza la competente Sezione giurisdizionale si sia
pronunciata soltanto su questioni di carattere pregiudiziale, su queste
esclusivamente si pronunciano le Sezioni di appello (Corte dei conti, Sez.
I, n. 291/2014, Sez. II, n. 590/2015, Sez. III, n. 782/2013) altri sono
dell’avviso, invece, che il Giudice del gravame debba trattenere l’intero
giudizio per la trattazione di merito contra (Corte conti, Sez. I, n.
64
314/2014, n. 399/2002; n. 279/2004; Sez. II, n. 97/2002).
Dalla denunciata incertezza giurisprudenziale e dall’importanza che la
questione riveste sul piano processuale e della garanzia del diritto di
difesa – dovendo sempre essere chiari, univoci e predeterminati i termini
e le modalità di esercizio del gravame – consegue la necessità di un
intervento sul punto delle Sezioni Riunite in sede giurisdizionale che
chiarisca i termini della questione.
Difatti, come già in precedenza precisato, se si dovesse ritenere,
nell’ipotesi di dichiarata prescrizione in prime cure, l’applicabilità del
citato art. 105 (nel testo vigente) del R.D. n. 1038/1933, l’appello, nei
termini proposti nel presente giudizio, potrebbe ritenersi ammissibile, pur
limitato al solo profilo della prescrizione, mentre, là dove la predetta
normativa non fosse applicabile, un appello che si limitasse (come quello
qui proposto dal P.M.) a tale profilo sarebbe in radice inammissibile, in
quanto del tutto privo di motivi sul merito – che non essendo stati
riproposti dovrebbero intendersi rinunciati ai sensi dell’art. 346 c.p.c. –
incorrendo nella sanzione processuale prevista dall’art. 342, comma 1,
c.p.c.
La questione è rilevante, pertanto, nel presente giudizio, in quanto dalla
risoluzione in limine di tale profilo dipende l’ammissibilità o meno
dell’appello, nei confronti del GENTILE, nei termini in cui è stato
proposto.
Proprio con riferimento a tale profilo e se, cioè, nel caso in cui il
Giudice di prime cure abbia dichiarato la prescrizione per l’azione di
responsabilità
amministrativa,
il
Giudice
d’appello
debba
fare
65
applicazione dell’art. 105 del R.D. n. 1038/1933 nel senso di rimettere gli
atti, in ipotesi di accoglimento del gravame del P.M., al primo Giudice
per la prosecuzione del giudizio nel merito, oppure se debba trattenere
per intero il giudizio definendolo nel merito, questa Sezione d’appello ha
già rimesso la questione alle Sezioni Riunite di questa Corte, con
ordinanza n. 33/A/2015.
Ritiene, pertanto, il Collegio, di dovere disporre la separazione del
giudizio per GENTILE Luigi e, contestualmente, la sospensione del
procedimento relativo alla sua posizione fino alla definizione della
predetta questione di massima da parte delle Sezioni Riunite di questa
Corte, definendo con la presente sentenza le posizioni degli altri
appellati.
Sempre in rito, deve essere esaminata in via ulteriormente preliminare
l’eccezione di inammissibilità, avanzata da taluno degli appellati, in
ordine ad una asserita genericità dei motivi di appello che si sarebbero
ridotti ad una mera riproposizione delle argomentazioni già proposte dal
P.M. in primo grado, senza che l’appellante si sia confrontato con le
soluzioni argomentative adottate dai Giudici di prime cure.
L’eccezione è palesemente infondata.
Secondo consolidata giurisprudenza, ai fini della validità dell’appello
non è sufficiente che l’atto di gravame consenta di individuare le
statuizioni concretamente impugnate ed i limiti dell’impugnazione, ma è
altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia stata
censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il
gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, da correlare,
66
peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata, con la
conseguenza che, se da un lato, il grado di specificità dei motivi non può
essere stabilito in via generale ed assoluta, dall’altro lato, esso esige pur
sempre che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano
contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento
logico-giuridico delle prime (Cass., sezioni unite, 20 settembre 1993, n.
9628).
In tal modo la cognizione del giudice nel giudizio di appello – che non
è “novum iudicium” con effetto devolutivo generale – resta circoscritta
alle questioni dedotte dall’appellante attraverso l’enunciazione di
specifici motivi; la specificità dei motivi esige che alle argomentazioni
svolte
nella
sentenza
impugnata
vengano
contrapposte
quelle
dell’appellante volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle
prime, non essendo le statuizioni della sentenza separabili dalle
argomentazioni che le sorreggono, di modo che alla parte volitiva
dell’appello deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che
confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice (Cass., sez. I, 30
maggio 1995, n. 6066; Cass., sez. III, 15 aprile 1998, n. 3805; nello
stesso senso, v. Cass., sez. III, 26 giugno 1998, n. 6335).
L’onere della specificazione dei motivi d’appello ai sensi dell’art. 342
cod. proc. civ. ha la duplice funzione di delimitare l’ambito della
cognizione del giudice d’appello e di consentire il puntuale esame delle
critiche mosse alla sentenza impugnata, ed è assolto solo se l’atto di
appello contiene articolate ragioni di doglianza su punti specifici della
sentenza di primo grado; pertanto, e poichè il giudizio di appello ha
67
natura di “revisio prioris instantiae” alla stregua dei motivi di gravame e
non consente la mera richiesta di un “iudicium novum”, non è sufficiente,
in relazione ad un autonomo capo della sentenza, il generico rinvio alle
difese svolte in primo grado (Cass., sez. I, 24 settembre 1999, n. 10493);
ne deriva che il requisito della specificità dei motivi di appello, pur non
richiedendo l’impiego di formule sacramentali, esige un’esposizione
chiara ed univoca delle doglianze e delle domande rivolte al giudice del
gravame (Cass., sez. II, 27 luglio 2000, n. 9867).
Tuttavia, la disposizione dell’art. 342 cod. proc. civ., che richiede la
specificità dei motivi di appello, implica solo la necessità che la
manifestazione volitiva dell’appellante consenta di individuare con
chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le specifiche critiche
indirizzate alla motivazione che le sostiene e non anche che siano
adoperate formule o seguiti schemi particolari nella esposizione dei
motivi e delle domande dell’atto di appello, che è affidata alla capacità
espressiva del difensore (Cass., sez. III, 19 maggio 2003, n. 7769).
L’art. 342 cod. proc. civ., nella parte in cui prescrive la specificità dei
motivi dell’appello, comporta altresì, laddove tali motivi siano
argomentati mediante il richiamo alla documentazione prodotta,
l’indicazione puntuale e non generica dei documenti ai quali è affidato il
gravame, con la compiuta illustrazione delle ragioni, illegittimamente
trascurate dal primo giudice, per le quali il contenuto di essi giustifica la
tesi sostenuta dall’appellante (Cass., sez. I, 20 ottobre 2005, n. 20287).
Alla luce dei complessivi principi che si desumono dalle sopra
richiamate statuizioni giurisprudenziali si evince chiaramente che i
68
motivi di appello, per poter essere considerati specifici, devono tradursi
in precise contestazioni incentrate sulle argomentazioni motivazionali
della sentenza gravata, in modo da consentire di individuare con
precisione la violazione della legge del provvedimento denunciata,
chiarendosi, a tal proposito, che può dirsi raggiunto lo scopo quando
l’argomentazione dedotta, se fondata, priverebbe di base logica la
motivazione della parte di sentenza impugnata.
Orbene, al di là dell’uso di formule sacramentali, l’atto di appello del
P.M. contiene sicuramente una specifica, puntuale ed argomentata
contestazione delle argomentazioni poste dai primi Giudici a fondamento
della sentenza impugnata e anche là dove, nella forma, potrebbe
suggerire una mera riproposizione di argomentazioni già avanzate in
primo grado, nella sostanza, con un arricchimento motivazionale che si
confronta costantemente con le risultanze alle quali sono pervenuti i
primi giudici, costituisce una indiscutibile e dialettica contestazione delle
ragioni fatte proprie dai primi Giudici, in modo tale che non è
assolutamente possibile ipotizzare una qualsivoglia genericità dei motivi
di appello.
Da ultimo, anche l’eccezione, proposta da taluno degli appellanti in
ordine all’attualità del danno, derivante dalla circostanza che
quest’ultimo sarebbe stato richiesto dalla Regione al CIAPI, mediante
iscrizione a ruolo delle relative somme, appare destituita di fondamento.
Va richiamata, a tal proposito, la prevalente e condivisibile
giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale l’azione di
responsabilità amministrativa – affidata all’esclusiva iniziativa del P.M.
69
contabile – non può trovare ostacoli al proprio pieno compimento nè
nell’adozione di strumenti alternativi dei quali sia titolare la P.A.
danneggiata, né nel concorrente ricorso ad altre giurisdizioni; l’azione
dell’attore pubblico può, pertanto, essere preclusa soltanto dall’effettivo
ed integrale ristoro del danno erariale (in tal senso ex plurimis: Sez.
appello Sicilia n. 139/2011, Sez. III appello n. 565/2010, Sez. Lombardia
ord. n. 17/2013, Sez. Campania n. 672/2010 e n. 1145/2012, Sez.
Calabria ord. n. 17/2013, Sez. Basilicata n. 208/2003).
Il predetto approdo giurisprudenziale evidenzia come la potestas
iudicandi del giudice contabile si fonda su presupposti soggettivi ed
oggettivi, su causa petendi e petutum, del tutto diversi da quelli che
attengono all’esercizio dell’autotutela dell’Amministrazione, ovvero a
quelli che connotano la giurisdizione del Giudice ordinario o
amministrativo, specificando: “l’esercizio da parte dell’Amministrazione
danneggiata, in sede di autotutela, del potere di procedere al recupero
coattivo di somme indebitamente erogate non comporta l’improcedibilità
e/o improponibilità dell’azione di responsabilità ad iniziativa del soggetto
– il Procuratore presso la Corte dei conti – a ciò titolato in via esclusiva ,
in quanto i due rimedi sono legati a diversi presupposti – l’illegittimità
dell’atto l’uno l’illiceità del comportamento l’altra – e si svolgono con
modalità differenti, ciascuna delle quali potrà, in relazione alla specificità
delle singole vicende lesive, risultare maggiormente funzionale al
raggiungimento dell’obiettivo rappresentato dalla tutela dell’integrità
dell’Erario...” (Sez. Calabria n. 35/2013).
Non senza far rilevare, nel caso di specie, il CIAPI, associazione senza
70
personalità giuridica, risulta in liquidazione e ben difficilmente potrebbe
ipotizzarsi un recupero a suo carico del finanziamento in questione,
tenuto pure conto del fatto che gli immobili da esso utilizzati sono di
proprietà della Regione Siciliana ed i flussi finanziari che ne garantivano
l’esistenza erano nella quasi totalità di provenienza regionale.
Anche tale eccezione, pertanto, deve essere disattesa.
Può, quindi, passarsi all’esame del merito del giudizio.
La vicenda devoluta alla cognizione di questo Giudice di appello può
sintetizzarsi in relazione ad alcuni punti nodali, il cui progressivo esame
consentirà di pervenire alla corretta definizione del contenzioso.
Si tratta di un progetto, denominato «CO.OR.AP.» (Consulenza,
Orientamento e Apprendistato), presentato dal C.I.A.P.I. (Centro
interaziendale addestramento professionale integrato) di Palermo,
approvato con Decreto n. 793/AG/Serv. VI del 19/6/2007, a firma di LO
NIGRO Gaspare Carlo, Dirigente Generale dell’Agenzia Regionale per
l’Impiego e la Formazione Professionale, ammettendolo a finanziamento,
con i Fondi della Misura 3.18 del POR Sicilia 2000-2006, per
complessivi € 7.048.433,65, poi lievitati ad € 15.193.362,74.
Nel predetto decreto veniva disposto che nell'ambito del progetto fosse
costituito un comitato tecnico scientifico, con il compito di assicurare la
coerenza e la validità dei contenuti delle attività progettuali, garantire la
validità delle scelte metodologiche inerenti alle attività progettuali,
assicurare la congruità tra gli obiettivi raggiunti e quelli prefissati dal
progetto; l’affidamento dell’iniziativa di formazione al C.I.A.P.I.
assumeva dichiaratamente i connotati dello "in house providing",
71
trattandosi di ente strumentale della Regione ed, anzi, articolazione della
medesima (tanto sul piano formale che sostanziale), nel settore della
formazione
professionale
ed
accesso
al
lavoro,
sul
quale
l’Amministrazione regionale esercitava un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi; in ragione di tale peculiare rapporto, era
esclusa la necessità di una polizza fidejussoria per garantire l’esatto
adempimento delle obbligazioni assunte con la Regione siciliana e
ritenuto, invece, sufficiente che nel caso di accertata inadempienza nello
svolgimento delle attività finanziate, il C.I.A.P.I. si obblighi con apposito
atto deliberativo a restituire all'Amministrazione regionale le somme
indebitamente percepite.
Con DD.DD.GG. n. 357 del 21/5/2008, n. 667 del 23 settembre 2008, e
n. 715 del 27/10/2008, lo stesso Dirigente Generale determinava
l’importo finale del finanziamento in € 15.193.362,74, prorogando il
termine finale di chiusura delle attività al 31/12/2008.
Nell’agosto 2008 l’Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode (di seguito
«OLAF»), prendendo spunto da un’informativa che indicava l’esistenza
di possibili irregolarità in un progetto del Fondo Sociale Europeo in
Sicilia, avviava un’indagine esterna sul caso e conduceva una verifica sul
posto (dal 29 settembre al 2 ottobre 2009).
Con nota del 28/10/2011, l’OLAF trasmetteva, fra l’altro, alla Procura
regionale per la Sicilia il rapporto finale che compendiava i risultati
dell’attività investigativa svolta.
Da tale rapporto emergevano criticità in ordine a quattro profili della
gestione del progetto:
72
- il reclutamento del personale dipendente assunto a tempo
determinato;
- le procedure per la fornitura di beni e servizi;
- l’assegnazione delle consulenze esterne e dei contratti di lavoro a
progetto e lavoro occasionale;
- il mancato raggiungimento degli obiettivi del progetto.
Le risultanze dell’indagine compiuta dall’OLAF e gli ulteriori
approfondimenti istruttori svolti, inducevano l’Ufficio del P.M. a
reputare sussistente un ingente danno erariale, pari all’ammontare totale
del finanziamento complessivamente erogato al CIAPI per il progetto
Co.Or.Ap., causalmente riconducibile all’attività gravemente colposa dei
componenti del CTS del medesimo progetto (Francesco RIGGIO,
Daniela AVILA, Giuseppe BONADONNA, Calogero BONGIORNO,
Rosario CANDELA, Santo CONTI, Natalino NATOLI, Enzo Stefano
TESTAGROSSA, Giangiuseppe GATTUSO, Luigi GENTILE, Salvatore
Federico SCHEMBRI) e del Dirigente Generale dell’Agenzia Regionale
per l’Impiego e la Formazione Professionale, (Gaspare Carlo LO
NIGRO).
Il primo elemento che il Collegio ritiene debba formare oggetto di
verifica è il mancato raggiungimento degli obiettivi del progetto.
A tal proposito non può formularsi censura alcuna a carico
dell’affermazione dei Giudici di primo grado secondo i quali il progetto,
lungi dal costituire uno strumento con obbligazione di risultato, in realtà
conteneva in sé semplicemente un’obbligazione di mezzo: la stessa
denominazione del progetto che riguardava consulenza, orientamento ed
73
apprendistato, depone nel senso qui evidenziato e, d’altronde, non
potendo autonomamente disporre la P.A. a suo piacimento del mercato
del lavoro, nel senso di determinare nuove assunzioni, non poteva che
trattarsi di una forma di supporto conoscitivo e formativo al fine di
favorire l’incontro dell’offerta e della domanda nel mondo del lavoro,
fermo restando che poi, alla fine, l’effettivo avviamento e la consistenza
di tale risultato non potevano che restare condizionati dalla molteplicità
di variabili indipendenti che, in un mercato fondamentalmente ispirato a
criteri di liberismo e condizionato da uno profonda crisi strutturale e
finanziaria, condizionano in modo determinante l’andamento del tasso di
occupazione.
Tutti i ragionamenti sviluppati sia dal P.M. che dagli appellati, pertanto,
perdono di significato là dove ciò che deve essere indagato non è il
risultato raggiunto ma il rispetto delle modalità di utilizzo del pubblico
denaro per lo svolgimento di un’attività astrattamente idonea al
raggiungimento di un risultato apprezzabile in termini di orientamento e
formazione professionale per il successivo inserimento nel mondo del
lavoro, profilo, quest’ultimo, peraltro anche evocato nel gravame del
P.M.
E che tale progetto dovesse ritenersi astrattamente idoneo al fine lo si
deve presumere, nel rispetto della insindacabilità (normativamente
fissata) delle scelte discrezionali della P.A., in assenza di evidenti
elementi di arbitrarietà ed irragionevolezza afferenti la fase progettuale
dell’attività formativa, che non risultano dedotti dall’Ufficio del P.M.
L’esame, a questo punto, deve concentrarsi sulle modalità di esecuzione
74
del progetto, sulla inspiegabile lievitazione (oltre il 100%), in breve lasso
di tempo, delle risorse ad esso destinate e, più in particolare, su quelle
criticità che hanno riguardato tre aspetti fondamentali dell’attività:
- il reclutamento del personale dipendente assunto a tempo
determinato;
- le procedure per la fornitura di beni e servizi;
- l’assegnazione delle consulenze esterne e dei contratti di lavoro a
progetto e lavoro occasionale.
Prima, però, di passare all’esame analitico di tali aspetti, si palesa
necessaria un’ulteriore riflessione su un punto che, a ben vedere, ha
formato
il
nucleo
centrale
dell’assoluzione
in
primo
grado,
condizionando l’intera impalcatura della pronuncia del primo Giudice: la
configurazione o meno del CTS quale organo di gestione del progetto.
A tal proposito ritiene il Collegio che la Corte di primo grado abbia
errato nell’individuazione dei parametri di valutazione della vicenda.
Quel che rileva non è, infatti, se i membri del CTS, incluso il direttore
del progetto medesimo in capo al quale è ben difficile potere anche solo
ipotizzare l’assenza di funzioni gestorie e di garanzia del corretto
andamento del progetto e del rispetto delle procedure, fossero o meno
normativamente o contrattualmente legittimati a compiere atti di gestione
nell’ambito del progetto citato, ma se, anche solo arbitrariamente, tali atti
di gestione, in forma esplicita od occulta, siano stati effettivamente
compiuti, acquistando efficienza causale nella produzione del danno
lamentato.
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione sono
75
amministratori di fatto coloro che si siano ingeriti nella gestione sociale
in assenza di una qualsivoglia investitura da parte della società,
presupponendo la correlativa figura che le funzioni gestorie svolte
abbiano avuto carattere di sistematicità e completezza (Cass. 27 febbraio
2002, n. 2906).
Questa figura è stata fatta propria dalla giurisprudenza contabile ed
utilizzata nell’ambito della responsabilità amministrativa (cfr. Corte dei
conti, Sezione Giurisdizionale Basilicata, sentenza n.45/2015) anche per
colpire i comportamenti posti in essere da una società e dal suo socio
occulto incaricati di svolgere attività di pubblico interesse.
Se l’assenza di una formale investitura potesse funzionare da valido
scudo per comportamenti illeciti si giungerebbe all’assurdo che
basterebbe agire in via di fatto, senza legittimazione di diritto, per uscire
indenni dai più loschi raggiri, vanificando in radice il concetto stesso di
responsabilità.
Il problema, quindi, non è quello di indagare e dimostrare, come gli
appellati e, in parte, lo stesso P.M. si sono affannati a fare, che i membri
del CTS fossero o meno “de jure” organo di gestione del progetto, ma di
verificare, come puntualmente il P.M. si è adoperato a provare, che essi
abbiano, “de facto”, agito come effettivi amministratori del progetto.
E che il CTS sia stato effettivamente il dominus (ed al suo interno la
figura del Presidente del CIAPI, Francesco RIGGIO), non pare possa
essere revocato in dubbio.
Infatti, il C.T.S. ha provveduto ad approvare gli atti più significativi per
la realizzazione del progetto, autorizzando tutte le attività progettuali
76
comportanti disposizioni di spesa.
Nell’espletamento di tale funzione il C.T.S. ha rappresentato il vero
organo di gestione del progetto, come provato anche dal Regolamento
approvato il 5 settembre 2007, che ne ha delineato compiti e attività.
In tal senso, il Collegio concorda con il P.M. in ordine al fatto che
assume un chiaro significato la deliberazione del CdA del C.I.A.P.I.
n.106 in data 21 settembre 2006, che – con riguardo alla “procedura per
l’utilizzazione, nell’ambito dei progetti, di collaborazioni esterne e
prestazioni professionali” – pone proprio il C.T.S. al vertice della catena
decisionale, attribuendogli il potere di procedere “…se lo riterrà
opportuno, alla ratifica, totale o parziale, della proposta” del Direttore del
progetto e delegando la predisposizione degli atti consequenziali al
C.I.A.P.I. e la loro sottoscrizione al legale rappresentante dell’ente (cfr.
aff. 1195/1197).
Tra le molte altre, costituiscono prova della posizione di effettivo
dominus del progetto, come puntualmente evidenziato dal P.M., le
determinazioni assunte dal C.T.S.:
- nella seduta del 7 agosto 2007 (cfr. “02.10.09 Annex 6.01” in
produzione OLAF), relative alla scelta del Direttore del progetto e alla
individuazione degli esperti e del personale azioni IN e ORS;
- nella seduta del 3 ottobre 2007 (cfr. “02.10.09 Annex 6.01e” in
produzione OLAF), riguardanti la nomina di alcuni consulenti per le
azioni IN, ORS e SUS;
- nelle sedute dell’11 dicembre 2007, del 12 maggio 2008, del 22
settembre 2008 (cfr., rispettivamente, “02.10.09 Annex 6.4b, 6.5c e 6.8a”
77
in produzione OLAF) e del 22 dicembre 2008 (cfr. aff. 1206/1208),
aventi ad oggetto la necessità di utilizzo di ulteriori figure professionali e
la contestuale individuazione degli operatori da assumere;
- nelle sedute del 27 novembre 2007 e 4 dicembre 2007 (cfr.,
rispettivamente, “02.10.09 Annex 6.4 e 6.4a” in produzione OLAF),
riguardanti l’approvazione del piano promo-pubblicitario;
- nelle sedute del 27 novembre 2007, del 7 maggio 2008 e del 26
maggio 2008 (cfr., rispettivamente, “02.10.09 Annex 6.4, 6.5b e 6.5d” in
produzione OLAF), nelle quali sono state decise le rimodulazioni del
progetto.
Sotto tale profilo è sicuramente significativo che alcuni appellati
abbiano riconosciuto al Presidente RIGGIO (indiscussa e, per certi versi,
inquietante figura di Grand Commis di Stato, fermamente ancorato, negli
anni, alla poltrona di Presidente del CIAPI, pur nel radicale mutare dei
colori dei vari governi Regionali) l’esercizio di un “effettivo potere
decisionale… (che) …non concedeva ai componenti del Comitato alcuna
possibilità di sostanziale replica critica nei confronti degli argomenti
sottoposti al Comitato stesso…”, e rilevato che, per quanto concerne la
scelta dei consulenti e il ricorso ai contratti di lavoro a progetto “…il
C.T.S. ha sempre e soltanto avallato le scelte effettuate da altri”.
Quanto fosse determinante la posizione del C.T.S. nella gestione del
progetto emerge anche dalla circostanza che, né in atti, né alcuno degli
appellati ne ha fatto allegazione, risulta che ci sia mai stato un minimo di
interlocuzione dialettica tra le determinazioni del C.T.S. e l’attività, a tal
punto meramente esecutiva (con riguardo a tale progetto) degli organi del
78
CIAPI, che mai risultano essersi discostati o in altro modo aver messo in
discussione le decisioni del C.T.S. e del suo presidente il quale, in quanto
presidente anche del CIAPI e del suo consiglio di amministrazione ha
rappresentato la vera cinghia di (ideazione e) trasmissione delle decisioni
adottate in sede di C.T.S.
In buona sostanza l’archetipo che viene fuori dalle risultanze
documentali (e non adeguatamente contrastato e smentito dai pur
apprezzabili tentativi delle difese degli appellati) è quello di un progetto
saldamente nelle mani del presidente RIGGIO che, attraverso le
determinazioni del C.T.S. da lui stesso presieduto (e non si comprende il
perché, visto che doveva trattarsi di un organo formalmente tecnicoscientifico e non amministrativo e non sembra potersi rinvenire in capo al
RIGGIO specifiche competenze tecnico/scientifiche nel settore), ne ha
curato l’amministrazione e lo sviluppo fino ad ottenerne oltre il
raddoppio dell’originario finanziamento, con le criticità gestorie delle
quali si dirà in prosieguo.
Rilevantissimo, poi, anche sotto il profilo delle effettive competenze
devolute al C.T.S., quanto disposto il D.D.G n.793/AG/Serv. VI del 19
giugno 2007 di approvazione del progetto CO.OR.AP. presentato dal
C.I.A.P.I. di Palermo, che ne ha previsto la costituzione, in adesione alle
indicazioni del progetto, con “il compito di assicurare la coerenza e la
validità dei contenuti delle attività progettuali, garantire la validità delle
scelte metodologiche inerenti alle attività progettuali, assicurare la
congruità tra gli obiettivi raggiunti e quelli prefissati dal progetto”.
E’ evidente, quindi, che anche là dove si volesse contestare la
79
materialità delle competenze svolte dal C.T.S., a quest’ultimo potrebbe
sempre contestarsi la violazione del dovere assicurare la coerenza e la
validità dei contenuti delle attività progettuali, garantire la validità delle
scelte metodologiche inerenti alle attività progettuali, nonché la congruità
tra gli obiettivi raggiunti e quelli prefissati dal progetto, concetti nel cui
perimetro non può non rientrare anche il rispetto dei canoni formali di
gestione della cosa pubblica e delle procedure ad essa deputate,
emergenze delle quali il C.T.S. avrebbe potuto e dovuto rendersi conto e
delle quali il direttore del progetto avrebbe dovuto formulare specifica
segnalazione nelle sedi competenti.
Nel merito, il primo profilo lamentato dal P.M. è quello del
reclutamento del personale dipendente assunto a tempo determinato.
Il P.M. ha sottolineato come il progetto CO.OR.AP. non prevedesse
l’assunzione dei 277 operatori specializzati reclutati dal C.I.A.P.I. per
offrire il servizio di consulenza orientativa ai giovani destinatari del
programma finanziato con i fondi del POR Sicilia 2000-2006.
Nel
paragrafo
3.6
del
formulario
di
presentazione
(campo
MODALITA’) veniva soltanto specificato che le attività di consulenza e
orientamento sarebbero state erogate presso le strutture degli Sportelli
multifunzionali dislocati sul territorio regionale, con il supporto di
operatori specializzati che “…andranno, quindi, ad integrare il personale
già in funzione presso gli Sportelli Multifunzionali svolgendo analoghe
mansioni ma con specifico riguardo all’istituto dell’apprendistato” (negli
stessi termini, cfr. il par.3.8 del formulario).
Va fin da subito rilevato che tale spesa ha comportato un importo totale
80
di € 9.767.725,79, cioè maggiore a quanto orginariamente previsto per
l’intero progetto.
Il Collegio ritiene di non dovere indugiare oltre in ordine alla verifica
dell’effettiva possibilità – secondo le previsioni progettuali – di assumere
quel personale la cui provvista, come invocato da talune delle difese,
ancorché non espressamente prevista nell’elaborato progettuale sarebbe
stato possibile rinvenire nel budget finanziario del medesimo.
Ciò che appare dirimente, invece, è la circostanza – rilevante,
trattandosi di gestione di pubbliche risorse – che i 277 operatori
specializzati sarebbero stati assunti con modalità illecite.
I Centri interaziendali di addestramento professionale per l'industria
(C.I.A.P.I.) furono costituiti su iniziativa della Cassa per il Mezzogiorno,
giusta la possibilità prevista dall'art.20, ultimo comma, della legge 26
giugno 1965, n.717 (e, successivamente, dall'art.131, comma quinto, del
T.U. delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, approvato con il
D.P.R. 30 giugno 1967, n.1523) per la formazione, l'aggiornamento ed il
perfezionamento dei lavoratori e dei quadri direttivi e intermedi aziendali
e per il successivo assorbimento dei soggetti addestrati nelle attività
produttive e nelle aziende che partecipavano alla gestione.
Successivamente, in attuazione dell'art.4, l. 6 ottobre 1971, n.853, per il
quale gli interventi straordinari della Cassa per il Mezzogiorno, relativi
alle materie di competenza regionale debbono essere realizzati dalle
Regioni, il CIPE, con deliberazione 12 dicembre 1972, ha stabilito di
trasferire, entro il 31 luglio dello stesso anno, i C.I.A.P.I. alle Regioni
meridionali, che sarebbero subentrate alla Cassa per il Mezzogiorno in
81
tutte le funzioni amministrative da questa esercitate, nonché nella
proprietà dei beni mobili ed immobili dei Centri stessi.
Con la legge regionale 6 marzo 1976, n.25, recante "Disposizioni per i
centri interaziendali per l'addestramento professionale nell'industria", a
decorrere dal 1 gennaio 1976, la Regione siciliana è subentrata alla Cassa
per il Mezzogiorno "negli interventi a favore dei centri interaziendali per
l'addestramento professionale nell'industria aventi sede nell'isola" (art.1,
l.r. cit.). La predetta legge ha trasferito la proprietà dei beni mobili ed
immobili che la Cassa aveva concesso in uso gratuito ai centri alla
Regione (art.2) ed ha disciplinato gli organi dei centri (artt. 4 e 5).
Come pure precisato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per le politiche comunitarie con parere trasmesso alla
Regione Siciliana il 13 maggio 2002 (nota prot. 5044) i Centri
interaziendali per l'addestramento professionale nell'industria, esistenti in
Sicilia, ancorché assumano la forma giuridica delle associazioni
privatistiche (senza personalità giuridica) senza scopo di lucro (Cass.,
SS.UU., sent. 5537 del 1983), sono enti strumentali della Regione
siciliana (subentrata alla Cassa del mezzogiorno: l.r. 6 marzo 1976, n. 25)
i cui organi, sia di amministrazione che di controllo, sono di nomina
regionale (l.r. 6 marzo 1976, n. 25) e la cui finanza è quasi
esclusivamente di derivazione regionale (l.r. 1 agosto 1977, n. 78, l.r. 18
agosto 1978, n. 48 e l.r. 8 novembre 1988, n. 35).
Come rilevato nel parere della Presidenza del Consiglio dei Ministri n.
5044/2002 la circostanza che si tratti di soggetti privati non confligge con
la natura di enti strumentali della regione.
82
Ciò posto, la peculiare natura giuridica degli enti in parola esclude che
possano ritenersi applicabili, in via generale, le disposizioni che
riguardano gli enti pubblici e/o alle società partecipate ed impone,
conseguentemente, una valutazione caso per caso delle disposizioni che
possono ritenersi estensibili a tali enti.
In particolare, l’Ufficio Legislativo e Legale della Regione Siciliana nel
parere Pos. 3 Prot. n. 68 .11.09, per quanto concerne gli affidamenti "in
house" ha ribadito quanto già rappresentato nel precedente parere prot. n.
186.06.11, già citato, secondo cui, come precisato dalla Presidenza del
consiglio dei ministri nel parere n. 5044/2002, "non potendo riscontrare
sul piano sostanziale una "terzietà" e sostanziale distinzione tra i
medesimi Centri rispetto alla Regione, ed integrando il rapporto tra i due
soggetti una forma di delegazione intersoggettiva che non fuoriesce dalla
sfera amministrativa della Regione", eventuali affidamenti diretti da parte
della Regione ai CIAPI di Palermo e di Priolo appaiono legittimi e
conformi ai principi comunitari in materia trattandosi di affidamenti "in
house".
La stessa Corte Costituzionale, peraltro, ha avuto modo di sottolineare
che i C.I.A.P.I., "valutati nei loro aspetti istituzionali, nella loro struttura
organizzativa e nella loro attività, risultavano essere semplici
associazioni private con intervento pubblico... pur servendo alla
realizzazione di scopi della Cassa (e per ciò assumendo la posizione di
enti strumentali)......" (cfr. sentenza n.108 del 6 maggio 1975).
In sintesi, quindi, come ritenuto dallo stesso Ufficio Legislativo e legale
con il parere POS. II Prot./98.08.11, i trasferimenti di risorse finanziarie
83
operati nei confronti dei CIAPI restano nell'ambito dell'amministrazione
regionale "allargata".
Pertanto, tenuto conto della natura di ente strumentale della Regione
siciliana attribuita al C.I.A.P.I. di Palermo, rientrante tra gli “organismi
di diritto pubblico” secondo i principi introdotti dalla disciplina
comunitaria in materia di affidamento in house providing (cfr., tra le altre
fonti, la direttiva comunitaria 31 marzo 2004 n.18), risulta violata la
normativa
che
disciplina
l’assunzione
del
personale
nelle
amministrazioni pubbliche, e segnatamente il decreto legislativo 30
marzo 2001 n.165 che, all’art.35 (“Reclutamento del personale”), che
prescrive l’obbligo di ricorrere alle assunzioni “tramite procedure
selettive … volte all’accertamento della professionalità richiesta”
attraverso un procedimento finalizzato ad assicurare “adeguata pubblicità
e modalità di svolgimento che garantiscano l’imparzialità” mediante la
“adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti”.
Che il CIAPI non potessse disporre assunzioni a suo piacimento, come
un qualsiasi privato, ma dovesse attenersi a procedure pubbliche
concorsuali e selettive, è dimostrato, tra l’altro, anche dal recente art. 14
della l.r. 11 giugno 2014, n. 13, che ha modificato l’art. 12 della l. 26
novembre 2000, n.24, il quale, nella versione attualmente vigente,
prevede che nelle more della riforma dei servizi per l'impiego e della
formazione professionale, limitatamente all’attuazione di specifici
progetti formativi e di politica attiva del lavoro, da realizzarsi in house
providing, finanziati con risorse statali e/o comunitarie, il CIAPI, nel
rispetto delle vigenti norme di legge che regolano il reclutamento di
84
personale con le forme contrattuali flessibili di lavoro subordinato, di cui
all’articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 – ed il
richiamo (ricognitivo) al D.Lgs. n. 165/2001 sul pubblico impiego
assume particolare pregnanza ai fini che qui rilevano – è autorizzato ad
avvalersi degli operatori degli organismi previsti dall’articolo 4 della
legge regionale 6 marzo 1976, n. 24 e successive modifiche ed
integrazioni, iscritti all’albo di cui all’articolo 14 della medesima legge
regionale n. 24/1976”.
Non va trascurato che la stessa Corte Suprema di Cassazione (sentenza
n. 28722 del 2008) ha avuto modo di occuparsi dello specifico profilo,
con riferimento a vicende presso il CIAPI di Priolo, allorché l’allora
Presidente di quel CIAPI era stato condannato, con sentenza del
Tribunale di Siracusa in data 6-6- 2005, essendo stato ritenuto colpevole
del reato di cui all'art. 323 c.p., per avere, nella qualità di Presidente del
Consiglio di Amministrazione del CIAPI, con sede in Priolo Gargallo,
proceduto (con modalità per così dire disinvolte) all'assunzione di
giovani, abusando della sua qualità e violando disposizioni di legge e di
regolamento in materia e così procurando ai predetti un "ingiusto
vantaggio patrimoniale derivante dalla loro illegittima assunzione e lo
aveva condannato alla pena di anni uno di reclusione, con interdizione
dai pp.uu. per pari durata e risarcimento danni e spese in favore della
costituita parte civile, sentenza confermata dalla Corte di Appello di
Catania, con sentenza in data 23- 10-2007, ribadendo la comprovata
responsabilità dell'imputato in ordine al reato ascrittogli del quale era
dato rilevare la sussistenza degli elementi costituitivi sia in termini di
85
oggettività che di dolo.
La Suprema Corte di Cassazione osservò che, pur dovendosi
correttamente riconoscere al CIAPI di essere formalmente un Ente
privato, senza fini di lucro, non potesse esservi dubbio alcuno sul fatto
che l'attività di addestramento e formazione professionale, anche se
perseguita attraverso enti privati, ha sostanzialmente finalità di interesse
pubblico,
la
cui
normativa
si
estende
agli
aspetti
attinenti
l'organizzazione di tale Ente, in cui deve certamente farsi rientrare
l'assunzione del personale.
Rimarcò, in quell’occasione la Suprema Corte, come l'assunzione fosse
avvenuta, in ogni caso, senza valutare affatto le necessarie capacità
tecniche e professionali dei candidati, come pure è avvenuto nel caso
oggi all’attenzione di questa Corte.
La predetta considerazione trova ulteriori conferme.
Secondo quando previsto dall’art. 97, 3° comma, della Costituzione,
“Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante
concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.
Il principio è stato più volte ribadito dalla Corte Costituzionale secondo
cui “il concorso pubblico – quale meccanismo imparziale di selezione
tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del criterio del merito –
costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche
amministrazioni. Esso è posto a presidio delle esigenze di imparzialità e
di efficienza dell'azione amministrativa. Le eccezioni a tale regola
consentite dall'art. 97 Cost., purché disposte con legge, debbono
rispondere a «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico
86
(sentenza n. 81 del 2006). Altrimenti la deroga si risolverebbe in un
privilegio a favore di categorie più o meno ampie di persone (sentenza n.
205 del 2006). Perché sia assicurata la generalità della regola del
concorso pubblico disposta dall'art. 97 Cost., l'area delle eccezioni va,
pertanto, delimitata in modo rigoroso.
Appare quindi necessario ricordare cosa s’intende per ”pubblica
amministrazione”.
Un’elencazione esaustiva delle pubbliche amministrazioni nel nostro
ordinamento è contenuta nell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 30/03/2001 n.
165 recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche”.
Oltre a quelle tipizzate, la norma fa un generico riferimento a “tutti gli
enti pubblici non economici”. L’individuazione di questi è riservata
all’ordinamento positivo.
Se le pubbliche amministrazioni fossero solo quelle citate ed
espressamente previste dalla legge sarebbe facile concludere che gli enti
formalmente privati (società, associazioni, fondazioni) non rientrando
nella
categoria
di
pubblica
amministrazione,
sono
escluse
dall’assoggettamento al citato art. 97 della Costituzione per il
reclutamento del proprio personale.
Se, invece, neppure la qualificazione operata dalla legge risulta sempre
decisiva, si apre una querelle interpretativa che investe i concetti di
privatizzazione formale e di privatizzazione sostanziale.
Diversi sono infatti i casi di enti espressamente qualificati dalla legge
pubblici o privati e diversamente dichiarati dalla giurisprudenza giusto
87
insegnamento della Corte Costituzionale.
Emerge quindi, che un ente pubblico è quello che, al di là della
definizione normativa, possa comunque essere ritenuto tale, nel senso che
le definizioni non vincolano l’interprete, il quale dovrà determinare la
natura dell’ente indipendentemente dalla sua denominazione, per cui la
stessa qualificazione esplicita è irrilevante se in contrasto con l’effettiva
natura.
Nell’ordinamento comunitario il concetto di pubblica amministrazione
è più esteso e deve considerarsi ente pubblico (da ultimo SEC 2010)
qualsiasi soggetto che indipendentemente dalla forma giuridica assunta
utilizzi in prevalenza per lo svolgimento dell’attività per cui è costituito
risorse pubbliche, anziché private.
Ne consegue che, anche a livello europeo, al fine di individuare la
natura di un ente non è rilevante la forma giuridica che viene data al
medesimo, ma le risorse che utilizza per lo svolgimento della sua attività.
La giurisprudenza ha così dovuto prendere atto della esistenza di enti
privati (prevalentemente società per azioni) che costituiscono “istituzione
pubblica” affermandone la giurisdizione della Corte dei Conti.
Ed invero, come rilevato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.
466/1993, si assiste ad uno stemperamento della dicotomia tra ente
pubblico e società di diritto privato. Tale stemperamento si desume: dal
crescente impiego della società per azioni per perseguire finalità di
interesse pubblico; dall’adesione comunitaria ad una nozione sostanziale
d’impresa pubblica; dall’accertata impossibilità di individuare nelle
nuove società per azioni derivate dai precedenti enti pubblici
88
connotazioni proprie della loro originaria natura pubblica.
Con particolare riferimento alla nozione di impresa pubblica di matrice
comunitaria, occorre precisare che la nozione europea di pubblica
amministrazione, cui consegue l’obbligo di applicare la disciplina della
evidenza pubblica e i relativi principi comunitari, si fonda su di una
nozione sostanziale di organismo di diritto pubblico individuato sulla
base di tre parametri tutti necessari: possesso della personalità giuridica;
il fine perseguito costituito dal perseguimento di bisogni di interesse
generale non aventi carattere industriale o commerciale; la sottoposizione
ad un’influenza pubblica dominante.
Dunque la qualificazione di un ente come formalmente privato non è di
per sé sufficiente ad escludere la natura di istituzione pubblica dell’ente
stesso, ma si deve procedere ad una valutazione concreta in fatto, caso
per caso.
Queste circostanze dimostrano che, a differenza di quanto accadeva in
passato, venuti meno i vincoli interpretativi ad una concezione
“allargata” di pubblica amministrazione, quella che oggi risulta favorito
non è la soggettività in sé (ossia l’elemento formale), quanto piuttosto la
tipologia di attività svolte e la capacità a svolgerle (dunque, l’elemento
sostanziale).
L’identificazione in concreto dell’ente pubblico deve essere fatta
analizzando la disciplina giuridica propria di esso (gli elementi di
disciplina certi); ricavando da questi elementi, in base a parametri
normativamente predeterminati, l’essere pubblico dell’ente.
In
buona
sostanza,
l’indagine
sulla
natura
di
un
soggetto
89
dell’ordinamento giuridico deve essere svolta privilegiando gli aspetti
sostanziali rispetto al dato meramente formale costituito dalla
configurazione giuridica dell’ente, secondo un modus procedendi che è
tipico del diritto comunitario.
In effetti, si è andato consolidando in questi ultimi anni nella
giurisprudenza nazionale – in linea con il concetto di impresa pubblica
elaborato a livello comunitario, il cui elemento caratterizzante è
l’influenza dominante dei pubblici poteri, prescindendo dalla natura
formale –, l’orientamento della prevalenza degli aspetti pubblicistici
sostanziali sulla forma privatistica ai fini della qualificazione di un
soggetto.
Al riguardo è d’obbligo richiamare due pronunce che rivestono
fondamentale importanza nel dibattito nazionale sviluppatosi attorno al
tema della configurabilità di enti pubblici a struttura privatistica.
La prima è quella con cui la Corte Costituzionale (sentenza n. 466 del
28/12/1993) – successivamente alla trasformazione in società per azioni
degli enti di gestione delle partecipazioni statali e degli enti pubblici
economici per effetto dell’art. 15 del D.L. 11/07/1992, n. 333, convertito
nella legge 8/08/1992, n. 359 –, ha affermato che persiste
l’assoggettamento al controllo della Corte dei Conti delle società in
questione finché le stesse continuano ad essere detenute, in modo
esclusivo o maggioritario, dallo Stato…………sì da indurre a riconoscere
la loro natura di società di “diritto speciale”, tale da legittimare la
compatibilità tra il controllo previsto dal citato art. 12 e la disciplina
relativa alle “privatizzazioni”.
90
L’altro dictum giurisprudenziale volto ad evidenziare come anche in
ambito nazionale la veste societaria non costituisca più elemento
aprioristicamente ostativo alla connotazione pubblicistica dell’ente, è
quello con il quale il Consiglio di Stato (sez. VI, 20/05/1995, n. 498),
hanno statuito che, nonostante l’intervenuta privatizzazione formale, i
contratti stipulati dalla s.p.a Ferrovie dello Stato sono assoggettati alle
procedure dell’evidenza pubblica e le relative controversie appartengono
alla giurisdizione del giudice amministrativo: più specificatamente, in tali
fattispecie l’adozione della forma societaria si presenta come modulo per
rendere l’attività economica più efficace e più funzionale, fermo restando
che l’impresa mantiene sotto molteplici profili uno spiccato rilievo
pubblicistico. L’esclusione della riconducibilità del modello societario
alla categoria soggettiva in questione sull’assunto della incompatibilità di
alcuni elementi tipici dell’organismo societario – tra cui il fine di lucro e
la natura economica dell’attività esercitata – e la connotazione
pubblicistica che caratterizza, invece, la figura giuridica coniata dal
diritto comunitario, non tiene conto dell’evoluzione del dibattito
sviluppatosi in ambito nazionale ove vi è spazio per la qualificazione ad
enti pubblici, o a connotazione pubblicistica, di soggetti aventi veste
societaria.
Tanto più che la nozione di organismo di diritto pubblico, com’è noto,
si fonda su parametri di gran lunga più sostanziali ed elastici di quelli,
sovente di carattere formale, utilizzati dall’ordinamento interno al fine di
ricostruire la figura dell’ente pubblico.
Peraltro la giurisprudenza, ritiene che la veste imprenditoriale ed anche
91
l’eventuale caratterizzazione lucrativa di un soggetto non ostino alla
qualifica in termini di organismo di diritto pubblico e, quindi,
all’equiparazione agli enti pubblici del diritto interno ai fini della natura
pubblica dei relativi atti e alla conseguente emersione della giurisdizione
amministrativa.
Ancor prima, aderendo alla nozione sostanziale di pubblica
amministrazione, il Consiglio di Stato, con la decisione n. 498 del
20/05/1995 della VI sez., affermava che in linea di massima “tali società,
affidatarie della cura di rilevanti interessi pubblici, conservano inalterata
la propria connotazione pubblicistica con la conseguenza che malgrado la
trasformazione sono destinate a rimanere pubbliche”. Lo stesso Consiglio
di Stato ha altresì affermato che ”…il fenomeno dell’azionariato pubblico
e, più in generale, della costituzione di società lucrative da parte della
p.a., non si radica esclusivamente nella disciplina di diritto comune, ma
presenta
aspetti
di
diritto
speciale,
connessi
al
fatto
che
l’amministrazione, nella sua veste di azionista di una società
formalmente di diritto civile, non può che indennizzare le attività
societarie a fini di interesse pubblico generale, che fanno assumere alle
stesse attività i caratteri della funzione amministrativa e valenza
oggettivamente pubblicistica”.
Illuminante appare anche la giurisprudenza della Cassazione penale
secondo cui, il momento d’individuazione della natura pubblica di un
ente non va ricercato negli scopi da esso perseguiti (dal momento che
mentre alcuni enti privati perseguono finalità cui tende lo Stato stesso,
come quelle relative all’istruzione e al credito, quest’ultimo, a sua volta,
92
interviene frequentemente in concorrenza con i privati in attività di
natura privatistica, come nel campo dell’economia e della produzione),
ma nel regime giuridico dello stesso nonché nella sua collocazione
istituzionale in seno all’organizzazione statale, come organo ausiliario
necessario al raggiungimento di finalità di interesse generale e, in quanto
tale, dotato di poteri e prerogative analoghi a quelli dello Stato e
assoggettato ad un intenso sistema di controlli pubblici.
Lo stesso legislatore siciliano all’art. 45, 2° comma, della L.r. n.
2/2007, con norme meramente ricognitiva di un obbligo costituzionale,
ha sancito che “Le società e le autorità d’ambito assumono nuovo
personale solo attraverso procedure di evidenza pubblica”.
E’ poi intervenuto il legislatore statale con il Decreto-legge 25 giugno
2008, n. 112 (convertito nella legge n. 133/2008) che all’art. 18 così
recita: “A decorrere dal sessantesimo giorno successivo all'entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, le società
che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica
adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento
del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi
di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001,
mentre le altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo
adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento
del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei
principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e
imparzialità,
con
esclusione
delle
società
quotate
su
mercati
regolamentati”.
93
Può concludersi, quindi, sul punto, che il CIAPI, in quanto ente
strumentale della Regione Siciliana, sostanzialmente pubblico, fosse fin
dall’epoca dei fatti obbligato al rispetto di procedure concorsuali e
valutative per l’assunzione del personale, procedure che nella fattispecie
sono state del tutto pretermesse.
Il P.M. stigmatizza che, per il reclutamento del personale:
- l’ente attuatore si è limitato a pubblicare sul suo sito web, in data 5
luglio 2007, un bando di selezione senza data certa;
- l’avviso è stato pubblicato sino al 15 luglio 2007 (cioè appena dieci
giorni ed in piena calura estiva), data di scadenza per la presentazione
della domanda, escludendo – a tal fine – la rilevanza della data del timbro
postale di spedizione della domanda (come ordinariamente previsto in
tutte le procedure concorsuali e selettive);
- non risulta che sia stato dato adeguato rilievo al bando di selezione;
- nell’avviso pubblicato sul sito “ciapipa.it” il 5 luglio 2007 non sono
stati indicati criteri selettivi che avrebbero condizionato gli esiti della
medesima selezione;
- gli unici requisiti richiesti per l’assunzione, risultanti dai verbali di
riunione del C.T.S., sono stati il rispetto dei ristretti termini per
presentare la domanda e avere già avuto rapporti di lavoro con l’ente, con
la conseguenza che alcuni operatori assunti, lungi dall’essere specialisti
nel campo dell’apprendistato, non avevano maturato alcuna esperienza né
erano in possesso di qualificazione professionale attinente alla materia
(come espressamente affermato dal Direttore del progetto nella seduta del
C.T.S. del 18 dicembre 2007).
94
In sintesi, è risultato del tutto assente, fra i criteri di scelta del
personale, il possesso del requisito della specializzazione degli operatori
da assumere (esperienza e qualificazione professionale in materia di
apprendistato) e ciò ha determinato determina un rilevante vulnus dei
procedimenti
di
selezione, di
cui
era evidente sussistenza e
consapevolezza da parte del C.T.S. (come dimostrano le controdeduzioni
al rapporto finale dell’OLAF, prodotte in data 4 novembre 2011 dal
C.I.A.P.I. e riversate nel fascicolo agli aff. 1009/1043), colpevolmente
non corretto nelle fasi di attuazione del progetto CO.OR.AP.
Si palesa, poi, sicuramente contraddittorio – come sostenuto dal P.M. –
che, per rispondere alla necessità di “integrare” gli Sportelli
Multifunzionali con lavoratori che dovevano prestare la loro attività
“…con specifico riguardo all’istituto dell’apprendistato” (cfr. i paragrafi
3.6 e 3.28 del formulario, prima richiamati), si sia proceduto ad assumere
soggetti privi (o, comunque, dei quali l’elemento non risulta privato) di
specifica qualificazione nel settore dell’apprendistato, perseguendo così
il risultato di aumentare a dismisura l’organico degli operatori, senza
alcun beneficio per il servizio offerto.
Ai limiti del ridicolo, poi, si presenta la circostanza che il Comitato
Tecnico Scientifico del progetto abbia determinato i criteri selettivi per
scegliere gli operatori – riconoscendo con ciò, esplicitamente, la
necessità di tale adempimento – soltanto nella seduta del 12 settembre
2007
(cioè
successivamente
alla
pubblicazione
del
bando);
individuazione che è avvenuta sulla base delle indicazioni scaturite dal
“tavolo di concertazione” tenutosi il 22 agosto 2007 tra i rappresentanti
95
della Regione siciliana, del C.I.A.P.I. di Palermo, degli enti che operano
nell’ambito del PROF e delle organizzazioni sindacali di categoria, senza
che in fase di esecuzione del progetto sia stata neppure valutata la
necessità di apportare dei correttivi per garantire la validità dei contenuti
delle attività progettuali e, conseguentemente, il raggiungimento dei
risultati prefissati.
Orbene, a prescindere dalle procedure seguite – ben lungi dal rispettare
ogni pur minimo criterio di apprezzamento comparativo –, per il
personale assunto non risulta in alcun modo provato il possesso di quel
bagaglio professionale minimo che doveva essere richiesto agli operatori
al fine di poter ritenere che la loro assunzione ed il loro impiego
potessero costituire un qualcosa di utile per la conduzione del progetto,
né tale prova è stata offerta in questa sede.
La circostanza, poi, che abbiano comunque effettivamente prestato
servizio nelle strutture deputate all’attuazione del progetto non dimostra
nulla neppure sotto il profilo della compensatio lucri cum damno, atteso
che l’utilità di una prestazione lavorativa, per pacifica giurisprudenza di
questa Corte, può essere apprezzata solo in presenza delle specifiche
competenze necessarie all’adempimento del ruolo e non con la mera
presenza in ufficio e la prestazione di generiche attività lavorative.
Sul punto, quindi, i termini della questione si pongono in una
prospettiva esattamente rovesciata rispetto a quanto argomentato dai
primi giudici (e ciò varrà anche per le successive criticità che saranno da
qui a poco analizzate): ciò che è mancata è la prova dell’utilità della
spesa e non quella della sussistenza del danno che, in quanto scaturente
96
da spesa inutile, va valutato in re ipsa.
Il secondo profilo di criticità relativo alla violazione delle norme sulle
forniture di beni e servizi.
Con nota prot. n.5156 in data 12 dicembre 2012, indirizzata all’OLAF,
l’Agenzia Regionale per l’Impiego ha comunicato che “…non erano state
esperite gare d’appalto ad evidenza pubblica nell’ambito del progetto”.
Dai successivi accertamenti è risultato che, per realizzare il piano
finanziario
B3)
“Promozione,
diffusione”,
sono
stati
spesi
sensibilizzazione,
€
3.794.856,29
informazione,
senza
effettuare
preventivamente indagini di mercato ed espletare gare di evidenza
pubblica.
Ad avviso del P.M., l’ente attuatore non poteva affidare in via diretta le
forniture anche nelle ipotesi in cui il loro importo era inferiore alla soglia
fissata dalla direttiva 2004/18/CE (euro 211.000,00), in quanto durante
l’esecuzione del progetto l’affidamento è stato più volte reiterato con gli
stessi concessionari superando il limite previsto dalla disciplina
comunitaria,
come
nell’ipotesi
dei
fornitori
“SC
Strategie
di
comunicazione” di Messina Pietro, “FMR group 007 s.r.l.”, “Damir
Pubblicità s.r.l.”, “Alessi S.p.A.” e “Simeto Docks s.r.l.”.
Inoltre,
il
“Piano
di
Comunicazione
e
diffusione
media”,
(sbrigativamente) approvato dal C.T.S. nella seduta del 27 novembre
2007, senza che risulti dal relativo verbale alcuna motivazione in ordine
alle procedure da seguire e alle ragioni di una decisione senza alcun
contraddittorio o discussione sulle scelte da adottare per impiegare le
notevoli risorse destinate ai costi del piano, prevedeva al paragrafo 11
97
l’affidamento diretto alle ditte concessionarie in esclusiva dei mezzi di
comunicazione, ai sensi dell’art.57 comma 2 lettera b del decreto
legislativo n.163 del 2006, mediante consultazione con i fornitori dei
beni e i prestatori di servizi e negoziazione dei termini del contratto con
uno o più di essi, a seguito delle quali doveva svolgersi la contrattazione
(sia oralmente che per iscritto); infine, con la formulazione di
controproposte e trattative doveva essere definito il contenuto del
rapporto contrattuale, che doveva essere accettato dalle parti per iscritto.
Sul punto non sussiste una sostanziale contrapposizione tra accusa e
difesa (e, d’altronde, non si vede come potrebbe sussistere, atteso che è di
solare evidenza che nessuna gara è stata mai espletata).
Il profilo sul quale, invece, le parti dissentono è la circostanza che il
P.M. non avrebbe provato che se si fossero seguite le procedure di
evidenza pubblica, alle quali il CIAPI, in quanto organismo pubblico, era
tenuto, si sarebbe raggiunto un risultato economicamente più vantaggioso
per la P.A.
Tale ultimo ragionamento risponde a criteri valutativi tipicamente
civilistici che mal si conciliano con la finalità delle procedure di evidenza
pubblica alle quali è tenuta la P.A.
E’ pacifico che il sistema economico concorrenziale, ossia l’economia
di mercato, è il pilastro sul quale basa la costituzione economica
sopranazionale ed i propositi di sviluppo dell’Unione Europea, da tempo
indirizzata alla strutturazione di un mercato unico a livello europeo
fondato sulla libera competizione.
In un’economia concorrenziale (ossia senza barriere o restrizioni
98
all’accesso) il prezzo dovrebbe formarsi dall’incrocio tra domanda ed
offerta, sicché se il mercato è in grado di funzionare liberamente, i prezzi
dovrebbero scendere ed avvicinarsi al costo marginale, le imprese
dovrebbero migliorare i processi produttivi, la qualità dovrebbe assumere
un ruolo dirimente nel processo decisionale di consumo e nei processi
industriali, etc. etc.
Gli
unici
interventi
esterni
dovrebbero
essere
quelli
tesi
all’eliminazione di situazioni di monopolio (cd. disciplina antitrust),
nonché all’eliminazione di barriere all’ingresso di nuove imprese nel
mercato (cd liberalizzazione per la piena concorrenza), ossia interventi
finalizzati a garantire un ambiente giuridico idoneo allo sviluppo di una
corretta ed efficiente competizione fra le imprese.
La P.A. gioca, a tal riguardo un ruolo determinate, attraverso la propria
domanda di beni, servizi, opere, che si caratterizzano per la loro matrice
soggettiva pubblica, oltre che per la loro rilevante incidenza quantitativa
(la domanda proveniente dalle varie amministrazioni dei paesi membri
costituisce circa il 17% del PIL dell’Unione).
L’amministrazione è, cioè, un soggetto economicamente potente che
acquisisce beni e servizi da imprese operanti nel mercato: essa dunque
rappresenta una componente, sia pur significativa, della complessiva
domanda di beni, servizi, opere. Tuttavia, è noto che le amministrazioni,
non essendo soggetti privati che impegnino il proprio personale bilancio,
non possiedono una connaturata razionalità economica tale da orientarle
naturalmente ai prezzi, sicché occorre una procedura che le obblighi a
consultare più offerenti, così come farebbe un privato, e ad acquistare dal
99
produttore o dal prestatore di servizi più competitivo in termini di
qualità/prezzo.
La procedura, in sintesi, è diretta a fornire all’amministrazione un
metodo amministrativo che riproduca il ragionamento dell’homo
oeconomicus, sì da garantire il raggiungimento di due importanti
obiettivi:
a)
l’uno, immediato, che è quello di spuntare prezzi competitivi ed
ottenere in modo “trasparente” un risparmio di spesa;
b)
l’altro, indiretto, che è quello di incentivare la competitività fra le
imprese, e con essa, lo sviluppo dell’economia.
La tutela dell’interesse immediato al risparmio consente, in sintesi, di
realizzare anche l’interesse allo sviluppo della concorrenza, ed anzi, il
nucleo fondamentale del secondo è costruito sulla genuinità ed effettività
del primo.
Il primo obiettivo, il risparmio, era già proprio dell’ordinamento
nazionale e trova originariamente la sua posizione nella legge di
contabilità di Stato.
Il secondo obiettivo trova invece la sua genesi nell’ordinamento
dell’Unione ed è ovviamente declinato nell’ambito del mercato comune.
La ratio della normativa comunitaria è diversa ed ulteriore rispetto al
mero risparmio: la domanda aggregata, fatta da tutte le amministrazioni,
è circa il 17% del PIL dell’Unione.
In una logica macroeconomica, se il consumatore o l’investitore
pubblico non fosse orientato ai prezzi ed al mercato, vi sarebbe un vulnus
al sistema economico concorrenziale.
100
La procedura di gara è in questo caso imposta per portare la domanda
pubblica nel mercato, ed il focus passa dall’interesse finanziario
dell’amministrazione a quello delle imprese a concorrere per la
commessa con pari opportunità, secondo uno schema definito
“concorrenza per il mercato”.
L’aspetto più importante in quest’ottica è quello della pubblicità poiché
esso è l’elemento sostanziale che consente a tutti gli operatori economici,
interessati alla formulazione di un’offerta, di venire a conoscenza della
domanda.
Il secondo elemento, qualificante ai fini di una effettiva concorrenza, è
la conoscenza di cosa esattamente l’amministrazione desidera e come si
orienterà nella scelta in ordine al rapporto qualità/prezzo: nell’ottica della
concorrenza, questo è necessario, poiché non potendo l’amministrazione
condurre trattative e manifestare dinamicamente il proprio gradimento
sulle varie opzioni offerte, come farebbe un privato, non v’è altro modo
che indicare ab initio ed a tutti gli operatori, in modo trasparente, quale
sarà il modo di valutare i singoli aspetti del bene o servizio domandato,
così da consentire agli operatori di confezionare un offerta allettante e
competitiva. Sul punto, la prima ad accorgersi della necessità, ed a
chiarire il rapporto tra “trasparenza” e “pari trattamento”, è stata la Corte
di Giustizia, C-470/99,12 dicembre 2002.
L’ultimo elemento, che riguarda segnatamente la dimensione europea
del mercato, è che non devono esserci discriminazioni dirette o indirette
tra gli offerenti in ragione della loro nazionalità. La procedura
concorsuale, e l’interesse delle imprese ad osservarla per divenire
101
aggiudicatarie, può poi costituire occasione e strumento (ma questo è
tema ulteriore rispetto alla concorrenza) per stimolare la cultura della
legalità, la sensibilità sociale delle imprese e lo sviluppo delle PMI.
Questo è l’ambito della disciplina normativa pro concorrenziale, questo
è cioè lo spazio, ed al contempo il limite, entro il quale le norme possono
intervenire per favorire la concorrenzialità del mercato ed il connesso
sviluppo dell’economia.
In tale ottica, ogni procedura di trasparenza pubblica per l’acquisizione
di beni e servizi, normativamente imposta ed arbitrariamente
pretermessa, determina un danno per la P.A. (anche nella sua veste di
soggetto obbligato a specifici adempimenti in ambito U.E.), non
rapportabile alla mera differenza algebrica tra la spesa effettivamente
disposta e quella (in ipotesi) minore che si sarebbe potuta spuntare con la
predetta procedura concorrenziale.
Si tratta di una lesione che colpisce e vanifica l’intero impegno
finanziario dell’operazione economica che viene privata di una finalità
essenziale, l’interesse giuridicamente protetto a livello comunitario e
nazionale allo sviluppo della concorrenza.
Con riferimento alla fattispecie il P.M. ha osservato che:
- il carattere assolutamente eccezionale delle ipotesi di aggiudicazione
mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di
gara giustifica la previsione, nel citato disposto normativo, di una
“adeguata motivazione nella delibera o determina a contrarre” che, come
già osservato, non si riscontra nella determinazione di approvazione del
piano da parte del C.T.S. in data 27 novembre 2007, né risultano
102
comunque specificamente adottate delibere o determinazioni a contrarre;
- non esistevano “ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti
alla tutela di diritti esclusivi” che potessero consentire l’affidamento
“unicamente ad un operatore economico determinato”, come previsto
dall’art.57 del codice dei contratti;
- non è stata riscontrata traccia di alcuna negoziazione, risultando
soltanto (ed in alcuni casi) generici contatti con i concessionari (cfr.
“01.10.09 Annex 9” in produzione OLAF);
- è assolutamente incomprensibile che per l’esecuzione del piano siano
stati reclutati diversi consulenti (tra cui due Account supervisors, tre
Account executives, cinque Buyers, un Esperto di marketing e due
Esperti/consulenti di comunicazione), tenuto conto della scelta di
affidamento diretto dei servizi di comunicazione e dell’accertata
mancanza di qualsiasi forma di negoziazione, con ulteriori costi per euro
364.400,00 (cfr. “30.09.09 Annex 2” in produzione OLAF);
- il Piano di Comunicazione e Diffusione Media approvato dal C.T.S.
non esprimeva indicazioni sui costi, mentre il piano finanziario
prevedeva in euro 1.965.000,00 (importo così definito a seguito della
prima rimodulazione) le spese relative al primo semestre indicate con il
codice B3 (cfr. “02.10.09 Annex 4b” e “02.10.09 Annex 4c” in
produzione OLAF), somma che a seguito delle successive e generiche
rimodulazioni finanziarie è stata maggiorata di euro 1.829.856,29
(arrivando alla somma totale di euro 3.794.856,29), destinate a spese
ulteriori rispetto a quelle inizialmente previste, per cui gli ordini ad
esclusivisti successivi al primo semestre, disposti in assenza di alcuna
103
pianificazione, risultano assolutamente arbitrari.
D’altra parte, come sostenuto puntualmente dal P.M., la mancata
rispondenza tra la gestione delle spese per l’esecuzione del piano di
comunicazione e le finalità del progetto risulterebbe dimostrata dalla
sconnessione riscontrata tra l’azione d’informazione attraverso i media e
l’attività svolta presso gli Sportelli multifunzionali, tenuto conto che
mentre l’ultimo giorno di attività degli Sportelli è stato il 13 dicembre
2008 (cfr. “02.10.09 Annex 6.10” e “29.09.09 Annex 18” in produzione
OLAF), in data 20 febbraio 2009 è stato conferito l’incarico
professionale di buyer a Craparotta Daniela per un compenso di euro
15.000,00 (cfr. “30.09.09 Annex 2” in produzione OLAF), mentre nel
corso dello stesso anno 2009 è stata spesa in pubblicità la somma di euro
487.414,08 (cfr. fatture elencate nei documenti “01.10.09 Annex 9” e
seguenti, in produzione OLAF).
Anche tale complessivo profilo di spesa, pertanto, va qualificato
integralmente come danno erariale.
L’ultima criticità denunciata dal P.M. riguarda l’illegittimità (rectius:
illiceità) degli incarichi di consulenza e dei contratti di lavoro a progetto
e lavoro occasionale, per un costo complessivo di € 1.265.032,00, al
netto dell’IVA.
Con riguardo alla nomina di consulenti esterni mediante incarico
professionale, il C.T.S. ha proceduto all’individuazione dei consulenti
nelle sedute del 7 agosto, 3 ottobre e 11 dicembre 2007, nonché del 12
maggio e 22 settembre 2008, senza procedere ad alcun esame
comparativo né motivare la scelta sulla base dei requisiti professionali
104
posseduti dall’incaricato.
Peraltro, gli elenchi dei curricula vitae acquisiti presso l’ente (cfr.
“02.10.09 Annex 9a e Annex 9b” in produzione OLAF) non contengono
informazioni specifiche sulla professionalità dei numerosi consulenti da
nominare, consistendo in meri elenchi alfabetici con dati anagrafici e
titolo di studio (diploma di laurea o di scuola secondaria superiore) dei
professionisti.
Molte figure di professionisti incaricati non erano neppure previste in
progetto, quali l’addetto alla segreteria, l’addetto alla newsletter, il
consulente di comunicazione, l’esperto amministrativo, l’esperto di
comunicazione, l’esperto contabile gestionale, l’esperto gestione e
contabilità, l’esperto di marketing, il progettista.
Per quanto concerne i contratti di lavoro a progetto e lavoro
occasionale, va sottolineata l’illegittima applicazione del D.Lgs. 10
settembre 2003 n.276, in quanto tale forma negoziale è incompatibile con
la natura di ente strumentale della Regione siciliana, attribuita al
C.I.A.P.I., come recita il disposto dell’art.1 commi 2 e 3 dello stesso
decreto n.276/2003, come pure confermato dal parere dell’Ufficio
legislativo e legale della Regione siciliana n.18 in data 18 novembre
2008.
Anche tali somme, pertanto, costituiscono danno erariale in quanto, e
ciò va considerato come dato dirimente, non risulta in alcun modo
dimostrata l’utilità che l’acquisizione di tali figure professionali avrebbe
avuto nella realizzazione del progetto, anche perché ignote sono rimaste
le competenze professionali possedute in radice dai beneficiati ed il
105
positivo riverbero che quelle avrebbero dovuto avere nell’attività svolta
nell’ambito progettuale.
Una posizione a sé stante va riconosciuta all’appellato LO NIGRO il
quale, nella sua veste di direttore generale dell’Agenzia Regionale per
l’Impiego e la Formazione Professionale, con decreto n.793/AG/Serv. VI
del 19 giugno 2007 ha approvato il progetto “CO.OR.AP.” presentato dal
C.I.A.P.I. di Palermo (avente ad oggetto l’erogazione di servizi di
consulenza orientativa ai giovani che, completato il primo ciclo di
istruzione, intendano inserirsi nel mercato del lavoro attraverso l’istituto
dell’apprendistato, promuovendo l’incontro dei giovani con le imprese
operanti nel territorio regionale per l’assunzione di lavoratori
apprendisti), ritenendo le attività del progetto coerenti e conformi alla
scheda tecnica della Misura 3.18 del Complemento di Programmazione
attuativo del POR Sicilia 2000-2006 e ammettendolo al finanziamento
per complessivi euro 7.048.433,65, a valere sui fondi della misura 3.18
del
POR
Sicilia
2000-2006
con
il
codice
1999.IT.16.1.PO.011/3.18/7.4.5/001.
Con il medesimo provvedimento veniva affidata al C.I.A.P.I. in house
providing la realizzazione del progetto, autorizzandone l’avvio e fissando
al 31 maggio 2008 la scadenza delle attività progettuali.
In prossimità della scadenza del termine, il LO NIGRO, con D.D.G.
n.357 del 21 maggio 2008, aveva approvato l’integrazione del
finanziamento per un importo pari ad euro 3.796.184,39 (da imputare
quanto a euro 3.400.000,00 alla misura 4.05 del POR con il codice
1999.IT.16.1.PO.011/4.05/7.4.5/040 e quanto a euro 396.184,39 alla
106
misura 3.18), nonché la modifica del termine di chiusura delle attività al
30 settembre 2008, autorizzando la rimodulazione del budget finanziario.
Con successivo decreto n.667 del 23 settembre 2008, sempre a firma
del LO NIGRO, il progetto CO.OR.AP. era stato ulteriormente finanziato
con un nuovo contributo di euro 969.737,01 (da imputare quanto a euro
700.000,00 alla misura 4.05 e quanto a euro 269.737,01 alla misura
3.18), con proroga del termine al 31 ottobre 2008 e autorizzazione alla
rimodulazione del budget finanziario.
Infine, con D.D.G. n.715 del 27 ottobre 2008, il LO NIGRO, senza
alcuna preventiva determinazione dell’organo politico, aveva approvato
un’ultima integrazione di euro 3.379.007,69 (da imputare alla misura
3.18), prorogando il termine di chiusura delle attività al 31 dicembre
2008.
Al LO NIGRO va imputato l’avere consentito la lievitazione (oltre il
raddoppio) del costo del progetto, prorogandone arbitrariamente (ed in
brevissimo lasso di tempo) la durata, senza avere acquisito alcun
elemento di valutazione e verifica sui motivi per i quali non fosse stato
possibile definirlo nei termini preventivati e con le risorse finanziarie
originariamente impegnate, con un aumento di oltre il 100% dell’intero
finanziamento che, grazie ai suoi decreti di rifinanziamento, venivano
posti nella disponibilità del CIAPI e del CTS presieduto dal RIGGIO.
I comportamenti di tutti gli appellati si caratterizzano per colpa grave,
al limite del dolo contrattuale.
In disparte la violazione (cosciente e volontaria) delle procedure che si
sarebbero dovute attuare da parte di un soggetto come il CIAPI, tutti gli
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appellati hanno ignorato le più elementari norme di buon senso e
correttezza comportamentale, tralasciando di apprezzare e perseguire
l’effettivo fine pubblico voluto da un così ingente impegno finanziario, o
pretermettendo obblighi di controllo e vigilanza, o svolgendo una fattiva
attività amministrativa che è apparsa più orientata al raggiungimento di
improprie finalità di spesa piuttosto che alla piena e fattiva realizzazione
del progetto ed al raggiungimento dello scopo (pubblico) sotteso al suo
confezionamento.
Assunzione di personale privo di specifica qualificazione, conferimenti
di incarichi del tutto privi di utilità, acquisizione di beni e servizi senza
l’attivazione di procedure ad evidenza pubblica (e talora frazionati
all’evidente fine di restare sotto la soglia comunitaria) sono tutti indici di
gravissimo disinteresse e disprezzo per la cosa pubblica che connota
un’estrema gravità dell’elemento colposo.
In ordine al riparto delle responsabilità, mentre, per un verso, il
Collegio ritiene di potere condividere le argomentazioni svolte dal P.M.
nell’atto di appello, già richiamate in narrativa, ed alle quali in questa
sede si rinvia, per quanto riguarda l’importo da porre in nesso di causalità
con i comportamenti qui contestati ritiene la Corte di dovere sviluppare
alcune precisazioni.
E’ fuor di dubbio che gli organi amministrativi del CIAPI avrebbero
dovuto svolgere, nella vicenda, un ruolo attivo e non meramente supino
ed esecutivo delle determinazioni del CTS, ancorché in
ciò
plausibilmente condizionati dal RIGGIO, per la sua duplice posizione di
presidente del CTS e presidente del CIAPI.
108
Tutto ciò, tuttavia, non può condurre ad escludere la valenza causale di
un simile passivo comportamento, al quale il Collegio ritiene di dovere
attribuire, sotto il profilo del nesso etiologico, una quota del danno pari al
30% dell’intero importo, disponendo, del pari, la trasmissione della
presente sentenza al Procuratore Regionale per la Sicilia per le
valutazioni e gli accertamenti di competenza.
In conclusione, quindi, la sentenza di primo grado va riformata ed
affermata la responsabilità amministrativa degli appellati, nei termini di
cui in motivazione e secondo il riparto di cui al dispositivo.
Per l’estrema gravità dei fatti, non sussistono, ad avviso della Sezione,
giustificazioni per l’applicazione del potere riduttivo.
La condanna alle spese segue, per entrambi i gradi di giudizio, la
soccombenza.
P. Q. M.
La Corte dei conti - Sezione Giurisdizionale d’appello per la Regione
Siciliana, definitivamente pronunciando, accoglie parzialmente l’appello
del P.M. e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara i
seguenti appellati responsabili dei fatti a loro ascritti e li condanna al
pagamento, in favore della Regione Siciliana, della somma complessiva
di € 10.336.234,00, così ripartita:
* RIGGIO Francesco, euro 3.722.374,00;
* AVILA Daniela, euro 598.239,00;
* BONADONNA Giuseppe, euro 598.239,00;
* BONGIORNO Calogero, euro 1.063.535,00;
* CANDELA Rosario, euro 598.239,00;
109
* CONTI Santo, euro 598.239,00;
* NATOLI Natalino, euro 598.239,00;
* TESTAGROSSA Enzo Stefano, euro 598.239,00;
* GATTUSO Giangiuseppe, euro 598.239,00;
* SCHEMBRI Salvatore Federico, euro 299.119,00;
* LO NIGRO Gaspare Carlo, euro 1.063.535,00;
per tutti oltre rivalutazione monetaria dalla data di notifica dell’invito a
dedurre e, sulle somme così rideterminate, gli interessi legali dalla data di
pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo.
Dispone la separazione del giudizio a carico di GENTILE Luigi e la
sospensione del procedimento fino alla definizione della questione di
massima sollevata da questa Sezione con ordinanza n. 33/A/2015.
Condanna gli appellati, in parti uguali tra loro, al pagamento in favore
dello Stato delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in
complessivi (ventiseimilaseicentoventiseieuro/24 Euro 26.626,24)
Ordina che, ai sensi dell’art.24 del R.D. 12 agosto 1933, n.1038, copia
della presente sentenza sia trasmessa dalla segreteria in forma esecutiva
all’ufficio del Pubblico Ministero, affinché quest’ultimo ne curi l’inoltro
alle Amministrazioni interessate per l’esecuzione in conformità a quanto
disposto dal D.P.R. 24 giugno 1998, n.260.
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 17 dicembre
2015.
IL PRESIDENTE f.f. ESTENSORE
F.TO (Pino Zingale)
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Depositata in segreteria nei modi di legge
Palermo,14/01/2016
Il Direttore della Segreteria
F.TO (Fabio Cultrera)
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