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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLVI n. 36 (47.171)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
domenica 14 febbraio 2016
.
Papa Francesco in Messico dopo lo storico abbraccio con il Patriarca Cirillo all’Avana
Siamo fratelli e vescovi
Una dichiarazione pastorale scaturita da preoccupazioni comuni
«Non siamo concorrenti ma fratelli». Mossi da questa convinzione —
messa nero su bianco nella dichiarazione comune firmata nel pomeriggio di venerdì 12 febbraio — Papa
Francesco e il Patriarca di Mosca e
di tutta la Russia, Cirillo, si sono incontrati all’aeroporto dell’Avana, prima storica tappa del viaggio che ha
condotto il Pontefice in Messico.
Un abbraccio — il primo nella storia dopo quasi un millennio di divisioni — tra due «fratelli» e due «vescovi» spinti dalla stessa «preoccupazione pastorale», come ha spiegato il Pontefice durante il volo che da
Cuba lo ha portato a Città del Messico, dove è giunto nella serata di
venerdì.
«Si sentiva la gioia» ha confidato
Francesco descrivendo lo spirito della lunga conversazione — circa due
ore di colloquio — conclusasi con la
firma della dichiarazione e lo scambio di due brevi discorsi. Con gli
stessi accenti il Patriarca e il Papa
hanno rimarcato la disposizione
y(7HA3J1*QSSKKM( +.!"!?!=!&!
Sulla via
dell’unità
Difficile al punto da sembrare per
decenni un sogno, l’incontro tra il
Patriarca di Mosca e il Papa di Roma è stato semplice come una riunione tra fratelli. Per due ore, in una
sala dell’aeroporto dell’Avana dove
l’aereo giunto da Roma ha fatto scalo, Cirillo e Francesco hanno parlato. «Con tutta franchezza» e «con
tutta libertà» ha specificato poi il
Pontefice in volo verso il Messico,
meta del suo dodicesimo viaggio internazionale: «conversazione di fratelli», entrambi vescovi, sulle loro
Chiese e sul mondo dove sono chiamate a vivere, presenti solo due interpreti e i collaboratori più stretti, il
metropolita Ilarione e il cardinale
Koch, che per oltre due anni hanno
tessuto con pazienza i fili di una tela
complicata.
Ma la tessitura è stata molto più
lunga perché risale a più di mezzo
secolo fa, con l’affermarsi del movimento ecumenico e con la novità del
concilio Vaticano II. Storico fu l’incontro a Gerusalemme tra Atenagora
e Paolo VI, seguito pur tra luci e ombre dal rafforzamento della speranza
di unità. E oggi, oltre la riunione tra
Cirillo e Francesco, il frutto è una
dichiarazione comune bellissima, dai
toni solenni e caldi, che il Papa ha
definito pastorale e che si apre con
un ringraziamento a «Dio, glorificato nella Trinità, per questo incontro,
il primo nella storia».
La solennità dell’espressione è pienamente giustificata: sì, «questo incontro» è senza precedenti, come
storica è la dichiarazione. Nel riconoscere innanzi tutto il significato
del luogo dove Cirillo e Francesco
hanno deciso, «finalmente», di vedersi: Cuba, crocevia mondiale e
simbolo di speranze e di drammi,
come il Papa ha sottolineato ringraziando il presidente Raúl Castro,
presente alla firma del documento.
«Lontano dalle antiche contese»,
per affermare la necessità per i cristiani di guardare avanti e costituire
così un modello per l’intera umanità.
Vi è la consapevolezza «della permanenza di numerosi ostacoli», ma
altrettanto forte è quella della condivisione di una «comune tradizione
spirituale» formatasi nel primo millennio sulla testimonianza della madre di Dio e dei santi, in particolare
dei martiri, «seme di cristiani». Ma
se si guarda alla storia, proprio nel
tempo della Chiesa indivisa sono
cresciute anche divergenze e aspre
divisioni, fino alla perdita dell’unità
attorno all’eucaristia, «conseguenza
della debolezza umana e del peccato», deplorata nella dichiarazione.
Oggi, «in un periodo di cambiamento epocale», davanti a tutti vi è
l’allarme tragico delle sanguinarie
persecuzioni contro i cristiani, soprattutto nel Medio oriente e in
Africa. Fino allo sterminio di «famiglie, villaggi e città intere» di cui è
responsabile un terrorismo criminale
che si ammanta di slogan religiosi
blasfemi. In Europa invece un secolarismo aggressivo minaccia la libertà religiosa, non rispetta le radici cristiane del continente, indebolisce la
famiglia fondata sul matrimonio di
un uomo e di una donna, distrugge
la vita umana con l’aborto, l’eutanasia, la procreazione assistita.
Alla denuncia, mai così forte, delle persecuzioni e di un secolarismo
ostile il documento, che con accenti
nuovi indica la necessità di riconciliazione tra ortodossi e greco-cattolici, fa seguire la convinzione altrettanto forte che ortodossi e cattolici
sono già uniti: non solo dalla comune tradizione ma anche dalla missione comune di predicare il Vangelo a
cui il mondo anela, pur senza saperlo. Per avanzare, incontrandosi e
camminando insieme, sulla via
dell’unità.
g.m.v.
all’ascolto e alla reciproca comprensione che ha caratterizzato il loro
dialogo. Dal quale, ha assicurato Cirillo, è scaturita la volontà di «cooperare» e di «lavorare insieme» soprattutto su alcune grandi questioni
che chiamano all’impegno tutti i credenti: le persecuzioni nei confronti
dei cristiani nel mondo, la guerra,
gli attentati alla vita umana, la famiglia e l’etica, la partecipazione della
Chiesa alla vita della società.
«L’unità si fa camminando» ha ricordato da parte sua Papa Francesco, sottolineando l’atteggiamento di
«umiltà fraterna» del Patriarca e
confessando di aver «sentito la consolazione dello Spirito Santo in questo dialogo». Dal Pontefice anche
parole di riconoscenza per le autorità e la popolazione di Cuba, che
con la loro disponibilità hanno reso
possibile l’incontro. «Di questo passo — ha commentato sorridendo —
Cuba sarà la capitale dell’unità!».
PAGINE 4-8
Reazioni all’incontro di Cuba
Esempio per tutti
ROMA, 13. «Pregando per i miei
fratelli in Cristo, Papa Francesco e
il Patriarca Cirillo. Contento che il
dialogo iniziato nel 1964 con Atenagora e Paolo VI continui a dare i
suoi frutti». È quanto ha scritto in
un tweet il Patriarca ecumenico
Bartolomeo, commentando lo storico abbraccio dell’Avana. Quella
dell’arcivescovo di Costantinopoli è
solo una delle reazioni positive
giunte dal mondo ortodosso. Vladimir Legoida, responsabile del Dipartimento sinodale per le relazioni
Chiesa-società e i mass media, del
patriarcato di Mosca, al canale
«Rossija 24» ha auspicato che l’incontro tra Cirillo e Francesco diventi un esempio per tutti coloro
che sono oggi impegnati nella soluzione del conflitto in Siria:
«Questo concreto esempio di due
persone, due Chiese che si ergono
sopra le loro difficoltà al fine di risolvere un compito molto serio, mi
sembra che possa essere un modello anche per i politici». Da parte
cattolica, il vicario apostolico di
Aleppo, Georges Abou Khazen,
sottolinea che i cristiani di Siria «si
Proseguono i combattimenti mentre l’Arabia Saudita si prepara a inviare truppe di terra
Tregua difficile in Siria
MONACO, 13. Tregua difficile in Siria. A poco più di ventiquattro ore
dal raggiungimento dell’intesa sul
cessate il fuoco, l’accordo sembra
scricchiolare. «Riconquisteremo tutta la Siria, ci vorrà tempo, ma continuiamo a combattere» ha dichiarato
ieri, in un’intervista alla France
Presse, il presidente siriano, Bashar
Al Assad. Questi ha dichiarato di
sostenere i negoziati per una soluzione diplomatica del conflitto in
corso, ma ha ribadito che non fermerà la guerra al terrorismo. «Noi
crediamo fermamente nei negoziati;
tuttavia, anche se negoziamo, non
significa che fermiamo la lotta al
terrorismo» ha detto Assad.
E di «momento difficile» ha parlato anche l’Alto rappresentante Ue
per la politica estera e di sicurezza
comune, Federica Mogherini, a margine della conferenza internazionale
sulla sicurezza a Monaco. Difficoltà
dimostrate anche dal fatto che l’opposizione siriana ha rifiutato con
forza la proposta del cessate il fuo-
co. E questo mentre Mosca ha fatto
sapere che andrà comunque avanti
con i raid contro i jihadisti del cosiddetto Stato islamico (Is). Anche
il Pentagono ha dichiarato che l’accordo non riguarda né le operazioni
contro Al Qaeda né quelle contro le
postazioni dell’Is.
Il conflitto non si ferma, dunque,
nonostante il pressing diplomatico.
È di quasi mezzo milione di siriani
uccisi il bilancio di cinque anni di
violenze in Siria, circa il doppio di
quanto documentato un anno e
mezzo fa dall’Onu. Questo ultimo
bilancio è stato diffuso ieri da un
autorevole think tank siriano indipendente, il Syrian Center for Policy Research (Scpr) basato a Beirut.
La situazione continua a essere particolarmente drammatica ad Aleppo,
città dove nei giorni scorsi le forze
di Assad hanno lanciato una massiccia offensiva contro i ribelli, costringendo alla fuga migliaia di civili che
si sono diretti alla frontiera turca. In
questo quadro, l’Arabia Saudita ha
fatto sapere di voler inviare truppe
di terra in Siria per combattere contro l’Is e per rimuovere il presidente
Assad dal suo posto. Immediata la
replica dell’Iran, che ha riferito di
essere aperto a una collaborazione
con Riad, ma senza la rimozione di
Assad.
sono accorti che le loro sofferenze
non cadono nel nulla: l’incontro
tra Papa Francesco e il Patriarca
Cirillo lo percepiscono come il
frutto della croce che stanno vivendo». E il World Council of Churches, attraverso il segretario generale Olav Fykse Tveit, parla di «storico evento ecumenico, opportuno
nel contesto dei conflitti e delle crisi che attualmente causano così
tanta sofferenza nel mondo».
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha nominato
Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Ufficio
delle Nazioni Unite ed Istituzioni Specializzate a Ginevra ed Osservatore Permanente presso l’O rganizzazione Mondiale del Commercio
(O.M.C.) Sua Eccellenza Reverendissima
Monsignor
Ivan Jurkovič, Arcivescovo titolare di Corbavia, finora
Nunzio Apostolico nella Federazione Russa e in Uzbekistan.
Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Lesotho e in Namibia Sua
Eccellenza
Reverendissima
Monsignor
Peter
Bryan
Wells, Arcivescovo titolare di
Marcianopoli, Nunzio Apostolico in Sud Africa e in
Botswana.
Nomina di Vescovo
Ausiliare
Bambini tra le macerie della loro casa ad Aleppo (Ap)
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo
Ausiliare
di
Wrocław (Polonia) il Reverendo Padre Jacek Kiciński,
C.M.F., dei Missionari Figli
del Cuore Immacolato di
Maria (Clarettiani), attualmente Vicario Episcopale per
i Religiosi e Professore nella
Pontificia Facoltà di Teologia
di Wrocław, assegnandogli la
sede titolare di Margo.
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pagina 2
domenica 14 febbraio 2016
Presidenziali e legislative nella Repubblica Centrafricana
Un voto per sconfiggere la paura
di ALICIA LOPES ARAÚJO
Sono passati meno di tre mesi da
quando a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, Papa Francesco ha aperto la porta santa. Da
quel momento i rapporti tra cristiani
e musulmani, in un Paese segnato
da decenni di guerra e miseria, sono
molto migliorati. E tuttavia, ancora
un altro passo in avanti nella strada
verso la stabilità dev’essere compiuto: quello della scelta del nuovo presidente e del nuovo Parlamento, tasselli fondamentali per uscire da un
periodo di vuoto istituzionale.
Questa domenica sono in programma il primo turno delle legislative e il secondo turno delle presidenziali. I contendenti alla carica di
presidente sono due ex primi ministri: Anicet-Georges Dologuélé, che
al primo turno ha ottenuto il 23,74
per cento delle preferenze, e Faustin
Archange Touadéra, che invece ha
raggiunto il 19,05 per cento. Il 30 dicembre scorso si era svolto il primo
turno delle presidenziali e delle legislative. I voti per la nomina dei parlamentari, tuttavia, erano stati invalidati dalla Corte costituzionale di transizione, a causa di numerose irregolarità logistiche riscontrate.
Anicet-Georges Dologuélé è un economista, nato nel 1957 nella
regione dell’O uhamPendé, nel nord-ovest
del Paese. È stato primo ministro tra il 1999
e il 2001 sotto la presidenza di Ange-Félix
Patassé, deceduto nel
2011. A Yaoundé, in
Camerun, tra il 2001 e
il 2010 aveva ricoperto
il ruolo di presidente
della Banca di sviluppo
degli
Stati
dell’Africa centrale, fa-
I negoziati
sul Governo libico
non fermano
il conflitto
TRIPOLI, 13. Mentre i tentativi di
formare un Governo di unità nazionale sono e restano in alto mare, in Libia si continua a combattere. Un caccia-bombardiere di
fabbricazione russa Mig-23 delle
forze aeree del Governo di Tobruk
— riconosciuto dalla comunità internazionale — è stato abbattuto
ieri sui cieli di Bengasi.
L’azione è stata rivendicata dal
cosiddetto Stato islamico (Is) anche se manca una verifica da fonti
indipendenti. Nasser El Hassi,
portavoce delle forze di Tobruk,
ha specificato che il jet «è stato
abbattuto a Qaryunes, a nordovest
di Bengasi, mentre stava bombardando le roccaforti dei miliziani
islamisti vicini ad Al Qaeda».
Il pilota si sarebbe salvato riuscendo a lanciarsi in tempo e a
paracadutarsi anche se al momento resta ignota la sua sorte. Lunedì scorso un altro Mig-23 di Tobruk era stato abbattuto su Derna
dopo aver attaccato una posizione
dell’Is. In quel caso le autorità di
Tobruk sostennero che si trattò di
un problema tecnico.
Il caos in cui è precipitata la Libia dopo la caduta nel 2011 del regime del colonnello Muammar
Gheddafi — con due Governi e
due Parlamenti (Tripoli e Tobruk)
che faticano a trovare un’intesa
per un Governo di riconciliazione
— ha favorito l’espandersi di gruppi terroristici legati all’Is.
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cente capo alla Comunità economica
e monetaria degli Stati dell’Africa
centrale. Nel 2013 ha fondato il partito Union pour le Renouveau Centrafricain. In questa tornata elettorale è sostenuto soprattutto dal partito
della Convergenza nazionale (il Kwa
Na Kwa, che in lingua sango significa “il lavoro, nient’altro che il lavoro”) dell’ex presidente François Bo-
zizé, ora in esilio in Uganda. Inoltre
Dologuélé può contare sull’appoggio di Désiré Nzanga Kolingba, arrivato terzo al primo turno, del partito Rassemblement Démocratique
Centrafricain (Rdc).
L’altro candidato, Faustin Archange Touadéra, matematico e rettore
dell’università di Bangui, è nato nel
1957 a Damara nei pressi della capi-
tale centrafricana Bangui. Fu primo
ministro dal 2008 al 2013 sotto la
presidenza Bozizé. Presentatosi come candidato indipendente, ha ottenuto il sostegno di alcuni elettori
delusi del Kwa Na Kwa, del candidato Martin Ziguélé, arrivato quarto
al primo turno.
Chiunque uscirà vincitore dalle
urne dovrà affrontare sfide difficilissime. Stato tra i più poveri del mondo, la Repubblica Centrafricana è
un’ex colonia francese priva di sbocchi sul mare, situata in uno scacchiere molto instabile: la sua posizione
geografica è il punto di congiunzione a nord tra la regione del Sahel,
abitata principalmente da allevatori
e commercianti a maggioranza musulmana, e a sud tra quella della savana e dei fiumi dell’Africa centrale,
le cui popolazioni sono a maggioranza cristiana. Gravi violenze sono
scoppiate tra l’estate e l’inverno del
2013 tra i ribelli musulmani della Seleka e i locali gruppi di autodifesa,
gli Antibalaka.
Questo conflitto, che ha causato
migliaia di vittime e al quale è stata
attribuita una valenza religiosa, continua ancora a incidere fortemente
sul Paese. Le violenze hanno causato
circa un milione di sfollati e rifugiati
oltre confine; quasi la metà della popolazione è a rischio di malnutrizione. Nel 2014 l’Onu ha siglato un accordo con il Consiglio nazionale di
transizione (Cnt) per la creazione di
una Corte penale speciale, composta
di giudici centrafricani e internazionali, con il compito di avviare inchieste sulle violenze commesse nel
Paese. Il 10 agosto dello stesso anno,
per la prima volta dall’indipendenza
è stato nominato primo ministro un
musulmano, Mahamat Kamoun. Il
Cnt ha adottato una riforma costituzionale, poi avallata dal referendum
del 13 dicembre 2015. Tra le novità,
vi è la creazione di un Senato prima
inesistente.
Segnale concreto
In previsione del viaggio di Papa
Francesco a Bangui, il 13
novembre 2015 Abdoulaye Hissen
per gli ex Seleka e Maksim
Mokom per gli Antibalaka hanno
firmato un patto di non
aggressione. Come ricorda il
Prefetto della Congregazione per
l’Evangelizzazione dei Popoli,
cardinale Fernando Filoni, la
pace non cammina, se non
attraverso il perdono e la
comprensione reciproca. Il
viaggio del Papa in Repubblica
Centrafricana (29-30 novembre
2015) ha trasformato Bangui nella
capitale spirituale mondiale della
preghiera per la misericordia,
dimostrando la possibilità della
convivenza contro
l’incomprensione. La visita del
Papa alla moschea di
Koudoukou, nel quartiere KM5,
ha dimostrato appieno che è
possibile la fratellanza fra fedi
diverse. Il capo dello Stato ad
interim, Catherine Samba-Panza,
ha salutato la presenza
del Papa come una vittoria della
fede sulla paura in un luogo che
è stato teatro di scontri
intercomunitari, interetnici ed
interreligiosi nel corso degli
ultimi tre anni. Samba-Panza,
avvocato cristiano, già sindaco di
Bangui (dal 14 giugno 2013 al 23
gennaio 2014), è stata eletta il 20
gennaio 2014. Primo capo di
Stato donna
nella storia del Paese, perché
neutrale e figura di garanzia non
affiliata ad alcun partito, come
primo gesto politico ha subito
chiesto alle milizie di ambo le
parti di deporre le armi.
Giovani centrafricani durante una manifestazione elettorale (Reuters)
Tenendo conto della dimensione
comunitaria delle violenze, il futuro
presidente avrà il difficile compito di
disarmare le milizie e allo stesso
tempo di persuadere i loro capi a cedere quei territori dove si sono stabiliti, onde evitare ulteriori divisioni.
Le violenze, comunque, non si fermano. Un altro problema è che ai
gruppi locali spesso si mescolano ribelli stranieri. L’8 febbraio Okot
Odek, uno dei principali comandanti della ribellione ugandese, è stato
catturato dal Front Populaire pour
la Renaissance de Centrafrique,
un’ala scissionista di Seleka, che lo
ha poi consegnato alle forze statunitensi in loco.
Sin dal 2008 — come dimostrano
diversi rapporti internazionali — i ribelli ugandesi dell’Lra si sono stabiliti nei territori del della Repubblica
Centrafrica. Da alcune settimane
Juan José Aguirre Muñoz, vescovo
di Bangassou, nel cui territorio si
trova la parrocchia di Sant’Andrea
di Bakouma nel sud-est del Paese,
denuncia che la zona di sua competenza è continuamente sotto attacco
da parte dell’Lra.
Secondo le Nazioni Unite, questo
gruppo si è reso responsabile della
morte di oltre centomila persone e
del rapimento di circa sessantamila
minori destinati ad entrare nei propri ranghi come bambini soldato.
Attacco a Kidal da parte di un gruppo fondamentalista
Uccisi ventisette terroristi
Strage di caschi blu nel Mali
L’esercito camerunense
colpisce Boko Haram
Caschi blu nei pressi dell’aeroporto di Timbuktu (Afp)
BAMAKO, 13. Sei caschi blu della Guinea e altri tre soldati maliani sono stati uccisi ieri nel corso di due attacchi separati nel nord del Mali. L’attacco contro la missione delle Nazioni Unite in Mali (Minusma) è avvenuto a Kidal, nel nord-est del Paese, ed è stato rivendicato
dal gruppo jihadista Ansar Dine che afferma di aver
causato «decine di morti e feriti». Un portavoce del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha ammesso
che l’incursione ha provocato sei morti e 30 feriti. Dei
lanci di razzi hanno preceduto l’esplosione di un’autobomba all’interno del campo, secondo un responsabile
del contingente della Guinea, che ha confermato che
sono almeno sei le vittime della strage. Nelle stesse ore
tre soldati maliani sono morti e altri due sono rimasti
feriti in un’imboscata nella regione di Timbuktu (nordovest). Gli attacchi di ieri fanno seguito a quello di una
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
settimana fa contro un campo militare dell’Onu sempre
a Timbuktu nel corso del quale era morto un soldato
maliano e tre presunti jihadisti.
«Questi attacchi — afferma una nota del segretario
generale delle Nazioni Unite — non diminuiscono la determinazione dell’Onu nel sostenere il Governo maliano
e gli accordi di pace». Per Ban Ki-moon si è trattato di
un crimine di guerra. Il capo della missione Minusma,
Mahamat Saleh Annadif, ha denunciato l’assalto come
«un atto odioso e irresponsabile». Il presidente maliano, Ibrahim Boubacar Keita, dopo un colloquio con il
presidente tedesco, Joachim Gauck, ha rivolto un appello per ripristinare l’autorità di Bamako su Kidal:
«Dobbiamo trovare trovare una soluzione. Noi e la comunità internazionale non possiamo assistere ad aggressioni che vengono commesse quotidianamente».
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
ABUJA, 13. Sconfinando in Nigeria,
un contingente di soldati dell’esercito del Camerun ha attaccato e ucciso ieri almeno ventisette miliziani
del gruppo fondamentalista islamico di Boko Haram. La vasta operazione militare — ha confermato in
una nota ripresa dall’agenzia di
stampa Afp il generale Jacob Kodji
— ha avuto luogo nella località di
Ngoshe, alla frontiera tra Nigeria e
Camerun.
L’alto
funzionario
dell’esercito camerunense ha detto
che un soldato del battaglione di
intervento rapido è rimasto ucciso e
altri sette sono stati feriti nell’operazione, lanciata in risposta agli attacchi terroristici del gruppo estremista in Camerun.
Negli ultimi anni il raggio
d’azione di Boko Haram si è allargato ai Paesi vicini della Nigeria,
soprattutto in Camerun e Ciad. E
proprio in Camerun, giovedì scorso,
due giovani attentatrici suicide di
Boko Haram provenienti dalla Nigeria si sono fatte esplodere nel villaggio di Nguetchewe, nell’estremo
nord, uccidendo non meno di dieci
persone e ferendone oltre quaranta.
Secondo un responsabile della polizia camerunense, tra le vittime ci
sono anche due bambini e un ragazzo di quindici anni. Si tratta —
informa l’Afp — del quinto attacco
suicida messo in atto nell’estremo
nord camerunense nel 2016. Da
quando gli islamisti di Boko Haram
hanno cominciato ad attaccare il
Camerun, dal 2013, circa 1200 per-
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
sone sono state uccise, secondo i
dati forniti dalle autorità di Governo di Yaoundé.
Durante l’offensiva a Ngoshe, sono inoltre stati distrutti diversi veicoli (moto e camion utilizzati per
compiere attentati suicidi) e sequestrato un ingente quantitativo di armi, munizioni e granate appartenenti ai jihadisti.
Prove di pace
per
il Sud Sudan
JUBA, 13. Prove di pace in Sud
Sudan, dove il presidente Salva
Kiir ha nominato ieri il suo rivale Rijek Machar vicepresidente
in attuazione dell’accordo firmato nell’agosto 2015 per mettere
fine a oltre due anni di guerra
civile. Dallo scoppio delle ostilità, nel dicembre del 2013, sono
migliaia le persone uccise, con
più di due milioni di sfollati.
Machar, vicepresidente dal 2005
fino alla sua estromissione nel
2013, ha riparato in Etiopia da
dove ha accolto positivamente la
notizia della nomina. «È un passo avanti», ha detto.
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
Ivan Ranza, direttore generale
Sede legale
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Intesa San Paolo
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
Società Cattolica di Assicurazione
Credito Valtellinese
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domenica 14 febbraio 2016
pagina 3
Il segretario di Stato Kerry
con il ministro Wang Yi (Ap)
Lunedì previsto il vertice tra Ue e Nato
BERLINO, 13. Gli Stati Uniti hanno
chiesto alla Cina di usare la propria
influenza sul regime comunista di
Pyongyang per aumentare la pressione della comunità internazionale
sulla Corea del Nord. Il segretario
di Stato americano, John Kerry, ha
incontrato ieri sera — a margine della conferenza sulla sicurezza di Monaco — il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, con cui ha discusso
delle gravi violazioni del diritto internazionale da parte della Corea
del Nord, nonché di altre questioni
globali e della prossima visita di
Wang a Washington. Lo ha riferito
il dipartimento di Stato americano.
Kerry sempre ieri a Monaco ha
incontrato anche il suo collega sudcoreano e ha discusso con lui delle
violazioni delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu da parte
della Corea del Nord e della necessità di continuare lo stretto coordinamento tra i due Paesi. Il segretario di Stato americano ha riaffermato il fermo impegno a difendere la
Corea del Sud e il Giappone e ha
sottolineato la vitale importanza di
proseguire la comunicazione e la
cooperazione fra i tre Paesi.
A riprova dell’impegno di Washington nei confronti dell’alleato
sudcoreano, gli Stati Uniti hanno
rafforzato temporaneamente la presenza di missili patriot in Corea del
Sud in risposta al recente test nucleare e al lancio di un missile da
parte della Corea del Nord, a pochi
giorni da una serie di incontri volti
a mettere a punto un sistema missilistico statunitense ancora più sofisticato, secondo modalità che non
hanno mancato di suscitare la preoccupazione di Russia e Cina.
E inoltre, il portavoce della Casa
Bianca, Eric Schultz, ha fatto sapere
ieri che il presidente statunitense,
Barack Obama, non si opporrà alla
legge approvata dal Congresso per
aumentare le sanzioni nei confronti
del regime di Pyongyang per il proseguimento del suo programma nucleare, con i suoi recenti test, in violazione delle risoluzioni dell’O nu.
Schultz ha quindi aggiunto: «Come
molti membri del Congresso, l’Amministrazione è preoccupata per le
recenti azioni della Corea del Nord
e il serio passo indietro che questi
test rappresentano».
Salgono a 114
le vittime
del sisma a Taiwan
TAIPEI, 13. I soccorritori hanno recuperato i corpi di 114 persone sotto le
macerie dell’edificio crollato a causa
del violento sisma che ha fatto tremare Taiwan una settimana fa. Mancano ancora tre persone all’appello
tra gli abitanti del complesso residenziale di Wei-Kuan, nella città
meridionale di Tainan. Oltre 550 i
feriti, secondo l’ultimo bilancio, e di
essi circa 280 sono stati estratti proprio dalle macerie dell’edificio di 16
piani. Il complesso residenziale è
stato l’unico a crollare completamente a causa del sisma.
Confronto aperto
sull’immigrazione
Il segretario di Stato americano incontra a Monaco il ministro degli Esteri cinese
Washington chiede a Pechino
di fare pressione sulla Corea del Nord
Anche la Gran Bretagna spera di
trovare velocemente l’accordo su
una bozza di risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu per inasprire
le sanzioni nei confronti della Nord
Corea dopo i recenti test e il lancio
del missile. Lo ha spiegato ieri l’ambasciatore britannico al Palazzo di
Vetro, Matthew Rycroft, precisando
che l’obiettivo è di raggiungere un
testo condiviso «al più presto». Saranno «misure che vanno al di là
della tradizionale area di non proliferazione, per dimostrare la gravità
delle azioni» di Pyongyang, ha precisato l’ambasciatore britannico.
E, intanto, in risposta alle sanzioni diplomatiche decise da Tokyo, la
Corea del Nord ha comunicato lo
scioglimento del comitato allestito
per risolvere i casi dei cittadini giapponesi rapiti sul territorio nipponico, la cui questione è motivo di forte attrito tra i due Paesi. Il regime
di Pyongyang ha definito le misure
intraprese dal Giappone nei scorsi
giorni come «fortemente provocatorie», spiegando che tale scelta produrrà ritorsioni ancora più dure,
senza però elaborare sul contenuto.
Lo scorso mercoledì il Governo di
Tokyo aveva annunciato nuove san-
Tra Israele e Unione europea
Svolta per il dialogo
BRUXELLES, 13. Si riapre il dialogo
tra Israele e Unione europea. Dopo
il gelo seguito nel novembre scorso
alla decisione di Bruxelles di varare
le etichette sui prodotti degli insediamenti israeliani, ieri l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune, Federica
Mogherini, e il premier israeliano,
Benjamin Netanyahu, hanno avuto
un colloquio telefonico chiarificatore. «Le relazioni tra le due parti —
si legge in una dichiarazione comune — devono essere condotte in
un’atmosfera di fiducia e mutuo rispetto: un’atmosfera che sarà di
aiuto per far avanzare il processo di
pace in Medio oriente».
Non solo. Secondo quanto si è
appreso, Netanyahu, che è anche
ministro degli Esteri israeliano, sarà
a Bruxelles nelle prossime settimane per approfondire l’intesa.
Una svolta per il rilancio del dialogo e a favore — hanno dichiarato
Netanyahu e Mogherini — di una
ripresa del confronto con i palestinesi. Sul tavolo, in primo luogo, la
questione della sicurezza e «le co-
muni sfide che devono fronteggiare
Israele ed Europa nella lotta al terrorismo».
Mogherini ha espresso «solidarietà con il popolo israeliano alla
luce degli attacchi terroristici delle
recenti settimane» e ha riaffermato
«l’impegno Ue nella sicurezza di
Israele». Netanyahu ha sottolineato
«l’urgenza di combattere chi incoraggia atti di terrorismo contro civili israeliani».
Inoltre, i due leader hanno concordato che la scelta di Bruxelles di
etichettare i prodotti degli insediamenti «non pregiudica l’esito dei
negoziati sul tema dei confini che
deve essere risolto dalle parti stesse» in linea con la soluzione dei
due Stati per due popoli.
Netanyahu ha poi aggiunto che
«Israele si oppone alle costruzioni
illegali», cioè agli insediamenti edificati senza il permesso del Governo e che «le parti hanno concordato di continuare il dialogo su questo aspetto» come riferisce il ministero degli Esteri israeliano.
Stato di emergenza per Zika
nelle Hawaii
BRASILIA, 13. Dilaga il virus Zika,
trasmesso dalle zanzare del genere
Aedes Aegypti, che, secondo gli
esperti, potrebbe provocare gravi casi di microcefalia nei feti. Il governatore delle Hawaii, David Ige, ha dichiarato lo stato di emergenza
nell’arcipelago. Oltre a Zika, l’allarme riguarda anche il virus della
Dengue, di cui già si contano oltre
250 casi accertati sull’isola principale
dell’arcipelago.
In una conferenza stampa, Ige ha
espresso il timore che le zanzare
Aedes Aegypti trasmettano entrambe
le malattie. Grazie allo stato di
emergenza, le Hawaii contano di ottenere maggiori finanziamenti internazionali per combattere i virus. E
sui probabili legami tra Zika e la microcefalia nei feti l’O rganizzazione
mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato ieri che verrà fatta chiarezza
«entro alcune settimane». Lo ha det-
zioni in reazione al lancio del missile nordcoreano, tra cui l’interdizione
alle navi che abbiano sostato nelle
acque territoriali della Corea del
Nord, e il divieto di accesso ai cittadini sospettati di aver contribuito al
programma nucleare del regime di
Pyongyang. Il Giappone considera
la Corea del Nord responsabile del
rapimento di almeno 17 cittadini
nipponici tra il 1970 e gli anni ‘80
per motivi di spionaggio, e sospetta
che i servizi segreti del Paese comunista siano coinvolti in altri casi legati a casi di sparizioni mai risolte.
to da Ginevra Marie-Paule Kieny, vice direttore generale dell’Oms per i
sistemi sanitari e l’innovazione. «Approfonditi studi sono in corso ed è
una questione di settimane», ha
spiegato. Anche riguardo alla sindrome di Guillain-Barré, che si manifesta con paralisi progressiva agli arti,
il legame con Zika deve essere ancora dimostrato. «Abbiamo ancora alcune settimane per essere sicuri e dimostrare la causalità, ma il legame è
probabile», ha precisato l’esperta
dell’O ms.
È intanto scattata oggi in tutto il
Brasile — il Paese più colpito da Zika — la giornata nazionale di mobilitazione per la lotta all’Aedes Aegypti. L’iniziativa, voluta dal Governo
della presidente, Dilma Rousseff, mira a coinvolgere più persone possibili: allo scopo, tre milioni di famiglie
saranno visitate nelle loro residenze,
in 350 municipi. Vari ministri, che
ieri hanno partecipato a una riunione strategica a Brasilia, saranno presenti in differenti Stati: il ministro
della Sanità, Marcelo Castro, sarà a
Bahia, mentre il capo di Stato è invece atteso a Rio de Janeiro. L’iniziativa conterà sull’appoggio di
220.000 militari, che accompagneranno casa per casa gli agenti sanitari nel lavoro di sensibilizzazione della popolazione.
E le preoccupazioni in vista delle
olimpiadi della prossima estate a Rio
aumentano di giorno in giorno. «Finora nessun Paese ha manifestato
l’intenzione di rinunciare ai Giochi,
ma ciò non esclude che stiamo affrontando molto seriamente la questione», ha detto il presidente del
Cio, Thomas Bach. «Pensiamo che
per atleti e spettatori presenti a Rio
ci saranno tutte le condizioni di sicurezza — ha aggiunto — e da parte
dell’Oms non ci sono stati divieti».
Lo sblocco dell’impasse — dicono fonti di stampa — permetterà
quindi non solo di convocare in un
immediato futuro il Consiglio
dell’associazione Israele-Ue che era
stato messo in stallo, ma anche di
organizzare l’atteso viaggio di Netanyahu a Bruxelles.
Il Quartetto
e la soluzione
dei due Stati
MONACO, 13. Il Quartetto per il
Medio oriente preparerà un rapporto sulle relazioni tra Israele e
palestinesi. Il documento conterrà «raccomandazioni che potranno aiutare a far avanzare i colloqui sulla soluzione dei due Stati». In un incontro a margine
della conferenza di Monaco, i
rappresentanti di Stati Uniti,
Onu, Unione europea e Russia
hanno sottolineato che lo stato
«insostenibile» delle relazioni
tra israeliani e palestinesi mette
in pericolo l’obiettivo di una Palestina indipendente e autonoma, in linea con la soluzione dei
due Stati per due popoli. Tra gli
ostacoli maggiori indicati dal
Quartetto, gli attacchi contro i
civili israeliani, la demolizione
delle case dei palestinesi e
l’espansione degli insediamenti
in Cisgiordania.
Come si legge in una dichiarazione congiunta, i recenti sviluppi, tra cui «la violenza contro
i civili, le attività di insediamento in corso, le demolizioni di
strutture palestinesi» stanno
«pericolosamente mettendo a rischio» la pace; «azioni unilaterali possono solo pregiudicare soluzioni negoziali». Per il Quartetto «lo status quo non è sostenibile». L’unica strada è applicare le risoluzioni Onu. I negoziati diretti tra israeliani e palestinesi sono fermi da oltre un anno. La nuova ondata di violenze
palestinesi contro gli israeliani —
in particolare, aggressioni con il
coltello — sono scattate lo scorso
settembre
ROMA, 13. Mentre il Consiglio europeo afferma che «l’intero funzionamento dell’area Schengen è in serio pericolo», l’Organizzazione internazionale per le migrazioni
(Oim) ha diffuso un nuovo bilancio: dall’inizio dell’anno sono arrivati in Europa 83.201 tra migranti e
rifugiati, dei quali 77.303 sono sbarcati nelle isole greche dalla Turchia.
Nel solo mese di febbraio gli arrivi
via mare in Grecia sono diminuiti a
causa del maltempo; nei primi dieci
giorni di questo mese sono arrivati
5.110 migranti rispetto ai 72.193 di
tutto il mese di gennaio. Tuttavia,
nel complesso le stime parlano di
un aumento degli arrivi.
Lunedì prossimo il direttore esecutivo di Frontex (l’agenzia europea per il controllo delle frontiere)
Fabrice Leggeri incontrerà il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il commissario Ue
all’Immigrazione e agli affari interni, Dimitris Avramopoulos, per discutere il coordinamento delle attività di soccorso e registrazione dei
migranti e dei rifugiati, dopo la decisione dell’Alleanza atlantica di
lanciare un’operazione nel mar
Egeo. Attualmente Frontex ha 775
persone, tra guardie ed esperti, impiegate sulle isole greche nel quadro dell’operazione di intervento
Poseidon. L’operazione conta anche su quindici imbarcazioni che
pattugliano le aree più soggette ai
flussi di migranti. «Lavoreremo a
stretto contatto con la Nato ed i
suoi membri per combattere i criminali che guadagnano miliardi di euro col traffico di esseri umani dalla
Turchia alla Grecia» ha spiegato
Leggeri.
E sempre nell’ottica di un maggior coordinamento degli sforzi per
gestire al meglio l’emergenza, il
cancelliere tedesco, Angela Merkel,
ha annunciato che la prossima settimana incontrerà il premier turco,
Ahmet Davutoğlu, a Bruxelles.
«Come nello scorso dicembre, ci incontreremo di nuovo nell’ambasciata austriaca con il capo del Governo turco per valutare lo stato
dell’agenda Ue-Turchia» ha detto
ieri Merkel durante una conferenza
stampa a Berlino. Il cancelliere ha
ulteriormente precisato che la disponibilità volontaria di alcuni Paesi ad accogliere gruppi di profughi
dalla Turchia, una volta che questa
abbia risolto il problema della migrazione illegale, «non ha niente a
che fare con un meccanismo permanente di redistribuzione».
Sale l’emergenza, intanto, a Calais, nel Nord della Francia. Il prefetto della regione Nord-Pas-de-Calais, Fabienne Buccio, ha annunciato ieri lo sgombero della cosiddetta
“giungla” di Calais, ossia la zona
dove si trovano accampati da mesi
migliaia di migranti e rifugiati in
attesa di attraversare la Manica e
arrivare in Gran Bretagna. «È arrivato il momento di passare a un’altra tappa; nessuno dovrà più vivere
nel campo» ha precisato Buccio,
spiegando che «tutti devono andare
via». Lo sgombero riguarderà «sette ettari» per una popolazione
complessiva di circa 800-1.000 persone. I migranti hanno una settimana di tempo per lasciare la zona. Si
tratta del primo sgombero da gennaio. Ormai da anni, nella cosiddetta “Lampedusa del Nord”, gli
operatori umanitari lanciano appelli
sulle condizioni disperate di rifugiati e migranti. Obiettivo del Governo è smantellare tutto, trasferendo i migranti in nuovi alloggi.
Nel frattempo, prosegue il confronto politico sulla strategia da
adottare. Tanti i nodi da sciogliere:
dal controllo alle frontiere ai processi di registrazione fino ai ricollocamenti. «Pensiamo che il problema dell’immigrazione sia europeo e
che nessun Paese possa essere lasciato solo a gestire questa grave situazione. Non si può essere solidali
a giorni alterni» ha detto ieri il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, al termine dell’incontro a
Palazzo Chigi con il cancelliere austriaco, Werner Faymann.
Protesta
degli agricoltori
greci
ATENE, 13. Con un meno 0,6 per
cento nel quarto trimestre, dopo
il meno 1,4 per cento dei tre mesi precedenti, l’economia della
Grecia è tornata ufficialmente in
recessione. Un dato atteso e quasi scontato, indicano gli analisti,
che rischia di certificare come il
pacchetto di risanamento concordato con l’Ue la scorsa estate sia
sempre più fuori portata. A meno, come dice il Fondo monetario internazionale, di un taglio
del debito o una riforma delle
pensioni davvero incisiva. E contro quella riforma centinaia di
agricoltori hanno protestato ieri
ad Atene di fronte al ministero
dell’Agricoltura. La stampa locale ha parlato di violenti scontri
tra polizia in assetto antisommossa e dimostranti, che hanno
incendiato cassonetti e lanciato
pomodori, sassi e bastoni contro
gli agenti. La protesta degli agricoltori proseguirà anche oggi.
Parigi teme
altri attentati terroristici
Il premier francese Manuel Valls alla conferenza sulla sicurezza a Monaco (Reuters)
BERLINO, 13. «Siamo in guerra perché il terrorismo ci combatte». Così
si è espresso oggi il premier francese, Manuel Valls, intervenendo alla
conferenza sulla sicurezza a Monaco. «Ci saranno altri attacchi e
grandi attentati, questo è certo. La
minaccia non diventerà minore, anche se noi lo vorremmo» ha aggiunto. «La minaccia è mondiale; la
battaglia al terrore durerà a lungo,
forse un’intera generazione» ha
spiegato ancora Valls, affermando
che bisogna trovare strategie oppor-
tune ed efficaci. «Esiste questa fascinazione ideologica, ci sono migliaia di estremisti in Francia, anche
tante donne». E, intanto, proseguono le ricerche di Salah Abdeslam e
Mohamed Abrini, nella lista dei terroristi fuggiti dopo le stragi di Parigi del 13 novembre. Gli inquirenti
sono ormai sicuri che un dodicesimo uomo abbia fatto perdere le sue
tracce dopo che il DNA ritrovato
sulla cintura esplosiva scoperta a
Montrouge si è rivelato diverso da
quello di Salah.
pagina 4
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 14 febbraio 2016
domenica 14 febbraio 2016
pagina 5
«Finalmente»
La dichiarazione comune firmata da Francesco e da Cirillo al termine dello storico incontro all’Avana
dal nostro inviato GAETANO VALLINI
Siamo fratelli
«Non siamo concorrenti ma fratelli». Lo
scrivono Papa Francesco e Cirillo, Patriarca
di Mosca e di tutta la Russia, nella
dichiarazione comune firmata al termine
dell’incontro svoltosi venerdì 12 febbraio,
all’aeroporto José Martí dell’Avana, a Cuba.
Di seguito pubblichiamo il testo italiano della
dichiarazione.
«La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore
di Dio Padre e la comunione dello Spirito
Santo siano con tutti voi» (2 Cor 13, 13).
1. Per volontà di Dio Padre dal quale viene ogni dono, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, e con l’aiuto dello Spirito Santo Consolatore, noi, Papa Francesco
e Kirill, Patriarca di Mosca e di tutta la
quasi mille anni, sono privati della comunione nell’Eucaristia. Siamo divisi da ferite causate da conflitti di un passato lontano o recente, da divergenze, ereditate dai
nostri antenati, nella comprensione e
l’esplicitazione della nostra fede in Dio,
uno in tre Persone — Padre, Figlio e Spirito Santo. Deploriamo la perdita dell’unità,
conseguenza della debolezza umana e del
peccato, accaduta nonostante la Preghiera
sacerdotale di Cristo Salvatore: «Perché
tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre,
sei in me e io in te, siano anch’essi in noi
una cosa sola» (Gv 17, 21).
6. Consapevoli della permanenza di numerosi ostacoli, ci auguriamo che il nostro
incontro possa contribuire al ristabilimento di questa unità voluta da Dio, per la
L’unità si fa camminando
Le parole del Papa
Dopo la firma della dichiarazione, il Patriarca e il Pontefice hanno pronunciato due brevi discorsi.
Di seguito una traduzione italiana delle parole in spagnolo del Papa.
Santità,
Eminenze,
Reverendi,
Abbiamo parlato come fratelli, abbiamo lo stesso Battesimo, siamo vescovi. Abbiamo parlato
delle nostre Chiese, e concordiamo sul fatto che l’unità si fa camminando. Abbiamo parlato
apertamente, senza mezze parole, e vi confesso che ho sentito la consolazione dello Spirito
Santo in questo dialogo. Ringrazio per l’umiltà Sua Santità, umiltà fraterna, e i suoi buoni
auspici di unità.
Abbiamo prospettato una serie di iniziative, che credo siano valide e che si potranno realizzare. Perciò voglio ringraziare, ancora una volta, Sua Santità per la sua benevola accoglienza,
come ugualmente i collaboratori, e ne nomino due: Sua Eminenza il Metropolita Hilarion e
Sua Eminenza il Cardinale Koch, con le loro équipe che hanno lavorato per questo.
Non voglio partire senza dare un sentito ringraziamento a Cuba, al grande popolo cubano
e al suo Presidente qui presente. Lo ringrazio per la sua disponibilità attiva. Di questo passo,
Cuba sarà la capitale dell’unità! E che tutto questo sia per la gloria di Dio Padre, Figlio e
Spirito Santo, e per il bene del santo Popolo fedele di Dio, sotto il manto della Santa Madre
di Dio.
Russia, ci siamo incontrati oggi a L’Avana. Rendiamo grazie a Dio, glorificato
nella Trinità, per questo incontro, il primo
nella storia.
Con gioia ci siamo ritrovati come fratelli nella fede cristiana che si incontrano per
«parlare a viva voce» (2 Gv 12), da cuore
a cuore, e discutere dei rapporti reciproci
tra le Chiese, dei problemi essenziali dei
nostri fedeli e delle prospettive di sviluppo della civiltà umana.
2. Il nostro incontro fraterno ha avuto
luogo a Cuba, all’incrocio tra Nord e Sud,
tra Est e Ovest. Da questa isola, simbolo
delle speranze del “Nuovo Mondo” e degli eventi drammatici della storia del XX
secolo, rivolgiamo la nostra parola a tutti i
popoli dell’America Latina e degli altri
Continenti.
Ci rallegriamo che la fede cristiana stia
crescendo qui in modo dinamico. Il potente potenziale religioso dell’America Latina, la sua secolare tradizione cristiana,
realizzata nell’esperienza personale di milioni di persone, sono la garanzia di un
grande futuro per questa regione.
3. Incontrandoci lontano dalle
antiche contese del “Vecchio
Mondo”, sentiamo con particolare forza la necessità di un lavoro comune tra cattolici e ortodossi, chiamati, con dolcezza e
rispetto, a rendere conto al mondo
della speranza che è in noi (cfr. 1
Pt 3, 15).
4. Rendiamo grazie a Dio per
i doni ricevuti dalla venuta nel
mondo del suo unico Figlio.
Condividiamo la comune Tradizione spirituale del primo millennio del cristianesimo. I testimoni di questa Tradizione sono
la Santissima Madre di Dio, la
Vergine Maria, e i Santi che veneriamo. Tra loro ci sono innumerevoli martiri che hanno testimoniato la loro fedeltà a Cristo e sono diventati “seme di
cristiani”.
5. Nonostante questa Tradizione comune dei primi dieci
secoli, cattolici e ortodossi, da
quale Cristo ha pregato. Possa il nostro
incontro ispirare i cristiani di tutto il mondo a pregare il Signore con rinnovato fervore per la piena unità di tutti i suoi discepoli. In un mondo che attende da noi
non solo parole ma gesti concreti, possa
questo incontro essere un segno di speranza per tutti gli uomini di buona volontà!
7. Nella nostra determinazione a compiere tutto ciò che è necessario per superare le divergenze storiche che abbiamo ereditato, vogliamo unire i nostri sforzi per
testimoniare il Vangelo di Cristo e il patrimonio comune della Chiesa del primo
millennio, rispondendo insieme alle sfide del mondo
contemporaneo.
Orto-
dossi e cattolici devono imparare a dare
una concorde testimonianza alla verità in
ambiti in cui questo è possibile e necessario. La civiltà umana è entrata in un periodo di cambiamento epocale. La nostra
coscienza cristiana e la nostra responsabilità pastorale non ci autorizzano a restare
inerti di fronte alle sfide che richiedono
una risposta comune.
8. Il nostro sguardo si rivolge in primo
luogo verso le regioni del mondo dove i
cristiani sono vittime di persecuzione. In
molti paesi del Medio Oriente e del Nord
Africa i nostri fratelli e sorelle in Cristo
vengono sterminati per famiglie, villaggi e
città intere. Le loro chiese sono devastate
e saccheggiate barbaramente, i loro oggetti sacri profanati, i loro monumenti distrutti. In Siria, in Iraq e in altri paesi del
Medio Oriente, constatiamo con dolore
l’esodo massiccio dei cristiani dalla terra
dalla quale cominciò a diffondersi la nostra fede e dove essi hanno vissuto, fin dai
tempi degli apostoli, insieme ad altre comunità religiose.
9. Chiediamo alla comunità internazionale di agire urgentemente per prevenire
l’ulteriore espulsione dei cristiani dal Medio Oriente. Nell’elevare la voce in difesa
dei cristiani perseguitati, desideriamo
esprimere la nostra compassione per le
sofferenze subite dai fedeli di altre tradizioni religiose diventati anch’essi vittime
della guerra civile, del caos e della violenza terroristica.
10. In Siria e in Iraq la violenza ha già
causato migliaia di vittime, lasciando milioni di persone senza tetto né risorse.
Esortiamo la comunità internazionale ad
unirsi per porre fine alla violenza e al terrorismo e, nello stesso tempo, a contribuire attraverso il dialogo ad un rapido ristabilimento della pace civile. È essenziale
assicurare un aiuto umanitario su larga
scala alle popolazioni martoriate e ai tanti
rifugiati nei paesi confinanti.
Chiediamo a tutti coloro che possono
influire sul destino delle persone rapite,
fra cui i Metropoliti di Aleppo, Paolo e
Giovanni Ibrahim, sequestrati nel mese di
aprile del 2013, di fare tutto ciò che è necessario per la loro rapida liberazione.
11. Eleviamo le nostre preghiere a Cristo, il Salvatore del mondo, per il ristabilimento della pace in Medio Oriente che è
“il frutto della giustizia” (cfr. Is 32, 17), affinché si rafforzi la convivenza fraterna tra
le varie popolazioni, le Chiese e le religioni che vi sono presenti, per il ritorno dei
rifugiati nelle loro case, la guarigione dei
feriti e il riposo dell’anima degli innocenti
uccisi.
Ci rivolgiamo, con un fervido appello, a
tutte le parti che possono essere coinvolte
nei conflitti perché mostrino buona volontà e siedano al tavolo dei negoziati. Al
contempo, è necessario che la comunità
internazionale faccia ogni sforzo possibile
per porre fine al terrorismo con l’aiuto di
azioni comuni, congiunte e coordinate.
Facciamo appello a tutti i paesi coinvolti
nella lotta contro il terrorismo, affinché
agiscano in maniera responsabile e prudente. Esortiamo tutti i cristiani e tutti i
credenti in Dio a pregare con fervore il
provvidente Creatore del mondo perché
protegga il suo creato dalla distruzione e
non permetta una nuova guerra mondiale.
Affinché la pace sia durevole ed affidabile,
sono necessari specifici sforzi volti a riscoprire i valori comuni che ci uniscono, fondati sul Vangelo di nostro Signore Gesù
Cristo.
12. Ci inchiniamo davanti al martirio di
coloro che, a costo della propria vita, testimoniano la verità del Vangelo, preferendo
la morte all’apostasia di Cristo. Crediamo
che questi martiri del nostro tempo, appartenenti a varie Chiese, ma uniti da una
comune sofferenza, sono un pegno
dell’unità dei cristiani. È a voi, che soffrite
per Cristo, che si rivolge la parola
giose non devono impedire alle persone di
fedi diverse di vivere nella pace e nell’armonia. Nelle circostanze attuali, i leader
religiosi hanno la responsabilità particolare di educare i loro fedeli in uno spirito rispettoso delle convinzioni di coloro che
appartengono ad altre tradizioni religiose.
Sono assolutamente inaccettabili i tentativi
di giustificare azioni criminali con slogan
religiosi. Nessun crimine può essere commesso in nome di Dio, «perché Dio non è
un Dio di disordine, ma di pace» (1 Cor
14, 33).
14. Nell’affermare l’alto valore della libertà religiosa, rendiamo grazie a Dio per
il rinnovamento senza precedenti della fede cristiana che sta accadendo ora in Russia e in molti paesi dell’Europa orientale,
dove i regimi atei hanno dominato per decenni. Oggi le catene dell’ateismo militan-
Possiamo lavorare insieme
L’auspicio del Patriarca
Di seguito una nostra traduzione italiana del discorso pronunciato in russo
dal Patriarca Cirillo.
Santità,
Eccellenze,
Cari fratelli e sorelle,
Signore e Signori,
Per due ore abbiamo tenuto una conversazione aperta, con piena intesa sulla responsabilità verso le nostre Chiese, il nostro popolo credente, il futuro del cristianesimo e il futuro della civiltà umana. È stata
una conversazione ricca di contenuto, che ci ha dato l’opportunità di
ascoltare e capire le posizioni l’uno dell’altro. E gli esiti della conversazione mi permettono di assicurare che attualmente le due Chiese possono cooperare, difendendo i cristiani in tutto il mondo, e lavorare insieme, con piena responsabilità, affinché non ci sia guerra, la vita umana venga rispettata ovunque nel mondo, si rafforzino le basi della morale personale, familiare e sociale e, attraverso la partecipazione della
Chiesa alla vita della società umana moderna, essa si purifichi nel nome di nostro Signore Gesù Cristo e dello Spirito Santo.
dell’apostolo: «Carissimi, ... nella misura
in cui partecipate alle sofferenze di Cristo,
rallegratevi perché anche nella rivelazione
della Sua gloria possiate rallegrarvi ed
esultare» (1 Pt 4, 12-13).
13. In quest’epoca inquietante, il dialogo interreligioso è indispensabile. Le differenze nella comprensione delle verità reli-
te sono spezzate e in tanti luoghi i cristiani possono liberamente professare la loro
fede. In un quarto di secolo, vi sono state
costruite decine di migliaia di nuove chiese, e aperti centinaia di monasteri e scuole
teologiche. Le comunità cristiane portano
avanti un’importante attività caritativa e
sociale, fornendo un’assistenza diversificata ai bisognosi. Ortodossi e cattolici spesso lavorano fianco a fianco. Essi attestano
l’esistenza dei fondamenti spirituali comuni della convivenza umana, testimoniando
i valori del Vangelo.
15. Allo stesso tempo, siamo preoccupati
per la situazione in tanti paesi in cui i cristiani si scontrano sempre più frequentemente con una restrizione della libertà religiosa, del diritto di testimoniare le proprie convinzioni e la possibilità di vivere
conformemente ad esse. In particolare,
constatiamo che la trasformazione di alcuni paesi in società secolarizzate, estranee
ad ogni riferimento a Dio ed alla sua verità, costituisce una grave minaccia per la libertà religiosa. È per noi fonte di inquietudine l’attuale limitazione dei diritti dei
cristiani, se non addirittura la loro discriminazione, quando alcune forze politiche,
guidate dall’ideologia di un secolarismo
tante volte assai aggressivo, cercano di
spingerli ai margini della vita pubblica.
16. Il processo di integrazione europea,
iniziato dopo secoli di sanguinosi conflitti,
è stato accolto da molti con speranza, come una garanzia di pace e di sicurezza.
Tuttavia, invitiamo a rimanere vigili contro
un’integrazione che non sarebbe rispettosa
delle identità religiose. Pur rimanendo
aperti al contributo di altre religioni alla
nostra civiltà, siamo convinti che l’Europa
debba restare fedele alle sue radici cristiane. Chiediamo ai cristiani dell’Europa
orientale e occidentale di unirsi per testimoniare insieme Cristo e il Vangelo, in
modo che l’Europa conservi la sua anima
formata da duemila anni di tradizione cristiana.
17. Il nostro sguardo si rivolge alle persone che si trovano in situazioni di grande
difficoltà, che vivono in condizioni di
estremo bisogno e di povertà mentre crescono le ricchezze materiali dell’umanità.
Non possiamo rimanere indifferenti alla
sorte di milioni di migranti e di rifugiati
che bussano alla porta dei paesi ricchi. Il
consumo sfrenato, come si vede in alcuni
paesi più sviluppati, sta esaurendo gradualmente le risorse del nostro pianeta. La
crescente disuguaglianza nella distribuzione dei beni terreni aumenta il sentimento
d’ingiustizia nei confronti del sistema di
relazioni internazionali che si è stabilito.
18. Le Chiese cristiane sono chiamate a
difendere le esigenze della giustizia, il rispetto per le tradizioni dei popoli e un’autentica solidarietà con tutti coloro che soffrono. Noi, cristiani, non dobbiamo dimenticare che «Dio ha scelto ciò che nel
mondo è stolto per confondere i sapienti,
Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole
per confondere i forti, Dio ha scelto ciò
che nel mondo è ignobile e disprezzato e
ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose
che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio» (1 Cor 1, 27-29).
19. La famiglia è il centro naturale della
vita umana e della società. Siamo preoccupati dalla crisi della famiglia in molti paesi. Ortodossi e cattolici condividono la
stessa concezione della famiglia e sono
chiamati a testimoniare che essa è un cammino di santità, che testimonia la fedeltà
degli sposi nelle loro relazioni reciproche,
la loro apertura alla procreazione e
all’educazione dei figli, la solidarietà tra le
generazioni e il rispetto per i più deboli.
20. La famiglia si fonda sul matrimonio,
atto libero e fedele di amore di un uomo e
di una donna. È l’amore che sigilla la loro
unione ed insegna loro ad accogliersi reciprocamente come dono. Il matrimonio è
una scuola di amore e di fedeltà. Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza
siano ormai poste allo stesso livello di
questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio, santificato dalla tradizione biblica,
viene estromesso dalla coscienza pubblica.
21. Chiediamo a tutti di rispettare il diritto inalienabile alla vita. Milioni di bambini sono privati della possibilità stessa di
nascere nel mondo. La voce del sangue di
bambini non nati grida verso Dio (cfr. Gen
4, 10).
Lo sviluppo della cosiddetta eutanasia
fa sì che le persone anziane e gli infermi
inizino a sentirsi un peso eccessivo per le
loro famiglie e la società in generale.
Siamo anche preoccupati dallo sviluppo
delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, perché la manipolazione
della vita umana è un attacco ai fondamenti dell’esistenza dell’uomo, creato ad
immagine di Dio. Riteniamo che sia nostro dovere ricordare l’immutabilità dei
principi morali cristiani, basati sul rispetto
della dignità dell’uomo chiamato alla vita,
secondo il disegno del Creatore.
22. Oggi, desideriamo rivolgerci in modo particolare ai giovani cristiani. Voi,
giovani, avete come compito di non nascondere il talento sotto terra (cfr. Mt 25,
25), ma di utilizzare tutte le capacità che
Dio vi ha dato per confermare nel mondo
le verità di Cristo, per incarnare nella vostra vita i comandamenti evangelici
dell’amore di Dio e del prossimo. Non abbiate paura di andare controcorrente, difendendo la verità di Dio, alla quale
odierne norme secolari sono lontane dal
conformarsi sempre.
23. Dio vi ama e aspetta da ciascuno di
voi che siate Suoi discepoli e apostoli.
Siate la luce del mondo affinché coloro che
vi circondano, vedendo le vostre opere buone,
rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli
(cfr. Mt 5, 14, 16). Educate i vostri figli
nella fede cristiana, trasmettete loro la perla preziosa della fede (cfr. Mt 13, 46) che
avete ricevuta dai vostri genitori ed antenati. Ricordate che «siete stati comprati a
caro prezzo» (1 Cor 6, 20), al costo della
morte in croce dell’Uomo-Dio Gesù Cristo.
24. Ortodossi e cattolici sono uniti non
solo dalla comune Tradizione della Chiesa
del primo millennio, ma anche dalla missione di predicare il Vangelo di Cristo nel
mondo di oggi. Questa missione comporta il rispetto reciproco per i membri delle
comunità cristiane ed esclude qualsiasi
forma di proselitismo.
Non siamo concorrenti ma fratelli, e da
questo concetto devono essere guidate tutte le nostre azioni reciproche e verso il
mondo esterno. Esortiamo i cattolici e gli
ortodossi di tutti i paesi ad imparare a vivere insieme nella pace e nell’amore, e ad
avere «gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti» (Rm 15, 5). Non si può quindi
accettare l’uso di mezzi sleali per incitare i
credenti a passare da una Chiesa ad un’altra, negando la loro libertà religiosa o le
loro tradizioni. Siamo chiamati a mettere
in pratica il precetto dell’apostolo Paolo:
«Mi sono fatto un punto di onore di non
annunziare il vangelo se non dove ancora
non era giunto il nome di Cristo, per non
costruire su un fondamento altrui» (Rm
15, 20).
25. Speriamo che il nostro incontro possa anche contribuire alla riconciliazione, là
dove esistono tensioni tra greco-cattolici e
ortodossi. Oggi è chiaro che il metodo
dell’“uniatismo” del passato, inteso come
unione di una comunità all’altra, staccandola dalla sua Chiesa, non è un modo che
permette di ristabilire l’unità. Tuttavia, le
comunità ecclesiali apparse in queste circostanze storiche hanno il diritto di esistere e di intraprendere tutto ciò che è necessario per soddisfare le esigenze spirituali
dei loro fedeli, cercando nello stesso tempo di vivere in pace con i loro vicini. Ortodossi e greco-cattolici hanno bisogno di
riconciliarsi e di trovare forme di convivenza reciprocamente accettabili.
26. Deploriamo lo scontro in Ucraina
che ha già causato molte vittime, innumerevoli ferite ad abitanti pacifici e gettato la
società in una grave crisi economica ed
umanitaria. Invitiamo tutte le parti del
conflitto alla prudenza, alla solidarietà sociale e all’azione per costruire la pace. In-
PAPA
DELLA
vitiamo le nostre Chiese in Ucraina a lavorare per pervenire all’armonia sociale,
ad astenersi dal partecipare allo scontro e
a non sostenere un ulteriore sviluppo del
conflitto.
27. Auspichiamo che lo scisma tra i fedeli ortodossi in Ucraina possa essere superato sulla base delle norme canoniche
esistenti, che tutti i cristiani ortodossi
dell’Ucraina vivano nella pace e nell’armonia, e che le comunità cattoliche del Paese
vi contribuiscano, in modo da far vedere
sempre di più la nostra fratellanza cristiana.
28. Nel mondo contemporaneo, multiforme eppure unito da un comune destino, cattolici e ortodossi sono chiamati a
collaborare fraternamente nell’annuncio
della Buona Novella della salvezza, a testimoniare insieme la dignità morale e la
libertà autentica della persona, «perché il
mondo creda» (Gv 17, 21). Questo mondo,
in cui scompaiono progressivamente i pilastri spirituali dell’esistenza umana, aspetta
da noi una forte testimonianza cristiana in
tutti gli ambiti della vita personale e sociale. Dalla nostra capacità di dare insieme
testimonianza dello Spirito di verità in
questi tempi difficili dipende in gran parte
il futuro dell’umanità.
29. In questa ardita testimonianza della
verità di Dio e della Buona Novella salvifica, ci sostenga l’Uomo-Dio Gesù Cristo,
nostro Signore e Salvatore, che ci fortifica
spiritualmente con la sua infallibile promessa: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il
suo Regno» (Lc 12, 32)!
Cristo è fonte di gioia e di speranza. La
fede in Lui trasfigura la vita umana, la
riempie di significato. Di ciò si sono potuti convincere, attraverso la loro esperienza,
tutti coloro a cui si possono applicare le
parole dell’apostolo Pietro: «Voi, che un
tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi
dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia» (1 Pt 2, 10).
30. Pieni di gratitudine per il dono della comprensione reciproca espresso durante il nostro incontro, guardiamo con speranza alla Santissima Madre di Dio, invocandola con le parole di questa antica preghiera: “Sotto il riparo della tua misericordia, ci rifugiamo, Santa Madre di Dio”.
Che la Beata Vergine Maria, con la sua intercessione, incoraggi alla fraternità coloro
che la venerano, perché siano riuniti, al
tempo stabilito da Dio, nella pace e
nell’armonia in un solo popolo di Dio,
per la gloria della Santissima e indivisibile
Trinità!
VESCOVO DI ROMA
CHIESA CATTOLICA
PATRIARCA
DI
E DI TUTTA LA
MOSCA
RUSSIA
12 febbraio 2016, L’Avana (Cuba)
Un testo pastorale
Durante il volo verso Città del Messico il Papa
ha parlato con i giornalisti dell’incontro con
Cirillo. Di seguito la trascrizione delle sue
parole.
Buonasera.
Credo che con la Dichiarazione che avete ricevuto [la Dichiarazione comune con il Patriarca Kirill], avete lavoro per tutta la notte
e per domani pure! Per questo non facciamo
domande e risposte. Ma vorrei dirvi i miei
sentimenti.
Prima di tutto, il sentimento di accoglienza e di disponibilità del presidente Castro. Io
avevo parlato con lui di questo incontro, l’altra volta, ed era disposto a fare tutto e abbiamo visto che ha preparato tutto per questo.
E bisogna ringraziare per questo.
Secondo: con il Patriarca Kirill. È stata
una conversazione tra fratelli. Punti chiari,
che preoccupano tutti e due, ne abbiamo
parlato. Con tutta franchezza. Io mi sono
sentito davanti a un fratello, e anche lui mi
ha detto lo stesso. Due vescovi che parlano
della situazione delle loro Chiese, per prima
cosa; e in secondo luogo, sulla situazione del
mondo, delle guerre, guerre che adesso rischiano di non essere tanto “a pezzi”, ma che
coinvolgono tutto; e della situazione dell’O rtodossia, del prossimo Sinodo panortodosso... Ma io vi dico, davvero, sentivo una
gioia interiore che era proprio del Signore.
Lui parlava liberamente e anche io parlavo liberamente. Si sentiva la gioia. I traduttori
erano bravi, tutti e due. È stato un colloquio
“a sei occhi”: il Patriarca Kirill, io, Sua Eminenza il Metropolita Hilarion e Sua Eminenza il Cardinale Koch, e i due traduttori. Ma
con tutta libertà. Parlavamo noi due, e gli altri se si faceva loro qualche domanda.
Terzo, si è fatto un programma di possibili
attività in comune, perché l’unità si fa camminando. Una volta io ho detto che se l’unità si fa nello studio, studiando la teologia e il
resto, forse verrà il Signore e ancora noi staremo facendo l’unità. L’unità si fa camminando, camminando: che almeno il Signore,
quando verrà, ci trovi camminando.
Poi abbiamo firmato questa Dichiarazione
che voi avete in mano: ci saranno tante interpretazioni, tante. Ma se c’è qualche dubbio,
padre Lombardi potrà dire il vero significato
della cosa. Non è una Dichiarazione politica,
non è una Dichiarazione sociologica, è una
dichiarazione pastorale, anche quando si parla del secolarismo e di cose esplicite, della
manipolazione biogenetica e di tutte queste
cose. Ma è pastorale: di due vescovi che si
sono incontrati con preoccupazione pastorale. E io sono rimasto felice. Adesso mi aspettano 23 km di papamobile aperta...
Vi ringrazio tanto per il vostro lavoro: fate
quello che potete! Grazie tante, grazie.
«Finalmente». La prima parola pronunciata
da Francesco dopo lo storico abbraccio con
Cirillo dice quanto questo momento fosse
da sempre sperato e troppo a lungo atteso.
«Siamo fratelli» ha aggiunto in spagnolo il
Papa ripetendo più volte la parola hermano.
«Adesso le cose sono più facili» ha detto il
Patriarca di Mosca e di tutta la Russia. «È
più chiaro che questa è la volontà di Dio»,
gli ha risposto il Pontefice. L’inverno ecumenico tra Roma e Mosca si è così dissolto
in un caldo pomeriggio di Cuba, con un
gesto che non cancella certo secoli di divisioni, ma che segna un nuovo, promettente
inizio. Un rilancio delle relazioni che passa
anche attraverso la prima dichiarazione
congiunta firmata da un Pontefice e da un
capo dell’ortodossia russa.
Annunciato a sorpresa appena una settimana fa, l’incontro destinato a lasciare un
segno nel cammino ecumenico è avvenuto
venerdì alle ore 14.25, ora locale, all’aeroporto internazionale José Martí dell’Avana,
dove l’aereo con a bordo Papa Francesco
era atterrato pochi minuti prima. Una deviazione dalla rotta che in origine avrebbe
dovuto portarlo direttamente in Messico,
dove il Pontefice è poi arrivato nel tardo
pomeriggio.
All’Avana si sono incrociate due visite
apostoliche. È stato l’incontro di due pellegrini. Cirillo infatti è da ieri a Cuba, tappa
iniziale del suo primo viaggio in America
latina che lo porterà a visitare in una decina
di giorni anche Paraguay e Brasile. Una
coincidenza, è stato detto, ma significativa,
perché l’isola caraibica ha un legame speciale con la Russia fin dai tempi dell’Unione Sovietica. Inoltre la storia degli ortodossi nell’isola
è cominciata tra il XVIII e il
XIX secolo con i primi emigrati russi. Ma Cuba è anche un Paese verso il quale
la Santa Sede e i Pontefici
hanno sempre guardato con
grande interesse e attenzione, come dimostrato dalle
tre visite papali e dalla mediazione, fortemente voluta
da Francesco, che ha portato alla storica ripresa delle
relazioni diplomatiche con
gli Stati Uniti. E soprattutto è un luogo lontano dalla
vecchia Europa, sempre più
secolarizzata ed evocatrice
di quelle divisioni e di quei
contrasti che finora avevano
reso impossibile questo incontro.
Di nuovo Cuba, dunque,
per quella che è una tappa
importantissima, per quanto
altrettanto breve, del cammino ecumenico.
All’arrivo Francesco è stato accolto dal presidente cubano Raúl Castro Ruz, che
gli aveva dato il benvenuto
appena cinque mesi fa per
la vista ufficiale. Erano anche presenti il nunzio apostolico, arcivescovo Giorgio
Lingua, salito a bordo del
velivolo con il capo del protocollo per il tradizionale
primo benvenuto, l’arcivescovo della capitale, cardinale Jaime Ortega y Alamino, l’arcivescovo di Santiago de Cuba e presidente
della Conferenza episcopale cubana, Dionisio Guillermo García Ibáñez, nonché il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio
Consiglio per la promozione dell’unità dei
cristiani, padre Hyacinte Destivelle, officiale
del medesimo dicastero, José Alcaide Manuel Borreguero, segretario della nunziatura
apostolica a Cuba, e monsignor Visvaldas
Kulbokas, della Segreteria di Stato, lituano,
che ha fatto da interprete al Papa durante il
colloquio con Cirillo.
Non ci sono dunque stati cerimoniali
particolari, né la presenza di rappresentanti
di fedeli e cittadini cubani. Dopo il cordiale
saluto di benvenuto, Castro ha accompagnato Francesco all’interno dell’aerostazione, fino all’ingresso della sala dove si è
svolto l’incontro. Sala in cui il Pontefice e il
Patriarca sono entrati da due diverse porte,
accomodandosi su due poltrone dietro le
quali spiccavano un crocifisso con ai lati le
bandiere del Vaticano e del Patriarcato. Dopo l’abbraccio e il tempo per i fotografi di
immortalare il momento consegnandolo così alla storia, Francesco e Cirillo hanno avuto l’incontro privato. Oltre ai rispettivi interpreti, erano presenti il metropolita Ilarione di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato, e il cardinale Koch, la cui presenza qui
a Cuba nei giorni di permanenza del Patriarca è stata chiesta direttamente dal Papa
come segno di cortesia.
Al termine dell’incontro, durato circa due
ore, c’è stato lo scambio dei doni. Francesco ha regalato a Cirillo un reliquiario con
una reliquia di san Cirillo che era custodita
nella parrocchia di San Clemente a Roma,
un calice con patena in argento — con la richiesta di pregare per lui e il desiderio di
poter un giorno celebrare insieme — e una
copia autografata dell’enciclica Laudato si’.
Il Patriarca ha ricambiato donando al Papa
una copia della Madonna di Kazan, di dimensioni più piccole dell’originale che venne restituito ad Alessio da Giovanni Paolo
II (che avrebbe desiderato compiere di persona questo gesto) e un suo libro riguardante questioni sociali.
Subito dopo i due si sono recati in una
sala attigua dove, presenti il presidente Castro e le rispettive delegazioni, hanno firmato la dichiarazione comune, redatta in due
copie, una in italiano e l’altra in russo. Un
documento importante, con significative
aperture e convergenze, dal tono solenne,
che affronta diversi temi cruciali, dettato
dalla situazione contingente, tra cui la comune preoccupazione per la sanguinosa
persecuzione nei confronti dei cristiani in
Medio oriente, che richiede una più stretta
cooperazione tra tutti i credenti in Cristo
ma anche interventi decisi da parte della
comunità internazionale. Così come per le
crisi in Siria e Iraq, in Ucraina, per il fenomeno dei profughi e dei migranti, per il terrorismo e le violenze perpetrate in nome di
Dio, per le limitazioni alla libertà religiosa,
per gli attacchi alla famiglia e alla vita. Ma
anche un documento in cui si deplora la
perdita dell’unità tra le due Chiese e si
esprime «determinazione a compiere tutto
ciò che è necessario per superare le divergenze».
Quindi il Papa e il Patriarca hanno preso
la parola, parlando a braccio, per due brevi
interventi. Cirillo ha sottolineato l’impor-
tanza di questo incontro per il futuro del
cristianesimo, con l’opportunità di aver
ascoltato le rispettive posizioni, verificato la
convergenza su diversi temi importanti, con
l’assicurazione che le due Chiese possano
cooperare per il futuro. Anche Francesco,
che ha detto di aver sentito la consolazione
dello Spirito, ha sottolineato che si studieranno una serie di iniziative che si spera di
poter attuare insieme. Il Papa ha anche ringraziato per l’opportunità il popolo cubano
e il suo presidente, al quale ha donato una
penna e consegnato una lettera di ringraziamento. Temi ripresi più tardi con i giornalisti sul volo verso il Messico.
Successivamente, dopo la presentazione
delle rispettive delegazioni ufficiali, Francesco e Cirillo si sono ritirati, accompagnati
da Castro, nella sala in cui si era svolto il
colloquio privato per congedarsi. Quindi il
Pontefice è stato accompagnato dal presidente cubano alla scaletta dell’aereo, che è
decollato alle 17.25.
In tutto la presenza del Papa a Cuba è
durata meno di tre ore e mezza ma sufficienti per scrivere un capitolo nuovo nel
cammino ecumenico. Un momento a lungo
atteso, ma che non era stato possibile realizzare nonostante gli sforzi dei suoi predecessori che pure lo avevano tenacemente
perseguito. Dunque un altro “muro” è crollato. Da oggi Roma e Mosca sono più vicine. Ma probabilmente anche altre distanze
che finora sembravano incolmabili si sono
accorciate.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
domenica 14 febbraio 2016
L’incontro tra Francesco e Cirillo sulla stampa internazionale
Un sorriso
contro secoli di divisione
l percorso è stato lungo,
difficile, ma alla fine il
traguardo è stato raggiunto. Così «The Guardian»,
nell’edizione del 13 febbraio, inquadra lo storico incontro a Cuba tra Papa Francesco e
il Patriarca Cirillo. Il titolo
dell’articolo, di Alce Luh, «Finalmente!» richiama l’esclamazione
di Francesco nell’atto di abbracciare il Patriarca, in modo da rendere ancor più evidente il significato di un incontro che ha potuto avere luogo grazie a un lavoro
lungimirante, accurato e paziente.
Il quotidiano britannico mette in
rilievo che le fonti sia della Chiesa cattolica sia della Chiesa ortodossa hanno tenuto a precisare
che l’avvenimento è “apolitico”,
radicato in un ben preciso impegno pastorale, diretto anzitutto
ad affrontare la drammatica questione dei cristiani in Medio
oriente. Al riguardo nell’articolo
I
I tempi di Dio
di MARCELO FIGUEROA
ell’economia dei tempi di Dio, “mille anni
sono come un giorno”
(cfr. Salmo 90, 4).
Francesco, un “tempista”
paziente del kairòs divino,
non ha posto condizioni
all’incontro con il Patriarca
Cirillo. “Un giorno” dopo la
chiamata di Gesù agli apostoli ci fu lo scandalo dello
scisma, e “all’indomani” di
quella divisione, il Signore e
il mondo sono stati testimoni
dell’abbraccio del rincontro.
Il dialogo, il dibattito sincero, i gesti attenti, la reciproca diplomazia di altissimo
livello e rispetto sono stati
importanti, ma, parafrasando
N
La storia tra la Chiesa cattolica
e la Chiesa ortodossa considererà
la giornata odierna
punto di svolta verso l’unità
Tertulliano, il seme di questo
incontro è il sangue dei martiri.
La dichiarazione comune,
ricca di speranza, di parole
d’inusitata freschezza sacramentale e di visioni etiche
condivise, menziona l’unione
storica dei martiri comuni dei
primi secoli. Questa unione
primigenia, suggellata con il
sangue apostolico della Chiesa nascente, è, in questo testo, un chiaro punto di partenza. Perciò la persecuzione
attuale dei cristiani di tutte le
confessioni diviene un punto
di arrivo che non si può nascondere dove le giurisdizioni
delle Chiese cancellano i propri limiti.
L’ecumenismo per il quale
Gesù pregò (cfr. Giovanni 17,
21) è un cammino. In questo
transitare i gesti superano le
parole e i minuti eclissano i
secoli. Sia il Vescovo di Roma sia il Patriarca di Mosca
sanno che il cammino da percorrere per un’unione visibile
di questa diversità riconciliata
sarà lungo. Tuttavia Francesco e Cirillo sono pienamente
consapevoli che la storia tra
la Chiesa cattolica e la Chiesa
ortodossa considererà la giornata odierna il punto di svolta verso l’unità spirituale.
È probabile che nel profondo della mente e del cuore, Francesco, che tante volte,
per illustrare la necessità del
dialogo interreligioso, ha parlato dell’incontro di Giuseppe con i suoi fratelli (cfr. Giovanni, 50, 19-21), abbia oggi
ricordato la chiamata degli
apostoli. E di fatto la voce
stessa di Gesù risuona ancora
nel cosmo: «vi farò diventare
pescatori di uomini» (Marco,
1, 17).
Oggi quell’abbraccio e
quell’incontro avvenuto in
quel “non luogo” sono stati il
tempo e lo spazio del cosmo
ecumenico atemporale. Come
se di nuovo gli apostoli avessero guardato Gesù, fossero
scesi per un po’ dalla loro
barca e avessero iniziato un
tempo nuovo di annuncio del
Regno di Dio, della sua giustizia e della sua pace.
situazioni internazionali, dal conflitto in Siria al flusso dei rifugiati
in Europa, potrebbero conoscere
una svolta positiva.
In un articolo di John L. Allen
Jr. e Inés San Martín sul «Boston
Globe» di sabato 13 vi è il dettagliato elenco di tutti i punti della
dichiarazione firmata dal Papa e
da Cirillo. A commento si sottolinea come tale documento abbia il
merito di comprendere le essenziali questioni che attualmente interpellano la comunità internazionale: una dichiarazione che, di
conseguenza, si pone anche come
un memento per tutti coloro che,
to dell’Avana. Ma è anche questa
dimensione di semplicità che concorre a dare un impatto ancor
maggiore, rileva Jim Yardely, a un
«passo storico». Il quotidiano
newyorkese mette in rilievo che
per decenni si è cercato di sanare
le divisioni tra la Chiesa cattolica
e la Chiesa ortodossa e ora grazie
all’impegno ecumenico di Papa
Francesco — uno dei cardini del
suo magistero — questo incontro
ha potuto avere luogo. E ciò apre
promettenti prospettive per il futuro lungo il cammino del dialogo religioso e anche in uno scenario ancora più ampio.
a vario titolo e a vari livelli, sono
chiamati ad affrontare e risolvere i
tanti problemi nel mondo.
«The New York Times» del 13
febbraio rileva come un incontro
così importante si sia tenuto in
un particolare contesto logistico,
ovvero in una saletta dell’aeropor-
Grande risalto all’avvenimento
è stato dato dalla stampa italiana.
Il «Corriere della Sera» di sabato
13 mette in evidenza, in un articolo di Gian Guido Vecchi, che
l’abbraccio tra Francesco e Cirillo
serve per riaprire il dialogo. Si è
trattato di un momento storico
«The Washington Post» evidenzia
che l’avvenimento è pastorale
Ma potrebbe contribuire a sciogliere
anche nodi di carattere politico
si cita il portavoce di Cirillo, Alexander Volkov, il quale afferma
che «al cento per cento l’incontro
non ha alcun rapporto con la politica».
Sul carattere storico dell’incontro pone l’accento «The Washington Post» del 13 febbraio. In particolare si rileva come da questo
avvenimento i temi dell’unità e
del dialogo possano beneficiare di
un nuovo slancio e di un’attenzione ancor più forte. Nell’articolo Nick Miroff sottolinea come in
questo scenario il dramma della
persecuzione dei cristiani in Medio oriente acquista un’importanza maggiore e si potrebbe quindi
sottrarre dal rischio di essere sottovalutato o addirittura marginalizzato. Anche «The Washington
Post» ricorda che l’incontro fra il
Papa e Cirillo ha un carattere solo pastorale, ma nello stesso tempo indica l’eventualità che proprio grazie a tale avvenimento anche alcuni nodi di carattere politico, che caratterizzano determinate
tra le due Chiese cristiane divise
da uno scisma millenario.
In un altro articolo, firmato da
Luigi Accattoli, si sottolinea come
il Papa della «Chiesa in uscita»,
voglia che essa raggiunga le popolazioni più vaste e più lontane
rispetto al centro romano della
cattolicità. L’idea che ha Francesco è un’idea missionaria a tutto
campo che, nell’intenzione, non
sottostà a nessuna regola politica
o ideologica: anzi mira a sovvertirle o a eluderle per ottenere
l’obiettvo di avvicinamento a ogni
umanità.
Nell’editoriale su «Avvenire» di
sabato 13, Enzo Bianchi sottolinea
che l’incontro e le parole scambiate tra i due su come difendere la
presenza delle antichissime Chiese in Medio oriente e in Africa,
«un giorno si riveleranno molto
più decisivi delle parole del comunicato, che certamente contiene novità di aperture e accenti
ecumenici».
È da Cuba che riparte un percorso di di riconciliazione tra cattolici e ortodossi, sottolinea «El
País» di sabato 13. Il Patriarca Cirillo, rileva nell’articolo Pablo Ordaz, è riuscito a mettere ordine,
grazie a un paziente lavoro, nelle
strutture di una Chiesa «dispersa
e paralizzata». Francesco ha tracciato, in maniera sempre più profonda, una linea sinodale, nell’ottica dell’ascolto e del dialogo. Sono questi i presupposti che hanno
reso possibile l’incontro all’Avana.
Dal canto suo il quotidiano spagnolo «Abc», in un articolo di
Juan Vicente Boo, definisce l’abbraccio tra Francesco e Cirillo un
gesto che rompe con secoli di divisione in Europa: una divisione
che «non ha più senso nel mondo
di oggi».
Anche sui giornali polacchi
l’avvenimento è stato trattato con
particolare attenzione. «La storia
riparte al galoppo» scrive Jan
Turnau su «Gazeta Wyborcza».
Ed evidenzia: «Il Papa che rompe
tutti gli schemi che dividono le
persone, che usa come lasciapassare il Vangelo, è riuscito ad arrivare al cuore del Patriarca».
«Le Figaro» di sabato 13, in un
articolo di Jean-Marie Guénois,
rileva che «a volte la storia offre
scorciatoie folgoranti»: un sorriso,
una stretta di mano, qualche secondo bastano per «sgretolare secoli di divisione».
Anniversario delle Patronas messicane
di SILVINA PÉREZ
ono le 9 del mattino e Norma Vázquez Romero accende come ogni
giorno il fuoco dei due pentoloni
di quasi un metro di diametro in
una grande cucina umile ma molto
ordinata di un piccolo villaggio messicano
diventato punto nevralgico della migrazione
tra America Centrale e Stati Uniti.
Lei, insieme a un gruppo di diciotto donne della sua famiglia cucinano senza sosta
tutti i giorni, quattro volte al giorno, dal 14
febbraio 1995. E così oggi festeggiano il loro
anniversario. Acqua, riso e fagioli infilati
dentro semplici buste di plastica in modo da
poter essere lanciati a chi viaggia come clandestino con la Bestia, il treno merci che percorre tutto il Messico. E una delle linee ferroviarie collegata a Città del Messico, principale via di trasporto per centinaia di migranti provenienti dall’America Centrale.
Aggrappate al treno centinaia e centinaia di
persone: in alto sopra i vagoni attendono
con ansia l’arrivo alla frazione La Patrona,
del Comune di Amatlán de los Reyes, in Veracruz, si allungano nel vuoto tenendosi a finestrini e maniglie per prendere i sacchetti
delle donne che si trovano vicino alle rotaie
e che tutti chiamano le Patronas.
Treno carico di speranze
S
Un minorenne migrante cerca di salire sul convoglio merci
Il treno fischia e le donne iniziano a darsi
da fare. Qualche frutto e qualche cucchiaio
di riso in una busta di plastica ben annodata
e una bottiglia d’acqua. Il tutto lanciato con
perizia dal bordo dei binari attraverso i portelloni aperti dei vagoni, con il loro carico di
uomini, donne, bambini e speranze. Il carico
umano che è arrivato fin qui ha già percorso
centinaia di chilometri con ogni mezzo, a
piedi, in barca, in pullman. Accade questo
da 21 anni. Le Patronas hanno fondato
un’associazione che rappresenta «un modo
concreto di mettere in pratica la fede cattolica e di servire Gesù nei fratelli». Leónida
Vázquez ha 75 anni e la chiamano Patrona,
nonna, e ricorda chiaramente l’inizio di questa storia. «Un giorno le mie figlie sono andate a comprare del pane. Ritornando a casa
videro un treno carico di migranti. Venivano
da Guatemala, Honduras, Nicaragua. Si fermarono davanti a quei vagoni e fu allora che
quegli uomini iniziarono a chiedere il pane.
Quando ritornarono a casa, non avevano il
pane e domandai il perché. Mi risposero che
sul treno c’era molta gente, che le supplicava
per un po’ di cibo. In questo momento le
ho abbracciate forte e gli dissi che andava
bene così. E questo è stato l’inizio, il primo
gesto delle Patronas».
Hanno ricevuto piccole donazioni da
commercianti locali e fondazioni internazionali. Oggi, uno dei risultati più visibili del
loro lavoro è un piccolo albergo costruito a
Dal 14 febbraio 1995
donne di un piccolo villaggio preparano
e mettono in sacchetti di plastica
il cibo per i migranti
aggrappati ai vagoni
pochi metri dalla loro grande cucina comunitaria, un primo alloggio di emergenza per
tutti i migranti che ne hanno bisogno. La loro storia è diventata famosa e le donne veracruzane sono riuscite a costruire un progetto
sempre più grande. «Bisogna provare la povertà per darsi una ragione, il bisogno di
credere che ci sia qualcosa di più della miseria e dell’abbandono, sono più forti di qual-
siasi muro, di qualsiasi fiume, di qualsiasi
mafia, di qualsiasi crisi. È la forza di chi non
ha nulla da perdere» sostiene la leader delle
donne di Veracruz. Per Norma la situazione
in Messico somiglia «alla tragedia umanitaria che osservate nel Mediterraneo». Nel suo
essere terra di transito verso gli Stati Uniti,
il Messico dei flussi migratori provenienti da
tutta l’America meridionale somiglia all’Italia di chi sbarca a Lampedusa puntando ai
paesi del Nord Europa.
Ogni anno, in quattro, cinquecentomila
entrano dal Chiapas imboccando la rotta del
Pacifico verso California e Arizona, o costeggiando l’Atlantico per Veracruz e il Tamaulipas. «Il Papa che viene per compiere un pellegrinaggio per noi messicani è un grande
dono. Ma ciò che conta sarà anche quello
che rimarrà dopo questa visita. Le conseguenze che avrà sulla nostra comunità e sul
nostro modo di vivere» sostiene Norma Vázquez Romero.
Le Patronas sono state insignite del più
importante dei riconoscimenti nazionali: il
premio nazionale per la difesa dei diritti
umani del 2013. Il vescovo della diocesi di
Saltillo (Messico), José Raúl Vera López, è
stato uno dei primi a chiedere un riconoscimento internazionale per questo gruppo di
donne che gratuitamente lavorano a favore
dei migranti.
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 14 febbraio 2016
pagina 7
Portale multimediale del Celam per il viaggio in Messico
Il Papa
minuto per minuto
WASHINGTON, 13. Mentre Papa
Francesco arriva in Messico, negli
Stati Uniti cresce la mobilitazione
delle comunità cristiane in favore
degli immigrati. Così, se l’episcopato cattolico, da sempre apertamente
schierato per una modifica in chiave
meno restrittiva dell’attuale normativa, attende dalle parole del Pontefice un arricchimento per l’intero Paese, il Church World Service, servizio
luterano per l’immigrazione e i rifugiati, rende noto in queste ore che
almeno una cinquantina di chiese
protestanti si sono offerte di dare rifugio agli immigrati privi di documenti che sono minacciati di espulsione dalle autorità federali competenti. Un luogo di culto, viene spiegato, ovviamente non può in maniera legale offrire rifugio agli immigrati, tuttavia gli uomini dell’Immigration and Customs Enforcement
(Ice) di fatto evitano di entrare nelle
scuole pubbliche, negli ospedali e
nelle chiese, considerati come luoghi
“inviolabili”.
La presa di posizione delle chiese
protestanti richiama da vicino la
strategia adottata dal «Movimiento
de Santuario», nato agli inizi degli
anni Ottanta del secolo scorso sempre negli Stati Uniti, come risposta
al dramma di chi fuggiva in cerca di
rifugio dalla violenza e dalla guerra
dell’America centrale. Gli attivisti
del movimento, applicando alla lettera il concetto biblico di “santuario”, diedero accoglienza agli stranieri nei loro templi, equiparati a
luoghi sacri che nessuna autorità di
polizia poteva violare. In quegli anni, centinaia di chiese americane offrirono un tetto agli immigrati. Tuttavia, allora a nessuno venne riconosciuto lo status di rifugiato politico,
sebbene fossero evidenti le repressioni, le persecuzioni e le violazioni dei
Le comunità cristiane degli Stati Uniti impegnate nell’accoglienza
In difesa dei migranti
diritti umani da cui fuggivano. L’attuale mobilitazione delle cinquanta
chiese degli Stati Uniti, arriva dopo
che più di cento persone, provenienti da Guatemala, El Salvador e
Honduras, entrate negli Stati Uniti
illegalmente, sono state arrestate
dall’Ice. «Siamo disposti a combattere questa legge con i denti e con
le unghie», ha dichiarato al «Los
Angeles Times» il pastore Fred
Morris, che guida la North Hills
United Methodist Church. Morris —
ricorda Riforma.it, il quotidiano online delle chiese evangeliche battiste,
metodiste e valdesi in Italia — è sopravvissuto alla detenzione e alla
tortura in Brasile durante la dittatura militare nel 1974 e conosce in prima persona gli orrori della violenza
in America latina. E la sua chiesa è
una delle tre che a Los Angeles si
sono offerte di dare rifugio ai centroamericani raggiunti da un ordine
di espulsione.
Per Alexia Salvatierra, pastora luterana a Los Angeles, l’arresto dei
cento latinoamericani è stato il
«punto di non ritorno». Secondo il
Church World Service, si tratta, infatti, di una palese violazione dei diritti umani.
Sulla vicenda, va ricordato, nelle
scorse settimane era intervenuta con
fermezza anche la Conferenza episcopale cattolica che aveva esplicitamente chiesto al Governo di sospendere le retate e l’espulsione delle famiglie centroamericane senza documenti in regola. «Queste azioni hanno generato paura tra gli immigrati
e hanno causato nelle loro comunità
un calo di fiducia nelle forze dell’ordine», si legge nella lettera indirizzata a Jeh Johnson, segretario della
sicurezza nazionale, dal vescovo ausiliare di Seattle e presidente della
commissione episcopale per l’immigrazione, Eusebio L. Elizondo, e dal
vescovo di Orange in California,
Kevin William Vann, presidente del
Catholic Legal Immigration Network. Nel documento i presuli ricordano anche come già nel novembre
2014 il presidente Barack Obama
avesse assicurato che il Governo statunitense avrebbe perseguito l’espulsione dei criminali e dei membri
delle bande, ma non delle famiglie,
dei bambini o delle madri «che lavorano duramente per mantenere i
loro figli». Una prospettiva a più riprese sostenuta dall’episcopato che
ha anche chiesto al Congresso di sostenere «gli sforzi umanitari» nei
Paesi latinoamericani in modo da
contribuire «a eliminare la violenza
e a fermare le situazioni che costringono le persone ad abbandonare le
proprie case».
Su tutto ciò, ovviamente, promette di gettare una nuova luce di speranza il viaggio del Pontefice nel vicino Messico. Anche perché sono
messicani circa la metà degli immigrati senza permesso di soggiorno
presenti negli Stati Uniti. La visita
del Papa, ha dichiarato l’arcivescovo
di Louisville, Joseph Edward Kurtz,
presidente dell’episcopato statunitense, «è un invito a vedere i nostri
fratelli e sorelle come compagni di
pellegrinaggio, in cammino verso
Cristo. Accettando questo invito,
noi abbracciamo la nostra storia come nazione di immigrati».
Allarme per la carenza di farmaci e assistenza in Venezuela
Nota dei presuli del Guatemala
La salute un diritto per i cittadini
un dovere per lo Stato
I giovani
non hanno bisogno
di falsi diritti
CARACAS, 13. La salute è un diritto umano e non può dipendere da interessi ideologici di
gruppi, istituzioni o Governi: la
«situazione di profonda crisi del
settore sanitario che tutti sperimentiamo ci deve sensibilizzare
di fronte alla sofferenza, considerata fino a ora “altrui” ma che
nelle circostanze che stiamo vivendo deve diventare “propria”». In occasione della Giornata mondiale del malato (11
febbraio), la Commissione giu-
tualmente in Venezuela c’è molta sofferenza nei centri sanitari
come nelle nostre famiglie».
Nel documento — firmato
dall’arcivescovo di Coro, Roberto Lückert León, presidente della commissione — si esprime
preoccupazione per «la minaccia permanente di una “cultura
della morte”», per «un mondo
disumanizzato dove le cose
create (politica, economia, cultura) sono state poste sopra il
loro creatore».
stizia e pace della Conferenza
episcopale venezuelana ha pubblicato un comunicato nel quale
elenca i numerosi problemi che
affliggono il sistema sanitario
nazionale, invitando a «non
perdere la speranza ma ad attivarci come popolo per esigere i
nostri diritti compiendo i nostri
doveri, specialmente il diritto
alla salute e alla vita, il diritto a
curarci e a vivere in modo armonioso con i nostri simili e
con la natura».
Papa Francesco, si legge, «ci
ha esortato a toccare la sofferenza dell’altro, e sappiamo che at-
Il presule parla di un profondo deterioramento del sistema
sanitario, dovuto «non solo alla
mancanza di assistenza negli
ospedali pubblici a causa della
carenza di medici e di forniture
sanitarie elementari». Ci sono,
sottolinea, «situazioni ancora
più complesse, in cui le famiglie
povere fanno l’impossibile per
ottenere le cure per i loro congiunti infermi. Tutto questo come conseguenza dei limiti nella
ripartizione delle risorse economiche, umane e materiali o
dell’uso inadeguato delle stesse». Negli ultimi mesi, si affer-
ma nella nota, si sarebbe verificata una sistematica carenza di
farmaci per ogni tipo di malattia, in particolare per patologie
legate al diabete, all’ipertensione, all’epilessia, all’hiv, a complicazioni cardiovascolari. Tutto
questo è già costato la vita a
molte persone. Si tratta fra l’altro di una situazione denunciata
da tempo dalle associazioni dei
medici e dei farmacisti, «ai quali lo Stato non ha prestato attenzione, non essendo una priorità politica».
Mancano anche prevenzione,
vigilanza e controllo sanitario.
Si spiegherebbe così «la recrudescenza di malattie infettive
contagiose come la malaria
(136.402 casi) e la dengue
(54.152), l’incapacità di rispondere tempestivamente a nuove
minacce per la salute rappresentate dalla chikungunya (16.293
casi) e dallo zika (412.962 al 23
gennaio 2016), e la ricomparsa
di altre patologie endemiche».
Ma la Commissione di giustizia
e pace elenca altre disfunzioni
del sistema sanitario nazionale e
lancia l’allarme sulla crescente
malnutrizione nei settori più
poveri della popolazione.
L’episcopato
venezuelano
chiede di conseguenza allo Stato e al Governo di «dare priorità, nell’agenda politica e finanziaria del Paese, al tema dei farmaci e degli alimenti in modo
da bloccare malattie che fino a
poco tempo fa sembravano sotto controllo». Inoltre sollecita la
Caritas, pastorale della salute e
organizzazioni sociali a promuovere campagne di informazione sulle misure basilari di
igiene per evitare il contagio e
la propagazione di patologie virali. Tutto questo per «evitare
che muoiano persone per mancanza di medicine, cibo o assistenza medica».
CITTÀ DEL GUATEMALA, 13. Il progetto di legge sulla gioventù attualmente al vaglio del Parlamento
guatemalteco promuove dei falsi
diritti sessuali, finendo per incoraggiare le pratiche contraccettive
e, in ultima istanza, anche l’aborto. È quanto sostiene la Conferenza episcopale del Guatemala, in un
comunicato a firma del suo presidente, il vescovo di Vera Paz, Rodolfo Valenzuela Núñez. Nel documento si esprimono osservazioni
severamente critiche in particolare
nei confronti di due articoli del testo di legge, il 10 e l’11, che promuovono una visione della sessualità ridotta a pura genitalità. Soprattutto, viene denunciato, si intende promuovere un tipo di educazione sessuale basata sull’ideologia di genere che distorce la natura
umana.
L’intervento fa seguito all’inizio
della discussione in Parlamento, lo
scorso 4 febbraio, del progetto di
legge sul tema. Per i vescovi, i sostenitori della nuova normativa
«rendono palpabile una visione riduttiva della persona e sottolineano il loro interesse nello spingere i
propri programmi verso ideologie
promosse da organizzazioni internazionali». E facendo ciò, ribadiscono i presuli, si censura completamente «l'approccio antropologico» a un tema così delicato. Quanto all’incoraggiamento delle pratiche contraccettive, i vescovi invitano a fare tesoro delle esperienze di
altri Paesi, «dove questo tipo di
educazione sessuale, finalizzato alla riduzione delle gravidanze tra
gli adolescenti e delle infezioni
delle malattie sessualmente trasmissibili, è risultata controproducente». Si esortano i deputati a legiferare, invece, «in favore dei diritti costituzionali: il diritto alla vita, all’integrità e alla sicurezza della persona».
BO GOTÁ, 13. Web, twitter, facebook,
YouTube, Instagram: un’estesa piattaforma multimediale è stata messa
in campo dal Dipartimento di comunicazione e stampa del Consiglio episcopale latinoamericano
(Celam) in occasione del viaggio di
Papa Francesco. Obiettivo: documentare minuto per minuto un
«evento storico».
Attraverso gli organismi di comunicazione delle conferenze episcopali dell’America latina e dei Caraibi, tutti i media sono stati invitati a
unirsi per dare copertura alla visita
papale in Messico.
Il Celam può contare su un team
di giornalisti in grado di offrire un
servizio informativo attraverso il
portale comunicacioncelam.org, dal
quale è possibile riprendere il segnale radio e televisivo e accedere
ai canali dedicati delle reti sociali:
facebook
(comunicacioncelam),
twitter
(@Comunica_CELAM)
e
YouTube (celamtv).
Su queste piattaforme saranno
disponibili comunicati stampa, fotografie, dirette audio e video di
tutti gli incontri che il Pontefice
avrà durante la visita a Città del
Messico, Ecatepec, Tuxtla Gutiérrez, San Cristóbal de Las Casas,
Morelia e Ciudad Juárez. Questo
servizio di informazione è reso possibile grazie al sostegno della Rete
dei media cattolici del Centro America, Messico e Caraibi (Redcam) e
con la speciale collaborazione della
Rete informatica della Chiesa in
America latina (Riial).
«Il Centro virtuale di comunicazioni — spiega il dipartimento del
Celam — vuole costruire fraternità
ed essere un servizio per i fedeli. In
questo modo desideriamo vivere
l’esperienza della collegialità come
Chiesa e come operatori dei mezzi
di informazione cattolici e sociali,
per l’edificazione della comunità
umana sotto la luce dello Spirito
santo».
I vescovi peruviani in vista del voto di aprile
L’onestà
al primo posto
LIMA, 13. A due mesi dalle elezioni politiche generali in programma il 10 aprile, la Conferenza episcopale peruviana interviene sulla situazione nel
Paese con un documento nel
processi di democrazia e legalità; il rispetto della vita e del
creato; la lotta alla corruzione e
all’insicurezza; una crescita economica che non dipenda dalle
attività estrattive; una maggiore
quale non nasconde la soddisfazione per un appuntamento
che dà continuità alla democrazia ma anche «una certa tristezza e perplessità nel vedere come si sta sviluppando la campagna elettorale». In particolare, le liste sembrano «aver lasciato da parte la proposta programmatica, i piani di governo
non appaiono vincolanti di
fronte alla società, su alcuni dei
principali leader pesano forti
interrogativi e procedimenti
giudiziari in corso». Si dà l’impressione che «in politica tutto
sia lecito», mentre «il nostro sistema politico è ferito da elevati indici di corruzione».
Il documento — riferisce il
Sir — si concentra su specifici
punti (corruzione, custodia del
creato, difesa della vita, promozione di un’autentica democrazia basata sull’etica) e su alcune priorità per la nazione, a cominciare dall’esigenza di uno
sviluppo integrale e sostenibile
che non metta al primo posto
infrastrutture o profitto economico, ma l’esigenza, per tutti,
di «vivere in pace, con uguali
opportunità, e sentirsi sicuri e
rispettati nella propria dignità,
senza discriminazioni, mettendo al bando la persistente povertà, la mancanza di democrazia e la disuguaglianza educativa». Da qui alcune questioni
centrali che vengono poste dai
vescovi: il rafforzamento dei
vicinanza dello Stato al cittadino.
L’episcopato peruviano esorta i cittadini a guardare al profilo e alla coerenza dei candidati e a privilegiare programmi
realizzabili. Ai cristiani si chiede di partecipare all’azione politica con un atteggiamento di
servizio al bene comune, proprio dei valori evangelici: «Non
permettiamo che l’attività politica sia monopolizzata da coloro che si preoccupano solo degli interessi propri o del loro
partito».
Lutto nell’episcopato
Monsignor Barry Philip Jones, vescovo di Christchurch, in Nuova
Zelanda, è morto nelle prime ore
di sabato 13 febbraio al Nurse
Maude hospital per un infarto.
Nato il 29 settembre 1941 a Rangiora, nella diocesi di Christchurch, era stato ordinato sacerdote il 4 luglio 1966. Nominato coadiutore del vescovo di Christchurch il 28 giugno 2006, aveva
ricevuto l’ordinazione episcopale il
4 ottobre successivo E il 4 maggio
2007 era divenuto vescovo di
Christchurch, succedendo appunto per coadiuzione.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
domenica 14 febbraio 2016
Cari fratelli messicani
siete nel mio cuore,
affidiamoci alla Vergine di Guadalupe
perché non smetta di guardarci
con tenerezza
(@Pontifex_it)
Il Messico in festa ha accolto Papa Francesco
Fiume di luci
È stata una vera e propria festa quella organizzata per l’arrivo di Francesco all’aeroporto di città del Messico venerdì sera,
12 febbraio, con giochi di luci, bandierine
colorate, gruppi musicali nei costumi tradizionali, canti, balli e cori da stadio. E
davvero sembrava uno stadio l’area antistante l’hangar presidenziale, attrezzata
con enormi tribune stracolme di gente,
ben cinquemila persone, dove si è svolta
la cerimonia di benvenuto. Cinquemila
Il clima di attesa era tale che le persone
presenti hanno cominciato a cantare e a
esultare appena l’aereo papale è atterrato,
poco dopo le 19. Un entusiasmo che è
cresciuto quando il portellone si è aperto,
in attesa che si affacciasse la sagoma bianca. Ma prima che ciò avvenisse, come di
consuetudine, il nunzio apostolico, arcivescovo Christophe Pierre, è salito a bordo
dell’aereo con il capo del protocollo per
dare il primo benvenuto a Francesco. Il
quale, appena apparso in cima alla scaletta, è stato sommerso dal chiassoso saluto
persone che hanno fatto sentire tutto il loro affetto e il loro calore all’ospite. E non
poteva essere altrimenti. I messicani di Papi ne hanno già accolti due negli ultimi 37
anni: Giovanni Paolo II per cinque volte e
Benedetto XVI nel 2012. Ogni volta è stata
una festa. Ma l’arrivo di Francesco non
poteva non avere un sapore diverso. È un
Pontefice latinoamericano. È uno di loro,
e già questo rende la sua visita speciale. E
così non poteva che essere speciale il benvenuto.
dei presenti. Tutto in perfetto stile latinoamericano. Un entusiasmo che certo non
è sfuggito a Francesco, che ha ricambiato
il saluto con altrettanto calore.
Ad accogliere il Pontefice ai piedi della
scaletta è stato il presidente Enrique Peña
Nieto, con la consorte Angelica Rivera,
accompagnati da quattro bambini in abiti
tradizionali che hanno porto all’ospite un
omaggio floreale e un vaso con terra proveniente dai 31 Stati che compongono la
federazione. Ad accogliere il Pontefice
dal nostro inviato GAETANO VALLINI
Dopo la partenza da Cuba
Telegrammi a capi di Stato
Alle 17.25 di venerdì 12 febbraio Papa Francesco ha lasciato L’Avana ed è partito alla
volta del Messico. Il velivolo è atterrato all’aeroporto Benito Juárez di Città del Messico
poco dopo le 19, ora locale. Durante il viaggio il Pontefice ha inviato al presidente cubano
Raúl Castro una lettera di ringraziamento e ha trasmesso i consueti telegrammi alle più
alte autorità dei Paesi sorvolati. Di seguito il testo della lettera a Raúl Castro.
Mr President:
On my way to Mexico for my pastoral
journey as a missionary of mercy and
peace, I thank You for your generous
hospitality during my brief stopover in
Cuba, which has given me the opportunity to recall the affectionate and warm
welcome the Cuban people extended to
me last september. Above all, I would like to thank You, Mr President, and your
government for the willingness to make
possible my meeting with His Holiness
Patriarch Kirill of Moscow and all Russia. It has been an important meeting,
from which I hope much good will come. We cannot cease to strive along the
path of dialogue, encounter and understanding, if we wish to achieve peace, reconciliation, and the coexistence of all
people of goodwill. I assure You, and
the beloved Cuban Nation which I carry
in my heart, of my prayers, and please
also pray for me.
Fraternally
c’era anche il cardinale Norberto Rivera
Carrera, arcivescovo della capitale dal
1995, con la presidenza della Conferenza
episcopale messicana (Cem) guidata dal
cardinale Francisco Robles Ortega, arcivescovo di Guadalajara. Entrambi i porporati, con il nunzio, faranno parte del seguito
papale per tutto il corso del viaggio, così
come il cardinale Alberto Suárez Inda, arcivescovo di Morelia, monsignor Eugenio
Andrés Lira Rugarcía, ausiliare di Puebla,
segretario generale della Cem e coordinatore del viaggio, nonché i monsignori Dagoberto Campos Salas e Mauro Cionini,
rispettivamente consigliere e segretario
della nunziatura.
Accoglienza ufficiale ma informale,
quindi, senza una cerimonia protocollare.
Subito dopo i saluti, il Papa ha ascoltato
un canto scritto per l’occasione da noti artisti messicani e un brano eseguito da un
gruppo di musicisti mariachi e ballerini, i
quali gli hanno poi offerto un sombrero,
che ha subito indossato. E per non deludere i presenti, è passato sotto le tribune
per ricambiare il saluto e la richiesta di
benedizione urlata a gran voce, così come
lo slogan «Francisco, hermano, ya eres
mexicano!». Non è mancata una sosta nel
settore in cui c’erano alcuni malati.
Lasciato il piazzale, il Papa e il presidente si sono intrattenuti per alcuni minuti nella sala presidenziale dell’aeroporto
per un breve colloquio. Subito dopo il
Pontefice ha raggiunto la sede della nunziatura apostolica, dove risiederà durante
tutta la visita in Messico. Ma lungo il percorso, una ventina di chilometri, Francesco ha avuto un’altra dimostrazione di
quella che sarà l’accoglienza che il popolo
messicano gli tributerà in questi giorni. Le
strade si sono trasformate in un suggestivo
corridoio luminoso. Un interminabile fiume di luci — torce e cellulari — agitate da
decine di migliaia di persone festanti che
hanno aderito a un’iniziativa organizzata
da giorni da un comitato promotore e denominata “muraglia della luce”.
La festa peraltro è proseguita anche davanti alla nunziatura, dove, dopo l’arrivo
del Papa, si erano radunate centinaia di
persone che lo hanno acclamato con canti
e slogan. Una manifestazione di affetto
che probabilmente sarebbe proseguita a
lungo, se Francesco non fosse uscito a salutarli. «Questa sera — ha detto rivolto loro — non dimenticate di guardare alla Madonna. Pensiamo alle persone a cui vogliamo bene e a quelli che non ci vogliono bene». Quindi, prima di rientrare, li ha
invitati a recitare un’avemaria.
Il viaggio in Messico è dunque iniziato.
E domani ci saranno i primi incontri in
programma. Si comincerà con la cerimonia di benvenuto e la visita di cortesia del
Pontefice al presidente Peña Nieto nel Palacio Nacional del Poder Ejecutivo Federal e con il successivo incontro con le autorità, i rappresentanti della società civile
e il corpo diplomatico, nel corso del quale
il Papa pronuncerà il suo primo discorso
in terra messicana. Quindi, la giornata
proseguirà, sempre in mattinata, con l’incontro in cattedrale con i vescovi del Paese. Nel pomeriggio l’avvenimento più atteso: la vista al santuario della Madonna di
Guadalupe, dove Francesco celebrerà la
messa, la prima di questo viaggio.
Poi, nei giorni a seguire, altre città, altre
realtà. Il Papa avrà così modo di incontrare quel mosaico di popoli e di situazioni
che compongono un Paese afflitto da tanti
e drammatici problemi, dall’estesa povertà
alla violenza della criminalità, dalle disuguaglianze sociali al fenomeno dell’immigrazione. Questioni note; e alla vigilia del
viaggio il Governo ha fatto sapere che
«non nasconderà» i problemi interni del
Paese, che proprio in questi giorni è stato
scosso dalla sanguinosa rivolta scoppiata
nel carcere Topo Chico. Mentre raggiungeva il Paese, Francesco ha fatto pervenire
Incontro delle comunità indigene nello Stato del Chiapas
Esempio prezioso
FRANCIS
Questo il testo dei telegrammi inviati
sorvolando gli Stati Uniti d’America e le
Bahamas.
The Honorable Barack H. Obama
President of the United States of
America
Washington
Her Excellency Marguerite Pindling
Governor General
of the Commonwealth of the Bahamas
Nassau
I send cordial greetings to you as I fly
over the United States of America on my
way to Mexico. With fond memories of
my recent visit to your Country, and assuring you of my prayers, I invoke upon
you and the entire nation God’s blessings of peace and joy.
I send cordial greetings to Your Excellency as I fly over the Bahamas on my
way to Mexico. I assure you of my prayers for the Nation and its people, invoking upon all of you God’s blessings of
peace and joy.
FRANCIS PP
FRANCIS PP
Gli indigeni, «sfollati, minacciati e ostacolati da certi modelli di “progresso” che
non contemplano la dignità di tutti»,
possono dare al mondo intero «l’esempio prezioso di una vita in armonia con
la natura» e fornire «una luce per la via
del cambiamento di cui abbiamo bisogno». Con queste parole il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente
del Pontificio consiglio della giustizia e
della pace, si è rivolto ai partecipanti al
convegno intitolato «Con l’enciclica
Laudato si’ difendiamo il diritto alla terra, al territorio e alle foreste» che si svolge il 13 e il 14 febbraio a San Cristóbal
de Las Casas in Chiapas, in preparazione all’incontro che Papa Francesco avrà
lunedì 15 con le comunità indigene.
«Viviamo — ha scritto il porporato in
un messaggio indirizzato alle comunità
indigene, ai movimenti popolari e alle
organizzazioni dei diritti umani riuniti
per l’occasione — nella globalizzazione
dell’indifferenza segnata dal paradigma
tecnocratico. In ogni occasione, assistiamo a violazioni persistenti dei diritti
umani e sociali nell’intero pianeta. Eppure, intravediamo all’orizzonte una speranza», che è quella definita da una presa di coscienza: «tutti i popoli — aggiunge il cardinale — sono alla ricerca di un
cambiamento positivo». E un aiuto può
venire proprio dalla testimonianza delle
comunità indigene e da quanto queste
possono insegnarci per recuperare un
più autentico rapporto con la natura e
per fronteggiare un «sistema che idolatra
il denaro e non rispetta né la dignità delle persone, né la fragilità del pianeta».
Il presidente di Iustitia et pax, nell’occasione, ha anche voluto ribadire alcuni
concetti espressi lo scorso luglio durante
il secondo incontro mondiale dei movimenti popolari. In particolare, il porporato ha sottolineato che «i poveri si sono
organizzati per contrastare l’esclusione
sociale, la scandalosa disuguaglianza e il
degrado del loro ambiente. Di conseguenza, hanno creato movimenti non solo per protestare contro l’ingiustizia, ma
anche per risolvere in autonomia i problemi relativi all’accesso alla casa, alla
terra e al lavoro, ai quali né gli Stati né
il mercato trovano una soluzione». È
quanto è stato ribadito a più riprese dallo stesso Papa Francesco quando ha invitato i poveri a non rassegnarsi alla loro
sorte esortandoli invece a prendere in
mano il loro destino divenendo forza positiva per l’intera comunità umana. «Nonostante la loro precarietà» infatti, continua nel suo messaggio il cardinale Turkson, i poveri «sono seminatori di terra,
costruttori di alloggi e creatori di posti
di lavoro». E la Chiesa «vuole partecipare a questi processi e dare il proprio contributo affinché ogni giorno le cooperative sociali, i consigli di quartiere, le comunità contadine e indigene si rafforzino, in modo da offrire ulteriori opportunità e condizioni migliori per il progresso globale degli esclusi come singole
persone, famiglie e popoli».
— in un telegramma a firma del cardinale
segretario di Stato Pietro Parolin — il suo
cordoglio all’arcivescovo di Monterrey
(nel cui territorio sorge il penitenziario),
assicurando vicinanza spirituale alle famiglie delle vittime.
Ma durante la sua permanenza il Pontefice avrà anche l’occasione per incoraggiare una Chiesa in prima linea, da sempre accanto ai più deboli. Una Chiesa che
è cresciuta in coesione e solidarietà ecclesiale, moltiplicando progetti e azioni, animando una pastorale organica ed efficace
sulla scia delle conclusioni della Conferenza di Aparecida. E ciò è stato particolarmente evidente nel campo della pastorale
familiare e in quella incentrata sulla promozione umana. «Siamo certi — avevano
scritto i vescovi all’indomani dell’annuncio
del viaggio — che la presenza del Santo
Padre ci confermerà nella fede, nella speranza e nella carità, aiuterà la Chiesa nella
sua missione permanente e incoraggerà
credenti e non credenti a impegnarsi nella
costruzione di un Messico giusto, solidale,
riconciliato e in pace per consentire a tutti
uno sviluppo integrale, rispettoso dell’ambiente».
Nomina episcopale
La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Polonia.
Jacek Kiciński
ausiliare di Wrocław (Polonia)
È nato il 30 agosto 1968 a Turek. Superati gli
esami di maturità, nel 1988 è stato ammesso al
noviziato della congregazione dei Missionari figli del Cuore immacolato di Maria (clarettiani).
Ha emesso i primi voti nel 1989 e i voti perpetui l’8 settembre 1993. È stato ordinato sacerdote il 27 maggio 1995 per la congregazione dei
missionari clarettiani. Dal 1996 al 1999 ha studiato presso l’Università cattolica di Lublino,
dove ha ottenuto il dottorato in teologia della
spiritualità. Negli anni 1999-2005 è stato responsabile per la pastorale vocazionale nella sua
congregazione e superiore della casa di formazione a Wrocław, poi superiore della casa e responsabile per il postulato a Kudowa Zdrój
(2004-2006). Dal 2004 al 2010 è stato membro
del consiglio provinciale e prefetto per la spiritualità e dal 2004 al 2013 di nuovo superiore
della casa di formazione a Wrocław. Nel 2009
ha conseguito l’abilitazione presso la Pontificia
facoltà di teologia a Wrocław. Dal 2006 è direttore degli studi e del corso di teologia della vita
consacrata presso la casa della sua congregazione a Wrocław, caporedattore del bimensile
«Życie konsekrowane» (“Vita consacrata”) e
membro del consiglio per la vita consacrata e
del consiglio presbiterale dell’arcidiocesi di
Wrocław. Inoltre, dal 2010 è direttore della cattedra di teologia della spiritualità sacerdotale e
di vita consacrata e dal 2009 è vicario episcopale per gli istituti di vita consacrata e le società
di vita apostolica nell’arcidiocesi di Wrocław.