Riflessioni sulle Letture della V Domenica del Tempo
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Transcript Riflessioni sulle Letture della V Domenica del Tempo
Riflessioni (n.214) sulle Letture della V Domenica del Tempo Ordinario (c)
07 febbraio 2016
A tutti gli Amici in Gesù Nostro Signore e Salvatore
A te che leggi, ti benedica il Signore e ti custodisca nella pace e nella perenne visione del Suo Volto
Perdona Signore e anche voi amici tutti gli errori e le imprecisioni, che involontariamente avrò scritto: queste righe vogliono essere solo una preghiera a Te Padre Misericordioso, a Te Verbo Redentore, a Te Spirito Consolatore. Non avanzo pretese di scienza che non posseggo, esse sono solo bisogno
dell’anima, la preghiera è consolazione e insegnamento.
Le cose che conosco della Verità sono poche, ma voglio parlarne con umiltà e devozione massima per conoscerle meglio. Lo Spirito Santo mi aiuti.
Signore so che Tu non hai bisogno di quello che diciamo di Te, ma queste mie parole saranno utili e benefiche sicuramente a me e forse a qualcuno
che le legge se Tu le arricchirai del Tuo Spirito Santificatore che invoco.
-Nihil amori Christi praeponere-
Prima Lettura - Dal libro del profeta Isaia - Is 6,1-2.3-8 - Eccomi,
manda me!
N
ell’anno in cui morì il re Ozìa, io vidi il Signore seduto su un trono alto
ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano
dei serafini; ognuno aveva sei ali. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo:
«Santo, santo, santo il Signore degli eserciti!
Tutta la terra è piena della sua gloria».
Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio
si riempiva di fumo. E dissi:
«Ohimè! Io sono perduto,
perché un uomo dalle labbra impure io sono
e in mezzo a un popolo
dalle labbra impure io abito;
eppure i miei occhi hanno visto
il re, il Signore degli eserciti».
Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente
che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse:
«Ecco, questo ha toccato le tue labbra,
perciò è scomparsa la tua colpa
e il tuo peccato è espiato».
Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per
noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!»
La visione di Isaia, carica di significati simbolici, si
conclude con la sua totale piena obbedienza al Signore
il Quale chiede a chi affidare il compito di profeta della
Sua Parola e il Profeta risponde prontamente:
«Eccomi, manda me!»
È l’esempio che tutti, anche noi oggi, anche se può
apparire fuori tempo e fuori luogo, siamo tenuti a osservare perché Dio, nonostante nella Sua infinita Potenza, si vuole servire di noi, affinché diveniamo compartecipi nella realizzazione del Suo Progetto, della Sua
Città di eterna Beatitudine e Giustizia, estesa a tutti i
Suoi creati. Si conferma così il «carattere» del nostro
Creatore che non vuole imporre la Sua Volontà autoritariamente, ma ci lascia liberi di scegliere, di accettare
o meno i Suoi desideri. Non per terrore vuole che ci assoggettiamo al Suo disegno che ha in serbo per noi, ma
per amore, come noi stessi facciamo nel rapporto naturale padre-figlio, madre-figlio, rapporti entrambi basati su sentimenti di amore, non di timore!
Il «rituale» della purificazione della bocca col carbone ardente risponde simbolicamente al cruccio di
Isaia che si sente indegno difronte alla eccelsa Maestà
del Signore, come ognuno di noi. Accedere alla visione
della Sua Luce non può certo prescindere da un lavacro
d’acqua o di fuoco; solo così si potrà diradare quel fumo che sempre ha avvolto la Luce quando si è concessa -solo in piccola parte- a pochi privilegiati, come
Mosè. Le nostre colpe non saranno fatte scomparire
dal contatto di quel carbone ardente, ma dal Fuoco
Inestinguibile della Grazia che ci risanerà ad opera della
Carità e della Misericordia del Dio-Salvatore.
Se il Catechismo ci aveva insegnato che nessuno è
senza peccato e che per essere purificati ed essere
ammessi al cospetto di Dio occorre passare per la penitenza del Purgatorio ecco il significato di quel carbone
ardente: esso è associabile al dolore che si proverà
quando saremo davanti ai nostri peccati e allora non
potremo né minimizzare né trovare «attenuanti»: li vedremo in tutto il loro orrore e il dolore per averli commessi “mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa”, per
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aver disobbedito al Padre Buono ci laverà e “ci renderà
più bianchi della neve”.
Quel bruciore delle labbra, di quelle labbra della
bocca da cui escono le parole cattive che offendono i
fratelli in Cristo e il Signore Stesso sarà tanto più intenso quanto più avremo peccato in quantità e in gravità.
È sciocco pensare «tanto la Misericordia del Signore mi
salverà» dunque posso peccare … No! Occorre invece
impegnarsi al massimo per cercare di non peccare
adottando tutte le «contromisure» come la preghiera
per tutti e la Carità per chi incontriamo sulla nostra via.
Aiutami Signore nei miei tentativi maldestri e mediocri di essere migliore, Tu che sei
misericordioso e che sai apprezzare le buone
intenzioni.
Salmo Responsoriale - Dal Salmo 137 - Cantiamo al Signore, grande è
la sua gloria.
Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.
Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.
Ti renderanno grazie, Signore, tutti i re della terra,
quando ascolteranno le parole della tua bocca.
Canteranno le vie del Signore:
grande è la gloria del Signore!
La tua destra mi salva.
Il Signore farà tutto per me.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.
Quando ascoltiamo le Parole del Signore e le
soppesiamo e ne consideriamo, con la mente e con il
cuore, qualcuna delle sue infinite aperture al Bene, non
possiamo rimanere indifferenti. Solo un bruto potrebbe
essere così. Difficilmente ho visto qualche «agnostico»
non rimanere colpito o scosso o pensieroso dopo
l’ascolto delle «Parole di vita» del Vangelo di Gesù. Ma
passato quel momento poi si ritorna al grigiore
dell’indifferenza; perché? Perché intraprendere la strada della Conoscenza è vista come «troppo impegnativa», mentre in verità non lo è perché «il giogo di Cristo
è leggero» e perché il grosso del peso se l’è caricato Lui
Stesso sulla croce. Cristo infatti non è esigente, ma
pronto a tendere le Sue Mani Pietose a chi Gliele chiede: Gli basta solo questo, come ha dimostrato tante
volte alle folle nella Sua luminosa vita terrena.
Quando prima della Comunione diciamo: “Signore
non son degno di partecipare alla Tua Mensa, da di’
soltanto una parola e io sarò sanato” diciamo una delle
preghiera più belle e più corrispondenti a quanto Egli
ha fatto nella Sua vita terrena. Chiunque ha chiesto la
Sua Misericordia l’ha ottenuta, sempre. Ottenere la
generosità del Signore è il sogno di chiunque crede, la
Speranza che ci mantiene in vita anche difronte alle
contrarietà più terribili!
Dice il Salmo verso la fine:
“Il Signore farà tutto per me.”
È questa la nostra certezza fondata sulla conoscenza della storia reale dell’Uomo-Dio che si è proclamato
Re di un Regno Ultraterreno -e per tale reato condannato al supplizio ignominioso della croce- di un Regno
non di sangue né di carne, ma fatto di spirito, voluto
dal Padre per salvare l’intera umanità a costo della vita
e del terribile dolore morale e fisico del Figlio nella Passione e Morte.
Se il Signore è talmente caritatevole da saper scendere dalla sua Inaccessibile Maestà a livello di ciascun
misero uomo peccatore, di che dobbiamo temere se
non proprio della mancanza del Suo pietoso aiuto perché lo rifiutiamo? Chi ama Dio da Lui è ricambiato senza proporzione, perché la Sua Carità e l’intensità del
dono di quell’Amore Divino, di cui ci dà prova in continuazione, travalica ogni nostra fantasia e aspettativa.
Tu sei là, Signore, nel Cielo più azzurro e
luminoso ad attendermi; mi vieni incontro
sorridendo e allargando le braccia amorose
proprio per me che conosci da quando mi hai
pensato e creato, come un figlio unico. In
quell’abbraccio sentirò e vedrò e capirò quello
che nell’intera vita ho cercato, ma anche
ignorato che esistesse, una realtà, l’unica e vePag. 2 di 7
ra realtà che s’identifica con Te Signore del
Bello e del Bene, lago alpestre di cristallo
splendente ove confluisce ogni pensiero
d’amore, ove si trova ogni risposta cercata e
mai trovata ai perché, ai perché no, ai desideri amorosi e puri mai soddisfatti.
Seconda Lettura - Dalla I lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi. - 1 1
Cor 15,1-11 - Così predichiamo e così avete creduto.
Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete
come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!
[A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè
che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e
che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e
quindi ai Dodici.
In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a
Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me
come a un aborto.]
Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere
chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di
Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana.
Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con
me.
[Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.]
Paolo ricorda il suo peccato e non invoca «attenuanti» per il male compiuto:
“… non sono degno di essere chiamato apostolo
perché ho perseguitato la Chiesa di Dio.”
E da questa pericope impariamo due cose, una che
il peccato commesso non lo dobbiamo mai dimenticare, sia a fini espiativi per il dolore che suscita in noi, sia
in quanto monito a non ricadere nell’errore. Esso ci ricorda la nostra debolezza, la spinosa propensione al
proibito, al falso bene, più subdolo del male manifesto.
Secondariamente il ricordo degli errori personali ci
impedisce di montare in superbia, di ritenere che il più
piccolo progresso sulla via della Salvezza possa essere
considerato più che sufficiente a pretenderla. La via
della Santità non è facile perché esige una costante e
severa sottomissione alla penitenza del cuore, sapendo
che le offese al Signore e ai fratelli non sono facili da
cancellare per vero e profondo pentimento del cuore.
Ma una volta intrapresa, quella strada, un po’ alla volta, diviene sempre meno ardua e soprattutto invogliante, appagante, in fine entusiasmante: Infatti s’accende
nell’anima un fuoco indomabile che sembra prendere il
posto dell’aria che si respira e degli alimenti che ci tengono in vita, uno stato di Grazia che cambia i nostri occhi e il nostro sentire fin nel più profondo dell’essere!
La Grazia di Dio, continua l’Apostolo, ha fatto la
maggior parte di quanto è attribuito a lui personalmente ed è effettivamente così: quando si entra nello stato
di Grazia del Signore tutto diviene più facile, tutto quello che prima sembrava impossibile o arduo al sommo
grado, ora appare agevole, animato di una vita propria
che senza spinte di alcun genere va da sola a quel traguardo prefissato di Bene e di Bellezza.
Signore, Amore Agapico, Amore Puro,
Amore Gratuito, non-nato perché Sostanza
Divina, Connaturato allo Spirito Santo che
tutto copre, tutto abbraccia e che tutto e tutti
vuole ricondurre all’unità santa, all’Origine di
ogni esistenza e di ogni Bene, io Ti adoro e
adoro la Grazia che mi concedi di vivere nella
Tua conoscenza traboccante di Speranza!
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Canto al Vangelo - Mt 4,19
Alleluia, alleluia.
Venite dietro a me, dice il Signore,
vi farò pescatori di uomini.
Alleluia. Alleluia.
Dal vangelo secondo Luca - Lc 5,1-11 - Lasciarono tutto e lo segui-
rono.
I
n quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare
la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche
accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una
barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette
e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le
vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti».
Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si
rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle
quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo:
«Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti
aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano
fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di
uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Cristo, che è Dio, non impone mai la Sua volontà,
ma propone lasciando la possibilità di scegliere e di seguire i Suoi consigli. Con i futuri Apostoli lo fa a proposito della pesca, lo fa perché Pietro e i suoi Lo seguano
e cambino vita, da pescatori di pesci a pescatori di uomini. Ma per essere creduto accompagna, anzi fa precedere l’invito da un evento straordinario: là dove i pescatori avevano “faticato tutta la notte” senza successo, ora catturano una quantità di pesci tale da mettere
in dubbio la tenuta di due barche. Da una parte Gesù
vuole aiutarli a credere con l’evento della pesca fuori
dell’ordinario, tanto più incredibile in quanto il consiglio veniva da un Giovane non esperto di pesca. Ma da
un’altra parte vuole che la scelta fondamentale della
propria vita avvenga liberamente, senza forzature di alcun genere, senza minacce latenti, ma nella serenità e
nella forza del Bene. Colpisce il riconoscimento esplicito di Pietro a Gesù ed estremamente sintetico:
«Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore».
Una tale risposta è il riconoscimento pieno, totale,
consapevole che egli si trova davanti al Signore alla cui
santità teme di arrecare danno in quanto peccatore indegno di essere al Suo Cospetto.
Tante volte leggendo i Vangeli ci rammarichiamo
dei comportamenti di Pietro e di altri Apostoli non ade-
guati nel loro comportamento alla Maestà del Signore
che hanno davanti a loro; ma altrettante volte colpiscono e sorprendono le risposte illuminate dello scelto
“pescatore di uomini”, come quando Gesù chiese ai Discepoli chi pensavano che Egli fosse e riconobbe a Pietro la sua diretta ispirazione divina (Mt 16, 16-17):
“…Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del
Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.”
Dire quelle parole «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio
vivente» non era certo nelle possibilità umane di un
povero pescatore illetterato!
E quel “Non temere” significa che la Grazia di Dio
Padre è già scesa sull’Apostolo santificandolo. Come dire: «non ti creare questi problemi!»
Nessuno di noi, se si presenta in cuor suo davanti al
Signore è bene che tema di esserne indegno come Pietro, ma sappia anche che è bene accetto ai Suoi Occhi e
che sarà aiutato sulla via della Salvezza.
Aiutami Signore mio Dio ad amarTi col
trasporto del mio cuore ma anche nelle consapevoli scelte di seguire i Tuoi Comandamenti
nella vita di tutti i giorni.
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IL SEGNO DELLA BELLEZZA DIVINA NELL’ARTE
Di Gian Lorenzo Bernini
(Napoli 1598 - Roma 1580)
Fig. 1 (particolare), 2, 3:
Apollo e Dafne;
1622-25; Gian Lorenzo Bernini;
Galleria Borghese - Roma; Marmo; m 2,24.
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Il cardinale Scipione Borghese, nipote di papa
Paolo V Borghese, fu un grande e ambiziosissimo collezionista d’arte. Tale passione costosissima gli fu consentita dalle enormi ricchezze accumulate oltre che
come cardinale anche e soprattutto come capo della
Curia e segretario dello zio materno papa Paolo V, Sovrintendente dei negoziati della Santa Sede e diversi altri incarichi di prestigio e di arricchimento del patrimonio familiare.
Da grande e raffinato intenditore non si lasciò sfuggire l’occasione di prendere a suo servizio l’astro e il
genio del momento, Gian Lorenzo Bernini.
Nelle numerose intenzioni del cardinale-mecenate
c’era anche quella di far eseguire dei gruppi scultorei
che rappresentassero i miti del mondo classico, narrati
dai grandi scrittori dell’antichità; essi erano di gran
moda e chi in una maniera chi in un’altra, tutti volevano dare il proprio contributo promuovendo le arti visive, la letteratura, la musica.
E dalle Metamorfosi di Ovidio (I sec. a.C.), molto in
voga fra XVI e XVII sec., come anche diverse altre opere
di autori latini, fu tratto il mito di Apollo e Dafne, una
delicata favola, che fu tema di uno dei gruppi scolpiti
da Bernini per abbellire la Villa Borghese oggi Galleria
d’arte.
In sintesi la storia di cui la scultura narra l’epilogo è
la seguente: Apollo si vanta di essere il più grande arciere tra gli dèi e gli uomini; ma Cupido, dio dell’amore,
anch’egli validissimo arciere, si ingelosisce e decide di
punirlo facendolo innamorare di Dafne, una bellissima
ninfa consacrata ad Artemide-Diana, dea vergine della
caccia, dei boschi e altro. Quando Apollo, al colmo di
un raptus amoroso, la insegue e sta per ghermirla e farla sua, l’intervento divino di Peneo, padre della ninfa e
di Artemide, la salva trasformando la giovane in un albero di alloro e l’innamorato Apollo giunge solo a sfiorarla. Tale scultura procurò diverse polemiche perché
ritenuta troppo sensuale, troppo realistica. Certo in un
ambiente ecclesiastico a un mito pagano bisognava annettere un significato religioso-morale e a tale compito
pensò il cardinale Maffeo Barberini, già eletto papa,
Urbano VIII, che per la magnifica scultura scrisse i seguenti versi:
Figura 4 Apollo del
Belvedere;
copia romana di un
originale
greco in
bronzo;
metà del IV
sec. a.C.;
Musei Vaticani.
“Quisquis
amans sequitur
fugitivae gaudia
formae
fronde manus implet baccas seu carpit
amaras”
Tutta la prodigiosa tecnica berniniana è adoperata
in questo saggio di abilità e inventiva capace di imitare
il naturale, fino al vero, convincendo chi guarda che
non c’è differenza tra reale e contraffazione artistica in
quanto il prodotto dell’immaginazione (caratteristica
totalmente barocca) deve trasformarsi in realtà grazie
appunto a una tecnica che ha recepito e raffinato fino
al virtuosismo le straordinarie capacità del mondo greco ellenistico. Infatti le cose per come appaio e non per
come sono interessavano gli scultori ellenistici e ora
anche Bernini. Ma che Bernini si sia ispirato all’Apollo
del Belvedere (fig. 4) è evidente, però ha saputo conferire al suo gruppo scultoreo un sapore e una emotività
tutta italica e barocca, superando di colpo gli antichi
maestri greci per l’evidente certezza che la tecnica può
veramente tutto, può addirittura creare una realtà
«parallela».
La sovrumana capacità di riprodurre nel marmo gelido il calore dei corpi umani, la morbidezza delle carni,
le pellicce degli animali, la ruvidezza o la morbidezza
dei corpi vegetali, i tessuti;
quella di saper armonizzare con strabiliante originalità materiali diversi nella stessa opera e di utilizzarli in
un mai visto prima prodigioso naturalismo per imitare
anche cromaticamente le materie del reale, genera effettivamente, come detto prima, una realtà che forse
vuole sopraffare quella naturale.
Per il Cardinale ha eseguito i gruppi di Enea e Anchise, il Ratto di Proserpina, il David, l’Apollo e Dafne,
oltre ai busti dell’insaziabile Committente Scipione
Barberini; tutte insieme queste opere è possibile ammirarle nella sua Villa oggi Galleria Borghese.
Nell’opera Bernini rappresenta i due giovani nel
momento in cui il dio pagano raggiunge nella corsa veloce e leggera la bellissima fanciulla: tutto è leggero,
soave, bello sia nelle forme naturali che nei gesti, tanto
che i due sembrano impegnati entrambi in un balletto:
un’apoteosi di leggiadria e di bellezza.
La magica trasformazione delle belle membra di
Dafne sembra generare corone di bellezza su bellezza
mentre una ruvida corteccia d’albero avvolge già le sue
gambe; dai piedi spuntano radici e ramoscelli fioriscono dalle mani dai capelli e da altre parti del corpo. La
bocca spalancata emette un grido di terrore per
l’inarrestabile improvvisa metamorfosi ormai irreversibile: da giovane Ninfa a profumato albero di alloro.
Non altrettanto si legge nei lineamenti e
nell’espressione del giovane Apollo; egli non mostra
neppure meraviglia e sembra voler costatare il fenomeno soprannaturale in atto se veramente trasformerà
l’amata nell’albero a lui sacro.
“Chi amando
insegue le gioie
della
bellezza
fugace
riempie la
mano di fronde e coglie bacche amare”
Bernini oltre che scultore fu anche architetto (piazza San Pietro e altro ancora), pittore, autore di teatro,
scenografo ed è evidente come il gruppo di Apollo e
Dafne sia pensato proprio in chiave teatrale, sia per la
configurazione generale delle due figure che per il modo come era stato sistemato nel salone in funzione della fruizione da parte di chi entra.
La forma era fatta salva e il mondo dell’arte si era
arricchito di un’opera stupenda.
La poesia del poeta romano Ovidio ha avuto
un’incredibile trasposizione in termini visivi In
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quest’opera che si legge in pochi sguardi ma che non
saziano per l’indugiare ricorrente degli occhi che vogliono sapere … capire come possa avvenire il portento, razionalmente considerato solo una favola, ma che
per la tirannia dei sensi quasi si confonde col reale del
nostro corpo e dello spazio che ci accoglie in uno. La
cattura percettiva di quei marmi che sembrano animarsi ci staccano dal mondo greve del quotidiano e ci
trasportano, isolandoci, il quel mondo vagheggiato dal
poeta: la metamorfosi non si esaurisce nelle due figure,
ma continua anche in noi, nella nostra fantasia, nel nostro sentire, sublimando ogni pensiero che diviene parte di quello Spirito che è in noi.
Giorgio Obl. OSB
-Nihil amori Christi praeponere06 feb 2016
Questo e altri scritti sono pubblicati sul sito
www.giorgiopapale.it
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