Expo 2025, Toronto e la lezione di Milano

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VENERDI 5 FEBBRAIO 2016 � CORRIERE CANADESE
2
CANADA
L’ESPOSIZIONE UNIVERSALE
Expo 2025, Toronto e la lezione di Milano
Francesco Veronesi
TORO TO aoo o dei benefici, piena cooperazione con gli altri livelli di governo,
valutazione delle altre candidature. Se il Comune di Toronto ha
seriamente intenzione di farsi avanti per l’Expo 2025, deve tenere
conto di questi tre fattori fondamentali, facendo tesoro dell’esperienza dell’Esposizione Universale di Milano dello scorso anno. Il
26 gennaio il sindaco John Tory ha
fatto il primo passo in questa direzione, incontrandosi con i rappresentanti del Bureau International
des Expositions (Bie), l’organizzazione con sede a Parigi che si occupa di gestire e di assegnare l’evento. Si tratta di una mossa preliminare: non un semplice “pourparler”, ma un atto concreto per
vagliare se vi siano le precondizioni per andare avanti lungo una
strada in salita e piena di ostacoli.
In primo luogo l’amministrazione cittadina dovrebbe soppesare
i costi. Il primo sarebbe un semplice assegna da 25mila dollari per
poter ritornare ad essere membri
della Bie, anche se formalmente
dovrà essere il governo federale
a presentare la richiesta e a stanziare i fondi. Il secondo passaggio
prevede invece una spesa più consistente per dare sostanza e credibilità alla candidatura, creando un
comitato organizzativo, radunando potenziali investitori e iniziando un certosino lavoro di pressione diplomatica per creare le alleanze necessarie a livello internazionale.
Il terzo passaggio, nel caso in
cui arrivasse l’assegnazione, sarebbe caratterizzato da spese più
consistenti, quantificabili in una
cifra compresa tra 1 e 3 miliardi di
dollari. Sull’altro piatto della bilancia ci sono invece i benefici economici creati dall’assegnazione
dell’Expo 2025. Secondo uno studio di Ernst & Young, solo a Toronto sarebbero generate entrate per 8 miliardi di dollari, con un
incremento del gettito fiscale pari a 5,4 miliardi, mentre l’impatto
sull’intero Pil canadese sarebbe di
15,5 miliardi di dollari. Si tratta di
produzioni abbastanza prudenti,
come testimonia l’Expo milanese
dello scorso anno.
Nel capoluogo lombardo, secondo uno studio del Sole 24Ore, i benefici economici portati dall’Expo
sono stati di 23,6 miliardi di dollari, con un impatto che durerà fino al 2020.
Sempre a Milano, secondo gli
La
da
e
h
c
S
Tutte le cifre a confronto
GRANDE
MILANO:
PIL: €186 MILIARDI
POPOLAZIONE:
7.520.000
GREATER TORONTO
AREA:
PIL: $323 MILIARDI
POPOLAZIONE:
6.054.191
EXPO 2025:
POSSIBILI ENTRATE
PER 8 MILIARDI,
15,5 MILIARDI PER IL
PIL CANADESE
organizzatori, i 22,5 milioni di visitatori hanno speso in media 27
euro a testa solamente per il cibo
all’interno dell’Expo, per un totale
di oltre 607 milioni di euro (circa
un miliardo di dollari). Sotto tutti i punti di vista, l’Expo milanese
è stato un successo e la tesi portata avanti dall’ex ministro Stephen
Harper - “le Esposizioni universali sono un retaggio del passato, superate e rese inutili dalla nuova economia globalizzata - è stata clamorosamente smentita.
EXPO 2015:
BENEFICI ECONOMICI
PER € 23,6 MILIARDI
FINO AL 2020
EXPO 2025:
IN CORSA
PARIGI, LONDRA,
SAN FRANCISCO,
HOUSTON,
ROTTERDAM
Il secondo nodo che John Tory
dovrà sciogliere è quello relativo
alla collaborazione con Ottawa e
Queen’s Park.
Fino allo scorso ottobre una
candidatura di Toronto non sarebbe stata nemmeno ipotizzabile, vista la strategia adottata dall’amministrazione Harper verso l’Expo:
taglio dei fondi, boicottaggio
dell’Esposizione Universale di Milano, uscita dalla Bie con un secco
“non ci interessa”.
Ora il nuovo governo Trude-
au sembra aver voltato pagina ed
è probabile che - di fronte a una
precisa richiesta del sindaco - l’esecutivo federale non si tirerà indietro. Stesso discorso per la premier Kathleen Wynne, anche perché è evidente che i benefici economici non si limiterebbero a Toronto, ma di riflesso si allargherebbero a tutto l’Ontario.
Il terzo ostacolo da superare, infine, è quello della concorrenza,
agguerritissima. Se nel 2020 l’Esposizione Universale si terrà a
Dubai, la corsa per l’assegnazione
della kermesse è particolarmente
agguerrita: Parigi, Londra, Houston, San Francisco, Rotterdam,
Guangzhou (Cina) sono le città
che in questi mesi non solo hanno
formalmente confermato le proprie intenzioni, ma che sono già al
lavoro per dare un peso specifico
alla propria candidatura.
Insomma, se Toronto ha intenzione di gettarsi nella mischia, lo
deve fare in fretta, facendo tesoro
dell’esperienza milanese.
IL VERTICE
Profughi siriani, il mondo promette 10 miliardi di dollari
LONDRA - Il mondo promette soldi per la Siria annichilita da 5 anni di guerra, anche per
far fronte all’incubo di milioni di
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profughi e sfollati in cui rischia
di sprofondare un’intera “generazione perduta” di bambini. Ma sul
terreno - dove si contano 250.000
morti - il conflitto continua col
suo corredo di orrori, fra interessi e recriminazioni contrapposte.
La quarta conferenza dei donatori si conclude a Londra - almeno negli annunci - con uno slancio di generosità, secondo quanto
sollecitato ai 60 Paesi presenti da
ong quali Oxfam, Amnesty o Malala Foundation. In totale vengono messi sul piatto decine di “pagherò” per una somma lievitata
alla fine a oltre 10 miliardi di dollari contro i 9 previsti: il doppio
di quanto stanziato un anno fa ma poi solo in parte versato davvero - in Kuwait.
Un impegno che non cancella
però lo stallo dei colloqui di pace,
avviati mercoledì a Ginevra e subito rinviati al 25 febbraio dall’emissario dell’Onu, Staffan De Mistura, a causa dei dissidi fra il governo di Damasco e i rappresentanti di parte dell’opposizione siriana e delle milizie ribelli, in un
festival di accuse e controaccuse
che coinvolgono i rispettivi “padrini” (Russia e Iran da una par-
te; Arabia Saudita, Turchia e Qatar, accanto a Usa e Paesi occidentali, dall’altra).
Mentre sullo sfondo le forze di
Bashar al-Assad sono all’offensiva e avanzano verso Aleppo grazie al decisivo appoggio aereo di
Mosca.
Proprio la Russia è in qualche
modo il convitato di pietra a Londra. Da un lato a far pressing c’è
chi, come il segretario di Stato Usa, John Kerry, chiede lo stop ai
raid di Mig e Sukhoi, ma nel contempo non interrompe il dialogo
con Serghiei Lavrov alla ricerca
di un accordo per una qualche gestione congiunta di aiuti e magari
“corridoi umanitari”.
O ancora chi, come il titolare
della Farnesina, Paolo Gentiloni, invita Mosca a essere «più costruttiva» senza dimenticare di
rivolgere un messaggio analogo a
«tutte le parti» in campo.
Dall’altro ci sono le requisitorie dei sauditi, ma pure di David
Cameron o del ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius,
che denuncia «l’offensiva brutale
condotta dal regime di Damasco
con l’appoggio dell’aviazione russa».
In attesa che qualcosa cambi
non resta comunque che fare la
contabilità dei piani d’aiuto più
urgenti, laddove è possibile arrivare: medicine, cibo, sostegno al
sistema scolastico di quei Paesi vicini in cui si sono ammassati
fra 4 e 5 milioni di rifugiati siriani (Libano, Giordania, Turchia) e
a cui si chiede adesso di dare uno
straccio d’istruzione a una schiera di bambini in fuga.
Nella corsa ad aprire i cordoni della borsa, s’impone ancora la
Germania firmando una “cambiale” triennale da 2,3 miliardi di dollari, seguita dalla Gran Bretagna
padrona di casa che ne promette 1,6 (con i quali Cameron confida anche di rallentare il flusso di
migranti verso l’Europa). L’Ue in
quanto tale - fanno sapere Donald
Tusk e Federica Mogherini - aggiunge 3 miliardi.
Quanto all’Italia, Gentiloni
stacca un assegno da 400 milioni fino al 2018, fra donazioni, “soft
loans” e cancellazione di debiti:
non poco se paragonati ai 925 milioni annunciati da Kerry a nome
del gigante Usa; «uno sforzo straordinario», nota il ministro, se si
considera che nel 2015 gli aiuti umanitari disponibili per la Siria erano stati pari a 25 milioni.