IPPOVIA PARCO TICINO, Storia Miti Leggende

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Transcript IPPOVIA PARCO TICINO, Storia Miti Leggende

IPPOVIA PARCO TICINO
Una ippovia è un itinerario percorribile a cavallo, quasi mai asfaltato, che raggiunge e attraversa luoghi
naturali come parchi, riserve, boschi, supera colline e valli, costeggia laghi e fiumi, e raggiunge luoghi
culturali come aree archeologiche, costruzioni e dimore storiche, borghi.
Il progetto a cui stiamo lavorando è di rendere attuabile un percorso equestre lungo il corso del fiume
Ticino tra Sesto Calende e Pavia.
L’Ippovia Parco Ticino si può geograficamente suddividere in tre parti, nord, centro e sud.
 tratto nord da Sesto Calende a Lonate Pozzolo, circa 27 Km
 tratto centrale da Lonate Pozzolo ad Abbiategrasso, circa 30 Km
 tratto sud da Abbiategrasso a Pavia, circa 33 Km
L’Ippovia Parco Ticino si pone l’obiettivo di mettere in collegamento una serie di cascine/maneggi/centri
ippici.
Solo come esempio si potrebbero considerare le seguenti tappe:






Borgo Ticino (NO)
Castelletto Ticino (NO)
Golasecca (VA)
Somma Lombardo (VA)
Robecchetto con Induno (MI)
Cascinazza-Frazione di Robecco Sul Naviglio (MI)
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Abbiategrasso (MI)
Morimondo (MI)
Cascina Cantarana, Besate (MI)
Motta Visconti (MI)
Zerbolò(PV)
Garlasco (PV)
che potrebbero rappresentare altrettanti posti tappa e di ristoro per cavalli e cavalieri per percorre i 90 Km
dell’ippovia.
IPPOVIA PARCO TICINO
a cavallo tra storia, miti e leggende
La radice del nome Ticino, “tek”, proviene dal celtico che a sua volta proviene dal sanscrito tak, che ha il
significato di muoversi, andare, correre: qualità naturali delle acque.
Il vocabolo fu romanizzato in Ticinus e tale entrò a far parte della lingua latina
http://paesaggipavesi.wordpress.com/approfondimento-veduta-di-pavia-dal-confluente-con-il-rotto-delgravellone/il-ponte-coperto-sul-ticino-ezechiele-acerbi/
1. IPPOVIA PARCO TICINO
a cavallo sul Cammino delle Commende
2. IPPOVIA PARCO TICINO
a cavallo nelle terre dei Visconti
3. IPPOVIA PARCO TICINO
a cavallo nelle terre dei Draghi
1. IPPOVIA PARCO TICINO
a cavallo sul Cammino delle Commende (via del Sale/sentiero E1)
La via del Sale, meglio dire le vie del Sale, sono nate secoli fa dalla necessità degli uomini del passato di fare
uso di quello che ormai era diventato l’indispensabile ”oro bianco” che solo le popolazioni sulla costa
avevano il privilegio di possedere in abbondanza. Il sale veniva infatti già utilizzato per dare sapore e per
conservare il cibo, ma non solo: anche attività artigianali, come la concia delle pelli e la tintura,
richiedevano l´uso di sale.
Ecco che così, dai vari centri abitati, punti di partenza delle pianure e delle colline, si sono andati formando
dei sentieri, delle vie, delle mulattiere, attraverso le quali gli uomini
dell’entroterra viaggiavano per andare a comprare il sale dagli
uomini di mare.
La sua importanza è notevole, se si pensa che già all’epoca romana il
sale era monopolio dello stato: questo prodotto, adeguatamente
prelevato, veniva commercializzato insieme ad altre merci, come
olio, pelli, lino, lana e altri prodotti provenienti via mare. Il tutto veniva spesso barattato da emiliani,
lombardi e piemontesi con gli alimenti delle valli oltrepadane, come riso o vino, ma anche lana e armi.
Il trasporto dei sacchi di sale veniva effettuato a dorso di mulo, poiché le strette e disagevoli mulattiere che
si inerpicavano sui pendii non permettevano certo il passaggio di carri. Una rete con punti di tappa, offriva
ad uomini ed animali, alloggio e stallazzo per questa lunga traversata
http://www.cure-naturali.it/benessere-naturale/1271/pavia-via-sale/2565/
Nel 1113 Papa Pasquale II riconosce l'Ordo Fratum Hosopitalariorum Hierosolymitanorum o
Ordine dei Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni .
Quella dei Cavalieri Ospitalieri o Ospedalieri, nati come Cavalieri dell'Ordine dell'Ospedale di San Giovanni
di Gerusalemme, quindi conosciuti come Cavalieri di Rodi e in seguito come Cavalieri di Malta, è una
tradizione che inizia come ordine ospedaliero benedettino intorno alla prima metà dell'XI secolo a
Gerusalemme e divenuto, in seguito alla prima crociata, un ordine religioso cavalleresco cristiano dotato di
un proprio statuto a cui fu affidata la cura e la difesa dei pellegrini diretti in Terra santa ed in particolare la
cura degli infermi. (Joseph Delaville Le Roulx, Les Hospitaliers en Terre Sainte et à Chypre, 1100-1310, Parigi
1904).
Dal centro Europa si percorreva l’antica Via del Sale per
imbarcarsi nel porto di Genova. La Via del Sale era nel XII
secolo un'asse stradale fondamentale che collegava il nord
ed il sud Europa. Passando da Bellinzona, detta anche
chiusa delle Alpi, questa importantissima via collegava le
Alpi al porto marittimo spalancato sul mondo di Genova. Si
trattava di una strada particolarmente confortevole e
sicura ed era costellata di commende, rifugi-convento
gestiti dagli Ospitalieri che costituivano un'ulteriore
attrattiva per i commercianti, i Crociati in cammino verso la
nave che li avrebbe portati a combattere in Terra di Gerusalemme e per i pellegrini al loro seguito. L'antica
Via del Sale è un gioiello di importanza turistica e religiosa paragonabile al celebre Cammino di Compostela
che migliaia di pellegrini e turisti percorrono ogni anno per raggiungere Santiago di Compostela (
http://laspadanellarocca.ch).
L’Ippovia Parco Ticino da Sesto Calende a Pavia percorre 90 Km di questo cammino storico, offrendo punti
di sosta e ristoro adeguati alle esigenze dei moderni cavalieri e dei loro destrieri.
Ricordiamo inoltre che l’Ippovia Parco Ticino percorre un tratto del sentiero europeo E1; sentiero che
unisce capo Nord (Norvegia) con capo Passero in Sicilia, attraversando da nord a sud l'intero continente
europeo.
La sua lunghezza totale è di oltre 6.000 km ma attualmente la sua lunghezza effettiva è di circa 4900 km in
quanto il sentiero già segnalato parte dalla cittadina svedese di Grövelsjön e termina a Castelluccio di
Norcia, in Umbria.
2. IPPOVIA PARCO TICINO
a cavallo nelle terre dei Visconti
I Visconti furono una famiglia che governò Milano durante il Medioevo e all'inizio del
Rinascimento, dal 1277 al 1447
I Visconti nel periodo del loro massimo splendore alimentarono le più fantastiche leggende sulle proprie
origini. La creazione di genealogie fantasiose all'epoca era di moda, in realtà le origini del ramo della
famiglia Visconti che per secoli dominò Milano sono molto più prosaiche e modeste, i Visconti erano infatti
i signori di Massino (l'attuale Massino Visconti), piccolo villaggio sulle rive del lago Maggiore, in cui risultano
presenti dal XII secolo come vassalli arcivescovili. Il cognome deriva dal latino vice comites, che significa
vice conti.
L’area geografia che va da Sesto Calende a Pavia è legata e fortemente influenzata nel Medioevo dai
Visconti.
Basti considerare il notevole numero di castelli, palazzi, costruzioni rurali e cascine costruiti lungo il corso
del Ticino per capire come la stirpe di questa famiglia è legata in maniera indissolubile a questo territorio.
Ancora oggi su molte costruzioni rurali e cascine del Parco del Ticino si trova Lo Stemma
visconteo, forse una delle icone più famose del nostro tempo.
Esistono svariate leggende riguardo alla nascita di questo stemma, la cui origine ancora oggi è avvolta nel
mistero.
Tra queste la più famosa e che più di tutte rende onore al casato narra che un antico capostipite dei
Visconti, tal Ottone, cavaliere valoroso al tempo delle crociate, si scontrò in battaglia con un manipolo di
cruenti saraceni e vinse, dopo un memorabile duello, il loro comandante Voluce. In segno di vittoria,
Visconti, di ritorno in patria, volle recare con sé lo stendardo del nemico sconfitto, raffigurante una
gigantesca serpe. Il gesto di Ottone fu tutt’altro che casuale, dal momento che secondo una tipica credenza
medievale la forza di un esercito era racchiusa nello stendardo sotto il quale combatteva.
Successivamente anche i discendenti della casata Visconti scelsero di riutilizzare
tale effige, e in onore del valoroso antenato e della sua impresa, fecero
raffigurare fra le fauci della serpe un uomo dalla pelle rossa, in ricordo dei
saraceni vinti.
Un’altra leggenda attribuirebbe l’ideazione dello stemma ad Azzone Visconti,
storicamente documentato quale Signore di Milano dal 1329 al 1339.
Durante un pomeriggio d’estate del 1323, costui, al comando delle truppe
lombarde, era impegnato nella guerra contro Firenze.
In un momento di calma, mentre i due eserciti riposavano, Azzone dopo essersi
spogliato della propria armatura, si addormentò all’ombra di un albero.
Destatosi e pronto per tornare a dar battaglia, si rivestì prendendo da ultimo
l’elmo, senza accorgersi che una serpe vi aveva trovato rifugio.
Dopo che Azzone l’ebbe indossato, il serpente anziché morderlo, uscì da un’apertura superiore sibilando,
ma lasciandolo incolume.
Il Visconti volle dunque che lo stemma della sua casata ricordasse quest’insolito evento: un serpente
avrebbe tenuto fra le fauci un bambino, senza tuttavia arrecargli alcun danno, come al tempo anche a lui
era accaduto.
Da ultimo si racconta che nei pressi delle mura della città di Milano, oltre Porta Venezia, vi fosse un bosco
abitato da un feroce drago.
Avvenne che un giorno il signore d’Angera, Uberto Visconti, attraversando quel bosco, sorprese il drago
nell’intento di divorare un bambino, ancora in fasce.
Sguainata la spada, la bestia fu trafitta e uccisa.
Per onorare l’accaduto, egli decise di inserire nello stemma della propria famiglia sia il drago sia il bambino,
i quali, dopo che i Visconti furono divenuti Signori di Milano, divennero il simbolo stesso della città.
La mancanza di fonti certe permette di proporre altre e innumerevoli ipotesi riguardo tale argomento.
Non da ultimo si ricorda, infatti, la sorprendente affinità dell’immagine con la raffigurazione paleocristiana
dell’episodio biblico di Giona inghiottito dalla balena.
Unico fatto certo fu la fortuna che questo simbolo conobbe grazie alla fama e alle gesta dell’antica famiglia
Visconti, tanto che ancora oggi è ricordato nei marchi di alcune prestigiose aziende lombarde, quali l’Alfa
Romeo, l’F. C. Internazionale, aziende che hanno contribuito a darne dunque a darne una diffusione a
livello mondiale.
http://www.sajopp.org/storia/lo-stemma-visconteo-e-le-sue-leggende
La caccia nei territori viscontei lungo il fiume Ticino è sempre stata un’ “ars” molto praticata.
Nel 1483 Pier Candido Decembrio, biografo di Filippo Maria
Visconti, scriveva che il Duca trovava sollievo nelle preoccupazioni
e: “Quanto più sembrava intento a cacciare, proprio allora andava
considerando in cuor suo il da farsi a proposito di gravi questioni di
Stato”.
Nel 1492 il Marchese di Mantova così descriveva
un’indimenticabile giornata: “Oggi si è cacciato a due miglia da qui,
nel più bel sito che credo la natura potesse formare per simile
spettacolo. Gli animali stanno nella vallata boscosa, presso il Ticino, dove in poco spazio era imprigionata
con tele molta selvaggina, che spinta dal basso doveva passare un ramo del Ticino…”.
Comincini M., Storia del Ticino: la vita sul fiume dal Medioevo all’età contemporanea, Abbiategrasso, 1987
L’Ippovia Parco Ticino percorrendo i 90 Km da Sesto Calende a Pavia consente ai moderni cavalieri, agli
amanti di carrozze, ed agli appassionati di escursioni in bicicletta di immergersi in questa realtà viscontea e
di viverla al ritmo del periodo medioevale.
3. IPPOVIA PARCO TICINO
a cavallo nelle terre dei Draghi
Madonna dello Zerbo
Nei pressi di Besate, dove ora si trova la Madonna dello Zerbo, era eretto, in epoca medievale, un
importante castello, che dominava tutta la piana tra le odierne Abbiategrasso e Bereguardo.
Questo castello venne, un giorno, in possesso di Stefan Metzger, eredità dello zio Julian.
Lo zio gli aveva, però, fatto giurare che non avrebbe mai usato la fortezza come strumento di sopraffazione,
ma avrebbe promosso con ogni mezzo la pace e la concordia.
Stefan giurò, ma in cuor suo era determinato a seguire ben altre strade. E così fece: appena morto lo zio,
montò a cavallo, salutò la moglie, unica persona per la quale provava un sentimento di amore, e galoppò
ebbro verso la nuova dimora.
Aveva in animo di farne la roccaforte della sua politica di potenza, per porre sotto il suo spietato tallone le
popolazioni della valle. Questo lo dovevano capire tutti, subito.
Perciò si fece forgiare un drago di ferro, che pose in cima alla torre del
castello, proteso verso la piana, e con il suo odio protervo gli diede vita.
Il drago di ferro, diventato drago vivo, doveva impedire a chiunque di
minacciare il castello: per questo ricevette un ordine tassativo, di
vomitare fuoco su chiunque si avvicinasse alle sue mura senza essere
stato convocato dal suo feroce signore. Soddisfatto, Stefan pensò che
non avrebbe più dovuto temere nessuno: erano gli altri che, d’ora in poi,
sarebbero stati percorsi da un brivido di paura al solo sentire il suo
nome. Godette però di questa soddisfazione solo per breve tempo.
Ecco, infatti, quel che accadde poi. Accadde che la moglie, non vedendolo da tempo, pensò di fargli visita di
sorpresa. Era l’unica persona che Stefan amava, gli avrebbe fatto sicuramente piacere. Si presentò, dunque,
sotto le mura del castello, con l’intento di annunciarsi al marito. Ma non fece neppure in tempo ad
allungare la mano verso il battente del possente portone: un torrente di fuoco la incenerì. Il drago aveva
eseguito l’ordine. Con lei morì anche l’ultimo barlume d’amore nel cuore di Stefan. Morì l’ultimo motivo di
gioia della sua infelice esistenza. Si dice che anche il castello, come il cuore dello sciagurato, si sgretolò
progressivamente e cadde in una desolata rovina.
Guado su Canal Nasino
Nel medioevo c’erano anche draghi bevitori d’acqua.
Nell’area che ad oggi può essere identificata tra Morimondo, Fallavecchia ed il fiume Ticino, esisteva un
lago, chiamato Nasino e un piccolo borgo chiamato Duecase.
In questo borgo viveva una fanciulla di singolare bellezza, di nome Marrit. Se ne invaghì un principe, Zoan,
che passava di là, e volle che fosse sempre sua, senza però pensare di portarsela con sé nella sua reggia o
nei suoi viaggi. Ogniqualvolta fosse passato di lì, l’avrebbe ritrovata, e tanto gli bastava. Ma per essere
sicuro di questo, fece venire a Duecase un drago nero che era al suo servizio, e gli comandò di dimorare in
una grotta nei pressi del lago Nasino. Vicino alla grotta del
drago la sua potenza fece sgorgare una sorgente magica, la
mitica fonte della giovinezza, la cui acqua preservava
chiunque la bevesse dall’inesorabile scorrere del tempo,
conservandolo sempre giovane.
Fin qui tutto bene, si direbbe. Senonché il principe non aveva
alcun interesse a che la gente di Duecase si conservasse
sempre giovane, anche perché questo rischiava di circondare
l’amata di indesiderati pretendenti. C’era pur sempre il drago
a vegliare, ma pensò che la prudenza non era mai troppa.
Così ordinò al drago di consentire alla sola fanciulla di bere
alla fonte: gli altri sarebbero invecchiati, lei no, il che le toglieva ogni desiderio di legarsi con altri giovani.
La cosa, come potete ben immaginare, non fu digerita di buon grado dagli abitanti di Duecase, anche
perché su di loro gravava l’onere di mantenere l’ingombrante drago. E c’è da credere che questi mangiasse
come un drago. Decisero, dunque, un bel giorno di farla finita. Il piano era semplice quanto ingegnoso.
Riempirono un carro di sale, ricoprendolo in modo che il carico non fosse riconoscibile. Il drago, che aveva
sempre fame, si mangiò tutto senza andare per il sottile, e subito fu preso da una sete terribile. Immaginate
che arsura ed acidità di stomaco con tutto quel fuoco ed un intero carro di sale dentro. Il drago si precipitò
nel lago Nasino e si mise a bere e a bere e a bere. Bevve tanto da scoppiare.
Il drago morì, ma morì anche il lago.
Ancor oggi dirigendosi dalla Cascina Cerina di Sotto verso il fiume Ticino si arriva al Guado sul Canal Nasino,
residua testimonianza del lago di un tempo.
Lo Scontro della Zelata
La località Zelata, a circa tre chilometri dall’odierna Bereguardo, è stata teatro in epoca medioevale di
numerosi scontri tra draghi e cavalieri.
A noi è stato tramandato questo racconto.
Giunsero anche qui, da nord, i Barbari che, dopo la caduta dell’Impero Romano, ne invasero i territori.
Giunsero fin dalla Scandinavia e nascosero, in una grotta presso il fiume Ticino, un favoloso tesoro,
costituito da gemme, diamanti, pietre preziose, oro ed argento, frutto di anni ed anni di razzie operate
scorazzando nel cuore dell’Europa. Lasciarono tutto nella grotta, con l’intento di tornare a riprenderselo in
tempi più propizi.
E per mettere le cose subito in chiaro con i contadini del paese, lasciarono a guardia di quella fortuna un
drago mostruoso, che avevano portato con sé dal lontanissimo nord. Mostruoso è dir poco: aveva tre teste
ed un solo occhio, ed un alito così pestilenziale da diffondere un
terribile puzzo in tutta la zona. Lo avevano incatenato alla roccia,
prima di andarsene, ma lui non sembrava molto contento di quella
sistemazione.
Squassava la valle con urla terribili, che facevano tremare la terra,
rendeva aridi e sterili i campi con il suo alito mefitico e, quel che era
peggio, attirava a sé, con un misterioso potere magnetico, almeno
un paio di animali o addirittura persone ogni giorno, per poi
divorarseli in men che non si dica. Gran brutto affare: la gente non
usciva più di casa, terrorizzata com’era. Oltretutto i Barbari, che
avevano proseguito le loro razzie nella penisola italiana, erano stati rovinosamente sconfitti in battaglia, e
quindi non sarebbero tornati a riprendersi né oro né drago.
Che fare? Ci pensò la Provvidenza a venire in soccorso.
Così come da nord era venuta la sciagura, da nord venne la salvezza, nelle sembianze di un aitante e
bellissimo cavaliere, dai capelli biondi e dagli occhi color fiordaliso.
Aragon era il suo nome, di chiara origine germanica.
Comparve in paese e ne vide le vie deserte. Bussò ad un uscio e chiese per qual motivo tutta la gente se ne
stesse rinserrata in casa. Quando seppe l’accaduto, non ci pensò due volte: si incamminò verso la grotta,
determinato a far fuori il drago. Tutta la gente, dalle finestre delle case, lo seguiva con lo sguardo, la
speranza e la preghiera.
Il drago lo vide venirgli incontro e si levò sulle zampe, mostrando tutta la sua paurosa mole.
Ma Aragon non si impressionò: sguainata la spada, gli si avventò contro, conficcandola nell’unico
mostruoso occhio e spingendola tanto in profondità da raggiungere il cuore. Il drago morì sul colpo. Dalla
ferità sgorgò un torrente di sangue, che corse fino al Ticino e la arrossò per due giorni interi. Dai cuori della
gente, invece, sgorgò nuova speranza e profonda riconoscenza per l’eroico salvatore. Questi si mostrò non
solo coraggioso, ma anche generoso: distribuì a tutti le ricchezze della grotta, suscitando in tutti quel
sorriso che da allora non si è più spento fra la gente della zona.
Una curiosità, per concludere: nello stemma del comune è rappresentato un biscione con la lingua
biforcuta: che c'entri, in qualche modo, oltre che con la potenza famiglia dei Visconti, con il pauroso drago?
Il basilisco di Cà Bassa
E per finire, veramente, una menzione merita anche quella sorta di fratello minore del drago, ma non meno
pauroso, rappresentato dal “basalesk”, mezzo gallo e mezzo drago
volante, temutissimo dai contadini, perché si credeva potesse
incenerire una persona con il solo sguardo (ed in effetti,
etimologicamente, “drago”, dal greco “drakon”, è, come abbiamo
visto, l’animale che ti punta contro lo sguardo, che vede con sguardo acuto in lontananza). Si credeva
anche che il basilisco nascesse dal centesimo uovo deposto da una gallina, più piccolo di quelli normali e
senza tuorlo, o anche da un uovo deposto da un gallo. Se lo si trovava, lo si doveva gettare subito alle
proprie spalle, e non ci si doveva girare per nessun motivo, neppure se si sentivano rumori raccapriccianti:
in caso contrario, il mostro sarebbe uscito dall’uovo dischiuso, ed allora erano guai.
Ancora oggi presso le cascine della zona nelle notti di luna piena non si raccolgono le uova più piccole
deposte dalle galline.
parzialmente tratto da “Massimo Dei Cas, www.paesidivaltellina.it”
Centri di interesse culturale nel Parco Ticino Sud
L’Ippovia Parco Ticino, oltre che un percorso equestre nella meravigliosa natura del parco è anche
un’occasione per visitare e conoscere il territorio da un punto di vista culturale, architettonico ed etnico.
In considerazione della vastità dell’area coperta inizieremo ad approfondire il tratto sud dell’ippovia, quella
che collega Abbiategrasso a Pavia.
Approfondimenti
 Castello di Abbiategrasso
 Abbazia di Morimondo
 Besate
 Motta Visconti
Castello di Abbiategrasso
Non si sa con certezza quando fu edificato il Castello di Abbiategrasso, ma i resti di alcune strutture
architettoniche fanno supporre che le sue origini risalgano agli inizi del Duecento, per poi essere ampliato e
restaurato verso il 1381 su ordine di Gian Galeazzo Visconti.
Verso la seconda metà del Quattrocento il duca di Milano Filippo Maria Visconti fece rimodernare e
restaurare l’edificio, facendolo decorare con affreschi e costruire delle nuove bifore.
Nel 1535 la fine della signoria Sforzesca coincise con l’inizio di un lungo periodo di declino per il castello,
che arrivò al suo culmine nel 1658, quando il governatore di Milano, temendo un attacco da parte dei
Francesi, fece smantellare parte della struttura interna e le mura del perimetro esterno.
In seguito l’edificio diventò una casa da nobile, fino a quando nel 1865 non venne riadattato e restaurato
diventando la sede di una scuola. Nel secondo dopoguerra il
castello ospitò il museo civico di Abbiategrasso e parte degli
uffici comunali fino al 1985, quando iniziarono i lavori di
consolidamento e di recupero, che portarono nel 1995
all’insediamento della biblioteca civica Romeo Brambilla nei
corpi nord ed est.
Finalmente nel 2002 viene riaperta l'ala ovest, che attualmente
ospita le attività culturali e di promozione turistica del
territorio, oltre a altri servizi della biblioteca, come quelli
destinati ai bambini.
Negli ultimi anni è stata completata la nuova pavimentazione del cortile interno del castello e riqualificate
le aree e piazze adiacenti al complesso monumentale.
Originalmente il Castello rappresentava un perfetto esempio di un castello signorile di pianura della
Lombardia medievale, con una corte quadrangolare circondata da quattro torri collegati ad altrettanti corpi
di fabbrica composti da due piani.
Ma lo stato attuale dell’abitato, che ha subito numerose e radicali ristrutturazioni nel corso dei secoli, è cosi
diverso da quello originario che da alcune angolazioni si fatica a riconoscerlo come quello di una volta, ad
esempio il cinquecentesco bastione ha subito pesanti modifiche durante la costruzione della ferrovia alla
fine dell'Ottocento.
Sul lato ovest troviamo l’ingresso attuale, collocato all’angolo
opposto di quello originario.
Il cortile è a forma quadrata leggermente irregolare, e vi si
possono notare i resti delle arcate gotiche che la circondavano.
Posteriore alla struttura originaria e il ponte in mattoni che porta
all'interno del castello. Viste dall’esterno le facciate del castello
presentano i segni della chiusura e apertura delle finestre che vi
si trovavano anticamente.
Sul lato dell'attuale ingresso troviamo delle finestre ad arco, poi murate dando vita ad una facciata di tardo
secentesca con una porta poligonale. Nell'angolo sinistro possiamo notare uno scivolo che conduce ai
seminterrati dove è stata ricavata un'ala di servizi, mentre l'angolo destro del lato ovest è andato perduto.
Segni di bifore del tardo Trecento e Quattrocento, oggi rifatte o murate, punteggiano il lato nord, mentre
nell’angolo nord- ovest vi sono i resti del muro di una torre abbattuta. Nell'angolo opposto troviamo l'unica
torre rimasta della costruzione originaria.
Sul lato est, di fronte alla fontana, troviamo le tracce delle antiche merlature e bifore, oltre a una arcata
duecentesca con al di sopra il simbolo del biscione visconteo.
Anche se le sale interne hanno subito vari interventi nel corso dei secoli si possono notare delle tracce
ancora visibili degli affreschi che le decoravano, tra cui il motto visconteo A bon droit.
http://www.milanofree.it/milano/monumenti/castello_visconteo_di_abbiategrasso.html
Abbazia di Morimondo
Gli inizi
Il Monastero di Morimondo, nome che significa “morire al mondo”, cioè "vivere da risorti", venne fondato
nel 1134 a Coronate, località ancora esistente a circa un chilometro dall'abbazia, dai monaci provenienti dal
monastero cistercense di Morimond in Francia. Insieme all’abate Gualchezio (Gualguerius) arrivarono
Gualtiero, Ottone, Algisio, Guarnerio, Arnoldo, Enrico, Frogerio, Pietro, Bertramo, Petrus Niger e altri
monaci di cui non conosciamo il nome.
Nel 1136 essi si trasferirono in località “Campo Falcherio”, l’attuale
sede.
In poco tempo il monastero acquistò importanza e accolse
numerose vocazioni provenienti da tutte le classi sociali; addirittura
prima della costruzione della chiesa, i monaci morimondesi
fondarono altre due comunità: nel 1143 Acquafredda (Como) e nel
1169 Casalvolone (Novara).
Un segno notevole ed eloquente della ricchezza di vocazioni é
testimoniato dalla fiorente attività dello scriptorium. Anche dal
punto di vista agricolo ci fu una notevole espansione con gran numero di grange, oratori e mulini dislocati
su un territorio di circa 3.200 ettari nel XIII secolo, di cui due terzi erano campi coltivati e un terzo boschi.
Le battute d'arresto
Purtroppo la laboriosità e la pax monastica furono disturbate dagli eventi bellici del tempo. L'abbazia,
infatti, era stata fondata al confine tra Pavia e Milano, città che continuamente si contendevano il dominio
politico e militare con saccheggi e sconfinamenti al di qua e al di là del Ticino. Con la venuta di Federico
Barbarossa in Italia, Morimondo venne sconvolta con un primo saccheggio da parte delle truppe tedesche
nel 1161.
La costruzione della chiesa abbaziale, ostacolata anche da una disputa di giurisdizione ecclesiastica con la
vicina pieve di Casorate Primo, potè iniziare solo nel 1182.
Nel 1237 i lavori furono interrotti da un terribile saccheggio avvenuto nella notte del 3 dicembre a opera
delle truppe pavesi, che devastarono il cenobio e uccisero molti monaci. Il monastero contava 50 monaci
coristi (monaci sacerdoti che lavoravano nello scriptoriumi) e 200 conversi (fratelli laici dediti alla gestione
delle attività produttive del monastero e ai rapporti con l'esterno). Da allora la comunità non si rialzò più e
il termine dei lavori dell'abbazia si ebbe solo nel 1296.
Il tredicesimo secolo, col sorgere dei nuovi ordini mendicanti, portò a Morimondo, come in tutto l'ordine
dei Cistercensi, un calo delle vocazioni monastiche.
La commenda
Nel 1450 Morimondo divenne commenda e il suo primo
abate commendatario fu il cardinale Giovanni Visconti,
arcivescovo di Milano, seguito dal cardinale Branda
Castiglioni, noto umanista; ma provvidenzialmente
Morimondo ebbe la sua rinascita spirituale grazie al figlio
di Lorenzo il Magnifico, il cardinale Giovanni de' Medici
(commendatario dal 1487 al 1501), futuro papa Leone X
(1513-1521).
Egli si adoperò a inviare a Morimondo sei monaci
cistercensi provenienti dall'abbazia di Settimo Fiorentino
per riportare la regolarità della vita monastica.
Segno di questa ripresa sono le opere di arte e di devozione, commissionate dai monaci di Settimo
Fiorentino, come la ricostruzione del chiostro intorno all’anno 1500, il rifacimento del portale della
sacrestia, l'affresco della "Madonna col Bambino" attribuito al Luini del 1515 e infine il coro ligneo del 1522.
La parrocchia e la soppressione
Nel 1564 San Carlo Borromeo, per aiutare economicamente l'Ospedale Maggiore di Milano, spogliò
l’abbazia di Morimondo dei propri terreni; contemporaneamente la eresse a parrocchia, dandole il titolo di
Santa Maria Nascente.
Il Seicento vide nell'abate Antonio Libanorio (1648-1652) l'apice di una nuova ripresa della comunità
monastica.
Nel Settecento vennero edificati i palazzi che s’innalzano sopra i lati ovest e nord del chiostro.
Il 31 maggio 1798, a seguito della rivoluzione francese, fu decretata la soppressione di tutti gli ordini
monastici e quindi anche della comunità cistercense di Morimondo.
I fatti recenti
Dal 1805 al 1950 la vita religiosa venne animata da sacerdoti ambrosiani. Nel 1941 l’arcivescovo di Milano,
il beato cardinale Ildefonso Schuster, in visita pastorale all'abbazia, constatatone lo stato di abbandono,
volle riportare nel cenobio la vita religiosa.
Prima vennero contattati i Trappisti delle Tre Fontane a Roma e in seguito, nel 1950, la Congregazione degli
Oblati di Maria Vergine si stabilì nel monastero.
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I nostri giorni
Nel 1991 il cardinale Carlo Maria Martini affida alla Congregazione dei Servi del Cuore Immacolato di Maria
la cura pastorale della parrocchia con un nuovo invito a rilanciare l'abbazia di Morimondo come centro di
spiritualità e di iniziative pastorali.
Con la costituzione della Fondazione Abbatia Sancte Marie de Morimundo, nel 1993 si assiste a un rilancio
di Morimondo con la valorizzazione del patrimonio spirituale e culturale dell'abbazia e del monachesimo di
Cîteaux in generale.
Dal 2006 è il clero diocesano che nella figura di Padre Mauro Loi assicura la continuità nel mantenere vivo
lo scopo di questo luogo fondato da un piccolo gruppo di monaci francesi nel 1134: realizzare un posto di
incontro tra Dio e l'uomo.
http://www.abbaziamorimondo.it/storia-abbazia
Besate
La memoria scorre in riva al fiume
Un paese posto sulla cima di un lieve pendio che dolcemente degrada fino ad incontrare il Ticino, abile
scultore che da millenni ne plasma il territorio con naturale maestria. Un borgo circondato dall'acqua che
avvolge, protegge e affoga i cattivi pensieri. Non stiamo parlando dell'ultima traccia di un antico castello,
circondato da fossati di protezione. Stiamo raccontando Besate; del
Naviglio da una parte, e del fiume che vi scorre a valle: il Ticino. Azzurro
una volta, verde tuttora sulle rive che portano ai boschi e bianco da
sempre sulla pelle dei sassi che ne segnano il corso, il Ticino è per questo
paese una certezza, nonostante la deviazione che il suo corso ha dovuto
subire per le necessità dell'uomo. Una risorsa per il borgo di oggi, ma
ancor più fondamentale nei secoli scorsi. Una centralità che si manifesta
nelle ville signorili che si ritrovano in paese e nei territori vicini: Motta
Visconti, Bereguardo, La Zelata, ecc.
Si scopre una traccia di questo prospero passato nel portale che sovrasta
la Villa Visconti di Modrone. Proprio Marcello Duca Visconti di Modrone
fu l'ultimo privato cittadino a possedere una porzione del Bosco dello
Zerbo, un angolo verde di un territorio che è quasi del tutto scomparso. Il
nobile fu probabilmente l'ultimo estimatore di questa grande tenuta boschiva. Il Duca, con grande
lungimiranza, aveva al soldo alcuni guardiacaccia e boscaioli che si occupavano della manutenzione della
tenuta. È quasi superfluo ricordare che per far vivere un bosco, per far sì che cresca sano e rigoglioso,
occorre una pulizia continua e sistematica che permetta alle nuove generazioni arboree di crescere sane e
liberate dall'oppressione di altre piante vecchie e destinate a morire.
Forse il nobile fu davvero l'ultimo mecenate di questa natura che circonda il fiume azzurro nel territorio di
Besate. Era lui a tutelarlo prima dell'avvento del Parco del
Ticino, reo di aver contribuito alla decadenza del bosco.
Per fortuna, anche grazie all'operato degli Amici del Ticino
di Besate, dal 2002 la zona dello Zerbo è tornata a vivere.
Oltre al bosco, infatti, una meravigliosa villa ed una
chiesetta risalente al 1600 completano la zona. La villa, di
proprietà della famiglia Ciccarelli, quelli della Pasta del
Capitano per intenderci, è stata trasformata in residenza
privata. Tuttavia la sensibilità dei proprietari fa sì che la
dimora possa essere visitata in occasione di alcune
ricorrenze. La seconda domenica di maggio, ad esempio, i cittadini di Besate rendono omaggio alla
Madonna dello Zerbo con una festa che apre le porte della villa e della chiesa ai visitatori.
http://felicemastronzo.blogspot.it/2013/05/besate-la-memoria-scorre-in-riva-al.html
Motta Visconti
Il nucleo originario era chiamato Campese, a ovest dell'attuale Motta Visconti. Probabilmente già esistente
in epoca romana (il nome è latino), divenne sede di una signoria. I de Campesis noti sono però successivi al
1100 e occupano importanti cariche a Pavia. Durante questo periodo, a causa delle lotte tra Milano e Pavia,
gli abitanti di Campese si trasferirono progressivamente alla Motta, una fortezza dei de Campesis posta più
a est e il borgo rimarrà poi disabitato. Motta verrà acquistata da un rampollo della famiglia Visconti, alla
quale il paese legherà il nome.
A Motta Visconti ha lavorato per anni in una scuola elementare una delle più grandi poetesse e scrittrici
italiane, Ada Negri.
Ada Negri (Lodi, 3 febbraio 1870 – Milano, 11 gennaio 1945) è ricordata inoltre per
essere stata la prima e unica donna ad essere ammessa all'Accademia d'Italia.
L’Istituto Comprensivo Statale per l’istruzione di Motta Visconti porta il suo nome.
In piazza S.Rocco vi è il museo e lei dedicato.
Qui di seguito una delle sue poesie che meglio rappresentano il legame con la terra
del Ticino
Nel paese di mia madre
Nel paese di mia madre v'è un campo quadrato, cinto di gelsi.
Di là da quel campo altri campi quadrati, cinti di gelsi.
Roggie scorrenti vi sono, fra alti argini, dritte, e non si sa dove vanno a finire.
La terra s'allarga a misura del cielo, e non si sa dove vada a finire.
Nel paese di mia madre v'han ponti di nebbia, che il vento solleva da placidi fiumi:
varca il sogno quei ponti di nebbia, mentre le rive si stellan di lumi.
Pioppi e betulle di tremula fronda accompagnan de l'acque il fluire:
quando nè rami s'impigliano gli astri, in quella pace vorrei morire.
Nel paese di mia madre un basso tugurio sonnecchia sul limite della risaia,
e ronzano mosche lucenti, ghiotte, intorno a un ammasso di concio.
Possanza di morte, possanza di vita, nell'odore del concio: ne gode
la terra dall'humus profondo, sotto la vampa d'agosto che immobile sta.
Nel paese di mia madre, quando il tramonto s'insaguina obliquio sui prati,
vien da presso, vien da lontano una canzone di lunga via:
la disser gli alari alle cune, gli aratri alle marre, le biche all'aie fiorite di lucciole,
vecchia canzone di gente lombarda: "La Violetta la vaaa la vaaaa... "
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-d-autore/poesia-19311?f=a:3381>