L`OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVI n. 28 (47.163)
Città del Vaticano
venerdì 5 febbraio 2016
.
Stallo fino al 25 febbraio dopo il massiccio attacco delle forze siriane ad Aleppo
Il documento francese contro l’utero in affitto
Negoziati sospesi
mentre infuria la battaglia
Così
si uccide la maternità
di LUCETTA SCARAFFIA
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DAMASCO, 4. Le forze siriane del
presidente Assad hanno lanciato una
massiccia offensiva per riconquistare
Aleppo. Si tratta di un attacco aereo
e terrestre senza precedenti, sostenuto dai cacciabombardieri russi che
hanno compiuto almeno trecento
raid in due giorni. Bloccati i negoziati di Ginevra con l’opposizione
che minaccia di abbandonare i colloqui «se non sarà fermato il massacro
in corso».
Gli scontri si concentrano a nord
di Aleppo, città da quattro anni contesa tra l’esercito regolare siriano e
diverse formazioni islamiste: Liwa Al
Muhajereen Al Ansar, Ahrar Al
Sham, i turcomanni sostenuti dalla
Turchia e Al Nusra (la branca siriana di Al Qaeda). Stando a fonti di
stampa, sarebbero coinvolti nei combattimenti anche gli Hezbollah libanesi, che sostengono Assad. La battaglia è iniziata due giorni fa, quando le truppe siriane sono riuscite a
spezzare due importanti sacche dove
si trovavano almeno trentamila civili
e diversi reparti governativi (circa
500 uomini) circondati da forze ribelli. La rottura delle sacche ha permesso ai reparti governativi imprigionati di unirsi agli altri, dando così il via all’offensiva con l’obiettivo
di spezzare le linee di rifornimento
degli insorti e costringerli alla resa.
Nelle ultime ore — dice l’agenzia
ufficiale siriana Sana — unità
dell’esercito hanno distrutto alcuni
veicoli armati di mitragliatrici appartenenti ai jihadisti di Al Nusra nei
pressi dei villaggi di Maarasta Al
Khan e Byanoun. Altre unità, in
cooperazione con milizie popolari di
Nubbul e Al Zahraa, hanno del tutto interrotto la via che unisce le città
di Mayer e Maarasta Al Khan usata
dai ribelli per il transito dei rifornimenti. Nel villaggio di Al Uwainat,
sarebbero stati attaccati e distrutti
diversi gruppi di jihadisti del cosiddetto Stato islamico (Is). È comunque prevedibile che nelle prossime
ore gli insorti riescano a organizzare
un contrattacco.
Come detto, l’offensiva ha provocato il brusco stop dei negoziati in
corso a Ginevra iniziati lo scorso 31
gennaio. Il portavoce del principale
gruppo dell’opposizione, Salem Al
Meslet, ha accusato la comunità internazionale di essere «cieca di fronte al massacro». Il portavoce ha poi
aggiunto che l’opposizione «chiede
azione ai nostri amici per ottenere il
rilascio di migliaia di siriani detenuti
illegalmente». Finora i colloqui si
sono svolti separatamente: ogni delegazione ha parlato soltanto con l’inviato speciale dell’Onu, Staffan de
Mistura, di questioni procedurali.
«Non è la fine dei negoziati, non è
un fallimento dei negoziati, ma solo
una sospensione temporanea» ha
detto de Mistura, riferendo che le
trattative riprenderanno il 25 febbraio. «Fin dall’inizio — ha sottolineato l’inviato dell’Onu — avevamo
detto che non saremmo venuti qui
solo per il gusto di parlare. Se non
ci sono risultati, bisogna andare più
in profondità, ed è quello che ci proponiamo di fare con questa sospensione. Bisogna essere determinati —
ha concluso de Mistura in un messaggio trasmesso sull’emittente Al
Jazeera — ma anche realistici».
Tuttavia, l’offensiva ad Aleppo rischia di scatenare attriti diplomatici
molto forti. Gli Stati Uniti e la
Francia hanno accusato il Governo
di Assad e Mosca di voler affossare
il processo di pace. «Il proseguimento dell’assalto delle forze del regime
siriano, rafforzato dagli attacchi russi, contro le zone controllate dall’opposizione mostra chiaramente il desiderio di cercare una soluzione mili-
tare prima che consentire una soluzione politica alla crisi» ha dichiarato oggi il segretario di Stato americano, John Kerry. Sulla stessa lunghezza d’onda il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, che ha
accusato Damasco di «silurare gli
sforzi di pace» lanciando l’offensiva
vicino Aleppo e ha esortato la comunità internazionale a riflettere e tenere «consultazioni».
A fare le spese dei combattimenti
sono soprattutto i civili. Finora oltre
quattro milioni di siriani hanno dovuto abbandonare le proprie case a
causa delle violenze. Quattordici milioni sono fuggiti in altri Paesi. Centinaia di migliaia si trovano in zone
di guerra, privi di qualsiasi mezzo di
sussistenza. In sei anni il conflitto siriano ha causato quasi trecentomila
morti. E per risolvere questa crisi
umanitaria oggi a Londra si apre la
conferenza dei Paesi donatori. Numerosi i capi di Governo e i ministri
degli Esteri presenti: oltre al padrone di casa, il premier britannico David Cameron, il cancelliere Angela
Merkel, il re giordano Abdullah, il
primo ministro libanese, Tammam
Salam, il segretario di Stato americano Kerry, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, e il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. La Santa
Sede è rappresentata dall’arcivescovo
Paul Richard Gallagher, segretario
per i Rapporti con gli Stati della
Santa Sede. Stati Uniti e Unione
europea hanno preannunciato che
M
Un uomo tra le macerie della sua abitazione nei pressi di Aleppo (Reuters)
offriranno nuovi aiuti. Il Governo
tedesco ha reso nota ieri l’intenzione
di concedere all’Alto commissariato
dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) almeno 500 milioni di euro per far
fronte alla situazione di emergenza
in Siria e nei Paesi vicini. Con questo stanziamento, il contributo tedesco salirà nell’anno in corso a 1,5 miliardi di euro.
L’Ue approva aiuti alla Turchia per tre miliardi di euro
Via libera al fondo per i rifugiati
BRUXELLES, 4. Passi in avanti nella
gestione dell’emergenza immigrazione in Europa. La Commissione
Ue «accoglie con favore l’accordo
raggiunto dagli Stati membri» sui
dettagli del fondo per i rifugiati da
tre miliardi di euro destinato alla
Turchia, proposto lo scorso 24 novembre.
I ventotto Stati membri hanno
concordato ieri su come finanziare
il fondo di assistenza per i rifugiati
in Turchia, che dovrebbe consentire
di dare assistenza umanitaria ai rifugiati nel Paese e alle comunità
che li ospitano. L’aiuto sarà «focalizzato principalmente sul soddisfacimento dei bisogni immediati for-
Accordo di libero scambio
tra dodici Paesi del Pacifico
WASHINGTON, 4. Una svolta importante per l’economia mondiale.
I ministri del Commercio di dodici Paesi dell’area del Pacifico, tra i
quali anche gli Stati Uniti, hanno
firmato ieri in Nuova Zelanda
l’accordo di libero scambio detto
Partenariato trans-pacifico (Tpp).
L’intesa aumenterà in modo significativo il commercio nell’area
dando un impulso decisivo alle
economie. Tuttavia, affinché il
patto acquisti effettivamente forza
ogni Paese dovrà ratificarlo attraverso i Parlamenti nazionali. E re-
sta una questione aperta se negli
Stati Uniti — dove il Congresso è
controllato in entrambi i rami dai
repubblicani — si troverà un accordo sul patto. Sul piano tecnico,
l’accordo riguarda una regione responsabile di circa un terzo di tutto il commercio mondiale, anche
se dal patto è esclusa la Cina. Oltre che dagli Stati Uniti, l’accordo
è stato firmato da Nuova Zelanda,
Giappone, Canada, Messico, Australia, Malesia, Singapore, Perú,
Cile, Vietnam e Brunei.
nendo cibo, servizi sanitari ed educazione» recita il comunicato della
Commissione. Dei tre miliardi di
euro, uno arriverà dal bilancio
dell’Ue, e gli altri due dai contributi degli Stati membri.
«Lavoriamo continuamente per
contenere il flusso dei migranti verso l’Europa — ha detto il premier
olandese, Mark Rutte, il cui Paese
detiene la presidenza di turno
dell’Ue — e gli accordi tra l’Unione
e la Turchia sono una parte vitale
di questo sforzo, mirando a combattere i trafficanti di esseri umani
e a lanciare progetti che aiuteranno
a dare a coloro che sono nei campi,
e intorno a essi, la speranza di un
futuro migliore».
L’Ue ha acconsentito a raddoppiare il proprio impegno finanziario, portandolo a un miliardo, dai
500 milioni proposti in novembre.
L’Europa, ha aggiunto Rutte, «continuerà a lavorare duramente con i
propri partner turchi per avere risultati concreti». Per il vice presidente della Commissione, Frans
Timmermans, «le misure adottate
aiuteranno ad assicurare migliori
prospettive per i siriani in Turchia e
a fare progressi sull’implementazione del nostro piano di azione congiunto. Dobbiamo lavorare insieme
per raggiungere risultati, in particolare per contenere il flusso di migranti irregolari».
L’emergenza, intanto, continua a
peggiorare e nei prossimi mesi — in
primavera ed estate — Italia e Grecia dovranno affrontare l’arrivo di
migliaia di persone. Secondo il
commissario Ue all’Immigrazione,
Dimitris Avramopoulos, l’accordo
di Schengen è «sotto pressione e lo
salveremo applicandone le regole».
Gli hotspot (i centri di registrazione) devono essere realizzati al più
presto e tutti i Paesi devono effettuare i controlli.
Intervento della Santa Sede
Per alleviare le sofferenze
del popolo siriano
PAUL RICHARD GALLAGHER
A PAGINA
2
entre in Italia i problemi
bioetici relativi all’utero in
affitto vengono affrontati
con la solita, e sterile, contrapposizione fra laici e cattolici — in genere presentati dai media rispettivamente come progressisti e conservatori — in Francia il mondo laico
e progressista si sta muovendo con
coraggio per denunciare la nuova
schiavitù.
E questo accade proprio mentre
lo stesso schieramento in Italia cerca di creare un’opinione favorevole
a questa pratica: la scorsa settimana, ad esempio, «Io donna», settimanale del «Corriere della sera»,
ha pubblicato un’inchiesta fra donne indiane che affittavano l’utero
descrivendole contente di aiutare
finanziariamente le loro famiglie e
di rendere felici delle coppie sterili.
E questo nonostante che la differenza fra le cifre pagate dalle coppie occidentali ricche e quelle ricevute dalle donne indiane rendesse
immediatamente evidente lo sfruttamento al quale queste ultime erano sottoposte.
Il 2 febbraio si è tenuta a Parigi,
presso l’Assemblea nazionale, una
affollata riunione indetta da gruppi
progressisti e femministi per concordare un documento — intitolato
Stop alla maternità surrogata — che
chiede la condanna, in tutto il
mondo, dell’utero in affitto, cioè
della «mercificazione del corpo
delle donne e dei bambini». È necessaria questa visione planetaria
perché, se in qualche parte del
mondo rimane legale, ci sarà sempre qualcuno che si rivolgerà a una
donna di quel Paese per pagare la
sua prestazione come contenitore
di una gravidanza. Il primo passo
sarà far approvare questo documento dal parlamento dell’Unione
europea.
Nel corso di un’appassionata discussione hanno avuto un grande
effetto le parole della giornalista
Sheela Saravanon, che ha denun-
Risorge la basilica della Natività
Oro, gemme e seta
I rappresentanti dei Paesi coinvolti durante la cerimonia della firma dell’accordo (Ansa)
FABRIZIO BISCONTI
A PAGINA
5
ciato la dimensione colonialista
dello sfruttamento delle donne.
L’utero di donne povere di Paesi
poveri viene comprato da ricchi occidentali per avere un figlio attraverso pratiche avvilenti, come l’inserimento di cinque embrioni per
volta, e l’eventuale aborto di quelli
che si sono impiantati in soprannumero rispetto alle richieste del
committente. Ma soprattutto questo significa una negazione dell’importanza del rapporto che si crea
fra la madre e il feto nei nove mesi
della gravidanza. Le donne sono ridotte così a una macchina, e il
bambino a un bene su ordinazione.
La filosofa Sylviane Agacinski,
presidente dell’associazione CoRP
— sul cui sito è disponibile, in sette
lingue, la carta votata il 2 febbraio,
e dove il documento può essere
sottoscritto — ha detto che con
questa iniziativa si vuole impedire
che, «come la prostituzione, la pratica dell’utero in affitto trasformi le
donne in prestatrici di un servizio,
sessuale o materno. Il corpo delle
donne deve essere riconosciuto come un bene indisponibile per l’uso
pubblico. La madre surrogata non
è forse madre genetica, ma è senza
dubbio madre biologica, tenuto
conto degli scambi biologici che
avvengono per nove mesi tra la
madre e il feto. Il bambino in questo modo diventa un bene su ordinazione, dotato di un valore di
mercato, e questo è inaccettabile».
Il mondo sembra avere dimenticato il valore inestimabile dei legami umani, e crede solo più nei soldi e nella tecnica — è stato ribadito
nella discussione — mentre molte
partecipanti hanno difeso la maternità come prerogativa della donna
da non svendere. È la prima volta
che la sinistra osa parlare contro le
lobby progressiste, senza paura di
essere associata a gruppi giudicati
conservatori, come i partecipanti
alla Manif pour tous che hanno
denunciato per primi l’orrore di
questa pratica.
Iniziative di Scholas Occurrentes lanciate alla presenza del Papa
In campo
per la pace
Papa Francesco ha annunciato che
il prossimo 29 maggio, allo stadio
Olimpico di Roma, si giocherà una
nuova partita per la pace, dopo
quella svoltasi il 1° settembre 2014.
Un’iniziativa che dimostra come è
possibile “fare la pace” anche con
il gioco e con l’arte, ha spiegato il
Pontefice mercoledì sera, 3 febbraio, presiedendo nella Casina Pio
IV, in Vaticano, l’incontro promosso
dalla fondazione pontificia Scholas
Occurrentes per la formazione dei
giovani più svantaggiati nei Paesi
poveri.
Salutando i presenti il Pontefice
ha tenuto a mettere l’accento
sull’importanza del calcio e dello
sport in generale, che, ha detto, è
in grado di educare e promuovere
la cultura dell’incontro. Il valore
dell’educazione, ha spiegato, va inquadrato nell’armonia della perso-
na, ossia nella crescita della totalità
dell’uomo. Si tratta di dare spazio
soprattutto alla capacità creativa
dei giovani e dei ragazzi, per promuovere il dialogo tra religioni e
culture e costruire un mondo più
inclusivo.
PAGINA 8
NOSTRE
INFORMAZIONI
Nella mattinata di giovedì 4 febbraio il Santo Padre si è recato
in visita ai Dicasteri della Curia
Romana ubicati in Via della
Conciliazione 5 e 34.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
venerdì 5 febbraio 2016
Obama durante il suo discorso
nella moschea di Baltimora (Reuters)
Intervento del segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede alla conferenza di Londra
Per alleviare
le sofferenze del popolo siriano
WASHINGTON, 4. «La prima cosa
che voglio dire è una cosa che i musulmani americani non sentono
spesso: grazie». Ha esordito così il
presidente degli Stati Uniti, Barack
Obama, ieri a Baltimora, nella sua
prima visita a una moschea in veste
di capo della Casa Bianca. «Recentemente — ha detto il presidente riferendosi al dibattito elettorale in
corso — abbiamo sentito una ingiustificabile retorica contro i musulmani americani, che non ha alcun
posto nel nostro Paese». E rivolgendosi ai giovani musulmani presenti,
ha detto: «Siete parte di questo posto. Non siete o musulmani o americani, siete musulmani e americani.
La mera tolleranza di religioni diverse non è abbastanza: gli Stati
Uniti — ha sottolineato Obama —
sono per la liberta religiosa. E l’attacco a una religione è l’attacco a
tutte le religioni. Quando un gruppo religioso è preso di mira, tutti
noi abbiamo la responsabilità di
prendere posizione. L’islam è sempre stato parte dell’America».
Parole forti, coraggiose, volte a
correggere quella che a suo giudizio
è «una impressione profondamente
distorta» degli americani musulmani, ossia quella di essere “cittadini
di serie B”. Per questo Obama ha
sfidato anche Hollywood perché
cominci a far interpretare ai musulmani ruoli che «non siano legati alla sicurezza nazionale; c’è stato un
tempo in cui non c’erano neri in televisione» ha osservato il presidente, facendo un parallelo con la battaglia degli afro-americani per essere accettati a pieno titolo dalla società. Ma soprattutto Obama ha voluto insistere sulla differenza radicale tra islam e terrorismo, cercando
anche di rassicurare i musulmani
che si sentono nel mirino di un crescente sospetto o di una malcelata
Pubblichiamo la traduzione italiana
dell’intervento dell’arcivescovo Paul
Richard Gallagher, segretario per i
Rapporti con gli Stati della Santa Sede, in occasione della conferenza dei
Paesi donatori per la Siria che si tiene
oggi, 4 febbraio, a Londra.
Nella prima visita a una moschea come presidente
Obama difende
la libertà religiosa
ostilità da parte della gente. «Troppo spesso tutti i musulmani vengono colpevolizzati per gli atti violenti di pochi. E questo è inaccettabile» ha detto facendo riferimento al
«momento di preoccupazione e
paura» che vive la comunità dei
musulmani americani di fronte al
crescere del sentimento anti-islami-
L’eurozona
cresce meno
del previsto
BRUXELLES, 4. Nel 2016 il prodotto
interno lordo (pil) dell’eurozona
crescerà meno del previsto. È quanto osserva la Commissione europea
nelle previsioni economiche d’inverno, pubblicate oggi. Secondo le
nuove stime il pil crescerà quest’anno dell’1,7 per cento, contro il più
1,8 previsto lo scorso novembre. Per
il 2015 è invece confermata la crescita all’1,6 per cento. Resta invariata
anche la previsione del pil all’1,9 per
il 2017. Sono invece state riconsiderate al ribasso le stime di crescita
dell’Ue nel suo complesso. Il pil
dell’Unione europea registrerà infatti un aumento dell’1,9 nel 2016 e del
due per cento nel 2016.
Le nuove previsioni — spiega
l’esecutivo comunitario — si devono
alle incertezze che gravano a livello
internazionale, e in particolare al
rallentamento dell’economia cinese.
Se da una parte ci sono «alcuni fattori di crescita che ci si attende saranno più forti» quali un basso
prezzo del petrolio e un tasso di
cambio favorevole per la moneta
unica, dall’altra alcuni «rischi per
l’economia stanno diventando più
consistenti». L’Ue vede come fattori
di rischio le lenta crescita delle economie emergenti, un commercio
mondiale «debole» e «le incertezze
geopolitiche».
E sul tema dell’inflazione, intanto, è intervenuto anche il presidente
della Banca centrale europea (Bce),
Mario Draghi. «Se non non ci arrendiamo alla bassa inflazione e certamente non lo faremo, nello stato
in cui siamo, torneremo ai livelli in
linea con i nostri obiettivi» ha detto
oggi in un discorso a Francoforte.
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La Santa Sede è lieta di partecipare
alla Conferenza “Sostenere la Siria e
la regione”, volta a rispondere alla
crisi umanitaria in Siria che, incresciosamente e dolorosamente, sta ormai entrando nel sesto anno. È una
crisi caratterizzata da una sofferenza
umana in costante crescita, che include casi estremi di malnutrizione
di bambini innocenti e di altri civili,
specialmente tra l’elevato numero di
persone intrappolate in aree difficili
da raggiungere e sotto assedio e private dell’assistenza umanitaria essenziale. Malgrado le rinnovate speranze di una risoluzione politica
della crisi, i nostri sforzi umanitari
si concentrano sempre più non soltanto sugli aiuti d’emergenza, ma
anche sui bisogni a medio e a lungo
termine dei rifugiati e dei paesi
ospitanti. Pertanto, la Santa Sede
plaude l’accento posto in questa
conferenza dei donatori sulla neces-
Caracas compra
petrolio
dagli Stati Uniti
CARACAS, 4. Anche se possiede le
maggiori riserve di greggio del
mondo, il Venezuela compra il petrolio dagli Stati Uniti. La compagnia statale Pdvsa, a gennaio, ha
acquistato 550.000 barili di greggio West Texas Intermediate
(Wti). Lo hanno confermato alla
Cnn fonti della società di ricerca
ClipperData. Il petrolio Wti — conosciuto anche con il nome di Texas Sweet Light, che viene estratto
nelle regioni del Midwest e sulla
Costa del Golfo degli Stati Uniti
— è molto pregiato e contiene circa lo 0,24 per cento di zolfo. Per
tale ragione viene definito come
“più leggero” rispetto al Brent,
estratto, invece, nel mare del
Nord. Il Venezuela ha una riserva
di 298.000 milioni di barili, secondo quanto risulta alla Energy Information Administration. Più di
quanto abbiano le riserve dell’Arabia Saudita, della Russia o
dell’Iran e otto volte più degli
Stati Uniti. Di solito, Pdvsa importa miscele di petrolio leggero
da Russia, Algeria, Nigeria e Angola. Secondo gli analisti, si tratta
della prima esportazione di greggio degli Stati Uniti in Venezuela,
dopo che Washington ha sollevato
lo scorso anno il divieto alle
esportazioni.
co. «È innegabile che una piccola
parte dei musulmani propagandi
una
interpretazione
distorta
dell’Islam» ha ammesso Obama,
precisando però che la convinzione
che l’islam sia la radice del problema «fa solo il gioco della propaganda terroristica, indebolendo la
sicurezza nazionale».
Emergenza sanitaria per quattro contee della Florida
Vertice latinoamericano su Zika
MONTEVIDEO, 4. L’emergenza per
il diffondersi del virus Zika — che
genera gravi malformazioni fetali
nelle donne incinte — richiede da
parte dell’America latina «un
lavoro congiunto in grado di affrontare il problema»: lo ha sottolineato il ministro degli Esteri
dell’Uruguay, Rodolfo Nin Novoa,
aprendo ieri a Montevideo un incontro tra i rappresentanti di quat-
tordici Paesi latinoamericani e i delegati dell’Organizzazione panamericana della sanità. La riunione
è stata richiesta qualche giorno fa
dal presidente del Brasile, Dilma
Rousseff, durante un vertice dei
Paesi latinoamericani a Quito, in
Ecuador. All’incontro di Montevideo sono presenti i rappresentanti
di Brasile, Uruguay, Argentina,
Messico e di alcuni altri Stati cen-
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Servizio vaticano: [email protected]
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di cui hanno bisogno tanti enti e organizzazioni non governative cattolici sono già inclusi nel Piano Regionale per i Rifugiati e la Resilienza
2016-2017 in risposta alla crisi siriana [3RP] delle Nazioni Unite. Le richieste di fondi per il piano 3RP per
il solo 2016 sono considerevolmente
più alte della somma richiesta nel
2015, che purtroppo è stata stanziata
solo al 50 per cento. Date le immense necessità umanitarie, la Santa Sede unisce la propria voce agli appelli per maggiori stanziamenti destinati all’aiuto ai rifugiati e alle comunità ospitanti, che ne subiscono
l’impatto, nei paesi 3RP: Giordania,
Libano, Iraq, Turchia ed Egitto.
Nel 2015, gli enti della Chiesa
cattolica (diocesi, enti assistenziali e
organizzazioni non governative cattoliche), con i fondi ricevuti grazie
agli appelli lanciati dalle conferenze
episcopali nazionali, alle donazioni
private di fedeli cattolici in tutto il
mondo e in collaborazione con governi e organizzazioni internazionali, hanno contribuito a fornire assistenza umanitaria per 150 milioni di
dollari americani, di cui hanno beneficiato direttamente oltre 4 milioni di persone. Le principali aree di
priorità degli enti cattolici nel 2015
sono state: educazione: 37 milioni di
dollari americani per programmi di
formazione in Libano e in Giordania, sia per i profughi sia per le comunità ospitanti; assistenza alimentare: 30 milioni di dollari americani,
di cui 25 milioni sono stati distribuiti in Siria; assistenza non alimentare:
circa 30 milioni di dollari americani
in Siria e in Iraq; salute: circa 16 milioni di dollari americani sono stati
destinati al settore sanitario, specialmente in Siria, Giordania e Iraq; e
infine gli alloggi: 10 milioni di dollari americani sono stati destinati alla
sistemazione e all’alloggio dei
rifugiati e delle persone internamente dislocate. Altri 12 milioni di
dollari statunitensi sono stati utilizzati per fornire assistenza diretta in
contanti, acqua e servizi igienici, sostentamento e assistenza socio-psicologica.
In questa occasione, desidero assicurare l’impegno della Chiesa cattolica a proseguire la sua assistenza
umanitaria nel prossimo anno.
Nel distribuire aiuti, le agenzie e
gli enti cattolici non fanno distinzioni per quanto riguarda l’identità
religiosa o etnica delle persone bisognose di aiuto, cercando sempre di
dare la priorità a chi è più vulnerabile e bisognoso. Sono particolarmente vulnerabili le minoranze religiose, tra cui i cristiani, che soffrono
enormemente per gli effetti della
guerra e degli sconvolgimenti sociali
nella regione. Di fatto, la loro stessa
presenza e la loro esistenza sono
fortemente minacciate. Per questa
ragione, Sua Santità Papa Francesco
ha ripetutamente richiamato l’attenzione sui bisogni particolari dei cristiani e delle minoranze religiose in
Medio Oriente.
Sciopero generale in Grecia
contro la riforma pensionistica
negli Stati federati di Bassa Sassonia e Renania Nord-Westfalia. Secondo le forze di sicurezza, uno di
loro era ricercato alle autorità di
Algeri per i suoi legami con l’Is:
«Le ricerche dimostrano che era
stato addestrato militarmente in
Siria». L’altro algerino è stato arrestato perché aveva documenti di
identità falsi. Nel corso delle ispezioni è stata fermata anche una
donna. Contro due di loro, accusati di pianificare attentati contro la
sicurezza dello Stato, già pesava
un ordine di arresto.
caporedattore
segretario di redazione
troamericani. L’allarme si è esteso
anche agli Stati Uniti: stamane, a
causa della presenza del virus, la
Florida ha dichiarato lo stato di
emergenza sanitaria in quattro contee. La decisione, ha indicato il governatore della Florida, Rick Scott,
è stata presa dopo che nello Stato
meridionale americano sono state
rilevate nove persone infette, tutte
di ritorno da viaggi all’estero.
La zanzara Aedes aegypti responsabile della diffusione di zika (Afp)
La polizia tedesca arresta
due presunti jihadisti
BERLINO, 4. La polizia tedesca ha
arrestato oggi due algerini sospettati di avere collegamenti con il
cosiddetto Stato islamico (Is) nel
corso di un’operazione contro il
radicalismo islamista a Berlino e in
altre regioni tedesche. Lo ha reso
noto la polizia, segnalando che si
cercano altre due persone. Centinaia di agenti hanno perquisito alcuni appartamenti e locali nella capitale tedesca. Sono stati setacciati
anche vari centri di accoglienza
per rifugiati nelle città di Hannover e Attendorn, rispettivamente
sità di fornire educazione, lavoro e
sviluppo economico.
Mentre affrontiamo i bisogni
umanitari, è doveroso ricordare che
il costo reale di questa crisi umanitaria si misura con la morte e la sofferenza di milioni di esseri umani.
Nel suo recente discorso al Corpo
Diplomatico accreditato presso la
Santa Sede, lo scorso 11 gennaio,
Papa Francesco ha ricordato «la voce delle migliaia di persone che
piangono in fuga da guerre orribili,
da persecuzioni e violazioni dei diritti umani, o da instabilità politica
o sociale, [...] costretti a fuggire per
evitare le barbarie indicibili praticate verso persone indifese, come i
bambini e i disabili, o il martirio
per la sola appartenenza religiosa».
Guardando avanti, al Primo Vertice
Umanitario Mondiale che si terrà a
maggio, il Papa ha espresso il desiderio che detto Vertice «possa riuscire [...] nel suo intento di mettere
la persona umana e la sua dignità al
cuore di ogni risposta umanitaria».
La Santa Sede, attraverso il Pontificio Consiglio “Cor Unum”, e la
Chiesa cattolica, mediante la sua rete di enti caritativi, hanno risposto
sin dall’inizio alla crisi umanitaria in
Siria e nella regione. I finanziamenti
ATENE, 4. Dopo scioperi e manifestazioni di settore (tra cui il blocco
delle strade già attuato dagli agricoltori), oggi la Grecia si ferma per
uno sciopero generale indetto dai
maggiori sindacati del settore pubblico e privato contro la riforma
delle pensioni. Fermi i trasporti
pubblici urbani ed extraurbani,
compresi i traghetti. Scioperano anche i giornalisti (ma fino a domattina, così da poter coprire le manifestazioni legate allo sciopero generale). In agitazione gli aderenti al sindacato dei professionisti, artigiani e
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
[email protected]
Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
commercianti. Alla protesta ha aderito anche la Confederazione del
commercio e dell’impresa. Tra le altre categorie che incrociano le braccia, gli avvocati, i notai, i camionisti, i benzinai, i medici e i farmacisti. Gli addetti al trasporto marittimo scioperano invece per 48 ore, fino a sabato mattina. Il sistema previdenziale greco – indicano gli analisti — è ormai al collasso, ben oltre
il livello di sostenibilità. Solo per citare alcuni dati: un miliardo di deficit per la previdenza dei lavoratori
dipendenti, 540 milioni di rosso per
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
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il fondo pensionistico dei liberi professionisti, sei miliardi l’anno di
omissione contributiva per il sistema
previdenziale e pensionistico. Il tutto a fronte di un caos legislativo e
organizzativo (ci sono 930 diversi
regimi pensionistici) che fa sì che il
22 per cento dei pensionati greci sia
a rischio di povertà. Dal 2010 le
pensioni sono già state tagliate 11
volte, per una riduzione media del
41 per cento. Per il Governo del
premier Tsipras i prossimi giorni saranno decisivi. E tra gli analisti c’è
già chi parla di voto anticipato.
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L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 5 febbraio 2016
pagina 3
Allarme lanciato dall’intelligence di Misurata
Comandanti dell’Is in Libia
Gli Stati Uniti pronti ad azioni unilaterali
TRIPOLI, 4. I jihadisti del cosiddetto
Stato islamico (Is) rafforzano la loro
presenza in Libia. L’avvertimento arriva da fonti di intelligence, secondo
le quali diversi comandanti di alto
livello dell’Is hanno abbandonato
l’Iraq e la Siria per sfuggire ai raid,
trovando un rifugio sicuro in zone
libiche controllate dai loro affiliati,
Impegno
per liberare
le ragazze
rapite in Nigeria
ABUJA, 4. Il Governo nigeriano
«non avrà pace» fino a quando
non sarà riuscito a liberare le oltre 200 ragazze di Chibok rapite
nel 2014 dai terroristi del gruppo
islamico di Boko Haram. Lo ha
garantito il presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, intervenendo ieri a Strasburgo nell’aula
del Parlamento europeo riunito in
sessione plenaria.
«Ho promesso ai genitori delle
studentesse rapite che il Governo
non avrà pace fino a quando tutte
le ragazze non saranno liberate
vive e restituite alle loro famiglie
e intendo mantenere questa promessa», ha dichiarato il capo dello Stato. Eletto lo scorso marzo,
l’ex generale musulmano Buhari
ha indicato tra le priorità del suo
Governo la sconfitta dei fondamentalisti di Boko Haram, responsabili da anni di una sanguinosa scia di violenza.
Uno dei casi che più hanno
colpito l’opinione pubblica, anche
internazionale, è stato appunto il
rapimento di 276 allieve di una
scuola superiore di Chibok, nello
Stato settentrionale di Borno, avvenuto nell’aprile di due anni fa.
Buhari ha sottolineato a Strasburgo di avere riorganizzato le
forze armate per poter meglio
combattere i terroristi e di avere
riconquistato molte zone del Paese africano che erano sotto il controllo di Boko Haram.
Attivi fin dal 2009 nella Nigeria settentrionale, i miliziani del
gruppo islamista hanno ucciso
decine di migliaia di persone in
attentati suicidi e attacchi ai villaggi, e minacciano anche altri
Paesi della regione, fra cui Ciad,
Camerun e Niger.
È intanto salito ad almeno 85
morti il bilancio dell’attacco di
Boko Haram nella notte tra sabato e domenica scorsi a Dalori, un
villaggio alla periferia di Maiduguri (nel Borno). Lo riferisce il
quotidiano «The Nation» citando
una nota del Governo locale.
Molti i feriti. Secondo fonti ospedaliere, le vittime dell’attacco potrebbero essere più di cento.
in particolare nell'area di Sirte. La
situazione nel Paese nordafricano allarma sempre di più gli Stati Uniti,
tanto che il presidente Barack Obama non ha escluso interventi militari. «Se ci sarà necessità per gli Stati
Uniti di prendere azioni unilaterali
per proteggere il popolo americano,
il presidente non esiterà a farlo» ha
detto ieri sera il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest.
Finora gli Stati Uniti hanno escluso qualsiasi operazione di terra su
larga scala in Libia, così come in Siria e in Iraq. Tuttavia nei giorni
scorsi Obama ha promesso che gli
Stati Uniti combatteranno «i cospiratori terroristi dell’Is in ogni Paese
dove sia necessario». Il «New York
Times» ha inoltre rivelato recentemente che l’apertura di un fronte libico nella lotta all’Is da parte di
Washington potrebbe essere questione di poche settimane, con massicci
raid aerei, nonché con l’addestramento e il sostegno a gruppi alleati
locali, come d'altronde avviene già
in Iraq e Siria.
Una cosa è certa: la guerra all’Is
sarà lunga, come ha avvertito martedì il segretario di Stato americano,
John Kerry, durante la riunione della
coalizione internazionale anti-jihadisti a Roma. Di fatto, come detto, la
minaccia è presente in particolare a
Sirte, considerata ormai il quartier
generale dell’Is nell’est del Paese.
Qui c’è stato un massiccio afflusso
di foreign fighters negli ultimi mesi,
come ha reso noto ieri alla Bbc il capo dell’intelligence di Misurata,
Ismail Shukri. Non solo soldati semplici, ma anche diversi alti comandanti «che rivestono una grande importanza», ha precisato la fonte, sono fuggiti da Iraq e Siria «perché
vedono la Libia come un rifugio sicuro». La maggior parte dei combattenti dell’Is in Libia sono stranieri,
soprattutto tunisini, egiziani, sudanesi, ma anche siriani e iracheni, ha
aggiunto lo 007.
Per sconfiggere il cosiddetto Stato
islamico gli Stati Uniti hanno chiesto ai propri partner della coalizione
di fornire nuovi contributi, in base a
ciò che ogni Paese può fare: dai raid
alla logistica e all’intelligence. La
priorità della comunità internazionale in Libia, al momento, è la nascita
del Governo di unità nazionale, per
colmare il vuoto politico e istituzionale che ha favorito l’espansione
dell’Is. Lunedì il Parlamento si riunirà a Tobruk per esaminare la lista
del nuovo Esecutivo proposta dal
premier designato, Fayez Al Sarraj.
Se finalmente la situazione dovesse
sbloccarsi, dopo mesi di paralisi, ci
sarà un’autorità definita che potrà
coordinare un intervento militare.
E intanto, voci riferiscono che il
consiglio presidenziale libico, guidato da Fayez Al Serraj, avrebbe abbandonato la Tunisia alla volta di
Skhirat, in Marocco, dove è stato
firmato lo scorso dicembre l’accordo
che dovrebbe dare alla Libia un Governo nazionale. Secondo alcuni media libici, sarebbe atteso nelle prossime ore a Skhirat l’arrivo dei membri
del consiglio presidenziale libico,
che avrebbero deciso di trasferire qui
la loro sede per «lavorare meglio per
l’annuncio di una nuova squadra di
ministri per il futuro Governo».
Pozzi di petrolio ancora in fiamme a Ras Lanuf (Afp)
Palestinese uccide agente di polizia
Importante leader di Al Qaeda tra le vittime
Nuovo attacco
a Gerusalemme
Raid nel sud dello Yemen
TEL AVIV, 4. Nuovo attacco a Gerusalemme. Tre palestinesi di Jenin,
Cisgiordania, hanno ucciso a colpi
di arma da fuoco un’agente della
polizia israeliana di 19 anni e ferito
due suoi colleghi (al momento in
gravi condizioni) prima di essere
uccisi dal fuoco delle forze di sicurezza. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha subito convocato una riunione di emergenza dei
capi della sicurezza per discutere
della situazione. L’assalto dei palestinesi è avvenuto nei pressi della
Porta di Damasco che immette nella Città vecchia, una delle aree più
turbolente di Gerusalemme. I tre
uomini hanno agito con fucili automatici, coltelli e ordigni esplosivi.
Il fatto, secondo il comandante del
distretto di polizia di Gerusalemme, rappresenta «un’escalation
nell’ondata di attacchi terroristici ai
danni di civili e militari israeliani a
Gerusalemme e in Cisgiordania».
Domenica scorsa un ufficiale delle
forze di sicurezza palestinesi ha attaccato a colpi di arma da fuoco
tre soldati israeliani a un posto di
controllo a nord di Ramallah in
Cisgiordania.
Forze di sicurezza israeliane sul luogo dell’agguato (Afp)
SANA’A, 4. Un importante leader di
Al Qaeda nella penisola arabica
(Aqpa) è stato ucciso oggi, insieme a
due guardie del corpo, da un drone
nel sud dello Yemen. L'uomo, Jalal
Belaidi, era considerato il responsabile militare dell’organizzazione terroristica che nella parte meridionale
del Paese dispone di una forte presenza, secondo i responsabili del
Governo locale. Una fonte tribale ha
confermato la morte del capo jihadista che aveva fatto parlare di sé
nell’agosto del 2014, quando aveva
partecipato al massacro di quindici
soldati yemeniti nella provincia di
Hadromout.
L’attacco nel quale è stato ucciso
è avvenuto a Maraqesha, località
della provincia di Abyane, che le
forze del presidente yemenita Abd
Rabbo Mansour Hadi controllano
fin dall’estate scorsa, da quando il
territorio è stato sottratto ai ribelli
huthi. Si tratta del secondo attacco
di un drone — presumibilmente statunitense — nel giro di 24 ore. Solo
gli Stati Uniti, infatti, dispongono
di droni nella penisola arabica e gli
attacchi di questo tipo non sono cessati nello Yemen nonostante il conflitto esploso tra le forze governative
e i ribelli huthi.
Altri sei membri di Al Qaeda sono stati uccisi ieri sera da un missile
lanciato da un drone, ha dichiarato
un responsabile della sicurezza. I
jihadisti si trovavano a bordo di un
veicolo nella zona di Rodhoum, nel-
la provincia di Chabwa, sempre nel
sud-est dello Yemen.
Nel frattempo, è stato gravemente
danneggiato un museo contenente
antichi manoscritti. Secondo quanto
riferisce l’agenzia di stampa Associated Press, i danni sono stati causati
dall’artiglieria degli insorti huthi che
ha colpito il museo di Taiz, a sud di
Sana’a. Dal 2004 gli huthi hanno
scatenato una vasta offensiva contro
il Governo yemenita conquistando
ampi territori e anche la capitale Sana’a. La lotta per il potere si è inasprita e nel sanguinoso conflitto, nel
marzo dello scorso anno, si è registrato l’intervento — a sostegno del
presidente Hadi — di una coalizione
guidata dall’Arabia Saudita.
Al Qaeda e il cosiddetto Stato
islamico (Is), approfittando del caos
che regna nello Yemen, hanno rafforzato la loro presenza nelle regioni
meridionali.
Pyongyang prepara
il lancio di un missile
Nella provincia centrale afgana di Uruzgan
Assassinato dai talebani un bambino soldato
Nave giapponese pronta a intercettare missile balistico nordcoreano (Ap)
KABUL, 4. Era poco più di un bambino e nonostante i suoi pochi anni,
non più di 14, era stato arruolato per
combattere i talebani in Afghanistan.
Ma la sua battaglia è durata poco: i
talebani lo hanno aspettato mentre
faceva compere in un quartiere della
sua città Tirinkot, nella provincia
centrale di Uruzgan, probabilmente
andando a scuola, e gli hanno sparato a bruciapelo in testa, ferendolo
gravemente. È stato portato in ospedale e poi trasferito a Kandahar City
viste le gravi condizioni, ma non ce
l’ha fatta.
Wasil Mohammed, questo era il
suo nome, finisce così nella ormai
tristemente lunga lista dei bambini
soldato, una vera e propria emergenza non solo nella regione mediorientale ma in tutto il mondo. A metterlo involontariamente nel mirino dei
talebani — che secondo quanto riferi-
scono le agenzie di stampa hanno rivendicato l’agguato — è stato lo zio.
Wasil era infatti nipote di mullah
Abdul Samad, un ex talebano, diventato in seguito un comandante
della polizia del distretto di Khas
Uruzgan.
Parlando di un’operazione condotta l’anno scorso, Samad aveva orgogliosamente lodato il nipote, citandolo e mostrandolo in numerose
foto nelle quali Wasil appare in assetto militare, con casco e fucile in
mano. «Ha combattuto come un
eroe, ha condotto con successo i
miei uomini, al posto mio, per ben
44 giorni fino a quando ho recuperato le forze dopo le ferite», ha raccontato Samad riferendo di un’operazione, l’anno scorso, in cui il piccolo aveva guidato una difesa armata contro un assedio talebano, spa-
rando razzi da un tetto, dopo che lo
zio era stato colpito.
Dura la reazione della Commissione indipendente afghana per i diritti umani che punta il dito anche
sulla famiglia del ragazzo, sul Governo di Kabul e sui talebani. «Forse ha preso le armi per vendicare la
morte del padre, ma era illegale e la
polizia non doveva parlarne come
un eroe, rivelandone l’identità anche
agli insorti», ha detto ieri sera il
portavoce
della
commissione
Rafiullah Baidar.
L’impiego dei bambini soldato è
molto diffuso in Afghanistan, anche
se i minori non sempre sono nel mirino dei talebani. Secondo dati delle
organizzazioni internazionali tutte e
due le parti, forze governative e ribelli, li arruolano da tempo tra le loro fila. Ma non si tratta di una piaga
solo afghana. Nel mondo c’è un
esercito più o meno occulto di almeno 250.000 bambini soldato di cui
quasi la metà sono ragazze. Tanti
piccoli Wasil che per un giorno da
“eroe” perdono la vita.
E nel frattempo, continuano le
violenze: diciotto talebani pakistani
sono stati uccisi ieri nel raid di un
drone nella provincia sud-orientale
afghana di Paktia. Lo riferisce
l’agenzia di stampa Pajhwok. Il portavoce del Governo provinciale, Nabiullah Peerkhel, ha reso noto al riguardo che il gruppo si era appena
infiltrato in Afghanistan quando è
stato localizzato e colpito dai missili
del drone nel distretto di Gomal.
Peerkhel inoltre, citando notizie ricevuto dal Waziristan meridionale pakistano, ha dichiarato a radio Mashal che 14 dei militanti appartenevano alla tribù Mehsud e gli altri
quattro a quella Ahmadzai Wazir.
SEOUL, 4. La Corea del Nord si sta
preparando al lancio di un missile
balistico. Sono stati infatti rilevati
movimenti attorno a una stazione
di lancio sulla costa occidentale del
Paese, secondo quanto riferiscono
il ministero della Difesa sudcoreano e i media giapponesi, rilanciati
dalla Bbc. Martedì, il regime comunista di Pyongyang ha notificato a un’agenzia Onu di voler lanciare un satellite a febbraio. La notifica è giunta dopo la condanna
internazionale per il quarto test nucleare effettuato dalla Corea del
Nord il 6 gennaio scorso.
Il lancio di un satellite potrebbe
ulteriormente far salire la tensione,
dato che potrebbe essere una copertura per il test di un missile balistico. Il Governo giapponese ha
rafforzato il suo apparato di difesa
pronto ad abbattere un eventuale
missile intercontinentale nordcoreano. Tokyo ha schierato nel Mar del
Giappone un cacciatorpediniere
classe Aegis, in grado di abbattere
qualsiasi missile si diriga verso le
coste nipponiche.
La presidente della Corea del
Sud, Park Geun Hye, ha più volte
fatto presente che non sarà tollerato il lancio di un missile balistico a
lungo raggio. «L’annuncio della
Corea del Nord del piano per il
lancio di un missile a lungo raggio,
dopo aver effettuato un test nucleare, è un atto che minaccia la
pace della penisola coreana e del
mondo che non sarà mai tollerato»
riferisce l’agenzia stampa cinese
Xinhua.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
venerdì 5 febbraio 2016
Quando critica l’indifferenza
piuttosto che l’ateismo
il tono del monaco si fa profetico
Perché sembra rivolgersi
a un’epoca molto simile alla nostra
Nikolàj Stavrògin interpretato da Ivan Alovisio
(il primo a destra) nei «Demoni» di Peter Stein
Stavrogin e padre Tichon in dialogo nei «Demoni» di Dostoevskij
La tentazione
di perdonarsi da soli
denza». La ragione dell’ospite sembra aver conquistato completamente
adre Tichon, il religioso il campo; con poche mosse ha sbarapresente nel romanzo I gliato l’avversario. Dal Dio al nondemoni di Dostoevskij, vi- Dio, passando per il demonio, come
ve già da sei anni nel mo- se in mezzo non potesse esserci nulnastero di sant’Eutimio e la. Dal Dio al non-Dio, confessa
della Vergine quando riceve la visita l’anima esacerbata di Stavrògin, codi Nikolàj Stavrògin. È uno degli in- me se a separare queste due opzioni,
contri più tesi di tutta la storia della quella della fede e quella della nonletteratura. Da una parte c’è un uo- fede, ci fosse un abisso.
Anche stavolta tocca al vescovo
mo tormentato da un demone, «un
essere maligno, beffardo e “ragione- Tichon riavvicinare gli opposti:
vole”» che gli si pone accanto, «L’assoluto ateismo si trova sul pedall’altro l’uomo di Dio, a sua volta nultimo gradino della scala verso la
esiliato in quel monastero secondo la fede perfetta (che si faccia o no l’ulversione più accreditata per curare i timo passo)». Strano, trattati della
dolori reumatici di cui soffriva op- fede, scale spirituali — che certo il
pure dei «crampi di origine nervo- religioso non poteva ignorare — metsa». Ma correva voce che fosse uno tevano ben altre virtù per arrivare a
jurodìvyi, un folle in Cristo, una di Dio (per esempio la meditazione,
quelle figure profetiche che attraver- l’orazione, la contemplazione) non
certo la miscredenza.
sano la storia della spiritualità russa.
Comincia così lentamente a prenEvidentemente queste sono solo
delle dicerie che Dostoevskij riferisce dere forma la “follia” di padre Tiprima che la porta della cella si chon, lo scandalo del suo pensiero
chiuda e i due possano rimanere soli nel tentativo di far toccare gli oppoin un incontro dove ognuno finirà
per svelare la propria nudità, in cui
il peccatore e il religioso insieme,
non uno dei due soltanto, potranno
tracciare la via della verità.
La domanda di Nikolàj Stavrògin
è fatta a bruciapelo: «E lei crede in
Dio?». Strana domanda da fare a un
sacerdote. Fa leva sul fatto che la fede non può essere mai esibita come una certezza. Il visitatore
guarda alla sua incredulità come in uno specchio ed è sicuro che neppure il suo interlocutore può offrire
maggiori garanzie in questo senso.
Ma il vescovo Tichon
accetta la sfida e osa rispondere che «la sua fede non è perfetta». È la
prima
contraddizione
che Stavrògin rileva:
«Come — ribatte — la
Vasilij Perov, «Fëdor Michajlovič Dostoevskij» (1872)
sua fede non è perfetta?
Non crede pienamente?».
Il demone che lo tormentava, ave- sti, di convergere insieme con il suo
va detto prima, era un essere «mali- interlocutore verso una sapienza che
gno, beffardo e ragionevole». Quan- dal tempo della Croce di Cristo apta ragione c’è dietro questa argo- pare ai più stoltezza e paradosso.
mentazione di Stavrògin, una ragioIl problema, si affretta ad aggiunne capace di chiudere i conti e nello gere il vescovo Tichon giudicando
stesso tempo di creare disperazione: che il colloquio non può essere con«Che fede può mai essere una fede cluso, non è tanto l’ateismo ma l’inche dubita?». Tichon offre la guan- differenza e qui il suo tono si fa procia a questo primo schiaffo, ma è fetico perché sembra rivolgersi a
forse ancora troppo presto per capire un’epoca molto simile alla nostra:
dove li porterà il duello. La logica «L’indifferenza non ha nessuna fede,
di Stavrògin compie allora un altro ma soltanto una stolida paura».
passo necessario nella catena delle
Anche la nostra è l’epoca della
deduzioni, quello che va dalla incre- paura perché è l’epoca dell’indiffedulità all’ateismo.
renza che non genera nessuna fede,
Secondo lui l’incredulità deve es- neanche la non-fede. Tichon cita a
sere per forza l’ancella dell’ateismo e memoria un passaggio dell’Apocalisse
a sua volta l’ateismo è sicuramente il che fotografa perfettamente anche la
punto più lontano da Dio, tanto che nostra attualità: «Tu dici: “Sono ricarriva a supporre che perfino la fede co, mi sono arricchito; non ho bisonel demonio sarebbe «comunque gno di nulla”, ma non sai di essere
più rispettabile di una totale miscre- un infelice, un miserabile, un povedi LUCIO CO CO
P
ro, cieco e nudo». Per questa società
dell’opulenza, dell’indifferenza e della paura valgono le stesse parole che
il sacerdote rivolge al suo visitatore
ripetendo l’oracolo di Giovanni alla
Chiesa di Laodicea: «Ti consiglio di
comperare da me oro purificato dal
Come all’inizio era stato il visitafuoco per diventare ricco, vesti bian- tore a evocare nella cella dove era
che per coprirti e nascondere la ver- stato accolto il pensiero del nongognosa tua nudità e collirio per un- Dio, stavolta è il sacerdote a insinuagerti gli occhi e recuperare la vista».
re il pensiero di Dio nella mente
Ed evidentemente colpisce nel se- dell’uomo. Stavrògin intuisce una
gno, perché Stavrògin sembra accu- manovra, una macchinazione dietro
sare il colpo e si lascia andare a un le parole del vescovo. Quell’ignoto
«Sa, io le voglio molto bene» all’in- evocato neppure tanto tra le righe è
dirizzo del religioso che
costituisce anche la condizione psicologica perché
Durante l’incontro
possa aprirsi un po’ di più
e spiegare la ragione che
il peccatore e il religioso
veramente lo ha spinto a
(non uno dei due soltanto)
bussare alla porta di quel
monastero.
possono individuare insieme
A questo punto la tracla via da percorrere
cia iniziale apparentemente scompare. Il problema
Dio — affrontato quasi come un preambolo sulla soglia della molto simile al «Dio ignoto» a cui
cella — lascia il posto al lungo rac- Paolo fa appello nel suo discorso
conto messo per iscritto del tremen- all’Areopago di Atene.
do crimine commesso da Nikolài
Stavrògin rifiuta questa apertura,
Vsèvelodovič. Questa lettura impe- non crede, non può credere, perciò
gna padre Tichon per «circa in maniera conseguente rende subito
un’ora». Alla fine, diversamente da evidente qual è il suo punto di vista.
come era accaduto finora, è il reli- Ubbidendo alla “ragionevolezza” del
gioso a porre la prima domanda demone che lo possiede, ribatte che
all’ospite: «Se qualcuno la perdonas- lui stesso vuole essere la fonte del
se per questo, ma non qualcuno di suo perdono: «Voglio essere io stesso
coloro che lei rispetta o teme, bensì a perdonarmi, ecco il mio scopo esun ignoto, un uomo che lei non co- senziale, anzi tutto il mio scopo».
noscerà mai, se questo qualcuno la Vuole riportare il discorso della salperdonasse in silenzio, dopo aver vezza nell’ambito dell’individuo, e
letto questa sua spaventosa confes- questo sembra essere non solo il tensione, ebbene lei si sentirebbe solle- tativo di Stavrògin ma anche il provato a questo pensiero o no?».
gramma
dell’uomo
moderno,
dell’uomo che non si riconosce in
nessun fondamento, che vuole essere
all’origine dei suoi moti e di se stesso ed è anche il suo più drammatico
scacco.
A questo punto le parole del vescovo Tichon si fanno decisive e taglienti: «Se lei crede di riuscire a
perdonare se stesso e di riuscirvi già
in questo mondo, allora lei crede in
tutto (…). Come mai mi ha detto
che non crede in Dio?», lasciando
riaffiorare il tema di Dio in tutta la
sua evidenza. Non si può discutere
di Dio a tavolino, se esiste oppure
no, come se si trattasse di un’idea
oppure di una qualsiasi creazione
della mente umana. Dio interviene,
chiamato oppure non chiamato, nel
bisogno di giustificazione che ha
l’uomo, nel bisogno di verità che costituisce il suo assillo più grande.
Stavrògin vorrebbe perdonarsi da sé,
essere la verità per se stesso, ma sente tutto il peso, derivante dal limite
concretamente umano, di questa
condizione.
L’uomo di Dio gli viene incontro
ricordandogli che «Dio gli avrebbe
perdonato la sua miscredenza, giacché onora lo Spirito Santo pur senza
conoscerlo». Il fatto che lui possa
giungere alla pacificazione è già
un’operazione della grazia e non importa che ne sia consapevole o cosciente.
Ma Stavrògin è un giudice ormai
troppo severo con se stesso, non può
accettare neppure questa possibilità.
Ai suoi occhi essa appare come una
Il Louvre ha deciso di restaurare il «San Giovanni Battista»
Leonardo in lavanderia
È opportuno mandare in lavanderia un
dipinto di Leonardo? La domanda se la
pone «The Times», nell’edizione di
giovedì 4 febbraio, nel dare notizia che il
Louvre ha appena deciso di “ripulire”
quello che si ritiene essere l’ultimo
quadro del maestro del Rinascimento,
San Giovanni Battista (1513). Non c’è
dubbio che la tela si presenti ora “molto
sporca”, very grubby, sottolinea Sébastien
Allard, il direttore dei dipinti del Louvre:
strati di vernice ingiallita stanno
occultando la superficie della tela.
Considerando — rileva «The Times» — le
attuali sofisticate tecnologie, il processo
di restauro non dovrebbe creare
problemi. Ma è il fatto stesso di mettere
mano, per quanto competente, su una
tela leonardesca, che suscita fremiti di
ansia. Del resto — ricorda il quotidiano
londinese — tre anni fa scatenò un
accesissimo dibattito l’intervento di
restauro sulla Vergine e il Bambino con
sant’Anna, tela che Leonardo realizzò nel
151o, anch’essa uno dei tesori del museo
parigino. Il direttore della conservazione
dei dipinti, Ségolène Bergeon Langle,
rassegnò le dimissioni: le motivò
sostenendo che sotto la sua direzione
non era ammissibile che il volto della
Vergine avesse perso, a causa di
improvvidi restauratori, l’originale
modellatura. «Il restauro non sarebbe
dovuto nemmeno cominciare» tuonò
Bergeon Langle prima di sbattere la
porta. Memore dell’accaduto, Sébastien
Allard ha rassicurato che il lavoro sul
San Giovanni Battista sarà condotto con
Poesie in fermo immagine
«Mi piace anche di queste poesie il
fatto — o la sensazione — che non siano nate a tavolino, ma in margine al
suo lavoro di cronista della radio e
della televisione, come appunti su un
taccuino». Leonardo Sciascia sta parlando delle opere di Melo Freni, romanziere, giornalista, regista teatrale,
dal Festival dei due mondi di Spoleto
agli spettacoli classici di Siracusa,
dalla Versiliana al Living Theatre di
New York.
Una caratteristica particolarmente
evidente nel suo ultimo libro Oltre il
labirinto poesie 1965 - 2015 (Reggio
Calabria, Città del Sole, 2015, pagine
336, euro 18) dove la cronaca entra a
pieno titolo nella compagine dei versi
Le ballate del cuore cieco
e spezza l’indeterminazione lirica tipica di tanta letteratura del Novecento.
Sfogliando le pagine di Oltre il labirinto incontriamo un giovane Bill
Clinton in scarpe da ginnastica che
guarda il futuro se stesso indossare
costose scarpe inglesi, la voce della
cantante rumena Dida Dragan, ascoltata nel 1992, la miniera di Marcinelle
dopo la tragedia del 1959, l’amicizia
con il poeta Rafael Alberti, ma anche
la traiettoria inaspettata di una palla
da golf durante una cronaca sportiva.
scappatoia che gli viene offerta troppo a buon mercato, una forma di
consolazione a cui non si può piegare, lui che si professa ateo e miscredente.
Ancora tuttavia la curva dell’incontro tra i due non ha toccato
l’apice, non ha terminato di crescere.
Perciò sbotta dicendo che se anche
Dio l’avesse perdonato, Cristo non
l’avrebbe fatto, Cristo che ha detto
che a «chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in
me, sarebbe meglio per lui che gli
fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli
abissi del mare».
È l’ultimo appiglio alla razionalità; il punto supremo, quello di mettere in conflitto le Scritture tra di loro e con la vita dell’uomo. È a questo punto che il vescovo Tichon gli
promette l’annuncio di una «buona
novella». È veramente troppo pensare che riuscire a perdonare se stessi
equivale a ottenere il perdono di
Dio. Per chi rimane al di qua della
conversione, questa è un’ipotesi sublime ma anche inaccettabile. Stavrògin, e la modernità che inaugura,
ne sono testimoni. No, non può essere questa la buona novella che il
vescovo Tichon può annunciare al
suo ospite incredulo, ma un’altra più
radicale e rivoluzionaria, e cioè che
Cristo l’avrebbe perdonato anche se
lui non fosse riuscito a riconciliarsi
con se stesso.
Riesce così a mostrargli un’altra
faccia di Cristo, illogica e irrazionale
come è appunto la sua croce, quella
che è capace di accogliere il paradosso e la contraddizione dentro di
sé e che sa che solo attraverso questo follia riesce a salvare l’uomo. In
questo momento la distanza tra il
peccatore Stavrògin e Cristo è minima; il miscredente e Dio sono davvero a contatto tra di loro, come
all’inizio, nell’immagine della scala
evocata dal monaco Tichon.
Ma è il modo in cui si sono avvicinati che è straordinario: non attraverso un sillogismo, ma mediante un
atto d’amore capace di scardinare
ogni premessa, di riaccostare l’uomo
a se stesso.
Ogni fermo immagine viene fissato
con attenzione, ingrandito e dilatato a
dismisura, come nella ricerca incessante del protagonista di Blow-Up di
Michelangelo Antonioni, finché non
emerge la grana misteriosa di ogni
realtà materiale.
La peculiare qualità della poesia di
Freni, continua Sciascia, «a me pare
sia quella di far discorso, di far libro,
con una certa rabbia, sicuramente con
passione, su una condizione particolare». Una passione civile che si accende di fronte «al mondo così com’è,
nella sua insipienza e nel suo roteare
di mediocrità» (Dante Maffia) nel
dialogo con l’amato Shakespeare, che
gli permette di interrogarsi sul mistero del male, che nasconde il suo veleno anche nel cuore del sentimento
più tenero, il legame fra marito e moglie.
«Guardando la mano insanguinata
— la protagonista è Lady Macbeth e
l’amore per suo marito che la porterà
all’omicidio e alla follia — Amen voleva dire. S’interruppe: / nessun oceano
la potrà lavare (...) Deponga ora ciascuno la corona / sulle rovine della
sua Cawdor / la cecità del cuore è
una condanna». (silvia guidi)
cura certosina, e «nulla sarà lasciato al
caso». A dirigere l’operazione —
supervisionata da una commissione di
dieci esperti internazionali — sarà Regina
Morieara che all’attivo annovera anche il
restauro di Betsabea al bagno (1664) di
Rembrandt, anch’esso al Louvre:
nessuno, allora, ha protestato e sbattuto
porte. (gabriele nicolò)
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 5 febbraio 2016
pagina 5
L’interno della basilica
Resta da recuperare la grotta
Dopo si potrà ripercorrere una storia
che vede il momento paleocristiano
la stagione bizantina
e il periodo crociato
come tre tempi di un racconto infinito
di FABRIZIO BISCONTI
roprio in questi giorni, è stata
data la notizia dell’avanzamento dei cantieri di restauro e dello stato degli studi relativi alla
basilica della Natività in Betlemme, una delle memorie monumentali
più suggestive e stratificate della Terra
santa, sorta già in età costantiniana. Di
quella prima fase monumentale, come ebbe modo di constatare padre Bellarmino
Bagatti, in uno storico articolo degli esordi degli anni Cinquanta del secolo scorso,
consacrato agli «antichi edifici sacri di Betlemme», poco è rimasto, ma quel poco
lascia ipotizzare una struttura complessa a
pianta longitudinale, distinta in cinque navate da una vera e propria foresta di colonne, preceduta da un nartece e da un
ampio quadriportico, mentre la testata
dell’edificio proponeva un singolare organismo ottagonale, che monumentalizzava
la Grotta della Natività.
Padre Bagatti, che, assieme a padre Virgilio Corbo, che ci ha lasciato lo studio
più dettagliato del Santo Sepolcro, e a padre Michele Piccirillo, fortunato scopritore
di molte basiliche della Giordania, pur
adottando metodi archeologici atipici, rispetto agli scavi stratigrafici, che rappresentano l’avanguardia della ricerca scienti-
P
A Betlemme risorge la basilica della Natività
Oro, gemme e seta
Ma la vera ispiratrice della monumenta- mosaici e marmi preziosi?» (Peregrinatio
lizzazione della sacra grotta sembra la ma- Eteriae 25, 42).
dre di Costantino, Elena, che molto doRari appaiono i resti della fondazione
vette contribuire alla ricerca dei luoghi costantiniana, se facciamo eccezione per
santi e all’invenzione della vera croce che, alcuni lacerti musivi del pavimento con
come è noto, portò in forma di reliquia motivi geometrici e fitomorfi. Una vera e
anche nella vecchia Roma, nel cuore del propria rifondazione dell’edificio viene efSessorium, dove si innalzò, non lontano fettuata ai tempi di Giustiniano, negli andalla cattedrale lateranense, la basilica di ni centrali del VI secolo, in seguito ai gravi
Santa Croce in Gerusalemme, detta anche danneggiamenti subiti dal tempio, dovuti
Jerusalem.
a una rivolta dei samaritani, come testimoElena, dunque, come ri- niano il patriarca Eutichio di Alessandria
ferisce Eusebio di Cesarea, e il patriarca Sofronio di Gerusalemme.
«ornò
con
magnifiche Tale ricostruzione monumentale doveva
Negli ultimi anni del IV secolo
strutture il ricordo del par- comportare anche decorazioni musive icoto della Madre di Dio, niche, se durante il Concilio di Gerusala pellegrina Egeria
avendo cura di far risplen- lemme dell’836, durante la seconda grave
proveniente presumibilmente dalla Galizia
dere in ogni maniera la stagione della lotta iconoclasta, viene evogrotta della Natività e, po- cata l’ammirazione per la rappresentazione
descrive con dovizia di particolari
co dopo, l’imperatore arric- dei Magi da parte dei Persiani, che si arreil monumento-memoria della nascita di Cristo
chì lo stesso monumento starono dinanzi alle figure dei loro antecon doni regali, aggiungen- nati.
do alla liberalità di sua maMa il momento determinante per la
dre dei vasi d’oro e d’ar- configurazione definitiva della basilica
fica, riuscì a far dialogare le “reliquie mo- gento» (Vita di Costantino, 3, 42-43).
della Natività deve essere collocata nel
Negli ultimi anni del IV secolo, sulla pieno medioevo, al tempo delle crociate,
numentali” del Tempio della Natività con
le fonti letterarie, inaugurando una lunga scia dei viaggi effettuati in Terra santa quando l’intero edificio fu decorato con
e felice stagione di un’archeologia biblica, dalle matrone romane dell’entourage legato lastre marmoree e con un prezioso ciclo
pensata e messa in atto dall’autorevole e a san Girolamo, la “pellegrina eccellente” musivo, che può essere riferito al XII secovivacissimo Istituto biblico francescano di Egeria, forse una religiosa, forse una no- lo. Ebbene, nell’ambiente triconco — che
bildonna, proveniente presumibilmente era stato sovrapposto nella fase bizantina
Gerusalemme.
D’altra parte, la formazione archeologi- dalla Galizia, descrive, con dovizia di par- all’ottagono costantiniano — e nelle pareti
ca di padre Bagatti proveniva anche dai ticolari, il monumento-memoria della Na- laterali scorrevano le raffigurazioni musive
della Vergine con il figlio, di
corsi che aveva seguito presso il Pontificio
Davide, di Abramo, della
istituto di archeologia cristiana di Roma
Pentecoste, della Dormitio
che, proprio negli anni Cinquanta, propoLa
configurazione
definitiva
Virginis, della Presentazione
neva come maestri riconosciuti padre Anal Tempio, dell’Annunciaziotonio Ferrua, Enrico Josi e un giovanissidella struttura va collocata
ne, recuperando scene e cicli
mo Pasquale Testini.
nel
pieno
medioevo
Ebbene, Bagatti riuscì a collegare quei
di edifici mariani del passato,
resti, tanto provati quanto intermittenti
dal santuario sistino di Santa
Quando fu decorata con lastre marmoree
per ricostruire lo sviluppo icnografico
Maria Maggiore alla basilica
e
con
un
prezioso
ciclo
musivo
dell’edificio di culto, a un rapido passageufrasiana di Parenzo. Ma nel
gio dell’itinerario del pellegrino anonimo
palinsesto musivo apparivano
di Bordeaux che, già nella prima metà del
anche le indicazioni figurate
IV secolo, tra il 333 e il 334, ci ricorda che
scita di Cristo: «L’ornamento della chiesa e iscritte dei concili più significativi: da
per «coloro che da Gerusalemme vanno di Betlemme, nel giorno dell’Epifania, è quello di Cartagine del 254 a quello di Niverso Betlemme, al quarto miglio, sulla superfluo descriverlo: all’infuori di oro, cea del 787.
strada, a destra, c’è il sepolcro dove fu de- gemme e seta non vedi altro. Se guardi le
Già nel XV secolo, tutte queste preziose
posta Rachele, la moglie di Giacobbe. Di cortine sono listate, anch’esse, d’oro e di decorazioni cominciarono a soffrire per il
là, verso sinistra, a due miglia c’è Betlem- seta. E cosa devo dire, poi, della decora- fumo delle lampade e per le infiltrazioni
me. Dove nacque il Signore Gesù Cristo è zione dell’edificio stesso, che Costantino, idriche, finché nel 1842 i greci non privastata costruita una chiesa per ordine di insieme a sua madre, secondo le proprie rono le immagini delle loro didascalie. A
Costantino» (Itinerario burdigalense, 598).
ingenti risorse, impreziosì proprio con oro, oggi, quando è stato avviato il restauro a
cui si è accennato in apertura, la basilica
propone nella navata centrale un programma decorativo organizzato in tre registri,
lungo il più alto dei quali sfila una armoniosa teoria di angeli, realizzati da un Basilius pictor, come indica una didascalia
che farebbe identificare l’artifex con il miniatore che dipinse, proprio nel XII secolo,
il Salterio della Regina Melisenda del British Museum. Tutto il resto della basilica —
sti dell’università di Siena, simultaneamente ad altri professionisti, ovvero storici
dell’arte, ingegneri e architetti dell’università di Roma La Sapienza, per l’input
dell’Autorità nazionale palestinese (Anp)
che ha deciso di finanziare il restauro e lo
studio
del
monumento,
patrimonio
dell’Unesco, è stato avviato il recupero urgentissimo del tetto ligneo, affidato alla
ditta specializzata Piacenti di Prato, che
ha utilizzato i legni del tempo bizantino,
come il pregiato cedro del Libano.
L’attenzione fu poi rivolta ai mosaici,
quando i monaci greci, armeni e francescani, che si spartiscono la custodia della
basilica, superarono i propri conflitti e
collaborarono con i restauratori, mettendo
a disposizione molte tessere conservate e
“accaparrate” dagli uni e dagli altri nel
tempo, per colmare le lacune provocate
dalla distruzione o dalla eccessiva attenzione degli uomini, nonché dagli agenti
deteriogeni di un microclima denso di
motivi di criticità.
Ora quel gioiello, incastonato come un
diamante prezioso dalle strutture dei tre
monasteri, sta riemergendo, grazie alla perizia delle maestranze, ma anche attraverso
il generoso contributo di Santa Sede, Grecia, Germania, Russia, alcuni Paesi arabi e
dei palestinesi della diaspora.
Attorno a questo monumento-simbolo,
non solo dal punto di vista religioso, ma
soprattutto per quanto attiene l’equilibrio
e il rispetto delle competenze, si agglutinano altre competenze: dal Cnr di Firenze
all’università napoletana Federico II, dagli
specialisti di Trento a quelli americani.
Come sono lontani i conflitti, anche tragici del passato, o il grave assedio del 2002!
Oggi la sinergia degli uomini, la coscienza
dei professionisti, ma anche dei responsabili, dei custodi, sta superando ostacoli ritenuti insormontabili fino a dieci anni orsono.
Rimane da curare il cuore di questo
prezioso santuario che, fin dal tempo dei
costantinidi, fu considerato il centro pulsante di un cristianesimo radicato intimamente nei luoghi dei fatti
accaduti. Resta da recuperare quella grotta, che ter-
Basilica della Natività di Betlemme
come si diceva — è costellato dalle vignette delle città dei concili, forse già del VIIVIII secolo, da una doppia teoria dei predecessori del Cristo, dalla scena dell’incredulità di Tommaso, da quella dell’Ascensione, da quella della Trasfigurazione e
dall’ingresso di Cristo in Gerusalemme.
Agli inizi del 2015, dopo cinque anni di
studi preliminari degli archeologi medievi-
minerà un cantiere complesso, che ci permetterà di sfogliare tutti i capitoli di una
storia, che vede il momento paleocristiano, la stagione bizantina e il periodo crociato, come tre tempi ineliminabili di un
racconto infinito, che rievoca la devozione
stordente per il luogo santo, dove il popolo di Dio ambienta la nascita miracolosa
di Gesù.
Le città ideali
Quell’anelito a vette eccelse e a sogni smisurati
La facciata del teatro nel Villaggio di Rosignano
di GABRIELE NICOLÒ
Luoghi fatti per pensare più che per viverci: sono le città ideali in cui si esprime
l’anelito umano a vette eccelse e a sogni
smisurati. Il loro itinerario è percorso con
zelo e passione dal giornalista e scrittore
Fabio Isman nel libro Andare per le città
ideali (Bologna, il Mulino, 2016, pagine
143, euro 12) in cui vibrano insieme passione per la conoscenza e fascino dell’ignoto.
L’Italia pullula di città ideali dalla
struttura geometrica regolare, frutto di visioni laiche o di esoteriche cosmogonie. E
il suggestivo viaggio è cadenzato da nu-
merose tappe: a
Terra del Sole, voluta da Cosimo I
de’ Medici nel 1546
in Romagna, ad
Acaya, in provincia
di Lecce; a San
Solvay
Leucio, frazione di
Caserta, e nelle città-operaie
Crespi
d’Adda e Solvay a Rosignano. Si passa
poi alle città di fondazione fascista, come
Latina e Sabaudia, nel Lazio, e ad Arborea e Fertilia in Sardegna.
L’itinerario comincia da Aquileia per rileggere l’eccellenza — sottolinea Isman —
generata da una colonia militare di tremila
fanti, e per capire come essa diventerà una
città-Stato tra le più importanti del tempo, nonché un faro nell’irradiarsi del cristianesimo nel nord-est.
Ricorda l’autore che la più antica città
ideale si incontra nella Bibbia, dove è
scritto: «Costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo». È l’eterna
brama di altezze che mai saranno raggiun-
te. E infatti la Torre di Babele collassa e
quel popolo è «disperso su tutta la terra»
(Genesi, II, 1-4).
Ma questo fallimento non inibirà l’uomo dal continuare a coltivare sogni di gloria. Tanto che non cesserà di progettare e
in parte realizzare agglomerati urbani che
facilitino la comunicazione con il divino.
E di quella prima città ideale esiste un’iconografia consolidata: basti pensare alla
Torre di Babele (1563) di Bruegel il Vecchio.
Ma la città ideale non risponde solo a
criteri architettonici o a standard geometrici, s’ispira anche a istanze etiche. Platone nella Repubblica fa dire a Socrate come
deve essere la polis, cioè lo Stato ideale.
La città, spiega Socrate, «non viene fondata perché sia felice una sola classe di
cittadini», ma perché lo siano tutti. A sua
volta sant’Agostino, nei ventidue volumi
del De civitate Dei, scritti dal 413, formula
la risposta cristiana alla città di Platone,
teorizzando la città del Signore, che va difesa da quanti «al suo fondatore antepongono i propri dei».
dedicate a sette pianeti. È retta da un
principe metafisico, il cui tempio rotondo
si eleva al sommo di sette gradoni cosmologici. Insomma la
città del sole si contrappone a quella di
D io.
Sarà nel Rinascimento, tra la fine del
XIV e gli inizi del XVI
secolo che le città
ideali raggiunsero il
massimo
fulgore.
Nell’Historiae Florentini populi (1415) Leonardo Bruni accosta
per primo la struttura architettonica della città a quella politico-sociale, che ha
per fine l’armonia.
Ne sono precursori e
alfieri Filippo Brunelleschi e Leon BatGeorg Braun e Franz Hogenberg, «Antica mappa di Palmanova» (1598)
tista Alberti.
In questa sorta di dibattito interviene
poi Campanella con la Città del Sole: è circolare, posta su un colle, con sette mura
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
venerdì 5 febbraio 2016
La comunità anglicana in Australia per i migranti
Ogni chiesa
un rifugio inviolabile
TAIZÉ, 4. «Noi ti lodiamo per tutti
coloro che dedicano la propria vita
ai più poveri, agli esclusi, agli stranieri. Consentici di essere come loro
e fai sì che, nei grandi sconvolgimenti delle nostre società, l’appello
della nostra regola risuoni ancora
più forte in noi: “Sii presente nel
tuo tempo”». È un passaggio della
preghiera pronunciata da fratel
Alois, priore di Taizé, al termine del
consiglio annuale della comunità tenutosi dal 26 al 31 gennaio. Alla
conclusione, come tradizione, è stata
poi recitata una preghiera comune
seguita dal gesto della prostrazione
a terra in segno di umiltà e di consegna totale della propria vita a Dio.
«Gesù Cristo — ha esordito fratel
Alois — ti lodiamo con tutto il nostro essere. Tu ci riveli pienamente
ciò che il nostro cuore non avrebbe
osato immaginare: Dio si dona a noi
come misericordia; attraverso lo Spirito santo non smette di amarci e di
venirci in aiuto». In questo modo,
«ci rendi liberi di cercare con tutta
la nostra immaginazione come testimoniare il dono che ci fai. Sì, vorremmo che la nostra vita fraterna
fosse un riflesso della tua misericordia, a Taizé come nelle nostre fraternità sparse nel mondo. Perciò torniamo costantemente alla lode, che
si espande con queste parole che
concludono il Salterio: “Tutto ciò
che respira, ogni soffio lodi il Signore”».
Il priore ricorda l’importanza della gratuità, sia nella vita personale
che in quella comunitaria: «Senza di
essa la gioia di vivere svanisce, con
essa non abbiamo paura delle fragilità della nostra esistenza». E, rivolgendosi di nuovo a Cristo, prosegue: «Per seguirti, ci inviti a semplificare ciò che può esserlo. Mostraci
Preghiera di fratel Alois al termine del consiglio annuale della comunità di Taizé
Lode a chi dona
ciò che è veramente importante fra
tutte le chiamate a noi rivolte. Allarga i nostri cuori affinché abbiamo il
coraggio della misericordia, nella
nostra vita comune e con tutti coloro che tu ci affidi. Tienici svegli e in
allerta per approfondire sempre più
la comprensione del tuo mistero e
del mistero della nostra umanità.
Che la nostra fede ritrovi sempre la
freschezza del Vangelo. Sì, sia lodato Gesù Cristo. Per affrontare le sfide, quelle piccole come quelle grandi, della vita quotidiana, ci ricordi,
durante tutto l’anno che comincia,
questa beatitudine: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”».
Fratel Alois ha quindi concluso
recitando una nota preghiera di fratel Roger, fondatore della comunità
di Taizé: «Per te, Cristo, accettare di
perdere tutto per possederti — tu
che ci hai già afferrato — è abbandonarci al Dio vivo e pregare con te:
“Padre, non quello che voglio io, ma
quello che vuoi tu”. Rinunciare a
tutto per vivere di te, Cristo, è una
scelta coraggiosa: lasciare se stessi
per non seguire più due strade alla
volta, dire no a ciò che blocca il nostro cammino alla tua sequela, e sì a
ciò che ci conduce verso te e, attraverso te, verso coloro che tu ci affidi».
In occasione del consiglio annuale della comunità, molti fratelli residenti all’estero sono tornati in Francia e hanno approfittato per effettuare visite di amicizia in molti luoghi istituzionali e associativi. Una di
queste visite è stata fatta, sabato 30
gennaio, a Cluny, vicinissima a Taizé. Accolti da padre René Aucourt,
vicario episcopale della diocesi di
Autun, i fratelli si sono riuniti nella
chiesa di Notre-Dame per una preghiera comune di pace. «Siamo felici quando andiamo a Taizé, ma siamo felicissimi di accogliervi qui», ha
detto Aucourt, citando successivamente un estratto dal libro di Sabine Laplane Frère Roger, de Taizé.
Avec presque rien.
Fra i prossimi eventi legati alla
comunità, un posto di rilievo occupa il pellegrinaggio a Bucarest — da
mercoledì 27 aprile a lunedì 2 maggio — per celebrare la settimana santa e la Pasqua con i fedeli ortodossi.
Su invito del patriarca Daniel, il
priore e altri fratelli si recheranno in
Romania accompagnati da un gruppo di centocinquanta giovani provenienti da tutta Europa e non solo.
Sarà l’occasione per scoprire la vitalità delle parrocchie ortodosse e per
parlare delle sfide che accomunano
le varie realtà cristiane.
Si terrà a Monaco di Baviera il quarto incontro internazionale di «Insieme per l’Europa»
Unità possibile
di GIOVANNI ZAVATTA
Incontro, riconciliazione, futuro:
delle tre parole-chiave che compongono il tema del quarto evento internazionale di «Insieme per
l’Europa» — dal 30 giugno al 2
luglio a Monaco di Baviera — è
soprattutto la seconda a identifi-
carne gli obiettivi. L’incontro
porta alla riconciliazione, ed essa
apre al futuro, ma, a un anno dal
quinto centenario della Riforma
protestante (com’è noto anche
Papa Francesco parteciperà alle
celebrazioni intervenendo a una
cerimonia congiunta fra la Chiesa
cattolica e la Federazione luterana mondiale in programma a
Lund, in Svezia, il 31 ottobre
2016), la parola «riconciliazione»
acquisisce carattere di urgenza:
«Cinquecento anni di divisioni —
spiega Diego Goller, segretario
generale per l’Italia di “Insieme
per l’Europa” — sono abbastanza,
direi troppi, anche perché l’unità
è visibile, possibile. Lo stiamo
sperimentando da oltre quindici
anni nell’insieme di comunità e
movimenti di varie Chiese. Ed è
nato in noi un grande desiderio
dell’unità fra tutte le confessioni
cristiane».
Goller, per anni responsabile
del movimento Gen (Generazione nuova), espressione giovanile
dei Focolari, sottolinea l’impor-
tanza dell’incontro in terra tedesca nella prospettiva della ricorrenza dei cinquecento anni della
Riforma: «Tireremo la volata, per
usare un termine ciclistico, e, viste anche le personalità che interverranno dal 30 giugno al 1° luglio al congresso e il giorno successivo alla manifestazione pubblica a Monaco, anticiperemo in
qualche modo i grandi avvenimenti previsti nel 2017». Al congresso, occasione per valutare i
frutti del cammino intrapreso da
«Insieme per l’Europa» e individuare le modalità per offrirli alla
società, è prevista la partecipazione, fra gli altri, dei cardinali Peter
Kodwo Appiah Turkson, presi-
dente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, Walter
Kasper, presidente emerito del
Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, e
Lluís Martínez Sistach, arcivescovo emerito di Barcellona. Alla
manifestazione dovrebbero essere
presenti il cardinale presidente
del Pontificio consiglio per la
promozione dell’unità dei cristiani, Kurt Koch, il cardinale
Reinhard Marx, arcivescovo di
München und Freising e presidente della Conferenza episcopale tedesca, il vescovo evangelico
Frank Otfried July, vicepresidente
della Federazione luterana mondiale, il segretario generale del
Consiglio ecumenico delle Chiese, reverendo Olav Fykse Tveit, il
vescovo luterano Heinrich Bedford-Strohm, presidente della
Chiesa evangelica in Germania, e
il metropolita ortodosso romeno
Serafim Joantă. Sono attesi messaggi da Papa Francesco e dal
patriarca ecumenico Bartolomeo.
«Insieme per l’Europa», alleanza sancita l’8 dicembre 2001 a
Monaco di Baviera, prima nella
chiesa evangelica di San Matteo e
poi nel duomo cattolico, è composta oggi da oltre trecento movimenti e comunità di varie Chiese cristiane, desiderose di testimoniare che l’unità è possibile ora,
vivendo il comandamento nuovo
di Gesù (Giovanni, 13, 34), e che
l’amore reciproco è il segno di riconoscimento dei discepoli di
Cristo. Vi aderiscono, solo per citare alcune realtà, Azione cattolica
italiana,
Comunità
di
Sant’Egidio, Movimento dei Focolari, Rinnovamento nello Spirito Santo, Associazione Papa Giovanni XXIII, Comunità cattolica
Shalom, neocatecumenali, carismatici, le comunità francesi
dell’Emmanuel, di Chemin Neuf,
di Taizé. Le prime due grandi
manifestazioni sono datate 2004 e
2007 e si svolsero a Stoccarda,
mentre il terzo appuntamento (a
Bruxelles e in altre centocinquantadue città del continente), nel
2012, ha ampliato ulteriormente
gli orizzonti. «Oggi forse più di
prima — spiegano i responsabili —
si evidenzia il progetto di “Insieme per l’Europa”. In un momento di particolare crisi, con le nuove sfide costituite dai profughi,
dal terrorismo, dalle tendenze
all’isolamento e alla separazione,
i quindici anni di esperienza
dell’alleanza possono mostrare
chiaramente che l’unità è possibile, se si pone a base la riconciliazione». Unità e riconciliazione
che Chiara Lubich, fondatrice dei
Focolari, rappresentò nel marzo
2000 partecipando al convegno
dei responsabili dei movimenti
evangelici tedeschi. Fu lì che si
aprì la strada alla nascita di «Insieme per l’Europa».
Sarà soprattutto la manifestazione pubblica di sabato 2 luglio
a testimoniare la possibilità della
fratellanza tra i popoli e l’unità
dei cristiani, attraverso la riconciliazione tra singole persone,
Chiese, nazioni, e il patto d’amore scambievole nello spirito del
Vangelo: «La visione dell’unità
non è uniformità o livellamento
ma la composizione delle peculiarità culturali, religiose e regionali
dei popoli europei in un insieme
riconciliato. Dove si realizza
l’unità nella diversità, come ha
detto Papa Francesco il 25 novembre 2014 al Parlamento europeo di Strasburgo, Dio è all’opera e porterà l’Europa a vincere le
sfide di oggi, ad avere un futuro,
a divenire luogo di pace, giustizia
e fratellanza, punto di riferimento
per tutta l’umanità».
In vista dell’evento, comunità e
movimenti stanno collaborando
alla realizzazione di diciannove
forum tematici e di sedici tavole
rotonde utili a verificare, tra l’altro, come si sono concretizzati i
“7 sì” con cui si concluse l’incontro del 2012: “sì” alla famiglia, alla tutela della vita e del creato, a
un’economia equa, alla solidarietà
con i poveri e gli emarginati, alla
riconciliazione e alla pace, al bene delle città, alla fratellanza.
CANBERRA, 4. Ogni chiesa è un
santuario inviolabile alle autorità civili. Richiamandosi all’antico principio del diritto d’asilo la comunità
anglicana di Australia si è offerta di
ospitare centinaia di migranti che il
Governo vuole deportare sull’isola
di Nauru, Stato insulare della Micronesia, e in altre isole al di fuori
dei confini nazionali. Una disponibilità che arriva poche ore dopo la
decisione dell’Alta Corte, secondo
cui è «legittima» la decisione di
spostare i richiedenti asilo dal territorio nazionale all’isola della Micronesia. Il gruppo in questione è
composto da più di 260 persone,
fra cui 37 bambini.
Il primate anglicano Peter Catt
ha dichiarato che le chiese prescelte
— una decina, fra cui la cattedrale
di Brisbane — stanno «reinventando
l’antico concetto di santuario-rifugio, con diritto di asilo. È vero che
si tratta di una definizione ancora
non riconosciuta dalla nostra legge,
e credo che se le autorità dovessero
scegliere di entrare nelle chiese e
portare via le persone con ogni probabilità sarebbe una mossa legale».
Tuttavia, aggiunge, «si tratta di una
questione morale, e non farebbe
buona impressione. Non penso che
qualcuno voglia osare tanto».
La stragrande maggioranza dei
migranti che cerca di raggiungere
l’Australia via mare viene fermata e portata nei
centri di detenzione della Papua Nuova Guinea
o di Nauru. In particolare, l’isola di Manus, in
Papua Nuova Guinea, è
nota per la situazione di
tensione che vi si è creata a motivo delle ondate
migratorie. Anche una
commissione del Senato
australiano ha definito
le condizioni di vita
sull’isola di Nauru «pericolose» per i bambini.
Secondo la legge, i
migranti non possono
essere accolti in Australia neanche se vengono
ritenuti rifugiati politici
o civili. Una legislazione,
dunque,
molto
aspra, condannata anche
da numerose ong umanitarie. Sul tema è intervenuto anche il portavoce della Conferenza episcopale australiana per i
temi dell’immigrazione,
il vescovo Vincent Long,
il quale ha rivolto un
appello al primo ministro Malcolm Turnbull e
al ministro per l’Immi-
grazione Peter Dutton, affinché
mostrino «compassione e misericordia» nei confronti delle famiglie dei
migranti e «non agiscano in modo
tale da arrecare loro altre sofferenze
oltre a quelle che già hanno subito». La Chiesa cattolica, ha aggiunto il presule, «si oppone alla detenzione», anche a quella «oltreconfine», perchè «tale risposta politica
non rispetta la dignità delle persone» ed «è preparata a collaborare
con altre organizzazioni della comunità a fornire assistenza ai richiedenti asilo». In occasione dell’8
febbraio prossimo, giornata internazionale di preghiera contro la tratta,
la Conferenza episcopale ha rivolto
un appello a intraprendere azioni
efficaci per contrastare anche questo fenomeno.
A fianco delle comunità religiose
si sono schierati migliaia di australiani, che sono scesi in piazza contro la deportazione di migranti. Misha Coleman, rappresentante del
gruppo di attivisti cristiani pro rifugiati, ammette che «sarà difficile
spostare fisicamente i richiedenti
asilo dai centri di detenzione alle
nostre chiese, ma potremmo riuscirci». Da parte sua, il ministro Dutton, ha dichiarato che i cristiani
«hanno il diritto alle proprie opinioni, ma non sono al di sopra della legge australiana».
Preoccupazione per la legge sulla blasfemia in Pakistan
In pericolo la tutela dei non islamici
LAHORE, 4. La Chiesa in Pakistan e
esponenti di altre comunità cristiane hanno condannato con fermezza
la proposta di revisione delle leggi
sulla blasfemia da parte del Consiglio per l’ideologia islamica. È viva
infatti la preoccupazione, ha detto
padre Emmanuel Yousaf Mani, direttore della Commissione giustizia
e pace della Conferenza episcopale
pakistana, che tale riforma possa
portare «a un ulteriore inasprimento» delle sanzioni a carico dei non
musulmani, i quali sono già troppo
spesso vittime di episodi di violenza e di procedimenti giudiziari strumentali. Il timore, inoltre, è che
venga eliminata anche la possibilità
di proporre appello.
La proposta di revisione della
legge sulla blasfemia viene da
Muhammad Khan Sherani, capo
del Consiglio per l’ideologia islamica, organo costituzionale incaricato
di fornire parere in merito alla conformità delle leggi dello Stato ai
dettami del Corano e della Sunna.
Secondo Sherani la legge in questione dovrebbe essere affidata
all’esame del Consiglio: «Su questo
tema — ha detto — ci sono differenti opinioni tra i religiosi. Per questo
il Consiglio può affrontare con serietà la materia e dire se è necessario confermare la legge, inasprirla o
ammorbidirla».
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 5 febbraio 2016
pagina 7
La chiesa in Canada sul suicidio assistito
I vescovi del Costa Rica sulle prossime elezioni
Che cosa significa
prendersi cura
Un voto
sereno e consapevole
OTTAWA, 4. «La vita è un dono sacro da difendere e proteggere» e
prendersi cura dei morenti non significa «aiutarli a togliersi la vita».
È quanto ribadisce monsignor David Douglas Crosby, vescovo di Hamilton e presidente dell’episcopato
canadese, in una lettera indirizzata
ai ministri della Giustizia e della Sanità. Il presule, intervenendo nell’acceso dibattito in corso sulla legalizzazione dell’eutanasia, ha chiesto
che le posizioni della Chiesa cattolica vengano prese in considerazione
attraverso un’audizione dell’episcopato presso lo speciale Comitato sul
suicidio medicalmente assistito, istituito dal Governo. Questo organismo è stato creato in vista della
prossima scadenza del termine di un
anno stabilito dalla Corte suprema
del Canada per modificare l’attuale
normativa in materia. Il 6 febbraio
del 2015, infatti, i giudici dell’alta
corte avevano dichiarato incostituzionale la legge che vieta la possibilità di ricorrere al suicidio assistito
nel Paese e avevano dato un anno di
tempo alle forze politiche per varare
una nuova legge. Normativa che in
precedenza, nel 2014, era stata già
approvata nella provincia del Québec.
Il Canada, ha ricordato monsignor Crosby, «ha fatto notevoli progressi negli ultimi decenni attraverso
la definizione di una “rete di sicurezza”, che aiuta a preservare la vita
umana dagli assalti della povertà», e
ha avuto anche «la saggezza di abbandonare la pena di morte». Tutti
questi sforzi, «che noi applaudiamo», ha osservato il presule, «riconoscono l’importanza fondamentale
di rispettare e preservare la vita e la
dignità inviolabile della persona dal
concepimento alla morte naturale».
In questa prospettiva, il presidente
dell’episcopato cattolico rivolgendosi in primo luogo ai responsabili dei
due dicasteri plaude all’intervento
dell’Esecutivo per ottenere il rinvio
dell’entrata in vigore del provvedimento in Québec, prevista per il 10
dicembre scorso, e per la richiesta di
prolungare il periodo concesso dalla
Corte suprema, così da permettere
un tempo di riflessione maggiore su
un tema così delicato. Allo stesso
tempo, il presule ribadisce le preoccupazioni e le ragioni morali della
Chiesa contro la legalizzazione del
suicidio assistito e dell’eutanasia.
Ragioni, viene sottolineato, che sono anche condivise dalla maggior
parte dei canadesi, come testimonia,
tra l’altro, l’ampia adesione alla
campagna in difesa della sacralità e
della dignità della vita umana lanciata nei giorni scorsi dalla Conferenza episcopale insieme all’Alleanza
evangelica. Una campagna sostenuta
anche da rappresentanti musulmani
ed ebrei del Paese, con la quale cattolici ed evangelici hanno sottolineato come «il suicidio assistito e l’eutanasia tocchino la stessa essenza
umana, il senso della vita e il dovere
di aiutarci gli uni con gli altri», sollevando «problemi sociali, morali,
legali, teologici e filosofici».
In particolare, monsignor Crosby
evidenzia come l’esperienza dei Paesi che hanno legalizzato l’eutanasia
e l’aiuto al suicidio dimostri che
qualsiasi legislazione che tenta di limitare le pratiche eutanasiche solo
ad alcuni limitati casi è debole e aggirabile: «Le conseguenze della legalizzazione — afferma — sono facilmente prevedibili: tentativi di applicare l’eutanasia e il suicidio assistito
a nuove situazioni mediche; un sentimento crescente di angoscia per le
persone disabili, gli anziani, i malati
cronici, le persone con depressione e
morenti sottoposte a minacce supplementari alla loro vita e alla loro
serenità; erosione della fiducia reciproca tra medico e paziente; più
stress per gli operatori sanitari; accresciuto rischio di pressioni sulle
persone vulnerabili e le loro famiglie
per incitarle e non diventare “un peso”». Di fatto, osserva ancora il presule, le ricadute di una simile mentalità propagandate dai media nella
società canadese sono già visibili:
basti pensare che il suicidio è la seconda causa di decesso tra i giovani
di età compresa tra i 10 e i 24 anni e
che il tasso di suicidio tra le popolazioni autoctone è cinque volte superiore a quello dei non autoctoni. Di
qui anche l’appunto mosso ai giudici della Corte Suprema per avere in
un certo senso trascurato con la loro
sentenza «il dovere morale della so-
L’arcivescovo di Freetown contro la legalizzazione dell’aborto
In aiuto di mamme e bambini
FREETOWN, 4. «Bisogna dire no
alla legalizzazione dell’aborto,
perché la vita umana va tutelata
a partire dal concepimento e fino alla morte naturale». Parole
dell’arcivescovo di Freetown,
Edward Tamba Charles, intervenuto a un incontro interreligioso
svoltosi nei giorni scorsi nella
capitale della Sierra Leone.
In particolare, il presule ha
fatto riferimento alla proposta di
legge denominata “aborto sicuro”, approvata dal Parlamento
l’8 dicembre scorso e attualmente al vaglio del capo dello Stato,
Ernest Bai Koroma.
Si tratta di un testo che nel
Paese incontra la netta contrarietà non soltanto della comunità
cristiana ma anche di quella musulmana. Lo scorso dicembre,
infatti, rappresentanti di entrambe le religioni, con il patrocinio
del Consiglio interreligioso della
Sierra Leone, si sono recati dal
capo dello Stato per manifestare
il loro disappunto di fronte
all’approvazione della proposta
di legge. Dal suo canto, il presidente Koroma ha promesso di
rinviare alla Camera il testo normativo così da permetterne una
revisione prima della firma definitiva.
Approvata dopo cinque anni
di dibattito, la proposta è stata
votata a maggioranza assoluta.
Se diventasse legge, essa permetterebbe l’aborto volontario
fino alla dodicesima settimana
di gestazione. Dopo tale scadenza, l’interruzione di gravidanza
sarebbe permessa in caso di stupro, incesto e pericolo per la salute della madre o del feto. Le
ragazze minori di 18 anni, inoltre, potrebbero abortire con il
permesso di un genitore o di un
tutore.
«Contrariamente al suo nome,
“aborto sicuro” — ha fatto notare monsignor Charles — tale
proposta di legge non dimostra
rispetto per la vita della madre e
del bambino, né garantisce la
loro sicurezza». Di qui, il forte
richiamo del presule a investire
molto di più «nei servizi sanitari, specialmente nelle cure prenatali e post-partum di tutte le
donne del Paese».
Soltanto dei sostanziali miglioramenti in questo settore, infatti, ha fatto notare il presule,
potranno garantire un rapido
declino della mortalità materna
e infantile. La Sierra Leone, infatti, è il Paese con il tasso di
mortalità materna più alto al
mondo. A tale riguardo, l’arcivescovo di Freetown ricorda come
«la vocazione cristiana di predicare il Vangelo di Cristo come
pienezza della manifestazione di
Dio, Dio della vita, ci spinge a
opporci a questa proposta di
legge e a chiedere che essa venga cancellata dall’agenda del
Parlamento».
cietà di proteggere i suoi membri soprattutto quelli più deboli e vulnerabili» e di avere incoraggiato i Governi, le autorità sanitarie e le famiglie a non investire nelle cure palliative, cure incentrate sulla persona.
Proprio su quest’ultimo fronte infatti il Canada, secondo il presidente
dell’episcopato, è gravemente deficitario: manca un’adeguata formazione del personale medico; mancano
investimenti e ricerche per le cure
del dolore. Di qui, il rinnovato appello a una riflessione serena e approfondita su questo tema che coinvolga tutta la società canadese, compresa la Chiesa, per promuovere le
cure palliative, che sono la vera soluzione del problema: «Prendersi
cura dei morenti infatti non è aiutarli a togliersi la vita».
L’episcopato
dello Zambia
chiede
riconciliazione
LUSAKA, 4. Un appello a tutti i
partiti politici affinché mostrino
un autentico impegno verso i valori democratici e rinuncino alla
violenza e ai discorsi di odio è
stato lanciato dai vescovi dello
Zambia in vista delle elezioni generali dell’11 agosto prossimo. In
una lettera pastorale, nella quale
vengono affrontate diverse questioni che riguardano il Paese, i
vescovi sottolineano che tra i doveri del Governo ci sono quelli di
garantire pace e sicurezza per tutti, il rispetto delle libertà delle
persone e la promozione di una
legge del diritto che sia genuina e
e non discriminatoria.
La lettera, dal titolo: «Sia pace
tra di noi», esorta ulteriormente i
leader di Governo a essere promotori di una vera riconciliazione.
Ai giovani, che saranno i leader di
domani, i vescovi ricordano che è
giunto il momento di esercitare
già oggi una leadership. «A voi —
si legge nella lettera — consigliamo di rivendicare il vostro
autentico spazio politico nel processo elettorale e di rifiutare di essere utilizzati come semplici strumenti di violenza da parte dei politici. Facciamo appello a voi affinché accettiate le opinioni divergenti».
I presuli hanno anche fatto appello agli operatori dell’informazione affinché siano professionali
nel riportare le notizie, informando il pubblico con la massima serietà, e li hanno esortati a fornire
una copertura equa del processo
elettorale evitando di favorire posizioni di parte e comunque una
eccessiva polarizzazione delle posizioni. Ma tutti i cristiani sono
chiamati a usare la loro voce nelle
loro comunità per promuovere
l’unità del Paese e per rifiutare
che le loro Chiese e le celebrazioni liturgiche vengano utilizzate a
fini politici per la campagna elettorale.
SAN JOSÉ, 4. «Non è il momento
per lasciare che l’apatia e l’indifferenza logorino l’impegno civico»: è
il messaggio dell’arcivescovo di San
José de Costa Rica, José Rafael
Quirós Quirós, vicepresidente della
Conferenza episcopale, ai cittadini
che si apprestano a votare per le
elezioni amministrative del prossimo 7 febbraio in Costa Rica. “Voto
sereno e intelligente” è il titolo del
documento, nel quale il presule invita a «scegliere con consapevolezza l’opzione politica che rappresenta al meglio i nostri principi etici e
i nostri valori civili».
Monsignor Quirós Quirós sottolinea l’importanza della presenza
dei laici nella vita pubblica e la loro
responsabilità nella formazione del
consenso necessario alla «trasformazione sociale» e «nell’opposizione a
ogni forma di ingiustizia». «Il bene
comune — si legge nel testo diffuso
anche da Radio Vaticana — è il criterio base per la partecipazione ai
comizi elettorali, in quanto al di sopra di ogni interesse o beneficio
particolare o di gruppo».
Al centro di ogni scelta politica
ci deve essere dunque la preoccupazione per i più bisognosi e per coloro che non hanno accesso ai beni
primari e a una vita dignitosa.
Per il vicepresidente della Conferenza episcopale, la sfida più seria
per i cittadini è quella di scegliere
persone idonee, coraggiose ed efficienti, che sappiano svolgere la propria funzione animati da profondi
principi etici.
In questo modo, ha affermato
monsignor Quirós Quirós, esse potranno intraprendere «una lotta
frontale contro la corruzione», poiché «la prima mossa» è proprio
quella di non rendersi complici di
tale fenomeno.
I candidati sono ovviamente
chiamati a rispettare le proprie promesse elettorali. La loro missione,
ricorda il presule, è quella di rap-
presentare i cittadini che li hanno
votati. In tal senso, l’arcivescovo ha
spiegato che il primo passo da
compiere è avere la «maturità per
sostenere ogni progetto favorevole
al proprio distretto elettorale di riferimento, senza guardare da chi o
da quale partito viene proposto».
I vescovi rinnovano l’invito a sacerdoti, religiosi e agenti pastorali
perché aiutino a rafforzare, alla luce
della fede e della morale, la capacità riflessiva dei cittadini affinché
«non agiscano acriticamente lasciandosi manipolare da campagne
mediatiche di impatto prettamente
emotivo o da proposte elettoralistiche e populiste».
«Facciamo il nostro appello — ha
ribadito monsignor Quirós Quirós
— per un voto sereno e intelligente,
e per questo, è necessario conoscere
le proposte e poter scegliere nel
pieno della propria libertà e della
propria volontà». A conclusione del
messaggio, il vicepresidente della
conferenza episcopale ha espresso
l’auspicio che «una maggiore partecipazione dei cittadini a queste elezioni possa rafforzare il sistema democratico».
Sono circa tre milioni e duecentomila gli elettori chiamati alle urne
in Costa Rica, Paese noto per avere
una delle democrazie più antiche e
stabili dell’America latina. Si eleggeranno oltre cinquemila persone
tra governatori, sindaci, consiglieri
e funzionari locali. Nelle votazioni
amministrative del 2010 l’astensionismo ha raggiunto il 72 per cento,
ma secondo gli ultimi sondaggi, si
spera che per queste elezioni
l’astensione sia minore del 50 per
cento.
Le ultime consultazioni si sono
tenute a febbraio del 2014, anche se
è stata necessaria una seconda tornata (ballottaggio) nel successivo
mese di aprile, dalla quale è risultato eletto presidente della Repubblica Luis Guillermo Solís.
Ritirato in Kenya il testo sulla regolamentazione delle religioni
Scelta
di buon senso
NAIROBI, 4. Il presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, ha disposto
l’immediato ritiro della proposta di
regolamentazione delle confessioni
religiose (“Religious Societies Rules
2015”) che aveva suscitato le proteste dei vescovi cattolici e dei leader
di altre confessioni del Paese.
«Questa decisione — afferma un comunicato della Presidenza nigeriana
— avvia un processo condotto dalle
parti interessate con la partecipazione del Governo e del pubblico in
una consultazione strutturata».
La Chiesa cattolica contestava in
particolare che le nuove regole rischiavano di compromettere «la
chiara linea di distinzione tra Stato
e religione» stabilita dalla Costituzione del Kenya, che garantisce la
«libertà di culto».
La decisione di Uhuru Kenyatta
è giunta dopo l’incontro che egli
stesso ha avuto con i leader religiosi, i quali hanno espresso le loro
forti perplessità sulla proposta di
regolamentazione delle attività di
culto, resa necessaria dalla proliferazione di sedicenti “Chiese”, fondate
spesso da millantatori che approfittano dell’ingenuità popolare, e dalle predicazioni incitanti all’odio riscontrate in alcune moschee del
Paese.
Oltre alla registrazione delle diverse confessioni religiose, le nuove
regole prevedevano che i pastori e i
predicatori fossero titolari di una
autorizzazione da parte di un’istituzione teologica accreditata e che gli
officianti e i leader religiosi stranieri
per potere esercitare in Kenya avessero un permesso di lavoro, oltre ai
documenti di identità, e una lettera
di presentazione dell’ambasciata.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
venerdì 5 febbraio 2016
Messa a Santa Marta
La migliore
eredità
«La fede è la più grande eredità
che un uomo possa lasciare». E
proprio la fede ci invita a «non
aver paura dell morte», che è solo
l’inizio di un’altra vita. È questo il
punto centrale della riflessione proposta dal Papa nella messa celebrata giovedì mattina, 4 febbraio, nella
cappella della Casa Santa Marta.
«In queste settimane la Chiesa,
nella liturgia, ci ha fatto riflettere
sul santo re Davide» ha fatto presente Francesco. E «oggi — ha proseguito — ci racconta la sua morte».
Nel passo tratto dal primo libro dei
Re (2,1-4.10-12) si legge infatti: «I
giorni di Davide si erano avvicinati
alla morte».
Nel ricordare che «in ogni vita
c’è una fine», il Papa ha riproposto
la regola che Davide lascia al figlio
Salomone: «Io me ne vado per la
strada di ogni uomo sulla terra».
Nonostante, ha aggiunto, sia «il
cammino della vita», è anche «un
pensiero che non ci piace tanto».
In effetti, ha detto Francesco, tendiamo quasi ad allontanare il pensiero della morte — «Sono malato,
sono un po’ anziano...», «Ma, sei
forte, vai!» — e «abbiamo paura»,
Kristen Kluttz, «Padre e figlio»
anche se «è la realtà di tutti i
giorni».
«In un villaggio del nord Italia»
ha ricordato il Pontefice, proprio
«all’entrata di un cimitero c’è scritto così: “Tu che passi, ferma il passo, e pensa dai tuoi passi all’ultimo
passo”». Pensare, dunque: «questa
è una luce che illumina la vita». E
«la vita di Davide — ha spiegato —
è stata una vita vissuta con intensità
da quel ragazzino che portava a pascolare il gregge, con tante difficoltà; unto dal Signore, poi ha vissuto
bene, come un uomo che amava il
Signore; poi, quando si è sentito sicuro, ha incominciato a peccare e
quasi, quasi, quasi è finito nella
corruzione».
Ma Davide, ha proseguito Francesco, «si è poi pentito, ha pianto,
ha peccato un’altra volta. È così.
Ma ha imparato a chiedere perdono
dei suoi peccati. E la Chiesa dice: il
santo re Davide. Peccatore, ma santo». Dunque «questa vita così finisce: incomincia a sedici, diciassette
anni e finisce». Inoltre, «la durata
del suo potere, del regno, fu di
quarant’anni». Ma «anche quarant’anni passano».
«Questa è una realtà che dobbiamo avere sempre davanti a noi» ha
ribadito il Pontefice. «In una delle
udienze del mercoledì — ha confidato — c’era tra gli ammalati una
suorina anziana, ma con una faccia
pacifica, uno sguardo luminoso».
Francesco le ha chiesto quanti anni
avesse. E la religiosa, con un sorriso: «Ottantatré, ma sto finendo il
mio percorso in questa vita per cominciare l’altro percorso col Signore, perché ho un cancro al pancreas». E «così in pace — ha detto
il Papa — quella donna aveva vissuto con intensità la sua vita consacrata. Non aveva paura della morte», tanto da dire: «Sto finendo il
mio percorso di vita, per incominciare l’altro». Perché la morte, ha
rimarcato il Papa, «è un passaggio»
e «queste testimonianze ci fanno
bene».
«Quando si sta per morire — ha
proseguito Francesco — è consuetudine lasciare un testamento». Così
fa anche Davide chiamando «il figlio Salomone». E «cosa gli consiglia, cosa dà in eredità al figlio?».
Gli dice: «Tu sii forte e mostrati
uomo». In sostanza, Davide «riprende quello che il Signore ha detto a Mosè, a Giosuè: sii forte, sii
uomo; osserva la legge del Signore
tuo Dio, procedendo nelle sue vie
ed eseguendo le leggi, i suoi comandi, le sue norme, l’istruzione,
come sta scritto nella legge di
Mosè».
Anche Davide «consiglia questo»
a Salomone. E «cosa gli lascia in
eredità? Gli lascia il
regno, un regno forte». Ma «lascia anche
un’altra cosa, che è
l’eredità più bella e
più grande che un uomo o una donna possa lasciare ai figli: lascia la fede». Nel passo biblico odierno si
leggono le parole di
Davide: «Perché il Signore compia la promessa che mi ha fatto
dicendo: “Se i tuoi figli nella loro condotta
si cureranno di camminare davanti a me
con fedeltà, con tutto
il loro cuore, con tutta
la loro anima, non ti
sarà tolto un discendente
dal
trono
d’Israele”». È proprio
«la fede nella promessa a Dio: lasciare la
fede come grande eredità», ha spiegato
Francesco.
«Quando si fa testamento — ha aggiunto il Pontefice — la
gente dispone: “Questo lo lascio a questo,
quest’altro a quest’altro...”». Ma «la più bella eredità, la
più grande eredità che un uomo,
una donna, può lasciare ai suoi figli
è la fede» ha ribadito. E «Davide
fa memoria delle promesse di Dio,
fa memoria della propria fede in
queste promesse e le ricorda al figlio: lasciare la fede in eredità».
In proposito il Papa ha fatto notare: «Quando, nel rito del battesimo, diamo — i genitori — la candela
accesa, la luce della fede, stiamo dicendo: “Custodiscila, conservala,
falla crescere in tuo figlio e in tua
figlia, e lasciala come eredità”».
Dunque, «lasciare la fede come eredità: questo ci insegna Davide. E
muore così, semplicemente come
ogni uomo». Ma «sa bene cosa
consigliare al figlio e quale sia la
migliore eredità che gli lascia: non
il regno, ma la fede. E recita a memoria quello che il Signore aveva
promesso».
«Tutti noi andremo sulla strada
dei nostri padri — ha affermato
Francesco — ma quando lo sa lui».
E così «ci farà bene» chiederci:
«Qual è l’eredità che io lascio con
la mia vita? Lascio l’eredità di un
uomo, una donna di fede? Ai miei
lascio questa eredità?».
In questa prospettiva, ha concluso, «chiediamo al Signore due cose». Anzituttto «non avere paura di
quest’ultimo passo, come la sorella
dell’udienza di mercoledì» che confida: «Sto finendo il mio percorso e
incomincio l’altro». E la seconda
cosa da chiedere al Signore è «che
tutti noi possiamo lasciare con la
nostra vita, come migliore eredità,
la fede: la fede in questo Dio fedele, questo Dio che è accanto a noi
sempre, questo Dio che è Padre e
non delude mai».
Nuove iniziative di Scholas Occurrentes lanciate alla presenza del Papa
In campo
per la pace
Papa Francesco ha annunciato che il prossimo
29 maggio, allo stadio Olimpico di Roma, si
giocherà una nuova partita per la pace, dopo
quella svoltasi il 1° settembre 2014. Un’iniziativa che dimostra come è possibile “fare la pace” anche con il gioco e con l’arte, ha spiegato il Pontefice mercoledì sera, 3 febbraio, presiedendo nella Casina Pio IV, in Vaticano, l’incontro promosso dalla fondazione pontificia
Scholas Occurrentes per la formazione dei
giovani più svantaggiati nei Paesi poveri.
Durante l’incontro — presenti, tra gli altri,
il calciatore brasiliano Ronaldinho, il presidente della Liga de Fútbol Profesional spagnola, Javier Tebas, e il presidente della Confederación Sudamericana de Fútbol (Conmebol), Alejandro Domínguez — il Pontefice ha
tenuto a mettere l’accento sull’importanza del
calcio e dello sport in generale, che, ha detto,
è in grado di educare e promuovere la cultura
dell’incontro.
Il valore dell’educazione, ha spiegato, va
inquadrato nell’armonia della persona, ossia
nella crescita della totalità dell’uomo. Si tratta
di dare spazio soprattutto alla capacità creativa dei giovani e dei ragazzi, per promuovere
il dialogo tra religioni e culture e costruire un
mondo più inclusivo. Dal Papa anche l’invito
ai giovani a essere protagonisti e a prendere
nelle proprie mani la “chiave” del futuro del
mondo, restando comunque in ascolto della
memoria e dell’esperienza dei più anziani.
Le parole di Francesco hanno fatto da filo
conduttore alla serata organizzata dalla rete
internazionale di scuole nata in Argentina
quando Jorge Mario Bergoglio era arcivescovo
di Buenos Aires. Dalle escuelas de vecinos argentine è nata Scholas Occurrentes, o “scuole
per il dialogo”, promosse dalla Pontificia Accademia delle scienze e diffuse in 427.330
scuole di 87 Paesi dei cinque continenti.
Anche stavolta, in prima linea nell’iniziativa c’è José María del Corral, direttore
dell’istituto San Martín de Tours di Buenos
Aires. Teologo, formatore, con alle spalle anni
di tirocinio nelle baraccopoli argentine, del
Corral è presidente della fondazione sin dalla
sua nascita, nell’agosto 2013, e ne regge il timone puntando a valorizzare il protagonismo
dei giovani e il loro senso critico nei confronti
di una scuola che «non li educa alla vita»,
come racconta in un’intervista pubblicata
sull’ultimo numero del settimanale spagnolo
«Vida Nueva».
Promuovere la formazione attraverso l’interazione tra sport, scienza e tecnologia è l’impegno che si è assunto anche il calciatore Ronaldinho. Scholas infatti vuole dar vita negli
istituti affiliati a una strategia educativa basata su piattaforme condivise, che attraverso la
tecnologia, lo sport e le arti coinvolgano gli
studenti in un percorso di crescita non solo
culturale ma anche umano: una strada che in-
segni al giovane a essere autosufficiente e insieme promotore di pace. Non una questione
di proselitismo religioso ha chiarito lo stesso
Papa Francesco sottolineando piuttosto la dimensione del servizio alla persona umana.
Nell’incontro sono stati presentati i programmi di tre iniziative: Scholas arts, per la
formazione dei giovani attraverso le arti e la
creatività, con la partecipazione di rappresentanti
del mondo educativo di
17 Paesi; Scholas sports y
social, incentrata sull’attività sportiva; Scholas ciudadania, per la partecipazione attiva dei giovani
alla vita della comunità
civile. In particolare, il
Papa ha dialogato con sei
ragazzi spagnoli scelti fra
300 allievi delle scuole
che fanno parte del progetto.
Lo scorso aprile è stato
firmato un accordo tra
Scholas e Unicef per collaborare a una serie
di attività congiunte a livello mondiale, con
l’obiettivo di mettere fine alla violenza e promuovere l’interconnessione di tutti i giovani.
La rete Scholas parteciperà dunque a «La
gioventù esprime la propria opinione», uno
spazio in linea dell’Unicef pensato per adolescenti e giovani. Inoltre, il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia adatterà anche la piattaforma sociale U-report alla comunità globale di Scholas, per consentire ai suoi membri
di unirsi al circa mezzo milione di giovani
che già la utilizza per parlare dei propri interessi. Sono in programma iniziative a livello
regionale, nazionale e comunitario, incluse
campagne di sensibilizzazione e attività congiunte di promozione su questioni riguardanti
gli adolescenti che vivono in condizioni di
svantaggio.
Giunte a Roma le spoglie di Pio da Pietrelcina e Leopoldo Mandić
Profumo di misericordia
Accolte da una grande folla di fedeli, sono
giunte mercoledì pomeriggio, 3 febbraio,
nella basilica romana di San Lorenzo fuori
le Mura, le reliquie di san Pio da Pietrelcina
e di san Leopoldo Mandić. «Due testimoni,
due campioni della santità cristiana» li ha
definiti il cardinale vicario Agostino Vallini
nell’omelia della messa celebrata in serata,
ricordando che «i fratelli e le sorelle che li
hanno incontrati riconoscevano in loro il
profumo di Cristo e della sua misericordia».
Le urne con i corpi dei santi cappuccini
restano nella basilica fino alla sera di giovedì 4, quando vengono trasferite nella chiesa
di San Salvatore in Lauro, dove alle 22 l’arcivescovo Rino Fisichella presiede la concelebrazione eucaristica, a cui segue la veglia
notturna. Poi, nel pomeriggio di venerdì 5,
con una solenne processione, le reliquie raggiungono la basilica vaticana.
Al loro arrivo, previsto alle 17.45 circa,
verranno accolte in piazza San Pietro dal
cardinale arciprete Angelo Comastri, il quale
presiederà una breve liturgia. Quindi le reliquie saranno accompagnate nella basilica e
collocate davanti all’altare della Confessione. Per tutto il tempo dell’esposizione le
spoglie saranno vegliate da alcuni frati cappuccini.
Nel pomeriggio di sabato 6 e di domenica
7, all’altare della Cattedra, il cardinale Comastri celebrerà la messa. Mercoledì 10,
giorno delle Ceneri, lo stesso porporato presiederà alle 8 la celebrazione eucaristica per
i dipendenti vaticani.
Nel pomeriggio di giovedì 11, infine, dopo
la messa dell’arcivescovo Fisichella, le urne
dei due santi faranno rientro nei rispettivi
santuari.
In questi giorni sarà possibile venerare le
reliquie nella basilica vaticana dalle 7 alle 19.
Soltanto nella giornata di venerdì 5 la basilica prolungherà l’orario di apertura fino
alle 21.
Nella memoria di san Biagio il cardinale Sandri ricorda i martiri per la fede
Sono passati più di diciassette secoli dal martirio di san Biagio,
«eppure il tesoro prezioso della
libertà religiosa è ancora calpestato in molte parti della terra, e in
questi tempi in modo drammatico nel Medio oriente». A sottolinearlo è stato il cardinale Leonardo Sandri che, nel pomeriggio
del 3 febbraio, memoria liturgica
del santo vescovo di Sebaste, ha
celebrato la messa nella sua diaconia cardinalizia, la basilica parrocchiale dei Santi Biagio e Carlo
ai Catinari. Il prefetto della Congregazione per le Chiese orientali
ha invitato i fedeli a «volgere lo
sguardo» verso «quell’O riente
geografico da dove è venuta a noi
la predicazione del santo Vangelo, e a ripensare alla lunghissima
Libertà calpestata
catena di testimoni che se ne sono fatti annunciatori, fino a pagare con l’effusione del proprio sangue l’adesione al Signore crocifisso e risorto».
Evocando la schiera di testimoni della fede che hanno seguito le
orme di san Biagio, il porporato
ha ricordato anche che il vescovo
taumaturgo fu martirizzato «a
non molti chilometri dal luogo
dove, il 5 febbraio di dieci anni
fa, offriva la sua vita un figlio
della Chiesa di Roma», don Andrea Santoro. E citando le parole
di Papa Francesco all’udienza
dello scorso 1° aprile, ha detto:
«Questo esempio di un uomo dei
nostri tempi, e tanti altri, ci sostengano nell’offrire la nostra vita
come dono d’amore ai fratelli, a
imitazione di Gesù».
Una preghiera comune, ha sollecitato con decisione il cardinale
Sandri, deve salire al cielo affinché «cessino le “inutili stragi”».
Una preghiera alla quale il porporato ha affidato le parole del
salmista: «Destati, Signore, risveglia la tua potenza e vieni in nostro soccorso», invitando tutti ad
alzare «la voce verso i cuori degli
uomini dei diversi schieramenti»
e a gridare: «Ferma, o uomo, la
tua mano che opprime, spezza il
tuo silenzio complice e colpevole,
ridesta la tua coscienza intorpidita che osa pensare di schiacciare
un altro uomo in nome di una
perversione della religione che
l’ha trasformata in ideologia, e
smetti di guadagnare con traffici i
cui conti ricadono sul sangue degli innocenti».
Riferendosi, quindi, alle qualità
taumaturgiche che la tradizione
attribuisce al vescovo del quarto
secolo, il prefetto della Congregazione per le Chiese orientali ha
affidato questa «accorata invocazione» a san Biagio, consapevole
che «a essere guarita non deve
essere solo la gola, bensì l’intimo
della coscienza».