L`OSSERVATORE ROMANO

Download Report

Transcript L`OSSERVATORE ROMANO

Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004
Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00
L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLVI n. 29 (47.164)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
sabato 6 febbraio 2016
.
L’annuncio dato contemporaneamente in Vaticano e a Mosca
Papa Francesco incontrerà il Patriarca Cirillo
A Cuba il 12 febbraio lo storico avvenimento
«Madonna di Kazan’» (icona del
XVII
secolo. A Nostra Signora di Kazan’ è intitolata la cattedrale ortodossa dell’Avana)
«La Santa Sede e il Patriarcato di
Mosca hanno la gioia di annunciare
che, per grazia di Dio, Sua Santità
Papa Francesco e Sua Santità il Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la
Russia, si incontreranno il prossimo
12 febbraio». L’annuncio è arrivato
oggi, 5 febbraio, con un comunicato
congiunto della Santa Sede e del Patriarcato di Mosca. L’incontro «avrà
luogo a Cuba, dove il Papa farà scalo prima del suo viaggio in Messico,
e dove il Patriarca sarà in visita ufficiale. Esso comprenderà un colloquio personale presso l’aeroporto internazionale José Martí dell’Avana e
si concluderà con la firma di una dichiarazione comune». Preparato «da
lungo tempo», questo incontro tra i
Primati della Chiesa cattolica e della
Chiesa ortodossa russa «sarà il primo nella storia e segnerà una tappa
importante nelle relazioni tra le due
Chiese». Dell’avvenimento è stato
informato anche il Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli che ha manifestato la sua soddisfazione e gioia
per questo passo avanti nel cammino
delle buone relazioni ecumeniche.
La Santa Sede e il Patriarcato di
Mosca auspicano che questa occasione «sia anche un segno di speranza
per tutti gli uomini di buona volontà» e «invitano tutti i cristiani a pregare con fervore affinché Dio benedica questo incontro, che possa produrre buoni frutti».
La notizia è stata annunciata contemporaneamente nella Sala stampa
della Santa Sede, e a Mosca, dove il
metropolita Ilarione di Volokolamsk,
ha dichiarato, tra l’altro, che la situa-
Annunciati dieci miliardi alla conferenza dei donatori a Londra
Nuovi aiuti alla Siria
LONDRA, 5. Il mondo promette nuovi aiuti alla Siria dilaniata da cinque
anni di guerra, con centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi
e sfollati. Mentre ad Aleppo si continua a combattere dopo l’avvio di
una massiccia offensiva dei governativi, ieri a Londra i sessanta Paesi
donatori sono riusciti a raccogliere
dieci miliardi di dollari di aiuti con-
Attacco
ai caschi blu
nel Mali
y(7HA3J1*QSSKKM( +]!"!$!z!.!
BAMAKO, 5. Un attacco alla base
dei caschi blu a Timbuctu e al vicino albergo La Palmeraie — entrambi nell’area dell’aeroporto
della città settentrionale del Mali
— è stato sferrato oggi da un
gruppo armato che lo ha perpetrato anche con l’esplosione di
un’autobomba. Al momento in
cui andiamo in stampa non si
hanno notizie certe sull’esito della
vicenda, ma secondo alcune fonti
ci sarebbe stata una presa
d’ostaggi, mentre attacchi simultanei sarebbero stati lanciati anche contro un posto di controllo
dell’esercito maliano e contro la
residenza
del
governatore.
L’agenzia di stampa France Presse riferisce che un militare maliano sarebbe stato ucciso e un casco blu ferito.
Essere maschi ed essere femmine
Incontro
con Gesù
SERGIO MASSIRONI
A PAGINA
5
tro i nove previsti. Il doppio di
quanto stanziato due anni fa.
Il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, e il segretario di Stato
americano, John Kerry, hanno concordato a Londra di «intraprendere
possibili azioni coordinate per fornire aiuti umanitari nelle zone bloccate della Siria per via aerea».
Tra i principali donatori per la Siria c’è l’Unione europea. Il contributo di Bruxelles è stato pari a 2,4 miliardi di euro (circa tre miliardi di
dollari) presi dal bilancio comunitario. «Ma il denaro da solo non basta» ha detto l’Alto rappresentante
Ue per la politica estera e di sicurezza comune, Federica Mogherini. «Il
solo modo di salvare la Siria e i siriani è attuare la Road Map definita
da tutti noi in sede Onu» e applicare la risoluzione approvata all’unanimità a dicembre —per la prima volta
in 5 anni di guerra — «in tutte le sue
parti: dal cessate il fuoco all’immediato avvio di misure di ripristino
della fiducia, a cominciare dal pieno
accesso degli aiuti umanitari nelle
aree che ne hanno bisogno». Aree
«come quella di Madaya, cittadina
allo stremo assediata dai governativi».
Ribadendo l’impegno della Germania per la fine del conflitto siriano, il cancelliere tedesco, Angela
Merkel, ha annunciato la decisione
di Berlino di stanziare, da sola, 2,3
miliardi di euro di aiuti. Dal canto
suo, il premier britannico, David Cameron, ha chiesto di continuare a lavorare «malgrado le difficoltà» per
trovare una soluzione politica.
Soddisfazione per l’esito della
conferenza è stato espresso anche da
Oxfam (federazione di ong che si
battono per la fine della povertà),
che considera un buon segnale il fatto che per la prima volta i siriani abbiano partecipato all’evento. «Il
mondo — si legge in un comunicato
— deve prestare attenzione alle richieste del popolo siriano e assicurarsi che le loro voci vengano ascoltate». Questo anche se «un maggiore stanziamento di fondi per gli aiuti
non sarà comunque sufficiente a risolvere la crisi».
Un plauso per l’esito del summit
londinese è stato espresso anche dalla Caritas, che tuttavia ha ricordato
come la cosa più importante sia
«fermare questa guerra; bisogna far
tacere le armi, oggi e non domani,
l’urgenza aumenta ogni giorno che
passa; sino a quando vi sarà la guerra non si potranno mai risolvere i
problemi anzi, il conflitto è destina-
to a intensificarsi» ha detto — citato
da Asia New — padre Paul Karam,
direttore di Caritas Libano, da quattro anni in prima fila nell’accoglienza del flusso continuo di famiglie siriane (e non) che fuggono dalla
guerra. «Sino a quando vinceranno
gli interessi personali — ha avvertito
padre Karam — e si continuerà ad
alimentare il traffico di armi, a pagarne il prezzo sarà la popolazione
civile».
Udienza al presidente
della Repubblica dello Zambia
Nella mattina di venerdì 5 febbraio 2016, Papa
Francesco ha ricevuto
in udienza, nel Palazzo
Apostolico Vaticano, il
presidente della Repubblica di Zambia, Edgar
Chagwa Lungu, il quale
ha incontrato successivamente il cardinale
Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato dall’arcivescovo
Paul R. Gallagher, segretario per i Rapporti
con gli Stati.
Durante i cordiali
colloqui sono state evocate le buone relazioni
esistenti tra la Santa Sede e la Repubblica di
Zambia. Ci si è poi soffermati sul contributo
della Chiesa cattolica attraverso le
sue istituzioni di carattere educativo, sociale e sanitario, non mancando di fare riferimento alla collaborazione nella lotta alla povertà e
alle disuguaglianze sociali e alla
promozione di una pacifica convivenza sociale e religiosa attraverso
la cultura del dialogo e dell’incontro. Nel prosieguo della conversa-
zione in Medio oriente, in Africa e
in altre regioni, nelle quali si sta
«perpetrando un vero e proprio genocidio di cristiani» richiede «misure urgenti e una più stretta cooperazione tra Chiese cristiane».
Cirillo arriverà all’Avana giovedì
11 febbraio per il suo primo viaggio
ufficiale da Patriarca in America latina: visiterà anche Paraguay e Brasile.
Lo stesso giorno sarà a Cuba, per
mettere a punto i dettagli dell’incontro, anche il cardinale Kurt Koch,
presidente del Pontificio Consiglio
per la promozione dell’unità dei cristiani, con lui anche il domenicano
Hyacinthe Destivelle.
Il viaggio
in Messico
PAGINA 8
Francesco partirà venerdì mattina,
alle 7.15, da Roma alla volta del
Messico, in anticipo rispetto al programma già annunciato. L’arrivo
all’Avana è previsto per le ore 14 locali. Ad accoglierlo, disceso dall’aereo, saranno il presidente della Repubblica cubana, Raúl Castro Ruz,
il cardinale arcivescovo dell’Avana,
Jaime Lucas Ortega y Alamino, e il
presidente della Conferenza episcopale cubana, l’arcivescovo Dionisio
Guillermo García Ibáñez.
L’incontro con Cirillo avverrà, intorno alle ore 14.15, in una sala dello
scalo aereo. Il colloquio privato, che
avverrà in spagnolo e russo, durerà
circa due ore. Saranno presenti anche il cardinale Koch, il metropolita
Ilarione e due interpreti. In una sala
attigua avverrà poi la firma della dichiarazione comune in russo e italiano. I discorsi del Papa e del Patriarca, lo scambio dei doni e la presentazione delle rispettive delegazioni
concluderanno l’incontro. Poi Francesco partirà per il Messico.
Chiesti al Congresso finanziamenti per 450 milioni di dollari
Sostegno di Obama
alla pace in Colombia
WASHINGTON, 5. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, dopo aver ricevuto ieri alla Casa
Bianca il capo dello Stato colombiano, Juan Manuel Santos, ha annunciato che chiederà al Congresso
di stanziare 450 milioni di dollari
per finanziare il processo di pace
in Colombia. Come noto, il prossimo mese è attesa la conclusione del
negoziato che da ormai tre anni si
tiene nella capitale cubana, L’Avana, tra il Governo di Bogotá e le
Forze armate rivoluzionare della
Colombia (Farc), il più antico
gruppo guerrigliero di sinistra
dell’America latina.
Con l’accordo per mettere fine a
un conflitto civile protrattosi per
oltre mezzo secolo — e che appare
destinato ad aprire la strada ad
analoghi accordi con altre formazioni armate — la Colombia tenta
di avviare una nuova e pacifica fase
della sua storia. In questo ha certo
un ruolo rilevante il sostegno internazionale ed è perciò significativa
l’iniziativa di Obama. «Un Paese
che era sull’orlo del collasso è ormai sull’orlo della pace» ha detto il
presidente statunitense, annunciando l’iniziativa in una conferenza
stampa congiunta con Santos.
La scelta del presidente statunitense, se avrà il via libera del Con-
gresso, porterà ad aumentare di
quasi il cinquanta per cento gli
aiuti statunitensi alla Colombia e,
soprattutto, a finanziare progetti
specificamente destinati alla pacificazione e allo sviluppo sociale del
Paese. Al momento, il Governo di
Washington investe 310 milioni di
dollari all’anno per il cosiddetto
Piano Colombia, finora finalizzato
principalmente a contrastare il traffico di droga attraverso la cooperazione militare tra i due Paesi. Tale
piano fu lanciato nel 1999 dagli allora presidenti colombiano Andres
Pastrana e statunitense Bill Clinton, ma concretamente avviato solo
nel 2001, quando a Clinton era già
succeduto George W. Bush.
La visita di Santos a Washington
è avvenuta proprio nel quadro delle iniziative per il 15° anniversario
del Piano Colombia, coinciso con
l’apertura
della
nuova
sede
dell’ambasciata di Bogotá negli
Stati Uniti.
Ora il sostegno statunitense alla
Colombia deve fare un salto di livello. Il presidente statunitense ha
infatti precisato che il piano verrà
ribattezzato «Pace Colombia» e
avrà come scopo anche quello di
costruire lo Stato di diritto e il rispetto per i diritti umani.
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza Sua
Eccellenza il Signor Edgar
Chagwa Lungu, Presidente della Repubblica di Zambia, e Seguito.
zione, sono stati affrontati temi di
comune interesse, tra i quali le migrazioni, i cambiamenti climatici e
la tutela dell’ambiente.
Infine, si è fatto cenno alla situazione internazionale, con speciale
attenzione ai conflitti che interessano alcune aree dell’Africa e all’impegno del Paese nei processi di pace nella Regione.
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza:
l’Eminentissimo
Cardinale
Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la
Dottrina della Fede;
le Loro Eccellenze i Monsignori:
— Baldomero Carlos Martini,
Vescovo emerito di San Justo
(Argentina);
— Han Lim Moon, Vescovo
titolare di Tucca di Mauritania,
Ausiliare di San Martín (Argentina).
Il Santo Padre ha accettato la
rinuncia al governo pastorale
della Diocesi di ConversanoMonopoli (Italia), presentata
da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Domenico Padovano, in conformità al can.
401 §1 del Codice di Diritto
Canonico.
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo di Conversano-Monopoli (Italia) il Reverendo Monsignore Giuseppe Favale, del
clero della Diocesi di Castellaneta, finora Direttore Spirituale
presso il Pontificio Seminario
Regionale Pugliese.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
sabato 6 febbraio 2016
Il premier
David Cameron (Afp)
Vertice straordinario del Mercosur
Piano di azione
contro Zika
LONDRA, 5. «Penso che la proposta
sia una buona base per un accordo
che potrebbe essere raggiunto al
Consiglio europeo. Ci sono ancora
dettagli che devono essere risolti, ma
presenta un piano per riformare
l’Ue; sulla base di un piano di questo tipo noi potremo essere nella posizione di proporre ai cittadini britannici di restare in un’Unione riformata». Le parole del ministro degli
Esteri britannico, George Osborne,
rendono bene la posizione di Londra negli attuali negoziati con Bruxelles sul tema spinoso della “Brexit” (l’eventuale uscita del Regno
Unito dall’Ue). Posizione che è
quella del dialogo, nel tentativo di
evitare il referendum.
«Il piano dell’Ue non è positivo
soltanto per la Gran Bretagna, ma
penso sia positivo anche per gli altri
Stati membri, perché impegna l’Ue
a diventare più competitiva e a risolvere il problema dei rapporti fra chi
è dentro e fuori l’euro» ha detto
Osborne. E intanto, il premier britannico, David Cameron, ha accettato ieri l’invito del presidente del Parlamento Ue, Martin Schulz, a intervenire di fronte all’assemblea il prossimo 16 febbraio: due giorni prima
del Consiglio dell’Unione dedicato
al negoziato tra Gran Bretagna e
Bruxelles.
E sempre ieri il Commissario Ue
agli Affari economici, Pierre Moscovici, durante la conferenza stampa
sulle previsioni economiche del-
Osborne ottimista sui negoziati con Bruxelles
Dialogo sulla Brexit
l’Unione nell’inverno 2016, ha detto
che
«l’impatto
economico
di
un’eventuale “Brexit” non c’è nelle
previsioni perché tutti stiamo lavorando e combattendo per evitarla».
La bozza d’accordo fra Ue e Gran
Bretagna proposta e pubblicata dal
presidente del Consiglio europeo,
Donald Tusk, contiene «cambiamenti sostanziali» nelle relazioni fra il
Regno Unito e Bruxelles, ha spiega-
Durante lo sciopero generale contro la riforma pensionistica
Scontri ad Atene
tra manifestanti e polizia
Poliziotti greci in assetto antisommossa ad Atene (Afp)
ATENE, 5. Violenti scontri tra manifestanti e polizia sono stati registrati ieri in Grecia durante lo sciopero
generale indetto contro la riforma
pensionistica del Governo Tsipras.
Un Esecutivo in difficoltà, indicano gli analisti, mentre prosegue il
difficile negoziato con i creditori
internazionali, che chiedono ad
Atene di rispettare gli obiettivi di
risparmio promessi.
Nel centro di Atene, informa la
stampa ellenica, ci sono stati duri
scontri con un fitto lancio di bottiglie incendiarie da parte di gruppi
di anarchici e dei collettivi di estrema sinistra. Gli agenti in assetto
antisommossa hanno risposto con i
lacrimogeni. Due persone sono state tratte in arresto. Poco prima, un
giornalista di una radio locale era
stato aggredito: ha riportato ferite
alla testa ed è stato trasportato in
ospedale.
Proclamato dai sindacati del settore pubblico Adedy e privato
Gsee e dal sindacato comunista Pame, lo sciopero generale ha interessato la maggior parte delle categorie, dai dipendenti ai liberi professionisti, dagli agricoltori ai tassisti
e benzinai. Migliaia di persone sono così scese in piazza per protestare contro la riforma, che propone di abbassare il tetto massimo
previdenziale da 2.700 a 2.300 euro. Dal 2010 le pensioni sono già
state tagliate 11 volte, per una riduzione media del 41 per cento.
Il piano del Governo prevede
anche di introdurre una pensione
minima garantita di 384 euro, di
accorpare i fondi pensione e aumentare i contributi previdenziali.
L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
[email protected]
www.osservatoreromano.va
to nei giorni scorsi Cameron, precisando tuttavia che ci sono ancora
«cose importanti su cui lavorare» e
«dettagli da fissare bene». Cameron
ha sottolineato che il testo deve essere vagliato da tutti i Governi
dell’Ue, anche se «progressi reali»
sono stati compiuti nel negoziato su
diverse questioni indicate dal suo
Governo. Nel dettaglio, la Commissione europea propone l’introduzio-
La Catalogna
rilancia
il processo
secessionista
MADRID, 5. Il presidente secessionista della Catalogna, Carles
Puigdemont, rilancia la sfida
dell’indipendenza della regione,
dando il via alla preparazione
delle tre leggi che dovrebbero segnare la separazione dalla Spagna. Le due formazioni indipendentiste (Junts pel Sí e la Cup),
che lo appoggiano e hanno la
maggioranza assoluta nell’Assemblea catalana, hanno avviato ieri
l’iter parlamentare per l’approvazione delle tre normative. La prima punta a creare un quadro giuridico per la transizione dal diritto spagnolo a quello di una futura “Repubblica catalana”. La seconda, invece, istituirà un’agenzia
tributaria della Catalogna, mentre
la terza una sicurezza sociale indipendente da quella di Madrid.
Puigmont — subentrato il mese
scorso al precedente presidente,
Artur Mas — ha auspicato l’apertura di un negoziato con Madrid,
da sempre contraria a qualsiasi
mossa
verso
l’indipendenza
catalana.
Sicurezza e stabilità
per il Kosovo
PRISTINA, 5. La sicurezza in Kosovo e nel resto della regione balcanica, la situazione politica interna
nel Paese e le prospettive di trasformazione della Forza di sicurezza del Kosovo (Fsk) in esercito sono stati i temi dei colloqui che il
comandante supremo della Nato
in Europa, il generale statunitense
Philip Breedlove, ha avuto ieri a
Pristina con il premier kosovaro,
Isa Mustafa, e il presidente, Atifete Jahjaga. L’alto ufficiale ha incontrato anche il comandante della Kfor (la Forza della Nato in
Kosovo), il generale italiano Guglielmo Luigi Miglietta, che ha
sottolineato la buona collaborazione con la polizia kosovara. Precedentemente, Breedlove è stato in
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
visita nel vicino Montenegro: è
stato il primo alto rappresentante
della Nato da quando lo scorso
dicembre Podgorica è stata invitata ad aderire all’Alleanza atlantica.
Il comandante, riferiscono fonti di
stampa, ha detto di prevedere una
rapida adesione del Montenegro
alla Nato nella quale «sarà un
buon Paese partner». «È necessario comunque — ha osservato l’alto
ufficiale — proseguire nel corso
delle riforme». A Pristina, intanto,
l’opposizione ha chiesto a Jahjaga
di indire elezioni legislative anticipate, a causa dei problemi legati
alla creazione della nuova Associazione delle comunità serbe in Kosovo, fortemente osteggiata dalle
forze antigovernative.
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
[email protected] www.photo.va
ne di un meccanismo di salvaguardia
per rispondere alle richieste di Londra di poter applicare un welfare “ridotto” in caso di afflussi eccezionali
di lavoratori provenienti da altri Paesi Ue. Questo approccio tuttavia —
ha precisato Tusk nella lettera inviata a Cameron — «dovrà essere ulteriormente approfondito e discusso»
a livello di leader europei. Occorre
infatti anche salvaguardare i diritti
degli altri Stati membri. Per quanto
riguarda la governance economica,
Bruxelles assicura il rispetto dell’autonomia britannica, ma senza per
questo concedere un diritto di veto
alle decisioni in sede comune.
Sul piano interno, il dibattito sulla “Brexit” si fa sempre più animato.
Cameron ha indicato il 23 giugno
prossimo come possibile data del referendum. Secondo un sondaggio
pubblicato dal «Times» — il primo
dopo la presentazione delle condizioni di Bruxelles — il 45 per cento
dei britannici intende votare per
l’uscita dall’Ue. Il 36 vuole invece
che il Regno Unito resti nella casa
europea, mentre il 19 per cento si dice indeciso.
MONTEVIDEO, 5. A conclusione, ieri a Montevideo (capitale dell’Uruguay), del vertice straordinario del
Mercosur sull’emergenza Zika, i
ministri della Sanità di quattordici
Paesi dell’America latina hanno
elaborato un piano di azione congiunto per fronteggiare il virus. Al
summit hanno partecipato anche i
rappresentanti dell’O rganizzazione
panamericana della Sanità. Zika è
un virus molto grave che genera
malformazioni fetali (microcefalia)
nelle donne incinte.
Nel documento finale del vertice
— diviso in sedici capitoli — i ministri considerano fondamentali sia i
meccanismi
di
comunicazione
sull’emergenza, per potere dare
un’informazione precisa e rigorosa
nella lotta al virus, sia i comportamenti delle popolazioni. Nel ricordare, inoltre, l’importanza delle
campagne di prevenzione attivate
in numerosi Paesi della regione
(dal Messico, alla Colombia, all’Argentina), il piano per contrastare
Zika (ma anche dengue e chikungunya, le altre due malattie provocate dalle zanzare del genere Aedes
Aegepty) sottolinea aspetti quali lo
sviluppo di studi interdisciplinari
sul virus e di protocolli congiunti
per la cura delle malattie, oltre allo
scambio di dati e informazioni tra
le autorità sanitarie dei diversi Paesi. «Ciò che preoccupa di più è la
rapidità con la quale si è diffuso il
virus, infezione che ha raggiunto in
meno di un anno ventisei Nazioni»
ha ricordato la responsabile dell’Organizzazione panamericana per
la sanità, Carissa Etienne.
E intanto, dopo avere confermato cinque casi di Zika dalle analisi
del sangue di quasi 260 persone, lo
Stato-arcipelago di Tonga, nel Pacifico (103.000 abitanti), ha dichiarato ieri lo stato di epidemia. Lo
ha annunciato il capo del dipartimento alla salute, Reynold Ofanoa,
precisando, però, che nessuno dei
casi confermati riguarda donne incinte. L’allarme si sta diffondendo
un po’ ovunque, anche in Europa.
Proprio per questo, la Commissione europea ha sbloccato dieci milioni di euro per ricerche urgenti
sul virus Zika. La somma — indicano fonti ufficiali da Bruxelles — sarà usata, in particolare, per indagare sul legame tra le infezioni e le
malformazioni infantili.
Assassinato
un neonato
in Messico
CITTÀ DEL MESSICO, 5. La violenza legata al narcotraffico che
da anni stringe in una morsa le
popolazioni messicane ha fatto
segnare ieri uno sconvolgente
salto di livello con l’uccisione a
sangue freddo di un bambino di
sette mesi, insieme con i suoi
giovani genitori e con altre due
persone, un uomo e la sua figlia
quattordicenne. Sono stati tutti
falciati a colpi di mitra all’uscita
da un negozio nella cittadina di
a Pinotepa Nacional, nello Stato
di Oaxaca. Gli investigatori
stanno cercando di appurare se
si sia trattato di un regolamento
di conti tra bande rivali del narcotraffico, come farebbe ritenere
la dinamica della strage. Non si
esclude però un tragico errore di
persona. In altre parole, forse il
padre del piccolo Marcos Miguel non c’entrava niente con i
narcotrafficanti né con altri tipi
di violenze.
Sventato
un attentato
a Berlino
Riottenuto dopo vent’anni il diritto su territori artici
Vittoria
dei lapponi
STO CCOLMA, 5. Al termine di una
battaglia giuridica andata avanti per
vent’anni — portata anche di fronte
alla Commissione europea e al Tribunale per i diritti umani delle Nazioni
Unite — i nomadi lapponi svedesi, allevatori di renne, hanno vinto la causa che gli riconosce alcuni diritti su
dei territori a nord del Circolo polare
artico.
La decisione adottata dal Tribunale
distrettuale di Gällivare (città situata
nella contea settentrionale lappone
del Norrbotten) stabilisce — secondo
quanto riporta il quotidiano «The
Guardian» — che gli abitanti del piccolo villaggio di Girjas hanno i diritti
esclusivi di controllo sulla caccia e
sulla pesca nella regione, ripristinando così i poteri che vennero sottratti
al popolo sami — o lappone — dal
Parlamento svedese nel lontano 1993.
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
[email protected]
Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
«È un passo simbolico nel riconoscimento dei diritti dei sami, e noi auspichiamo che questo verdetto possa
dare forma alle politiche nei confronti dei sami in Svezia», ha affermato
Åsa Larsson Blind, vice presidente
del Consiglio dei sami, che rappresenta il popolo lappone in Svezia,
Norvegia, Finlandia e Russia. Si calcola che siano circa 20.000 i sami
svedesi. E si battono anche contro i
piani della compagnia mineraria britannica Beowulf di estrarre ferro nel
profondo nord della Svezia. Il verdetto dal Tribunale distrettuale di
Gällivare, ha spiegato ancora Larsson
Blind — citato sempre dal «The
Guardian» — non ha diretta influenza sui progetti minerari, ma «è comunque una tessera del puzzle per
ottenere il riconoscimento dei diritti
dei sami».
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
BERLINO, 5. In uno scambio di
telefonate avevano parlato di un
attentato a Berlino, evocando a
un certo punto il checkpoint
“Charlie”, il celebre posto di
blocco al confine tra Berlino est
e Berlino ovest durante la guerra fredda. Questa intercettazione
ha indotto la polizia a fermare
ieri in Germania tre algerini, accusati di essere affiliati ai jihadisti del cosiddetto Stato islamico
(Is). E secondo fonti di sicurezza e dei servizi citate dal «Tagesspiegel», dietro questi islamisti ci sarebbe una parte dello
stesso gruppo dirigente dell’Is
che ha ideato le stragi del 13 novembre a Parigi. Le perquisizioni a tappeto, in appartamenti
aziende e centri profughi, sono
scattati all’alba di oggi in tre
Länder: 450 agenti in azione fra
Berlino, Nordreno-Westfalia e
Bassa Sassonia, a caccia di quattro ricercati.
E proprio in un campo profughi di prima accoglienza, ad Attendorn, in Westfalia, soggiornava il principale indiziato: un
trentacinquenne, fermato insieme alla moglie di ventisette anni. L'uomo era arrivato attraverso la rotta dei Balcani, come
profugo, in Baviera. Qui, servendosi di un passaporto siriano
falso, era stato registrato come
richiedente asilo. Secondo gli
inquirenti, è un membro dell’Is,
addestrato in Siria militarmente.
E su di lui pendeva un mandato
di cattura algerino, proprio per
l’affiliazione all’Is. Il terzo fermo è stato eseguito a Berlino.
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
Ivan Ranza, direttore generale
Sede legale
Via Monte Rosa 91, 20149 Milano
telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214
[email protected]
Intesa San Paolo
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
Banca Carige
Società Cattolica di Assicurazione
Credito Valtellinese
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 6 febbraio 2016
pagina 3
Per l’escalation delle violenze in Siria
La Nato accusa Mosca
DAMASCO, 5. «Gli intensi attacchi
aerei russi, che colpiscono soprattutto le truppe di opposizione in Siria,
stanno minando gli sforzi per trovare una soluzione politica al conflitto». Parole dure quelle usate dal segretario generale della Nato, Jens
Stoltenberg, intervenuto oggi sulla
crisi siriana. Un atto di accusa nei
confronti del Cremlino: «Il rafforzarsi dell’attività aerea russa in Siria
Condannati
estremisti israeliani
che bruciarono
un palestinese
TEL AVIV, 5. Il Tribunale distrettuale di Gerusalemme ha condannato i tre responsabili dell’atroce uccisione di Mohammad
Abu Khdeir, il quattordicenne
palestinese rapito, stordito e bruciato vivo un anno e mezzo fa a
Gerusalemme, in quella che
estremisti concepirono come una
ritorsione per la precedente uccisione di tre adolescenti israeliani
da parte di Hamas. A suo tempo
l’uccisione del ragazzo sconvolse
sia i palestinesi sia gli israeliani
non solo per la sua brutalità, ma
anche per la giovanissima età di
due dei suoi autori, all’epoca dei
fatti ancora minorenni. A uno di
loro, quello che materialmente
appiccò il fuoco, è stato inflitto
l’ergastolo e all’altro 21 anni di
reclusione. Sul terzo imputato,
un uomo di 33 anni, il Tribunale
si pronuncerà la prossima settimana su una perizia psichiatrica
presentata dalla difesa all’ultimo
momento.
crea un aumento delle tensioni e
violazioni dello spazio aereo turco.
Questo crea rischi, forti tensioni ed
è una sfida alla Nato, perché sono
violazioni allo spazio aereo Nato»
ha spiegato Stoltenberg.
Il conflitto siriano non conosce
tregua ed è prevedibile nelle prossime ore un’ulteriore escalation di
violenze. Ad Aleppo la battaglia tra
i soldati governativi e i ribelli prosegue senza esclusione di colpi. E a
farne le spese sono soprattutto i civili che in migliaia stanno cercando
di abbandonare la città.
Ieri la Turchia ha deciso di chiudere il valico di frontiera con la Siria, a Kilis nel sud del Paese. Secondo il premier turco, Ahmet Davutoğlu, sono «tra 60.000 e 70.000 le
persone in fuga da Aleppo e dirette
in Turchia».
A complicare la crisi c’è lo stallo
diplomatico che si è venuto a creare
dopo l’avvio dell’attacco dell’esercito di Assad, che nei giorni scorsi è
riuscito a prendere il sopravvento
sulle forze ribelli nel nord della città
e ora sta cercando di riprendere il
controllo di tutta l’area. A Ginevra i
negoziati sono fermi: riprenderanno
il prossimo 25 febbraio. E oggi a
chiarire le posizioni sul tavolo è l’in-
viato speciale dell’Onu, Staffan De
Mistura, in un’intervista al «Corriere della sera». La posizione ufficiale
russa è «che loro combattono il terrorismo e che nello stesso tempo
hanno convinto il Governo siriano a
venire a Ginevra». Ma la realtà —
secondo il diplomatico delle Nazioni Unite — è che «un’accelerazione
violenta del conflitto nel momento
in cui si deve parlare di pace, non
aiuta né il momento umanitario, né
il dialogo politico».
Da Washington, nel frattempo, il
portavoce del Dipartimento di Stato
americano, John Kirby, ha spiegato
ieri che nel caso di un fallimento
completo del negoziato a Ginevra
«non c’è un “piano b”», ovvero
«non esiste una strategia militare
per la Siria; bisogna far funzionare
le decisioni prese finora». Insomma,
la Casa Bianca non prevede alcun
intervento di terra, anche se «la crisi
sta peggiorando sempre di più; la
popolazione necessita di tutto. Noi
abbiamo e stiamo finanziando rifugi, la fornitura di acqua, cibo, medicine. Teniamo anche presente che
tra questi bisognosi ci sono sei milioni di bambini. Ma ripeto non c’è
soluzione militare alla crisi siriana».
Dati sempre più drammatici
Duecento milioni di donne mutilate
GINEVRA, 5. Almeno duecento donne e bambine, settanta milioni di casi in più rispetto a quelli stimati nel
2014, hanno subito nel 2016 mutilazioni genitali in trenta Paesi. La metà delle vittime di questa pratica, purtroppo ancora drammaticamente diffusa, si registrano in
Egitto, Etiopia e Indonesia. Sono i dati che emergono
dal nuovo rapporto dell’Unicef pubblicato oggi in occasione della Giornata dell’Onu contro le mutilazioni
genitali femminili. Il netto incremento rispetto al rapporto precedente — dicono gli esperti — è da attribuire
non a un’aumentata diffusione del fenomeno, ma al fat-
Trattative del premier Al Sarraj per formare la lista dei ministri del Governo di unità nazionale
L’Europarlamento sostiene il processo di pace libico
TRIPOLI, 5. Il Parlamento europeo
chiede alla comunità internazionale
di sostenere gli sforzi per l’attuazione dell’accordo politico sul
Governo unitario libico. Nel testo
della risoluzione approvato ieri sera
con 478 voti favorevoli, 81 contrari e
81 astensioni, il Parlamento europeo
accoglie con favore l’intesa siglata il
17 dicembre a Skhirat, in Marocco, e
sostiene il Governo di unità
nazionale e le istituzioni nazionali
che devono guidare la Libia verso
una transizione post rivoluzionaria,
riportandola sul cammino della
costruzione di un Paese democratico, pacifico, stabile e prosperoso.
Gli eurodeputati hanno espresso
preoccupazione circa le ripercussioni
del conflitto libico sulla sicurezza in
Egitto, in Tunisia e in Algeria. La
crescente presenza di organizzazioni
e di movimenti estremisti in Libia è
altrettanto preoccupante e i deputati
considerano questi gruppi come la
principale minaccia alla stabilità e
Revocato
il coprifuoco
notturno
in Tunisia
TUNISI, 5. Il ministero dell’Interno tunisino ha annunciato ieri la
revoca della misura del coprifuoco notturno su tutto il territorio
nazionale in seguito al miglioramento della situazione della sicurezza nel Paese. La misura del
coprifuoco (dalle 20 alle 5 del
mattino) era stata introdotta il 22
gennaio scorso a causa dei disordini legati alle proteste sociali in
nome del diritto al lavoro che da
Kasserine avevano raggiunto la
capitale. L’orario di inizio del coprifuoco notturno era stato poi
ridotto due volte, l’ultima il 29
gennaio scorso.
Inedita per la sua ampiezza e
la sua durata, la contestazione —
la più importante dalla rivolta
del 2011 che portò alla destituzione il presidente di Ben Ali — aveva avuto inizio il 16 gennaio a
Kasserine, una città povera di circa 80.000 abitanti, dopo la morte
di un giovane disoccupato. Le
proteste avevano poi infiammato
tutto il Paese giungendo fino alla
periferia della capitale.
Nel frattempo, sul piano internazionale, il presidente tunisino,
Béji Caïd Essebsi, ha dichiarato
ieri che prima di programmare
qualsiasi intervento straniero in
Libia è necessario «prendere in
considerazione gli interessi dei
Paesi vicini, in primo luogo quello della Tunisia». Essebsi ha sottolineato le ripercussioni del conflitto libico sulla sicurezza e sulla
stabilità della Tunisia esprimendo
la sua fiducia nella capacità dei
libici di far fronte alle divergenze
interne lontano da ingerenze straniere. Il capo dello Stato ha anche invitato la comunità internazionale ad aiutare i libici a raggiungere una riconciliazione per
completare il processo di transizione politica e per cominciare a
ricostruire «un futuro migliore
per la Libia».
to che si hanno più notizie e denunce su di esso. Molti
Paesi hanno deciso di collaborare e di fornire dati aggiornati. Tra quante hanno subito mutilazioni, 44 milioni sono bambine e adolescenti fino a 14 anni. In questa
fascia di età, la prevalenza maggiore è stata riscontrata
in Gambia, con il 56 per cento, in Mauritania con il 54
per cento e in Indonesia, dove circa la metà delle bambine fino a undici anni di età hanno subito mutilazioni.
I Paesi con la più alta prevalenza tra le ragazze e le
donne tra i 15 e i 49 anni sono Somalia (98 per cento),
Guinea (97 per cento) e Djibouti (93 per cento).
Militari delle forze leali al Parlamento di Tripoli (Afp)
Inviato cinese a Pyongyang
per stemperare le tensioni
PECHINO, 5. Dialogo sul nucleare
tra Pechino e Pyongyang. L’inviato
speciale cinese, Wu Dawei, ha avuto
ieri un colloquio con i funzionari
nordcoreani nel corso di una delicata visita di tre giorni. L'obiettivo,
evitare il lancio del razzo/satellite
atteso tra l’8 e il 25 febbraio: «Ho
detto quello che doveva essere detto. Ho fatto quanto era da fare, ma
su quanto avverrà in futuro, non lo
so ancora», ha riferito al rientro ieri
a Pechino. L’inviato Wu Dawei, nel
corso della missione in Corea del
Nord, ha incontrato il ministro e il
vice ministro degli Esteri, rispettivamente Ri Su Yong e Kim Kye
Gwan, nonché la controparte Ri
Yong Ho, secondo quanto reso noto
da Lu Kang, portavoce del ministero degli Esteri cinese. Al centro dei
colloqui, ha aggiunto Lu Kang in
conferenza stampa, «principalmente
le relazioni bilaterali e la corrente situazione della penisola coreana».
La missione di Wu Dawei, la prima dopo il test nucleare fatto dal
regime comunista di Pyongyang a
sorpresa il 6 gennaio, ha avuto inizio il 2 febbraio, lo stesso giorno in
cui la Corea del Nord ha informato
le agenzie Onu del piano di lancio
di “Kwangmyongsong”, il razzo/satellite visto dai servizi di intelligence
occidentali come un test missilistico.
Anche i media ufficiali nordcoreani
hanno dato conto della visita di Wu
menzionando solo un generico
«scambio di vedute su questioni di
reciproco interesse, comprensive dei
rapporti bilaterali e della situazione
della penisola coreana». Nel frattempo, anche la Russia ha rivolto
ieri un appello alla Corea del Nord
a «evitare azioni che possano portare a un aumento della tensione»
nella penisola coreana.
alla sicurezza della regione, come
pure alla sicurezza dell’Europa.
L’Europarlamento ha inoltre chiesto che la comunità internazionale
continui a fornire assistenza finanziaria e politica per far fronte alla situazione umanitaria in Libia, alle
difficoltà degli sfollati interni e dei
rifugiati e a quelle delle migliaia di
civili che affrontano l’interruzione
dell’accesso ai servizi di base.
Intanto, il consiglio di presidenza
libico, presieduto dal premier designato Fayez Akl Sarraj, è riunito da
ieri a Skhirat, in Marocco, per tentare di formare il Governo di unità nazionale, con 12-14 ministri, dopo che
il precedente Esecutivo non aveva
ottenuto la fiducia da parte del Parlamento di Tobruk.
Dal canto suo il dipartimento di
Stato americano ha elogiato la posizione dell’Italia in Libia, ma ha detto che un maggiore impegno sarebbe benvenuto. L’invio di truppe italiane e di altri Paesi europei per
creare una forza locale di stabilizzazione dopo la formazione di un
nuovo Governo di unità — secondo
il «New York Times» — è una delle
opzioni tra quelle sotto esame per
fronteggiare l’escalation della minaccia del cosiddetto Stato islamico (Is)
in Libia. «Gli Stati Uniti — ha assicurato un portavoce del dipartimento di Stato — aumenteranno i loro
sforzi, e vorremmo che anche gli altri Paesi facessero lo stesso. Ma la
decisione spetta solo a loro».
Accusati di abusi
120 caschi blu
nella Repubblica
Centrafricana
BANGUI, 5. Si allarga lo scandalo
degli abusi sessuali compiuti da
caschi blu nella Repubblica Centrafricana. Il comando comando
della Minusca, la missione dell’Onu nel Paese, ha comunicato il
rimpatrio di 120 caschi blu colpiti
da tali accuse, precisando che si
tratta di soldati del contingente
congolese e che saranno processati.
La decisione segue la pubblicazione di un rapporto dell’organizzazione umanitaria Human Rights
Watch (Hrw) che documenta almeno otto casi di donne e ragazze
violentate o sfruttate sessualmente
dai caschi blu negli ultimi tre mesi
del 2015 in Repubblica Centrafricana, gli ultimi di una serie di
gravissimi episodi simili avvenuti
nel Paese a opera sia dei caschi
blu sia dei militari della missione
Salgaris dispiegata autonomamente dalla Francia. Due ragazze di
14 e 18 anni hanno raccontato di
essere state stuprate nei pressi
dell’aeroporto di Bambari, la seconda città del Paese. La missione
dell’Onu ha confermato di aver
identificato sette nuove possibili
vittime nei casi citati da Hrw. Su
69 casi di presunti abusi sessuali
identificati l’anno scorso dall’O nu
nell’ambito delle diverse missioni
dispiegate nel mondo, 22 riguardano la Minusca.
La presenza di oltre 5.000 miliziani
fa scattare l’allerta al confine tadjiko-afghano
KABUL, 5. Le autorità del Tadjikistan hanno manifestato preoccupazione per la presenza di oltre cinquemila militanti di varia estrazione
ammassati nella provincia settentrionale afghana di Kunduz lungo il
confine tadjiko-afghano. Un portavoce del comitato per la Sicurezza
nazionale del Tadjikistan (Scns) ha
dichiarato ieri alla stampa: «le nostre agenzie di intelligence non solo
stanno seguendo la situazione nelle
zone disabitate dei distretti della
provincia di Kunduz, ma hanno
preso misure per rafforzare le unità
militari al punto di frontiera di
Panj». Il portavoce ha precisato che
fra quanti si sono riuniti nelle zone
di confine vi sono militanti talebani,
del movimento islamico dell’Uzbekistan, di Jamaat Ansarullah, e un
certo numero di elementi provenienti dal Tadjikistan.
Queste preoccupazioni vengono
manifestate dopo che nel settembre
scorso fonti vicine alla Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (un'alleanza difensiva creata nel
1992 e sostenuta da Mosca) non
avevano escluso che forze russe potessero ritornare alla frontiera del
Tadjikistan con l’Afghanistan, se la
situazione in quella zona dovesse
minacciare la sicurezza dei Paesi
dell’Asia centrale.
E sul tema della sicurezza nella
regione è intervenuto anche il generale John F. Campbell, capo delle
forze statunitensi in Afghanistan.
«Si rischia di mandare tutto
all’aria» ha detto il militare facendo
riferimento alla proposta del presidente Obama di portare il numero
di soldati americani in Afghanistan
a 5500 unità. Secondo il generale, a
quel punto non ce ne sarebbero abbastanza per addestrare le forze di
sicurezza afghane, ancora alle prime
armi. Campbell ha spiegato che gli
afghani stanno facendo progressi ma
ci sono ancora ostacoli significativi e
occorre quindi ancora addestramento. «Gli Stati Uniti — ha precisato
Campbell — dovrebbero mantenere
una presenza di truppe almeno per
altri cinque anni, per assicurare così
che le forze di sicurezza afghane
possano effettivamente combattere i
talebani e i ribelli». L’anno scorso
Obama aveva appunto annunciato
la sua intenzione di ridurre entro la
fine del 2015 il numero dei soldati
americani a 5500 unità per poi portarli a mille entro la fine del 2016. Il
capo della Casa Bianca — dopo una
vasta offensiva portata avanti dagli
insorti talebani — ha fatto poi marcia indietro lo scorso ottobre affermando che la situazione in Afghanistan è ancora troppo fragile per un
ritiro così rapido.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
sabato 6 febbraio 2016
Nella roccia di Mokattam
sono state costruite sette chiese
Tra queste vi è la chiesa rupestre
più grande del mondo
che può contenere fino a ventimila persone
Nel monastero di San Simone sulla montagna vicino al Cairo
La conversione di Mario
case altrove. La Chiesa copta nel
Mokattam Village è stata creata negli anni Settanta. Da quel momento,
gli zebelin hanno iniziato a sentirsi
più sicuri e hanno cominciato a usare materiali da costruzione come la
pietra e i mattoni per le loro case
che hanno via via preso il posto delle capanne provvisorie. Nel 1976, doChiesa rupestre alla Mokattam
po un grande incendio scoppiato a
Manshiyat Nasir, fu avviata la costruzione della prima chiesa su un
sito di mille metri quadrati.
Anche se la Mokattam è per alcuOggi, nella roccia della Mokat- li che si svolgono tutto l’anno ogni tore. Oltre a varie scritte in arabo,
tam, sono sette le chiese scavate di- giovedì, mentre in altri giorni vengo- inglese e greco antico, ci sono scene ni tristemente famosa per i raccoglirettamente nella monta- no proiettati film o si organizzano tratte dal Vecchio e Nuovo Testa- tori di immondizie che brulicano
gna e, tra queste, quella riunioni a carattere spirituale. È mento: la consegna delle Dodici Ta- nell’enorme discarica, la salita da
di San Simone, che dà l’unico posto in Egitto, oltre alla vole, l’incontro con il faraone, le questi inferi puzzolenti alla cima
anche il nome al mona- cattedrale copta ortodossa, dove i nozze di Cana, la pesca miracolosa, della collina è un vero percorso spiLa struttura sorge in una zona
stero, può contenere cristiani possono incontrarsi in gran la crocifissione, il sepolcro vuoto do- rituale. Non solo. Dopo una serie di
denominata la città dei rifiuti
po la resurrezione. Soprattutto un tornanti si conquista alla fine la cima
ventimila persone: è la numero.
E ancora, ci sono la chiesa di bassorilievo è molto venerato dai fe- da dove si gode anche un panorama
chiesa
rupestre
più
Ci vivono gli zebelin
grande del mondo. In Sant’Antonio e San Paolo e quella deli: l’immagine della Vergine incisa mozzafiato sul Cairo, spettacolare alcristiani copti fuggiti dalla povertà
onore di questo santo, di San Marco — benedetta da Papa
per trovare lavoro
padre
Simone
oltre Shenouda III il 12 aprile 1994 — che
trent’anni fa iniziò un ha un lungo corridoio d’accesso inlavoro ciclopico che a teramente decorato da tralci di vite
quel tempo soltanto lui incisi nella parete rocciosa e un
Cairo. È stato scavato nella monta- era capace di immaginare: allargare enorme auditorium scavato nella
gna in una zona che tutti chiamano alcune piccole grotte della montagna montagna usato per le conferenze e
la città dei rifiuti perché qui vivono per farne dei luoghi di culto. Come gli incontri della comunità. Qui nel
gli zebelin, i discendenti dei conta- per le grotte del deserto occidentale 1996, in occasione della giornata
dini che hanno iniziato la migrazio- egiziano nello Wadi Natrun. Erano mondiale della preghiera, si sono
ne dalle campagne nel 1940. Fuggi- gli anni Settanta e nessuno si preoc- riunite ventimila persone e quattorvano dai cattivi raccolti e dalla po- cupò più di tanto di quello che face- dici ambasciatori provenienti da divertà e arrivarono in città in cerca di va questo umile religioso con studi versi Paesi. E poi c’è la chiesa di
lavoro e di un luogo dove stare. In alle spalle alla facoltà di Belle Arti. Amba Abraham, il vescovo che ha
un primo momento tentarono di Per di più nella parte della città do- allungato a quarantatré giorni, anzive abitavano gli ultimi della società ché quaranta, il digiuno di Natale. E
ha anche introdotto il digiuno di
cairota.
Quando padre Simone comin- Giona. La prima messa si è tenuta in
questa chiesa nel 1993. Usata anche
ciò a lavorare in questo quartiere
per incontri spirituali e di preghiera,
mancavano chiese, scuole, eletè considerata la più piccola chiesa
tricità, acqua e cure mediche.
del monastero. C’è poi la piccola caC’erano soltanto spazzatura,
verna che padre Simone usa oggi copersone e animali quando vi
me ufficio e abitazione provvisoria
costruì la prima chiesa e ne
con un piccolo giaciglio di pietra,
divenne il sacerdote. Oggi
che si trova lungo la via intitolata alpadre Simone è il pastore
la Passione e alla Croce.
di una delle chiese più
Tutte le chiese sono orientate per
grandi del Medio oriente e la preghiera verso Gerusalemme. Di
tra i più venerati religiosi domenica si tiene la scuola di catedi tutto l’Egitto. Sono state chismo. Un tempo potevano inseGli zebelin che vivono alla Mokattam
costruite tre scuole, un gnare religione soltanto gli uomini,
ospedale, un centro di for- oggi possono farlo anche le donne.
mazione professionale e di- Da sempre vive qui con la sua famiverse chiese. Papa Shenou- glia Zakaria, il guardiano, anche lui
da III vi si è recato in visita coinvolto nel lavoro da padre Simo- sulla volta di una chiesa-caverna che la luce del tramonto. Durante una
la tradizione vuole sia naturale. Nel- visita sul posto, l’amico che mi acben quattro volte (1976, ne per la costruzione delle chiese.
la piazza che si è creata davanti alla compagnava, l’architetto Nasmi Da1978, 1979 e 2004).
In quarant’anni le chiese-caverne
Ci sono le chiese di Am- sono diventate sempre più grandi e montagna colpisce, tra le altre cose, vid, mi disse: «Sono felice come un
ba Shenouda, di San Gio- il luogo sempre più importante. Ol- un piccolo monticello di pietra inci- bambino ogni volta che vengo alla
vanni e Michele e quella tre alla caverna che ospita padre Si- so tutto intorno da figure umane a Mokattam». La sua famiglia non capisce che cosa ci sia di tanto bello
della Vergine. Secondo la mone, c’è anche quella dove vive bassorilievo che, sedute in circolo,
da spingerlo quassù quasi ogni giortradizione nella chiesa di Mario che, in oltre venti anni, ha ascoltano un uomo che parla dalla
no. Ma a lui non importa. «Vengo
Simeone, nella parte destra realizzato qualcosa di simile a quello
Alcune delle sculture alla Mokattam
cima: è l’episodio del giardino del qui per pregare e per stare in silendel pulpito, sono conserva- che padre Tomáš Špidlík e padre
zio ad ascoltare Dio».
ti i resti del santo. Vicino è Marko Rupnik hanno realizzato nel- Getsemani poco prima della PassioDopo avere documentato la realtà
stato rinvenuto anche il va- la cappella Redemptoris Mater in Va- ne di Cristo. Quello che Mario ha
del monastero, il prossimo progetto
sguardo verso il cielo e per la prima continuare la loro tradizione di alle- so dell’acqua che lui usava per por- ticano. Le pareti di roccia sono state realizzato è qualcosa di unico nel della giovane coppia di cineasti egivolta è stato proiettato all’Accademia vare maiali, capre, galline e altri ani- tare da bere ai malati e agli anziani. da lui incise con bassorilievi raffigu- panorama egiziano con oltre cin- ziani è quello di descrivere la comud’Egitto di Roma. «È una mano tesa mali, ma alla fine si resero conto che La chiesa di Maria Vergine, oltre alle ranti episodi biblici che accompa- quanta lavori scolpiti nel calcare del- nità degli zebelin raccontando la loverso questa difficile realtà spesso la raccolta dei rifiuti prodotti dai cit- messe, ospita anche incontri spiritua- gnano il percorso di ascesi del visita- la montagna.
ro vita quotidiana.
sconosciuta dagli stessi abitanti del tadini cairoti e la cernita di qualche
Cairo e per noi è stato un dovere cosa da riutilizzare erano più redditifarla conoscere. Una mano musul- zie. Gli zebelin ancora oggi smistano
mana che si sente sorella dei cristiani i rifiuti, recuperando e vendendo gli
copti perché quello che conta è la oggetti di qualche valore, e usano i
persona» hanno detto gli autori a fi- rifiuti organici come cibo per i loro
L’elaborazione dei dati archeologici nella lettura dei cataclismi dell’antichità
ne proiezione, raccontando la loro animali. Nel tempo, dopo essersi
esperienza nel monastero di San Si- spostati in diversi luoghi della città,
mone. «Perché nessuno si salva da si sono installati ai piedi della monsolo» ha aggiunto la direttrice
dell’accademia, Gihane Zaki.
Hany Samir (regista) e May Abou
nell’Egitto di età faraonica. Vengono
Per capire una civiltà, è necessario esaminare
attraversato da crepe a rischio collasso, che
Sena (sceneggiatrice) sono marito e
Il documentario egiziano
i monumenti che ha lasciato, ma anche le
illustrati alcuni dei dati raccolti, ma
si sono realizzate immediatamente prima del
moglie. Lei, nata di un’importante
soprattutto viene spiegata la metodologia
tracce di quelli che non esistono più; fare
completamento della struttura, determinando
«Uno sguardo verso il cielo»
famiglia del Cairo, è cresciuta con
alla base della loro selezione e della loro
l’inventario dei danni, ma soprattutto
il suo abbandono. In anni recenti sono stati
una forte educazione islamica. «Diedi May Abou Sena e Hany Samir
successiva
elaborazione.
I
riferimenti
a
analizzare
la
risposta
umana
ai
cataclismi
compiuti degli studi sismologici nella zona
ci anni fa non avrei mai immaginato
offre un contributo concreto
possibili eventi catastrofici sono numerosi
apre prospettive di ricerca inedite e
di Dahshur che hanno messo in evidenza
di entrare in un monastero cristiano.
fruttuose. Lo documentano Annalinda
nella letteratura archeologica sull’antico
come essa sia attraversata da diverse linee di
Credevo che l’islam fosse l’unica real dialogo tra le religioni
Egitto.
Il
territorio
egiziano,
infatti,
oggi
Iacoviello
e
Rosanna
Montanaro
nell’articolo
faglia con direzione est-ovest. Una di queste,
ligione, ero molto chiusa. Quando
«Piaghe d’Egitto. I dati archeologici e la
come in passato è soggetto a diverse
individuata tramite magnetometria, passa in
c’è stato l’attacco alle Torri Gemelle
tipologie di catastrofi naturali, a cui si
loro elaborazione: una veduta d’insieme»
corrispondenza delle piramidi appena citate,
ho pianto dalla gioia, ma nei giorni
pubblicato sull’ultimo numero di
aggiungono le distruzioni antropiche,
fornendo in questo modo una validazione
successivi ho visto le scene dei mor- tagna della Mokattam, in un quarconseguenza delle guerre che hanno
«Aegyptus», la rivista italiana di egittologia
delle ipotesi di danno sismico avanzate dagli
ti, terribili: ho sentito qualcosa den- tiere detto Manshiyat Nasir. La cointeressato il paese in epoca antica.
e di papirologia edita da Vita e Pensiero, la
archeologi. Il caso-studio di Dahshur è
tro, un grande dolore. Ho comincia- munità è cresciuta: da una popolaNelle conclusioni, Iacoviello e Montanaro
casa editrice dell’Università Cattolica del
dunque rappresentativo dei passaggi seguiti
to a voler capire, ho letto tanto delle zione di ottomila persone nei primi
citano l’esempio di Dahshur. Un sisma,
Sacro Cuore. Il contributo è dedicato al
nell’elaborazione di un dato raccolto nella
altre religioni e oggi credo che siamo anni Ottanta è diventata la più granprogetto intitolato «Le sette piaghe.
intorno al 1848 prima dell’era cristiana,
letteratura archeologica: il sito è stato
tutti uguali e che l’amore di Dio de comunità di raccoglitori di rifiuti
Cataclismi e distruzioni tra Palestina ed
potrebbe aver danneggiato diverse strutture
inserito nel suo contesto ambientale e
conta più di ogni altra cosa; tutte le del Cairo. Oggi sono circa quarantaEgitto in epoca pre-classica», e in particolare dell’area, tra cui la piramide di Sesostri III e
geologico, all’interno del quale si
religioni devono e possono convivere mila.
all’unità di ricerca guidata dall’egittologa
quella di Amenemhat III. Nel primo caso i
inquadrano gli studi sismologici, che
in pace. Stavo diventando una speL’Egitto è un Paese a maggioranGiuseppina Capriotti dell’Istituto di studi
mattoni superiori del muro di cinta sono
forniscono una conferma delle ipotesi degli
cie di fanatica e ho invece avuto un za musulmana, ma gli zebelin sono
sul Mediterraneo antico. Uno degli scopi
caduti tutti in direzione nord coprendo uno
studiosi. Il dato è stato anche analizzato da
grande cambiamento, mi sono aper- cristiani copti. E preferiscono rimadell’équipe è stato raccogliere e selezionare i
strato di sabbia, trasportata dal vento, alta
un punto di vista storico-archeologico,
ta all’altro».
nere nella Mokattam all’interno deldati archeologici relativi a eventi catastrofici
poiché evidenzia la risposta umana alla
circa 1,70 metri. Nel secondo caso il soffitto
Per entrambi, questo documenta- la loro comunità religiosa, anche se
rio vuole essere un segnale di pace e molti ormai potrebbero permettersi
di origine naturale ed entropica, avvenuti
in pietra della camera sotterranea è
catastrofe.
di ROSSELLA FABIANI
ue giovani egiziani musulmani, May Abou Sena e Hany Samir, hanno vissuto un mese nel
monastero di San Simeone, sulla montagna della Mokattam al Cairo, e hanno realizzato un
documentario che racconta una conversione. È la storia di Mario, così si
chiama il protagonista emigrato da
un paesino della Polonia fin qui, dove vivono gli zebelin, i cristiani copti
che lavorano raccogliendo i rifiuti
della città. È il volto di un’altra Cairo dove molto prezioso è il servizio
reso dalle suore comboniane e dove
a lungo ha lavorato anche suor Emmanuelle, soprannominata la Madre
Teresa del Cairo. Sono proprio le
suore di madre Teresa, dove lui prestava servizio, ad aver raccontato a
Mario del monastero.
All’epoca, ventidue anni fa, non
c’erano né croci, né dipinti. Mario,
che non aveva mai fatto lo scultore,
scolpì sulla montagna le tante storie
della Bibbia e del Vangelo obbedendo alla richiesta di padre Simone, il
capo della comunità, che voleva che
i suoi fedeli, in gran parte analfabeti, potessero apprendere almeno con
gli occhi la vita di Gesù e la Scrittura.
In arabo il titolo originale del documentario è Un emigrante verso il
cielo. In italiano è diventato Uno
D
di speranza per dialogare. E non
hanno paura di averlo fatto. «Come
molti egiziani, non conoscevamo
questa realtà, poi abbiamo visto una
trasmissione in televisione. Siamo rimasti colpiti e abbiamo voluto andare di persona a scoprire il monastero
della Mokattam. Qui sulla montagna il lavoro delle suore di Madre
Teresa è molto prezioso per la comunità. È una forte testimonianza di
amore che tocca tutti» dice May
Abou Sena.
Il monastero si trova proprio sopra al cimitero monumentale del
Piaghe d’Egitto
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 6 febbraio 2016
pagina 5
He Qi, «The Risen Lord»
In Cristo più che in ogni altro
vediamo che maschi si nasce
ma uomini si diventa
Il genere non si esaurisce in ruoli e stereotipi
ma rinvia alla travagliata assunzione
della propria identità
Essere maschi ed essere femmine
mai, senza volerlo, soltanto ciò che altri
hanno deciso.
Veniamo da una storia molto inibita nel
giudicare e comprendere l’inquieto e dirompente configurarsi della sessualità; siamo poveri di contesti e di parole; avvertiamo imbarazzi e tensioni, cui l’erotizzazione pervasiva contemporanea reagisce istericamente.
Questa, però, è la principale ragione
per cui la contemplazione di Gesù ha
grandi chance in un ambiente vitale che
pare emancipato, ma non aiuta il singolo
a trovare equilibrio e pace.
L’umanità di Cristo, per altro, spalanca
una nuova coscienza di sé anche per il
mondo femminile, da lui riconosciuto e
fatto esistere in una consistenza e specificità da cui si dimostrano, tutt’oggi, assai
distanti le culture umane, siano esse tradizionali o avanzate, religiose o secolarizzate. La presenza di donne nel gruppo dei
discepoli, i loro incontri con il Maestro, il
tenace rimanere al suo fianco nell’ora del
maschile tracollo, il mandato di annunciare la risurrezione, che le ha rese, nei secoli, protagoniste della Traditio, richiedono
ed esaltano la loro visibilità sociale, in
modalità che non ricalchino il paradigma
androcentrico, interrompendone l’esclusività.
Ciò acquisisce un rilievo notevole e imprevisto, ora che comprendiamo, per dirla
con il teologo milanese Aristide Fumagalli, come «l’acquisizione dell’identità sessuale è un processo che si costituisce
nell’interazione responsabile tra soggetti
corporei differenziati», per cui «il suo andamento e la sua definizione dipenderanno dalla qualità delle loro interazioni e,
più specificamente, da come sapranno rispettare la loro pari dignità e valorizzare
la loro specifica differenza in ordine al reIntegrazione e animosità sono i due ter- ciproco riconoscimento della loro peculiamini chiave, in una ricostruzione in cui la re identità personale». Infatti, «prospetposizione di Gesù verso le donne risulta tando un’antropologia relazionale, la riverivelativa di dati essenziali che riguardano lazione cristiana contesta la possibilità di
lui stesso. Egli le vede poiché sente ciò pervenire alla definizione dell’identità sesche di materno ha in sé: ha integrato suale su base individuale e sostiene, piutl’anima femminile con un robusto animus tosto, che l’identità sessuata della persona
maschile, così che, a differenza di uomini non possa essere specificata a prescindere
dissociati dalla propria parte dell’altro ses- dalla relazione interpersonale tra uomo e
donna» (La questione gender.
Una
sfida
antropologica,
Queriniana, 2015).
È lui ad aver distrutto l’androcentrismo del
La teologia ha indagato,
negli ultimi decenni, l’inmondo antico
treccio di principio petrino
Ed è il primo ad aver fatto saltare
e principio mariano nel configurarsi stesso della Chiesa:
la solidarietà tra maschi non integrati
si tratta probabilmente di
e il loro animoso atteggiamento antifemminile
non fermarsi, scongiurando
il logoramento di parole e
categorie, affinché il paolino
so e per questo da essa dominati incon- «così come Cristo», di Efesini 5, manifesti
sciamente — lunatici, nervosi, spumeggian- con intensità crescente il carattere reciproti d’ira e in preda alle più varie passioni co, rivoluzionario e concreto della sponsacome donne primitive — Gesù è la grande lità. In essa, l’identità maschile di Cristo,
eccezione, l’inconfondibile.
nuovo Adamo, potrebbe risultare tutt’altro
Se il maschio animoso, «egocentrico che indifferente: si veda, in tal senso, il canella sua stessa radice», non fecondato da pitolo tredicesimo de Il mistero nuziale, di
alcun tratto femminile, «è unicamente in- Angelo Scola (Marcianum Press, 2014),
tellettualistico, formalistico, estraneo alla oppure come, e non a caso, durante un rivita, schiavo dei principi e infine ossessio- tiro mondiale di sacerdoti, nel giugno
nato da qualche ideologia» — «fa della vi- scorso, Papa Francesco volle affermare:
ta una formula, dell’uomo una cifra, del
«La Chiesa è donna: è “la” Chiesa, madre
mondo un meccanismo; è povero di sentidel santo popolo fedele di Dio». Che ciò
menti, disprezza i sentimenti e di conseguenza è insensibile alla percezione dei sia il frutto del non ovvio esser maschio di
veri valori» — Gesù incontra la donna, ma Gesù, della luce nuova che la sua persona
anche il malato e il peccatore, con natura- getta sull’esser tratta e distinta di Eva da
lezza, senza pregiudizi, con obiettiva com- Adamo, comporta una responsabilità forpartecipazione.
«Questa
spontanea midabile del cristianesimo nel partecipare
semplicità è diametralmente l’opposto a un’epoca che sfida le identità e ne è indell’animosità. Ed egli viene perseguitato, sieme alla spasmodica ricerca.
Dal Vangelo possiamo legittimamente
non ultimo, a causa di questo suo attegaspettarci liberazione, consolazione, autengiamento, che gli diviene fatale».
Il contributo di Wolff — che certamente ticità, a beneficio dell’umanità di tutti e
avrà modo di essere integrato da ulteriori del percorso di ciascuno.
ricerche — ha il merito di allargare la consueta percezione della “pienezza” cristologica,
aprendo
a
un’assunzione coraggiosa della provocazione propria dei gender studies, senza cedere alla loro deriva,
che demolisce il carattere
costitutivo
della differenza sessuale.
In Cristo osserviamo, più che in ogni
altro, che maschi certo si nasce, ma uomini si diventa. Il genere, tuttavia, non si
esaurisce in ruoli e
stereotipi
acriticamente assunti nel
proprio
ambiente:
rinvia, piuttosto, all’affascinante, travagliata e mai predefinita assunzione da
parte di ciascuno della propria identità.
Comporta un ricevere
e riceversi, ma anche
un libero lavoro su di
Caravaggio, «Il riposo durante la fuga in Egitto» (1595-1596)
sé, per cui non si è
Incontro con Gesù
di SERGIO MASSIRONI
ino a oggi, il tema non sembra
aver attratto l’attenzione dei
credenti, né animato la ricerca
dei teologi ed è plausibile che
in molti si manterranno tiepidi
o perplessi. Un tempo, infatti, per definire
vano uno sforzo dialettico, lo si paragonava alle discussioni sul sesso degli angeli.
Ora, se fosse piuttosto il sesso di Cristo
l’oggetto da indagare, saremmo ugualmente su un binario morto? Detto altrimenti:
F
bio di sesso, coglierne e valorizzarne la vivace e ben disposta partecipazione all’ora
di religione, condividendo tuttavia il palpabile turbamento di colleghi insegnanti e
compagni. Significa anche osservare negli
oratori meno imbarazzo tra gli adolescenti
a manifestare esperienze e inclinazioni sessuali differenti; registrare crescenti richieste di approfondimento nei gruppi di catechesi e addirittura negli itinerari per fidanzati circa l’esser maschio e femmina.
Se dunque ciò che era automatico non lo
è più e diviene oggetto di discussione, come non volgersi a Gesù Cristo, centro af-
Giotto «Preghiera
per la fioritura delle verghe»
(1303-1305, particolare)
ha un qualche rilievo per la fede il dato,
accolto fin qui con immediata naturalezza,
dell’incarnazione del figlio di Dio in una
persona umana di sesso maschile? Rispetto agli interrogativi cui la teologia femminista ha dato vigore, così ben esemplificati
nel titolo di un noto libro per educatori —
Mamma, perché Dio è maschio? (Effatà editrice, 2013) — la domanda circa la maschilità di Gesù ha certo maggiore concretezza. Sarà dunque opportuna?
La questione è tutt’altro che accademica
e chi ne scrive, al momento, intende semplicemente mettere in circolo un interrogativo maturato sul campo, specie tra i giovani, in un’Europa dalle identità sempre
più sfumate e inquiete, in permanente ridefinizione. La risonanza pubblica dei
gender studies e i temi impostisi nell’agenda delle principali istituzioni politiche e
culturali, infatti, dimostrano una pervasività che riconfigura ormai la coscienza che
le ragazze e i ragazzi elaborano di sé e del
proprio corpo.
In un contesto — quello lombardo — di
avanzata modernità, ma di sostanziale tenuta della proposta educativa cattolica,
ciò comporta, ad esempio, misurarsi con
la scelta di una liceale neomaggiorenne di
avviare terapie ormonali in vista del cam-
nato sulla scrivania. Pubblicato in Germania nel 1975 e riedito in Italia per la quarta
volta (Queriniana, 2012), il piccolo volume
di Hanna Wolff dal titolo Gesù, la maschilità esemplare porta certo i segni di un’epoca e di un approccio insufficienti a esaurire tutta la ricchezza di Cristo, eppure dimostra l’energia necessaria a sfondare un
lungo silenzio e a stimolare nuove partenze. «Se lo psicologo del profondo si rivolge al Nuovo Testamento, gli viene incontro Gesù con chiari contorni e con una
precisa inconfondibilità. Questa è la prima
impressione dominante».
L’avvio della ricerca ha, dunque, il carattere dirompente dell’incontro: «Si tratta
di una presa di contatto psichica elementare, che precede ogni pensiero»; «non
esiste il pericolo di poterlo confondere
con altri uomini del suo ambiente», egli
non si perde su uno sfondo. Come trattare
una simile, imponente, singolarità? Wolff,
attenendosi con rigore alla propria disciplina, rileva: «Un’inchiesta analitica dovrà
tener conto della constatazione seguente:
che questo uomo era maschio». Di qui,
attingendo alla riflessione junghiana e in
particolare agli studi di F. J. J. Buytendijk,
l’autrice approfondisce un dato di attualissimo rilievo: «L’essere uomo in sé non esiste. Esiste piuttosto sempre e soltanto in
due possibilità, che sono “il modo della
maschilità” o “il modo della femminilità”». Sia l’uno sia l’altro modo dell’esistenza umana, singolarmente presi, «rivelano uno specifico atteggiamento di base,
tendono verso una propria maniera di progettare il mondo, si manifestano con una
loro particolare logica e sono inconfondibili nel loro operare».
Delineati i tratti dell’uno e dell’altro
modo di esistere, Wolff osserva «però, che
i due modi maschile e femminile di progettare la propria esistenza non sono distribuiti nei due sessi in maniera divisa e
del tutto distinta»; piuttosto «fa parte dello sviluppo pieno della persona che insieme al modo fondamentale più spiccatamente riconoscibile e pregnante venga realizzato relativamente anche il modo contrario». Così, Buytendijk dimostrerebbe
«in modo impressionante come soltanto
l’esser-con-l’altro può condurre all’altezza
del proprio progetto di sé».
Ora, secondo Wolff ciò che in Gesù è
diverso dai contemporanei — l’aspetto centrale e quindi necessario ai fini della comprensione di lui — è questo: «Gesù è il
primo uomo che ha distrutto l’androcen-
fettivo della vita e del pensiero, per abitare e attraversare con lui una realtà che
cambia? Qualora la sua mascolinità smettesse di risultare ovvia e diventasse nuovo
oggetto di contemplazione e di ricerca,
potremmo infatti stupirci immensamente e
trovarci su sentieri di fedeltà al Vangelo
non ancora percorsi, invece che risucchiati
in conflitti aspramente ideologici.
L’ipotesi è, allora, che l’incarnazione del Figlio di Dio
possa oggi donare qualcosa
Già nel 1977
che per la prima volta ci è
consentito distintamente inla teologa tedesca Hanna Wolff
tendere. Se così fosse, la temallargava la consueta percezione
pesta culturale nella quale ci
troviamo non ci avrebbe tradella pienezza cristologica
volto invano. Che maschio fu
Sostenendo che Gesù vede le donne
Gesù? Che cosa significa la
sua umanità singolare, sesperché sente
sualmente connotata, per le
ciò che di materno ha in sé
donne e per gli uomini della
nostra e di ogni epoca? Che
cosa rivela di Dio Padre?
Studiai teologia per la prima volta alla trismo del mondo antico. La preminenza
fine degli anni Novanta e molti furono i dispotica dei valori solo maschili è tolta.
libri che ebbi fra le mani, ma devo ricono- Gesù è il primo maschio che ha fatto salscere che un testo secondario, citato appe- tare la solidarietà tra maschi, cioè tra mana, si incuneò già allora nei miei pensieri, schi non integrati e il loro animoso attegal punto che, da quei tempi, è spesso tor- giamento antifemminile».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
sabato 6 febbraio 2016
Incontro tra Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani e Wcc
Cristiani
in dialogo
Dal 2014 chiuse in Pakistan 182 madrasse
Contro l’estremismo
ISLAMABAD, 5. Centottantadue madrasse (scuole islamiche) chiuse per
legami sospetti con miliziani islamici; un miliardo di rupie pakistane
(più di 8,7 milioni di euro) congelato su 126 conti appartenenti a gruppi estremisti; 251 milioni di rupie
(quasi 2,2 milioni di euro) sequestrati in contanti; 8.195 persone schedate, altre 188 inserite nelle liste di
espulsione; ristretti i movimenti di
2.052 militanti. Sono alcuni dei numeri di oltre un anno di contrasto al
terrorismo da parte del Governo pakistano dopo la strage di Peshawar,
il 16 dicembre del 2014, in cui morirono 134 bambini e 9 adulti.
I dati sono stati pubblicati nei
giorni scorsi dall’Associated Press of
Pakistan (App), media ufficiale del
Paese asiatico, che riporta i risultati
del giro di vite sui seminari religiosi
sospettati di diffondere messaggi di
propaganda al terrorismo. L’agenzia
riferisce che sono stati posti i sigilli
in diverse scuole nelle province di
Punjab, Sindh e Khyber Pakhtunkhwa, di cui Peshawar è capitale.
Secondo AsiaNews, le azioni di
contrasto all’estremismo islamico sono state coordinate dal National Action Plan (Nap), istituito dopo il
massacro del dicembre 2014 contro
la scuola militare, compiuto dai talebani affiliati al “Tehreek-e-Taliban
Pakistan”. Fonti investigative sostengono che l’attacco di Peshawar fu
una “vendetta”, in risposta all’operazione lanciata dall’esercito pakistano
contro i miliziani nel nord Waziristan.
La strategia del Governo ha colpito sia le risorse finanziate degli
estremisti sia i possibili esecutori
materiali di nuovi attentati. Le autorità hanno registrato 1.026 casi e arrestato 230 sospettati. Inoltre, hanno
bandito 64 organizzazioni, mentre le
Nazioni Unite ne hanno dichiarato
fuori legge altre 74, mentre le attività di alcune associazioni sono tenute
sotto “costante sorveglianza” dalla
polizia pakistana.
Per quanto riguarda il contrasto ai
mezzi con i quali si propagandano i
“discorsi dell’odio”, il Governo ha
confiscato 1.500 libri e ha posto i sigilli a 73 negozi. Le forze di sicurezza hanno segnalato 2.337 discorsi e
arrestato 2.195 persone.
Con più di 180 milioni di abitanti
(di cui il 97 per cento professa
l’islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo e seconda fra i Paesi musulmani dopo l’Indonesia. Circa l’80 per cento è musulmano sunnita, mentre gli sciiti
sono il 20 per cento del totale. Vi
sono inoltre presenze di indù (1,85
per cento), cristiani (1,6 per cento) e
sikh (0,04 per cento). Dall’inizio
della campagna di violenze dei talebani pakistani nel 2007 sono state
uccise più di 6.800 persone in attentati, esplosioni e omicidi mirati in
tutto il Paese. Intanto, lo scorso 24
gennaio è stata celebrata in tutto il
Paese la Giornata nazionale di preghiera per non dimenticare le vittime del terrorismo e pregare per la
pace in Pakistan, promossa dalla
Chiesa cattolica, a seguito del massacro dell’università di Charsadda,
dove uomini armati sono entrati il
20 gennaio uccidendo 21 persone e
ferendone 30. Anche la Comunione
anglicana e i pentecostali hanno
partecipato all’iniziativa, che fa seguito alle veglie organizzate dalla
società civile, al messaggio della
commissione nazionale di Giustizia
e pace e alla manifestazione pubblica voluta da alcune Ong che operano nel Paese asiatico. Tutti hanno
chiesto al Governo azioni immediate
contro i terroristi.
La Comece sulla risoluzione di Strasburgo
Il patriarca Twal ai consacrati
Conferenza a Jakarta
Per fermare
il genocidio
Chiamati
alla
misericordia
Islam
e paternità
responsabile
BRUXELLES, 5. Un «significativo passo avanti nel facilitare
l’adozione di misure per fermare il genocidio in atto contro i
cristiani, gli yazidi e le altre minoranze etniche e religiose in
Medio oriente». Così la Commissione degli episcopati della
Comunità europea (Comece), tramite il suo segretario generale,
padre Patrick Daly, ha accolto la risoluzione approvata nella
mattinata di ieri, giovedì, dal Parlamento europeo «sul massacro sistematico delle minoranze religiose ed etniche da parte
del sedicente Stato islamico». Documento che chiama in causa
direttamente la Comunità internazionale alla quale vengono
chieste azioni immediate di contenimento della violenza fondamentalista. «È ora un imperativo che siano intrapresi passi per
perseguire penalmente i criminali e portarli di fronte alla giustizia», ha sottolineato il segretario generale della Comece.
Padre Daly ha inoltre espresso apprezzamento per l’attenzione che il Parlamento europeo «ha dato al più ampio tema del
rispetto per la diversità e la libertà di religione in una parte
sofferente del mondo con cui tutti noi abbiamo un legame culturale importante». Il voto dell’aula di Strasburgo è infatti arrivato al termine di un ampio dibattito avviato il 20 gennaio
scorso, al quale ha partecipato anche l’alto rappresentante
GERUSALEMME, 5. La vocazione
delle persone consacrate è in primo luogo quella di essere strumenti della misericordia con cui il
Signore guarda ai suoi figli, in
particolare ai più peccatori. È
quanto ha messo in risalto il
patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, concludendo al
Getsemani lo speciale anno per la
vita consacrata. La celebrazione,
informa il sito in rete del patriarcato, si è svolta martedì 2, presso
la cosiddetta basilica delle Nazioni, sul Monte degli Ulivi.
Il rito, al quale sono state invitate a partecipare in particolare le
religiose di Terra santa, ha significativamente avuto inizio con una
processione che ha attraversato la
porta santa del giubileo. Presente
alla celebrazione anche il custode
di Terra santa, il francescano Pierbattista Pizzaballa. Nell’omelia,
pronunciata in francese, il patriarca ha sottolineato soprattutto il
profondo legame esistente tra la
scelta di vita dei consacrati e la
misericordia divina: «L’anno della
vita consacrata che oggi si conclude è stato un grande momento di
grazia. Ed è provvidenziale che la
conclusione dell’anno coincida
con lo straordinario giubileo della
misericordia; è quasi una conseguenza logica. La misericordia è
infatti al centro dell’impegno di
ogni persona che inizia a seguire
Cristo». Proprio in questa prospettiva, il patriarca Twal ha messo in luce il nesso fondamentale
che accomuna la vocazione delle
persone consacrate. «La Chiesa —
ed ognuno di noi è Chiesa — non
esiste per condannare il peccatore,
ma per consentire di portare questo amore viscerale che è la misericordia». Così, citando più volte le
parole di Papa Francesco, il patriarca ha sviluppato la sua riflessione sulla missione della Chiesa,
che è appunto quella di «far sentire alle persone che è sempre possibile ricominciare da capo»
perché «Gesù è sempre lì accanto
a noi, per farci risorgere e perdonarci».
JAKARTA, 5. La pianificazione familiare «non deve essere ridotta solo
alla questione del controllo delle
nascite, ma deve comprendere un
percorso integrale con le coppie
sposate, dare loro consigli affinché
i figli siano sani, si inseriscano bene nella società e la famiglia sia
prospera a livello economico». È
quanto ha sottolineato padre Hibertus Hartono, membro della
Conferenza episcopale indonesiana
(Kwi), commentando la Conferenza internazionale della pianificazione familiare che per la prima
volta è stata ospitata nei giorni
scorsi dall’Indonesia.
Secondo Sumanto Al Qurtuby,
studioso musulmano, l’islam condivide la preoccupazione per il
problema della sovrappopolazione.
«Anche nell’islam esiste il concetto
di “al-mashalihul ammah”, bene
comune. Il numero di abitanti in
un Paese o di individui in una famiglia è un punto cruciale per
l’islam». D’accordo con la Chiesa,
anche lo studioso musulmano ha
posto l’accento non tanto sul controllo delle nascite, ma sull’educazione della coppia che porti a una
paternità responsabile. Il forum
sulla pianificazione familiare ha
riunito studiosi ed esperti di tutto
il pianeta. Padre Hartono ha ricordato che la Conferenza episcopale
ha organizzato negli anni numerosi progetti a favore delle giovani
coppie. Queste attività hanno
coinvolto anche membri delle altre
religioni riconosciute nel Paese: indù, buddisti, protestanti, musulmani e confuciani. «Tutti questi
gruppi religiosi — ha spiegato il sacerdote — hanno qualcosa in comune: la volontà di creare una famiglia prospera in Indonesia. Così, l’obiettivo di questa cooperazione interreligiosa è di aumentare la
moralità delle famiglie nel Paese».
L’opera della Chiesa a favore
della famiglia è stata riconosciuta
dal ministro degli Affari religiosi
che ha elogiato la “grande competenza” delle parrocchie nel preparare le coppie al matrimonio, insegnando anche a controllare le nascite con paternità responsabile e
non ricorrendo a contraccettivi.
dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini.
La Comece, nel comunicato diffuso sul suo sito in rete, sottolinea anche come Papa Francesco è stato tra i primi a usare
la parola «genocidio» per descrivere gli attacchi sistematici,
barbari e letali condotti sulle comunità cristiane e su altri gruppi vulnerabili a causa del loro credo religioso. Il 9 luglio 2015,
nel corso del viaggio apostolico in Bolivia, il Pontefice ha infatti affermato: «Oggi vediamo con orrore come in Medio
oriente e in altre parti del mondo si perseguitano, si torturano,
si assassinano molti nostri fratelli a causa della loro fede in Gesù. Dobbiamo denunciare anche questo: in questa terza guerra
mondiale “a rate” che stiamo vivendo, c’è una sorta — forzo il
termine — di genocidio in corso che deve fermarsi».
GINEVRA, 5. Si è tenuto il 3 e 4 febbraio scorsi a Ginevra, in Svizzera, l’incontro annuale tra gli officiali del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e il personale dell’Ufficio per il Dialogo Interreligioso e la
Cooperazione (Irdc) del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Wcc).
Durante l’incontro, che si è tenuto appositamente durante la Settimana
dell’armonia interreligiosa proclamata dalle Nazioni Unite, vi sono stati
momenti di riflessione, preghiera e condivisione di informazioni relative alle attività svolte nel 2015, nonché la discussione dei progetti per il 2016.
Negli ultimi anni, il personale dei due organismi ha collaborato in diversi
modi, sia attraverso iniziative congiunte, come la pubblicazione del documento “Testimonianza cristiana in un mondo multi-religioso: Raccomandazioni per il comportamento” (2011) sia offrendo sostegno mediante la
partecipazione agli eventi o ai progetti organizzati dai rispettivi uffici.
Il 2015 è stato caratterizzato dal cinquantesimo anniversario del documento del concilio Vaticano II Nostra aetate, che il Consiglio Ecumenico
delle Chiese ha riconosciuto come momento fondamentale nei rapporti tra
i cristiani e le altre religioni. L’incontro del 2016 ha offerto l’opportunità
di riflettere sulle collaborazioni future tra le due istituzioni, alla luce del
loro reciproco desiderio di continuare a costruire sull’impulso dato dalla
celebrazione di quell’importante documento.
Settimana dell’armonia tra religioni nelle Filippine
Musulmani e cattolici
visitano i carcerati
ZAMBOANGA, 5. In occasione
della Settimana mondiale per
l’armonia interreligiosa (1-7 febbraio) — voluta dalle Nazioni
Unite nel 2010 per celebrare la
convivenza tra fedi diverse —
nelle Filippine gruppi di giovani hanno organizzato diverse
attività caritative. Fra le più significative quella che ha visto
cristiani e musulmani recarsi
nel carcere di Zamboanga, uno
dei più affollati del Paese, per
educare i detenuti al dialogo e
alla tolleranza. I ragazzi li hanno incontrati, chiedendo qual è
il loro concetto di armonia. Li
hanno poi invitati a fare disegni e a scrivere storie e canzoni
aventi come tema la pace fra le
religioni.
Dal Mindanao padre Sebastiano D’Ambra, missionario
del Pontificio istituto missioni
estere (Pime) e fondatore del
gruppo per il dialogo interreligioso Silsilah, ha spiegato il fitto programma di incontri e attività: «Il primo giorno abbiamo discusso del documento A
Common Word, lettera che centotrentotto leader musulmani
hanno indirizzato a Benedetto
XVI nel 2007, vera e propria
“magna carta del dialogo”. A
fianco degli interventi di leader
musulmani e cristiani, che si alterneranno per tutta la settimana, ogni giorno è dedicato a
una iniziativa in particolare:
donazione di sangue, visita ai
malati in ospedale o agli ospizi». Padre D’Ambra ha sottolineato l’importanza dell’incontro avuto dal gruppo di giovani
cristiani e musulmani con i de-
tenuti del carcere di Zamboanga: «Al di là dei problemi che
ci sono a Mindanao, in questa
Settimana dell’armonia vogliamo raccontare storie positive
per comunicare alle persone il
messaggio della speranza. Cerchiamo di mettere da parte i
problemi, non per dimenticarli,
ma per porre l’attenzione su
come possiamo costruire questa
armonia. Sia chi crede sia chi
non crede può fare qualcosa
per il bene comune».
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 6 febbraio 2016
pagina 7
Jean Guitton
«Il pozzo di Giacobbe» (1935-71)
A venticinque anni dalla morte di padre Arrupe
Profeta
globale
In una nostra traduzione pubblichiamo, quasi per intero, un articolo uscito sul quotidiano spagnolo «ABC»
del 5 febbraio, a firma del gesuita rettore della Pontificia università Comillas di Madrid.
di JULIO LUIS MARTÍNEZ
Oggi ricorre il venticinquesimo anniversario della morte di padre Pedro Arrupe (1907-1991). Per l’occasione vorrei ricordare alcune sue riflessioni ed esperienze che hanno
fatto di lui uno straordinario testimone e profeta dell’incontro tra
culture e religioni. I cambiamenti
socioculturali degli anni Sessanta
servirono da “input” dell’impressionante divenire e delle circostanze
vissute da Arrupe. Senza quei componenti difficilmente potremmo capire come un superiore generale
appena eletto della Compagnia di
Gesù, nel 1965 — l’anno della chiusura del concilio — abbia potuto
parlare di cultura dicendo che è
«scienza e arte, amore e azione,
tecnica e vita politica; è anche adorazione e preghiera, infinita aspira-
zione religiosa e religione determinata». Questa comprensione armoniosa e inclusiva fissa come primo
compito di ogni cultura quello di
«riunificare l’uomo reintegrando il
suo sapere», perché la frammentazione finisce col generare un immenso vuoto spirituale che né il
progresso tecnico né il benessere
materiale possono colmare. Il Vangelo è dunque cammino solo se
s’incarna in una cultura, ed essendo radicalmente culturale, è anche
transculturale.
Tutte queste considerazioni il gesuita bilbaino non le traeva dagli
studi, ma erano parte della sua
esperienza vitale più profonda. Di
fatto, non avrebbe potuto farle senza la sua appassionante avventura
esistenziale; soprattutto senza i
suoi ventisette anni in Giappone e
senza la spiritualità degli esercizi
spirituali di un altro grande basco
nato a Loyola.
Arrupe entrò nella Compagnia
di Gesù a 19 anni, interrompendo
gli studi di medicina che stava seguendo a Madrid. Il fuoco della
vocazione lo sentì a Lourdes: «Ho
sentito Dio così vicino nei suoi miracoli che mi ha trascinato violentemente dietro di sé». La sua formazione fu molto movimentata: lo
scioglimento della Compagnia di
Gesù nel 1932 in Spagna lo portò
†
Sua Eminenza il Cardinale Kurt
Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità
dei cristiani, e tutti i suoi Collaboratori partecipano al dolore del Cardinale Walter Kasper, Presidente emerito del Dicastero, per la scomparsa
della sua amata sorella
Invocano dal Signore Risorto la
consolazione cristiana e si uniscono
alla preghiera della famiglia, alla quale esprimono la loro sentita vicinanza
spirituale.
prima in Belgio e in Olanda con i
gesuiti tedeschi cacciati anch’essi
dal loro Paese, e poi negli Stati
Uniti, dove concluse gli studi. Tanti spostamenti non furono però vani: imparò varie lingue e soprattutto si aprì a prospettive e a sensibilità diverse, più vaste e più varie di
quelle delle sue origini. Il 15 ottobre 1938 sbarcò nella baia di Yokohama, con nell’animo il desiderio di convertire i 98 milioni di abitanti della nazione più colta, materialista e potente dell’Estremo
oriente. Si era preparato bene in
teologia morale — e ciò ha a che
vedere con il suo interesse per la
medicina — ma alla fine non arricchì la tradizione dei teologi moralisti della Compagnia. Abbiamo perso un moralista ma abbiamo guadagnato un profeta.
Per quasi tre decenni il Giappone fu lo scenario della sua attività
apostolica e allo stesso tempo una
palestra per allenarsi — difficilmente avrebbe potuto trovarne un’altra
più appropriata — per la sua futura
missione come generale della Compagnia. Visse l’esplosione della
bomba atomica a Hiroshima; prima ancora aveva dovuto affrontare
la durissima prova di trovarsi in
una cultura tanto diversa da quelle
conosciute fino ad allora e immergersi in essa fino in fondo, imparando una lingua strana e difficilissima — «dalla mattina alla sera,
giapponese e ancora giapponese»
— assimilando costumi, e soprattutto una mentalità e una sensibilità,
mai immaginati prima e che all’inizio lo lasciarono disorientato.
Fu una grande esperienza di “inculturazione”, ossia d’incarnazione
della vita personale e del messaggio cristiano in un’area culturale
concreta, di modo che quella esperienza non solo poté esprimersi con
gli elementi propri della cultura locale — il che fu molto più di un superficiale adattamento — ma poté
divenire anche il principio ispiratore normativo e unificatore per trasformare e ricreare quella cultura,
dando così origine a una sorta di
“nuova creazione”.
Arrupe sapeva che la chiave era
sempre l’«inculturazione personale
interiore». Poneva al centro la persona: la persona di Gesù, il Figlio
inviato a partire dal dialogo di
amore nella comunità di persone
che è Dio, per la redenzione di un
mondo con tanta diversità e tanta
difficoltà. Da qui il suo appello per
una «educazione alla giustizia»
nelle università e nei collegi gesuiti, che rimase immortalato nella
frase «uomini e donne per gli
altri».
La necessità di inculturazione è
universale. Non riguarda solo i
Paesi cosiddetti di missione. I concetti di “missione”, “terzo mondo”,
“oriente-occidente” e così via, sono
relativi e dobbiamo quindi trascenderli, considerando tutto il mondo
come un’unica famiglia dove tutti i
membri sono coinvolti dai vari problemi. Quando a McLuhan ancora
non era venuta in mente l’espressione «villaggio globale», Arrupe
parlava già di “caserío planetario”
[borgo planetario] del mondo. La
verità è che tutta l’esperienza vissuta e il discernimento dei processi
da lui compiuto ne fecero un cittadino del mondo e un’icona della
globalizzazione molti anni prima
del suo avvento grazie alla rivoluzione delle comunicazioni.
Arrupe guardava al mondo con
fiducia, una fiducia che non gli veniva da se stesso ma dal sentirsi
parte attiva dello sguardo amorevole e impegnato di Dio che in Gesù
si fa “sì” totale all’umanità e alla
vita. Non troveremo mai in lui un
atteggiamento di fuga di fronte ai
problemi del mondo o di lamento
paralizzante dinanzi alla dolorosa
realtà che conobbe da vicino. Né
quella del mondo né quella della
Chiesa, che a sua volta lo fece soffrire. Il suo era un atteggiamento
di «ottimismo realista, pieno di fiducia nello Spirito», come ha detto
padre Kolvenbach; un atteggiamento non di ottimismo ingenuo,
come alcuni hanno sostenuto, ma
di speranza cristiana che si fonda
sulla misericordia divina e ci invia
in missione.
Giubileo e confessione
Meglio abbondare
di MARIO GRECH*
Quando l’uomo decide di avvicinarsi al confessionale per “vuotare
il sacco” ed è lacerato dal mistero
del male e probabilmente avrà subito un travaglio interiore per
aprirsi al sacerdote, noi dobbiamo
stare molto attenti a non allontanare e cacciare nessuno. Noi sacerdoti non siamo “proprietari del
sacramento” ma fedeli servitori
del perdono di Dio. Siamo chiamati a essere nel confessionale un
segno concreto della continuità
dell’amore divino che perdona e
salva. Uno scrittore italiano, Sandro Veronesi, racconta come
nell’anno 2000, nel giorno del
giubileo della gioventù, era presente lì al Circo Massimo dove si
svolgevano le confessioni. In
quell’occasione, diceva, gli è venuta la voglia di andare a confessarsi. Era da trent’anni che non
andava in chiesa, da quando aveva fatto la cresima. Dopo un po’
di tentennamento, alla fine ha deciso di avvicinarsi. Ha saltato il
recinto e si è messo in cammino
verso uno dei confessori. Un tale,
che era responsabile dell’organizzazione sul posto, gli si avvicinò
e lo fermò perché non aveva il
pass. «Così — ricorda Veronesi —
sfumò il mio rientro nel cattolicesimo». Mi auguro che non ci siano troppi Veronesi oggi.
Di recente sono rimasto male
quando un parroco mi ha raccontato che una persona era andata
da lui piangendo perché precedentemente era andata da un altro sacerdote, il quale con la sua
rigidità, le aveva rifiutato l’assoluzione. Per favore, mi raccomando,
perché lì dove sta un cuore pentito, assetato dell’abbraccio di Dio
misericordioso, non bisogna rifiutare a nessuno il perdono. Per
quanto riguarda la misericordia,
melius abundare quam deficere.
È proprio il Papa Francesco
che nella bolla di indizione per
l’anno santo indica che è urgente
ridare la priorità a questo sacramento. «Tante persone si stanno
riavvicinando al sacramento della
Riconciliazione e tra questi molti
giovani, che in tale esperienza ritrovano spesso il cammino per ritornare al Signore, per vivere un
momento di intensa preghiera e
riscoprire il senso della propria vita. Poniamo di nuovo al centro
con convinzione il sacramento
della Riconciliazione, perché permette di toccare con mano la
grandezza della misericordia. Sarà
per ogni penitente fonte di vera
pace interiore» (Misericordiae vultus, 17). Ha molto da dirci il fatto
che, per desiderio del Papa, in
questi giorni vengano esposte le
spoglie di due grandi confessori:
san Pio da Pietrelcina e san Leopoldo Mandić, che sono i patroni
di quest’anno giubilare. Padre
Leopoldo viene chiamato «icona
della misericordia divina», invece
padre Pio diceva che «se i confessori confessano come si dovrebbe,
i cristiani sarebbero propriamente
come dovrebbero essere».
Si capisce il perché il Papa ci
dice: «Poniamo di nuovo al centro con convinzione il sacramento
della Riconciliazione». Questo è
un invito ai cristiani che per vari
motivi hanno trascurato questo
sacramento; ma è anche un appello a noi sacerdoti che potremmo
essere causa di allontanamento
dei penitenti da questo sacramento. Come osservò una volta Papa
Benedetto XVI, molte persone non
cercano più il confessionale perché, quando lo hanno fatto, non
hanno trovato chi li ascoltasse.
Se non abbiamo tempo per restare al confessionale; se neppure
ci impegniamo ad avere un luogo
adatto e decente per la celebrazione di questo sacramento nelle
nostre chiese, o manca la pazienza di confessare in confessionale;
se non prestiamo attenzione ai segni liturgici che ci aiutano a capire meglio la grazia che viene conferita (la stola da indossare); se
confessiamo sempre di fretta, in
modo, direi, meccanico e abitudinario; se siamo troppo formali, legalisti e impersonali; se abbiamo
fatto della confessione un interrogatorio giudiziale e «una sala di
tortura» (Evangelii gaudium, 44):
se abbiamo ridotto la confessione
a una sessione di consultorio psicologico e lo abbiamo svuotato
da tutta la sua sacralità; se usiamo della confessione per altri motivi fuori del sacramento, per non
dire in odore di simonia; se abbiamo usato la confessione in
quanto mezzo di potere e di più
— tutti questi fattori fanno venire
meno la fiducia del penitente nel
sacerdote e anche nello stesso sacramento. Se vogliamo che questo sacramento dia i frutti desiderati, è nostro dovere come
presbiteri vedere che la coscienza dell’uomo di oggi è imperniata non
su un contenuto
moralistico ma sulla persona di Gesù Cristo.
È un dato di
fatto che dal concilio di Trento fino
a oggi, la Chiesa ha
continuato a celebrare questo sacramento
nello stesso
modo.
Il
teologo
Giovanni
Del Missier
dice che se
un cristiano
cattolico del
XVII secolo
fosse
qui
da noi oggi,
troverebbe grosse difficoltà per riconoscere e celebrare gli altri sei sacramenti, incluso quello dell’Eucaristia, ma non il sacramento della
penitenza. Più di cinquanta anni
fa (1963), il concilio Vaticano II
aveva già espresso la necessità che
«si rivedano il rito e le formule
della penitenza in modo che
esprimano più chiaramente la natura e l’effetto del sacramento»
(Sacrosanctum concilium, 72). Questo vuol dire che quella volta i
padri conciliari già avevano riconosciuto che la prassi del quarto
sacramento non rispondeva più ai
bisogni del popolo di Dio. È in-
teressante notare che la richiesta
era per una revisione non di qualche aspetto accidentale ma
dell’essenza del sacramento.
È vero che nell’Ordo pænitentiæ
del 1974 sono state proposte tre
forme di celebrazione per questo
sacramento, ma di fatto noi sacerdoti abbiamo scelto di rimanere
nella prima forma a scapito delle
altre due. Il liturgista Rinaldo
Falsini osserva che chi ignora la
visione triplice del sacramento,
sciupa una ricchezza autentica di
fede e di vita spirituale e rimane
fuori dalla riforma che ha portato
il concilio. Per questo raccomando l’uso anche della seconda forma o meglio del secondo rito (cosiddetto celebrazione penitenziale), dove ci sono la liturgia della
Parola, l’omelia, l’esame di coscienza e l’accusa generale in forma litanica, il Padre Nostro, la
confessione e l’assoluzione individuale. Quanto è importante riconoscere che l’aspetto comunitario
di questa celebrazione penitenziale non è qualcosa di estetico, ma
è stato pensato per recuperare di
nuovo ciò che era prima e che abbiamo perso: l’assemblea ecclesiale è l’ambiente adatto dove il peccatore può riacquistare il perdono
divino attraverso la mediazione,
non solo del sacerdote ordinato,
ma anche per mezzo del sacerdozio comune esercitato dall’assemblea nella carità, nella testimonianza e nella preghiera (cfr. Lumen gentium, 11). Con la privatizzazione della confessione auricolare abbiamo perso la dimensione sociale ed ecclesiale del peccato e della di-
mensione comunitaria del sacramento della Penitenza.
Siamo chiamati a superare la
mentalità di chi pensa «mi confesso per comunicarmi», perché
questo sacramento è un’esperienza superiore di un semplice “passaporto” per ricevere l’Eucaristia.
Trovo ancora molto interessante
la proposta che alcuni decenni fa
fece il cardinale Carlo Maria
Martini, il quale spiegava che la
celebrazione della penitenza deve
avere tre momenti: confessio laudis,
confessio peccati e confessio fidei. Il
cardinale Martini spiegava che solo quando il penitente è conscio
delle benedizioni che ha ricevuto
da Dio (confessio laudis) si renderà
conto della misura dei suoi limiti
che lo hanno distaccato da Dio,
fonte di ogni bene (confessio peccati). Non sarà a lui possibile venire
fuori da questo limite (il peccato)
se non fa un atto di fiducia in
Dio (confessio fidei). Solo quando
si trova faccia a faccia con la misericordia di Dio, che ama l’uomo
da cui non è amato, il peccatore
può rendersi conto del vuoto
creato e di quanto è brutta l’assenza di Dio, allontanato da sé.
Così intendo le parole di Papa
Francesco: «La salvezza che Dio
ci offre è opera della sua misericordia. Non esiste azione umana,
per buona che possa essere, che ci
faccia meritare un dono così grande. Dio, per pura grazia, ci attrae
per unirci a Sé. Egli invia il suo
Spirito nei nostri cuori per farci
suoi figli, per trasformarci e per
renderci capaci di rispondere con
la nostra vita al suo amore. La
Chiesa è inviata da Gesù Cristo
come sacramento della salvezza
offerta da Dio» (Evangelii gaudium, 112). Sono convinto che
questa visione può confondere
più di qualcuno — e non hanno
torto. Il torto è nostro perché è
nostro dovere formare a tutto ciò.
E la celebrazione del sacramento
della confessione, quando viene
celebrato con calma e in un ambiente decoroso, può diventare
anche opportunità di formazione.
Sono convinto che la riforma della celebrazione del sacramento
della confessione potrebbe suscitare con sé un cambiamento nelle
persone e nelle comunità ecclesiali.
In questo ambito, il confessore,
più che la scienza morale (scientia
moralis), ha bisogno di acquisire
l’ars confessandi insieme all’ars medica e all’ars consulendi. Più che
giudice, il confessore è medico,
cioè deve avere quella capacità di
far assaggiare la misericordia di
Dio fasciando le ferite interiori
del penitente e ponendolo nelle
braccia di Cristo, perché solo lui
lo fa crescere nell’amore. Nel Catechismo della Chiesa cattolica si
legge che il confessore svolge il
ministero «del buon Samaritano
che medica le ferite, del padre
che attende il figlio prodigo e lo
accoglie al suo ritorno, del giusto
giudice che non fa distinzione di
persone e il cui giudizio è a un
tempo giusto e misericordioso.
Insomma, il sacerdote è il segno e
lo strumento dell’amore misericordioso di Dio verso il peccatore» (n. 1465). E Papa Francesco ci
ricorda costantemente che in
quanto confessori siamo «ministri
della misericordia».
La preparazione migliore per
essere buoni confessori l’avremo
al momento in cui saremo tra coloro che chiedono misericordia,
mettendoci in ginocchio davanti a
un confessore e chiedendo il perdono dei nostri peccati. Qualche volta mi viene il
sospetto che noi
sappiamo essere duri con i
penitenti
perché siamo bravi a
nascondere
a noi stessi
e non ammettiamo di
essere peccatori come
tutti. Se noi
ci confessiamo in modo
leggero, in
fretta,
in
modo infantile direi e in forma abitudinaria,
come possiamo offrire un servizio
di qualità come confessori?
Quando io non sperimento personalmente la consolazione e la tenerezza di Dio nel momento in
cui mi confesso, mi sarà più difficile capire ciò che ci si aspetta da
me confessore, quando accompagno il penitente a fare quest’esperienza. Se un sacerdote perde il
senso del peccato nella sua vita,
come può apprezzare le lacrime
del peccatore pentito?
*Vescovo di Gozo
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
sabato 6 febbraio 2016
Masaccio
«Martirio di Giovanni
Battista» (1426)
Fra una settimana la visita di Papa Francesco in Messico
O maggio
alla Madre dell’America
Messa a Santa Marta
Diminuire, diminuire
diminuire
Giovanni Battista, «il più grande
dei profeti», ci insegna una regola
fondamentale della vita cristiana:
farci piccoli con umiltà perché sia il
Signore a crescere. È questo lo «stile di Dio», diverso dallo «stile degli
uomini», che il Papa ha rilanciato
durante la messa celebrata venerdì 5
febbraio, nella cappella della Casa
Santa Marta.
Marco, nel passo evangelico
odierno (6, 14-29), scrive «che la
gente parlava di Gesù perché “il suo
nome era diventato famoso”». Insomma «tutti parlavano» e si domandavano chi egli fosse veramente.
E così uno diceva: «È uno dei profeti che è tornato». E un altro: «È
Giovanni Battista che è risorto». Il
fatto è che davanti a Gesù «la gente
rimaneva incuriosita». Mentre il re
Erode, scrive sempre Marco, era «timoroso, angosciato» anche perché
era «perseguitato dal fantasma di
Giovanni» che lui aveva fatto uccidere.
Inoltre, ha fatto notare Francesco,
ci sono «altri personaggi che appaiono in questo brano del Vangelo:
una donna cattiva, che odiava e cercava vendetta; una fanciulla che non
capiva niente e soltanto le interessava la sua vanità». Tanto che «sembra un romanzo»: è la storia di Erodiade e di sua figlia.
Proprio «in questa cornice — ha
spiegato il Papa — l’evangelista racconta la fine di Giovanni Battista,
“l’uomo più grande nato da donna”
come dice la formula di canonizzazione». E «questa formula non l’ha
detta un Papa: l’ha detta Gesù!».
Davvero Giovanni «è l’uomo più
grande nato da donna, il santo più
Conclusa la visita in Slovenia
Il cardinale Parolin
a Dobova
tra i profughi
L’abbraccio del Papa alle famiglie siriane e irachene e ai giovani afghani e iraniani del campo
di accoglienza per i profughi a
Dobova, in Slovenia, è stato personalmente portato dal cardinale
segretario di Stato Pietro Parolin
nel pomeriggio di giovedì 4 febbraio. A conclusione della sua visita nel Paese, il porporato ha voluto dunque incontrare i rifugiati.
E ha così anche potuto apprezzare il lavoro svolto da tante organizzazioni, tra cui la Caritas. In
particolare, il cardinale Parolin
ha affermato che bisogna partire
proprio dalla solidarietà per affrontare il complesso fenomeno
delle migrazioni: occorre lavorare
insieme, uniti, perché da soli non
si risolve nulla. Il segretario di
Stato non ha poi mancato di ricordare l’impegno di Papa Francesco per i migranti e il suo incoraggiamento a quanti li assistono.
La Chiesa, ha concluso, non dà
ai governi soluzioni tecniche a tale questione, ma offre principi
guida, primo fra tutti quello della
solidarietà.
grande: così Gesù lo ha canonizzato».
Ma Giovanni «finisce in carcere,
sgozzato». E «l’ultima frase» del
passo evangelico di oggi sembra
avere anche una nota di «rassegnazione»: «I discepoli di Giovanni,
saputo il fatto, vennero, ne presero
il cadavere e lo posero in un sepolcro». È così che «finisce “l’uomo
più grande nato da donna”: un
grande profeta, l’ultimo dei profeti,
l’unico al quale è stato concesso di
vedere la speranza di Israele». Sì,
«il grande Giovanni che ha chiamato alla conversione: tutto il popolo
lo seguiva e gli chiedeva “cosa dobbiamo fare?”». Lo seguivano, ha aggiunto il Pontefice, «anche i soldati,
tutti andavano dietro a lui a farsi
battezzare, a chiedere perdono, a tal
punto che i dottori della legge sono
andati per fargli una domanda: “sei
tu quello che noi aspettiamo?». La
risposta di Giovanni è chiara: «No,
no: io no. C’è un altro che viene
dietro di me: quello è. Io sono
soltanto la voce che grida nel
deserto».
A questo proposito, ha spiegato il
Papa, «sant’Agostino ci fa pensare
bene quando dice: “Sì, Giovanni dice di se stesso che è la voce, perché
dietro di lui viene la parola”». E
«Cristo è la parola di Dio, il verbo
di Dio». Davvero «è grande, Giovanni» ha rilanciato Francesco.
Grande quando dice di non essere
colui che è atteso: proprio «quella
frase è il suo destino, il suo programma di vita: “Lui, quello che
viene dietro di me, deve crescere; io,
invece, diminuire”». Proprio «così è
stata la vita di Giovanni: diminuire,
diminuire, diminuire e finire in questa maniera tanto prosaica, nell’anonimato». Ecco, Giovanni è stato
«un grande che non ha cercato la
propria gloria, ma quella di Dio».
E non finisce qui. Il Pontefice ha
voluto rimarcare il fatto che Giovanni «ha sofferto in carcere anche
— diciamo la parola — la tortura interiore del dubbio». Fino a domandarsi: «Ma, forse, non ho sbagliato?
Questo messia non è come io immaginavo che sarebbe dovuto essere il
messia!». Tanto che «ha inviato i
suoi discepoli a domandare a Gesù:
“Dì la verità: sei tu che devi
venire?”».
Evidentemente «quel dubbio lo
faceva soffrire» e si chiedeva: «Ho
sbagliato io nell’annunciare uno che
non è? Ho ingannato il popolo?”».
È stata grande «la sofferenza, la solitudine interiore di quest’uomo». E
così ritornano, in tutta la loro forza,
le sue parole: «Io, invece, devo diminuire, ma diminuire così: nell’anima, nel corpo, tutto». Al dubbio di
Giovanni, «Gesù rispose: “Guarda
quello che succede”. E si fida, non
dice: “Sono io”. Dice: “Andate e dite a Giovanni cosa avete visto”. Dà
anche i segni, e lo lascia solo con il
dubbio e la interpretazione dei
segni».
Ecco, ha affermato Francesco,
«questo è il grande profeta». Ma
sempre riguardo a Giovanni «c’è
un’ultima cosa che ci dà da pensare:
con questo atteggiamento di “diminuire” perché il Cristo possa “crescere”, ha preparato la strada a Gesù. E Gesù morì in angoscia, solo,
senza i discepoli». La «grande gloria» di Giovanni, quindi, è l’essere
«stato profeta non solo di parole,
ma con la sua carne: con la sua vita
ha preparato la strada a Gesù. È un
grande!».
In conclusione, il Papa ha suggerito — «ci farà bene» — di «leggere
oggi questo passo del Vangelo di
Marco, capitolo sesto». Sì, ha insistito, «leggere quel brano» per «vedere come Dio vince: lo stile di Dio
non è lo stile dell’uomo». E proprio
alla luce del passo evangelico,
«chiedere al Signore la grazia
dell’umiltà che aveva Giovanni, e
non addossare su di noi meriti o
glorie di altri». E «soprattutto la
grazia che nella nostra vita sempre
ci sia il posto perché Gesù cresca e
noi veniamo più in basso, fino alla
fine».
Avrà un prologo ecumenico davvero
storico il dodicesimo viaggio internazionale di Papa Francesco, che si
svolgerà dal 12 al 18 febbraio. Prima
di giungere in Messico, nel ventesimo paese visitato nei suoi tre anni
di pontificato, il Pontefice farà infatti tappa, venerdì 12 febbraio, a
Cuba, nell’aeroporto dell’Avana, per
incontrare il patriarca della Chiesa
ortodossa russa, Cirillo. Il colloquio
però non apporterà cambiamenti
nel programma della visita nel paese
latinoamericano, in quanto il Papa
anticiperà la partenza da Roma per
rispettare i tempi previsti del suo atterraggio a Città del Messico, all’incirca verso le ore 19.30.
Al centro del viaggio — nel quale
il Pontefice ha voluto inserire alcune diocesi, collocate geograficamente nel centro, nel nord e nel sud del
paese, che non sono mai state toccate nei precedenti viaggi apostolici di
Giovanni Paolo II e di Benedetto
XVI — ci sarà l’omaggio a colei che
Francesco stesso ha definito la «Madre dell’America», la Madonna di
Guadalupe. Per questo l’itinerario
ruoterà attorno a Città del Messico.
Tappa fondamentale sarà, quindi,
sabato pomeriggio, 13 febbraio, il
santuario mariano di Nostra Signora di Guadalupe nella capitale. Qui
il Pontefice incoronerà l’immagine
miracolosa della Vergine con un
diadema in oro e argento. Al mattino, invece, è previsto l’incontro nel
Palazzo nazionale con il presidente
degli Stati Uniti Messicani e con i
membri del parlamento e del senato. Nella cattedrale, poi, incontrerà i
vescovi del paese.
Domenica 14, il Papa si recherà a
Ecatepec de Morelos, nello Stato
del Messico, a circa ventidue chilometri dal distretto federale, una zona molto popolosa e con elevato in-
dice di povertà. Qui il Pontefice, in
mattinata, celebrerà la messa. Dopo
il rientro nella capitale, è prevista la
visita a un ospedale pediatrico. In
particolare Francesco passerà per le
camere dove vengono ospitati e curati bambini ammalati di tumore.
Il giorno successivo il Pontefice si
dirigerà nel sud del paese, nella città di Tuxtla Gutiérrez, capitale del
Bartolomé de las Casas. A conclusione della giornata ci sarà la messa
con le famiglie nello stadio cittadino
di Tuxtla Gutiérrez. Alla sera, il
rientro a Città del Messico.
Martedì 16, il trasferimento a Morelia, dove nello stadio il Papa incontrerà il clero e i consacrati. A
pranzo, invece, avrà modo di fermarsi a parlare con alcuni bambini
Chiapas, lo Stato più meridionale
del Messico, terra di migrazione e
di transito dal Guatemala. A San
Cristóbal de las Casas, il Papa celebrerà una messa caratterizzata da
canti e letture nelle lingue indigene.
Per l’occasione il Pontefice consegnerà anche un decreto che autorizza proprio l’utilizzo delle lingue indigene locali nella liturgia. Un contatto ancora più diretto con la comunità locale avverrà subito dopo,
nell’episcopio, quando Francesco
pranzerà insieme a otto indigeni.
Poi, nel pomeriggio la visita ai malati raccolti nella cattedrale dove sono conservate le spoglie del vescovo
del catechismo. Nel pomeriggio,
nello stadio, è previsto l’incontro
con circa cinquantamila giovani. Il
giorno successivo, mercoledì 17, vedrà l’atteso arrivo di Francesco in
uno dei luoghi simbolo di questo
viaggio: Ciudad Juárez, nello Stato
del Chihuahua, ovvero la città più a
nord del Messico, confinante con la
diocesi statunitense di El Paso. Qui
sono previsti tre incontri: quello con
i carcerati, nel più grande penitenziario dello Stato, e quelli con il
mondo del lavoro nel palazzo dello
sport, e, nel pomeriggio, con la popolazione, le vittime della violenza e
i familiari dei desaparecidos. Il Papa
celebrerà la messa su un palco collocato a ridosso della rete che separa
il Messico dagli Stati Uniti d’America, zona che conosce il dramma
delle migliaia di immigrati che cercano di passare il confine verso il
nord. Anche cinquantamila fedeli
statunitensi parteciperanno alla messa seguendola dall’altra parte del
confine. Un momento toccante si
vivrà prima della celebrazione,
quando il Papa si avvicinerà alla rete, collocherà sul posto una croce e
pregherà per tutti i popoli migranti
del mondo. Alla sera è prevista la
partenza del volo per Roma, dove
Francesco arriverà all’incirca alle ore
15.15 di giovedì 18 febbraio.
Le spoglie di san Pio e san Leopoldo
in Vaticano
La scena si è ripetuta: l’immagine
della folla che assiepava la basilica
romana di San Lorenzo fuori le
Mura per venerare le reliquie di
san Pio da Pietrelcina e di san
Leopoldo Mandić, mercoledì 3
febbraio, è la stessa che il giorno
successivo ha atteso pazientemente
per più di un’ora prima di entrare
in basilica. Già dalle prime ore
dell’alba di giovedì, infatti, i fedeli
si sono messi in fila per rendere
omaggio ai due santi cappuccini.
All’interno, una prima celebrazione
eucaristica, alle 7.30, è stata presieduta da fra Nicholas Polichnowski,
ministro generale del Terz’O rdine
regolare. Quattro ore dopo è stato
padre Marco Tasca, ministro generale dei frati minori conventuali a
celebrare la messa, mentre fra Lóránt Orosz, procuratore generale
dell’ordine dei frati minori, ha officiato quella vespertina. In serata,
invece, l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la Promozione della nuova
evangelizzazione, ha presieduto la
liturgia penitenziale interobbedienziale. Lunghe file ai confessionali
hanno caratterizzato il rito. Al termine, i frati cappuccini hanno trasferito le reliquie nella chiesa di
Nomina episcopale
in Italia
San Salvatore in Lauro, dove l’arcivescovo Fisichella ha presieduto
la concelebrazione eucaristica. A
San Salvatore in Lauro sono custodite alcune reliquie, oggetti con i
quali padre Pio è entrato in diretto
contatto durante la sua vita, come
il suo mantello, un guanto che
usava per coprire le stigmate e alcune bende insanguinate. Nella
chiesa è anche esposta la stola con
cui il frate inaugurò la Casa sollievo della sofferenza, il grande centro ospedaliero di San Giovanni
Rotondo.
Anche questa tappa delle spoglie dei due santi francescani ha
registrato un grande afflusso di fedeli, con la folla assiepata sia dentro che fuori la chiesa che è il punto di riferimento diocesano per i
Gruppi di preghiera Padre Pio ed
è centro di diffusione della spiritualità del santo di Pietrelcina.
L’arrivo delle urne è stato preceduto da una novena che i membri
dei Gruppi hanno animato. Venerdì 5 febbraio, dopo la messa celebrata dall’arcivescovo di Manfredonia - Vieste - San Giovanni Rotondo, Michele Castoro, presidente della Casa sollievo della sofferenza e direttore generale dei Gruppi Padre
Pio, si svolge la solenne
processione dalla chiesa
di San Salvatore in
Lauro fino in Vaticano.
Ad accogliere le reliquie
al loro arrivo in piazza
San Pietro, nel tardo
pomeriggio, il cardinale
Angelo Comastri, arciprete della basilica papale. Poi, al canto delle
litanie dei santi, il loro
ingresso nella basilica
di San Pietro, dove
vengono collocate davanti all’altare della
Confessione.
La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Italia
Monsignor Giuseppe Favale
vescovo
di Conversano-Monopoli
È nato a Palagiano, in provincia
di Taranto e diocesi di Castellaneta,
il 29 febbraio 1960. Ha frequentato i
corsi teologici presso il seminario regionale di Molfetta. È stato ordinato sacerdote il 6 luglio 1985. E fa
parte del clero della diocesi di Castellaneta. Successivamente ha frequentato la Pontificia università Lateranense, dove nel 2005 ha conseguito la laurea in utroque iure. Dal
1983 al 2000 è stato cerimoniere vescovile. Inoltre, dal 1988 è stato prima viceparroco e poi parroco della
cattedrale dal 2003 al 2011. Oltre a
essere cancelliere della curia dal
1989 al 1997 e poi vicario giudiziale
dal 2004 al 2010 e vicario generale
dal 1997 al 2011. Dal 2011 è direttore
spirituale nel seminario regionale
pugliese Pio XI di Molfetta e delegato per il clero giovane della diocesi di Castellaneta. Durante la vacanza di questa sede, nel 2013 è stato eletto amministratore diocesano.
Nel 2009 è divenuto prelato d’onore
di Sua Santità.