26/1/2016 - Studio Ducoli
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QUADERN
/ MARTEDÌ, 26 GENNAIO 2016
ILCASODELGIORNO
PRIMOPIANO
Nell’omessa
riassunzione in rinvio
cartella con termine
non univoco
Termini differiti per le
comunicazioni all’Archivio dei
rapporti finanziari
/ Giovambattista PALUMBO
L’integrativa relativa al 2015 dovrà essere inviata entro il 31 marzo e
le comunicazioni mensili di gennaio e febbraio 2016 entro il 30 aprile
Uno dei problemi che a volte investono il contenzioso tributario
concerne la delineazione del termine entro cui, a seguito di omessa o tardiva riassunzione della
causa a seguito di rinvio disposto dalla Cassazione, va notificata la cartella di pagamento.
In base a un primo orientamento
(si veda “Nell’estinzione del processo termine per notificare la
cartella «differenziato»” del 1°
aprile 2015), opera il termine di
decadenza biennale di cui all’art.
25 del DPR 602/73, in quanto
non si tratta di una fattispecie in
cui la pretesa deriva da giudicato
(il che aprirebbe le porte, secondo il più recente orientamento
della Cassazione, alla prescrizione decennale), ma di un atto ormai definitivo per estinzione del
giudizio (Cass. n. 4574 del 2015).
Una più recente sentenza (la n.
556 dello scorso 15 [...]
/ Paola RIVETTI
Come anticipato nei giorni scorsi su Eutekne.info (si veda “Archivio dei rapporti finanziari, per
il tracciato unificato istruzioni in arrivo” del 22
gennaio 2016), è stato pubblicato sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate il provvedimento
del 25 gennaio 2016 n. 13352 con cui sono definite le tempistiche e le modalità per l’invio delle comunicazioni all’Archivio dei rapporti finanziari dell’Anagrafe tributaria mediante il tracciato unificato previsto dal provvedimento del 10
febbraio 2015 n. 18269. La trasmissione di tale
file potrà avvenire esclusivamente tramite l’infrastruttura SID.
Per quanto riguarda le modalità operative, il
provvedimento fornisce:
- le istruzioni dettagliate sulle regole a cui attenersi nella compilazione del tracciato unificato
(allegato. n. 1);
- le specifiche tecniche del tracciato unificato
(allegato n. 2);
- nonché il tracciato per la restituzione, ai soggetti che hanno effettuato l’invio, delle ricevute
(allegato n. 4).
Tale nuovo formato dovrà essere utilizzato a
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INEVIDENZA
FISCO
Bonus del 50% anche per il condomino che sostiene
tutte le “spese comuni”
Nessuna responsabilità se l’omesso versamento IVA
non supera la soglia
Sgravio contributivo per le assunzioni limitato anche
nella durata
“Tutelato” il diritto agli utili del socio di società di
persone
ALTRENOTIZIE
partire dalla comunicazione integrativa annuale dei dati 2015 e dalla comunicazione mensile per il mese di gennaio 2016.
Per quanto concerne l’integrazione e la correzione dei dati comunicati, a modifica delle
precedenti disposizioni, viene stabilito che:
- non sono consentiti invii ordinari di comunicazioni integrative annuali oltre 90 giorni dal
termine stabilito. Decorso tale termine, eventuali modifiche ai saldi comunicati è possibile
solo con comunicazione straordinaria;
- le variazioni ordinarie riferite alle anagrafiche o ai dati descrittivi del rapporto (ad esclusione del tipo rapporto e delle date di inizio e
fine rapporto) intervenute nel mese precedente devono essere comunicate con invio di tipo
straordinario (aggiornamento o sostituzione).
Interessante è anche l’ulteriore precisazione in
merito all’efficacia delle comunicazioni parziali, soprattutto in relazione al trattamento
sanzionatorio applicabile. Viene, infatti, affermato che “non costituisce adempimento
dell’obbligo di comunicazione l’invio, seppur
nei termini, di parte della [...]
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Percentuali di
compensazione IVA più
alte in agricoltura
/ Antonio PICCOLO
La legge di stabilità 2016 ha previsto, tra i
provvedimenti riservati al settore agricolo, anche l’aumento delle percentuali di compensazione IVA per alcuni prodotti del settore lattiero-caseario e per gli animali vivi delle specie bovina e suina.
Nello specifico il comma 908 dell’art. 1 della
L. n. 208/2015 ha demandato a un decreto interministeriale (MEF e MIPAAF), da adottare
entro il 31 gennaio 2016 ai sensi dell’art. 34
(Regime speciale per i [...]
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ancora
IL CASO DEL GIORNO
Nell’omessa riassunzione in rinvio cartella
con termine non univoco
Il dies a quo, però, decorre sempre dallo spirare dei sei mesi dal deposito della
sentenza di cassazione con rinvio
/ Giovambattista PALUMBO
Uno dei problemi che a volte investono il contenzioso tributario concerne la delineazione del termine entro cui, a seguito di omessa o tardiva riassunzione della causa a seguito di
rinvio disposto dalla Cassazione, va notificata la cartella di
pagamento.
In base a un primo orientamento (si veda “Nell’estinzione
del processo termine per notificare la cartella
«differenziato»” del 1° aprile 2015), opera il termine di decadenza biennale di cui all’art. 25 del DPR 602/73, in quanto non si tratta di una fattispecie in cui la pretesa deriva da
giudicato (il che aprirebbe le porte, secondo il più recente
orientamento della Cassazione, alla prescrizione decennale),
ma di un atto ormai definitivo per estinzione del giudizio
(Cass. n. 4574 del 2015).
Una più recente sentenza (la n. 556 dello scorso 15 gennaio),
invece, opta per il termine prescrizionale di dieci anni, e si
sofferma sul problema relativo al dies a quo del medesimo.
Nel caso di specie, era stato impugnato un accertamento
sull’anno 1992, notificato nel 1998, e, dopo la sentenza di
cassazione con rinvio della Suprema Corte depositata nel
2008, il contribuente non riassumeva nel termine (all’epoca
di un anno, ora di sei mesi in ragione del “nuovo” art. 63 del
DLgs. 546/92), ricevendo quindi la cartella di pagamento per
la totalità delle somme nel 2010.
Contro tale cartella il contribuente proponeva ricorso, deducendo l’intervenuta prescrizione della pretesa, sul presupposto che la notifica della cartella, non preceduta da atti interruttivi, era intervenuta a distanza di oltre dieci anni da quella dell’avviso di accertamento.
La Cassazione ha ribadito in primo luogo che l’estinzione
del processo ex art. 63, comma 2 del DLgs. 546/1992, per
omessa riassunzione della causa, comporta la definitività
dell’avviso impugnato, giacché detto avviso (incorporando
la pretesa tributaria) non è un atto processuale, ma l’oggetto
del giudizio. Pertanto, in caso di estinzione del processo per
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omessa riassunzione, il dies a quo del termine di prescrizione va ancorato alla data di scadenza del termine utile per la
(non attuata) riassunzione della causa, posto che solo da tale
data, per effetto della definitività dell’atto impositivo, l’Amministrazione può far valere il proprio credito, attivando la
relativa procedura di riscossione (tanto più in presenza di
sentenze di primo e di secondo grado ad essa sfavorevoli,
dato l’obbligo di restituzione del tributo eventualmente corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dal giudice
tributario).
L’atto impugnato non rileva mai per il termine
Se, quindi, in linea generale, per quanto detto, è pacifico che
la mancata riassunzione del giudizio di rinvio estingua l’intero processo e che ciò determini il consolidamento dell’atto
originariamente impugnato (con conseguente disinteresse
dell’Amministrazione alla riassunzione), il problema è stabilire poi la data in cui l’atto impugnato si considera effettivamente definitivo, ovvero da quando decorre il termine per
la notifica della cartella di pagamento.
Tale termine, come ora chiarito dalla Corte, decorre solo una
volta trascorso il termine per la riassunzione, in quanto
l’estinzione, ai sensi dell’art. 307, ultimo comma c.p.c.,
opera di diritto.
Deve dunque ritenersi superata la posizione secondo cui la
decorrenza del termine di notifica della cartella, conseguente al consolidarsi dell’avviso di accertamento impugnato, retroagisce al momento di notificazione dell’atto originario.
Pertanto, a prescindere da quale sia il corretto termine operante (se quello di prescrizione decennale o di decadenza
biennale), dovrebbe essere chiaro che questo decorre dallo
spirare dei sei mesi (o dell’anno, per le situazioni ante
DLgs. 156/2015) dalla data di deposito della sentenza di
cassazione con rinvio.
/ 02
ancora
FISCO
Termini differiti per le comunicazioni
all’Archivio dei rapporti finanziari
L’integrativa relativa al 2015 dovrà essere inviata entro il 31 marzo e le comunicazioni
mensili di gennaio e febbraio 2016 entro il 30 aprile
/ Paola RIVETTI
Come anticipato nei giorni scorsi su Eutekne.info (si veda
“Archivio dei rapporti finanziari, per il tracciato unificato
istruzioni in arrivo” del 22 gennaio 2016), è stato pubblicato
sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate il provvedimento
del 25 gennaio 2016 n. 13352 con cui sono definite le tempistiche e le modalità per l’invio delle comunicazioni
all’Archivio dei rapporti finanziari dell’Anagrafe tributaria
mediante il tracciato unificato previsto dal provvedimento
del 10 febbraio 2015 n. 18269. La trasmissione di tale file
potrà avvenire esclusivamente tramite l’infrastruttura SID.
Per quanto riguarda le modalità operative, il provvedimento fornisce:
- le istruzioni dettagliate sulle regole a cui attenersi nella
compilazione del tracciato unificato (allegato. n. 1);
- le specifiche tecniche del tracciato unificato (allegato n. 2);
- nonché il tracciato per la restituzione, ai soggetti che hanno effettuato l’invio, delle ricevute (allegato n. 4).
Tale nuovo formato dovrà essere utilizzato a partire dalla
comunicazione integrativa annuale dei dati 2015 e dalla
comunicazione mensile per il mese di gennaio 2016.
Per quanto concerne l’integrazione e la correzione dei dati
comunicati, a modifica delle precedenti disposizioni, viene
stabilito che:
- non sono consentiti invii ordinari di comunicazioni integrative annuali oltre 90 giorni dal termine stabilito. Decorso tale termine, eventuali modifiche ai saldi comunicati è possibile solo con comunicazione straordinaria;
- le variazioni ordinarie riferite alle anagrafiche o ai dati
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 26 GENNAIO 2016
descrittivi del rapporto (ad esclusione del tipo rapporto e
delle date di inizio e fine rapporto) intervenute nel mese
precedente devono essere comunicate con invio di tipo
straordinario (aggiornamento o sostituzione).
Interessante è anche l’ulteriore precisazione in merito all’efficacia delle comunicazioni parziali, soprattutto in relazione al trattamento sanzionatorio applicabile. Viene, infatti, affermato che “non costituisce adempimento dell’obbligo di
comunicazione l’invio, seppur nei termini, di parte della comunicazione”.
Per la comunicazione relativa a dicembre 2015, termine a
fine mese
Quanto alle tempistiche, il provvedimento:
- differisce il termine per l’invio della sola comunicazione
integrativa annuale dei dati 2015 al 31 marzo 2016 (pur restando ferma la scadenza, a regime, del 15 febbraio dell’anno successivo a quello cui si riferiscono le informazioni);
- posticipa al 30 aprile 2016 i termini per l’invio delle
comunicazioni mensili dei dati dei mesi di gennaio e
febbraio 2016 (entro tale termine, eccezionalmente, l’invio è
considerato come una comunicazione ordinaria).
Sulla base di quanto sopra, ne consegue che, per le comunicazioni mensili relative al mese di dicembre 2015, da
effettuare entro la fine di gennaio, sono utilizzabili i
precedenti formati da inviare tramite Entratel/Fisconline.
/ 03
ancora
FISCO
Bonus del 50% anche per il condomino che
sostiene tutte le “spese comuni”
Per la Provinciale di Napoli rileva la presenza della fattura emessa nei suoi confronti e
l’apposita certificazione dell’amministratore di condominio
/ Alessandro BORGOGLIO
La detrazione per gli interventi di ristrutturazione edilizia su
parti comuni condominiali spetta anche se è il singolo condomino a farsi carico di tutta la relativa spesa, pagata con
bonifico speciale, a fronte di fattura emessa nei suoi
confronti e di apposita certificazione dell’amministratore di
condominio. L’ha stabilito la C.T. Prov. di Napoli, con la
recente sentenza n. 24003/2015.
Si ricorda che, a decorrere dal 1° gennaio 2012, la detrazione delle spese per gli interventi di recupero del patrimonio
edilizio è stata inserita nel corpus normativo del TUIR, rendendo, di fatto, strutturale il beneficio fiscale. Il nuovo art.
16-bis del TUIR reca in sé tutta la disciplina
dell’agevolazione originariamente introdotta dall’art. 1 della
L. 27 dicembre 1997 n. 449 e poi modificata e prorogata con
le successive leggi.
Per quel che qui rileva, l’art. 16-bis, comma 1, lett. a) del
TUIR consente la detrazione, attualmente stabilita nella misura potenziata al 50% fino al 31 dicembre 2016, delle spese per gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di ristrutturazione, di restauro e risanamento conservativo sulle parti comuni condominiali.
Il comma 9 del predetto art. 16-bis prevede l’applicazione
delle disposizioni di cui al decreto interministeriale n. 41 del
1998, con cui è stato adottato il regolamento recante norme
di attuazione e procedure di controllo relative alla detrazione per le spese riguardanti interventi di recupero del patrimonio edilizio.
L’art. 1, comma 3 del citato regolamento prevede che il pagamento delle spese detraibili è disposto mediante bonifico
bancario dal quale risulti la causale del versamento, il codice
fiscale del beneficiario della detrazione e il numero di partita
IVA ovvero il codice fiscale del soggetto a favore del quale
il bonifico è effettuato.
In caso di lavori su parti comuni condominiali, pertanto, è
l’amministratore di condominio a porre in essere tutti gli
adempimenti previsti, compreso il bonifico speciale poc’anzi
descritto, affinché i condomini possano usufruire della
detrazione in oggetto in base all’effettiva spesa sostenuta,
certificata da apposita attestazione rilasciata dallo stesso
amministratore, la quale, peraltro, deve essere esibita in sede
di controllo da parte del Fisco.
Nel caso oggetto della pronuncia in commento, però, a fronte dell’inerzia degli altri, un solo condomino si era attivato
per i lavori eseguiti sulle parte comuni condominiali, sicché
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 26 GENNAIO 2016
l’impresa che aveva effettuato tali lavori aveva poi fatturato
direttamente a tale condomino, il quale aveva eseguito il bonifico speciale a suo nome, avendo sostenuto la spesa corrispondente all’intero importo fatturato.
L’Agenzia delle Entrate, in sede di controllo formale ex art.
36-ter del DPR 600/1973, recuperava la detrazione, ritenuta
non spettante per mancanza di documentazione. Il
condomino si opponeva, eccependo che nulla ostava alla
detrazione in oggetto anche se il bonifico era stato da lui
direttamente eseguito, anziché dall’amministrazione
condominiale.
I giudici di merito, ricordando quanto disposto dal terzo
comma dell’art. 1 del predetto decreto interministeriale, hanno stabilito che, nel caso di specie, le modalità previste per
la fruizione del beneficio fiscale erano state rispettate, avendo il condomino prodotto la documentazione relativa al
bonifico bancario dimostrante il sostenimento delle spese per
opere condominiali, un provvedimento del Tribunale di
Napoli che attestava la sua attivazione nell’inerzia degli altri
condomini, nonché la fattura emessa dalla ditta esecutrice
dei lavori nei suoi confronti per il medesimo importo
considerato ai fini della detrazione e, infine, la certificazione
dell’amministratore del condominio.
In sostanza, le spese erano ammissibili perché riguardavano
interventi su parti comuni condominiali; il destinatario
della fattura era il condomino, che aveva effettivamente
sostenuto le spese; il pagamento di queste ultime era stato
eseguito secondo il previsto bonifico speciale: tutti gli
adempimenti, pertanto, risultavano posti in essere ai fini
della fruizione del beneficio in oggetto. Da qui
l’accoglimento del ricorso del contribuente.
Si ricorda, al riguardo, che, invece, secondo l’Agenzia delle
Entrate, ai fini della detrazione in oggetto, i documenti giustificativi delle spese relative alle parti comuni condominiali
devono essere intestati al condominio, mentre il bonifico deve recare il codice fiscale dell’amministratore del condominio o di uno qualunque dei condomini che provvede al pagamento, nonché quello del condominio stesso (cfr. circ. n.
57/1998, § 6), condizioni che, in verità, nel caso di specie
non sarebbero state rispettate (si veda anche, in proposito, la
circ. n. 21/2014, § 4.3, in relazione alla ripartizione delle
spese in assenza di condominio, fattispecie che potrebbe
avere qualche analogia con la situazione rappresentata nella
sentenza in commento).
/ 04
ancora
FISCO
Nessuna responsabilità se l’omesso
versamento IVA non supera la soglia
La formula assolutoria da utilizzare in ipotesi di mancata integrazione della soglia di
punibilità è quella per cui “il fatto non sussiste”
/ Maria Francesca ARTUSI
Resta attuale la problematica sulla qualificazione giuridica
delle soglie di punibilità previste nei reati tributari e, in particolare, sulle conseguenze processuali che tale qualificazione può comportare.
La Cassazione, con la sentenza n. 3098 depositata ieri, si è
pronunciata sul delitto di omesso versamento IVA previsto
dall’art. 10-ter del DLgs. 74/2000, attinente ad un caso in cui
un socio amministratore di una snc ometteva di versare
l’imposta sul valore aggiunto per un ammontare complessivo
di 51.229 euro, dovuta in base alla dichiarazione annuale
relativa all’anno d’imposta 2009.
Il tribunale di primo grado aveva assolto tale soggetto “in
quanto il fatto non è più previsto dalla legge come reato”,
motivando tale decisione con riferimento all’intervento della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 80/2014, aveva
dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma citata,
nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al
17 settembre 2011, puniva le condotte per importi non
superiori, per ciascun periodo d’imposta, a 103.291,38 euro.
Oggetto del ricorso è proprio la formula assolutoria utilizzata dal tribunale, in considerazione delle potenziali conseguenze sfavorevoli, sia in sede civile, sia in sede amministrativa, riconducibili ad essa: sarebbe, invece, stata preferibile
la declaratoria di insussistenza del fatto, che esclude ogni
possibile rilevanza anche in ambiti diversi dal diritto penale.
La questione che la Cassazione è chiamata a risolvere
attiene, dunque, alla sentenza di assoluzione che deve essere
pronunciata, qualora non risulti integrata la soglia di
punibilità richiesta dalla norma.
Tale domanda rileva tanto nel caso di specie (dove il limitesoglia, rilevante per quello spazio temporale, è stato elevato
da 50.000 euro a 103.291,38 euro), quanto per le ipotesi che
debbono essere regolate ai sensi della riforma tributaria di
cui al DLgs. 158/2015, che ha elevato ulteriormente la soglia di punibilità prevista dall’art. 10-ter, portandola a
250.000 euro. Per la corretta soluzione della questione
prospettata, è necessario stabilire quale ruolo svolgano le
soglie di punibilità nella struttura del reato.
La giurisprudenza di legittimità è, infatti, divisa nel qualificarle come elemento costitutivo del reato ovvero condizione obiettiva di punibilità. L’orientamento che propende per
quest’ultima soluzione è stato anche recentemente ribadito
(Cass. n. 6705/2015). Mentre l’indirizzo contrario ritiene che
la soglia di punibilità rientri tra gli elementi costitutivi del
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 26 GENNAIO 2016
reato, pervenendo alla conclusione che la mancata integrazione della soglia, nel delitto di cui all’art. 10-ter del DLgs.
74/2000, comporta l’assoluzione con la formula “il fatto non
sussiste”.
Anche le Sezioni Unite hanno preso posizione in tal senso,
affermando tra l’altro, che, per l’omesso versamento IVA, è
sufficiente la conoscenza e volontà di non versare all’erario
le ritenute effettuate nel periodo considerato e tale coscienza
e volontà deve investire anche la soglia di punibilità che è un
elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il
disvalore (Cass SS.UU. n. 37424/2013).
Dottrina divisa sul punto
La dottrina resta divisa sul punto, ma la Cassazione ha recentemente ribadito quest’ultimo orientamento (Cass. n.
891/2016), e la sentenza in commento conferma la medesima impostazione, precisando che nell’art. 10-ter del DLgs.
74/2000, così come nelle fattispecie ad esso analoghe, le soglie non possono essere inquadrate tra le condizioni di punibilità, ma integrano elementi costitutivi del reato, cosicché
devono essere necessariamente coperte dal dolo o, secondo i
casi, dalla colpa dell’agente.
L’integrazione della soglia quantitativa non dipende, infatti,
da un evento futuro e incerto “esterno”, ma dallo stesso comportamento dell’agente che, nella presentazione della dichiarazione annuale ai fini dell’IVA, sottrae all’imposizione,
con il mancato versamento, una quantità di tributo che,
integrata la soglia, contribuisce alla realizzazione del fatto
tipico.
L’obbligazione tributaria viene definita dai giudici di legittimità come un’“obbligazione legale”, sottratta, nel momento
in cui essa sorge, al potere negoziale delle parti, e il suo contenuto, anche in relazione alla determinazione e quantificazione dell’imposta, non dipende dalla volontà dell’Amministrazione finanziaria che, pur godendo di poteri autoritativi,
non ha alcuna facoltà discrezionale in proposito.
In conclusione, dunque, la formula assolutoria da utilizzare
in ipotesi di mancata integrazione della soglia di punibilità
nel delitto previsto dall’art. 10-ter del DLgs. 74/2000 è
quella per cui “il fatto non sussiste”, cioè una formula
“totalmente assolutoria”, che esclude ogni tipo di
responsabilità per l’imputato (come precisato da Corte Cost.
n. 85/2008).
/ 05
ancora
LAVORO & PREVIDENZA
Sgravio contributivo per le assunzioni
limitato anche nella durata
L’esonero, ridotto nella sua portata dalla legge di stabilità 2016, cesserà allo scadere
del secondo anno dall’assunzione
/ Luca MAMONE e Elisa TOMBARI
La legge di stabilità 2016 (L. 208/2015), con l’art. 1, commi
da 178 a 181 ha confermato anche per il 2016 l’applicazione
dell’esonero contributivo per le nuove assunzioni a tempo
indeterminato. Beneficiari dello sgravio in oggetto sono i datori di lavoro privati, comprese le agenzie di somministrazione e le società cooperative (indipendentemente dai limiti
dimensionali e dai settori di attività), mentre sono
esplicitamente escluse le Pubbliche Amministrazioni; viene
confermata, quindi, la volontà di perseguire una maggiore
stabilità sul fronte occupazionale.
Con quest’ultimo intervento, tuttavia, il legislatore ha
apportato delle modifiche alla precedente normativa,
riducendo la portata dell’incentivo per il 2016, sia dal punto
di vista quantitativo che dal punto di vista della durata,
mentre, in assenza di diverse disposizioni, restano immutate
le modalità applicative l’utilizzo dello sgravio.
In particolare, per quanto attiene alla portata dell’incentivo,
la norma in questione stabilisce che i datori di lavoro ne potranno beneficiare (con esclusione delle assunzioni con contratto di apprendistato, con contratto di lavoro domestico e
intermittente), in misura ridotta rispetto alle assunzioni effettuate nell’anno appena passato (100%), in quanto i contributi previdenziali complessivamente esonerabili, a carico del
datore di lavoro, sono ora limitati al 40%. Inoltre, la legge
di stabilità 2016 riduce il massimale annuo da applicarsi al
beneficio che passa così da 8.060 a 3.250 euro; occorre tuttavia precisare che l’INPS nelle circolari n. 17 del 2015 e n.
178 del 2015, ha chiarito che tale importo nel caso di contratto a tempo parziale, va riproporzionato in relazione
all’orario di lavoro concordato nel contratto individuale di
lavoro rispetto al normale orario di lavoro previsto dalla legge o dal contratto collettivo.
Anche la durata dell’agevolazione subisce un
ridimensionamento, poiché l’esonero non potrà più essere
applicato per tre anni, ma cesserà allo scadere del secondo
anno dall’assunzione.
In aggiunta alle esclusioni di tipo “contrattuale” in precedenza citate (ovvero quelle legate alla natura del contratto di assunzione posto in essere), anche un periodo di lavoro svolto
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 26 GENNAIO 2016
immediatamente prima dell’assunzione esclude lo sgravio; in
particolare, sono esclusi dall’applicazione dello sgravio
contributivo tutti i lavoratori occupati, nei 6 mesi precedenti,
con un contratto a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro, nonché i lavoratori che nei tre mesi antecedenti il 1° gennaio 2016, avessero in corso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con aziende collegate o controllate con il nuovo datore di lavoro o comunque riconducibili
anche indirettamente alla medesima proprietà.
Sgravio nel settore agricolo in base all’ordine cronologico
delle domande
Per i datori di lavoro del settore agricolo (comma 179) le
disposizioni di cui sopra si applicano, nel rispetto dei limiti
finanziari individuati dalla normativa, alle nuove assunzioni
con contratto di lavoro a tempo indeterminato, decorrenti dal
1° gennaio 2016. Anche in questo caso, la manovra prevede
che siano esclusi dai benefici i lavoratori già occupati a
tempo indeterminato nel 2015, i lavoratori occupati a tempo
determinato con almeno 250 giornate di lavoro nel 2015 e i
contratti di apprendistato. Lo sgravio nel settore agricolo,
inoltre, è riconosciuto in base all’ordine cronologico di
presentazione delle domande.
Beneficeranno del nuovo sgravio contributivo anche le assunzioni effettuate in attuazione di quanto previsto dall’art.
54 del DLgs. n. 81/2015, norma che consente di stabilizzare,
a tempo indeterminato, le collaborazioni coordinate continuative anche a progetto e le partite IVA, estinguendo anche
eventuali violazioni in materia di obblighi amministrativi,
contributivi e fiscali inerenti il rapporto pregresso. Infine, la
legge di stabilità, innovando la precedente disciplina,
prevede che il datore di lavoro che subentra nella fornitura di
servizi in appalto, assumendo, anche in attuazione di un
obbligo stabilito da norme di legge o di contratto collettivo,
un lavoratore per il quale era in corso l’esonero contributivo
di cui ai commi 178 o 179, preserva il diritto alla fruizione
dell’esonero contributivo nei limiti della durata e della
misura residua.
/ 06
ancora
FISCO
Percentuali di compensazione IVA più alte in
agricoltura
Entro il 31 gennaio va adottato un decreto interministeriale con l’aumento per alcuni
prodotti lattiero-caseari e animali vivi delle specie bovina e suina
/ Antonio PICCOLO
La legge di stabilità 2016 ha previsto, tra i provvedimenti riservati al settore agricolo, anche l’aumento delle percentuali
di compensazione IVA per alcuni prodotti del settore lattiero-caseario e per gli animali vivi delle specie bovina e suina.
Nello specifico il comma 908 dell’art. 1 della L. n. 208/2015
ha demandato a un decreto interministeriale (MEF e MIPAAF), da adottare entro il 31 gennaio 2016 ai sensi
dell’art. 34 (Regime speciale per i produttori agricoli), comma 1 del DPR n. 633/1972, l’innalzamento delle percentuali
di compensazione che permetterà ai soggetti interessati di
non versare quota parte dell’IVA dovuta sulle cessioni di
prodotti agricoli e ittici effettuate.
Tale meccanismo, che sarà sottoposto al vaglio dell’Unione
europea poiché si presta a essere utilizzato come aiuto di
Stato (art. 107, paragrafo 1 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea), non è nuovo nel nostro ordinamento
tributario.
Le prime percentuali di compensazione dell’IVA “a monte”,
in armonia con i criteri indicati nell’art. 25 della VI direttiva
CEE del 17 maggio 1977, n. 388, sono state previste con
DM 29 marzo 1979 e DM 13 aprile 1979, in misura differenziata per gruppi di prodotti e applicabili sulle cessioni di
prodotti agricoli e ittici compresi nella prima parte della
tabella A allegata al citato DPR n. 633/72, purché effettuate
da produttori agricoli (R.M. n. 697/80). In seguito altre
percentuali di compensazione sono state stabilite con DM 12
maggio 1992, art. 2, comma 6, DL n. 669/1996 (conv. L. n.
30/1997) e DM 23 dicembre 2005.
Il nuovo decreto interministeriale, per espressa previsione
del comma 908, dovrà aumentare per l’anno 2016 le percentuali di compensazione applicabili:
- a taluni prodotti del settore lattiero-caseario in misura non
superiore al 10% (fino al 2015 la percentuale è stata
dell’8,8%);
- agli animali vivi della specie bovina e suina rispettivamente in misura non superiore al 7,7% e all’8% (fino al 2015 le
percentuali sono state rispettivamente del 7% e del 7,3%).
Per i produttori agricoli che adottano il regime speciale IVA
(art. 34, comma 6 del DPR n. 633/1972) le percentuali di
compensazione applicate sugli imponibili delle cessioni di
prodotti agricoli – ma anche sugli importi non imponibili per
le cessioni effettuate fuori dal territorio dello Stato – corrispondono alla detrazione che sostituisce l’IVA sugli
acquisti.
Ne discende che se l’imposta assolta sugli acquisti è inferio/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 26 GENNAIO 2016
re a quella detraibile con le percentuali di compensazione, la
differenza rappresenta un vantaggio per il produttore agricolo, equiparabile a un’integrazione del prezzo.
Ad esempio, poiché per il latte la percentuale di compensazione passerà dall’8,8% al 10% (misura massima), il produttore agricolo non verserà la differenza tra l’IVA addebitata
ai clienti e quella pagata sugli acquisti, ma la differenza fra il
10% e l’8,8%, cioè l’1,2%. Di solito la detrazione dell’8,8%
è superiore all’imposta assolta sugli acquisti da un produttore di latte, con la conseguenza che l’aumento della percentuale di compensazione comporterà l’incremento dell’aiuto o
sovvenzione per il produttore stesso.
In termini numerici, se ipotizziamo un prezzo del latte pari a
0,40 euro al litro ovvero a 40 euro al quintale, si avrà un aiuto (differenza percentuale 1,2%) pari a 0,0048 euro al litro
ovvero a 0,48 euro al quintale. Tale aiuto è riservato soltanto ai produttori agricoli che operano in regime speciale IVA,
con esclusione quindi dei produttori che hanno optato per il
regime di detrazione ordinario.
Il termine di adozione del decreto interministeriale, stabilito
per il 31 gennaio 2016, non può essere considerato semplicemente ordinatorio, dato che i produttori agricoli hanno la necessità di conoscere le nuove misure delle percentuali di
compensazione entro il 16 febbraio 2016, cioè entro la
scadenza per l’effettuazione della prima liquidazione
periodica IVA relativa all’anno 2016.
Si ricordano infine le fattispecie in cui le percentuali di compensazione assumono anche la funzione di aliquota IVA.
La prima è la cessione di prodotti agricoli effettuate da produttori agricoli in regime di esonero IVA, cioè da soggetti
con volume d’affari realizzato nell’anno solare precedente
non superiore a 7.000 euro (art. 34, comma 6 del DPR n.
633/1972). In tal caso, la fattura è emessa dal soggetto acquirente (cessionario) che applica l’imposta nella misura corrispondente alle percentuali di compensazione.
L’altra fattispecie si realizza nell’ambito della cooperativa
(che provvede alla cessione dei prodotti anche previa
manipolazione e trasformazione), con i passaggi di prodotti
agricoli da parte dei soci, purché entrambi i soggetti (socio e
cooperativa) siano in regime speciale IVA.
Naturalmente appena saranno note le percentuali di compensazione i produttori agricoli interessati, che si trovano in regime ordinario IVA, potranno valutare di revocare l’opzione
per tale regime (se è trascorso il periodo triennale), con le
modalità stabilite dal DPR 442/97.
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ancora
IMPRESA
“Tutelato” il diritto agli utili del socio di
società di persone
La Suprema Corte riconosce al socio l’azione diretta, ex art. 2395 c.c., in caso di
mancata presentazione del rendiconto per la relativa approvazione
/ Maurizio MEOLI
Il diritto agli utili del socio di società di persone è al centro
dell’attenzione della sentenza n. 1261 della Cassazione
depositata ieri. I giudici di legittimità, in particolare, dopo
aver ricordato la stretta correlazione che esiste in questo tipo
di società tra diritto agli utili ed approvazione del rendiconto,
sottolineano come dalla mancata presentazione dello stesso
possa derivare un danno diretto al socio, azionabile ai sensi
dell’art. 2395 c.c., dettato in tema di spa, ma applicabile in
via analogica.
Numerosi ed interessanti, peraltro, sono i precedenti di legittimità ripresi per supportare tali conclusioni.
Innanzitutto, come precisato dalle pronunce della Cassazione n. 28806/2013 e n. 1240/1996, per rendiconto deve intendersi la situazione contabile che equivale, quanto ai criteri
fondamentali di valutazione, a quella di bilancio, e che è la
sintesi contabile della consistenza patrimoniale della società
al termine di un anno di attività.
Le sentenze della Suprema Corte n. 1045/2007 e n.
2846/1996, invece, hanno sottolineato come, dal momento
che le società di persone costituiscono un centro di imputazione di situazioni giuridiche distinte da quelle dei soci, ancorché prive di autonoma personalità giuridica, riguardo ad
esse è configurabile una responsabilità degli amministratori
non solo verso la società, ma anche nei confronti dei singoli
soci; ciò in termini sostanzialmente analoghi a quanto
prevedono, in tema di spa, gli artt. 2393 e 2395 c.c.
Alla luce di tali indicazioni, poi, la sentenza della Cassazione n. 16416/2007 ha ulteriormente specificato che la natura
extracontrattuale ed individuale dell’azione del socio, fondata sull’art. 2043 c.c. e sull’applicazione analogica dell’art.
2395 c.c., esige che il pregiudizio non si presenti come il
mero riflesso dei danni arrecati al patrimonio sociale, ma si
sostanzi in danni direttamente causati al socio, come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori.
Ebbene, l’omessa presentazione dei rendiconti, con conseguente mancata attribuzione degli utili al socio, essendo un
comportamento assunto in violazione di norme che stabiliscono diritti dei soci immediatamente azionabili, determina
un danno diretto al socio e lo legittima al ricorso all’azione
in questione (cfr. Cass. n. 2846/1996).
Tale conclusione – sottolinea la sentenza in commento – non
si pone in contrasto con quanto stabilito, in relazione alle società di capitali, nelle sentenze n. 9295/2010 e n.
10271/2004. In tali pronunce la Suprema Corte ha stabilito
che, essendo gli utili parte del patrimonio sociale fin quando
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l’assemblea eventualmente non ne disponga la distribuzione
in favore dei soci, la sottrazione indebita degli stessi ad opera dell’amministratore lede il patrimonio sociale, e solo indirettamente si ripercuote sulla posizione giuridica e sull’interesse economico del singolo socio, compromettendo la sua
aspettativa di reddito e comprimendo il valore della sua quota. Di conseguenza, è stata esclusa, per il singolo socio,
l’azione ex art. 2395 c.c., che presuppone l’esistenza di un
danno subito dallo stesso direttamente, e non come mero riflesso del danno sociale di cui solo la società può chiedere il
risarcimento tramite gli organi abilitati e seguendo il prescritto procedimento.
Il diritto agli utili è conseguenza dell’approvazione del
rendiconto
In relazione a tali profili, infatti, è evidente la differenza tra
le società di persone e le società di capitali. Nelle prime,
l’art. 2262 c.c. prevede che ciascun socio, dopo l’approvazione del rendiconto, ha diritto alla percezione degli utili
(salvo patto contrario). Nelle società di capitali, invece, occorre, a tali fini, la previa deliberazione assembleare ex art.
2433 c.c. ; decisione che, preso atto della sussistenza di utili
in bilancio, ne autorizza la distribuzione. Ed allora, se il diritto agli utili per il socio di società di persone è subordinato
alla sola approvazione del rendiconto, la lesione di detto diretto può essere fatta valere come danno diretto ed immediato proprio in quanto conseguente al mancato assolvimento da
parte dell’amministratore degli obblighi inerenti: presentazione del rendiconto ai fini dell’approvazione e
distribuzione dei relativi utili (ovviamente, ove sussistenti).
Diversa sarebbe, invece, la conclusione nel caso in cui il socio facesse valere in giudizio la mancata percezione degli
utili quale conseguenza di differenti condotte gestorie tenute
dall’amministratore. In tali ipotesi, infatti, il danno lamentato verrebbe a configurarsi come conseguenza del danno arrecato alla società, e solo in seconda battuta al socio.
In conclusione, la sentenza in commento enuncia il seguente
principio di diritto: nelle società personali, il socio può agire nei confronti dell’amministratore per far valere la responsabilità extracontrattuale di questi, in applicazione analogica
dell’art. 2395 c.c. e, ove siano dedotte la mancata presentazione del rendiconto da parte dell’amministratore e la conseguente mancata percezione degli utili, deve ritenersi che il
socio abbia fatto valere il danno a sé diretto ed immediato.
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ancora
IMPRESA
Crisi di gruppo, potere al curatore di
richiedere il fallimento di altre imprese
Il CNDCEC ha proposto la misura in caso di fallimento di un’impresa del gruppo
qualora le altre si trovino in stato di insolvenza
/ Michele BANA
L’art. 3 dello Schema di “Disegno di legge delega recante la
riforma e il riordino delle procedure concorsuali”, elaborato
dalla Commissione istituita dal Ministero della Giustizia, ha
definito i principi cardine della disciplina che dovrà essere
introdotta in materia di crisi ed insolvenza dei gruppi d’impresa (si veda “Crisi d’impresa, necessaria una normativa
per i gruppi” del 18 gennaio).
A questo proposito, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili – in occasione dell’audizione ministeriale del 2 dicembre 2015 – ha proposto alcune
specifiche disposizioni, a partire dalla definizione di “gruppo di imprese”, che dovrebbe essere inteso come il complesso delle imprese, anche non societarie, legate da rapporti di
controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c., e soggette ad una direzione comune. Sotto quest’ultimo profilo, è richiamata l’applicabilità dell’art. 2497-sexies c.c., secondo cui, salvo prova
contraria, l’attività di direzione e coordinamento di società si
presume esercitata dalla società o dall’ente tenuto al
consolidamento dei loro bilanci, o che comunque le controlla
a norma del predetto art. 2359 c.c.
Il CNDCEC si è soffermato, in particolare, sul fallimento di
un’impresa del gruppo (c.d. liquidazione giudiziale, secondo
il disegno di legge delega), ritenendo indispensabile attribuire al curatore il diritto di richiedere al tribunale – su parere
conforme del comitato dei creditori – il fallimento di altre
imprese del gruppo, qualora si trovino in stato di insolvenza,
e sussistano consistenti ragioni idonee a far ritenere che la
gestione unitaria delle crisi delle imprese coinvolte consenta
un migliore soddisfacimento delle ragioni di tutti i creditori.
Sono, inoltre, esaminate alcune particolari casistiche che
possono verificarsi, come le c.d. procedure integrate di
gruppo, ricorrenti nel caso di fallimenti aperti, anche in tempi successivi, dal medesimo tribunale, nei confronti di imprese differenti appartenenti al medesimo gruppo: al ricorrere di tale ipotesi, è ritenuta necessaria la nomina del medesimo giudice delegato preposto alla procedura aperta per pri-
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 26 GENNAIO 2016
ma, restando, peraltro, diversi i rispettivi comitati dei creditori.
Procedure integrate di gruppo con stesso giudice
Diversamente, in presenza delle c.d. procedure coordinate
di gruppo, rappresentate da una plularità di fallimenti
dichiarati da tribunali differenti, a carico di imprese
ricomprese nella medesima aggregazione, il CNDCEC
auspica l’introduzione – in capo ai rispettivi curatori –
dell’obbligo di reciproca informazione e cooperazione. In
particolare, è raccomandata la statuizione del dovere di
comunicare, senza ritardo, qualsiasi informazione che possa
essere utile alle altre procedure, con riguardo
all’insinuazione e alla verifica dei crediti, nonché alle
prospettive di chiusura, anche tramite concordato, della
procedura.
È, inoltre, proposto di riconoscere ai curatori, previo parere
favorevole dei rispettivi comitati dei creditori, la facoltà di
stipulare protocolli d’intesa, soprattutto per coordinare
eventuali azioni di recupero o risarcitorie, la definizione e lo
svolgimento di rapporti infragruppo, e il perfezionamento di
soluzioni compositive. Tali protocolli, ad avviso del
CNDCEC, dovrebbero, inoltre, essere approvati dai rispettivi
giudici delegati, con la conseguente autorizzazione
all’esecuzione degli atti ad essi conformi: questi magistrati,
pertanto, potrebbero, a propria volta, instaurare, forme di
consultazione e coordinamento fra di loro, eventualmente
attribuendo ad uno di essi funzioni di impulso o raccordo.
Alla luce delle suddette previsioni, è pure prospettato il
riconoscimento del potere del tribunale e del curatore – al
fine di accertare l’esistenza di rapporti di gruppo,
analogamente a quanto già stabilito dall’art. 3 del disegno di
legge delega – di richiedere informazioni alla Consob e ad
ogni altro pubblico ufficio, da evadere entro 15 giorni dalla
relativa domanda.
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ancora
FISCO
In arrivo nuove regole per il prestito sociale
nelle cooperative
Si è conclusa la consultazione pubblica della Banca d’Italia sulla revisione della raccolta
del risparmio dei soggetti diversi dalle banche
/ Luca BAGNOLI e Serena BITOSSI
Il prestito sociale rappresenta un istituto tipico per il settore
cooperativo che si affianca alla sottoscrizione di capitale sociale, per sua natura limitata in quanto l’entità non incide sul
diritto di voto e soggiace altresì al rischio d’impresa. Si tratta di un fenomeno di notevole importanza, che riguarda circa 1,3 milioni di soci e circa 15 miliardi di euro di prestiti.
Il 19 novembre 2015 è stato pubblicato sul sito della Banca
d’Italia il Dossier della consultazione pubblica relativa alla
revisione della disciplina regolamentare della raccolta del
risparmio dei soggetti diversi dalle banche contenuta nella
circolare n. 229/99.
In base al testo provvisorio posto in consultazione, la Banca
d’Italia ipotizza di intervenire con riferimento alla disciplina
del prestito sociale nelle società cooperative come segue:
- il valore del patrimonio da assumere a riferimento per il
calcolo del rapporto CICR sarà quello risultante dal bilancio consolidato, qualora la società abbia l’obbligo di redigerlo. In mancanza di un bilancio consolidato, il valore del
patrimonio individuale dovrà essere rettificato degli effetti
derivanti da operazioni con società del gruppo. Tali rettifiche devono essere illustrate in un prospetto incluso nella nota integrativa;
- è eliminata la possibilità di computare nel patrimonio un
ammontare pari al 50% della differenza tra il valore degli
immobili strumentali ai fini dell’imposta locale sugli immobili e il valore di carico in bilancio degli stessi. Pertanto,
l’eventuale rivalutazione degli immobili potrà essere utile ai
fini dei limiti di raccolta soltanto se e nella misura in cui si
rifletta nelle valutazioni di bilancio (consolidato o individuale a seconda dei casi, come sopra esposto);
- vengono previste nel dettaglio le informazioni minime da
inserire nel regolamento sul prestito sociale;
- vengono previsti nel dettaglio i contenuti dell’informativa
da inserire nella Nota integrativa al bilancio e nelle relazioni
semestrali;
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 26 GENNAIO 2016
- vengono disciplinate in modo dettagliato le caratteristiche
della garanzia da attivare obbligatoriamente nei casi di
cooperative con numero di soci superiore a 50 il cui
ammontare di raccolta supera il rapporto CICR.
Più in generale, per tutti i soggetti diversi dalle banche che
effettuano raccolta del risparmio (quindi anche per le società cooperative), con l’inderogabilità del preavviso di 24 ore
verrà rafforzato il divieto di rimborso “a vista” del risparmio raccolto e il divieto di pubblicizzarlo come tale.
Non verrebbero invece modificate le sezioni inerenti la
raccolta del risparmio (anche da parte delle società
cooperative) presso i propri dipendenti e nell’ambito dei
gruppi (ivi compresi i c.d. “gruppi cooperativi” che fanno
capo alle cooperative “finanziarie” non operanti fra il
pubblico).
Uno dei punti deboli rimasti nel testo della circolare n. 229,
ormai del tutto anacronistico tenuto conto dell’inquadramento giuridico delle società cooperative tra le società di capitali, e dell’obbligo di redazione del bilancio secondo il formato CEE, è il riferimento al “patrimonio” come sommatoria di
capitale sociale, riserva legale e riserve disponibili ivi comprese quelle indivisibili, così definito dalla nota 2, sez. V in
comb. disp. con il par. 2, sez. I del cap. 2, Titolo IX delle Disposizioni. Lo stesso Ministero dello Sviluppo economico,
quale Autorità di vigilanza sugli enti cooperativi, nella parte
del verbale che accerta il rispetto del rapporto CICR, fa infatti riferimento al patrimonio netto dell’ultimo bilancio
approvato (DM 23 febbraio 2015, All. 1, punto 31), dato
ovviamente più prudenziale, nell’ottica della tutela dei
risparmiatori, perché tiene conto anche delle poste negative
(perdite d’esercizio e perdite pregresse).
La consultazione si è conclusa il 18 gennaio 2016. Si
attende a questo punto l’emanazione della normativa
definitiva da parte della Banca d’Italia, tenuto conto dei
commenti pervenuti nel corso della consultazione.
/ 10
ancora
FISCO
Indeducibilità assoluta per gli interessi sul
prestito sociale
La regola richiamata al comma 6 dell’art. 96 del TUIR è prioritaria rispetto al
meccanismo di deducibilità generale
/ Luca BAGNOLI e Serena BITOSSI
Il prestito sociale, particolare forma di finanziamento per le
cooperative, è disciplinato sia sotto il profilo tributario, attraverso un peculiare trattamento fiscale, sia sotto il profilo
bancario, con finalità di tutela del socio in quanto risparmiatore. Fiscalmente, l’art. 13 del DPR 601/73 fissa le seguenti
condizioni:
- il prestito sociale deve essere impiegato solo per il conseguimento dell’oggetto sociale;
- la raccolta non può superare un limite massimo individuale,
adeguato ogni tre anni in base alle variazioni dell’indice
ISTAT: per il 2016-18 il limite è 73.054,21 euro per ciascun
socio di cooperative di manipolazione, trasformazione, conservazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, di
produzione e lavoro, nonché di abitazione, mentre è pari a
36.527,10 euro per le altre cooperative;
- gli interessi corrisposti non possono superare la misura
massima degli interessi dei buoni postali fruttiferi
maggiorata di 2,5 punti.
Se il prestito sociale soddisfa queste condizioni, gli interessi
versati ai soci persone fisiche residenti – cooperatori e sovventori, esclusi i sottoscrittori di azioni di partecipazione
cooperativa – sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di
imposta del 26%.
In capo alla cooperativa gli interessi sul prestito sociale soggiacciono, prima che al meccanismo di deducibilità generale
di cui all’art. 96 del TUIR, a una regola di indeducibilità assoluta richiamata al comma 6 dello stesso articolo. L’art. 1
comma 465 della L. 30 dicembre 2004 n. 311 prevede che
gli interessi sulle somme che i soci persone fisiche versano
alle società cooperative e loro consorzi, alle condizioni
previste dall’art. 13 del DPR 601/73, “sono indeducibili per
la parte che supera l’ammontare calcolato con riferimento
alla misura minima degli interessi spettanti ai detentori dei
buoni postali fruttiferi, aumentata di 0,90”.
Sotto il profilo della disciplina bancaria, secondo l’art. 11
comma 3 del DLgs. 385/93 (TUB) non costituisce raccolta
pubblica di risparmio quella presso specifiche categorie
individuate dal CICR in ragione di rapporti societari o di
lavoro. Con riferimento alle società (deliberazioni CICR 19
luglio 2005 n. 1058 e 22 febbraio 2006 n. 240), si ammette
tale raccolta purché sia prevista nello statuto e sia preclusa la
raccolta di fondi a vista e ogni forma di raccolta collegata
all’emissione o alla gestione di mezzi di pagamento. Per le
cooperative la raccolta tra i soci è ammessa senza limiti di
sorta qualora non abbiano più di 50 soci.
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 26 GENNAIO 2016
Per le società cooperative con più di 50 soci, l’ammontare
complessivo della raccolta non deve eccedere il triplo del
patrimonio:
- dato da capitale sociale, riserva legale e riserve disponibili
risultanti dall’ultimo bilancio approvato, comprese le riserve
indivisibili. Nel patrimonio (circ. Banca d’Italia 21 aprile
1999 n. 229) può essere computato il 50% della differenza
tra il valore degli immobili di proprietà ai fini dell’imposta
locale sugli immobili e quanto risultante dal bilancio al netto degli ammortamenti.
- escluse prudenzialmente le perdite d’esercizio;
- e inclusa la parte di utili d’esercizio destinata dall’assemblea a riserva.
Tale limite viene elevato al quintuplo qualora la raccolta sia
assistita, per almeno il 30%, da garanzia rilasciata da
soggetti vigilati dalla Banca d’Italia, ovvero quando la
società aderisca a uno schema di garanzia dei prestiti sociali
disciplinato dalla Banca d’Italia.
Attualmente, in attesa di quanto verrà statuito dalla Banca
d’Italia (si veda “In arrivo nuove regole per il prestito sociale nelle cooperative” di oggi), una cooperativa per ricorrere
al prestito sociale dovrà inserire un’apposita clausola nello
statuto e far approvare all’assemblea il regolamento di
funzionamento del prestito sociale (in assenza di altre
indicazioni, preferibilmente con le maggioranze previste per
le assemblee straordinarie ai sensi dell’art. 2521 u.c. c.c.).
Inoltre, la società cooperativa all’interno della Nota integrativa dovrà: indicare nella voce 12 suddivisione di interessi e
altri oneri finanziari gli interessi corrisposti sul prestito sociale, dimostrando il rispetto dei limiti massimi di remunerazione nonché di quelli di deducibilità; informare, a integrazione della voce 19-bis finanziamenti effettuati da soci alla
società, circa la consistenza del prestito sociale, evidenziando il rispetto dei limiti di raccolta complessiva (triplo del patrimonio eventualmente integrato del differenziale di valore
degli immobili, garanzia da parte di soggetti vigilati Banca
d’Italia, adesione a uno schema di garanzia) e per singolo socio; documentare il rispetto del vincolo di esclusivo impiego per il conseguimento dell’oggetto sociale.
Infine, la cooperativa, in attuazione dell’art. 2 comma 36septiesdecies del DL 138/2011, deve comunicare all’Amministrazione finanziaria l’elenco dei soci che hanno effettuato
finanziamenti o apporti in denaro a qualsiasi titolo nonché il
relativo importo, ove superiori a 3.600 euro (provv. Agenzia
delle Entrate nn. 166485/2011 e 94904/2013).
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ancora
LETTERE
Tra legge di stabilità e invio dei dati sanitari,
quando ci faremo sentire?
Gentile Redazione,
nei giorni festivi d’inizio anno, nel calore familiare, ho affrontato lo studio delle nuove norme. La compagnia di un
brano dei Pink Floyd mi ha fatto riflettere: Is there anybody
out there?
C’è qualcuno là fuori?
Da tempo non leggo lettere di colleghi nella consueta rubrica.
Nessun commento alla legge di stabilità, al discorso di fine
anno del Presidente Mattarella, ai nuovi obblighi sulle spese
mediche. Nulla!
C’è qualcuno là fuori?
Allora, questa volta, la lettera la scrivo io!
Legge di stabilità: abbiamo raggiunto mille commi! Alla
faccia della chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie.
È tale il disprezzo dei politici nei confronti dei cittadini/sudditi, che ogni legge calpesta forme e diritti precedenti, ovviamente nel rispetto del gettito fiscale. Esisterà sicuramente
una norma che avrà rimediato a queste mie osservazioni, che
io ignoro, in deroga allo Statuto del contribuente; resta comunque il fatto che sia una legge illeggibile.
Io non riesco a capire come sia possibile accettare tutto questo supinamente.
È tale il timore, nostro e dei nostri rappresentanti, che
dimentichiamo che politici e funzionari pubblici sono nostri
dipendenti e che sarebbe nostro precipuo dovere pretendere
almeno il rispetto! Quello di scrivere una legge a modo!
Discorso del Presidente della Repubblica: è uno degli appuntamenti che non puoi evitare, forse perché poi ti chiedono cosa pensi dell’evasione fiscale, ora che ne ha parlato il
Presidente.
E qui io penso: ma davvero il Presidente ha così poca dimestichezza col tema evasione fiscale?
Ma davvero il nostro Consiglio nazionale non ha chiarimenti ufficiali da dare al Presidente, o ai politici sempre in tv?
Che so, spiegare che se recuperiamo 60 miliardi di evasione,
per assumere 325.000 persone, la pressione fiscale, già alta,
diventa stratosferica, così come la spesa pubblica?
Oppure dobbiamo delegare i chiarimenti a Confindustria?
Obblighi sulle spese mediche: ovvero come fornire i dati dei
nostri malanni all’Agenzia.
Va bene che esiste il DLgs. 175/2014 per imporre tale obbligo agli esclusi dal Sistema TS, ovvero medici privati, per visite private; va bene che esiste il Parere del Garante della
privacy; va bene che esiste un provvedimento che concede al
suddito, pardon contribuente, il diritto a non “far comunicare” i propri dati, ma solo dal 2016 (salvo corsa ad ostacoli
per il 2015), ma: a cosa servono tutti questi dati inutili?
Sì, perché ad esser chiari, lo scorso anno solo l’1% dei contribuenti ha aderito al 730 precompilato; a nessuno interessa
questa interferenza dell’Agenzia! È ovvio il perché: l’Agenzia non ha tutti gli oneri del contribuente. Quindi il meccanismo è semplice: i contribuenti rinunciano alle detrazioni in
cambio del salvacondotto dell’Agenzia e lo Stato incassa le
conseguenti imposte!
Sudditi sì, fessi no!
E soprattutto, perché l’Agenzia deve conoscere le nostre malattie?
Sì, perché è ovvio che se vado dallo psichiatra ho certi problemi; dov’è il mio diritto alla privacy? Perché lo psichiatra
deve inviare i dati e lo psicologo no?
Perché l’officina protesica sì e l’ottico no?
Che sia un modo per dire che queste spese non sono più detraibili? O non lo saranno domani?
Se così non è, che senso ha inviare solo parte dei dati
all’Agenzia? L’insuccesso è assicurato! E i costi di tale
insuccesso? Nostri!
Esiste altro motivo per cui l’Agenzia debba venire in possesso di questi dati?
Esiste una ragione per cui il nostro Consiglio nazionale
esponga noi commercialisti a un lavoro così “estraneo” ai
nostri compiti, pena l’abbandono dei nostri clienti alle loro
disavventure?
Dobbiamo aspettare la CGIA di Mestre per le osservazioni
del caso o ci decideremo a creare un Centro Studi in grado di
avere notorietà nazionale?
Il nostro Consiglio nazionale farà mai sentire la sua voce su
argomenti importanti o si occuperà “solo” di deontologia?
Is there anybody out there?
Stefano Pietretti
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili
di Firenze
Direttore Editoriale: Michela DAMASCO
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