Influenza dei colori: cenni storici

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Influenza dei colori: cenni storici
I PRIMI PASSI
La tradizione popolare ha sempre raccontato ai bambini che ai piedi dell’arcobaleno è
nascosto un tesoro. Il tesoro esiste ed è rappresentato dalla scomposizione della luce e
dalla percezione di tutte le lunghezze d’onda del visibile, contenute in quei sei colori,
che, mischiati tra di loro, donano il cromatismo con cui è dipinto l’universo. E poiché
di questo tesoro è intessuta la storia di tutti i popoli della Terra, ho ritenuto
interessante condurre una breve ricerca sull’influenza che il colore ha esercitato negli
usi e costumi, nell’evoluzione socio-culturale, psicologica e religiosa della civiltà,
soprattutto occidentale, con riferimenti alle acquisizioni tecniche della lavorazione dei
pigmenti e alle relative implicazioni economiche.
Fin dall’inizio del Paleolitico superiore (40 000-10 000 a.C.), l’uomo ha imparato a
produrre pigmenti e a mischiarli a leganti, per creare quelle affascinanti pitture
primitive, miracolosamente giunte fino a noi, che si possono ancora ammirare in
diverse grotte. Non si sa nulla sulle tecniche del Paleolitico superiore. Solo con
l’osservazione si possono fare alcune deduzioni: i pigmenti sono prodotti con
carbonato di calcio, polvere di carbone, ocre rosse e gialle derivate da ossidi metallici,
terre e coloranti vegetali. I leganti sono certamente di tipo organico: latte, resine,
albume d’uovo, urina, grassi animali e succhi vegetali. Le figure sono rappresentate
con o senza contorno. Il colore è deposto con le dita o con tamponi vegetali o di pelo
animale; a volte la tinta sembra spruzzata con la bocca.
Arte paleolitica, (20 000-25 000 a.C.), pitture rupestri di Pech-Merle, Francia
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Terminata la glaciazione del Wurm (circa 10 000 a.C.), l’uomo deve adattarsi a
notevoli mutamenti ambientali. Questo periodo, detto Mesolitico (10 000-3 500 a.C.),
vede la scomparsa di parte della fauna adattata al freddo come il mammut. Il lupo
viene addomesticato e si crea con l’uomo un rapporto di mutuo soccorso. L’uomo
orienta la propria dieta verso il consumo delle granaglie e diventa agricoltore; nello
stesso tempo sviluppa l’allevamento di alcuni animali da cui può ottenere prodotti utili
come il latte e la lana. La conseguenza di una dieta ricca di carboidrati favorisce
l’aumento delle popolazioni che hanno scelto la sedentarietà. Infine l’uomo, oltre a
seminare i campi e ad allevare gli animali, impara a filare le fibre e a tessere.
I TESSUTI E LE TINTURE
Per comprendere l’influenza che il colore ha avuto fra gli individui di un determinato
gruppo sociale, è bene considerare i rapporti con il materiale tessile.
Le pitture sul corpo risalgono alla notte dei
tempi, ma la tintura dei tessuti è relativamente
recente; le prime manifestazioni si hanno alla
fine del Mesolitico. I primi colori usati nella
tintura sono i rossi in tutti i loro toni e le tinte
a questi collegabili, come gli ocra e i rosa.
La materia prima è data dalla robbia (rubia
tinctorum), detta anche garanza. La sostanza
colorante si estrae dalle radici (alizarina) e, in
tintura, entra profondamente nelle fibre
creando resistenza agli agenti atmosferici.
Robbia comune o garanza (Rubia tinctorum).
IL BIANCO – IL ROSSO –IL NERO
Nelle società antiche prevalgono, per molto tempo, tre colori: il rosso che rappresenta
il colorato, il bianco che esprime il non tinto, ma pulito, e il nero che è indice di
sporco o di scuro. Gran parte dei costumi tradizionali contiene questa triade.
Il tingere sia di bianco che di nero è un esercizio difficile. Per il bianco si cerca di
sbiancare i tessuti esponendoli per molto tempo alla luce del sole e bagnandoli con
acqua fresca, ma il procedimento è lungo e di scarsi risultati; dopo un certo tempo, il
tessuto ritorna ad avere il colore originale, grigio chiaro o écru. Per il nero
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probabilmente sono utilizzate le noci di galla ricche di tannino, generate sulle querce
da insetti cinipidi (Imenotteri terebranti).
Per molti secoli, la società sarà influenzata, sul piano simbolico e sociale, da questi tre
colori; in seguito, la presenza del giallo, del blu e del verde non andrà a modificare la
simbologia sociale. Solo tra il XII e il XIII secolo, la cultura occidentale accetterà il
sistema cromatico basato su sei colori.
LE PRIME CIVILTA’ OCCIDENTALI
In Grecia i colori dominanti sono il bianco, il giallo, il rosso, il nero e l’oro.
Nella lavorazione del mosaico, venuta dall’oriente, abbiamo una tavolozza più ampia
fatta anche di verdi e di azzurri. Il blu si trova più di frequente in scultura e in
architettura come base per opere policrome.
Il blu è molto utilizzato presso i popoli, chiamati barbari dai Romani, come i Celti e i
Germani, i quali avevano imparato a estrarre questa tinta dal guado, pianta molto
diffusa nel centro Europa; con questo pigmento tingevano le loro vesti e dipingevano i
loro corpi per spaventare i nemici durante i combattimenti.
Il guado è una pianta erbacea della famiglia delle
crocifere (Isatis tinctoria) dalle cui foglie
macerate si ottiene la sostanza colorante blu.
Questa pianta era già conosciuta dagli antichi
Egizi che la usavano in medicina e anche dai
Romani per le virtù medicamentose e
antisettiche.
Guado (Isatis tintoria). 
Nella Roma antica e nel Medio Evo i colori
valorizzanti, che ruotano attorno alla vita sociopolitica e religiosa, restano il bianco, il nero, il
rosso e il porpora. Il blu non rappresenta quasi
nulla, ancor meno del verde, che è simbolo della
natura e del destino degli uomini; esso resta
presente negli abiti e nelle cose della vita
quotidiana delle classi più deboli.
A Roma, il blu, in tutte le sue sfumature, ricorda i barbari; pertanto nella società
romana assume un valore negativo. Avere gli occhi blu, tanto apprezzati oggi, diventa
una disgrazia: sia gli uomini che le donne sono considerati poco affidabili e di dubbio
comportamento
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IL ROSSO PORPORA
Il colore del potere è il rosso porpora, che, nell’epoca imperiale, è il colore per
eccellenza, inimitabile, indelebile ai lavaggi e agli agenti atmosferici. Esso resta per
lungo tempo riservato all’uso regale e sacerdotale; solo in seguito, diverrà status
simbol anche per gli aristocratici e per i ricchi mercanti.
Horace Fernet, Giulio II
ordina i lavori in
Vaticano, 1827, Parigi,
Musée du Louvre.

Il rosso porpora è un bel colore che può andare dal rosso scarlatto al rosso cupo, in
funzione della diluizione che può avere in acqua marina.
Esso era ricavato da un mollusco monovalve, il murice comune (Haustellum
brandaris), di cui erano ricchi i bassi fondali del Mediterraneo.
Si pensa che la pesca fosse effettuata tramite nasse contenenti esche. I molluschi poi
erano conservati in vasche costruite alle
periferie delle città; qui veniva rotta la
conchiglia poiché il colorante si trova in una
ghiandola del mollusco. Ogni mollusco
fornisce una sola goccia di colorante e per
questo è molto prezioso: ne servono circa un
milione per ottenere 120 grammi di porpora.

Murice.
Sulle sponde del Mediterraneo sono ancora visibili le montagne di conchiglie lasciate
dai Fenici come scarto della lavorazione. La produzione e la commercializzazione
della porpora era talmente importante da identificare il colore prodotto (Phoenix) con
il nome della regione di provenienza: Fenicia.
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IL COLORE E LE OPERE D’ARTE
Il colore ha sempre giocato, nel mondo antico, un ruolo importante sia
nell’architettura sia nella scultura, oltre che nella decorazione parietale. Solo il tempo
e i cattivi interventi di restauro hanno cancellato ogni traccia di colore: i restauratori
consideravano che i pochi residui di pigmento deturpassero l’omogeneità della visione
dell’opera.
Il colore spesso corrispondeva a una simbologia e quindi aveva una funzione
didascalica per facilitare la lettura dell’opera. L’immagine che ora noi abbiamo
dell’architettura e della scultura dell’antichità è priva di colore. Questa deformazione
dell’immaginario collettivo, causata soprattutto dalla presenza nei musei di statue
rigorosamente bianche, è stata messa in discussione dalla seconda metà dell’ottocento,
con una rilettura critica delle fonti e delle stesse opere d’arte.
Galleria delle
Statue, Musei
Vaticani.
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I COLORI E LA LITURGIA
All’inizio dell’era cristiana i colori principali per il culto sono sempre quelli prevalenti
nelle società precedenti.
Il bianco, certamente il più utilizzato, rappresenta la purezza, l’innocenza, la
conversione, la resurrezione e la gloria della vita eterna. Il rosso simboleggia la
passione, il martirio, il sacrificio e l’amore divino; il nero l’astinenza, la penitenza e
l’afflizione.
Dall’età carolingia, VIII secolo, un certo lusso entra in chiesa e i colori liturgici si
arricchiscono dell’oro e di altri colori come il verde, il viola e il giallo.
Fino al XII secolo la liturgia è in gran parte sotto il controllo dei vescovi e quindi il
simbolismo dei colori è spesso legato alle tradizioni locali delle varie diocesi.
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Con l’avvento di Innocenzo III al soglio pontificio (1198), la Chiesa assume una
nuova organizzazione su basi monarchico-assolutistiche. I suoi scritti precedenti,
riguardanti la liturgia e la funzione dei colori (1194-95), fanno scuola e ciò che è
valido a Roma si diffonde in tutte le diocesi. Come tutti i predecessori, anche
Innocenzo III non parla mai del colore blu, escludendolo in tal modo dalla liturgia.
ICONOLATRI E ICONOCLASTI
Da prima dell’età carolingia fino al XII-XIII secolo, nella Chiesa sorgono numerose
controversie, che riguardano la presenza delle immagini e dei colori all’interno degli
edifici sacri.
Il movimento iconoclasta sorge a Costantinopoli con l’imperatore Leone III Isaurico
(717-741), che, con un decreto del 726, intende contrastare gli abusi e la potenza
monastica. A tale decisione non è estranea una concezione religiosa dualistica, dovuta
all’influsso musulmano ed ebraico, contraria alla rappresentazione della divinità. Solo
alla metà del IX secolo, con l’imperatrice Teodora, riprende il culto delle immagini.
Per molti teologi medievali, la luce è la
parte del mondo materiale visibile e al
tempo stesso immateriale, quindi, se il
colore è luce, scaccia le tenebre e avvicina
l’uomo a Dio. Per altri, il colore è
pigmento, una sostanza materiale, un
artificio umano che, come tale, deve essere
scacciato dal tempio, perché immorale e di
ostacolo verso Dio. Queste dispute
teologiche e speculative attraversano i
secoli e giungono fino a noi, influenzando,
e spesso modificando, i canoni estetici di
ogni tempo.
Sainte-Chapelle, interno, 1248, Parigi.
Ad esempio, il colore della veste della Vergine Maria si modifica nel tempo. Fino
all’undicesimo secolo, la veste è rappresentata con colori cupi: nero, grigio, bruno,
viola o verde scuro, colori di afflizione e di lutto. Per tutto il periodo gotico e
rinascimentale prevale il blu, poi nel periodo barocco subentra l’oro, che rappresenta
la luce divina. Nel 1850, con il dogma di Pio IX dell’Immacolata Concezione, il
colore iconografico diviene il bianco, che si sovrappone così a quello liturgico,
simbolo di purezza e di verginità.
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L’ARALDICA E I COLORI
Attorno alla metà del XII secolo, il re di Francia, nel suo stemma, inserisce il
fiordaliso, simbolo della Vergine Maria, protettrice della dinastia capetingia, in campo
blu. In seguito questo colore sarà adottato anche dal re d’Inghilterra e da molti nobili.
Anche Artù, re leggendario del medio evo, dal XIII secolo, è rappresentato vestito di
blu, con uno scudo con tre corone d’oro in campo blu. L’espansione di questo colore
nell’abbigliamento è dovuta anche ai progressi delle tecniche di tintura, che mettono a
disposizione blu e azzurri saturi e brillanti. Il rosso, da sempre simbolo del potere,
perde terreno, ma resta ancora simbolo dell’Impero e della Chiesa.
I Nove Prodi, particolare, 1420 circa, Castello della Manta, Saluzzo, Cuneo.
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PRODUZIONI E TERRITORI
Dal XIII secolo, la produzione dei pigmenti per la tintura dei tessuti assume una
portata sempre più ampia. Le operazioni per ottenere i pigmenti e per raffinarli sono
inquinanti, malsane e maleodoranti, come pure la coloritura dei tessuti e delle pelli: tra
tessitori, conciatori e tintori nascono problemi che la legislazione locale deve
disciplinare. Le associazioni di categoria e le autorità locali impongono regole molto
precise, non solo sui coloranti da usare, ma anche relative al luogo dove lavorare e alle
acque da utilizzare. I tintori del rosso si possono occupare anche della gamma dei
gialli, mentre quelli del blu hanno la possibilità di tingere anche in verde e in nero. Per
ottenere un arancio o un verde, si devono utilizzare pigmenti direttamente dalla
natura: mischiare le tinte è considerato un procedimento scorretto, perché contro
natura.
Le controversie tra tessitori e tintori sono frequenti: a volte i tessitori, che non hanno
diritto di tingere, lo fanno di nascosto o adducono la scusa di autorizzazioni comunali
o signorili, per colori nuovi venuti di moda. Poiché le lavorazioni hanno necessità di
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acqua pulita, tra conciatori e tintori nascono spesso dispute, che riguardano in
particolar modo gli ordinamenti relativi all’accesso alle acque.
Molte città europee tra il 1200 e il 1600 si arricchiscono con la tessitura e la tintura dei
tessuti. A questo proposito va ricordata la città di Erfurt in Germania, che, in quel
periodo, conta circa 20.000 abitanti. Qui si produce il colorante blu, che si ottiene dal
guado. La città diviene in breve tempo il più grande mercato di guado in Europa.
Attorno ad essa, in circa 300 paesi, si
coltiva questa pianta e il solo mercato in
cui si può vendere è la piazza di Erfurt,
dove ogni passaggio di lavorazione è
soggetto a nuova tassazione. La città
diventa così ricca da poter fondare, nel
1392, un’università, una delle più antiche
d’Europa. Tra il 1501 e il 1505, Martin
Lutero studia all’università di Erfurt e
consegue la laurea in filosofia.
Vecchia macina da guado.
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LEGGI SUNTUARIE
Fin dall’antichità greca e romana si ritrovano delle leggi, dette suntuarie, destinate alla
limitazione degli eccessi del lusso; queste durano a lungo, nel tentativo di frenare la
ricchezza eccessiva ed esibita. Col passare del tempo, queste leggi, attraverso
l’apposizione di simboli e colori, sono utilizzate con scopi differenti: per segnalare le
classi sociali o per indicare i ceti più deboli e disagiati.
A Costantinopoli, durante l’impero d’oriente, la produzione serica e della porpora è
severamente controllata da editti imperiali che ne limitano l’uso ai ceti dominanti.
In Italia, le prime leggi suntuarie, di cui si ha notizia, riappaiono nel duecento: ai
trasgressori di tali leggi si applica una pena pecuniaria o si vieta l’assoluzione in
chiesa. Dal cinquecento le leggi sono utilizzate per colpire le classi più deboli o alcuni
gruppi etnici; costoro non possono indossare abiti con coloriture sature e intense. Agli
ebrei è imposto un cappello a punta o un contrassegno colorato sul braccio, alle
prostitute è vietato l’uso di abiti appariscenti e, a volte, a seconda dei luoghi, viene
loro imposto di indossare vesti o accessori di determinati colori. In pratica, tutti gli
individui delle classi sociali più deboli, come i mendicanti, i malati, i musici, i
giocolieri, i vagabondi, gli spergiuri, i bestemmiatori e altri, sono costretti a vestire
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abiti con particolari segni cromatici. Gli eretici devono indossare abiti penitenziali,
solitamente gialli. Questo colore, dalla metà del medioevo, è legato ai traditori, ai
truffatori e a tutti coloro che, con l’inganno, carpiscono la fiducia altrui. Il giallo nella
cultura medievale occidentale è il colore assegnato a coloro che si vuole condannare o
escludere, come gli ebrei. Già da allora questo colore è sulla stella di Davide, ripresa
poi dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. A differenza del mondo
occidentale, quello orientale vede nel giallo un simbolo positivo legato al potere, alla
ricchezza e alla saggezza; a lungo fu il colore dell’imperatore della Cina.
Pieter Bruegel, I ciechi, 1568, Gallerie Nazionali di Capodimonte a Napoli.
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COLORE E VISIBILITA’ SOCIALE
Durante il XIII e il XIV secolo nasce una nuova classe sociale urbanizzata, formata da
ricchi borghesi i quali, col passare del tempo, dispongono di patrimoni sempre più
consistenti. Le leggi suntuarie tendono a limitare in costoro l’ostentazione della
propria posizione sociale attraverso il vestiario, vietando l’accesso a tessuti particolari
e a colori intensi, quali i blu e gli scarlatti veneziani. La nuova classe emergente inizia
a vestirsi di nero, colore giudicato fino allora di scarso interesse, anche perché non
bello e intenso come oggi lo conosciamo. I nuovi utilizzatori sono ricchi e quindi la
richiesta di nuovi neri più saturi, più stabili e più vivi spinge i tintori a soddisfare
queste esigenze. In breve tempo il mercato si arricchisce di questa nuova tinta,
permettendo la nascita della moda del nero.
I nuovi patrizi possono così soddisfare i loro gusti, rispettando le leggi suntuarie.
L’uso nel vestiario del nero piace anche alle classi dominanti, quindi entra nel
guardaroba dei regnanti, di tutta la nobiltà e del clero.
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Nel XV secolo il nero consolida la propria
presenza e trascina con sé altri colori
considerati umili: la gamma dei grigi.
Il successo del nero continua nei secoli
successivi e, con la Riforma protestante,
diviene il colore morale per eccellenza,
adatto al buon cristiano.
Alla vigilia della rivoluzione francese, i
borghesi si presentano, all’apertura degli
Stati Generali, in abito nero e cravatta
bianca,
indumenti
imposti
loro
dall’aristocrazia, per umiliarli. Il contrasto
provoca l’effetto opposto e i semplici abiti
diventano simbolo di pulizia morale e di
nuovi ideali.
Giovanni Battista Moroni, Il conte Pietro Secco
Suardi, 1560 ca., Galleria degli Uffizi, Firenze.
RIFORMA E CONTRORIFORMA
Con la Riforma luterana (1517) e la Controriforma del Concilio di Trento (1545-63),
risorgono le vecchie tensioni, in parte affievolite, sulla presenza del colore nelle
chiese. Per i protestanti, e in particolar modo per i calvinisti, ciò non è accettabile: il
colore è materia, è impuro e non rappresenta Dio, quindi deve uscire dai luoghi sacri.
Il rosso, simbolo del sangue di Cristo, per molti secoli colore per eccellenza della
chiesa, viene visto, e quindi rifiutato dai riformatori, come immagine del lusso e della
corruzione di Roma. Per Lutero, nel tempio non deve entrare la vanità umana; per
Calvino, c’è posto solo per la parola di Dio.
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Pieter Paul Rubens, Ritratto di Suzanne
Fourment (part.), 1622 ca., National
Gallery, Londra.
Il contrasto di idee e la tendenza
umana a imporre il proprio ideale
porteranno, al di là della morte di
milioni di persone, alle guerre di
religione, a un periodo nero per
l’intera Europa, alla spogliazione di
migliaia di edifici di culto e alla
distruzione di opere d’arte. Importante
è osservare l’atteggiamento degli
artisti nei decenni successivi alla
Controriforma: la loro tavolozza
spesso varia a seconda della diversità
delle confessioni e della sensibilità
religiosa.
E’ interessante mettere a confronto due tra i maggiori pittori fiamminghi che lavorano
tra la fine del XVI e la metà del XVII secolo.
Pieter Paul Rubens (1577-1640),
pittore cattolico, utilizza una
tavolozza basata su colori luminosi,
brillanti
e
sensuali,
mentre
Rembrant (1606-1669), pittore
calvinista, sensibile alla lezione
caravaggesca, trova nella luce, più
che nel colore, la sua espressione
artistica, a volte quasi monocroma.
La gamma dei colori, usata dai
protestanti per il vestiario, è quella
giudicata espressione di onestà e
moralità: il bianco, il nero, il grigio
e il blu.
Rembrandt, Donna al bagno, 1655,
National Gallery, Londra.

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L’ANTAGONISMO DEI BLU
Sia i Greci sia i Romani conoscono l’indaco che importano dall’Oriente. La sua
commercializzazione, in blocchi molto compatti, fa loro pensare, erroneamente, a un
prodotto minerale (lapis indicus); in realtà questo colorante deriva da una pianta
(indigofera tinctoria). Alla fine del Medio Evo, nell’abbigliamento europeo, esso è
molto presente. La migliore qualità dell’indaco, rispetto al guado, induce i tintori a
utilizzarlo sempre più; durante il XIV e XV secolo, per frenarne l’importazione, a
difesa delle zone produttrici di guado (Europa centrale), si interviene con statuti e
regolamenti. Questo protezionismo sarà comunque inutile: la pianta dell’indaco, dopo
la scoperta dell’America, verrà coltivata anche nelle Antille e produrrà un colorante
migliore di quello indiano; avrà anche il vantaggio di essere più economico perché
frutto del lavoro degli schiavi.
Per tutte le città del centro Europa, arricchitesi con la lavorazione del guado, inizia la
fine dei guadagni facili.
All’inizio del settecento, tutte le tintorie europee sono autorizzate all’uso dell’indaco.
Nella seconda metà dell’ottocento, l’indigotina, principio colorante dell’indaco, viene
prodotta sinteticamente. Questa scoperta comporta il declino delle piantagioni di
indigofera tinctoria sia in India che in America.
VERSO IL FUTURO
Gli studi, condotti da Isaac Newton (1642-1727) sulla scomposizione della luce e sui
colori, aprono la strada a molte nuove considerazioni che modificano credenze
consolidate. L’assenza del bianco e del nero nella scomposizione della luce pone il
dubbio che questi siano veri colori.
Nella luce, i colori con cui si possono ottenere
tutti gli altri sono il rosso, il verde e il violetto;
nei pigmenti, il giallo, il rosso e il blu.
Jacob Christoph Le Blon (1667-1741), pittore e
incisore franco-tedesco, sperimenta attorno al
1710 la stampa a quattro colori, aggiungendo ai
primari il nero. Il sistema medievale a sei non
ha più ragion d’essere. In breve tempo si
parlerà di cerchi cromatici, di colori
complementari e di reciproca influenza dei
colori, cose in parte già intuite dai grandi artisti
del Rinascimento.
Jacob Christoph Le Blon, Luigi XV, 1739.
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
Dalla seconda metà del XVIII secolo, le tintorie affinano i sistemi produttivi
proponendo nuove sfumature di colori e aggiungendo a quelli tradizionali, intensi e
saturi, tinte lievi e delicate. L’importazione dell’indaco americano, ormai privata di
dazi e balzelli, permette ai tintori di mettere sul mercato una nuova gamma di azzurri,
più brillanti e più resistenti ai lavaggi. In molti tessuti, il colorante passa agevolmente
tra le fibre fissandosi facilmente alla trama e rendendo inutile la mordenzatura: è
sufficiente immergere il tessuto nella vasca del colorante e poi esporlo all’aria. Gli
azzurri e i grigi, prodotti fino allora con pigmenti mediocri e destinati col tempo a
divenire sempre più scialbi e grigiastri, restano destinati all’abbigliamento dei
contadini e delle classi più povere.
IL ROMANTICISMO
Il romanticismo favorisce la diffusione degli azzurri,
dei grigi, dei gialli e dei verdi; questo periodo segna
un allontanamento sempre maggiore dal rosso.
Goethe ha un ruolo molto importante per la
diffusione di questo nuovo ventaglio di colori. Nel
suo romanzo I dolori del giovane Werther,
pubblicato
a
Lipsia
nel
1774,
insiste
sull’abbigliamento descrivendone i colori e le forme.
Il rapido successo del romanzo influenzerà, nel
decennio successivo, non solo la scelta delle tinte
nell’abbigliamento dei giovani innamorati, ma anche
le arti figurative.
Lotte e Werther in un quadro ispirato all’opera di Goethe. 
Non si può dimenticare, in questa breve storia dei colori, un altro libro di Goethe, La
teoria dei colori, pubblicato a Tubinga nel 1810. In questo trattato, l’autore ha
un’intuizione nuova e importante: in contrasto con La teoria dei colori di Newton,
egli evidenzia l’influenza della soggettività nella percezione del colore, introducendo
l’elemento umano.
Il blu non è solo quello romantico e malinconico, ma nella sua ascesa diventa, in
molta parte dell’Europa, il colore nazionale e politico.
Il rosso, simbolo del potere per tanti secoli, dall’ottobre del 1789, in Francia, assume
un significato diverso. In caso di tumulti la bandiera rossa, posta alla finestra
principale dei municipi accanto a quella nazionale, impone lo scioglimento di ogni
assembramento di folla; in caso contrario, si ha l’intervento della forza pubblica.
Questa bandiera diviene simbolo insurrezionale sul Champ-de-Mars a Parigi nel
luglio del 1791 e dal XIX secolo, prima in Europa poi nel mondo intero,
accompagnerà le rivoluzioni proletarie socialiste.
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BLU SOCIALE E POLITICO
Il blu, nelle sue sfumature, durante il XX secolo, continua a occupare spazi in tutti i
settori della vita umana, da quello civile a quello militare. Nell’abbigliamento
maschile, gradualmente, il nero è sostituito dal blu scuro, soprattutto nel campo delle
divise istituzionali. Simbolo di questi cambiamenti sono i jeans, nati all’inizio della
seconda metà dell’ottocento dall’idea del giovane Levi Strauss; questi è un piccolo
venditore ambulante ebreo di New York, originario della Baviera, trasferitosi a San
Francisco al seguito dei cercatori d’oro. Questi pantaloni sono inizialmente prodotti
per lavoro, con un tessuto molto compatto, generalmente utilizzato per la costruzione
di tende da terra e per carri. Nei jeans, il blu compare dopo alcuni anni, ma l’indaco,
utilizzato per la tintura, ha difficoltà a penetrare in un tessuto così compatto; ciò
determina un’instabilità di colore, che si manifesta con una scoloritura nelle parti più
soggette a usura. Questo difetto ne determina il successo. In seguito, la sostituzione
del tessuto di Genova con uno più leggero, il denim, e la produzione di un indaco
sintetico permettono una coloritura stabile. Questa nuova soluzione non piace al
mercato e costringe le case produttrici a decolorare i capi come se fossero usati.
Una curiosità: nel 1936, per la prima volta, il marchio del produttore (Levi Strauss)
compare su un capo di abbigliamento. Ancora oggi, come allora, il marchio è apposto
sulla tasca posteriore destra dei jeans.
Il blu, dal Romanticismo in avanti, assume, nella
civiltà occidentale, un’importanza sempre maggiore.
Nel resto del mondo, da quello asiatico a quello
africano, si dà grande importanza non solo al colore,
ma anche alla percezione di lucidità o di opacità che
esso comunica.
Oggi il blu, nelle varie sfumature, prevale su tutti gli
altri colori: molte associazioni internazionali portano
questa tinta nelle loro bandiere. I militari che
rappresentano l’ONU sono chiamati i caschi blu. Gli
abiti importanti sono blu scuro; questo colore, molto
usato spesso assieme al verde, è divenuto simbolo di
tranquillità, di quiete e di pace.
In alto bandiera dell’ONU, in mezzo bandiera
dell’UNESCO e in basso bandiera dell’UNICEF
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Il colore ha dunque nel corso dei secoli assunto varie connotazioni. Ai nostri giorni è
meno evidente, nell’abbigliamento, la diversificazione delle classi sociali. Spesso i
ricchi, come i meno abbienti, portano i jeans scoloriti e sdruciti.
Questo
comportamento
di
mimetismo sociale può essere frutto
di varie cause: la globalizzazione, la
diffusione della scolarizzazione, una
maggiore democrazia, un forte
conformismo culturale di una
società devastata da una pubblicità
che spersonalizza, o, chissà, il
tentativo di mimetismo fiscale.
Lascio che in questo ginepraio di
possibili
interpretazioni
si
addentrino i sociologi e qui termino
questa breve storia dei colori nei
secoli.
Bandiera dell’Unione Europea.

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