renzi svenDe gli immobili pubblici ai privati

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Transcript renzi svenDe gli immobili pubblici ai privati

Settimanale
Nuova serie - Anno XXXX - N. 4 - 28 gennaio 2016
Fondato il 15 dicembre 1969
Domenica 24 gennaio, ore 11, davanti al busto del grande Maestro del proletariato internazionale
PMLI e PCdI commemorano assieme Lenin a Cavriago
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Scuderi: uniti, pratichiamo con
scrupolosita’ il centralismo democratico
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Nuovo passo avanti della controriforma
piduista del Senato
Contemporaneamente parte il movimento per bocciarla al referendum
Il nuovo duce Renzi si gioca la carriera politica pur di completare il regime neofascista
PAG. 3
Sulle divergenze religiose
Presidio
antimperialista
tra musulmani sunniti e sciiti alla base NATO
Come prevede il famigerato “Sblocca Italia”
di Sigonella
Renzi svende gli immobili
pubblici ai privati
In occasione del 25º anniversario della guerra del Golfo
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PAG. 5
La proposta dei sindacati confederali per “nuove” relazioni industriali
Cgil, Cisl e Uil
accettano il
modello Marchionne
Un modello contrattuale corporativo di tipo mussoliniano,
basato sul collaborazionismo, la cogestione delle imprese e
la flessibilità, funzionale al capitalismo
PAG. 2
L’Expo fa scuola
Schembri, nel dibattito, spiega
la posizione del PMLI sull’IS e
invita gli antimperialisti a unirsi
contro la guerra imperialista PAG. 12
Per chiedere il rispetto dell’accordo di programma del 2005
Gli operai Ilva occupano
il comune di Genova
Contestati il sindaco Doria e il segretario del PD genovese Terrile
ricoperto di sputi e insulti
Il sindaco arancione Doria li attacca duramente
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Opportunistica presenza del neopodestà De Magistris in cerca di voti
Sigonella (Catania), 17 gennaio 2016.
Durante il presidio contro la guerra del Golfo il compagno Sesto
Schembri interviene al dibattito e
spiega la posizione antimperialista
del PMLI sullo Stato islamico (foto
Il Bolscevico)
Rapporto Istat sulle condizioni di vita dei pensionati
Giovani costretti a lavorare L’assise di Bagnoli contesta il Le pensionate prendono 6mila euro
commissario di Renzi, Nastasi
gratis per il Giubileo
all’anno in meno degli uomini
Le “forze dell’ordine” del gerarca
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N. 4 - 28 gennaio 2016
La proposta dei sindacati confederali per “nuove” relazioni industriali
Cgil, Cisl e Uil accettano
il modello Marchionne
Un modello contrattuale corporativo di tipo mussoliniano, basato sul collaborazionismo,
la cogestione delle imprese e la flessibilità, funzionale al capitalismo
Alla fine i tre sindacati confederali hanno ritrovato l’unità, almeno su alcune questioni.
Questo riavvicinamento è stato
comunque sufficiente per mettersi d’accordo partorendo un
documento dal titolo “Un moderno sistema di relazioni industriali”, che vuol essere una
controproposta alle richieste
della Confindustria che da tempo sta facendo pressing su Cgil,
Cisl e Uil per definire un nuovo
modello contrattuale.
Un corporativismo
del 21° secolo
Sia chiaro che questa ritrovata unità dei vertici dei sindacati confederali non ha portato
niente di buono ai lavoratori. Il
documento è composto da diciassette pagine che, se saranno messe in pratica, comporteranno
pesantissime
conseguenze alle relazioni sindacali e il peggioramento delle
condizioni economiche e normative nelle fabbriche e negli
uffici. Si tratta di un’impostazione che non riconosce più nelle regole contrattuali “il campo
di gioco” in cui le “parti sociali”
si affrontano per portare avanti
le proprie rivendicazioni, ma un
modello che ha come obiettivo
l’efficienza del capitalismo italiano. Ne esce fuori un sindacato corporativo che, come nel
fascismo, assegna al lavoratore il ruolo di collaboratore del
suo stesso padrone, mettendo
insieme sfruttato e sfruttatore,
che invece di essere antagonisti li vuole uniti nell’interesse
supremo di rendere competitivo
il “sistema Italia”.
Un corporativismo del 21°
secolo, non rigido come quello mussoliniano, ma adattato
a un capitalismo “avanzato” e
“globalizzato”, dove la flessibilità della forza-lavoro e dei salari sono una componente fondamentale richiesta dai capitalisti.
La premessa è molto chiara:
servono nuove regole perché vi
è “l’esigenza che il Paese sappia cogliere i timidi segnali di ripresa”. Solo una volta in tutto il
testo si afferma che l’obiettivo è
aumentare l’occupazione, innumerevoli volte invece si tirano in
ballo l’efficienza, la competitività, la produttività, l’ammodernamento.
Questa impostazione pervade tutto il documento e rispunta
fuori quando si parla delle regole. La contrattazione deve attenersi a quanto stabilito dall’Accordo sulla Rappresentanza
del 10 gennaio 2014, un patto neocorporativo che prevede un sindacato istituzionale.
Ricordiamo brevemente che
quell’accordo prevede la certificazione del grado di rappresentanza sindacale con un metodo
poco limpido ammettendo solo
chi supera il 5%, che nell’unità produttiva siano rappresentate solo le organizzazione firmatarie di accordi aziendali, la
titolarità alla contrattazione na-
zionale riservata solo a chi ha
accettato il precedente accordo
e lo stesso Testo Unico.
Queste regole rappresentano un forte attacco alla democrazia sindacale e alla libertà
dei lavoratori che ledono anche
il diritto di sciopero. Difatti alcuni
articoli prevedono sanzioni contro chi contesta intese nazionali, locali e aziendali. Per fare un
esempio la Fiom a Pomigliano
sarebbe stata messa fuori dalla
fabbrica e gli sarebbe stato impedito di scioperare e con questo accordo la Fiat si sarebbe
trovata dalla parte della ragione
e i metalmeccanici da quella del
torto. Un’intesa voluta dai vertici confederali per conservare
il loro monopolio ed emarginare altri sindacati più conflittuali
ma sopratutto voluta dai padroni per evitare accordi separati
che spesso lasciano uno strascico di scioperi, malumori e la
mobilitazione di una parte di lavoratori.
non solo. Si aggiungono tante altre variabili oltre a quella di
settore che già esisteva, adesso si dovranno tenere più in
considerazione anche le diversità “dimensionali, territoriali, di
mercati di approvvigionamento e di vendita e, quindi, organizzative” e “di settore, comparto, filiera, distretto”. In questo
modo è inevitabile che si ricreino le gabbie salariali, ancor più
frammentate di quelle esistenti
fino al 1970. Quello della flessibilità dell’orario e del salario
sono una vera e propria ossessione per i sindacati confederali
che evocano ripetutamente “l’e-
controriforma voluta da Renzi,
si chiede solo di ricondurre alla
contrattazione i licenziamenti
collettivi per motivi economici,
mentre per il controllo a distanza c’è la richiesta di non usarla
per misure disciplinari. Ma dal
momento che c’è perché i padroni non doverebbero usarla?
Bilateralità e
“partecipazione”
Il tratto neocorporativo della
proposta emerge con forza nei
capitoli dedicati agli enti bilaterali, alla formazione aziendale,
ceveranno dai padroni.
Si passa poi al welfare
aziendale. Praticamente CgilCisl-Uil, pur senza dirlo, partono dal presupposto che le pensioni e i servizi sociali e sanitari
pubblici saranno ulteriormente
ridimensionati e i lavoratori dovranno essere incentivati a finanziarseli singolarmente, e
così facendo contribuiranno ad
affossare quel sistema di tutele universali ottenuti in decenni
di lotte. Quindi vogliono sviluppare il già avviato sistema della previdenza complementare e
cui affiancare la sanità integrativa, ovvero le polizze assicurati-
Salario legato alla
produttività
Svuotamento
del contratto
nazionale
Una delle prime cose che
balza agli occhi è l’attacco frontale al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL). Sono
anni che i padroni ne chiedono l’eliminazione o almeno il
suo svuotamento e svilimento e Cgil, Cisl e Uil accolgono
appieno la richiesta. Il CCNL rimane ma non conta quasi più
nulla, è ritenuto superato, inadatto, “non sono più immaginabili schemi rigidi ed immutabili
nel tempo” recita il documento.
Per Cgil, Cisl e Uil “le trasformazioni intervenute nei mercati e,
conseguentemente, nei sistemi
produttivi impongono, a questo
proposito, una riconsiderazione
della composizione quantitativa
e qualitativa dei CCNL”.
Vuol dire che il suo ruolo
sarà minore rispetto al passato:
“i contratti nazionali stabiliranno
linee guida per lo sviluppo della contrattazione di secondo livello, assumendo una nuova e
maggiore titolarità nel definire le
norme di rinvio”. Il grosso delle questioni salariali e normative sarà quindi trasferito dalla contrattazione nazionale a
quella territoriale come vogliono
Squinzi e Confindustria. Quelle
contenute nella proposta sindacale non sono direttive generiche, ma delle precise indicazioni tanto che nei vari CCNL deve
essere prevista una parte dove
va indicato il tipo e la quantità
di contrattazione da ricondurre
a livello aziendale, di gruppo,
di sito, di unità produttiva/operativa.
Questo nuovo modello di relazioni industriali manda definitivamente in soffitta il principio
“pari salario per pari lavoro” sostituendolo con la retribuzione
legata alla produttività, quindi
aumenti solo se in quella precisa azienda si lavora di più, ma
titivi in uno scenario globale” e
offrono ai padroni la collaborazione dei lavoratori attraverso
un “nuovo modello di relazioni
industriali”. Una partecipazione alle strategie e all’organizzazione delle aziende e anche
al suo andamento economico e
finanziario. Una partecipazione
in cui è prevista la presenza dei
lavoratori nei Consigli di sorveglianza, anche se “in un equilibrio non necessariamente paritario”. Una partecipazione che
non potrà conciliare i diversi interessi ma farà perdere ai lavoratori la propria autonomia legandoli agli interessi aziendali.
Roma, 27 novembre 2010. Manifestazione nazionale della CGIL. Si notano le insegne del PMLI e sulla destra il
cartello del Partito dedicato a Marx (foto Il Bolscevico)
sigenza di tutela di specifiche
realtà”.
In questa proposta non c’è
niente che possa contrastare il
precariato e il Jobs Act. Sulla
proliferazione dei tipi di contratti
atipici e le nuove forme di lavoro subordinato ci sono solo delle vaghe e generiche considerazioni, niente di concreto che
possa invertire la tendenza ma
piuttosto una presa d’atto del
peggioramento e dell’instabilità dei rapporti di lavoro. Non vi
è il minimo tentativo di contrastare le misure introdotte dalla
al cosiddetto welfare contrattuale, alla partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’azienda a cui, non a caso, è dedicato
un ampio spazio. Si parte con la
formazione, finanziata dai Fondi Professionali, promossi dai
sindacati, finanziati e generalmente gestiti dalle aziende con
lo scopo di aumentare la produttività. Si sottolinea che vi dovranno essere maggiormente
presenti i rappresentanti dei lavoratori, i quali, anziché ricevere formazione dai sindacati la ri-
ve sul modello nordamericano.
Si arriva perfino a chiedere che
lo Stato, per creare infrastrutture e opere pubbliche, utilizzi i
soldi risparmiati e tolti ai lavoratori e ai pensionati.
La “collaborazione” e la “partecipazione” occupano un intero capitolo. Le organizzazioni
confederali sono “consapevoli della esigenza ineludibile per
l’intero sistema di imprese del
nostro Paese di assumere e
governare scelte strategiche
e complesse di lungo periodo
per misurarsi in termini compe-
Come abbiamo già detto
questo è uno dei pilastri delle
nuove e “moderne” relazioni industriali, “dovrà, quindi, essere
ampliata l’esperienza compiuta in questi anni sul salario di
produttività” si afferma. I nuovi
CCNL non dovranno più avere
la funzione primaria di adeguamento salariale al costo della
vita (e stabilire norme uguali per
tutti), ma anche quelle di stimolare la competitività delle imprese. Un’impostazione da sempre
sostenuta dal sindacato collaborazionista e aziendalista per
eccellenza, la Cisl.
Il salario regolato dal CCNL
dovrà basarsi sui dati macroeconomici, cioè l’andamento generale, seguito da quello settoriale e l’adeguamento, cioè
l’eventuale aumento non arriverà (almeno in parte) già alla
firma del contratto, ma verrà
calcolato durante la sua valenza. Un’altra novità negativa è
poi rappresentata dall’allungamento della vigenza contrattuale che dagli attuali 3 dovrebbe
passare a 4 anni con ulteriore
perdita di potere d’acquisto per
il lavoratore. Il salario non sarà
calcolato solo sulla busta paga
netta, ma anche sulla previdenza e sanità integrativa. Già
oggi, negli ultimi rinnovi contrattuali, le associazioni padronali
se la stanno cavando aumentando la loro quota nel welfare aziendale senza mettere un
euro in busta.
In conclusione possiamo affermare che Cgil-Cisl-Uil accettano il famigerato modello
Marchionne, lo stesso che ritroviamo nella recente “proposta organica” di Federmeccanica nel corso del rinnovo del
contratto metalmeccanico. Nel
tentativo di evitare un intervento tramite legge da parte dell’esecutivo guidato dal nuovo
duce Renzi che escluderebbe
i cosiddetti “corpi intermedi” e
di venire emarginati, i sindacati
confederali anticipano il governo e i padroni con una proposta di “nuove relazioni industriali” che partorisce un modello
contrattuale corporativo di tipo
mussoliniano, basato sul collaborazionismo e la flessibilità,
funzionale al capitalismo.
controriforma del senato / il bolscevico 3
N. 4 - 28 gennaio 2016
Nuovo passo avanti della
controriforma piduista del Senato
Contemporaneamente parte il movimento per bocciarla al referendum
Il nuovo duce Renzi si gioca la carriera politica
pur di completare il regime neofascista
Il 20 gennaio la controriforma
costituzionale neofascista e piduista firmata Renzi-Boschi, che cancella il Senato della prima Repubblica democratica borghese e che,
in combinato con la legge elettorale Italicum fascistissimum, cambia
anche la forma di governo istituendo surrettiziamente il premierato,
ha fatto un altro passo avanti, forse decisivo, con l’approvazione da
parte del Senato dello stesso testo
blindato già approvato l’11 gennaio alla Camera e il 13 ottobre 2015
al Senato. In quell’occasione Renzi aveva lasciato apportare alcune
modifiche marginali al testo del
disegno di legge Boschi, anche
se ciò comportava un passaggio
in più alle camere, ma solo per
concedere un pietoso alibi alla capitolarda sinistra interna del PD in
cambio della sua rinuncia definitiva a dare battaglia (si fa per dire) al
provvedimento.
A questo punto, perciò, manca
solo un’altra approvazione senza
modifiche alla Camera, che presumibilmente ci sarà ad aprile, e la
doppia lettura conforme a distanza
di tre mesi richiesta dall’articolo 138
per le modifiche della Costituzione
sarà completata, e con essa anche
l’affossamento definitivo della Costituzione del 1948 per completare
il regime neofascista, come prescritto nel piano della P2 di Gelli.
Un percorso già iniziato da Craxi e
perseguito per vent’anni da Berlusconi, e adesso portato a compimento dal nuovo duce Renzi.
Sulla sua strada resta solo un
ultimissimo ostacolo: il referendum popolare, che lo stesso articolo 138 prevede, quando una
legge che intende modificare la
Costituzione non è approvata
da almeno i due terzi dei parla-
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do la frittata, ha annunciato che
sarà il suo stesso governo a chiedere il referendum, da intendersi
come “confermativo” della sua
controriforma, e che se questa dovesse essere bocciata egli darebbe
le dimissioni, anzi lascerebbe addirittura la politica. In questo modo,
in perfetta coerenza con il suo stile
mussoliniano, egli punta a conseguire almeno tre obiettivi: far sem-
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avvenne infatti nel 2006, quando
i Comitati per il no, che avevano
raccolto le firme per convocare il
referendum, riuscirono a respingere la controriforma neofascista, presidenzialista e federalista
della Costituzione del governo
Berlusconi-Bossi-Fini,
imposta
nel 2005 al parlamento dalla sola
maggioranza fascioleghista.
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Il referendum lo possono richiedere un quinto dei membri di
una camera, o 500 mila elettori o 5
Consigli regionali. Si tratta quindi
di un referendum eminentemente
di carattere abrogativo, uno strumento con cui il popolo può dire
l’ultima parola quando dei cambiamenti costituzionali possano
non essere ampiamente condivisi
dai partiti ma imposti solo da una
stretta maggioranza. A maggior
ragione quando, come in questo
caso, a essere manomessi sono
oltre 40 articoli della Carta e a
farlo sono un governo nato da un
colpo di palazzo e un parlamento delegittimato da un’elezione
dichiarata incostituzionale. Così
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norma che i costituenti inserirono
per salvaguardarla da possibili
atti di forza dei governi di turno,
come appunto è il caso di questa controriforma, nata dal patto
piduista del Nazareno tra Renzi e
Berlusconi, e imposta con la prepotenza dal governo grazie a un
parlamento nero di nominati dalle
segreterie dei partiti, eletti con una
legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Consulta, e zeppo
come nessun altro di corrotti, mafiosi e voltagabbana. Non a caso il
PD ha fatto di tutto per anticipare il
voto al Senato al 20 gennaio, cioè
prima del già fissato rinnovo delle
presidenze delle commissioni parlamentari, così da poter ricattare la
minoranza interna sconsigliandola
dal tentare colpi di coda all’ultimo
momento.
Il PMLI sta impegnandosi al massimo per sostenere la campagna elettorale
astensionista. Si sta svenando economicamente per far giungere la sua voce anticapitalista, contro il regime neofascista e il governo Renzi, per l’Italia unita, rossa e socialista
a un maggior numero possibile di elettrici e di elettori. I militanti e i simpatizzanti attivi del
Partito stanno dando il massimo sul piano economico. Di più non possono dare.
Il PMLI fa quindi appello a tutte le astensioniste e agli astensionisti di sinistra e ai
sinceri fautori del socialismo, indipendentemente se voteranno i loro attuali partiti, per
aiutarlo economicamente, anche con piccoli contributi da uno a 5 euro. Nel supremo interesse del proletariato e della causa del socialismo.
Compagne e compagni astensionisti di sinistra e fautori del socialismo, aiutateci anche
economicamente per combattere le illusioni elettorali, parlamentari, riformiste e governative
e per creare una coscienza, una mentalità, una mobilitazione e una lotta rivoluzionarie di
massa capaci di abbattere il capitalismo e il potere della borghesia e di istituire il socialismo
e il potere del proletariato.
Consegnate i contributi nelle nostre Sedi o ai nostri militanti oppure inviate i contributi
al conto corrente postale n. 85842383, specificando la causale, intestato a: PMLI - Via A.
Del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
Ogni euro dato per la campagna elettorale astensionista del PMLI è un euro dato per
la vittoria del proletariato sulla borghesia e sulle sue istituzioni, del socialismo sul capitalismo, del marxismo-leninismo-pensiero di Mao sul riformismo e sul revisionismo, del
PMLI sui falsi partiti comunisti.
Grazie di cuore per tutto quello che potrete fare.
brare che il referendum popolare,
che presumibilmente si svolgerà in
ottobre, discenda da una sua decisione e gentile concessione dall’alto, invece che da una precisa norma della Costituzione, in modo da
sminuire in partenza l’iniziativa di
raccolta delle firme dei Comitati per
il no; trasformare il referendum in un
plebiscito su se stesso, chiamando
così a raccolta, per vincere questa
che ha definito “la madre di tutte le
battaglie”, tutti i “poteri forti” che lo
sostengono; stornare l’attenzione
dalle prossime elezioni amministrative di giugno, in cui sono in ballo
città cruciali come Roma, Milano,
Napoli e Torino, e dalle quali Renzi
si aspetta altre batoste.
Egli conta infatti di presentarsi
al referendum con in tasca l’Italicum, che dovrebbe essere varato
definitivamente a luglio, e dopo
una campagna per il sì martellante
e capillare che, come ha annunciato, intende condurre personalmente, senza risparmio di mezzi
e “porta a porta”, per la quale ha
assoldato appositamente il guru
americano della seconda elezione
di Obama e dell’elezione di Cameron, e con l’appoggio di tutti
i suoi supporter dell’economia,
della finanza e dei mass media,
sul modello dei comitati per la Leopolda. Facendo leva sugli aspetti
demagogici della “riforma”, come
la riduzione del numero dei senatori da 315 a soli 100 non remunerati, l’abolizione delle Province
e del Cnel, il taglio dei costi della
politica, per unire i voti dell’elettorato del PD a quelli dell’elettorato
berlusconiano e leghista, e in parte perfino del M5S. Il partito del
“cambiamento” contro il partito
dei “conservatori”, della “casta”,
dei “professoroni” e dei “gufi”:
questa è la narrazione furbesca
con la quale Renzi conta di vincere il referendum.
Italicum e
controriforma, i due
assi di Renzi
Il nuovo Mussolini sa che per
tutto ciò i sondaggi lo danno favorito, e così punta tutto sul referendum che, se gli va bene, gli
permetterebbe di blindare la sua
poltrona fino alle prossime elezioni politiche, magari anticipate e da
lui stesso provocate, che conta
di vincere grazie al meccanismo
ultramaggioritario dell’Italicum e
al pieno controllo delle candidature che esso gli garantisce. Una
volta rieletto premier, nessuno
più lo potrebbe scalzare almeno
per tutta la prossima legislatura,
grazie alle nuove regole imposte
dalla controriforma costituzionale:
soppressione del bicameralismo;
riduzione del Senato ad organo
decorativo formato da consiglieri
regionali e sindaci in gran parte da
lui nominati e controllati, ma dotati comunque di immunità parlamentare; fiducia votata dalla sola
Camera ridotta a passacarte del
governo, obbligata ad approvare
le leggi del governo entro 70 giorni. E senza contropoteri di bilanciamento, poiché anche i giudici
costituzionali e il presidente della
Repubblica sarebbero eletti dal
partito vincente che, grazie all’Italicum, con appena il 20-25% dei
voti degli aventi diritto può arrivare
a disporre della maggioranza assoluta dei seggi in parlamento.
E se invece gli va male? Gli
resta comunque l’opzione delle
elezioni anticipate con l’Italicum,
giacché da quel bugiardo che è
non c’è da fidarsi che si ritiri dalla
politica. Non a caso, interpellata
in proposito a “Otto e mezzo”, la
ministra Boschi ha detto: “Se vincesse il no al referendum noi ci
sottoporremo alle urne”. Quindi
la banda di Renzi non andrebbe
a casa, come giura ipocritamente
il capo per trasformare il referendum in un plebiscito su sé stesso,
ma porterebbe il Paese alle urne
con l’Italicum.
Costituito il Comitato
per il no
L’11 gennaio, contemporaneamente all’approvazione da parte
della Camera, a Montecitorio si è
costituito ed ha tenuto un’affollatissima riunione il Comitato per il
no alla “riforma” Renzi-Boschi: è
presieduto dal costituzionalista
Alessandro Pace, presidente onorario l’ex giudice costituzionale
Gustavo Zagrebelsky. Vi fanno
parte come membri del Consiglio
direttivo molti costituzionalisti,
giuristi, docenti, giornalisti e scrittori, tra cui Stefano Rodotà, Domenico Gallo, Lorenza Carlassare,
Gianni Ferrara, Massimo Villone,
Alfiero Grandi, Paolo Maddalena,
Giovanni Palombarini, Raniero La
Valle, Livio Pepino, Armando Spataro, Sandra Bonsanti, Vincenzo
Vita ecc. Hanno aderito anche il
matematico Piergiorgio Odifreddi,
lo scrittore e animatore di Slowfood, Carlo Petrini, associazioni
come Libertà e giutizia, Articolo
21, Giuristi democratici, Rete per
la Costituzione, la Fiom di Landini,
mentre la Cgil non ha ancora preso una decisione ufficiale.
Per il 30 gennaio il Comitato ha
fissato un altro appuntamento alla
Sapienza di Roma, a cui ha invitato altre associazioni tra cui Anpi
e Arci. Non è stato ancora deciso
se sarà seguita la strada della raccolta delle firme nella popolazione
o affidarsi alla più facile strada di
un’iniziativa parlamentare dell’opposizione. Quest’ultima opzione
porterebbe con sé il rischio che
il Comitato finisca per andare a
rimorchio dei partiti schierati in
ordine sparso per il no e dei loro
più disparati e strumentali interessi di bottega, dal M5S alla Lega,
da SEL-SI a Forza Italia. Mentre
invece la prima consentirebbe al
movimento di agire in autonomia e
coinvolgere direttamente le masse
in questa importante battaglia, a
cui anche il PMLI è pronto a dare
tutto il suo contributo affinché si
concluda vittoriosamente come
nel 2006.
Fermo restando che per noi
questa battaglia non può essere
rinchiusa negli asfittici limiti della
difesa della Costituzione borghese
del 1948, che del resto non esiste
più essendo già stata fatta a brandelli dal regime neofascista, e che
il miglior modo di sbarrare il passo
all’avanzata del nuovo Mussolini
e della sua controriforma costituzionale neofascista resta sempre
quello della lotta di massa e di
piazza, per cacciarlo via insieme
al suo governo filopadronale, piduista e interventista, prima che
riesca a fare tabula rasa dell’intera sovrastruttura democratica
borghese del capitalismo nonché
di tutti i diritti e le conquiste dei
lavoratori e delle masse popolari
italiane che sta demolendo pezzo
per pezzo.
4 il bolscevico / interni
N. 4 - 28 gennaio 2016
Per chiedere il rispetto dell’accordo di programma del 2005
Gli operai Ilva occupano
il comune di Genova
Contestati il sindaco Doria e il segretario del PD genovese Terrile ricoperto di sputi e insulti
Il sindaco arancione Doria li attacca duramente
L’11 gennaio, mentre alla
Camera era in discussione il
decreto Ilva varato dal governo Renzi per svendere il polo
siderurgico senza dare alcuna
garanzia ai lavoratori, nel capoluogo ligure è riesplosa la protesta degli operai dello stabilimento di Cornigliano scesi in
piazza per chiedere il pieno rispetto dell’accordo di programma del 2005 che impone al governo garanzie di continuità di
reddito e di occupazione.
Dietro un grande striscione
con su scritto “Pacta sunt servanda” (i patti si devono mantenere) migliaia di tute blu con
alla testa Fiom, Fim e Uilm sono
sfilati in corteo per le vie della
città urlando slogan contro il governo e l’amministrazione comunale del neopodestà arancione Marco Doria sostenuto da
SEL e da tutto il PD con alla testa il segretario genovese Alessandro Terrile.
Durante il corteo, a cui hanno preso parte in segno di solidarietà anche alcune delegazioni di operai degli stabilimenti
di Culmv, Ansaldo e Fincantieri,
i manifestanti hanno duramente contestato anche l’emendamento Basso, che stanzia 1,7
milioni di euro dei fondi destinati alla riqualificazione di Cornigliano per integrare la solidarietà (dal 60% al 70%) dei
dipendenti attraverso il ricorso
ai lavori socialmente utili. Una
proposta che i metalmeccanici
Cgil liquidano come: “una soluzione pasticciata”, inadeguata a garantire sul lungo termine
l’occupazione, come invece viene previsto dall’accordo di programma del 2005.
Genova,11 gennaio 2016. I lavoratori dell’Ilva, al termine del corteo, occupano per protesta il cortile di Palazzo Tursi, sede del Comune
In piazza della Nunziata la
manifestazione ha deviato per
via Garibaldi e a passo di corsa i lavoratori hanno prima occupato il cortile di Palazzo Tursi, sede del Comune, e poi la
sala antistante l’aula del consiglio comunale.
“Da questo momento consideriamo il comune di Genova
occupato” proclamano i lavoratori mentre parte una durissima
contestazione contro il sindaco
Doria e per la prima volta anche contro il segretario del PD
Terrile che, vista la mala parata, cerca di darsela a gambe
levate da un’uscita secondaria
del palazzo comunale ma viene inseguito e ricoperto di sputi
e insulti dai manifestanti che gli
rinfacciano di averli presi in giro
e di appoggiare le decisioni del
governo e in particolare l’emendamento Basso.
Dal Municipio occupato una
delegazione di operai in lotta si
è poi spostata in prefettura per
chiedere “un incontro vero col
governo”. Mentre nel pomeriggio i manifestanti si sono asserragliati nella sala bouvette decisi a proseguire l’occupazione
ad oltranza.
Dall’occupazione si sono
dissociate Fim e Uilm, sottoline-
ando la loro “contrarietà a gesti
inutili ed eclatanti” e apprezzando invece l’intervento del prefetto, che si è attivato per ottenere
l’incontro.
In serata però arriva il vergognoso attacco dell’amministrazione comunale contro i lavoratori in lotta con alla testa
il neopodestà Doria che sentenzia: “Le legittime preoccupazioni dei lavoratori Ilva e di
tutta la città per le prospettive
dell’azienda e per il salario non
giustificano minimamente l’atto gravissimo e antidemocratico, compiuto sotto l’egida del
sindacato di categoria Fiom, di
sfondare le porte e occupare le
sedi del Comune di Genova...
un comportamento inaccettabile da ogni punto di vista, dannoso per gli stessi lavoratori e
dal quale, giustamente, si sono
dissociate Fim e Uilm. L’amministrazione comunale esprime
la più netta condanna”.
Mentre il PD in una nota ufficiale a firma dei consiglieri regionali, del segretario Terrile e
del commissario David Ermini
rincara la dose chiedendo “l’intervento delle istituzioni” a suon
di manganellate contro gli occupanti che non si adeguano
all’“apprezzabile ed equilibra-
ta posizione espressa da Fim e
Uilm”.
Intorno alle venti la prefetto
Fiamma Spena conferma il vertice del collegio di vigilanza con
i commissari Ilva e i rappresentanti del governo. L’occupazione del comune da parte dei lavoratori viene tolta. Poco dopo
anche la ministra dello Sviluppo economico Federica Guidi fa
sapere che nei prossimi giorni
convocherà un tavolo nazionale dedicato alla vertenza all’Ilva
e pertanto anche lo sciopero,
già proclamato dalla Fiom, viene rinviato in attesa dell’incontro col governo.
Intanto il 18 gennaio si è tenuto in prefettura il vertice del
collegio di vigilanza concluso
con l’ennesimo rinvio. “All’incontro di oggi abbiamo registrato l’assenza del governo – ha
riferito Bruno Manganaro, segretario generale della Fiom Regione e comune hanno confermato la validità dell’accordo
di programma, ora abbiamo
l’impegno del prefetto a darci
in tempi brevissimi la data di un
confronto vero col governo, ci
attendiamo da questo incontro
che il governo confermi a sua
volta l’accordo di programma e
che ci dica come intende garantire la continuita’ di reddito dei
lavoratori”.
Alla riunione il governo ha
mandato infatti solo un direttore del ministero dello sviluppo
economico in qualità di osservatore scatenando la sacrosante reazione della Fiom che però
ha deciso di “tenere ancora ferma la protesta in attesa dei risultati dell’incontro col governo,
poi valuteremo”.
Rapporto Istat sulle condizioni di vita dei pensionati
Le pensionate prendono 6mila euro
all’anno in meno degli uomini
La metà dei pensionati percepisce meno di mille euro al mese
Da anni ormai, studi e statistiche denunciano l’aggravamento della condizione di vita
delle masse popolari. Preoccupanti i dati del recente Focus
Istat su “Le condizioni di vita
dei pensionati”, un’indagine sui
redditi pensionistici 2013, appena pubblicata, che sottolinea
come una serie di disparità si
siano accentuate proprio in relazione al reddito pensionistico.
Il reddito pensionistico lordo che ammontava a 17.206
euro nel 2013, si è tradotto in
un reddito pensionistico netto stimato, in media, di 13.647
euro.
In evidenzia la condizione
delle donne pensionate che
sono più numerose degli uomini, ma ricevono di meno. Esse
rappresentano il 52,9% dei 16,3
milioni di pensionati italiani, ma
alla fine dell’anno, in media percepiscono ben 6 mila euro in
meno rispetto agli uomini. Ancora una volta le donne meridionali hanno il reddito pensionistico più basso, pari a 11.557.
Le motivazioni derivano fondamentalmente dalla grossa disparità rispetto alla capacità
di maturare i contributi pensionistici, considerato che l’Italia
raggiunge percentuali elevatissime di donne inattive, soprattutto al Sud, o che hanno una
busta paga più leggera, cui
spesso devono rinunciare per
curare figli, anziani, disabili o
malati.
La loro condizione è destinata a peggiorare progressiva-
menti a causa dei diktat della
controriforma Fornero. Per effetto dell’equiparazione dell’età, nel 2016, per le dipendenti
del privato scatterà un gradino
di ben 22 mesi in più di permanenza al lavoro con un aumento
del 4% della parte di pensione
calcolata con il metodo contributivo.
Del resto la condizione di disagio riguarda la stragrande
maggioranza dei pensionati. Le
pensioni popolari in Italia sono
estremamente basse, in media
1.140 euro mensili, ma a conti fatti metà dei pensionati italiani percepiscono meno di mille
euro al mese.
E spesso i soldi servono non
alle necessità del pensionato,
ma alla sopravvivenza dell’inte-
ra famiglia. Le famiglie con pensionati sono 12 milioni 400 mila
e per il 63,2% di esse i trasferimenti pensionistici rappresentano oltre il 75% del reddito disponibile. Il fatto di avere in casa un
anziano con assegno abbassa
il rischio che la famiglia scivoli
nella povertà. Il Focus Istat valuta il rischio di povertà tra le famiglie con pensionati più basso
di quello delle altre (16% contro
22,1%).
Ma neanche questa “boccata d’aria” della pensione è garantita in futuro né ai pensionati
né alle loro famiglie, infatti con il
2016 sono scattate nuove misure: come le donne, anche gli uomini andranno in pensione con
un taglio sul contributivo di circa l’1%.
E il carico fiscale sulle pensioni popolari rimane elevatissimo. Nel 2013, su un reddito
pensionistico lordo di 17.206
euro annui, le ritenute fiscali hanno inciso in media per il
17,7%, l’aliquota sale al 20,6%
per i pensionati di vecchiaia e
anzianità.
Una situazione disastrosa
che ha i suoi ben precisi responsabili. Il nuovo duce Renzi anzitutto, che si riempie la
bocca di discorsi ipocriti sulla
natura antipopolare dell’UE, e
tuttavia è il primo a stangare
senza pietà i più deboli. Aveva promesso “meno tasse anche ai pensionati” e invece i
pensionati continuano a subire una pressione fiscale che
non ha eguali in Europa e a
prendere pensioni da fame decurtate in maniera disonesta
grazie al trucchetto del contributivo. Renzi è responsabile
perché non ha mai messo in
discussione i contenuti antipopolari della controriforma Fornero ancora in vigore, anzi ne
ha aggravato i contenuti con
una serie di norme e stangate micidiale. Per tutelare il reddito delle pensioni popolari e
aumentare il potere d’acquisto delle pensioni è necessario che i sindacati attacchino
frontalmente la controriforma
Fornero, per costringere Renzi ad abolirla, insiema a tutte le
controriforme in merito di lavoro che hanno impoverito le famiglie italiane e aumentato la
pressione sui pensionati.
interni / il bolscevico 5
N. 4 - 28 gennaio 2016
COME PREVEDE IL FAMIGERATO “SBLOCCA ITALIA”
RENZI SVENDE GLI IMMOBILI
PUBBLICI AI PRIVATI
Per Renzi il 2016 dovrà essere l’anno decisivo per completare la svendita del patrimonio immobiliare pubblico:
agli inizi di gennaio l’Agenzia
del Demanio ha annunciato di aver messo online, con
la possibilità di “geolocalizzazione” su tutto il territorio nazionale attraverso strumenti
come “streetwiew” di Google, l’intero patrimonio immobiliare dello Stato - edifici,
palazzi storici, caserme, parchi, siti archeologici, terreni e
quant’altro - corredati di valore commerciale, inserimento in progetti di valorizzazione e vendita, cantieri in corso
e così via.
Si tratta di un patrimonio da
capogiro, consistente in più
di 32 mila immobili e 14 mila
aree pubbliche, per un valore
complessivo di circa 640 miliardi, tra cui il ministero dell’Economia e Finanze, come ha
dichiarato il suo capo della Direzione finanza e privatizzazioni, Francesco Parlato, ha
già individuato “circa 350 immobili , dal valore di circa 1,2
miliardi, potenzialmente conferibili a uno o più fondi immobiliari: vale a dire da svendere fin da subito agli speculatori
interni e internazionali, sotto il
pretesto di fare cassa e diminuire il debito pubblico.
Lo ha annunciato con grande giubilo, manco a dirlo, anche “l’Unità” renziana, che
all’operazione
denominata
“Open Demanio”, ha dedicato un’intera pagina dell’edizione dell’8 gennaio (“Una vetrina online per il patrimonio di
Stato”, sparava trionfalmente in testa il quotidiano diretto dall’ex trotzkista Erasmo
D’Angelis), con ampio corredo di cartina della distribu-
zione del “tesoro degli italiani” in Italia, le succulente cifre
dell’affare in grandi caratteri e
le foto di alcuni edifici di pregio
in vendita. Più un’ampia intervista al direttore dell’Agenzia
del Demanio, Roberto Reggi,
tutta tesa a mostrare che si
tratta di “un’operazione di trasparenza” e che a beneficiarne potranno essere “non solo”
i privati ma anche “i cittadini e
le associazioni”, per “progetti di recupero degli spazi liberi
ma inutilizzati”.
Le premesse per la colossale svendita erano già state
create col famigerato decreto “Sblocca Italia” ideato da
Renzi nel 2014, quello che
con la scusa di rimuovere gli
ostacoli burocratici alla ripresa economica e all’occupazione, dava il via alla cementificazione del territorio e alle
grandi opere come alta velocità ferroviaria, autostrade, aeroporti, all’impianto di
nuovi inceneritori considerati
di “importanza strategica nazionale”, alle trivellazioni petrolifere, ai rigassificatori e,
appunto, alla svendita del patrimonio immobiliare pubblico.
Grazie anche a tutta una serie
di deroghe alla legge per poter cambiare la destinazione
d’uso degli immobili pubblici,
agevolare gli interventi di ristrutturazione e detassare le
transazioni di acquisto da parte dei privati.
Un piano
che viene da lontano
Quello che Berlusconi, Tremonti, Monti e Letta erano riusciti a realizzare solo parzialmente sta quindi per essere
completato dal nuovo duce
Renzi, che con il censimento, la valorizzazione e l’immissione online dell’intero patrimonio demaniale, unitamente
alla deregulation già attuata
dallo “Sblocca Italia”, ha creato tutte le premesse per una
sua veloce e massiccia svendita alla speculazione privata.
Per la verità le prime leg-
utilizzando la Cassa depositi e
prestiti (Cdp), con la creazione al suo interno di una società, la Sgr, alla cui testa mise
un suo fedelissimo, Massimo
Verazzani.
Per spingere le dismissioni
Tremonti incoraggiava le amministrazioni locali a disfarsi
dei pezzi più pregiati per ag-
L’unità dell’8 gennaio 2016 pubblicizza in pompa magna la svendita online del patrimonio immobiliare pubblico
gi in favore delle alienazioni
di beni pubblici risalgono già
ai governi di “centro-sinistra”,
come denunciato anche da
Salvatore Settis in un suo libro del 2002. Anche se la prima operazione effettiva fu
tentata dal governo Berlusconi nel 2004, affidando 394 immobili pubblici alla società Investire immobiliare. Nel 2007
ci riprovò Tremonti creando
un’apposita società, la Scip 2
(un nome che era tutto un programma), che però finì in deficit, così come la successiva
società immobiliare, Fintecna.
Alla fine, nel 2009, Tremonti trovò la soluzione, adottata
anche dai governi successivi,
girare le restrizioni di bilancio
imposte dal patto di stabilita.
E anche Renzi, quando era
sindaco di Firenze, è ricorso
a questa tecnica che ha ben
appreso per il futuro, quando
la Cdp diretta allora da Franco Bassanini gli comprò il Teatro comunale per 23 milioni,
che aveva chiuso ma non riusciva a vendere dal 2009, e
che ora è oggetto di trattativa da parte di una società di
cui fa parte anche la sua famiglia, per realizzarci un resort di lusso.
Il passo successivo del
nuovo duce, dopo essersi
impadronito di Palazzo Chigi, è stato quello di facilitare
la svendita dei beni pubblici
con lo “Sblocca Italia”, deregolamentandola e affidandola completamente alla Cdp,
che possiede molta liquidità,
essendo principale azionista
di Poste italiane, ma che non
essendo formalmente un’azienda pubblica non incide
sul bilancio dello Stato: il quale vende a Cdp e incassa subito, mentre Cdp si occupa di
valorizzare gli immobili, ristrutturandoli, cambiandone la destinazione d’uso e rendendoli
appetibili ai privati, per poi immetterli successivamente sul
mercato. A completare l’operazione Renzi ha provveduto a rinnovare tutti i vertici di
Cdp, a cominciare dalla nomina a presidente di Claudio
Costamagna, ex banchiere di
Goldman Sachs e attuale presidente di Salini-Impregilo.
L’accelerazione di
Renzi alle dismissioni
Ciononostante le cessioni
non erano andate molto bene
in questi quasi due anni di governo di Renzi. Tanto che invece del quasi miliardo e mezzo previsto dai governi Monti
e Letta per il 2015 sono stati
realizzati effettivamente circa
500 milioni. Colpa della crisi
del mercato immobiliare, della lunghezza dei tempi per la
valorizzazione degli immobili,
della non disponibilità immediata di molti di essi, ancora
in uso a enti pubblici e affittati
a dipendenti e privati, e anche
della dispersione del patrimonio demaniale, sparso tra migliaia di amministrazioni pubbliche in tutte le province e
regioni d’Italia.
Ecco il perché dell’acce-
lerazione voluta da Renzi
nel censire, stimare e mettere online l’intero patrimonio
pubblico, creando tutte le premesse per una sua più veloce
svendita sul mercato, a partire
da questo stesso anno. Non
a caso, tramite il suo successore a Palazzo Vecchio, Nardella, il nuovo duce sta facendo di Firenze un laboratorio
di sperimentazione di questa
sua politica, con il dossier urbanistico “Florence city of opportunities” (ancora un nome
che è tutto un programma),
che praticamente offre alla
speculazione interna e internazionale decine di edifici, anche storici, e aree edificabili,
in cui rientrano partite lucrosissime come l’ampliamento
dell’aeroporto di Peretola (appaltato agli amici Carrai & c.),
il nuovo stadio, le nuove linee
tranviarie, la destinazione di
aree come l’ex ospedale psichiatrico di San Salvi, l’ex Manifattura tabacchi, l’inceneritore di Case Passerini, e così
via.
Un piano, questo del nuovo duce, che occorre contrastare risolutamente, inserendo il tema della salvaguardia
del patrimonio demaniale nelle lotte in corso contro la Tav,
il Mose, il Muos, le trivellazioni petrolifere, gli inceneritori, ecc., per sensibilizzare
l’opinione pubblica su questo
scempio che il governo sta
perpetrando in silenzio e incoraggiando la promozione
di comitati locali in difesa dei
beni pubblici, per impedirne
la svendita alla speculazione
privata e rivendicarne la fruizione esclusiva e gratuita da
parte di enti pubblici, associazioni popolari cittadine e di
quartiere.
L’EXPO FA SCUOLA
Giovani costretti a lavorare gratis per il Giubileo
E il papa tace e acconsente
Un governo così capitalista, filopadronale e antipopolare come il governo Renzi,
che ha già devastato il diritto borghese del lavoro per togliere diritti e tutele ai lavoratori, non poteva certo lasciar
cadere nel vuoto un boccone
così polposo come il lavoro
gratis per i giovani sottoforma
di “volontari”, dopo averlo sperimentato ad Expo. Questo è il
senso dei bandi aperti per la
copertura di una gran mole di
servizi a Roma durante il Giubileo, sotto il patrocinio del Dipartimento della Gioventù e
del Servizio civile nazionale.
Il suddetto Dipartimento
annunciava, con bando del
27 novembre, il reclutamento
di 644 “volontari” di età compresa fra i 18 e i 28 anni, per
il servizio civile nei nove mesi
del Giubileo. Le mansioni (secondo il bando per la presentazione dei progetti, pubblicato al 15 ottobre dell’anno
scorso) comprendono attività di protezione civile (fra cui
il presidio sanitario), supporto
e gestione dei flussi di pellegrini, accoglienza e orientamento nelle zone di rilevanza
artistica (chiese, musei, ecc.),
assistenza ai disabili, mediazione culturale; i “volontari”
dovranno rispettare gli orari
di servizio e hanno l’obbligo
di pernottare se previsto dal
progetto. Mansioni per le quali sono previsti poco più di 400
euro mensili, dai quali sono
però esclusi vitto e alloggio.
C’è infine il divieto di interrompere il servizio, pena l’esclusione da futuri progetti simili.
Insomma, lavoro super-
sfruttato e gratis, tranne un
misero rimborso spese, per
svolgere vere e proprie attività lavorative, che presumibilmente avranno turni massacranti. Curioso che il papa e
la Chiesa della “misericordia”
non abbiano proprio nulla da
dire su questo sopruso.
Fra i progetti presentati su
questa falsariga, c’è quello
del Ministero dei Beni e attività culturali (MiBact), denominato “Archeologia in cammino” e avente come obiettivo
quello di “sopperire all’ancora
insufficiente offerta e varietà e
al modesto numero di eventi legati alla promozione della
cultura archeologica e all’insufficiente sostegno divulgativo”. Il progetto MiBact è diretto a 29 “volontari”, concentrati
nel I e II municipio di Roma, a
14 euro al giorno, e comprende la realizzazione di opuscoli
informativi e altri strumenti simili, realizzazione di incontri e
seminari e organizzazione di
visite guidate, il tutto sia in italiano che in lingua.
Quest’ultimo è un autentico
schiaffo ai precari del settore,
come denunciano la Confederazione nazionale archeologi
professionisti e gli attivisti della campagna “Mi riconosci?”,
realizzata da un “gruppo di
archeologi, archivisti, bibliotecari, antropologi, esperti di
diagnostica applicata ai beni
culturali, storici dell’arte, studenti e laureati, lavoratori e in
cerca di occupazione… sottopagati, screditati, ignorati”.
Secondo Federica Tarasco di
“Mi riconosci?”, quelli esposti
nel bando “sono compiti da
archeologo innanzitutto, e in
seconda battuta anche da archivista e storico dell’arte. Un
volontario non qualificato non
sarebbe in grado di svolgerli,
se non molto male; qualora invece al bando rispondessero
persone qualificate, dovrebbero svolgere la loro professione a titolo sostanzialmente
gratuito. Un fatto semplicemente inaccettabile e vergognoso”.
Del resto non stupisce nulla se si pensa che il Dipartimento è delegato al ministro
del Lavoro Poletti, co-autore del “Jobs Act” e sostenitore dell’idea per cui i giovani
non dovrebbero perder tempo
a studiare ma gettarsi il prima
possibile nel mare della precarietà. Ma si potrebbe anche
dire, del lavoro gratuito.
Dopo il “successo” di Expo,
creando un nuovo pericoloso
precedente, il governo punta ancora una volta sul lavoro
gratis o fortemente sottopagato e supersfruttato, addirittura
facendolo passare per “volontariato”, raccattando giovani
nella disperata cerca di lavoro
e tentando ad arte di contrapporli ai precari del settore che
aspirano alla stabilizzazione.
Una logica da caporalato di
Stato capitalista da respingere, concentrando le forze per
buttare giù il governo che vuole estenderla e usarla come
strumento di sfruttamento per
i giovani disoccupati e arma di
ricatto contro i precari. E un
motivo in più per cui non è più
rimandabile lo sciopero generale.
6 il bolscevico / interni
N. 4 - 28 gennaio 2016
Mentre i salari rimangono fermi
Rincarano
scuola, acqua, trasporti
Nel 2016 le famiglie italiane
pagheranno 551,5 euro in più. Lo
afferma il Codacons, che ha elaborato uno studio sugli incrementi di spesa previsti per le famiglie.
Cresceranno le tariffe per i servizi
idrici e la raccolta rifiuti, per un totale di +137 euro su base annua. Il
costo dell’acqua potabile aumenterà in media su scala nazionale
del 5%, con punte superiori al
10% in alcune zone d’Italia, secondo le previsioni di Federconsumatori.
Aumenteranno anche i trasporti (aerei, treni, taxi, mezzi pubblici,
traghetti) per un totale di spesa a
famiglia di +44 euro. Inoltre, viaggiare sulle autostrade comporterà
un aggravio di +27 euro. Nessuno di questi aumenti, secondo
Legambiente, “è giustificabile,
comprensibile o compensato da
vantaggi o servizi extra”.
Qui c’entra l’azione dei ministeri dei Trasporti e dell’Economia del governo Renzi che hanno autorizzato l’aumento delle
tariffe per ben 6 concessionarie
autostradali su 27. I salassi sono
in arrivo in particolare per gli automobilisti e i camionisti che utilizzano la Milano-Torino: +6.5%,
la nuova Tangenziale esterna di
Milano +2.1%, la Pedemontana
lombarda, appena inaugurata e
quasi deserta, ma già con il pedaggio aumentato dell’1%. Sulla
rete di Autostrade per l’Italia il
rincaro dell’1.09%. Questo aumento calcolato su tutta la rete
autostradale in realtà nasconde il
folle aumento delle tariffe di alcune tratte: da Milano a Busto Arsizio, per arrivare a Malpensa, dal
1° gennaio si è passati da 1,30 a
3 euro, +76.5%.
È inoltre raddoppiata la tariffa
mensile di Telepass Premium e
Telepass extra, che adesso va a
1,5 euro.
Aumenti ingiustificabili, dal
momento che il personale diminuisce, il “costo del lavoro” scende
e il traffico cresce. L’associazione
dei consumatori denuncia inoltre
Per aver aderito a un coordinamento di base, formato da delegati e lavoratori
Fiom, Usb, Cub, e Cobas, che lotta contro i diktat di Marchionne alla FCA
Intollerabile discriminazione
della Fiom di Landini contro delegato
di Opposizione Cgil
Landini e la segreteria Fiom
hanno chiesto al comitato centrale dei metalmeccanici della Cgil
tenutosi il 7 e 8 gennaio scorsi
di non eleggere, su 17 proposte
di sostituzione di membri del comitato centrale, un delegato Rsa
della FCA di Melfi, Domenico
Destradis, proposto da “Il sindacato è un’altra cosa - Opposizione
CGIL”, in quanto oggetto di un ricorso alla commissione di garanzia interna da parte di due burocrati Fiom della Basilicata, Molise
e nazionale che chiede di verificare la compatibilità tra l’adesione
alla Cgil del delegato e la sua partecipazione alla costituzione di un
coordinamento di base, composto
da delegati e lavoratori appartenenti a diverse sigle sindacali, per
contrastare l’arroganza di Marchionne.
I componenti del CC dell’opposizione interna, “Il sindacato
è un’altra cosa” denunciano che
quanto accaduto al comitato centrale della Fiom “è di una gravità senza precedenti nella storia
dei metalmeccanici e dell’intera
Cgil”; è di fatto un’intollerabile
discriminazione operata nei confronti di delegati Fiom che non
avevano rinunciato a lottare, come
invece Landini il vertice Fiom e
l’intera Cgil hanno fatto, contro
il diktat di Marchionne negli stabilimenti FCA dove impera il supersfruttamento legato al “nuovo”
modello contrattuale, imposto prima a Pomigliano, poi a Mirafiori e quindi a tutto il Gruppo FCA
(ex Fiat).
La vicenda, emersa solo al comitato centrale del 7 e 8 gennaio
scorso, segue i fatti del novembre scorso quando, da Termoli, un
gruppo di delegati Fiom denunciò
che, a chi fa sindacato in fabbrica “manca sempre più il sostegno
della Fiom, troppo spesso impegnata a tentare di ricucire rapporti con la direzione FCA piuttosto
che lavorare a riaprire una vertenza generale sulle condizioni di lavoro e contro il Ccsl (contratto di
secondo livello)”. E mentre la Rsa
Fiom, la maggioranza dei delegati e delle delegate Fiom di stabilimento, proclamavano lo sciopero sugli straordinari comandati,
la Fiom molisana affiggeva nelle
bacheche sindacali aziendali un
comunicato in cui si dissociava
dall’iniziativa.
Negli stabilimenti del Centro
Sud, da Pomigliano alla Sevel, da
Melfi a Termoli, Marchionne supersfrutta i lavoratori con turni
massacranti, paghe da fame, relazioni industriali dove i lavoratori
devono sacrificare le loro richieste a quelle dell’azienda, straordinari il sabato e la domenica
non contrattabili, con condizioni
e carichi di lavoro insopportabili per i lavoratori e con ripercussioni drammatiche sulla loro salute. E se in una prima fase la Fiom
di Landini ha sostenuto e mobilitato i lavoratori, portando le lotte
ad un livello avanzato e combattivo, poi ha ceduto alla linea collaborazionista e capitolazionista
della destra Camusso, che accetta
di fatto il modello di relazioni industriali di tipo mussoliniano instaurate dal capo dei super ricchi
Marchionne, abbandonando i lavoratori al loro destino.
Le delegate e i delegati della sinistra sindacale delle aziende FCA hanno fatto bene a unire
i lavoratori, ricercare l’unità con
tutte le forze sindacali disponibili
per rendere più forte e partecipata
l’iniziativa di mobilitazione: abbandonati dalla capitolazione dei
vertici Fiom hanno giustamente
costituito un coordinamento delle
delegate e dei delegati, delle lavoratrici e dei lavoratori delle diverse fabbriche e dei diversi sindacati
disponibili alla lotta.
Per questo i vertici della Fiom
oramai asserviti alla logica padronale, hanno pensato bene, invece di sostenere le lotte, di punire
i coraggiosi lavoratori chiedendo per tutti, non solo Destradis,
un’azione repressiva interna alla
stessa Fiom avviando la procedura di espulsione dalla Fiom e dalla Cgil.
Una decisione grave e autoritaria, che da un lato cancella il diritto statutario di una minoranza di
poter individuare i propri rappresentanti negli organismi dirigenti, sinora mai messo in discussione in questa categoria, dall’altro
vuole cancellare ogni forma di
dissenso che stigmatizza il clima
di caccia alle streghe all’interno
della Fiom: chi non si allinea al
nuovo sindacato collaborazionista modello Camusso e Landini,
va fuori!
È la riprova della giustezza
della linea sindacale del PMLI
che incita i lavoratori a costruire,
ora più che mai, il sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, se
vogliono battersi vittoriosamente per i loro interessi immediati
e generali.
che per molte tratte i rincari sono
solo sospesi e potrebbero essere
sbloccati a breve.
Pesanti aumenti tariffari anche
per i treni. Dal 1 gennaio l’alta
velocità fa registrare un rincaro
medio dei biglietti del +2,7%, che
raggiunge quota +3,5% sulla tratta Roma-Milano.
Aumenta anche l’addizionale
comunale sui biglietti aerei: ben
2,5 euro in più, portando la tassa
a ben 9 euro a passeggero, 10 per
gli aeroporti romani.
Aumenti odiosi riguardano anche i beni di prima necessità. Per
gli alimentari una famiglia media
spenderà +189 euro. Per la ristorazione +26 euro, per i servizi bancari +18 euro, per luce e gas +12
euro, per le tariffe postali +9 euro.
Il capitolo Istruzione è particolarmente pesante: +79 euro.
Già qualche mese fa il Codacons
aveva denunciato che per l’anno
scolastico 2015/2016 le famiglie
avrebbero speso in media 500
euro per ogni studente, cifra a cui
si doveva aggiungere il costo dei
libri di testo, con una spesa complessiva di corredo scolastico e
libri di testo di oltre 1.100 euro a
studente. Considerando che nelle famiglie c’è spesso più di uno
studente, la spesa per l’Istruzione
rappresenta uno dei capitoli più
gravosi per i bilanci familiari.
Il carovita sta dunque falcidiando i sempre più magri bilan-
ci delle masse popolari italiane.
Aumenta tutto, rendendo sempre
più insostenibili alcune spese e limitando la possibilità degli italiani
di usufruire dei servizi essenziali,
di spostarsi, di studiare. Aumenta
per conseguenza anche la povertà e l’esclusione sociale. Le
uniche cose che non aumentano
sono le buste paga, le pensioni e
la capacità di spesa delle famiglie,
le quali anzi, tartassate da disoccupazione e licenziamenti, sono
sull’orlo del fallimento.
La crisi in questo caso spesso
c’entra poco. Lo sciagurato aumento dei costi dei servizi è una
scelta politica perseguita ostinatamente e in maniera truffaldina
dalle istituzioni borghesi per favorire i privati. È questo il prodotto
di almeno un ventennio di scelte
politiche e manovre economiche
antipopolari, dal governo del neoduce Berlusconi, al governo del
nuovo duce Renzi, passando per
i governi Monti e Letta, che hanno costretto le masse popolari ad
accollarsi i tagli ai servizi e lievitazione folle delle tariffe per legge.
Renzi continua imperterrito sulla
stessa strada, confermando di
non essere per nulla interessato
ai sacrifici che ben conoscono
milioni di famiglie italiane.
Insomma che le masse popolari facciano la fame lui se ne
frega. L’importante è che la borghesia ingrassi.
Assolto De Luca
“Sabotare la Tav” non è un reato
Importante sentenza del tribunale di Torino
in difesa della libertà di espressione
Il 18 ottobre, il giudice Immacolata Iadeluca ha rigettato dopo
due anni di ingiusto processo politico le accuse di “istigazione a
delinquere” mosse allo scrittore
Erri De Luca: “il fatto non sussiste”, così come è archiviata la
richiesta dell’accusa sostenuta dai pubblici ministeri, Antonio Rinaudo e Andrea Padalino,
di otto mesi di reclusione, sulla base del fascistissimo articolo
414 del codice Rocco. Tutto parte
da un’intervista del 1° settembre
2013 all’Huffington Post, dove lo
scrittore sosteneva che la “TAV
va sabotata” e che, riferendosi al
sequestro di alcuni arnesi, “le cesoie servivano: sono utili a tagliare le reti. Nessun terrorismo”.
La denuncia a carico dello
scrittore era stata presentata da
LTF (Lyon-Turin Ferroviaire), la
SPA transnazionale, partecipata
da Rete Ferroviaria Italiana (RFI)
che fino al febbraio 2015 si occupava della costruzione delle tratte
internazionali del TAV e dei lavori al cantiere della Maddalena di
Chiomonte.
Prima della sentenza lo scrittore in aula aveva riaffermato:
“Confermo la mia convinzione
che la linea sedicente ad Alta Velocità va intralciata, impedita e
sabotata per legittima difesa del
suolo, dell’aria e dell’acqua”.
Quando il tribunale di Torino lo ha dichiarato innocente, il
pubblico, composto per lo più da
militanti no TAV, gli ha dedicato applausi e ha scandito le paro-
le d’ordine: “Forza Erri” e ancora
“A sarà dura”!
Lo scrittore nel corso del processo ha avuto il sostegno di intellettuali e registi di fama, che
funzionando da cassa di risonanza hanno denunciato a livello internazionale la natura politica repressiva e intimidatoria
del procedimento a carico di De
Luca, rendendo insostenibile per
il governo Renzi e la magistratura torinese una condanna dell’intellettuale.
De Luca ha soprattutto raccolto la solidarietà militante del
movimento no TAV, che subisce
regolarmente e capillarmente la
stessa repressione che ha colpito
lo scrittore.
I politicanti borghesi hanno
dovuto ingoiare un boccone amaro, ma la reazione all’importante sentenza del tribunale di Torino
ha lasciato trasparire tutto il loro
nero livore. Da registrare il commento sfacciato dell’ex ministro
Maurizio Lupi di ex-FI e adesso Area Popolare che, dimentico
dello scandalo milionario sulle
Grandi opere che lo ha coinvolto, costringendolo alle dimissioni, delle devastazioni e dei ladrocini da lui consentiti e coperti si
permette di ergersi a “paladino”
della giustizia borghese: “Un tribunale della Repubblica ha stabilito che incitare al sabotaggio,
all’assalto, alla distruzione, alla
violenza contro la cosa pubblica e
contro le persone che la difendono non è un reato, perché su tutto
questo prevale il diritto alla libertà di parola”.
Checché ne dicano gli inferociti politicanti borghesi, il processo a De Luca imbastito dai “magistrati con l’elmetto”, come li
hanno definiti i No TAV, in marcia
il 4 ottobre in difesa della libertà
di parola e di lotta, è la conferma
che esiste una crociata giudiziaria
contro i no TAV, una sorta di delirio politico aggressivo e repressivo contro il movimento, confermato dalle accuse “terrorismo” a
carico dei militanti, dall’avviso
di garanzia al giornalista Davide
Falcioni per “violazione di domicilio” per aver partecipato, come
cronista, ad un presidio No Tav,
dalle continue rappresaglie contro le masse popolari della Val
Susa.
Tutto ciò è la risposta indiscriminata dello Stato fascista, che
non ammette idee divergenti, che
ha costretto il dissenso, la protesta, la lotta a confrontarsi con una
serie di “reati” di opinione codificati dai tempi di Mussolini in articoli del codice Rocco, come il
414, “istigazione a delinquere”,
che ha colpito De Luca, o come
il 278, “vilipendio del capo dello Stato”, che vengono usati per
mettere il bavaglio alle denunce
politiche realmente scomode per
le istituzioni borghesi e il regime,
per impedire ogni critica contro la
dittatura della borghesia e frenare la battaglia di classe sulle idee.
Articoli che nel corso della nostra
battaglia decennale hanno colpi-
to varie volte i massimi dirigenti del PMLI, tra cui il Segretario
generale, Giovanni Scuderi, che a
più riprese hanno dovuto affrontare processi politici unicamente
per avere espresso la posizione
del Partito su vicende nazionali e
internazionali.
Ma non va neanche dimenticato che l’uso dei “reati di opinione”
e delle norme fasciste che li regolano e soffocano la libertà di opinione espressione, stampa e di informazione ultimamente ha avuto
una violenta recrudescenza e inoltre sono state riproposte anche recentemente norme come la legge
bavaglio sulle intercettazioni che
mortificano e calpestano ulteriormente la libertà di stampa e di informazione. Questa è la tendenza
alla repressione partita con il governo del neoduce Berlusconi e
inasprita con il governo del nuovo
duce Renzi.
Nell’esprimere la nostra solidarietà al movimento No TAV,
colpito da questa massa di articoli e cavilli giudiziari fascisti e le
nostre felicitazioni militanti per
l’assoluzione di De Luca, che costituisce una sentenza importante
in difesa della libertà di espressione, siamo tuttavia consapevoli
che la battaglia va condotta fino
in fondo, alzando il tiro per chiedere l’abolizione dei reati di opinione e per costringere il governo
del nuovo duce Renzi. che usa il
pugno di ferro della magistratura
contro i No TAV, ad andarsene a
casa.
interni / il bolscevico 7
N. 4 - 28 gennaio 2016
Prime sentenze per Mafia Capitale
CONDANNATI PER CORRUZIONE
OZZIMO
E
SOLVI
(PD)
2 anni e 4 mesi all’ex consigliere di Cd Caprari
Il 7 gennaio, due anni dopo
la prima retata di “Mafia Capitale”, il giudice per l’udienza preliminare (Gup) Alessandra Boffi ha condannato l’ex
assessore piddino alla Casa
della giunta Marino, Daniele Ozzimo, a 2 anni e 2 mesi
di reclusione per corruzione in
atti contrari ai doveri di ufficio.
Alla stessa pena è stato
condannato anche il factotum
del X Municipio Paolo Solvi, ex
Margherita ed ex Udc, e all’epoca dei fatti braccio destro
a Ostia dell’ex presidente PD
Andrea Tassone.
2 anni e 4 mesi di reclusione il Gup li ha inflitti anche
all’ex consigliere comunale di
Centro democratico Massimo
Caprari. Mentre un anno e 10
mesi a testa se li sono beccati i fratelli Gerardo e Tomma-
so Addeo gli ex collaboratori
di Luca Odevaine (già componente del Tavolo di Coordinamento Nazionale per i richiedenti asilo).
Le sentenze sono state emesse nell’ambito di uno
stralcio del procedimento che
vede tra gli altri 101 imputati l’ex neopodestà Alemanno,
l’ex terrorista dei Nar Massimo Carminati, il boss delle cooperative “rosse” Salvatore
Buzzi, il senatore Ncd nonché
presidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama Antonio Azzollini e i massimi vertici del PD romano e
laziale a cominciare da Luca
Odevaine, ex vice capo di gabinetto con Walter Veltroni, poi
capo della polizia provinciale
con Nicola Zingaretti e all’epoca dei fatti al Coordinamento
nazionale sull’accoglienza per
i richiedenti asilo del ministero
dell’Interno.
Secondo i Pubblici ministeri
(Pm) Paolo Ielo, Luca Tescaroli e Giuseppe Cascini, Ozzimo ha tratto delle utilità dal
suo rapporto con il capo della coop “29 giugno”, Salvatore Buzzi. La prima era “morale” per il salvataggio, grazie
all’intervento del capo della
“29 giugno”, della cooperativa edile Deposito San Lorenzo, le altre due invece materiali e riguardavano l’assunzione
in una delle coop di Buzzi di
una ragazza segnalata da Ozzimo (che avrebbe lavorato
per quattro mesi nei soli week
end per poi vedere interrotto il
suo rapporto di lavoro) e poi il
finanziamento di 20mila euro
per la campagna elettorale di
Ozzimo regolarmente denunciata alla Corte d’Appello.
Per Ozzimo, tornato libero il 24 dicembre scorso, così
come per Caprari, i fratelli Addeo e Solvi si è proceduto con
rito abbreviato e per questo
tutti i condannati hanno usufruito dello sconto di un terzo
della pena.
Nel corso della stessa
udienza il Gup ha deciso anche i quattro patteggiamenti che erano stati richiesti da
ex dirigenti della cooperativa
“bianca” La Cascina, braccio
economico di Comunione e liberazione. Francesco Ferrara
ha avuto due anni e 8 mesi,
Domenico Cammisa, Salvatore Menolascina e Carmelo Parabita hanno avuto due anni e
sei mesi ciascuno. Le accuse
per tutti quanti gli imputati era-
no di corruzione.
Secondo l’accusa Odevaine ha ricevuto dai quattro manager “la promessa
di una retribuzione di 10mila
euro mensili, aumentata a
20mila dopo l’aggiudicazione
del bando di gara del 7 aprile del 2014 relativo all’appalto per la gestione del Cara di
Mineo”. Con lo scopo di creare le condizioni per assegnare
i flussi di immigrati alle strutture gestite dal gruppo La Cascina. Odevaine ha ricevuto i soldi in tre anni, dal 2011 al 2014,
direttamente e in parte tramite
i suoi collaboratori: Gerardo e
Tommaso Addeo che “curavano la predisposizione della documentazione fittizia finalizzata a giustificare l’ingresso delle
somme nelle casse delle fondazioni e delle società riferibili
a Odevaine”.
Agli inizi di dicembre, sempre con il rito abbreviato, sono
stati inflitti quattro anni per corruzione a Emanuela Salvatori,
ex funzionaria del Comune e
responsabile dell’attuazione
del piano nomadi di Castel Romano. E per corruzione è stato condannato a cinque anni
e quattro mesi anche Emilio
Gammuto, per il quale è stata
riconosciuta l’aggravante del
metodo mafioso. Quattro anni
per usura, infine, è la pena decisa per Raffaele Bracci e Fabio Gaudenzi, considerati vicini all’ex Nar Carminati.
Il 23 marzo invece inizierà
il dibattimento che vede alla
sbarra l’ex sindaco Alemanno
accusato di aver preso mazzette dal gruppo di Carminati
e Buzzi.
ATTACCO AL DIRITTO D’INFORMAZIONE
Un giornalista de “Il Fatto” indagato per aver
svelato “i segreti del potere”
Marco Lillo, giornalista de
“Il Fatto Quotidiano” è sotto inchiesta a Reggio Calabria da
parte della Dia, per aver rivelato nella sua inchiesta giornalistica “I segreti del potere”
pubblicata su “Il Fatto”’, intercettazioni telefoniche segretate inerenti l’inchiesta “Breakfast” sui fondi della Lega
Nord, portata avanti dalla procura reggina.
Il procuratore Federico Cafiero de Raho con i colleghi
Calogero Gaetano Paci e Gerardo Dominijanni indagano
su Lillo e su un pubblico ufficiale della procura non ancora identificato, per aver rivelato materiale segreto “al fine
di procurare a sé o ad altri un
indebito profitto patrimoniale”.
Che consisterebbe – si legge
nel provvedimento di perqui-
sizione ai suoi danni effettuato a Roma da otto agenti della
Dia – “nel fine di incrementare
le vendite con la pubblicazione
(…) di notizie riguardanti esponenti della politica e delle istituzioni”.
Palese l’attacco al diritto
di cronaca da parte della procura, visto che stiamo parlando di fatti di interesse pubblico
che riguardano in particolare
fra gli altri l’ex segretario (ed
ex ministro) della Lega nonché
attuale presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni.
Le intercettazioni pubblicate
da “Il Fatto” riguardano episodi accaduti fra il 2012 e il 2014
quando l’allora segretario Ma-
roni avrebbe trasferito ben 20
milioni di euro della Lega Nord
dall’Unicredit all’istituto bancario altoatesino “Sparkasse” di
Bolzano per sottrarli ai pignoramenti e alle richieste del fondatore ed ex segretario della
Lega Umberto Bossi e ai suoi
scagnozzi, fra i quali in particolare l’ex parlamentare Matteo
Brigandì.
Maroni, emerge nelle telefonate, ha escogitato, insieme
al suo legale Domenico Aiello, la creazione di un trust (sul
modello della fondazione fatta da AN dopo lo scioglimento
nel PDL), del quale pochissimi avrebbero dovuto essere a
conoscenza, con tanto di cre-
azione di una “bad company”
piena di debiti in modo da lasciare il suo antico alleato Bossi a bocca asciutta.
Lo Sparkasse è sicuramente complice di Maroni, basti
pensare che fu garantito un
tasso d’interesse di quasi il 4%
sulla somma a fronte dell’1,5%
applicato solitamente per cifre
simili.
Con l’elezione di Salvini a
segretario poi i fondi sono stati spostati su un conto Banca
Intesa, anche per effetto della legge 966-2012 che vieta ai
partiti politici di investire i propri
liquidi (attraverso Bond, fondi
immobiliari, azioni e cosi via)
utilizzando strumenti finanzia-
ri diversi dai titoli emessi dagli
Stati dell’Ue imperialista.
Marco Lillo sempre nell’ambito dell’inchiesta “I segreti del
potere” si era occupato dei retroscena del ricatto da parte di
Berlusconi contro la Lega per
costringere Maroni all’alleanza con lui nel 2013, dei maneggi tra la Lega e l’Impregilo nell’ambito della costruzione
del ponte sullo Stretto delle richieste di voto ai leghisti da
parte dell’allora presidente del
Coni Malagò e altro ancora.
Di fronte allo spostamento di quattrini di un partito politico da una banca all’altra per
ragioni economiche e di lotta
politica interna, tanto più vo-
mitevole se si considera poi
che sono quattrini sottratti al
popolo attraverso il finanziamento pubblico dei partiti (vera
pappatoia per i politicanti borghesi alle spalle del popolo) i
magistrati reggini inquisiscono
Marco Lillo, “colpevole” solo di
avere fatto il suo lavoro.
Questa vicenda è la prova
provata che siamo in un regime neofascista, con tanto, fra
le altre cose, della fine di qualsiasi separazione sia pure formale fra i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, con
l’assoggettamento della magistratura al governo e ai partiti
del regime (come si fa a non
vedere la “manina” della stessa Lega dietro la Dia?).
A Marco Lillo va la solidarietà della Redazione centrale de
Il Bolscevico e del PMLI.
Spese pazze
L’EX SOTTOSEGRETARIA BARRACCIU (PD) SARÀ PROCESSATA
È accusata di aver utilizzato in maniera illecita 81 mila euro. 3.600 al fidanzato
Francesca Barracciu, sottosegretario alla Cultura del
governo Renzi, il 20 ottobre è
stata rinviata a giudizio dalla
procura di Cagliari e il prossimo 2 febbraio sarà alla sbarra imputata per peculato aggravato per l’uso improprio dei
fondi ai gruppi del consiglio regionale della Sardegna.
Il Giudice per l’udienza preliminare (Gup) Lucia Perra ha
accolto la richiesta di rinvio a
giudizio a carico di Barracciu
formulata dal Pubblico ministero (Pm) Marco Cocco, titolare della maxinchiesta sulle spese dei fondi destinati ai
gruppi del consiglio regionale.
In particolare all’ex candidata alla presidenza della Re-
gione Sardegna, già consigliera regionale del PD dal 2004
al 2013, il Pm contesta una
sfilza di “spese pazze” per oltre 81mila euro, di cui almeno
3.600 a favore del fidanzato,
utilizzando i soldi pubblici destinati ai gruppi parlamentari
dell’assemblea sarda.
Difesa a spada tratta da
Renzi fin dall’inizio dell’inchiesta, la Barracciu alla fine è
stata costretta a dimettersi nonostante il premier l’avesse invitata per l’ennessima volta a
rimanere attaccata alla poltrona con un loquace “Non chiedo le sue dimissioni, ma apprezzo il gesto”.
Durante le indagini la posizione della Barracciu si è
ulteriormente e progressivamente aggravata. Allo sperpero di denaro pubblico si sono
via via sommate le troppe incongruenze riscontrate nelle memorie difensive presentate dall’onorevole piddina. Il
Pm Cocco ritiene di particolare importanza una telefonata fatta da Barracciu a un regista sardo. Per l’accusa quella
chiamata - in cui l’onorevole
ricordava al regista di essere diventata sottosegretario
alla Cultura per poi annunciargli che sarebbe potuto essere convocato come testimone
nell’ambito dell’inchiesta in cui
era coinvolta - era un tentativo
di inquinare le prove. Accuse
alle quali la Barracciu per ora
non è stata in grado di fornire
alcuna giustificazione; ma alla
quali sarà costretta a rispondere durante il processo.
All’inizio di dicembre 2013,
quando era parlamentare europea e dopo avere vinto le
primarie del “centro-sinistra”
per la guida della Regione, la
Barracciu fu raggiunta da un
avviso di garanzia e costretta
a presentarsi negli uffici della
Procura di Cagliari dove i magistrati le contestavano spese
che nulla avevano a che vedere con l’attività politica, un
fenomeno questo che ha interessato praticamente tutti i
Consigli regionali italiani senza eccezioni.
In modo particolare le ve-
nivano originariamente contestate vertiginose spese di carburante per l’importo di oltre
30.000 euro, fatto che determinava alla fine di dicembre la
rinuncia alla candidatura alla
presidenza della Regione Sardegna, sostituita da Francesco Pigliaru.
La prima ciambella di salvataggio le veniva lanciata da
Palazzo Chigi dove il nuovo
duce Renzi stava per formare
il suo governo. Il 28 febbraio
2014 Renzi la nominava infatti sottosegretaria al ministero
retto da Dario Franceschini e
contestualmente la Barracciu
si dimetteva da parlamentare
europea.
Ma la carica di governo non
ferma l’inchiesta in corso e il
14 marzo 2014 la Procura di
Cagliari comunica all’esponente piddina la contestazione
di ulteriori 45.000 euro di spese indebite sottolineando fra
l’altro che in molte occasioni si
trova molto lontano dai luoghi
da lei indicati per svolgere attività politica, in alcuni casi addirittura fuori dalla Sardegna e
addirittura all’estero.
Tra le spese contestate c’è
anche un assegno di 3.600
euro per il pagamento di spese d’affitto della società Evolvere srl della quale fino al
2004 lei stessa era stata socia e che aveva lasciato poi in
amministrazione al suo convivente.
8 il bolscevico / no trivelle
N. 4 - 28 gennaio 2016
Con un colpo di mano nella Legge di Stabilità il governo dà il via libera alle operazioni davanti alle Tremiti
La truffa del governo Renzi
sulle trivellazioni
Ambientalisti contro il ministero dello sviluppo chiedono una moratoria immediata che blocchi qualsiasi
autorizzazione relativa alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi
Il regalo di natale del governo renzi ai petrolieri
All’interno della legge di Stabilità, votata definitivamente dalla Camera il 23 dicembre all’indomani dell’accettazione da parte
della Cassazione dei referendum
sulle trivellazioni, il governo
Renzi ha inserito un articolo che
di fatto rende inutili alcuni dei sei
quesiti proposti dalle Regioni e in
seguito rimossi.
A un primo e superficiale
sguardo, la legge di Stabilità sembrerebbe vietare le trivellazioni
entro 12 miglia dalla costa; proprio quello che chiedevano presidenti di Regione e cittadini “No
Triv”, si direbbe. Ma è qui che interviene il ministero dello Sviluppo economico. O meglio, l’intervento arriva un giorno prima che
la legge di Stabilità venga votata.
Il 22 dicembre, infatti, sul Bollettino ufficiale degli idrocarburi
vengono pubblicati alcuni decreti. E due di questi riguardano zone
interessate.
Il decreto 176 concede alla società irlandese Petroceltic il permesso di ricercare idrocarburi per
sei anni al largo della costa delle
Tremiti. L’area è grande 370 chilometri quadrati e l’incasso per
lo Stato, almeno finché non verrà
trovato gas o petrolio, sarà di circa 1.900 miseri euro all’anno. Il
decreto 175, invece, concede alla
società britannica Rockhopper, titolare del famigerato giacimento Ombrina Mare 2 in Abruzzo,
il rinnovo del permesso di ricerca
per un altro anno. Quindi, non c’è
che dire, un bel regalo di Natale
per i petrolieri che porta la firma
del ministro dello Sviluppo economico ed ex vice presidente di
Confindustria, Federica Guidi. Il
ministro poi, attaccato dal mondo ambientalista, cerca di nascondersi dietro a un dito affermando
che nelle autorizzazioni concesse “non c’è alcuna trivellazione e
sono entrambe a norma”. In realtà
dalla carta nautica emerge addirittura che una parte dell’area di permesso concesso alla Petroceltic è
dentro le 12 miglia, infrangendo
così il limite già vigente. Inoltre
il ministro Guidi dice che si tratta
solo di rilevazione geofisica, nascondendo che questa rilevazione
viene fatta con l’airgun, tecnica
a risonanza d’onde d’urto che ha
effetti potenzialmente devastanti
sulla vita marina.
A smentire definitivamente il
ministro Guidi nei fatti è la consapevolezza che, una volta individuato un eventuale giacimento,
per la Petroceltic sarà quasi automatico ottenere il permesso di trivellazione. Anche il rinnovo delle
concessioni per Ombrina Mare 2
non sarebbe stato possibile senza
il colpo di mano di questo decreto del ministero varato poco prima dell’entrata in vigore del limite delle 12 miglia. A ben guardare,
non stupisce affatto questo atteggiamento di favore poiché è noto
che i governi italiani hanno sempre garantito ai petrolieri un regime di franchigie, royalty e agevolazioni tra i più favorevoli al
mondo: le royalty in Italia sono al
massimo al 10% mentre negli altri
paesi produttori di petrolio vanno
dal 25% della Guinea all’80% di
Norvegia e Russia per fare alcuni
esempi. Il ministero dello Sviluppo ha sposato recentemente anche
gli studi, non verificati, prodotti
dai petrolieri stessi sullo sviluppo del settore che stimano 25.000
nuovi occupati senza considerare
che il turismo nelle aree costiere
messe a rischio dalle trivelle fa re-
gistrare ogni anno 43 milioni di
presenze di stranieri e che il solo
settore della pesca occupa, già
oggi, 25mila addetti, senza contare l’indotto e la maricoltura (pesci
e molluschi).
Il punto sui
referendum
La Corte Costituzionale dovrà
esprimersi a breve sulla validità dell’unico quesito referendario
rimasto valido dopo il varo della
legge di Stabilità. Tra l’altro esso
non incide sull’esito delle istanze
nei mari italiani riferendosi solo
alla durata dei titoli già rilasciati
entro le 12 miglia. L’articolo 239
inserito della legge di stabilità
proroga fino alla durata della vita
utile del giacimento i titoli abilitativi già rilasciati. In sostanza
finché il giacimento è attivo può
essere sfruttato; i referendari chiedono di cancellare questo automatismo. Sterilizzando all’interno
della legge di Stabilità buona parte
dei quesiti referendari, il governo
ha lasciato intatto il cardine della legge Sblocca Italia, che di fat-
Migliaia in corteo a Licata contro
i pozzi off-shore
Crocetta come renzi servi delle
multinazionali del petrolio
‡‡Dal nostro corrispondente
della Sicilia
In oltre 2mila il 9 gennaio hanno partecipato alla marcia No Triv
a Licata, in provincia di Agrigento, divenuta protagonista in questi giorni della lotta contro le trivellazioni off-shore nel mare della
Sicilia. Vasta e sentita la partecipazione popolare alla marcia. In
una zona che già presenta numerose e gravi problematiche economiche e ambientali, gli 8 pozzi
di esplorazione e produzione che
verrebbero realizzati al largo della costa tra Gela, Licata e Ragusa,
secondo le concessioni del governo Crocetta, PD, ad Assominiera
sarebbero un disastro socio-economico, oltre che ecologico.
Il “NO!” convinto delle masse
popolari licatesi è stato scandito
in un corteo vivacissimo sul lungomare di corso Argentina e per le
vie del centro. In testa i “No Triv”
di Licata, la marcia ha percorso
buona parte del centro storico, è
passata davanti al municipio e si
è conclusa con un sit-in in piazza Attilio Regolo, nel quartiere
Marina. Presenti delegazioni del
movimento giunte da ogni parte della Sicilia, tra cui gli attivisti
No Muos gelesi. In piazza anche
gli esponenti No Triv della val di
Noto e diversi esponenti del movimento antimafia siciliano.
La popolazione licatese ha in-
corniciato lungo il percorso l’intera manifestazione. Il successo è
dovuto al fatto che il comune basa
la propria economia sulla pesca
e il turismo. Non a caso, anche
la marineria licatese era presente
alla marcia, con i combattivi pescatori che giustamente si sentono
minacciati dalla realizzazione delle piattaforme per la ricerca di petrolio e gas al largo della costa.
Alla vivacissima manifestazione, accompagnata da slogan e
canti, hanno partecipato gli studenti licatesi e della provincia di
Agrigento.
I licatesi sono particolarmente
preoccupati del danno che le trivellazioni apporterebbero al turismo in uno dei mari più belli della Sicilia.
Non solo. In quella zona sono
ancora presenti le testimonianze
di quella che Polibio definì “la più
grande battaglia navale” dell’antichità, combattuta durante la I guerra Punica tra Roma e Cartagine per
il possesso della Sicilia, davanti Licata a largo di capo Ecnomo nel
256 a.c.. affondarono ben 88 navi.
Il mare di Licata deve essere considerato uno dei parchi archelogici marini più importanti d’Italia,
un patrimonio delle masse popolari italiane. Le operazioni di trivellazione condannerebbero dunque alla
distruzione la marineria, il turismo,
la storia e la cultura di Licata.
to esclude gli enti locali, Regioni
comprese, dalle decisioni sui temi
energetici, considerati strategici e
dunque ad esclusivo appannaggio
del governo centrale.
D’altronde Renzi sulle colonne de l’Unità ha affermato che il
blocco dei procedimenti in corso
entro le acque territoriali è da intendersi come una sospensiva voluta dallo stesso governo di tutti i
procedimenti amministrativi per il
rilascio di titoli abilitativi entro le
12 miglia dalla coste italiane; questo è un chiaro segno che il rigetto non avverrà mai. Così, in due
mosse, il governo evita che la volontà popolare possa esprimersi:
prima modifica la norma, poi la fa
affogare tra le carte del ministero.
Le reazioni del mondo
ambientalista e la
nostra posizione
Licata (Agrigento), 9 gennaio 2016. La manifestazione dei comitati
contro le trivellazioni petrolifere al largo della costa
Intanto, il giorno precedente la
manifestazione il governo Renzi ha
ricevuto il ceffone dalla Cassazione: il quesito sulle operazioni di trivellazioni a mare potrà svolgersi.
Il referendum antitrivelle voluto dalle regioni costiere italiane e
da tutto il movimento “No Triv”
è ammissibile, non così purtroppo
per i quesiti che investono norme
dello “Sblocca Italia”.
Ormai i “No Triv” sono divenuti una realtà di lotta in continua crescita ed espansione in Italia, come
dimostrano le manifestazioni svoltesi negli ultimi mesi. Il PMLI saluta e appoggia questa importante
lotta per la difesa del territorio, che
appartiene alle masse popolari.
Per quanto riguarda la Sicilia
passerà alla storia che ancora una
volta Crocetta si sia dimostrato un
traditore della volontà popolare.
Infischiandosene di tutto e tutti, ha
sottoscritto con le multinazionali del petrolio uno scellerato patto
che prevede diversi impianti di tri-
vellazione al largo della costa siciliana. E dire che dovevano indurlo
ad una maggiore cautela le particolari condizioni di grave inquinamento di parte delle coste meridionali della Sicilia e la già eccessiva
pressione della corsa allo sfruttamento del petrolio nel Canale, i
seri rischi per l’incolumità di chi
vive nelle zone e per l’economia
dei territori interessati.
Ma è anche vero che Crocetta
è allineato sulle scelte del nuovo
duce Renzi in materia di sfruttamento del petrolio siciliano. Sono
infatti i due che avallano e garantiscono quel vero e proprio assalto al mare siciliano da parte delle
compagnie petrolifere che si traduce in una concessione di ben
12.908 i chilometri quadrati.
La lotta è ancora lunga, ma è
necessario che sin da ora il movimento siciliano chieda a gran voce
l’annullamento del patto tra Crocetta e Assominiera riguardo allo
sfruttamento del mare siciliano.
In pratica ci sono ben 23 istanze dei petrolieri che interessano
praticamente tutto l’Adriatico,
con milioni di ettari richiesti per
le ispezioni; e i 1.900 euro annui
che pagherà Petrolceltic appaiono
l’ennesima presa di giro, utile solo
ad ingrossare le tasche dei petrolieri una volta trovati i giacimenti.
Com’è possibile poi ignorare che
le riserve di “oro nero” individuate nei nostri fondali coprirebbero
il fabbisogno nazionale di petrolio
solo per 7 settimane mentre pesca
e turismo rappresentano due settori preziosi e fondamentali per
l’economia nazionale?
WWF, Legambiente e Greenpeace Italia chiedono il rigetto
definitivo di tutti i procedimenti
ancora pendenti nell’area di interdizione delle 12 miglia dalla costa e una moratoria che blocchi
qualsiasi autorizzazione relativa
alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi
in mare e a terra. Le associazioni denunciano inoltre una grave
distorsione nell’operato del mi-
nistero dello Sviluppo Economico, che sostiene e attua politiche
di retroguardia in una difesa d’ufficio dei combustibili fossili, contro le scelte energetiche imposte
dagli impegni assunti dall’Italia
per la salvaguardia del clima: promuovere le energie rinnovabili, il
risparmio e l’efficienza energetica per mantenere il riscaldamento
globale entro 1,5°C come emerso dalla COP21 di Parigi. In realtà così non sarà perché ciò non è
nell’interesse dei petrolieri che il
governo Renzi serve fedelmente.
La questione di fondo è che si
continua a inseguire un modello energetico, basato sulle fonti fossili e responsabile del cambiamento climatico in atto. Invece
di svendere i mari italiani in cambio di poche migliaia di euro per
cercare petrolio è indispensabile
concentrarsi sulle rinnovabili che
sono fonti energetiche che possono salvaguardare l’ambiente ed il
futuro. Si ricrederanno già i sostenitori entusiasti degli esiti impalpabili della Conferenza di Parigi dei primi di dicembre; i buoni
propositi ostentati si scontrano
inevitabilmente con gli interessi
dei petrolieri e dei grandi monopoli capitalistici e la mancanza di
norme concrete agevola il voltafaccia dei governi a loro asserviti.
Tutto ciò, relativamente alla questione energetica, è emerso appena un mese dopo la COP21 sulle
trivellazioni in Italia, ma sarà solo
il primo episodio di tanti che renderanno nulli nella sostanza i già
nebulosi proclami della conferenza sponsorizzata da multinazionali e banche.
L’inquinamento e la devastazione ambientale sono insiti nel
modello di sviluppo capitalista
che persegue ogni giorno la strada del massimo profitto a ogni costo, anche a quello di compromettere definitivamente ecosistemi e
risorse marine per qualche gallone di petrolio.
sciiti e sunniti / il bolscevico 9
N. 4 - 28 gennaio 2016
Sulle divergenze religiose
tra musulmani sunniti e sciiti
L’escalation dello scontro tra
Arabia Saudita e Iran per l’egemonia regionale del Golfo Persico
e dell’intero Medioriente è stato
presentato da più parti come una
guerra di religione, al momento
solo diplomatica e economica. Lo
stesso che l’occidente borghese e
imperialista vuol far credere della
guerra allo Stato islamico. Come
è sempre successo la religione e
le contraddizioni religiose sono
un pretesto imperialista per portare dalla propria parte i popoli credenti e carpirne il consenso alle
loro politiche egemoniche, locali o globali che siano. È stato così
per le crociate, le spedizioni guerresco-colonizzatrici dei feudatari europei occidentali nei paesi
del Mediterraneo orientale contro
gli “infedeli musulmani”, iniziate alla fine dell’XI secolo e proseguite fino alla fine del XIII secolo, è stato così per la “guerra dei
trent’anni” (1618-1648), provocata principalmente dagli interessi dei principi tedeschi e della politica di potenza perseguita dagli
Asburgo, in stretta unione con il
papato e con le altre forze reazionarie d’Europa, giustificata dalla
“difesa” dei “puri” cattolici contro
gli “impuri” protestanti.
Anche oggi le contraddizioni religiose tra sunniti e sciiti riesplose prepotentemente in tutta
l’area mediorientale accompagnano la lotta per l’egemonia scatenatasi nella Regione. Tutto sembra
riassumersi allo scontro atavico
sciiti contro sunniti che lacera il
mondo islamico da 1400 anni, ma
dietro le questioni teologiche c’è
un’importante partita geopolitica
che interessa gli equilibri globali, ed è giocata dall’Iran, alla fine
del suo isolamento internazionale
dopo quasi 40 anni, e dall’Arabia
Saudita, ancora perno degli USA
nella Regione e con un peso militare e politico accresciutosi pericolosamente.
Detto questo cerchiamo di fare
chiarezza sulle contraddizioni religiose dell’islam. I musulmani si
dividono in due principali rami:
sunniti e sciiti. I sunniti costituiscono tra l’87 e il 90% della popolazione complessiva di musulmani
nel mondo. Gli sciiti costituiscono il restante della popolazione
musulmana, tra il 10 e il 13%. I
membri delle due scuole di pensiero hanno coesistito per centinaia di anni, condividendo i principi
fondamentali dell’Islam, definiti
“i cinque pilastri”: Shahadatein,
l’accettazione di un unico dio e di
Maometto come suo ultimo profeta; Salah, le cinque preghiere quotidiane obbligatorie; Zakah, la donazione del 2,5% dello stipendio
annuale ai poveri; Siam, il digiuno nel mese di ramadam; Hajj, il
pellegrinaggio a La Mecca da fare
almeno una volta nella vita, obbligatorio per tutti quelli che sono in
grado di affrontarlo. Se per sunniti
e sciiti questi principi sono pressoché identici le differenze riguardano i rituali, la legge, la teologia e il
modo di organizzare la società.
L’islam è l’ultima religione monoteista abramitica, dopo l’ebraica
e la cristiana, nata nel VII secolo.
Nel 610, secondo la tradizione musulmana, durante il mese di ramadam, l’arcangelo Gabriele impone
a Maometto la lettura della parola
del Corano. Ma alla Mecca, la predicazione dell’islam monoteistico
trovò dapprima pochi seguaci. I
nobili, con a capo Abu Sufyan, te-
mevano che questa dottrina comportasse la caduta del culto della
Kaaba, poiché il possesso di questo tempio rafforzava l’influenza
politica e i rapporti commerciali
della Mecca con le tribù arabe. I
seguaci della nuova religione venivano pertanto perseguitati, e ciò
li costrinse a trasferirsi, insieme a
Maometto, a Medina. Il 622, anno
dell’Egira (emigrazione) diviene il
primo anno del calendario islamico, ovvero il primo anno dell’era
musulmana. È a Medina che si instaura l’unione del potere politico e di quello religioso. Maometto assume il potere politico e in
questo momento, per tradizione,
nasce il primo Stato islamico, comunità sottomessa alla volontà di
Allah. Nel 632 il profeta muore e
la comunità si sfalda.
La divisione verte sulla caratteristica principale di chi dovrà
guidare la comunità e gli interpreti saranno i futuri sunniti e sciiti.
Il termine sunnita deriva dall’arabo Ahl al-Sunnah che significa “il
popolo delle tradizioni (di Maometto)”, quello sciita dall’arabo
Shi’atu Ali, ossia “sostenitori (politici) di Alì”, genero di Maometto. Per i sunniti la guida politica e
spirituale della Umma (comunità) può essere qualunque musulmano di buona moralità, di dottrina e sano di corpo e di mente, per
gli sciiti solo un discendente diretto di Maometto. Per i primi, dopo
la morte del profeta, il nuovo leader della comunità musulmana doveva essere Abu Bakr, compagno
di Maometto e importante studioso islamico, per i secondi califfo
doveva essere eletto Ali ibn Abi
Talib, genero del profeta, dal momento che Maometto non aveva
figli maschi. La frattura sembrò
ricomporsi quando dopo la morte
di Abu Bakr e dei suoi primi due
successori sempre sunniti, ad essere eletto califfo fu proprio Alì:
ma dopo che questi fu assassinato,
i suoi seguaci si rifiutarono di sottomettersi ai califfi seguenti, riconoscendo unicamente come guide
i discendenti di Alì. Il punto di non
ritorno fu l’uccisione del figlio di
Alì, Hussein, da parte delle truppe califfali. Era il 680 e la frattura tra le due confessioni era ormai
segnata.
Nell’islam sunnita il califfo è
il leader dell’intera comunità musulmana mentre l’imam è semplicemente una figura religiosa che
guida la preghiera in moschea,
per gli sciiti l’unico in grado di
reggere la guida della comunità è invece l’imam, garante spirituale e religioso. All’interno delle
due correnti ci sono ulteriori divisioni. Il sunnismo si divide in hanafismo, la corrente più liberale e
tollerante, malikismo che privilegia il rispetto dei modelli religiosi, sociali e giuridici emersi a Medina, sciafismo che pone le fonti
del diritto in una precisa gerarchia, hanbalismo che si oppone a
qualsiasi ingerenza della ragione
umana nell’interpretazione delle fonti religiose. In riferimento
a quest’ultima è sorto nel XVII
secolo il wahhabismo (dal nome
del suo iniziatore, al – Wahhab),
una corrente radicale che predica
la depurazione dell’islam da tutte
le novità introdotte dopo la morte di Maometto, afferma l’obbligo
di sottomissione a un unico leader
musulmano, pena la morte, considera nemiche tutte le altre correnti islamiche, incluse le altre scuo-
le sunnite.
Lo sciismo si suddivide invece
in ismailismo che dà grande rilevanza agli elementi esoterici, duodecimanismo, dai dodici imam
riconosciuti discendenti di Maometto, zaydismo caratterizzato da
un carattere militante in campo
politico, moderato in campo giurisprudenziale, che prescrive che
il potere sarà legittimamente esercitato da chi sappia guidare i musulmani contro gli usurpatori e gli
oppressori.
L’impatto della contrapposizione tra sunniti e sciiti in alcuni
dei principali paesi islamici vede
attualmente il governo dell’Arabia
Saudita composto principalmente da sunniti e la stessa monarchia al potere appartiene al ramo
sunnita. È in costante competizione con l’Iran sciita, che teme potrebbe creare disordini all’interno
delle comunità sciite che vivono
nei paesi del Golfo. La maggioranza della popolazione del Bah-
rein è sciita. Tuttavia al potere vi
è una monarchia sunnita. Ispirati
dalla primavera araba nel 2011 gli
sciiti hanno cominciato a manifestare per i loro diritti. Il governo
del Bahrein e i suoi alleati, tra cui
l’Arabia Saudita, hanno represso
con violenza le proteste, uccidendo centinaia di civili.
In Iraq, dove si trovano la maggior parte dei luoghi sacri per i
musulmani sciiti, per molto tempo
la maggioranza sciita del paese è
stata oppressa dal regime sunnita.
Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003, sono saliti
al potere gli sciiti e hanno cominciato a prendere di mira la comunità sunnita, torturata e perseguitata con squadroni della morte. In
risposta alla crescente violenza nei
loro confronti i sunniti hanno organizzato diversi attacchi suicidi e attentati. La guerra civile ha
rafforzato il gruppo antimperialista sunnita che darà vita allo Stato islamico.
Dopo la rivoluzione di Khomeini del 1979 che ha portato gli
sciiti al potere, l’Iran ha finanziato e incoraggiato le rivolte sciite
nella regione orientale dell’Arabia Saudita, ricca di riserve di petrolio. Il governo iraniano sostiene
il governo alauita (un ramo sciita)
di Assad in Siria, che fa da ponte
con il Libano, permettendo di continuare a finanziare le attività del
gruppo militante sciita degli Hezbollah. Il Libano è sempre stato
abbastanza stabile, vista l’assenza di una netta maggioranza sciita o sunnita all’interno del paese.
Il potere è distribuito ugualmente.
Il presidente del governo libanese deve essere un cristiano, il primo ministro un sunnita e il portavoce del parlamento uno sciita. I
conflitti si concentrano principalmente nel nord del paese, ai confini con la Siria, dove Hezbollah sostiene il governo di Assad.
Soltanto il 10-15% della popolazione musulmana del Pakistan è
sciita e non ha alcuna influenza a
livello politico. Per questo motivo
gli sciiti del paese sono spesso vittime di discriminazioni e attentati principalmente condotti da due
gruppi militanti sunniti alleati fra
loro, Lashkar-e-Jhangui e i Tehreek-e-Taliban Pakistan. In Yemen,
i ribelli houthi sono riusciti a costringere alle dimissioni il presidente Hadi, riconosciuto dalla
comunità internazionale, e hanno
così preso il controllo, nonostante la maggioranza di tribù sunnite
nel sud del paese non li riconosca.
Una coalizione di paesi arabi sotto la guida dell’Arabia Saudita sostiene l’ex presidente Hadi contro
i ribelli houthi, che sono pro-Iran.
Vaste parti del territorio dello Yemen sono inoltre sotto il controllo
del gruppo sunnita Al Qaeda nella
penisola araba che si contrappone
sia agli houthi che al governo di
Hadi, e che da anni è preso di mira
dalla criminale campagna di droni
americani all’interno del paese.
La distribuzione geografica dei sunniti e degli sciiti
N. 26 - 2 luglio 2015
Comunicato dell’Ufficio politicoesteri
del/ ilPMLI
bolscevico 15
Perché gli attacchi terroristici a Parigi.
E' la barbarie dell'imperialismo
che genera barbarie
I marxisti-leninisti italiani si stringono solidali ai familiari delle vittime incolpevoli degli attentati
terroristici a Parigi.
Questi attentati, non condivisibili ma comprensibili, sono la diretta conseguenza della criminale
guerra che la santa alleanza imperialista, della quale fa parte la Francia di Hollande, conduce
contro lo Stato islamico. Ed è facilmente prevedibile che essi continueranno e investiranno tutti i
paesi della suddetta coalizione. Per evitarli l'unica strada è quella di cessare la guerra allo Stato
islamico.
I popoli non hanno alcun motivo per appoggiare questa guerra che fa unicamente gli interessi
degli imperialisti, cioè del capitalismo e delle classi dominanti borghesi, che per sostenere le loro
economie e "spazi vitali" usano le armi per sottomettere i popoli che si ribellano al loro dominio e
per depredare le ricchezze, soprattutto il petrolio e le materie prime, dei loro paesi.
Attualmente è il Medio Oriente, in particolare la Siria, l'Iraq e la Libia, che fa gola all'imperialismo
americano, europeo e russo. Nonostante essi siano in contraddizione e in lotta per l'egemonia in
quella regione, ora sono uniti per combattere lo Stato islamico, che rappresenta il maggiore ostacolo per i loro piani di dominio nel Medio Oriente.
Gli amanti della pace, della libertà e dell'autodeterminazione dei popoli, dell'indipendenza e della
sovranità dei paesi, non possono quindi stare dalla parte degli aggressori imperialisti, ma da
quella dello Stato islamico aggredito. Il PMLI, nonostante non condivida assolutamente la sua
ideologia, cultura, tattica, strategia e tutti i suoi metodi di lotta, azioni e obiettivi, non può non appoggiarlo nella sua lotta contro gli imperialisti. Perché è interesse comune liberare il mondo
dall'imperialismo, che è la causa delle guerre, dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, dell'esistenza delle classi, delle ingiustizie sociali, della fame, della disoccupazione, della disparità territoriale e dei sessi, del fascismo, del razzismo, dell'omofobia, dell'emigrazione. E' la barbarie
dell'imperialismo che genera barbarie.
Non esiste un imperialismo buono, quello russo o cinese, e un imperialismo cattivo, quello americano o europeo. Tutti gli imperialismi sono cattivi e nemici dell'umanità. Lottano tra di loro per il
dominio sul globo anche a costo di scatenare una guerra mondiale. Devono essere fermati.
Il contributo più grande che il popolo italiano possa dare a questa lotta antimperialista universale
è quello di opporsi a ogni atto interventista e guerrafondaio del governo imperialista del nuovo
duce Renzi. Esso è presente in armi in Iraq e Afghanistan, ed è pronto a bombardare con i Tornado e i Droni lo Stato islamico nel territorio che questo ha strappato all'Iraq. Aspetta solo di avere
la contropartita a cui tiene tanto, quella della guida della missione militare in Libia.
Il popolo italiano deve rifiutarsi di diventare carne da cannone per l'imperialismo italiano e, nel
caso in cui l'Italia partecipasse a una eventuale guerra mondiale imperialista, deve sollevarsi
anche in armi, se occorre, per imperdirla.
Questo governo è una iattura per la sua politica interna ed estera, bisogna cacciarlo.
stampato in pr.
14 novembre 2015, ore 9,04
l’Ufficio politico del
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]
www.pmli.it
cronache locali / il bolscevico 11
N. 4 - 28 gennaio 2016
Mentre “Sinistra Italiana” ufficializza l’appoggio al neopodestà De Magistris
Opportunistica presenza del neopodestà
De Magistris in cerca di voti
I renziani avanzano la candidatura
del pm Corona a sindaco di Napoli L’assise di Bagnoli
Altro candidato certo alle primarie PD è il rinnegato del comunismo Bassolino
‡‡Redazione di Napoli
Dalle giornate della “Leopolda” piddina è spuntato il candidato dei renziani alternativo al rinnegato del comunismo Antonio
Bassolino alle prossime primarie
del PD per scegliere chi dei neoliberali dovrà affrontare le elezioni amministrative di Napoli in
primavera. Si tratta del magistrato anticamorra Giovanni Corona
che ha fatto un intervento proprio
a Firenze per testimoniare il suo
impegno di pubblico ministero
anticlan. Corona, infatti, rappresenterebbe quella parte di “società civile” che tanto stanno cercando i fedelissimi di Renzi - primo
fra tutti il capogruppo PD alla Regione Campania, Mario Casillo -,
“contro un sindaco fallimentare e
con un centro-destra diviso abbiamo il dovere di avanzare una
proposta vincente per battere
Bassolino alle primarie e poi vin-
cere e governare”.
Contemporaneamente si fa
avanti la componente politica vicina al nuovo duce che invece
non concorda con l’affidare a un
non iscritto al PD la possibilità di
concorrere alle primarie; corrente
che fa capo al voltagabbana ex
SEL Gennaro Migliore e Valeria
Valente, già in passato sostenitori
di Bassolino ma ora pronti ad affrontare la disputa elettorale.
L’ex sindaco ed ex governatore regionale campano Bassolino
intanto incassa l’appoggio di una
parte della CGIL, quella facente
capo alla segretaria Susanna Camusso che ha invitato gli iscritti a
votare alle primarie del PD.
Inaspettata, invece, la candidatura, ufficializzata al caffè
Gambrinus di Napoli il 9 dicembre scorso, dell’oncologo Antonio
Marfella, espressione di “Medici
per l’ambiente” che punta sui voti
dei diversi Comitati ambientali
sparsi sul territorio e recuperare
parte dell’elettorale astensionista
partecipe alle lotte per la salute e
l’ambiente.
In ritardo sembra essere il Movimento 5 Stelle che, tramite il
parlamentare e presidente della
Commissione vigilanza Rai, Roberto Fico, ha fatto sapere che
devono essere completati i tavoli
di lavoro per definire il programma
comunale e solo a quel punto (si
pensa entro gennaio) prenderebbero il via le consultazioni on line.
Il neopodestà De Magistris, nel
frattempo, incassa il sì del nuovo
mostriciattolo della “sinistra” borghese, “Sinistra Italiana”, presente alla Domus ars di Santa Chiara a Napoli. Nichi Vendola, Sergio
Cofferati, Stefano Fassina e i parlamentari Arturo Scotto e Giuseppe De Cristofaro hanno fatto dichiarazioni di appoggio all’ex pm
per le amministrative, chiamando a “coprire un vuoto clamoroso
apertosi con l’ascesa di Renzi e
la trasformazione del PD”, come
ha tenuto a precisare il narcisista
trotzkista Vendola. Chiaro il riferimento a coprire il vuoto a sinistra
dal PD, ma anche l’intenzione di
recuperare voti dal largo bacino
degli astensionisti che hanno superato il 50% degli aventi diritto al
voto e stimolano l’appetito dei pescecani delle diverse cosche borghesi pronte a spartirsi le poltrone a Napoli.
Dunque, è più importante e
necessaria che mai la scelta delle elettrici e degli elettori di disertare le urne, annullare la scheda
o lasciarla in bianco, scelta che
bisogna rendere costante ed efficace attraverso la partecipazione alla lotta di massa per Napoli
governata dal popolo e al servizio
del popolo.
A Roma
Maestre precarie
contro la privatizzazione degli asili nido
Le quasi seimila maestre degli
asili nido capitolini, sono da qualche mese in agitazione, e hanno i
loro buoni motivi per lottare.
Nel 2016 infatti, proseguendo
e attuando il progetto inaugurato
con una delibera dall’ex sindaco
Marino, il commissario Tronca intende privatizzare 17 asili nidi a
Roma altri seguiranno la stessa
sorte negli anni successivi.
Il progetto, contenuto nel do-
cumento unico di programmazione 2016-2018, interessa in totale
206 asili nido dove lavorano quasi seimila tra insegnanti e educatrici, quasi tutte donne e in maggioranza precarie, che con la
privatizzazione temono, giustamente, di perdere il posto.
A ciò si aggiungono i tagli, circa 6 milioni di euro, che si ripercuoteranno indubbiamente sui 13
mila posti disponibili, per cui tra
CALENDARIO
DELLE MANIFESTAZIONI
E DEGLI SCIOPERI
GENNAIO
22
Cobas-pt - Cub - Usb Sciopero lavoratori Poste Italiane SpA
Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl-Trasporto Aereo Sciopero del personale Enav Spa, Alitalia Sai Spa,
Consulta, WFS Ground Italy, Aviation Services,
Aviapartner Handling - Personale non dirigente
25
FEBBRAIO
5
Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs - Angem, Alleanza
Cooperative, Fipe-Confcommercio, Confesercenti,
Federturismo – Sciopero Settore Ristorazione Collettiva
12
Usb-Lavoro Privato – Sciopero personale Trasporto Aereo,
Gruppo Meridiana Fly - Esclusione personale Meridiana
Maintenance
Richiedete la
maglietta rossa
del PMLI
Possono richiederla,
con una donazione volontaria,
i militanti, i simpatizzanti e i
sostenitori del PMLI
La donazione va inviata con versamento su conto
corrente postale n. 85842383 intestato a:
PMLI - via Antonio del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze
un paio di anni molti bambini resteranno fuori dalle liste degli asili nido comunali, spingendo così
tante famiglie a ricorrere a quelli privati che a Roma gestiscono
221 strutture che ospitano 7mila
bambini.
Nel frattempo aumenteranno
anche le rette dei nido comunali, tanto che per i prossimi anni
si prevede un rincaro in media di
200 euro in più a famiglia all’anno, e ciò in conseguenza di un
altro atto della giunta Marino nel
2014, la rimodulazione delle tariffe per i servizi: con un Isee di
20mila euro la retta annua per tenere un figlio all’asilo nido pubblico sarà di 2.320 euro contro i
2.127 euro precedenti, e con un
Isee da 5mila euro costerà all’anno 495 euro contro i 468 euro
precedenti.
Contro una tale mannaia che
minaccia di colpire uno dei servizi
pubblici essenziali per le famiglie
lavoratrici, quello dei servizi all’infanzia, le insegnanti ed educatrici
precarie hanno indetto una manifestazione per la mattina di sabato 16 gennaio nel quartiere Collatino-Prenestino, ma la questura,
prendendo a pretesto il fatto che
quello stesso giorno a Roma si
teneva un’altra manifestazione
(quest’ultima peraltro si è tenuta nel quartiere Esquilino, lontanissimo rispetto alla zona dove
le maestre intendevano manifestare) ha vietato per quel giorno
il corteo delle lavoratrici degli asili nido, e solo dopo un’estenuante trattativa la stessa questura ha
Numero di telefono
e fax della Sede
centrale del PMLI e
de “Il Bolscevico”
Il numero di telefono e del fax della Sede
centrale del PMLI e de “Il
Bolscevico” è il seguente
055 5123164. Usatelo liberamente, saremo ben
lieti di comunicare con
chiunque è interessato
al PMLI e al suo Organo.
consentito lo svolgimento della
manifestazione nella giornata di
martedì 19 gennaio alle ore 17
nello stesso luogo programmato.
Probabilmente questo tentativo della questura di vietare la manifestazione è stato ispirato dallo
stesso Tronca che comprende
bene l’impopolarità di tali scelte,
con l’aggravante che sono state
prese da chi nemmeno ha avuto
un’investitura popolare.
Organizzata dall’Usb delle lavoratrici degli asili nido e delle
scuole d’infanzia, precarie e di
ruolo, la manifestazione è stata
fortemente voluta anche dai genitori e dai comitati sia di residenti sia di associazioni di immigrati,
tra cui la Carovana delle periferie, che sono riusciti a raccogliere moltissime adesioni di numerosissimi genitori preoccupati per
il futuro dei servizi pubblici, ben
consapevoli che l’unico modo di
preservarli passa attraverso la
lotta.
contesta il
commissario di
Renzi, Nastasi
Le “forze dell’ordine”
del gerarca Alfano
caricano i manifestanti
‡‡Dal corrispondente della
Cellula “Vesuvio Rosso”
di Napoli
Il 14 gennaio nella centralissima Galleria Umberto a Napoli è stata convocata l’assise di Bagnoli, organizzata dai
Comitati territoriali per ribadire un secco No al commissario
straordinario dell’area ex Ilva
di Bagnoli, Nastasi, voluto dal
governo del nuovo duce Renzi.
All’evento vi erano sia i “sindacati di base”, tra cui i COBAS,
che i disoccupati organizzati
nelle diverse liste di appartenenza e già formati per la raccolta differenziata e lo smaltimento dei rifiuti.
Questa assise era stata
convocata in contemporanea
alla riunione che si svolgeva
a poca distanza in Prefettura
a piazza Trieste e Trento dove
Nastasi aveva invitato gli imprenditori privati a “confrontarsi” in ordine allo sviluppo dell’area. In realtà si trattava di una
vera e propria svendita di Bagnoli e zone limitrofe ai pescecani di turno e non la riqualificazione dell’area proposta dai
Comitati, cominciando con la
costruzione di un grande parco
pubblico.
I manifestanti ponevano in
Galleria un enorme pacco con
un Nastasi in indumenti che richiamavano le divise fasciste
su cui si leggeva: “cara Napoli ecco il pacco per Bagnoli”, firmato: “il governo”. Partecipavano opportunisticamente
all’avvenimento anche il neopodestà De Magistris e gli assessori Piscopo e Del Giudice,
che non venivano risparmiati
da osservazioni e critiche.
Negli interventi dei parteci-
panti, infatti, sono stati sottolineati i ritardi nel processo di
messa in sicurezza ambientale, compreso l’omesso intervento sulla colata che arriva
al mare, ma anche le speculazioni edilizie che i privati, con
il commissariamento, che scavalca anche il piano regolatore
del Comune di Napoli, potranno mettere più facilmente in
atto. Non sono assolutamente
ricevibili i moniti di De Magistris
che ha parlato di “attacco antidemocratico contro i napoletani”, senza mai entrare in merito
o dibattere sulle giuste osservazioni critiche e preoccupate
della stessa Assise di Bagnoli.
Una presenza che sembra essere mossa più da motivi elettorali che da preoccupazioni
fondate da parte del neopodestà, visto il suo intento di riprendere il dialogo con il governo del nuovo Mussolini Renzi.
Tant’è vero che verso le 18 i
manifestanti si sono organizzati in corteo per portare il pacco
sotto la prefettura, ma De Magistris decideva di non partecipare al corteo. I partecipanti
arrivavano nei pressi di piazza Plebiscito completamente
presidiata dalle “forze dell’ordine” del gerarca Alfano in divisa antisommossa, che non
solo hanno impedito il semplice
atto simbolico di lasciare il pacco davanti alla prefettura, ma in
pieno stile fascista per risposta
hanno caricato e manganellato i manifestanti. Mentre rimane da risolvere l’atavico problema dell’area Ovest di Napoli
che né le giunte Bassolino e
Iervolino né quella arancione
hanno risolto nemmeno minimamente.
Ennesimo caso di malasanità
19enne muore di aborto
al Cardarelli di Napoli
‡‡Redazione di Napoli
Gabriella Cipolletta, 19 anni
di Mugnano di Napoli è morta all’ospedale “Cardarelli” l’11
gennaio scorso dopo essersi sottoposta a un’interruzione volontaria della gravidanza
all’undicesima settimana. La
giovane è deceduta nel primo
pomeriggio a distanza di qualche ora dall’intervento a causa
di una grave emorragia, nonostante, a dire dei medici, l’intervento si fosse concluso positivamente.
L’equipe medica ha tentato invano di salvarla eseguendo una laparotomia esplorativa
e diverse trasfusioni, ma tutto
è risultato inutile e nella serata
si è constatato il decesso della
giovane donna.
Durissima la famiglia che ha
annunciato azioni legali: “Han-
no ucciso mia figlia e chiedo verità e giustizia”, ha detto la madre Emilia Cimetti. Poche ore
dopo la Procura di Napoli ha
aperto un’inchiesta, disposto
l’autopsia del corpo di Gabriella
e messo sotto indagine i quattro medici che non sono riusciti
a salvarla per “colpa professionale”. “Disporremo un’inchiesta
interna” - ha detto il direttore
del presidio ospedaliero, Franco Paradiso.
E come è successo per le
giovani donne morte di parto abbiamo assistito di nuovo
all’intervento tardivo del ministro della “Salute” del nuovo
duce Renzi, Beatrice Lorenzin,
la quale ha inviato i suoi ispettori all’ospedale Cardarelli per
chiarire la vicenda. È un paradosso che nel ventunesimo secolo si muoia ancora così tanto
di parto come di aborto effettuato non da mammane senza scrupoli su tavolacci di cucina con ferri per fare la maglia
ma in una struttura ospedaliera
come il Cardarelli che risulta il
maggior ospedale del Mezzogiorno.
Gabriella è l’ennesima vittima della sanità assassina di
Renzi-Lorenzin, ma quante
donne dovranno ancora morire sotto gli effetti devastanti dei
tagli inferti alla sanità pubblica
dalla legge di stabilità di questo
governo? Per questo motivo è
urgente spazzare via al più presto Renzi e il suo governo antioperaio, antipopolare, filopadronale, imperialista e piduista
responsabile dello sfascio costituzionale e della devastazione politica e sociale del nostro
Paese.
12 il bolscevico / cronache locali
N. 4 - 28 gennaio 2016
In occasione del 25º anniversario della guerra del Golfo
Presidio antimperialista
alla base NATO di Sigonella
Schembri, nel dibattito, spiega la posizione del PMLI sull’IS e invita
gli antimperialisti a unirsi contro la guerra imperialista
‡‡Dal corrispondente della
islamico è una guerra giusta perché portata avanti in nome dei
cosiddetti “valori dell’occidente”
contro la “barbarie” islamica.
Il compagno ha proseguito
affermando che dietro questo
bombardamento mediatico si nasconde la vera natura dei governi interventisti di Italia, Francia,
Russia, Usa e affini: l’imperialismo. Essi mascherano i loro veri
interessi economici e la volontà di
praticare guerre di rapina dietro il
pretesto della difesa dei “nostri
valori democratici” e della “pace”
internazionale. In conclusione, il
compagno ha fatto appello a tutte le forze antimperialiste affinché
si uniscano contro l’imperialismo,
il vero mostro da combattere e
abbattere. Inoltre, ha sottolineato
l’importanza di cessare la guerra
all’Is e lasciare che quei popoli
decidano da se stessi e senza ingerenze il proprio destino.
Al termine dell’assemblea, i
compagni hanno dialogato con
alcuni manifestanti interessati
ad approfondire la linea antimperialista del PMLI. Secondo i
marxisti-leninisti italiani il vero
nemico è l’imperialismo. Da parte sua, lo Stato islamico, pur essendo portatore di un’ideologia,
una cultura, una strategia, dei
Cellula “Stalin” della
provincia di Catania
Nella mattina di domenica 17
gennaio, in occasione del 25º anniversario dell’inizio della guerra
nel Golfo Persico, il Comitato di
base NoMuos/NoSigonella di Catania, ha dato vita ad un presidio
“NoWar” di fronte la base militare di Sigonella. Lì, nonostante le
condizioni atmosferiche avverse,
una cinquantina di manifestanti
hanno tenuto un’assemblea. Erano presenti, tra gli altri, i Cobas, il
Prc, il Pc e il PMLI.
I marxisti-leninisti siciliani, provenienti da Catania, Caltagirone e
Niscemi, hanno diffuso il volantino
“Non farsi imbrogliare dalla propaganda imperialista” ed esposto,
nei corpetti, il manifesto del Partito
“NO alla guerra imperialista contro
lo Stato islamico. Per evitare gli attacchi terroristici cessare di bombardare l’Is”.
Il compagno Sesto Schembri,
intervenuto all’assemblea, ha ammonito i partecipanti a non farsi
abbindolare dalla propaganda
imperialista in atto sui media di regime. Intera macchina dell’“informazione” che, incessantemente,
cerca di far passare il messaggio
secondo cui la guerra allo Stato
metodi di lotta, delle azioni e degli obiettivi assolutamente non
condivisibili, è attualmente l’uni-
ca forza che si oppone oggettivamente ai piani di saccheggio
in Medio Oriente.
Il comunicato dell’Organizzazione di Biella del PMLI che
di seguito riportiamo è stato rilanciato con evidenza dalle testate on line www.NewsBiella.
it, Geosnews e Libero24x7.
Sigonella (Catania) 17 gennaio 2016. Un momento del presidio antimperialista davanti la base Nato a cui ha partecipato il PMLI (foto il
bolscevico)
Presidio contro il comizio del
gruppo neofascista Forza nuova
Apprezzata la partecipazione del PMLI. “Il Bolscevico” andato a ruba
al proletariato’. Questo odg faceva segito all’intimidazione poliziesca del 30 novembre 2014 il cui
mandante è stato il consigliere
comunale di Forza Italia Adolfo
‘Adolf’ Morandi”.
Apprezzata la presenza del
PMLI al presidio davanti al sacrario partigiano in Piazza Torre,
organizzato da ARCI, CGIL, UIL
e ANPI mentre nel contempo i
neofascisti di Forza nuova tenevano il loro oltraggioso comizio in
Piazzale Redecocca. Molti antifascisti hanno riconosciuto subito
le insegne e i compagni, segno
evidente dell’ottimo lavoro politico che il PMLI sta portando avanti con sacrificio ed entusiasmo
proletari rivoluzionari. Andato a
ruba “Il Bolscevico” tra le nuove
e vecchie conoscenze del Partito.
Le bandiere del PMLI, ben visibili,
hanno suscitato molto interesse,
alcuni manifestanti che non co-
dell’Organizzazione di
Modena del PMLI
A Modena, per il 16 gennaio,
è stato concesso scandalosamente da questura e prefettura il
permesso alla manifestazione dei
neofascisti di Forza nuova con il
comizio del loro leader Roberto
Fiore.
L’Organizzazione modenese
del PMLI ha emesso un comunicato in data 13 gennaio in cui,
tra l’altro, criticava l’inaccettabile
concessione di questura e prefettura e ricordava “che a Modena il
PMLI fu condannato all’unanimità dal Consiglio comunale, con
ordine del giorno del 22 gennaio
2015, in cui si tentava di negare
qualsiasi attività e di negare la
libertà di espressione, solo per
aver diffuso, durante la normale
attività di propaganda, il volantino
‘Il potere politico spetta di diritto
n° 1/2016
Speciale
Mao
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N. 1 - 7
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Nuova serie
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e Culturale
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dalla
Proletaria
Torre della
Porta di
Anmen
piazza Tian
http://www.pmli.it/bolscevico.php
No ai parcheggi
a pagamento al
nuovo Ospedale
degli Infermi
gestiti dai privati
Far pagare il parcheggio a
malati, anziani e parenti di
degenti è una aberrazione
A Modena
‡‡Dal corrispondente
Comunicato dell’Organizzazione
di Biella del PMLI
Modena 17 gennaio 2016. La manifestazione presidio antifascista
contro il comizio dei fascisti di Forza nuova. In primo piano la presenza dei compagni dell’organizzazione di Modena del PMLI (foto il
bolscevico)
male e solo per ottenere consensi
noscevano il nostro Partito hanno
per le solite “sfilate borghesi”.
chiesto chi eravamo ricevendo
I comizi sono terminati con il
spesso la risposta di chi ci conocanto di “Bella ciao” e i pugni alsceva già: “Quelli sono i marxistizati dei marxisti-leninisti.
leninisti”.
Invitiamo tutte le forze antiI comizi sono stati aperti dal
fasciste a creare un unico fronte
discorso del sindaco Gian Carlo
unito antifascista, anche perché
Muzzarelli (PD), che ha solo conci sono stati ben 3 presidi diffedannato la presenza dei forzanuorenti, quello al sacrario partigiano,
visti ma che non ha fatto nulla per
quello dell’USI in Piazza Matteotti
evitarla, anzi ha addirittura ringrae il corteo, non autorizzato, dei
ziato questura e prefettura, comcentri sociali. Dobbiamo cercare
plici della presenza nera in città,
di essere uniti il più possibile per
per aver lavorato al mantenimencombattere il fascismo, cominto dell’ordine pubblico, cosa che
ciando da quello del governo del
poi si è rivelata falsa in quanto ci
nuovo duce Renzi.
sono stati scontri tra antifascisti,
In ultimo sottolineiamo che
che cercavano di sfondare il cortanti antifascisti hanno scattato
done in difesa dei neofascisti, e
foto ricordo ai compagni comle “forze dell’ordine”. Tutti gli inpatti del PMLI, davanti al sacrario
tervenuti ai comizi hanno ricordapartigiano.
to che Modena è città Medaglia
Teniamo alta la bandiera
d’Oro al valore della Resistenza
dell’antifascismo!
ma non hanno condannato con
Coi Maestri e il PMLI vincereforza il fascismo, hanno usato il
mo!
termine antifascista in modo for-
L’Organizzazione biellese
del PMLI denuncia la decisione
dell’Asl e del comune di Ponderano di trasformare gli attuali
parcheggi gratuiti del nuovo
Ospedale degli Infermi in parcheggi a pagamento, gestiti
da aziende private, il cui unico
scopo è incassare soldi.
Fare pagare il parcheggio
a malati bisognosi di cure,
anziani, parenti dei degenti è,
come abbiamo già denunciato,
un’aberrazione tipica dell’attuale società capitalistica che
guarda solo al profitto. Riteniamo assurdi i costi preventivati
dall’attuale direttore generale
dell’Asl, Gianni Bonelli, per garantire la gestione dei posteggi:
più di 200.000 euro all’anno! I
costi, nelle stime della Asl, dovrebbero essere così ripartiti:
40.000 euro per la videosorveglianza, 40.000 euro per lo
sgombero della neve, 16.000
euro per il rifacimento delle
strisce e i restanti 104.000 euro
per manutenzione ordinaria e
straordinaria. Cifre assurde per
i 1.650 posteggi dell’Ospedale.
A conti fatti il costo di gestione
sarebbe di circa 16.700 euro
mensili e, annualmente, ogni
singolo posteggio - l’Ospedale
ne conta appunto 1.650 – costerebbe circa 125 euro! Dei
1.600 posteggi 750 resteranno gratuiti nell’area riservata ai
dipendenti dell’Ospedale, 750
verranno messi a pagamento
e i restanti 150 (i più lontani
dall’Ospedale e situati entro il
comune di Biella) resteranno
gratuiti.
Il nuovo Ospedale è situato
in una area periferica circondata da prati abbandonati ed è
praticamente impossibile raggiungerlo a piedi. Allo stesso
tempo non vi è possibilità alcuna di trovare da posteggiare
senza pagare, fatta eccezione
per i pochi posti che verranno
lasciati gratuiti che però sono
i più lontani dall’Ospedale e
quindi non utilizzabili dai malati
e dagli anziani.
Il Direttore generale della Asl, dr. Gianni Bonelli, e il
comune di Ponderano nella
persona del sindaco, Elena
Chiorino, hanno dichiarato che
non esistono alternative al pagamento da parte degli utenti e
che il decoro e la sicurezza dei
posteggi non potevano essere
garantiti in altro modo.
Ecco un altro esempio di
come funzionano le istituzioni
borghesi! Il direttore generale
Bonelli - che percepisce uno
stipendio, complessivo di integrativi, pari a circa 144.000
euro annui - ha effettivamente
valutato ogni altra possibile alternativa? Perché, ad esempio,
non è stata stipulata una convenzione - a costi decisamente
più contenuti - con cooperative sociali che avrebbero così
potuto affidare il lavoro ai più
bisognosi? Per quale motivo
la questione dei posteggi a pagamento - a pagamento delle
masse, si intende - è stata liquidata in questo modo quando la direzione della Asl sembra
avere tempo da vendere per
attivare ogni sorta di accordo e
convenzione con le più svariate
associazioni (di cucito, di musica e, lo stesso giorno in cui è
stato deciso di mettere a pagamento i posteggi, con l’associazione floricoltori e vivaisti!)
ed il nuovo Ospedale? Piante
e fiori, un pianoforte e un corso di cucito sono sicuramente
utili ad abbellire l’aspetto della
struttura e a favorirne lo “spazio sociale” ma non rischiano,
allo stesso tempo, di tradursi in
inutili “ninnoli”?
Il direttore Bonelli ed il sindaco Chiorino hanno garantito
che il pagamento scatterà solo
dopo un primo periodo di sosta
gratuito. Ebbene, l’efficiente direzione è pronta a garantire in
egual modo che le visite e gli
esami rispetteranno la stessa
stringente tempistica? No, ciò
non avverrà sicuramente. Se
una visita medica, prenotata
alle 9, verrà svolta con un’ora
di ritardo allora, ne siamo certi,
il paziente dovrà pagare (oltre
al ticket della visita ed il tempo
perso nell’attesa) anche il posteggio! Infine, e soprattutto,
eventuali “eccedenze” di denaro drenate agli utenti come verranno impiegate? Serviranno a
fare cassa, ancora una volta,
a danno delle masse popolari
biellesi che utilizzano l’ospedale e che vedranno così ulteriormente affievolirsi il diritto di
ricevere cure gratuite.
Per il PMLI.Biella Gabriele Urban
Biella, 15 gennaio 2016
Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI
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Editore: PMLI
chiuso il 20/1/2016
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ore 16,00
PMLI / il bolscevico 13
N. 4 - 28 gennaio 2016
SCUDERI: UNITI, PRATICHIAMO
CON SCRUPOLOSITA’
IL CENTRALISMO
DEMOCRATICO
“Se il Partito riesce a produrre tanto lavoro, nonostante sia ancora così piccolo, è perché tutti quanti,
dirigenti e non dirigenti,
anziani e non, a tutti i livelli, siamo uniti e compatti sulla stessa linea e perché
pratichiamo con scrupolosità il centralismo democratico. Ma questo non significa che all’interno del
Partito esista la ‘pace sociale’ e che tutto fili liscio
e senza contraddizioni. Il
nostro Partito non si svi-
luppa pacificamente ma attraverso la lotta ideologica
attiva e una pratica severa
della critica e dell’autocritica. Al vertice e alla base.
Questo è un bene non un
male, una necessità. Ci aiuta a crescere politicamente bene individualmente
e collettivamente e a evitare che il Partito o singoli suoi membri sbandino a
destra o a ‘sinistra’... Dobbiamo studiare tutti quanti di più il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e la
linea del Partito e applicarli correttamente secondo le
indicazioni e le interpretazioni del Partito, e facendo ben attenzione a non
deviare né a destra né a ‘sinistra’. Studiando e ristudiando le opere dei Maestri
e la linea del Partito si impara sempre qualcosa. Così
come partecipando alla lotta di classe”.
Dal Rapporto presentato dal Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, e approvato alla terza
Sessione plenaria del 4° Comitato centrale del Partito, Firenze, 1 giugno 2003
senza spirito. Essa è l’oppio del
popolo” (K.Marx, Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico, 1844). La religione è, cioè, inganno e menzogna, ma si radica
in un proletariato ingannato, non
ancora classe per sé per cui, prima di sradicare tout court la religione stessa, è molto più opportuna “smontarla” come ci ricorda
l’altro nostro grande Maestro,
Stalin nei testi molto importanti riportati da “Il Bolscevico” n. 44 e
Gli inganni della
religione e della Chiesa
Pienamente d’accordo con
Marcello Amedeo Ranieri e il suo
intervento ne “Il Bolscevico” del
17 dicembre, relativo alle falsità
tutelate per proteggere il Vaticano
e in genere la struttura ecclesiastica (e qui si pone anche il problema se papa Francesco sappia o meno di quanto “si muove
dietro le quinte”, giustamente posto in altra parte del nostro giornale. Escluderlo, che sia stato a
conoscenza almeno di parte della questione, sarebbe quantomeno ingenuo).
Aggiungerei solo un elemento,
a conferma di quanto giustamente rileva Ranieri: in un trattato di
teologia morale molto diffuso nelle Facoltà teologiche e negli Istituti di scienze religiose nonché
nei relativi corsi di laurea, quello
di Karl Peschke, fino a pochi anni
fa residente e docente in Nuova
Zelanda, si parla espressamente del cosiddetto “falsiloquium”;
sembra quasi un gioco di parole, ma in realtà non è così: vuol
dire “argomentazione falsa ma
con elementi di verità”, ossia argomentazione atta a tutelare la
privacy (e qui si aprirebbe un vulcano, essendo la privacy anche
molto spesso espressione-foglia
di fico dei peggiori interessi economici del capitalismo, che è
corruzione di per se stesso), ma
anche interessi “superiori”, immaginate un po’ quali.
L’esempio principe addotto
nell’“Etica cristiana” di Peschke
è la seguente: alla domanda “Ieri
sei stato al cinema?” la persona
può rispondere tranquillamente:
“Ho visto un film”, dove chiaramente posso averlo visto a casa
in TV, in un video ecc. La genericità dell’argomentazione copre
la volontà di tutelare i “supremi
interessi” della Chiesa (cattolica nella fattispecie ma non solo),
per nascondere la verità ai fedeli, dove anche qui “le idee giuste
non cadono dal cielo” (Mao), ma
al contrario Peschke, e chi per lui,
riprendono una lunga tradizione
casuistica (verità sì, ma a seconda dei casi), di marca gesuitica
ma non solo.
Ecco allora che non possiamo non ricordare quanto argomentato dal giovane Karl Marx
nel 1844: “La religione è il sentimento di una cultura oppressa,
il sentimento di un mondo senza
cuore, lo spirito di una condizione
Recapito elettronico della
Cellula fiorentina del PMLI
La Cellula “Nerina ‘Lucia’ Paoletti” di Firenze del PMLI ha
attivato una casella di posta elettronica.
Ecco l’indirizzo:
[email protected]
già ampiamente discussi nei numeri successivi.
Quando si riuscirà a sradicare dal proletariato l’idea religiosa
e quindi l’inganno e la menzogna
in essa contenuti, allora la marcia verso il socialismo avrà fatto passi in avanti decisivi. Stalin
si riferiva all’Islam, radicato allora come in parte ora nel proletariato delle popolazioni turcomanne dell’URSS, ma è ben chiaro
a tutti/e noi come ciò valga per il
Firenze, aprile 2014. Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI,
mentre pronuncia il Rapporto alla 4a Sessione del 5° CC del PMLI
cattolicesimo e cristianesimo in
genere, come per tutte le altre religioni, per esempio per il buddhismo, con il Dalai Lama sempre
incensato dal capitalismo mondiale e dai i suoi comodi lacchè,
i pacifisti borghesi.
Eugen Galasso - Firenze
I danni dei tagli alla
sanità
La notizia della morte di una
diciannovenne mentre si sottoponeva in ospedale ad una
interruzione di gravidanza addolora tutti. Al pronto soccorso
dell’ospedale Cardarelli, il più
grande del Sud d’Italia per aver
non un letto, non una barella
ma una semplice sedia dove
attendere le cure, si aspettano
ore, abbandonati al proprio destino.
Achille della Ragione Napoli
Domenica 24 gennaio, ore 11, davanti al busto del grande
Maestro del proletariato internazionale
PMLI E PCDI COMMEMORANO
ASSIEME LENIN
A CAVRIAGO
Domenica 24 gennaio 2016 in piazza Lenin a Cavriago (Reggio Emilia), commemorazione pubblica organizzata dal PMLI.Emilia-Romagna e dalla Federazione di Reggio Emilia del PCDI in occasione del 92°
Anniversario della scomparsa del grande Maestro del
proletariato internazionale.
Ritrovo dalle ore 11, discorsi ufficiali dalle 11,30.
Al termine si terrà un pranzo collettivo in un ristorante della zona.
Partecipiamo numerosi per rendere omaggio al
Grande Maestro del proletariato internazionale Lenin!
Applichiamo gli insegnamenti di Lenin sui membri
del Partito!
Spazziamo via il governo del nuovo duce Renzi!
Tutto per il PMLI, per il proletariato e il socialismo!
Con Lenin per sempre contro il capitalismo per il
socialismo!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
IN OCCASIONE DEL
92° ANNIVERSARIO
DELLA SCOMPARSA
DEL GRANDE
MAESTRO DEL
PROLETARIATO
INTERNAZIONALE
LENIN
IL PMLI.EMILIAROMAGNA
E LA FEDERAZIONE DI
REGGIO EMILIA DEL PCDI
ORGANIZZANO UNA
PUBBLICA COMMEMORAZIONE
IN PIAZZA LENIN A CAVRIAGO (RE)
DOMENICA 24 GENNAIO 2016
RITROVO A PARTIRE DALLE ORE 11,00 - DISCORSI UFFICIALI ORE 11,30
CON LENIN
PER SEMPRE!
[email protected]
[email protected]
4 il bolscevico / governo renzi
N. 3 - 21 gennaio 2016
Il PMLI produce un grosso sforzo per far giungere alle masse la sua voce anticapitalista, antiregime neofascista e per l’Italia unita, rossa e socialista. I militanti e i simpatizzanti attivi del Partito
stanno dando il massimo sul piano economico. Di più non possono dare.
Il PMLI fa quindi appello ai sinceri fautori del socialismo per aiutarlo economicamente, anche con
piccoli contributi finanziari. Nel supremo interesse del proletariato e della causa del socialismo.
Più soldi riceveremo più potremo aumentare il volume di fuoco politico contro il governo del
nuovo duce Renzi e l’imperialismo.
Aiutateci anche economicamente per combattere le illusioni elettorali, parlamentari, riformiste e
governative e per creare una coscienza, una mentalità, una mobilitazione e una lotta rivoluzionarie di massa capaci di abbattere il capitalismo e il potere della borghesia e di istituire il socialismo e il potere del proletariato. Grazie di cuore per tutto quello che potrete fare.
Consegnate i contributi nelle nostre Sedi o ai nostri militanti oppure inviateli, specificando la
causale “Donazione”, a:
Conto corrente postale 85842383 intestato a:
PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze
esteri / il bolscevico 15
N. 4 - 28 gennaio 2016
Gran Bretagna
Corbyn: ‘Trattare
con lo Stato islamico’
Sono pochissime le voci che
si smarcano dall’asfissiante propaganda imperialista che demonizza l’IS per santificare la
guerra per la sua “estirpazione”,
tentando di convincere le masse
popolari a appoggiare quella che
viene presentata come l’unica risposta possibile al “terrorismo
jihadista” ovvero la distruzione
dello Stato islamico per mezzo
dei bombardamenti. Poco spazio ha invece l’idea della cessazione dei bombardamenti, di un
riconoscimento almeno di fatto
dell’IS e della necessità di una
trattativa per uscire dall’escalation di guerra.
Trattare con l’IS non significa
condividere la sua ideologia, cultura, tattica, strategia e tutti i suoi
metodi di lotta, azioni e obiettivi
ma non è negando la sua realtà e
la sua legittima aspirazione a ridisegnare i confini ingiustamente
stabiliti dalle potenze colonialiste che si può dare un contributo alla lotta per la pace in quella
martoriata regione ed evitare che
si estanda ancora di più la guerra
che incendia per ora tutto il Medio Oriente e che è arrivata fino
all’interno dei Paesi della santa
alleanza imperialista.
Questa la logica anche
dell’intervento del nuovo leader
laburista Jeremy Corbyn che in
una recente intervista alla rete
televisiva inglese BBC dedicata
alla politica estera proponeva di
aprire un canale di comunicazione con l’IS per trovare una “soluzione politica” alla crisi siriana. “Deve esserci una via” per
aprire un canale di comunicazione con lo Stato islamico, “il dialogo è forse una parola sbagliata
da usare, credo che debba essere
capito quali siano i loro punti di
forza e di debolezza”, affermava
Corbyn.
Il leader laburista sottolineava come diversi governi del Medio Oriente siano già in contatto
con l’IS, contatti dimostrati dagli scambi di ostaggi avvenuti in
questi mesi, e come sia ineludibile questo tipo di comunicazione con il califfato per ottenere
una soluzione politica in Siria.
Contrario alle guerre in Afghanistan e Iraq condotte dal suo
predecessore Tony Blair, Corbyn
prima di diventare leader del Labour si era schierato contro l’ipotizzato intervento contro Bashar
Assad in Siria e i bombardamenti anti IS avviati un anno e mezzo
fa dagli Usa.
Dopo le aggressioni subite nella notte di capodanno
In piazza le donne di Colonia
contro sessismo e razzismo
Squadracce neonaziste vanno a caccia di musulmani
Contro il sessismo e contro il
razzismo era lo slogan principale della manifestazione del 6 gennaio a Colonia gridato o portato
scritto sui cartelli dai manifestanti, molte le donne, contro le aggressioni alle donne tedesche la
notte di Capodanno in particolare nella centrale piazza della stazione.
Secondo i dati diffusi il 13 gennaio dalla polizia della grande citta tedesca, dopo i fatti di Capodanno sono state registrate oltre 560
denunce delle quali quasi la metà
per aggressioni sessuali, 2 per stupro, e identificato 23 sospettati, stranieri e di cultura islamica.
La mattina del primo gennaio la
polizia in un comunicato stampa
aveva invece descritto una nottata trascorsa senza incidenti: “in
un’atmosfera allegra, le celebrazioni di capodanno si sono svolte
in maniera pacifica”. La vicenda
scoppiava il 4 gennaio, quando la
polizia affermava di aver ricevu-
to decine di denunce che facevano pensare a un fenomeno criminale “di dimensioni sconosciute”.
Le cifre su quante donne avevano subito violenza e quanti erano
stati gli uomini protagonisti sono
ballate per giorni in un gioco al rialzo che ha trasformato un fatto
grave, ma non desueto nelle grandi e piccole metropoli occidentali, di violenza contro le donne in
una campagna xenofoba e razzista
contro migranti, rifugiati e richiedenti asilo. In Germania e altri paesi europei.
La vicenda delle aggressioni
subite dalle donne nelle strade di
Colonia nella notte di Capodanno
rimane tuttora oscura ed è oggetto delle indagini della polizia, che
tra l’altro non ha ancora al momento in cui scriviamo prodotto
prove documentali, un filmato;
una cosa che ha dell’incredibile nei supersorvegliati centri delle città nell’epoca degli asfissianti
controlli antiterrorismo.
La Rpd di Corea testa
la bomba H per la difesa
I paesi imperialisti, inclusi Cina e Russia, l’Onu e l’UE condannano l’esperimento
La Repubblica popolare democratica di Corea (Rpd) ha annunciato il 5 gennaio di aver effettuato con esito positivo un test
nucleare sotterraneo nel sito di
Punggye-ri. L’agenzia di stampa
nordcoreana Kcmu sottolineava che il governo di Pyongyang
avrebbe continuato a sviluppare
il suo programma nucleare allo
scopo di proteggersi contro le
politiche ostili degli Stati Uniti e
“la loro posizione di aggressione”. In ogni caso il governo nordcoreano, annunciava l’agenzia,
agirà come uno Stato nucleare
responsabile, prometteva di non
usare le sue armi a meno che la
sua sovranità non sia minacciata e che non avrebbe trasferito
le sue capacità nucleari ad altri
paesi.
Ma la Rpd non è un paese allineato con l’imperialismo ed è immediatamente partita la condanna dell’esperimento dai principali
paesi imperialisti, inclusi Cina e
Russia, dall’Onu e dall’Unione
europea.
La prima reazione contraria è
stata quella di Usa e Corea del
Sud che hanno minacciato Pyongyang di ritorsioni. Il ministero
della Difesa di Seul comunicava
che, a seguito di una telefonata
tra il capo del Pentagono Ashton
Carter e il suo omologo sudcoreano Han Mon Koo, i due paesi
intendevano coordinarsi per una
reazione “appropriata” nei confronti della Corea del Nord, pronti
anche a un “dispiegamento di
armi strategiche”.
Il 9 gennaio Un B52, il bombardiere strategico americano in grado di trasportare ordigni nucleari,
partito dalla base statunitense
sull’isola di Guam, effettuava un
volo di “avvertimento” verso la
Corea del Nord, sorvolando la
Corea del Sud non distante dal
confine tra le due. Una ennesima
provocazione contro il governo di
Pyongyang.
Nato e Russia viaggiavano di
concerto. “Se il test fosse confermato, sarebbe un nuovo passo
di Pyongyang nel percorso dello sviluppo di armi nucleari, che
è una flagrante violazione della
legge internazionale e delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza
dell’Onu”, si affermava in una
nota del ministero degli Esteri di
Mosca. Parole simili a quelle del
segretario generale dell’Alleanza
Atlantica, Jens Stoltenberg, che
sollecitava inoltre Pyongyang ad
abbandonare non solo i “programma esistenti per missili balistici e nucleari in maniera completa, verificabile e irreversibile”
ma anche “la sua retorica incendiaria e minacciosa”, oltre a impegnarsi in “credibili e autentici
negoziati sulla denuclearizzazione”. Insomma, la resa completa
ai diktat dell’imperialismo.
Il primo ministro nipponico
Shinzo Abe definiva il test nucleare nordcoreano addiritura “una
minaccia diretta alla sicurezza
del Giappone” e annunciava che
avrebbe chiesto al presidente
americano Obama di “concordare una linea comune in seno alle
Nazioni Unite” perché era necessario “mandare un messaggio
molto forte alla Corea del Nord e
fare in modo che la smetta con
queste provocazioni”.
Condannava
l’esperimento
nucleare la Ue, attraverso l’Alto rappresentante per la politica
estera, l’italiana Federica Mogherini, e i singoli paesi come le
potenze nucleari Francia e Gran
Bretagna; il rappresentante britannico al Palazzo di Vetro annunciava che “lavoreremo con gli
altri a una risoluzione su ulteriori
sanzioni”. La condanna del Consiglio di sicurezza dell’Onu intanto
arrivava puntuale e, come spesso
succede di recente, all’unanimità.
E accompagnata dalla minaccia
di nuove sanzioni.
Infatti anche il socialimperia-
lismo cinese si univa al coro. Il
portavoce del ministero degli
Esteri cinese, Hua Chunying, dichiarava che il governo di Pechino invitava “con forza la Corea
del Nord a rimanere ferma nel
suo impegno di denuclearizza-
zione e a fermare ogni azione che
potrebbe far peggiorare in tempi
rapidi la situazione. La Cina non
era stata informata di quanto accaduto oggi, e prenderà le sue
contromisure”.
La questione delle aggressioni
alle donne è però presto finita in
secondo piano, superata nella propaganda imperialista dalla necessità di difendere “le nostre donne”
in questo “scontro di civiltà” per
legittimare tra le altre le guerre
occidentali di “democratizzazione” del Medio Oriente, come se la
cosiddetta “cultura occidentale”
borghese fosse estranea al sessismo, al machismo e alla violenza
sulle donne; il “salviamo le nostre
donne” era un modo di usare le
donne per realizzare politiche neocolonialiste e razziste.
Ad inizio anno, la polizia di
Colonia aveva diffuso un comunicato assicurando che i festeggiamenti erano stati pacifici. Solo il
2 gennaio iniziava a parlare di attacchi alle donne. Dal 4 gennaio
la vicenda conquistava le prime
pagine dei notiziari e della stampa con resoconti del tipo “a Colonia un migliaio di uomini ubriachi
tra i 15 e i 39 anni e di origini arabe o nordafricane hanno aggredito decine di donne la notte di San
Silvestro nei pressi del Duomo e
della stazione. Circondate, palpate, molestate e derubate la notte di
Capodanno”.
La prima rete pubblica televisiva Ard riportava fonti della polizia che riferivano di gruppi di
delinquenti che si erano organizzati per andare a Colonia e approfittare del caos di fine anno. Il risultato se non la finalità di tali atti
erano quelli di forzare a destra la
linea assunta dal governo dalle
istituzioni pubbliche verso i migranti. E infatti la cancelliera Angela Merkel l’8 gennaio promette-
va il pugno duro per i responsabili
ma affermava che “qui non si tratta in prima linea di profughi, ma si
tratta di criminalità”. La Cdu però
chiedeva espulsioni più facili e
norme più stringenti per accettare
le domande di asilo.
La propaganda razzista era comunque già lanciata su scala europea, dall’Olanda dove il leader
del partito xenofobo Pvv Geert
Wilders parlava di “terrorismo e
jihad sessuale“ e invitava a “chiudere subito i confini” del Paese e ad iniziare “a de-islamizzare
l’Olanda” al premier della Slovacchia Robert Fico che affermando
“non vogliamo che accada anche
in Slovacchia qualcosa di simile a
quel che è successo in Germania”
annunciava di non voler più accogliere profughi musulmani.
Il ministro della Giustizia della
Germania, Heiko Maas, e il presidente dell’Ufficio federale tedesco di indagini anticrimine, Holger Münch, affermavano che le
numerose aggressioni anche a
sfondo sessuale che si sono verificate la notte di Capodanno a Colonia e in altre città fossero state
pianificate attraverso i social network. Ci sono state violenze anche
a Amburgo e Stoccarda, financo a
Zurigo e Salisburgo sottolineavano i media che estendevano la
“rete criminale” a Svizzera e Austria. Un viatico per le manifestazioni organizzate a Colonia e in
altre città tedesche dalla formazione di estrema destra Pegida e
altre che organizzavano squadracce neonaziste che andavano a caccia di musulmani, di migranti e richiedenti asilo.
Il governo polacco imbavaglia i
media pubblici
Il parlamento di Varsavia approvava, con 232 voti a favore
e 152 contrari, nell’ultima seduta del 31 dicembre 2015 la legge presentata dal governo della
premier Beata Szydło che mette
il bavaglio ai media pubblici. Il 7
gennaio la legge era controfirmata dal presidente Andrzei Duda,
anche esso come la Szydlo
membro del partito di destra
Giustizia e Libertà (PiS) guidato
da Jaroslaw Kaczynski. Il 2 gennaio per protesta contro la legge
liberticida si erano dimessi tutti i
direttori dei principali canali della
tv pubblica Tvp.
Il testo approvato dal Sejm,
il parlamento di Varsavia, prevede l’immediata sospensione di
tutti i componenti delle direzioni
nonché dei consigli d’amministrazione di media pubblici polacchi e assegna a un consiglio
di tre membri scelti dal ministro
del Tesoro la facoltà di nominare
direttamente i nuovi responsabili.
I vertici di radio e televisione pubblica possono essere indicati,
richiamati e eventualmente sostituiti dal consiglio, lunga mano del
governo. Si tratta comunque di
una misura temporanea in attesa della definizione da parte del
governo di una nuova organizzazione dei media in sostituzione del Consiglio nazionale delle
trasmissioni radiotelevisive (Krrit),
l’organismo creato nel 1992 per
garantire formalmente “l’indipendenza e il pluralismo” degli allora
nuovi media pubblici Tvp e Polskie Radio.
Il governo intascava il successo in parlamento per poter
da subito esercitare un controllo
diretto e incontrastato sui media,
quale primo passo verso una riforma che prevede la sostituzione dell’attuale sistema di informazione pubblica con un nuovo
organismo che “promuova gli
interessi nazionali della Polonia”.
Secondo il PiS “l’informazione
finora era distorta”.
Nel recente passato la pubblica Telewizja Polska era già finita
sotto attacco da parte di esponenti di PiS che avevano ottenuto la sospensione, poi revocata,
di una giornalista “colpevole” di
avere rivolto domande ritenute
scomode al ministro della Cultura,
Piotr Gliński. Dopo l’approvazione
della legge il bavaglio governativo all’informazione sembra una
certezza anche per i giornalisti
stranieri del servizio radiofonico
Varsavia, 9 gennaio 2016. Un aspetto della manifestazione contro il
governo e il varo della legge per la censura dei media
internazionale della stazione pubblica: “sembra di essere tornati al
clima intimidatorio del decennio
scorso. Durante il precedente
governo targato PiS ai redattori
veniva chiesto di firmare una dichiarazione di responsabilità in
cui i giornalisti si impegnavano a
non distorcere la realtà polacca
e a rinunciare a qualsiasi attività
politica” denunciava un redattore
britannico di Polskie Radio.
Che l’imbavagliamento dei
media pubblici sia la linea guida
del governo lo confermava a legge
approvata Elzbieta Kruk, deputata
di PiS e già a capo del Consiglio
nazionale delle trasmissioni radiotelevisive che dichiarava: “voglia-
mo restituire l’informazione pubblica ai polacchi, perché sino a oggi
i media di Stato presentavano una
falsa visione dell’opinione pubblica, gettando discredito sulle radici
e i valori cristiani e nazionali della
Polonia o dedicandogli poco spazio”. E alle manifestazoni di protesta contro l’attacco ai media e alla
libertà di informazione che si erano
svolte a fine 2015 in varie città del
paese, da Varsavia a Poznan, il
ministro degli Esteri Waszykowski
rispondeva che “queste nostre misure vogliono solo estirpare alcuni
mali nel mondo di radio e televisione e dei media in generale”, quelli
di non essere completamente asserviti all’esecutivo.
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