Infuriano moto (e auto) giapponesi anche con gli italiani, mentre si

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Transcript Infuriano moto (e auto) giapponesi anche con gli italiani, mentre si

PARIGI-DAKAR
ULTIMO
MINUTO
Infuriano moto (e auto) giapponesi
anche con gli italiani, mentre
si avvantaggiano i «soliti noti»
Africa gialla
Bastate due sole tappe a stroncare un
•iti sui 482 che hanno preso i! via della
ira le auto le attese speranze italiane sono
date deluse con Vudafieri già dalla prima tappa peire e i! solo Seppi migliore di nostri, la situaper i motociclisti con Andrea Balestrieri al
coluto e altri italiani quali De Retri e Mariini ne:'p r ' m > IO posti. Ad ogni modo i mezzi giapponesi
minano ira le auto e tra le moto: il Sahara si tinge di giallo.
\igcna è per tradizione quel tratto dell'intero rally che -più
di ogni altro scassa vetture e moto: la colpa è de! terreno
durissimo. delle pietre e del famigerato iole ondulè. Su questi
tratti di pista bastano pochi chilometri a smontare letteralmente bullone per bullone qualsiasi macchina non perfettamente a posto. E la prima tappa della Parigi-Dakar. quella
che ha portato i concorrenti da Ghardaia a E! Golea (con un
trasferimento mattutino e una p.s. di 350 chilometri) ha già
fatto un sacco di vittime nel rally.
Tra le auto la vittoria è andata al trionfatore dello scorso
anno Patrick Zaniroii che con la sua Mitsubishi ufficiale
(niente a che fare con le vetture di serie, essendo questa in
gran parte in kevlar e fibra di carbonio) ha infimo oltre 5' alla
Porsche 959 di Metge e più di T all'altra Porsche di Ickx.
Dietro di loro tutti gli specialisti della Parigi-Dakar. da Gabreau a Raymondis. Il primo vero professionista, il rallista
Jean Ragnotti (in coppia con il presidente della società Pernod. lo sponsor della macchina) è giunto sesto a quasi 14".
Peggio è andata a Cowan. con l'altra Mitsubishi, decimo a
28'. Ventesimo Maigret con la Peugeot P4 del team Cromodora.
Grandi sconfitti i veri rallisti: il belga Colsoul. con la Opei
Kadett 4x4 debuttante, ha subito un guasto in p.s. e
Alberto Sabbatini
Ancora una volta, aggredita la desolazione del Sahara, gli
italiani in moto sì sono dimostrati più brillanti che i loro
compatrioti in auto, animando le zone alte della classifica
Nella cartina
qui sotto, si nota
come la gara
sia giunta sino a
ìamanrasset,
lunedì 6 dicembre
.MICI
GHARDAIA
f
EL GOLÉA
\INS
CHINGUETTI
)
\
AFRI.CA GIALLA
ha perso un'ora e 49 minuti. Ma la
vera disfatta è stata quella di Adartico Vudafieri: partito bene, Vudafieri a metà della p.s. ha lamentato
la rottura di una balestra posteriore
della sua Mitsubishi. Il navigatore
Mariano ha riparato il guasto ma i
due hanno perso un sacco di tempo
e sono giunti fuori tempo massimo
al termine della p.s.
In tal caso non c'è il ritiro: il concorrente prende però una penalizzazione altissima ma resta in gara:
10 ore. Quando si raggiunge il limite delle 70 ore di ritardo dal primo
si viene esclusi dalla gara. Così Vudafieri, anche se ancora in gara dopo il primo giorno, ha materialmente perso ogni possibilità di affermazione.
Ugualmente disastrosa la prova di
altri italiani: all'altra coppia Timitalia-Firs. .Barilla-Bergamaschi si è
pian piano smontata la macchina
per colpa delle sospensioni molto
dure. Prima è saltato l'impianto elettrico, poi si è sbullonato il serbatoio così i due hanno chiuso la speciale in forte ritardo, evitando per
due soli minuti il fuori tempo massimo e di conseguenza la penalizzazione forfettaria di 10 ore. Disavventure anche per il batterista dei
Malia Bazar Giancarlo Golzi: gli è
scoppiata una gomma e ha chiuso
la prima p.s. al 202. posto a 2 ore e
35 minuti dal primo.
Inaspettatamente a suo agio Renato Pozzetto, che nella notte ha persine sfidato il freddo del deserto
dormendo in tenda come il resto
della carovana dakariana, mentre
persine Alberto di Monaco aveva
ripiegato sull'albergo.
Eccitazione e delusione tra i motociclisti: a gonfie vele viaggia il team
Honda Italia, Balestrieri è giunto al
secondo posto nella prima tappa.
G
Alber
da Ghardaia a E\. dietro al
semisconosciuto belga Huynen:
«Ciro» De Petri con la seconda
Honda 628 ha addirittura vinto la
seconda tappa che portava i con
correnti da El Golea a In Salah.
Molto bene viaggia anche Andrea
Marinoni, il meglio piazzato tra i
piloti Yamaha, giunto sesto nella
prima tappa e tra i migliori nella
seconda.
nervosismo e la troppa tensione
Gromodora
Divisione ae«a ariardirii Epa
hanno tradito Franco Picco e gli altri favoriti. Picco nel primo giorno
ha smarrito la strada assieme ad
Auriol. Olivier e altri francesi. Questi hanno trovato la via giusta pri:
ma di lui, così l'italiano invece di
perdere meno di un'ora dai primi è
giunto al traguardo con un'ora e 28
minuti, il che lo ha fatto scendere
oltre il 40. posto in classifica generale, e il giorno dopo non gli è andata
meglio.
A sinistra,
Fine/anno
terzo nella
tappa sino a
In-Sa/ah.
Al centro, Ickx,
settimo assoluto.
In basso, De Retri,
vincitore con le
mote domenica
e quinto
nell'assoluta
Acqua per il Sahel
PARIGI - Mentre la carovana della Parigi-Dakar si avviava verso le coste
dell'Algeria, sono iriziate le contestazioni nei riguardi di questa iniziativa.
Rieccheggiano ancora nelle orecchie di tutti le canzoni e gli slogan «USA
for Africa», l'impegno dei cantanti per il problema della fame nel mondo.
E proprio il fatto che questa carovana stava per addentrarsi nel deserto del
Sahel, che è diventato un po' il simbolo della miseria e dei gravi problemi
dell'Africa, con la sua variopinta immagine di ricchezza e opulenza, è
sembrato quasi uno sfregio, per lo sperpero di mezzi a disposizione. A tutti
questi contestatori Thierry Sabine ha risposto promettendo di mettere da
parte una certa parte dei premi in denaro proprio per dare acqua alle
popolazioni del Sahel, che soprattutto di questo elemento hanno bisogno.
ROMBO 9
dall'inviaiAlt
Carbonio e Kevlar nella tecnica africana
Più di
SOOmila
persone si sono
aggirate fra i
veicoli in
partenza
aa Versailles
MICHELIN
Gusci tecnologici
PARIGI - Fra i 300.000 che hanno seguito il
via della maratona africana, c'eravamo anche
noi con la curiosità di vedere le soluzioni tecniche adottate dai protagonisti. Se è vero che le
monoposto di Formula 1 costituiscono il massimo in fatto di esasperazione tecnica, non è affatto detto che i partecipanti alla Parigi-Dakar
siano degli sprovveduti. Tutt'al più si può affermare che la preparazione dei mezzi avviene in
maniera differente, a seconda si tratti di team
privati o di grandi Case impegnate in prima
persona nella competizione. Da parte dei primi
c'è più improvvisazione che studio approfondito, mentre i costruttori interessati al raid impegnano ingenti risorse in ricerca e sperimentazione di soluzioni tecniche d'avanguardia.
Tradotta in cifre, la realtà tecnica della ParigiDakar denuncia la presenza di 12 grandi Case
costruttrici impegnate nei settori delle due e
quattro ruote. Analizziamo ora un po' più da
.vicino le caratteristiche tecniche delle auto
Sopra, lo specjalissimo Range Rover di Pescarolo purtroppo è stato fra i primi a ritirarsi. Sotto,
molto interesse per il debutto delle Opel Kadett
4x4
Sopra a destra, fantasìa di equipaggi privati: l'enorme pinna della Mercedes 280 di Kalvas. Sotto,
il camion Iveco con cui disputa la maratona Clay
negazioni
Un'orgia
di compositi
PORSCHE. La Casa germanica ha
fatto, di tutto per riscattare la beffa
dello scorso anno. Nell'86 finalmente sono scese in lizza le
959/961 ovvero le vetture concepite a Stoccarda per il Gruppo B,
mentre le macchine della passata edizione utilizzavano solo la carrozzeria di questo modello, montata su
un telaio ibrido della 911 con motore aspirato. La 959, recente vincitrice dell'ultimo Rally dei Faraoni
nella versione biturbo, dispone di
circa 400 cavalli, utilissimi per trarsi d'impaccio dalle sabbie del deserto. Ma non è solo la potenza il punto nodale della riscossa Porsche. Le
Gruppo B hanno un telaio differente, più rigido del precedente, ed una
carrozzeria alleggerita, grazie al
G
}Alberto Sabbafìni
massiccio uso di fibra di carbonio,
inoltre sono state letteralmente rifatte le sospensioni per evitare i
rischi d\o corsi l'anno
passato ed ora sul ponte posteriore
ci sono doppi ammortizzatoli ed
un'unica molla elicoidale.
Grande attenzione poi è stata riposta nello studio del raffreddamento
motore e nella ripartizione della potenza. Nel primo caso per ridurre le
temperature di esercizio del 6 cilindri (che deriva dalla unità adoperata sulle 956 nelle gare di durata) si è
fatto ricorso al raffreddamento ad
acqua, ed all'uso di uno scambiatore di calore maggiorato, mentre il
controllo della trasmissione è completamente elettronico.
MITSUBISHI - Le vetture della
marca che lo scorso anno riuscì ad
aggiudicarsi la corsa a sorpresa sono
state iscritte quest'anno nel Gruppo
VI Prototipi e questo la dice già
lunga sulla loro preparazione. Rispetto al modello di serie, infatti,
non conservano che poche caratteristiche inalterate. Il telaio, ad esempio, è stato rifatto con grande uso di
kevlar e fibra di carbonio, per un
peso totale di soli 120 chili, il passo
accorciato di una dozzina di centimetri ed anche il baricentro leggermente abbassato. Non solo. La Pajero ha trascorso alcuni giorni in
galleria del vento per migliorare il
Cx. La versione Sonauto, l'importatore francese che cura la preparazione delle macchine ufficiali, si
presenta così più filante rispetto al
modello base, con carenature parziali davanti e dietro le quattro ruote, tettuccio allungato, prese d'aria
Naca sul cofano motore, per un
migliore raffreddamento del propulsore ed un accenno di condotto
Venturi nei posteriore.
Rispetto allo scorso anno è stato
potenziato anche il 4 cilindri turbo
di 2,6 litri e nell'ultima versione eroga circa 240 CV, ovviamente
sempre nella versione Sonauto.
mentre le altre unità dei team privati non dovrebbero superare i 200
cavalli. Nuove le sospensioni che
dovrebbero sposarsi alla perfezione
con le gomme Bridgestone appositamente costruite per il massacrante impegno della Parigi-Dakar.
RANGE ROVER - II fuoristrada
britannico è presente alla ParigiDakar in numerosi esemplari ma i
più accreditati dovrebbero essere
quelli preparati dalla Hatl'UP per il
Team Pastis 51 che, fra gli altri,
schierava due celebri nomi dell'automobilismo francese: Henri Pescarolo e Jean Ragnotti. 11 vincitore
della 24 Ore di Le Mans (purtroppo, già ritiratosi) ed il rallista guidavano vetture iscritte nella categoria
prototipi, che nulla hanno in comune col modello base se non la forma esterna. Il dato forse più eclatante delle Range Rover francesi riguarda il peso: dopo una drastica
cura dimagrante si è potuti scendere di ben 700 chili rispetto al modello in commercio. E questo è stato possibile soprattutto realizzando
un telaio in kevlar e fibra di carbonio del peso dì appena 150 chili.
Moni sponsor tecnici approfittano della Dakar per collaudare i loro
prodotti, come i cerchi della Cromodord. Sotto, coraggiosa la partecipazione della piccola Fiat Panda di Giraudo-Penna
Per migliorare la guidabilità del
mezzo il passo della Rover, già lungo, è stato ulteriormente incrementato di una ventina di centimetri, ed
ovviamente ridisegnata la carrozzeria. Alcune sessioni di prova in galleria del vento hanno suggerito il rifacimento della carrozzeria nella
parte centrale nonché un sensibile
abbassamento nella sezione di coda,
caratteristiche queste che dovrebbero garantire una migliore penetrazione e stabilità in presenza di vento laterale con consumi ridotti.
Comunque la vera arma della Range Rover dovrebbe essere quella
dell'affidabilità e della robustezza.
L'8 cilindri a V di 3500 cc fornisce
poco più di 250 CV ma, dicono i
responsabili del team, «...cavalli che
dovrebbero durare fino in fondo».
TOYOTA - Per l'ottavo anno consecutivo la Toyota partecipa in veste ufficiale al massacrante raid afri-
cano. Anche in questa occasione le
vetture più accreditate sono quelle
del team Toyota France, che schiera tre prototipi FJ 60. Novità di rilievo su queste vetture l'uso di una
nuova carrozzeria e del compressore volumetrico. Al 'contrario di altre
marche la Toyota non ha rifatto il
telaio, conservando la struttura in
acciaio, ma semplicemente la carrozzeria, realizzandola interamente
in kevlar e fibra di carbonio. Inoltre, per incrementare le sue prestazioni, ha equipaggiato i 6 cilindri in
linea di 4300 cc con un compressore volumetrico Constantin-Danger
che porterà i cavalli dai precedenti
140 a circa 220. Le vetture bianco
rosse del team Toyota France, preparate da Andre Koro. sperimenteranno in corsa nuove coperture Michelin, appositamente studiate per
la Parigi-Dakar.
LADA - Un'altra marca da tenere
cnomodora
Diu.srone rtella G'Iarami SD3 -
d'occhio per il successo finale sarà
la sovietica Lada. che già le scorse
edizioni della Parigi-Dakar ha fatto
parlare di sé. Anche in questo caso
le due macchine iscritte appartengono al gruppo prototipi, il che
significa mezzi profondamente rimaneggiati. La base della vettura è
quella della Lada-Niva della quale,
tanto per cambiare, si è conservato
solo l'aspetto esteriore, e per giunta
neppure integralmente. Il passo, ad
esempio, è stato allungato di una
ventina di centimetri al fine di migliorare l'assetto del mezzo, ed è
stato pure rifatto il vano motore,
anch'esso più lungo di 5 centimetri.
per potere meglio ospitare il grande
radiatore anteriore.
La novità di maggiore rilievo, comunque, risiede nell'adozione di un
inedito motore ROC 4 cilindri. 16
valvole, di 2.445 cc in grado di sviluppare 280 CV. Una potenza inferiore alla Porsche ma accoppiata ad
un peso di appena 1180 chilogrammi, che fa della Lada una vetturetta
estremamente versatile e maneggevole.
OPEL - La Opel ha scelto una gara
tanto impegnativa per portare al
debutto la sua ultima creatura, la
Kadett 4x4. Non ancora omologata per il rally ed in attesa-di collocarla in uno dei Gruppi attuali o
nel pròssimo Gruppo S, la Kadett
partecipa alla Parigi-Dakar come
prototipo.
Per fare fronte con una certa tranquillità ai pericoli di un debutto
tanto impegnativo, i tecnici della
Opel hanno calmierato il motore,
un 4 cilindri in linea di 2430 cc.
riducendone la potenza dai 280 CV
base a soli... 250 CV. E questo anche in vista di una riduzione nel numero di ottani della benzina africana, che ha consigliato di abbassare
Icggermente il rapporto di compressione. La Kadett sarà da seguire attentamente anche perché per la prima volta porterà in gara la nuova
trasmissione X-Tra derivata dalle esperienze rally-cross, in grado di ripartire la potenza in misura del
50/50 fino al 28/72 per cento tra
l'asse anteriore e quello posteriore.
Anche in questo caso si è fatto
grande uso di materiali compositi
nel telaio e nella carrozzeria ed il
peso, inferiore ai 1200 chilogrammi, dovrebbe consentire buone performance a questa debuttante. Le
gomme, infine, sono Michelin.
Non solo
le Case
Fin qui le marche protagoniste. i favoriti alla vittoria finale. Ma come
ci insegnano le precedenti edizioni
della Parigi-Dakar talvolta riesce ad
imporsi anche chi non era partito
con i favori del pronostico, o coloro
che erano considerati dei semplici
outsider. Tra essi ne vorremmo
menzionare qualcuno che. per pre-
Paolo D'Alessio
ROMBO 1 1
La tecnologìa cambierà anche la gara africana?
Il road hook ora lo
sentono in cuffia-stereo
LA TECNICA
! GUSCI
parazione specifica del mezzo e del
team, vanno perlomeno isolati da
quei pionieri dell'avventura che
tentano la maratona per puro e
semplice gusto della competizione.
Sempre in Francia il team ACTO,
ha allestito due Porsche 911/930 a
quattro ruote motrici, con un motore di 3,2 litri e 260 CV. La vettura base è stata alleggerita, per un
totale di 1100 chili, e le sospensioni
originali sono state sostituite, rimpiazzandole con quelle della Renault 30. Da non dimenticare inoltre le Mercedes 280 GÈ, iscritte da
team privati, ma pur sempre vincitrici della edizione del 1983 o l'ibrido dello specialista italiano De Paoli, che ha utilizzato la struttura base
della Rover, il motore 8V di 3500
cc, la trasmissione integrale ed una
carrozzeria dell'Auti Quattro.
A fare da contorno alle quattro
ruote ci saranno anche i camion,
alcuni appositamente studiati in
funzione della Parigi-Dakar, molti
allestiti quali mezzi di assistenza.
Gli occhi di tutti, probabilmente,
saranno puntati sull'Iveco di Clay
Ragazzoni che. dopo avere rotto la
frizione alla vigilia di Natale, è stato
mìracolosmente riparato per le verifiche tecniche del 28 dicembre.
Clay, lo ha potuto constatare di prima persona, gode ancora di grande
popolarità e sono stati in molti ad
applaudirlo e salutarlo alla partenza di Versailles. Accanto al suo Iveco i veicoli da seguire con maggiore
attenzione saranno poi i Mercedes
ed i Daf 3600 turbo, insieme ad una nutrita rappresentanza di MAN.
Ma anche dai paesi dell'Est sono
arrivati alcuni interessanti mezzi
schierati dalla Taira e dalla Liaz.
4 OSSERVATORI. Una cosa positiva che ha colpito gli spettatori nelle
giornate del 30 e 31 dicembre è stata
la possibilità di osservare da vicino i
mezzi schierati sul piazzale di Versailles. I giornali locali e_ di automobilismo,
fino alle testate più celebri, avevano
assicurato l'impossibilità di avvicinarsi
ai mezzi schierati in attesa del via. Invece, fin dalla mattinata del 30 è stato
possibile guardarli da vicino e fotografarli. Ed il pubblico non solo non ha
procurato danni, ma si muoveva in
maniera assai diligente tra auto, moto
e camion. Evidentemente i tifosi si incattiviscono solo quando li si vuole relegare in posizioni di secondo piano, al
di fuori del cuore dell'avvenimento.
Meditate gente, meditate.,.
4 CARLETTI. Trio d'eccezione per
l'Iveco: alla guida Clay Regazzoni, responsabile tecnico l'ing.Carletti ed artefice della spedizione il simpatico telecronista Mario Poltronieri, che curava
tutti i dettagli prima della partenza.
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Un foglio del roadbook della Parigi-Dakar fra Ourgla ed El Golea. I
simboli sono chiarì, meno facili le abbreviazioni in francese
Hanno detto dopo (a caldo)
VUDAFIERI (Mitsubishi) - «Mi ero perso nella prima P.S. come tanti. A
un certo punto il motociclista Auriol e Fougerouse con la
Toyota hanno trovato la via giusta, lo ho voluto andar forte
per seguirli e non smarrirmi. Purtroppo i freni erano scarsi e non
sono riuscito a rallentare abbastanza per evitare una buca
che mi ha rotto una balestra,..».
GOLZI (Mitsubishi): «Sono sconvolto dalla fatica. Non mi aspettavo
una durezza del genere dopo una sola tappa. Quasi non si
dorme, non si mangia, si arriva di notte, ma vado avanti anche se in P.S. ho perso tempo per una gomma distratta».
PESCAROLO (Range Rover): «Dopo soli 16 km di gara ha preso
fuoco per un contatto la mia macchina, e la Parigi-Dakar per
me è finita lì...».
PICCO (Yamaha): «Ci eravamo persi, tutti assieme: ci siamo fermati, abbiamo preso la carta e guardato la strada. Abbiamo
seguito la bussola e fatto circa 15 km in più per trovare la via
giusta, ma tutti fuoripista, molto lentamente».
RAHIER (BMW): «Sto andando prudentemente, peccato che nella
seconda P.S. sia caduto. Per fortuna ci ha pensato Winkler, un
italiano, ad aiutarmi a rialzare la moto. Cosi non ho perso
tempo».
GHARDAIA - Si chiama «road
hook» (letteralmente «libro della
strada») ed è per i concorrenti della
Paris-Dakar ciò che per i rallisti
rappresenta il «radar». Un vero e
proprio libro con sopra riportate
tutte le indicazioni per trovare i!
giusto persorso tra le montagne algerine, le piste del deserto e la savana. Nei rallies però ci sono poi le
«note» nei quali è lo stesso pilota a
dettare al navigatore durante le ricognizioni le indicazioni che gli permetteranno di spingere la macchina
al massimo in gara, sapendo già che
ostacolo lo aspetta dietro ogni curva. Nei rallies africani c'è solo il
road hook, ed è l'organizzatore che
lo traccia alcuni mesi prima della
gara.
Sabine e i suoi collaboratori stabiliscono il percorso nei mesi estivi
sfruttando a volte piste già esistenti.
in altri casi aprendo essi stessi una
strada in zone in cui raramente passano veicoli. Poi ne riportano sui
fogli tutte le caratteristiche. La precisione del roadbook è essenziale: a
tale scopo sul lato sinistro del foglio
viene riportato il chilometraggio totale, dall'inizio della giorama. Su lina seconda colonna a fianco, quello
parziale tra ostacolo precedente e
seguente.
Leggere
in moto
Seguendo alla lettera i) roadbook il
concorrente dovrebbe sempre essere
in grado di percorrere la via giusta:
in realtà la vera difficoltà, specie per
i motociclisti sta nel riuscire a andare abbastanza forte ma nello stesso
tempo leggere con attenzione le note nel corso della guida perché non
è mai consigliabile distogliere troppo a lungo gli occhi dalla strada.
I concorrenti italiani poi sono svanlaggiati dal fatto che le abbreviazioni* del roadbook sono tratte dalla
lingua francese, per cui è d'obbligo
imparare quel breve vocabolario di
uso comune necessario a «capire»
ciò che è scritto nel roadbook.
Tra le abbreviazioni più usate c'è
«HT» che sottolinea la presenza di
pali dell'alta tensione: «Sue a D»
significa «svoltate a destra»; quando si fa riferimento a una strada sul
cui fianco ci sono «BR» significa
che si deve fare attenzione a una
serie di pietre miliari; «S» sta per
percorso sinuoso. «HP» per fuori
pista e se quest'ultimo termine è
sbarrato significa che bisogna evitare il fuoripista.
Poi vi sono i simboli, che sono di
Al
abbatini
più chiara comprensione: una linea
ondulata rappresenta il terreno ondulato, il segno di un bidone o di
un penumatico a un particolare
chilometro significa che il concorrente arrivato a quel punto avrà la
conferma di essere sulla via giusta
se troverà un bidone a lato della
strada e una carcassa di gomma. Il
simbolo di una macchinina indica
invece la carcassa di un'auto.
Fare
il punto
11 roadbook si fa più dettagliato
quando descrive la prova speciale:
allora i simboli abbondano e per
sottolineare la pericolosità di certi
punti questi vengono marchiati più
scuri. Una buca marchiata in nero
sarà più profonda e pericolosa di una buca marchiata in grigio.
volte anche Sabine sbaglia.
De Paoli, veterano della gara (ha
saltato solo la prima edizione, nel
'79) trova molti difetti nel roadbook della Paris-Dakar.
«È impreciso - dice De Paoli - perché Sabine non Io scrive di anno in
anno. Poiché pane della gara auraversa sempre le stesse piste. Sabine
per risparmiare tempo utilizza roadbook degli anni passali con indicazioni raccolte da lui magari quattro
anni prima. L'anno scorso, ad esempio, il tratto di montagna algerine chiamato Hassekrem era segnato da simboli che ne mettevano in
risalto la pericolosità. Invece abbiamo scoperto che era una strada facilissima. Perché evidentemente è stala aggiustala nell'intervallo tra il
passaggio di Sabine e quello della
gara. In un 'altra occasione ci siamo
trovati di fronte a una indicazione
che diceva di svoltare aliando a-
Anche la F.l teme il nuovo veto
Vietato fumare
per la corsa in TV?
PARIGI - Con una decisione che
ha lasciato stupefatto l'organizzatore Thierry Sabine, il Tribunale di
Parigi ha'accolto la richiesta della
Lega Antitabacco e ha vietato ad
Antenne 2. la TV francese che se ne
era assicurata l'esclusiva, la trasmissione televisiva e cinematografica
delle immagini della Parigi-Dakar,
per non pubblicizzare le diverse
marche di sigarette che appaiono
come sponsor di diverse vetture, e
moto, di primo piano.
La più piccola vettura alla Parigi-Dakar è la 2CV elaborata da Pierre David, ed ha ottenuto simpatia •
Oltre a indicare la strada attraverso
i simboli il roadbook chiede al pilota nei punti più difficili, di fare il
«CAP». cioè il punto con la bussola. Puntata la bussola verso nord.
dirà di seguire la direzione che passa attraverso uno dei 360 gradi in
cui è diviso lo schermo della bussola. Ovviamente nei punti di deserto
in cui manca la pista, mancano riferimenti e il pilota deve fidarsi solo
della bussola, commettere un errore
di dieci gradi per esempio significa
allontanarsi poco alla volta dalla
strada giusta e non ritrovare più le
indicazioni dopo alcune decine di
chilometri.
Gareggiare con il roadbook è entusiasmante perché la gara si trasforma in una sorta di costante «caccia
al tesoro» dove l'intuizione del navigatore e la precisione nell'uso del
tripmaster (un contachilometri parziale riazzerabile per tenere i riferimenti con il chilometraggio segnato
sul roadbook) sono decisivi. Ma a
vremmo trovato piccoli alberelli a
bordo pisJa. Dopo minuti e minuti
di ricerca inutile ci siamo resi conto
che i piccoli alberelli descritti erano
diventati veri e propri fusti alii Ire
metri. Senza dubbio quel pezzo di
roadhook Sabine lo aveva preparalo
chissà quanti anni pinna».
«Un'altra imprecisione - continua
De Paoli - può capaitare perché il
roadbook viene senno a mano e non
sempre (a calligrafìa è ben decifrabile. In una edizione della gara una
"I" scrina male venne interpretata
da una quarantina di concorrenti come "p" così le raccomandazioni in
francese di lasciare una catena di
dune a destra (lassez) venne interpretata come passare una catena di
dune a destra (passez). • II risultato
fu che un sacco di auto si persero nel
deserto e altre si insabbiarono nel
tentativo dì scavalcare enormi dune
che-in realtà bisognava solo costeggiare». Ma anche questo fa parte
del fascino della Paris-Dakar.
Se chi guida l'automobile o il camion può contare sul navigatore
che gli legge costantemente le note
del roadbook, il motociclista è costretto a far tutto da solo. Fino a un
paio di anni fa i roadbook erano
fogli singoli fissati su una tabella
metallica sul manubrio. Il pilota
durante la marcia lo consultava
con un colpo d'occhio poi. arrivato
alla fine delle indicazioni di quella
pagina, buttava via il foglio strappandolo e esaminava quello sottostante. Poiché sorgevano però problemi in caso di errore di rotta (se il
pilota intuiva di aver commesso un
errore non poteva riesaminare le
note precedenti avendo buttato via
il foglio) un paio di anni fa nacquero porta-road book più sofisticati,
che permettevano di scorrere le note riavvolgendo i fogli usati. In caso
di dubbio bastava far ruotare al
contrario il porta-roadbook e tornare al punto dubbio.
La guerra del tabacco, che si sembrava
quietata negli ultimi anni almeno in
Francia e Germania, è riesplqsa dunque
con tutta la sua forza. Ormai basta che
un qualsiasi gruppo si rivolga a un giudice per ottenere provvedimenti che possono avere una ricaduta negativa per tanti
altri tipi di sport. In molti non si sono
accorti della cosa. Non se ne è accorto il
presidente Balestre, che si è servito dei
raid quando c'era da fare la guerra ai
rallies. e ora M ha abbandonati. Non se
ne è accorto il quotidiano francese «L'Equipe» che ha tutto l'interesse a non
pompare ulteriormente la Parigi-Dakar.
visto che è impegnato a organizzare un
raid analogo, la Parigi-Pechino. Oltre a
sponsorizzare il rally di Montecarlo. Ma
se ne sono accorti gli sponsor del tabacco, che hanno investito ingenti somme
in questo tipo di gara. Le squadre più
importanti viaggiano ormai sotto questi
marchi, e se il black out dovesse continuare sarebbe per loro un danno assoluto. Quindi potrebbe tornare in discussione, non solo in Francia, tutto il vantaggio del finanziamento in genere a tutti gli
sport del motore.
Come si comporterà allora il Tribunale
"di Parigi, e la televisione che aveva già
programmato diverse dirette? Per non
parlare della F. I che in fondo deve il suo
successo proprio all'industria del fumo
che. prima della Marlboro. debuttò con
la JPS allora con i famosi colori della
sigaretta Gold Leaf, tabacco che colorò
di oro e rosso le verdissime Lotus di
Clark e Hill. Ancora ora le Lotus mantengono una livrea di sigarette: ma come
la metteranno i francesi con il loro campione del mondo Alain Prosi, che ha
vinto il titolo, e continua a correre, infilato nel più famoso pacchetto di sigarette
di tutti i tempi?
Gli organizzatori, dicevamo, sono seriamente preoccupati e anche i francesi di
Antenne 2. che hanno saltato i primi collegamenti con la Dakar. anche se domenica, forse sfruttando il lasso di tempo in
cui la sentenza deve passare in giudicato,
hanno mandato in onda le immagini
della gara nel deserto.
Road book
in cuffia
Ma qualcuno ha inventato di meglio: Fanno scorso parte del merito
della vittoria di Gaston Rahier andò a un piccolo registratore a cassette che il belga aveva applicato alla moto. Su di esso Rahier aveva
inciso la sera prima le note e invece
di distrarsi dalla guida leggendole le
ascoltava in cuffia nel casco.
«L'idea -• spiega Rahier - mi è venuta un giorno mentre andavo in
automobile con mia moglie: dovevamo recarci da amici, avevamo le indicazioni ma non trovavamo la strada. Così lei si è messa a dirmi ad
alta voce le indicazioni che le avevano riportato mentre io guidavo e con
gli occhi cercavo il riferimento. Improvvisamente mi è balenata in te-
Esperienza e fantasia per sopravvivere
o anche semplicemente per non fermarsi
Trucchi da deserto
ROAD BOOK
sta l'idea: perché non poi eri i
care alla moto nella Paris-L
L'anno scorso il sistema del regislratore ha funzionato così bene che
attesi'anno anche i miei compagni
di squadra della BMW, Hall e Loi-eaiix, lo hanno milito».
Rahier ha anche perfezionato l'apparecchiatura: ha rinunciato agli
auricolari montati nel casco come
nei normali interfoni perché il sibilo
dell'aria in velocità disturbava
l'ascolto e ha impiegato micro-auricolari che si inseriscono nei padiglioni delle orecchie che egli indossa
prima del casco. Ha poi sul manubrio un comando a filo, a portata di
mano sinistra, per arrestare, far avanzare a riavvolgere il nastro del
registratore. Così può fare a meno
di leggere il roadbook che è montato solo in caso di emergenza. A dir
la verità Rahier quest'anno aveva
anche chiesto alla Sony un registratore speciale con comando a distanza senza fili: ma il prototipo mandatogli dal Giappone si è rotto dopo il primo test.
E per un altr'anno Rahier ha nuove
idee: «A Natale ho regalato ai miei
ligli un computer - dice - e ho pensato che si potrebbe impostare la gara al computer e far risolvere a lui
tutti i complessi calcoli di medie, velocità, consumo del carburante e così vìa. L'importante è fornirgli informazioni esatte. Il prossimo anno ci
proverò».
Il che significa che anche la ParisDakar. ultimo baluardo della supremazia dell'uomo sulla tecnologia e sulla elettronica sta per cambiare volto?
d.S.
• PIÙ E MENO. Il veicolo più potente della Paris-Dakar '86 è il camion
DAF bimotore di De Rooy: ha due motori da 11600 cc ciascuno, 12 cilindri,
4 turbo, 16 marce e sviluppa 1000
CV. Il veicolo meno potente è la Honda 125 iscritta con il n.l e guidata dal
francese Gerard Barbezant: solo 13
cavalli. La più sofisticata delle moto la
Yamaha PZ 750 di Jean Claude Olivier
è un prototipo realizzato dallo stesso
Olivier con il motore 4 cilindri 5 valvole
per cilindro della fi stradale. Ha circa
100 CV e pesa più di 250 kg, quasi un
quintale in più delle Yamaha Tenére.
• PUBBLICO. In Francia si stanno
facendo i primi conti sull'affluenza di
pubblico alla partenza della Parigi-Dakar e già c'è chi vuole mettere in competizione questa manifestazione con la
24 Ore di Le Mans. Trecentomila sono
i temerari che hanno sfidato il freddo
di Capodanno per assistere alla partenza del raid, tanto quanto i presenti in
media alla 24 ore. Per il Gran Premio
di Francia, probabilmente, non si arriva
ad un terzo.
14 ROMBO
N
on bastano 400 cavalli sotto il cofano e un
pilota di F. 1 al volante: arrivare in fondo alla
Parigi-Dakar è anche questione di fortuna.
Ma la buona sorte bisogna in qualche modo assecondarla, aiutarla. Allora entra in gioco l'esperienza, quella sottile arte di arrangiarsi, di prevedere gli ostacoli e
risolverli a monte prima che si verifichino. L'esperienza non si conquista a tavolino ma solo nel deserto.
Non a caso, nessuno ha improvvisato una vittoria alla
sua prima partecipazione alla maratona africana. Il
primo posto ha sempre premiato, tra motociclisti e
automobilisti, chi aveva già versato negli anni precedenti sudore e fatica.
Basandosi sull'esperienza non si scongiurano i guasti
meccanici ne si placa una tempesta di sabbia ma si
può trovare il sistema perché l'imprevisto non diventi
causa del ritiro ma al massimo solo motivo di ritardo.
Ognuno dei partecipanti più esperti ha il suo piccolo
«trucco» per superare le difficoltà più conosciute e le
meno previste. Scopriamo quali.
Scalda mani
elettrici
Quando si parla di deserto si
immagina caldo torrido e sudore abbondante. In realtà,
almeno nella prima settimana di corsa, i motociclisti
specialmente soffrono il freddo come pochi. Non solo nei
mille chilometri di trasferimento da Parigi a Marsiglia,
dove è pieno inverno e la
temperatura è sottozero; ma
anche nelle prime tappe in
Algeria, specie quando i concorrenti sono costretti a viaggiare a pomeriggio inoltrato
o di notte. Chi non c'è mai
stato può consultare un
buon libro di geografia che
parla chiaro: ad Algeri, nel mese di
gennaio la temperatura oscilla mediamente tra i 15 gradi centigradi massimi
e i 1 minimi. E scendendo più a sud.
alle soglie del deserto del Tenere, a Tamanrasset, si scopre che l'escursione va
da 19 a soli 4 gradi di temperatura minima. Nel deserto il caldo di giorno è
maggiore ma l'escursione termica è notevole tanto che spesso si scende, di
notte, sotto zero.
Il freddo, più che nel corpo protetto
dalle tute in misto pelle-goretex (un tessuto impermeabile all'acqua ma che fa
traspirare il sudore) si avverte soprattutto sulle mani. La migliore soluzione
al problema del freddo alle mani dei
motociclisti viene dalla Honda che invece di obbligare i suoi piloti italiani e
francesi (Balestrieri. De Petri, Orioli,
Lalay, Neveu, Baron e Charliat) a indossare pesanti guanti che tolgono sensibilità alle mani per guidare, ha montato davanti alle leve del manubrio paramani in plastica con all'interno una
resistenza elettrica, alimentata dalla
batteria di bordo, una resistenza che emana calore e allevia i disagi del pilota.
Naturalmente il sistema viene disinserito poi nelle tappe dove la temperatura
diviene accettabile...
Guerra alle forature
^jCnomodora
Lauto... compressa
I componenti più sollecitati di una auto in
gara alla Paris-Dakar non sono motore o
telaio, quanto le sospensioni. Costrette ad
assorbire ogni imperfezione del terreno, sono quelle cui viene demandato il compito
più importante: fare in modo che le ruote
motrici restino sempre a contatto del terreno, ma nello stesso tempo sia assicurato un
comfort decente all'equipaggio perché non
si spezzi la schiena dai sobbalzi dopo pochi
chilometri nelle buche.
Franco De Paoli, veterano della gara africana e titolare di una officina di preparazione
auto, ha studiato sulla sua Audi-Rover un
ingegnoso sistema di sospensioni completamente pneumatiche. Quattro molle ad aria
sono montate al posto di quelle metalliche.
A destra, la singolare Audi/Rover
di De Paoli di cui vediamo, nel
disegno sotto, lo schema della
speciale sospensione pneumatica
Livellatori di assetto permettono di effettuare, in movimento, la modifica all'assetto per
adattare la vettura al terreno: alzarla nei
tratti più sconnessi per evitare che tocchi
con la parte inferiore, abbassarla su strade
più lisce par migliorare la tenuta di strada ad
alta velocità e la penetrazione aerodinamica. Il tutto indipendentemente dalle condizioni di carico. Modifiche che. con sospensioni tradizionali, è possibile compiere solo a
vettura ferma lavorando sotto di essa. Tutto
ciò avviene «gonfiando» più o meno con
aria compressa gli ammortizzatori pneumatici tramite un mini-compressore montato
nell'abitacolo. Il compressore può anche essere usato per cento altri servizi: pulizia filtri, gonfiaggio pneumatici, ecc.
La sottilissima sabbia rossa che si infila
dappertutto, quella che è conosciuta come
«fesh-fesh» e si insinua persine all'interno
delle bottiglie di acqua minerale sigillate, o
più semplicemente la polvere del deserto
montagnoso algerino, sono un fastidio che
tutti i concorrenti della Paris-Dakar conoscono bene. I motociclisti ne respirano a
chili ogni giorno ma anche coloro che guidano le auto ne hanno sperimentato i fastidi. Sabbia e polvere si depositano dovunque e mischiandosi al sudore sporcano
qualsiasi indumento pulito dopo pochi minuti, aumentando i disagi fisici.
Uno dei pochi concorrenti immuni da
questo problema è Jacky Ickx; assieme al
suo copilota Brasseur, Ickx si presentava
ad ogni fine tappa con la camicia bianca
pulita, lindo come appena uscito dalla
doccia invece che da un lappone desertico.
Merito del particolare abitacolo della Porsche 959 che è sigillato e pressurizzato. Il
principio è analogo a quello dei jet di linea
e serve a eliminare le infiltrazioni.
lutali».
{itateli [«a
11 guasto più banale che possa capitare ai motociclisti in gara è la foratura, magari nel luogo più solitario,
quando i veicoli di assistenza sono
lontani ore e ore di marcia. Un inconveniente banale contro il quale
il rimedio non è semplice. I costruttori di pneumatici per scongiurare il
rischio hanno pensato di aggirare la
strada: la Michelin già da un paio
di anni equipaggia le principali
squadre con una gomma, la «Desert» che può essere dotata, al posto
della camera d'aria, di una specie di
«salsicciotto» in gomma, chiamato
«mousse» che. non essendo ripieno
d'aria, anche se perforato da pietre
o ferri rimane compatto ed evita
l'affìosciamento del pneumatico.
11 guaio è che la «mousse» è di materiale morbido e tende a sciogliersi
per effetto del calore provocato dalla rotazione del pneumatico quando montato sulla ruota motrice in
caso di velocità superiori ai 150 chilometri l'ora. Per cui nelle tappe
più veloci desertiche viene impiegata solo sul pneumatico anteriore
mentre il posteriore, con la classica
Abitacoli
pressurizzati
camera d'aria, corre il rischio della
foratura.
Anche la Pirelli ha studiato il problema-foratura risolvendolo con un
particolare pneumatico con «anima» in acciaio che dovrebbe «sostenere» la ruota ed evitarne l'affìosciamento in caso di foratura.
A scanso di equivoci però YamahaBelgarda e Monda-Italia dispongono, sulle proprie enduro, di «scivoli» metallici multi-funzione: in posizione di riposo sono ripiegati sotto
al motore e proteggono il carter dalle pietre; nell'interstizio che si crea
fra scivolo e motore vengono inseriti gli attrezzi necessari allo smontaggio del pneumatico e varie chiavi
inglesi per gli interventi più urgenti.
Questo per evitare al pilota il fastidio di doversi portare addosso chili
e chili di attrezzi. A moto ferma lo
scivolo viene disinserito e ruotato di
novanta gradi diventa un vero e
proprio cavalietto centrale che solleva la moto da terra e permette lo
smontaggio dei pneumatici, cosa altrimenti impossibile con il classico
cavalietto laterale delle enduro.
il «caso»
1° UDIENZA
relatore.
LE BUGNE CHE SCOTTANO
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f/m// /» /'«//o (/« Marineavich. sulla falsariga ai quanto scrino eia ROMBO. Debbo
cum'xin'nni: non è citalo Mauro Piccinini. Monsignor Marcinkus di-Ila situazioni'.
Anche questo è un dato che può spiegami!'.1
^****~
FERRARI
Marcelle Sabbatini
La testimonianza
il PROCESSO
dell'Artigiano
TORINO - C'era stata una sola cosa di buono
nella debacle della Ferrari sul finire del mondiale 1985: il silenzio che il "Vecchio" ed i suoi
collaboratori più stretti si erano imposti. Non,a
caso Michele Albereto, l'unico "ribelle" alla
consegna della bocca chiusa, sta ancora pagando le conseguenze dei suoi commenti sudafricani anche se ha cercato poi. secondo un malcostume caro agli uomini di Maranello. di scaricare il problema dando la colpa ai giornalisti.
In fondo, con l'evitare commenti diretti (anche
se. conoscendo Enzo Ferrari, è facile immaginare quanta fatica gli sia costato), la Ferrari aveva dato una dimostrazione di dignità e di stile
abbastanza coerente con quel proclama che il
"Vecchio" aveva rilasciato ad inizio stagione ed
in cui. più o meno, era stato detto: «Se vinceremo il merito è di tutta la squadra, altrimenti
sarò io il portiere di questa squadra e mi assumerò la responsabilità dei gol presi».
Ma non poteva durare! Soprattutto perché il
"Vecchio" di fare il "portiere" aveva preso l'impegno soltanto a parole sperando che la frase
cadesse nel dimenticatoio e di fronte alla sollecitazione precisa di assunzione di responsabilità
oggi Enzo Ferrari si è confermato in tutto e per
tutto Ferrari. In altre parole, come è sempre
successo nei momenti di bufera, ha lanciato indirettamente un "messaggio" per fare capire
che nella sua "repubblica" il re. lo si voglia o
no. è sempre lui. con tutte le conseguenze che
la cosa comporta.
Infatti dimostrando di non aver digerito l'epiteto di "Artigiano" affibbiatogli quasi contemporaneamente dall'avvocato Agnelli e dall'ingegner Ghidella (?) all'indomani di Brands
Hatch, quandai due boss Fiat avevano sintetizzato il successo iridato di Prosi e l'ennesimo
ritiro con il motore in fiamme di Albereto con
la frase: «In F.l è finita l'epoca degli artigiani,
ci vuole la grande industria», il "portiere" di
Maranello non cc l'ha fatta a tenere la bocca
chiusa per più di due mesi e anziché sfogarsi
nella consueta conferenza stampa di fine anno
sembra aver scelto la via già collaudata in altre
occasioni del giornalista amico. Accadde col
nostro direttore per la rubrica Telesprint (il
Rombotv di qualche anno fa), questa volta l'onore dovrebbe essere toccato alla "Repubblica".
II quotidiano romano, in un pezzo apparso domenica 29 dicembre a firma Carlo Marincovich sotto il titolo «Tra Fiat e Ferrari futuro di
guerra?» precisa perché anche il 1986 sarà un
anno senza titolo mondiale per la squadra modenese.
Infatti senza nulla togliere alla bravura e alla
competenza di Marincovich. nell'articolo ci sono troppi riferimenti (pensate solo al dato degli
884 - non uno di più né uno di meno! - cavalli
del Nurburgring) per non immaginare a monte
j 2?~"
Eugenio Zigliotto
LA REPUBBLICA
iella sua stesura almeno una telefonata più che
Cordiale con il "Vecchio",
thè ha rotto cosi il silenzio, anche se indirettamente Ferrari espone delle ragioni alla negativa
inclusione della stagione di corse appena terminata che non solo non chiariscono le vere
:ause del disastro, ma addirittura aumentano il
sospetto che davvero lui sia solo un "artigiano"
nonostante il dispetto che questa attribuzione
ui suscita. Per di più un artigiano oramai fuori
lai tempo e dal suo ruolo come da parecchie
parti a Maranello e dintorni si sta dicendo auspicando che il "Vecchio" si decida finalmente
jd imitare il suo coetaneo Pertini facendosi da
parte a fare il "pensionato di lusso" o tutt'al più
a giocare come gli compete al "monumento viLente".
Infatti Ferrari adesso sembra voler addebitare
alla Fiat quelle che invece sono le colpe solo ed
ssclusivamente sue. Questo anche se da Torino.
Compiici le vacanze natalizie, non si può e non
si vuole fare un commento all'analisi del quotidiano "Repubblica" preferendo il rifugio nel
messaggio di amicizia lanciato personalmente
dallo stesso avvocato Agnelli al recente incontro con i giornalisti dell'automobile. In altre parole stando all'articolo di "Repubblica", a fine
stagione Ferrari si accorge di avere solo due ingegneri, d'i non godere di molto credito presso i
fornitori tedeschi di turbine, bielle e pistoni, di
non avere una galleria del vento che studi i flussi aerodinamici anche sulle macchine in movimento.
Ferrari però evita accuratamente di essere un
"portiere" fino in fondo e di chiedersi come e
perché questa situazione si è verificata. Vale a
dire, di identificare il responsabile di questo ritardo tecnico e tecnologico di un'azienda che in
F.l non ha confronti per investimenti economici e per possibilità materiali (il tracciato di Fiorano basti come esempio). Infatti, se c'è un responsabile di aver mal amministrato questo capitale non è certo a Torino. Qui di responsabilità probabilmente ne hanno avuta una sola.
1 Cioè di avere sempre considerato la Ferrari, fin
dal momento dell'acquisto nel 1969 nient'altro
I che un "giocattolo" lussuoso.
In base a questa valutazione fino allo scorso
ottobre, quando fu lanciato il messaggio in codice della "fine dell'artigianato". la Fiat ha sempre lasciato lo status quo iniziale, con Enzo
Ferrari despota e patron, libero di prendere ogni
decisione. Ma non evidentemente ogni responsabilità se il "Vecchio" adesso se ne esce addebitando al socio piemontese il ritardo di Maranello. Quasi che negli anni scorsi non fosse stato
lui ad impedire il contatto tra la propria azienda e le strutture torinesi. Infatti, curiosamente,
proprio mentre la Fiat riguadagnava una posizione leader tra le aziende automobilistiche euI ropee in questo scorcio di anni '80 con prodotti
come la Uno. la Regata e la recente Croma,
tutti all'avanguardia proprio per la aerodinamica e uso intelligente di tecnologie e materiali
innovativi, la Ferrari al contrario accusava su
aerodinamica e ricerca su materiali d'avanguardia il suo ritardo nei confronti di McLaren.
Williams e Brabham.
Eppure a Torino, oltre allo staff di ingegneri e
I tecnici che l'ingegner Scolari, capo della progettazione, ha saputo mettere in piedi, c'è un reparto corse come quello della Abarth e una galleria del vento scala 1:1 come quella di Orbasi sano, quasi unica in Europa, c'è un centro di
calcolo strutturato su computer costosissimi che
fa invidia e c'è forse un nome come quello Fiat
che. con il suo milione e passa di vetture prodotte ogni anno, può forse essere speso nei confronti di tanti fornitori. Tutte cose che Ferrari
oltre a conoscere benissimo aveva a completa
disposizione. Lui però non ha mai voluto, chissà se per orgoglio personale o per cattivi consi-
D grande
giallo
della F.l
QUALE Ferrari avremo neB'86?
Uria domanda carica di aspettative
la stagione 85 di Formula uno. Se la
Ferrari avesse cominciato male il
campionato e Io avesse concluso in
crescendo, oggi non si parlerebbe
di una sua sconfitta e sarebbe lecito
aspettarsi cose buone nell'86. Ma,
purtroppo, è accaduto i] contrario.
La Ferrari cominciò bene, arrivò al
topa mela campionato, per poi scivolare sempre più in basìo nel fina-
Perché anche l'86 sarà un anno senza titolo mondiale
ne i mesi scorsi. E forse il punto di
partenza può essere il Oan premio
del NurburgringdeU agosto, trionfalmente vinto da Alboreto. Mentre
gli italiani presenti sulla [rista tede-
Tra Fìat e Ferrari
Muro dì guerra?
vittoria di Michele, nel casate di
campagna a Fiorano, dove segue
tutte le corse in rv in un sakmmo
molto accogliente e motto inglese,
Enzo Ferrari ebbe un sussulto. Il
bolide rcsso TX 27 lasciava nella sua
Piccinini gli telefonò dai box dopo
la vittoria, l'ingegnere non si sperticò affano in lodi e compiimemi.
Voleva sapere i! perché e il percome di quel fumo. Dall'infausta cor-
I tanti capricci
di una rivoluzione
di Mai-tinello, non andava affatto
bene, vittoria o non vittoria.
Lavoro ne era stato fano perche
quel porno in Germania l'otto cilinche aveva esordito ndl'81. aveva
raggiunto la sua massima potenza:
va esordito in campionato. Pro-
cfi CARLO MARINCOVICH
Io di fumo indica va che dentro, dò-
ici di fai
occhi, i pezzi non reggevano più alk> sforzo. Ferrari difese allora, cole ha sempre fatto, i suoi fornitori,
la quel giorno stavano venendoal
fa-tutto» da sé. E'vero invece che
fa «quasi tutto» da sé. PST molti pezstranee e quasi tutte straniere. Le
mtcrodetonazioni nella camera di
scoppio avevano «sfiancato* cilindri e pistoni, la circolazione dell'olio era impazzita, le temperature edd cavallino rampante era prossimo alia deflagrazione e infatti nelle
gare successive venne -calmato»
per farlo, almeno, arrivare al traguardo. E cpminciò la triste para-
Troppo pochi
due soli
ingegneri
Ferrari capi n
potente. Da qui la sua rabbia senza
sfogo. Pistoni, biellee turbine erano
tedesche, fe frizioni inglesi. Se si
rompono alla Ferrari, succede il finimóndo. Se si rompono alla
McLaren o alia Brabham nessuno
se ne accorge, ftrché in Formula
contro la sola Ferrari, non contro I'
Italia. Che purtroppo è latitante in
fatto di tecnologia. La rabbia di Ferrari dipende proprio da questa
«servitù» che deve pagare a fornitori stranieri. Ogni volta che può, lentaliane costringendole ad uno sner •
vani? lavoro di sviluppo. Così ha
fano con le benzine, cosi con i freni ,•
cosi con l'efettronica. E lo ha fatto
pagando a volte ki scotto del ritardo. Ma quando in Italia nessuno e
disposto ad aiutarti per turbine,
bero un calcio nel di dietro. Come
quaodo,in piena estate.acausaderifitato vecchi fondi di magazzino
che a malapena sarebbero andati
bene su una Formula 3000.
Perché questi pezvà sono tanti
delicati e importanti? Perché denpressioni che farebbero scoppiare
un sottomarino nucleare e tempe-
13 i01
deria. Di qui metalli rari, nvestimmo in ceramica, titanio, e altre
sofisticazioni che costano un mare
di soldi e richiedono tanta.speri-
Chi svolge tutto questo lavoro
per arrivare un tantino avanti agii
altri sul traguardo? Quantifichiamo questa differenza: al Nurburgring la Fei rari con 884 cavalli era
prossima al a-oDo, le altre (McLamcnte avanti con i loro 950 cavalli
in gara. Ecco: la Ferrari, la grande,
prestigiosa Ferrari, onore e vanto
dell'Italia nel mondo, aveva in qud
Weissach lavorano nel centro ricerche della Porsche e i trecento
che la voranoalia Honda. Sara pure
vero che l'ingegner Postlethwaiie
ha sbagliato qualcosa nella macchina e che l'ingegner Renzetti ha sbagliato qualcosa nel motore, ina due
jneri cosa diavolo possono fai più quando c'è da
.
-
alfe prove, alle ricerche e alte
luppo?
La tragica realtà della Ferrari è
questa: doversi misurare con i cotossi della ricerca motorìstica disponendo di due ingegneri, fo
Disse bene l'avvocato Agnelli allo
stadio: «E' finita l'epoca degli anigiani, ora in formula uno ci vuole la
grande industria». Lo sapeva anche Ferrari di essere un otnmo artigiano e che gite lo ricordasse proprio Agnelli io faceva inviperire.
A questo punto a apre un capìtolo scabroso nella storia Fiat-Ferrari Una storia che cominciò nel 69
quando il Grande Vecchio, a 70 anni già suonati, varcò il portone di
torso Marconi per cedere il SO per
Per molti anni quello della Ferrari è sembrato un «capriccio» ddl'avvocatodi cui poi la Fiat azienda
si disinteressava. E forse era proprio cosi Del resto le cose andavano bene. Quel diavoletto di Niki
Lauda portò due moli mondiali, ne
mancò un terzo poi venne Scheckter, furono anni stupendi. Andare d'accordo era fin troppo facile.
Ma col turbo sono arrivati i guai
veri. Che si complicarono con le i
tutti i termini ed "
. . . . ..i troppa fretta. Ef
ingegnere di allora, Mauro FOT-
cadente di Pironi. A pagtre è slato
Forghisn incolpato di voler fare
tutto lui. Quando Forghien fu messo da parte, a MaraneUo a s accoringegneri, mancavano esperti delle
nuove tecnologie, non c'era nem
meno un vice di Fonjhieri II vuoto
pneumatico proprio mentre le sofisticanoni incalzavano.
In un momento cosi difficile, i
rapporti di coppia Fiai-Ferrari si
guastarono. Come in «Faicon
Crea» e difficife districarsi ira odi,
amon. rancori, vendette e obiettivi
meJecchi. in privato ognuno dei
il PROCESSO
c
bau par imodoiramiguattì oecuMtl
nato«»gionB. rnbsss.j corriti tra
Apiefc e Arboreto, entrambi
scontenti defl' ultimo campionato
due separati in casa punzecchia !'
altro. Ghidella premeva per passaFerrari gradiva anche perché vegni mila un lonfo ai cuore. Ma per
compiere questo passaggio a vono un problema: la Ferrari Auto
la Ferrari Gestione sportiva, col secondo posto nei mondiale SS. ha
guadagnato una decina di miliardi.
Dunque, i soldi ci sono. Gli uomini:
qui cade l'asino, come si usa dire.
da Torino a MaraocUo, cocaine- inutìe sottilizzare se sa stata la Rat
a --rifilare" akum pensionati alla
Ferrari 3 volere dei pensionati. La
i erità e e he nessuno di costoro vate
un Hans Meqjer della Porsche e
La Repubblica dell'Artigiano...
..corre indietro
mezzo secolo?
Con questo po' po' di dossier torinese, il «processo» si scalda. Vale la
pena approfondire la materia. Ma prima di tornarci con la più stretta
attualità dei giorni nostri, forse c'è da fare un passo indietro. Lo suggerisce lo stesso Ferrari a Marincovich se questi riesuma nel terzo articolo
una «coincidenza» del '35. Si potrebbe dire: ma la Ferrari torna indietro
di cinquantanni per questo '86 che tutti si auspicavano di riscossa?
D
alla testimonianza di Zigliotto, ad un «reperto»
importante per capire. Qualche settimana fa.
proprio nei giorni precedenti il tris di articoli di
«Repubblica», a Enzo Ferrari quegli stessi argomenti
proposti nel terzo articolo di Marincovich, accanto riprodotto, sfuggirono con ROMBO. Egli accennò con
noi. in più esplicito riferimento, al fatto che «...quella
al/naie è la stessa situazione del 1935. quando si scrisse non è più tempo di Scuderie con la formula peso...».
Con simile imput. la polemica dell'Artigiano, ieri associato all'Alfa oggi ad Agnelli, si allarga. E vale allora la
pena, anzi è necessario, fare un passo indietro. Andare
cioè a capire meglio cosa è avvenuto nel 1935 con la
formula «peso», che condannò a una stagione non
felice (con echi nel "36) l'alierà Scuderia Ferrari e le
sue Alfa. Ma. nella certezza obbiettiva del giudizio.
vale la pena rifarsi ad un altro testimone oculare di
quegli anni, testimone d'eccezione oggi scomparso, ma
certo attendibile: il grande giornalista dell'automobile
Giovanni Canestrini. Il suo racconto lo prendiamo pari pari dal suo libro «40 anni di corse» edito dalla
Calderini di Bologna nel 1962. Ecco allora le prossime
tre pagine dedicate alia importante testimonianza di
gegnen ed esperti. Così Ghideila
nell'ultìrnc mcon irò con Ferrari ha
lagaiutuno: •Ingegnere, prenda i
Coà è amvaio l'ingegner Jean
Claude Migeoi 35 anni, francese.
KTuomoche alla galleria del vento
dete ftnuvie francesi a Saint Cyr.
simulare quello che in Italia non È
possibile fare: l'influenza aerodinamica che ha sulla vettura il moto
delle ruote. Nella altre gallerie la
macchina è ferma e cosi le prove
sino falsale rispetto alla dura realferti di ostruire toro una similegalttu Ma quando la Fiat Engeneering ha presentato il progetto a è
scoperto che ci volevano cinque
miliardi e due anni di lavoro. Ferrari sé arrabbiato e ha detta no. grazie, me b faccio io, subito e spencapannone c'è già. mancanogB impiami tecnici che arriveranno nel
E 1 in arrivo a Maranello anche
eie pò ha adotta» anche la Forati Brunner, detto por inciso, era
solo anche all'Alfa Romeo da dove
se neandò dopo pochi mesi perché
I a e poco importa. Quello che imJ pula è che Ferrari si è resoconto di
i dover costituire come prima cosa,
' di uomini -Poi si penserà alla rnat-
// nuovo
motore
| a metà anno
i
Per quanto riguarda la macchi-
I gailaia del vesto a Fiorano, sono
', saie fané delle prove in Franose il
i modellino dei nuovo telaio proprio
stì giorni sia prendendo feria «ella m cruna a
computer, che già
funziona a Fiorano. In febbraio saia provata a Rio ma ne! corso ridi'
anno potrebbe subire molte modi-
M,
E motori; invece resterà quello
che è, un motore dal quale si può
•spremere" ancora poco. Il nuovo
{
!
]
|
del quattro cilindri ri velatosi un fiasco, è già slato progettato. I pezzi
della fonderia sono intimi, dovrà
essere ammalo, provalo a) banco,
modifEato, provato dal vero e poi
sviluppalo risolvendo i rapporti
difficili con i fornilori. Data prevista?Nonprimadimetà8fi.
A questo punto larispostaalla
domanda iruoale È facile: aspettiamoti ptx» o n ulla dalla Ferrari 86,
| .iato a creare uomini, macchine,
; motori e ricerche, Turt'aiiro che
liams e McLaren arriveranno aggiierrilefindalla prima gara, ftr riguadagnare i! tempo perduto la
Ferrari dovià veroamilnienie salificare proprio le corse Di risultò quindi è meglio ne
gli. approfittarne. Al contrario! C'era Orhassano? E lui via da Pininfarina. ipotetico concorrente della galleria Fiat. C'era Fiorio e la piccola pattuglia dell'Aborti) accentrata attorno a
quel "gemacelo" di Lampredi. vecchia conoscenza di Maranello. che studiavano il volumex? E alla Ferrari subito si passava il tempo a
rivendicare una primogenitura di motori delle
vetture da rally torinesi oppure ad accorgersi
che il Comprex svizzero era un bidone.
E via di questo passo, una perla dietro l'altra.
Dall'abbandono del centro di calcolo anche se
Postlethwaite aveva detto che per la 156 aveva
fatto più lavoro a Torino in una settimana che
a Maranello in tre anni, all'ingaggio del "pensionato" Renzetti a sostituzione di Forghieri.
ma lasciato però solo con Caruso e qualche altro a risolvere un'equazione come quella di trovare 900 cavalli affidabili ed economici per un
motore che dal 1981, anno della nascita, aveva
conosciuto ben poca evoluzione.
Alla Fiat hanno sempre digerito questo stato di
cose senza replicare. Addirittura per paura di
essere accusati di voler sopraffare il "Davide"
modenese, hanno nella scorsa estate giocato
l'ultima carta del «Vi mancano gli uomini?
Sceglieteli e prendeteli. Noi li pagheremo!».
Ma è stato allora che è emerso che i problemi
della Ferrari sono solo interni, relativi cioè al
modo di condurre l'azienda nel suo vertice. Come ha sintetizzato alla perfezione il "mago"
Mezger nel rifiutare il passaggio dalla Porsche
alla Ferrari: «Un uomo solo non serve a nulla.
Specie se il suo campo di azione poi è limitato
come succederebbe se io andassi alla Ferrari
dove ogni mia mossa dovrebbe passare al vaglio
prima di Piccinini e dello stesso Ferrari».
Uno stato di cose dì cui deve essersi finalmente
reso conto anche Mauro Forghieri. l'unico vero
tecnico di valore che la Ferrari si era creata in
casa e "colpevolizzato" lo scorso anno per una
crisi che andava ben oltre i confini del suo egocentrismo, se è vera la voce che circola a Maranello in questi giorni secondo la quale nel paio
di incontri al ristorante che l'ingegnere ha avuto
con il "Vecchio" prima di Natale, all'offerta di
tornare al timone dello staff tecnico della Ferrari ha ribattuto chiedendo la testa proprio di Piccinini e di Piero Ferrari!
In definitiva, perciò, c'è da dare ragione a "Repubblica" quando dice che per il 1986 dalla
Ferrari bisogna aspettarsi poco o nulla, perché
sarà un anno di transizione destinato solo a
creare uomini, macchine, motori e ricerche. Una tacita ammissione ad un programma per cui
la ricostruzione dello staff di Maranello deve
purtroppo partire proprio da zero dal punto
cioè a cui il "portiere" e il suo braccio destro
Piccinini lo hanno portato, e non certo quelli di
Torino. Se non altro perché alla Fiat rimane la
parola d'ordine di non interferire negli affari
Ferrari anche se loro la "cura" giusta la avrebbero vista da tempo e certo con più lungimiranza del "Vecchio", tale purtroppo non più solo
di nome.
e.z.
Immagini di un GP
del '35: siamo a
Monthleryperi!
GP dì Francia. È il
23 giugno.
L'ardore di
Nuvolari con la P.3
«vecchia»
(almeno di linea)
al solito si
appalesa in'
questo via con la
sola Alfa del
mantovano nei
pacchetto di
mischia in testa,
tra l'Auto Union di
Stuck e le
Mercedes di
Meyer e
Caracciola
foto storiche dell'
ARCHIVIO
ZAGARI
ROMBO 19
La testimonianza di ieri-
Quel
1935
a «peso»
i
// capitoli) del 1935, dal libro di
Giovanni Caneurini «40 anni di
corse» edito da Calderini, 1962
«...II 1934 era stato l'anno d'oro di Achille Varzi,
e non solo sportivamente. Le sue sette vittorie
assolute, fra le quali primeggiavano per la loro
importanza quelle ottenute nella Mille Miglia, alla
Targa Florio, nel G.P. di Trìpoli e nel G.P. di
Nizza, gli avevano fruttato non meno di settecentomila lire. Per di più aveva conquistato per
la terza volta il titolo di Campione italiano assoluto.
Quando ai primi del 1935 si seppe che Varzi,
aveva accettato una grossa offerta della casa
Auto Union e stava per emigrare, sull'esempio
di Luigi Fagioli, ci fu nell'ambiente sportivo automobilistico grande emozione. Varzi fu accusato
di «passare al nemico», proprio nel momento
più difficile per la nostra industria, trovatasi improvvisamente di fronte al massiccio attacco
della industria tedesca e s'ebbero polemiche a
non finire.
Da una parte si faceva colpa a Varzi di insensibilità o addirittura di affarismo, dall'altra si rimproverava ad Enzo Ferrari di non aver reagito
alla manovra dell'Auto Union e di avere scontentato il campione italiano, che era il capitano
della squadra della sua scuderia. L'uno e l'altro
fecero pubbliche dichiarazioni per giustificare il
loro operato, ma in realtà la vera ragione che
aveva spinto Varzi ad accettare l'offerta dell'Auto Union era duplice. Oltre alla questione finanziaria, che non era trascurabile in ogni modo, il galliatese, come Nuvolari a suo tempo, era
un carattere troppo indipendente per sentirsi legato ad impegni; ma, a differenza di Nuvolari,
era timido ed esclusivista, e male sopportava le
necessarie interferenze di Ferrari e soprattutto
le sue concezioni ed i suoi sistemi circa il funzionamento della Scuderia. Mentre Varzi, come
Nuvolari, ha sempre pensato da corridore, Ferrari, naturalmente pensava ed agiva soprattutto
come amministratore di un complesso industriale e sportivo, che non era facile amministrare,
come s'era del resto constatato attraverso l'infelice prova di altre scuderie.
Bisognava riconoscere a Ferrari il merito di avere creato ed organizzato, su solide basi, un organismo, che non solo aveva potuto sostituire
l'Alfa Romeo, ritiratasi, sia pure saltuariamente
dalle competizioni sportive, che non solo assicurava una continuità tecnico-sportiva, ma che dal
1930 aveva pagato per sole foniture all'Alfa Romeo qualcosa come 4.600.000 lire in cifra ton20 ROMBO
da, ossia alla valutazione del 1962 circa 320
milioni.
Ma Varzi, come altri corridori, pure apprezzando il contributo della Scuderia alla attività sportiva, pure riconoscendo che, senza la Scuderia,
probabilmente l'automobilismo italiano sarebbe
caduto in una crisi difficile, non approvava ombroso come era - taluni metodi ed atteggiamenti di Enzo Ferrari nei suoi riguardi. Pensava
di essere sottovalutato, e lamentava, e non ne
aveva fatto mistero, di essere posposto ad altri
corridori, ed in quella stagione a Guy Moli, che
sembrava godere i favori di Ferrari.
Quando gli venne l'offerta di passare nella
squadra dell'Auto Union ci pensò a lungo e poi
decise di accettare pure non nascondendosi
che quella sua decisione avrebbe certamente
favorito il suo grande rivale. Tazio Nuvolari infatti, mentre ancora la polemica si protraeva, accoglieva la proposta di collaborazione con la
Scuderia Ferrari, pure riservandosi di poter correre anche con vetture Maserati. Dopo l'esodo
di Luigi Fagioli, di Pietro Taruffi e di Varzi, le
squadre per le corse della stagione 1935 risultarono così composte: quella della Scuderia
Ferrari da: Nuvolari, Chiron, Brivio, Dreyfus,
Trassi, Comotti; quella della Auto Union da:
Varzi, Rosemeyer, Stuck, Leiningen, Pietsch e
Sebastiani quella della Mercedes da: Fagioli,
Caracciola, Brauchitsch, Geyer e Gartner e
quella della Bugatti da: Taruffi, Benoist, Veyron
e Wimille.
Anche se Fagioli prima, e Varzi dopo, non fossero passati a far parte delle squadre tedesche,
la situazione non sarebbe mutata sensibilmente. La superiorità dei mezzi schierati dall'industria germanica era tale da non lasciare dubbi;
ma certamente i nostri due campioni, ai quali
più tardi doveva aggiungersi anche Nuvolari, recarono un contributo di esperienza sostanziale,
sia ai loro compagni di squadra, sia ai tecnici di
Auto Union e di Mercedes.
Le cifre possono del resto confermare con la
loro eloquenza, questa affermazione. Su 65
corse, nelle quali si trovarono di fronte le quattro
marche, che allora svolgevano attività sportiva,
21 furono vinte con piloti italiani, dieci delle quali
dall'Alfa Romeo; su 68 record sul giro, registrati, nel corso della formula del peso massimo,
ben 22 furono opera dei piloti italiani, e di essi
otto di Varzi, nove di Nuvolari, al volante delle
diverse vetture, tre di Fagioli sulla Mercedes e
uno di Brivio sulla Bugatti.
Quest'ultimo in questo periodo, pilota ormai
maturo e stilisticamente completo, vinceva per
la seconda volta la Targa Florio, davanti a Luigi
Chiron, pilotando una tre litri Alfa Romeo, e
iscriveva l'anno dopo il suo nome nel libro d'oro
della Mille Miglia in coppia con Ongaro.
Nel 1935 la gara bresciana era stata vinta dal
piccolo e nervoso Carlo Pintacuda, uno dei pochissimi, che l'abbiano conquistato più dì una
volta. Pintacuda e Varzi quell'anno, prima ancora di prendere la partenza, avevano sollevato
un vespaio, presentandosi al controllo, il primo
nientemeno che con un'Alfa Romeo «grand
prix», la monoposto per antonomasia, trasformata ed adattata per la competizione bresciana, il secondo con una Maserati da corsa di
3724 centimetri cubi di cilindrata. Due «purosangue travestiti», come vennero chiamale
queste due vetture; di quel tipo di Maserati non
ne esistevano che quattro esemplari e. dell'Alfa
Romeo, quella sola di Pintacuda. che aveva un
motore di cilindrata maggiorata a 2900 cmc, le
sospensioni modificate e una carrozzeria gonfiata allo spasimo in modo da potere allogare
due persone di corporatura limitata, quali erano
Carlo Pintacuda, ed il suo volonteroso compagno marchese Della Stufa, che finì per fare
tutta la corsa seduto su un fianco e con un
braccio attorno alle spalle del pilota. Non erano
proprio, né l'una né l'altra, vetture da Mille Miglia, o meglio vetture che rispondessero ai criteri ed allo spirito della corsa che, come sapete,
almeno all'origine, s'era voluta dedicare alle
macchine di serie.
.Ma non c'era nulla da obbiettare; le caratteristiche di queste due macchine rientravano nei limiti regolamentari e dovettero essere ammesse •&
quella Mille Miglia che si chiamò la Mille Miglia
«dei cento contro due». I due erano Pintacuda e
Varzi. Quest'ultimo dopo una cinquantina di chilometri cominciò ad avere delle noie meccaniche e finì per abbandonare. Pintacuda invece,
senza mai mollare il volante per 1600 km. disponendo di una macchina, che non erogava
meno di 240 cavalli, staccò Mario Tadini, che
pilotava una 2600 Alfa Romeo, di 38 minuti,
migliorando la media di Varzi di poco più di 400
metri.
Con questa vittoria, il piccolo Pintacuda divenne
di colpo popolarissimo, e per tutti fu «Pinta»,
come lo chiamavano gli amici. Una popolarità
-che gli costò la metà del suo cognome.
Fu dopo questa sua vittoria che, trovandosi a
UL
or
frf
Firenze davanti alla porta di un albergo, in occasione di un banchetto, si vide affrontare da un
ragazzine, il quale squadrandolo gli chiese: «la
mi saprebbe dire qual'è il Pinta?» «Il Pinta sono
io», fece Pintacuda lieto della sua popolarità.
Il ragazzine, non sembrò però soddisfatto; lo
squadrò dall'alto in basso, - e non ci voleva
molto, - poi con l'aria di chi la sa lunga: «tu
pagheresti» rispose ammiccando, e lo lasciò in
asso.
Anche quest'anno la gara di centro della stagione (1935) fu il Gran Premio di Tripoli, al quale
per la prima volta partecipavano le vetture tedesche. I risultati del 1934 non permettevano
molte illusioni agli sportivi italiani, date le caratteristiche del circuito tripolino, nettamente favorevoli alla enorme potenza sviluppata dalle nuove
vetture tedesche, ma la Scuderia Ferrari non
era rimasta inattiva ed aveva realizzato la famosa «bimotore» o per essere più precisi, due diversi esemplari della «bimotore», adottando due
motori di tipo «B», uno montato anteriormente,
I altro posteriormente, sul telaio, cosicché il pilota veniva a trovarsi tra i due gruppi propulsori.
L'idea era stata di Bazzi, il popolare capo collaudatore dell'Alfa Romeo, passato alla Scuderia Ferrari.
Poiché contro i tedeschi non bastavano più i
270 cavalli della 3160 Alfa Romeo (la 16 cilindri
Auto Union 4960 sviluppava non meno di 380
cavalli e la Mercedes 3989 non meno di 350)
I ingegnere Arnaldo Roseli! e Bazzi, che non disponevano del tempo necessario per costruire
un nuovo motore, ricorsero al compromesso di
impiegare due motori su uno stesso telaio e
realizzarono una 6320 di cilindrata con due motori di 3160 ed una 5810, con due motori di
2900.
La prima di queste vetture poteva teoricamente
disporre di 540 cavalli e la seconda di 510 cavalli. Ce n'era a sufficienza per controbattere i
tedeschi, e Nuvolari lo dimostrava infatti, dopo
Tripoli, stabilendo due records internazionali a
321,428 ed a 323,125 di media, rispettivamente sul chilometro e sul miglio lanciato sulla base
della autostrada Firenze Mare. Ma c'erano altri
problemi da risolvere, ed in primo luogo quelli
delle gomme, dei freni, della stabilità e maneggevolezza della vettura.
Naturalmente questa vettura, che pesava oltre
1300 chili, non poteva essere ammessa ai
grandi premi a formula unica, per i quali il peso
massimo era stabilito in 750 kp,; ma il G.P. di
A sinistra:
un'olirà Alfa di quel/e
schierate al
QP d'Italia del 1935.
E la tipo B
affidata al collaudatore
della Casa Marinoni,
che presenta la
sospensione anteriore Dubonnet
A destra:
qualche settimana
prima del GP d'Italia.
si era svolta a Pescara.
in Ferragosto,
la Coppa Acerbo.
È la Mercedes Freccia
d'argento W 25,
8 cilindri,
motore di 3360 cc compressore
erogante 354 cavalli.
Quella di Pescara sarà
la prima corsa importante
vinta da questa Mercedes
Tripoli si disputava con un regolamento particolare, che ammetteva vetture da corsa di oltre
due litri di cilindrata, senza altri limiti.
E valeva la pena di costruire questa vettura per
questa manifestazione, che poteva ampiamente ripagare, con i premi che v'erano in palio, le
spese di costruzione. Nel 1935 il G.P. di Tripoli
era dotato di un monte premi di 1.120.815 lire
vale a dire al valore attuale della lira di 78 milioni
di lire circa, delle quali 19 milioni andavano al
vincitore, 13 milioni al secondo arrivato e sei
milioni e mezzo al terzo arrivato.
Sono cifre che ancora oggi, neppure la 500 miglia di Indianopolis avvicina, nella sua dotazione
dei premi.
Con questa trovata la Scuderia Ferrari riuscì a
mettere in campo, per la gara tripolina, la più
veloce con quella dell'Avus, una vettura che
fosse in grado di opporsi alle vetture tedesche e
di fornire a Nuvolari un mezzo per lottare contro
il suo avversario numero uno: Achille Varzi, il
quale aveva tutte le intenzioni di fare il terzo «en
plein» a Tripoli. Ma non s'erano fatti i conti con i
pneumatici,.che costituirono il fattore risolutivo e
capriccioso di questa corsa, ancora una volta
decisasi proprio all'ultimo giro, come le due precedenti.
In questo dopoguerra s'è spesso sentito discutere, a proposito delle vetture da corsa messe
in campo nei grandi premi, di velocità «eccessive», che sfuggivano al controllo umano. In occasione della catastrofe accaduta a Le Mans,
nel 1955, si è scritto che la velocità delle Mercedes in gara, che era dell'ordine dei 280 all'ora,
doveva considerarsi incontrollabile dall'uomo:
ebbene le macchine, che hanno disputato il
G.P. di Tripoli del 1935, hanno fatto registrato
su basi cronometriche le seguenti velocità sul
chilometro: Stuck 319 km orari, Varzi 318 km
orari, Fagioli e Caracciola 308 km orari, Nuvolari
296 km orari, Chiron 282 km orari. Velocità del
resto largamente superate dalle vetture tedesche e, come dicemmo, dalla stessa bimotore di Nuvolari, nei diversi tentativi ufficiali di records successivamente stabiliti.
Fino dalle prime battute s'era capito che i corridori, in questo gran premio di Tripoli, avevano
adottato due tattiche diverse: Caracciola e Nuvolari la tattica dell'attacco, Varzi e Fagioli la
tattica del risparmio dei pneumatici; che tutti sapevano perfettamente che bisognava fare i
conti con questo così detto accessorio...
...Fatto il bilancio finale di questa curiosissima e
movimentata corsa si poteva constatare che i
sei protagonisti aveva dovuto arrestarsi ai boxes, per cambi di pneumatici, complessivamente diciotto volte. Caracciola, Varzi e Nuvolari aveva effettuato ciascuno quattro cambi di gomme, Fagioli tre e Stuck e Chiron due. Alcuni
pneumatici non avevano resistito al tremendo
lavorio, cui erano stati sottoposti, per oltre 35
chilometri ed, in media, s'era constatato che
erano bastati 150 chilometri per ridurre sulle tele
i pneumatici, i quali avevano delle misure rispettabili: 7 x 1 9 posteriormente sulle vetture tedesche; 6,50 x 21 sulle bimotore Alfa Romeo.
Poco prima della metà della gara Antonio Brivio
rimaneva vittima di un incìdente spettacolare, e
fortunatamente senza conseguenze serie per il
pilota, uscendo di strada ad oltre 200 all'ora.
Sbalzato fuori di macchina Brivio compiva un
volo di parecchie decine di metri e veniva raccolto sulla sabbia integro, ma completamente
svestito, con i soli occhiali al collo e le sole maniche della tuta alle braccia.
Per concludere l'analisi di quegli anni richiamati da Ferrari in analogia ai problemi di oggi, si può concludere cosi: col
capito/o successivo dei libro di Canestrini:
...Nei primi due anni della formula del peso massimo aveva nettamente prevalso la Mercedes,
con le sue potenti otto cilindri, con tredici successi contro soli 7 della rivale diretta: la caratteristica Auto Union, indubbiamente più originale,
dal punto di vista tecnico, ma più lenta a raggiungere la sua piena efficienza funzionale. L'Alfa Romeo pure non avendo potuto affermarsi
che in due soli grandi premi retti dalla formula
internazionale, aveva però raccolto altre sette
vittorie in manifestazioni di minore importanza,
assenti gli avversar! tedeschi.
La reazione dell'Auto Union non si fece attendere molto. Già alla fine della precedente stagione
(1935), l'Auto Union aveva brillantemente chiuso la serie dei grandi premi, con la vittoria nel
G.P. di Cecoslovacchia, a Brno, del giovanissimo Bernardo Rosemeyer, che doveva essere la
grande rivelazione del 1936, e con il giro più
veloce stabilito da Achille Varzi.
La Mercedes aveva bensì migliorato le sue prestazioni iniziali, ricorrendo tra l'altro alla riduzione del peso e del passo della macchina, tanto
che il nuovo tipo venne chiamato «la piccola
Mercedes», ma l'Auto Union, profittando anche
11 Jb" IULPUCÌDDU
QUEL 1935
della acuta collaborazione del pilota italiano, aj veva finalmente trovato la sua piena efficienza,
come poteva dimostrare nella prima, e sempre
attesa, corsa della stagione 1936: il G.P. di Tripoli. In ordine di tempo, il G.P. di Monaco, sì
disputava normalmente prima di quello di Tripoli; la sua portata tecnica peraltro era limitata ed
incompleta per le caratteristiche del suo circuito
stradale, giudicato insufficiente per i potentissimi mezzi meccanici, che erano in lizza, in questo periodo.
Quell'anno poi, una pioggia dirotta era intervenuta a falsarne i risultati, e per di più, subito
dopo la partenza una slittata di Chiron durante il
primo giro, alla uscita dal tunnel, aveva più o
meno danneggiato ben sei dei corridori in gara.
Cosicché la vittoria di Caracciola, alla modesta
media di 83,195 km all'ora, non aveva lasciato
una traccia sensibile e non aveva convinto del
tutto gli esperti.
Per tutta quella corsa s'era reso evidente lo stato di irrazionale impiego di macchine, che sviluppavano potenze dell'ordine di 400 cavalli, su un
circuito di per sé molto tortuoso e per di più dal
fondo sdrucciolevole, che non permetteva che
accelerazioni molto graduate. «Fare correre
macchine di questa potenza, sul circuito di
Montecarlo, si scrisse in questa occasione, è lo
stesso che impiegare una locomotiva per trascinare una scatola di fiammiferi». Ed infatti i piloti
dell'Auto Union, praticamente, delle cinque marcie del loro cambio non impiegavano che la sola
seconda.
Questa corsa lasciò un piccolo strascico provocato dalla uscita di strada di Chiron, che la
stampa francese volle addebitare alla perdita di
olio di un'Alfa Romeo. In realtà quella volta, come altre, negli anni successivi, (Montecarlo è
ormai famoso per Questi spettacolosi incidenti
di strada, dei quali ne ricordo almeno cinque),
l'incidente di Chiron doveva farsi risalire alla inadeguatezza del percorso, affascinante per la
sua cornice, ma inadatto a macchine di eccessiva potenza.
A Montecarlo s'erano anche cimentate le nuove
squadre che per quella stagione erano così
composte: Scuderia Ferrari (Alfa Romeo): Nuvolari, Brivio, ladini, Pintacuda, Farina; Àuto Union: Varzi, Rosemeyer, Stuck oltre a von Delius ed Masse di riserva; Mercedes: Caracciola,
Fagioli, Lan, Brauchitsch e Chiron; Bugatti: Benoist, Wimille e Williams; Talbot: Dreyfus e Morel; Scuderia Subalpina: Siena, Ghersi, Dusio.
Quest'ultima formazione sorta a Torino per iniziativa di Luigi della Chiesa e di Luigi Ambrosìni,
era già sulla breccia dall'anno precedente. Per
la prima volta inoltre, in via ufficiale, si vedeva
comparire il nome di Giuseppe Farina, che poi
doveva fare una brillante carriera, arrivando al
campionato del mondo, nella composizione della Scuderia Ferrari.
Fu a Tripoli che l'Auto Union potè scatenare la
sua offensiva contro la Mercedes, riuscendo a
rovesciare la situazione ed a chiudere quella
stagione con 6 vittorie contro le due della Mercedes e le cinque dell'Alfa Romeo.
E fu ancora Achille Varzi, che sembrava avere
una predilezione speciale per questo circuito,
che fu chiamato, ed era in realtà, il circuito dei
campioni, a vincere per la terza volta in quattro
anni, alla media di km 207,630 sui 524 chilometri del percorso totale, realizzando per di più il
miglior tempo sul giro alla sbalorditiva media di
227,385 km orari sui 13.000 metri del circuito.
Con la sua concezione strettamente utilitaristica
delle corse, Varzi concentrava praticamente la
sua attività e la sua preparazione, pressoché
solamente sulla gara di Tripoli. Per lui la importanza di una manifestazione doveva valutarsi
sulla base pratica dei vantaggi che il corridore,
od il costruttore, ne traeva, ed indubbiamente la
gara tripolina, per la sua rinomanza ormai mon-
Anche nelle -code- delle vetture che nel
'35 si contendevano le piste, si nota la differenza di evoluzione tecnica. Sopra: la
Mercedes al GP d'Italia. Sotto nella stessa
gara ecco Nuvolari salire nell'Alfa 8 c/35
diale, per le sue ripercussioni tecniche ed industriali, per la imponente dotazione dei premi, equivaleva forse a tutti gli altri grandi premi messi
assieme. Ed era indubbiamente, - in questa
sua valutazione della attività sportiva -, al polo
opposto di Nuvolari, che anteponeva il risultato
sportivo, la popolarità, la soddisfazione personale di prevalere, a tutte le altre considerazioni...
...Nelle sue tre vittorie tripoline simili per tattica,
Varzi ha sommato dunque un distacco totale
dai suoi tre avversari: Nuvolari, Moli e Stuck di
appena cinque secondi. Non credo ci siano altri
piloti che possano vantare un tal record di parsimonia! ...
Nessuna considerazione potrebbe più eloquentemente definire il carattere ed il modo di pensare di questo nostro campione, che sembrava
concepire le sue corse come se concepisse una
macchina; sulla base cioè del rendimento; mentre in tutte le altre manifestazioni della sua vita
pensava ed agiva con criteri nettamente oppo-
sti. hgli era infatti istintivamente prodigo, generoso, aristocratico.
IR questa corsa erano scese in gara anche le
nuove 12 cilindri dell'Alfa Romeo, munite di un
motore a V di 4106 centimetri cubi, di non più di
380 cavalli, che erano state affidate a Nuvolari,
Brivio e ladini, mentre la quarta Alfa Romeo
della Scuderia Ferrari, era pilotata da Pintacuda.
Costruite per controbattere la superiorità delle
vetture tedesche, queste dodici cilindri apparvero però insufficienti allo scopo, anche facendo
astrazione della ecatombe di pneumatici che attardò inesorabilmente Brivio, ladini e Nuvolari,
preceduti nella classifica da Pintacuda, che era
riuscito a classificarsi subito dietro alle vetture
tedesche.
Come l'anno precedente la corsa era stata caratterizzata dal poco felice comportamento delle gomme, giustificato in parte dalle maggiori
velocità che s'erano raggiunte. Nel complesso i
primi nove arrivati avevano cambiato ben 49
pneumatici, otto dei quali alle ruote anteriori, e
l'Alfa Romeo da sola ne aveva sostituiti 30 nelle
quattro macchine ufficiali della Scuderia. La
Mercedes ne aveva dovuto cambiare complessivamente 12, nelle sue tre vetture e l'Auto Union sette, nelle due vetture di Varzi e di Stuck
classificatesi ai primi due posti.
Per l'afflosciamento di una gomma durante le
prove, prima della corsa, Tazio Nuvolari era andato a finire fuori strada, rovesciandosi con la
vettura, a circa duecento all'ora, lungo uno dei
rettifili del circuito. Se l'era cavata con molte
ammaccatture e con la incrinatura di una vertebra e, manco a dirlo, il giorno della corsa s'era
alzato dal letto per correre: «Per guarire deite
ammaccature non c'era niente di meglio che i
massaggi della macchina in corsa»; aveva detto.
Ma poi al ritorno in piroscafo lo sentimmo urlare
di dolore perché invece «dei massaggi della velluta» CI ^OSeVh tì&\.
Una settimana dopo a Tunisi, un incidente del
genere, provocato dalla rottura di una sospensione, toccava a Varzi. Non ne aveva avuto
alcun danno, ma rimase umiliato da quell'incidente, il primo e l'unico, della sua vita di corridore, che segnò anche l'inizio di una dolorosa e
rapida parabola discendente che doveva durare
fino agli inizi della guerra, proprio mentre prepotentemente si affermava il giovanissimo Rosemeyer, vincitore, in quello stesso anno, dei
grandi premi dell'Eifel, di Svizzera, di Germania
e d'Italia. Nuvolari rapidamente rimessosi dalle
ferite tripoline rinnovava a Barcellona, nel G.P.
del Penya Rhin, le gesta del G.P. di Germania
del 1935, portando vittoriosa al traguardo la 12
. cilindri -Alfa Romeo, contro la tortissima squadra
della Mercedes, malgrado due arresti al box per
cambio di pneumatici, battendo di soli tre secondi Caracciola. E rendeva la pariglia a Rosemeyer nel G.P. d'Ungheria, quell'anno assurto a
notevole importanza per il duello italo-tedesco...
Si concludi' la «leslimoniania» ili
Giovanni Canestrini sulle vicende
del. 1935, richiamata da Ferrari a
ricorso storico per questi nuovi suoi
anni difficili.
il PROCESSO
FINE PRIMA UDIENZA
CONTINUA NEL PROSSIMO NUMERO
con nuove testimonianze. Anzi, chi sente di poterne portare altre valide, di ieri e oggi, lo faccia
pure, ci scriva, prima di avvicinarci alla sentenza, che comunque sarà quella delle piste. Ma
già tutti gli appassionati si domandano: quando
tornerà a essere positiva?