programma di sala - Società del Quartetto

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Transcript programma di sala - Società del Quartetto

Martedì 12 gennaio 2016, ore 20.30

Sala Verdi del Conservatorio

Mikhail Pletnev

pianoforte

7

Bach - Grieg -

Preludio e fuga in la minore BWV 543

(trascrizione di Liszt)

Sonata in mi minore op. 7 - Ballata in sol minore op. 24

Mozart -

Sonata in re maggiore K 311 - Sonata in do minore K 457 - Sonata in fa maggiore K 533/494

2015 2016 1 5 1 a S TA G I O N E

Il concerto è registrato da RAI Radio3

Di turno

Antonio Magnocavallo Mario Bassani

copertine programmi.II.cop.:Layout 3 5-10-2015 9:39 Pagina 1

Antonio Magnocavallo Mario Bassani

Consulente Artistico

Paolo Arcà Franca Cella Lodovico Barassi

Consulente Artistico

Paolo Arcà

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Si raccomanda di: • disattivare le suonerie dei telefoni e ogni altro apparecchio con dispositivi acustici; • evitare colpi di tosse e fruscii del programma; È vietato, senza il consenso dell’artista, fare fotografie e registrazioni, audio o video, anche con il cellulare.

Iniziato il concerto, si può entrare in sala solo alla fine di ogni composizione.

Si raccomanda di: • disattivare le suonerie dei telefoni e ogni altro apparecchio con dispositivi acustici; • evitare colpi di tosse e fruscii del programma; • non lasciare la sala fino al congedo dell’artista.

Il programma è pubblicato sul nostro sito web il venerdì precedente il concerto.

• non lasciare la sala fino al congedo dell’artista.

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È vietato, senza il consenso dell’artista, fare fotografie e registrazioni, audio o video, anche con il cellulare.

Iniziato il concerto, si può entrare in sala solo alla fine di ogni composizione.

Si raccomanda di: • disattivare le suonerie dei telefoni e ogni altro apparecchio con dispositivi acustici; • evitare colpi di tosse e fruscii del programma; • non lasciare la sala fino al congedo dell’artista.

Il programma è pubblicato sul nostro sito web il venerdì precedente il concerto.

Johann Sebastian Bach

(Eisenach 1685 - Lipsia 1750)

Preludio e fuga in la minore BWV 543

(trascrizione di Liszt) (1708 ca.)

(ca. 13’) Bach è cresciuto in seno a una delle più antiche e solide famiglie musicali della Turingia. Se non fosse stato protetto dalla robusta rete familiare, a poco sarebbe servito probabilmente il talento fuori dal comune del giovane Johann Sebastian, rimasto orfano a dieci anni in una Germania ancora segnata dalle cicatrici della spaventosa Guerra dei Trent’anni. Dopo la morte dei genitori, il ragazzo venne allevato dal fratello maggiore Johann Christoph, organista nella Chiesa di San Michele a Ohrdurf, dove Bach imparò i rudimenti dell’arte organistica e comin ciò a conoscere la grande letteratura organistica tedesca, studiando le partiture di Pachelbel, Buxtehude, Froberger, Reincken, Böhm. Johann Christoph riuscì a procurare al fratello minore anche una borsa di studio presso il Collegio di San Michele a Lüneburg, dove Bach dispiegò in pieno i suoi immensi talenti musicali e divenne uno dei maggiori organisti del suo tempo. L’organo infatti rappresentava senza dubbio il regno di Bach, che conosceva in maniera perfetta tutti i segreti dello strumento e padroneggiava come gli antichi maestri l’arte di domare questo gigante sonoro e piegarlo alle caratteristiche del linguaggio contrappuntistico. All’organo sono legati i primi successi professionali e il primo incarico retribuito, come organista della Chiesa di San Bonifacio ad Arnstadt. Nel 1708 Bach passò al servizio del Duca di Weimar Wilhelm Ernst come organista e Kammermusiker. A questo periodo risalgono alcuni dei suoi maggiori lavori per organo come il Pre- ludio e fuga in la minore BWV 543, pervenuto a noi solo in copie manoscritte del figlio Carl Philipp Emanuel e dell’allievo Johann Christian Kittel. A Weimar Bach sviluppa l’idea di una separazione anche formale del Preludio dalla Fuga, sebbene mantenga una stretta correlazione tematica tra le due parti ormai indipenden ti. Il Preludio e fuga in la minore mette in luce una serie eterogenea d’influssi musicali. Lo stile italiano per esempio sembra affiorare in alcuni elementi, come per esempio il trillo accordale nel Preludio. La scuola tedesca del Nord invece è riconoscibile nello stile toccatistico del Preludio, con la discesa cromatica degli arpeggi e la libertà improvvisativa, così come nelle rapide scale della sola mano destra tanto nel Preludio quanto nella Fuga. Il marchio di Bach invece è impresso soprattutto nella straordinaria qualità della Fuga, costruita su un complesso tema in 6/8 di carattere danzante. La scintillante scrittura contrappuntistica si sviluppa tenendo assieme in maniera magistrale tutti gli elementi della forma, che unisce il carattere melodico alimentato da una inesauribile cantabilità, la vivacità ritmica e la sorprendente fantasia nell’invenzione di nuove progressioni armoniche. Bach non si limita a padroneggiare gli sviluppi legati al tema della Fuga e alle sue deri vazioni, ma arricchisce la forma con nuovi materiali nelle parti libere, sfoggiando una fantasia e una forza creativa di altissimo livello.

Edvard Grieg

(Bergen 1843 - 1907)

Sonata in mi minore op. 7

IV. Finale. Molto allegro

(1865, rev. 1887)

(ca. 19’)

I. Allegro moderato II. Andante molto III. Alla Menuetto, ma poco più lento

Ballata in forma di variazioni su una melodia norvegese op. 24

(1875/1876)

(ca. 20’) Nel 1907, poco prima di morire, Edvard Grieg concesse un’intervista al musi cologo americano Arthur M. Abell. In risposta alla provocatoria domanda del giornalista, che gli chiedeva se non si sentisse nient’altro che un miniaturista e un compositore alla moda, grazie al nazionalismo di stampo romantico della sua musica, Grieg replicò con una sorta di autoritratto artistico, estremamen te lucido e sincero: «Non pretendo di essere considerato nella stessa categoria di Bach, Mozart e Beethoven. Le loro opere dureranno per sempre, mentre io ho scritto per la mia epoca e per la mia generazione. Liszt disse una volta di Thalberg: ‘Son genre est petit, mais il est grand dans son genre’. Lo stesso si potrebbe dire di me».

Come aveva saggiamente previsto l’autore, la maggior parte della sua musica, un tempo favorita dal gusto dei pianisti dilettanti, è divenuta via via estranea al mondo moderno. La musica di Grieg ha trovato la dimensione autentica nella sfera del salotto, dell’intimità borghese; di conseguenza, il tramonto del musi- zieren, del far musica insieme in forma domestica, ha decretato anche la caduta nell’oblio della sua abbondante produzione di pezzi lirici e caratteristici in voga fino al primo Novecento. Non è un caso infatti che i pochi lavori strumentali di forma classica risalgano alla giovinezza di Grieg, l’epoca in cui egli aspirava ad affermarsi come compositore nel solco della tradizione tedesca, poi abbandona ta per un’espressione più lirica e immediata. Scritta nel 1865, ma rivista a fondo oltre vent’anni dopo nel 1887, la Sonata in mi minore racchiude l’essenza della formazione accademica ricevuta nel cuore del neoclassicismo tedesco, il Conservatorio di Lipsia fondato da Mendelssohn. Qui Grieg aveva studiato con Niels Wilhelm Gade, il dedicatario del lavoro, che però non era riuscito a costringere del tutto dentro gli argini della tradizione l’i stintivo spontaneismo del talentuoso pianista venuto dal Nord. Grieg infatti sen tiva un’irresistibile attrazione verso la musica popolare della sua terra e nei suoi primi lavori cercava di trovare una sintesi tra le forme classiche e gli influssi della musica norvegese. La Sonata mette in luce le aporie delle sue aspirazioni artistiche giovanili, alimentate da un crescente spirito nazionalista serpeggiante tra i giovani intellettuali norvegesi della sua generazione. I quattro movimenti infatti passano in maniera un po’ discontinua da un polo all’altro di questa ten sione, dimostrando di volta in volta il desiderio di seguire le orme del pianoforte

romantico di Schubert e di Schumann e la necessità di esprimere l’innato liri smo della propria ispirazione. Il primo movimento, “Allegro moderato”, mostra per esempio lo sforzo di sbozzare una forma fondata su una solida architettura tematica, di natura strettamente logica e strumentale. Tuttavia l’istintiva pro pensione al canto affiora tra le pieghe di questo movimento ben strutturato, per sbocciare in pieno nel successivo “Andante molto”. I riferimenti alla matrice nordica e popolare si mescolano con le divagazioni rapsodiche e gli spunti di danza. Il terzo movimento, dal curioso titolo “Alla Menuetto”, rappresenta quasi una propaggine emotiva del movimento precedente. Lì lo spirito della danza s’insinuava nel canto appassionato; qui invece la voce del poeta intona il ritmo melanconico di una danza di sapore antico. Il “Finale. Molto allegro” ricorda il finale della Sonata in fa minore op. 5 di Brahms, per le movenze rapsodiche e la marcata libertà formale del discorso. Le idee e le figure pianistiche si acca vallano in maniera frammentaria e travolgente, animate da una fervente pas sione retorica. In realtà quest’ultimo movimento sembra abbastanza estraneo allo stile della sonata e più affine invece allo spirito della ballata romantica, della novella senza parole.

In questa direzione infatti Grieg troverà negli anni successivi la sua voce più autentica. La Ballata in sol minore risale all’inverno del 1875/1876 e prende spunto da un’antica ballata popolare norvegese, che fornisce il tema per una serie di variazioni. L’ombroso e ripetitivo motivo in sol minore del canto viene in tessuto in una densa trama polifonica, formando un melanconico contrappunto a parti strette dominato dal carattere cromatico del basso. Le prime variazioni rappresentano una semplice elaborazione del tema, che mantiene la sua fisio nomia di fondo in maniera abbastanza riconoscibile. Quel che muta in maniera evidente è il carattere dei vari episodi, in una irrequieta sequenza di sentimenti contrastanti, in bilico tra sogno e realtà, tra la quiete e la tempesta. La curva espressiva discende fino a toccare il momento più oscuro nella settima varia zione, con l’indicazione “Lento”, una lugubre “Marcia funebre” in violenta con trapposizione alla brillante vitalità della variazione precedente. Il tema avanza zavorrato dai pesanti accordi del pianoforte, con i rintocchi profondi delle note gravi a evocare l’eco delle campane a lutto. Questo tragico episodio rappresen ta lo spartiacque tra la prima e la seconda parte, formata dalle ultime quattro variazioni riunite in un’ampia sezione finale. Dopo la melanconica introspezione della prima parte, culminante nella morte del protagonista romantico di questa muta vicenda, il finale segna una sorta di rinascita spirituale, come se il tema della Ballata si fosse liberato del pesante fardello dei suoi tristi pensieri e po tesse finalmente dar sfogo alla sua energia repressa in una sequenza di esube ranti ritmi di danza. L’armonia, non più imprigionata nella gabbia di sol minore, si libra in volo su tonalità lontane e arriva a trasfigurarsi in un luminoso sol maggiore, prima di tornare con una finale e selvaggia variazione di virtuosismo lisztiano alla casa madre e riprendere per l’ultima volta la forma originaria del tema, purificato dal cromatismo iniziale, commovente epilogo della novella ro mantica raccontata da Grieg.

Wolfgang Amadeus Mozart

(Salisburgo 1756 - Vienna 1791)

Sonata in re maggiore K 311

(1778)

(ca. 15’)

I. Allegro con spirito II. Andantino con espressione III. Rondò. Allegro

Sonata in do minore K 457

(1785)

(ca. 18’)

I. Molto allegro II. Adagio III. Allegro assai

Sonata in fa maggiore K 533/494

(1786/1788)

(ca. 22’)

I. Allegro II. Andante III. Rondò. Allegretto

La vita di Mozart si divide in linea generale in due distinti periodi, quello legato a Salisburgo e gli anni di Vienna. Lo spartiacque psicologico ed esistenziale è rappresentato dal viaggio intrapreso da Mozart nel 1777/1778, con l’idea di rag giungere Parigi e trovare un posto ben retribuito presso qualche corte europea. Perlomeno questo era il progetto elaborato da Leopold nella speranza di siste mare gli affari di famiglia, che ormai ruotavano quasi esclusivamente sul futuro di Mozart. Il viaggio rappresentava l’ultima spiaggia per Leopold, che aveva visto sfumare la possibilità di sistemare il figlio al servizio della corte dell’Im peratore e notava con apprensione la crescente insofferenza di Mozart verso l’ambiente provinciale di Salisburgo. L’obiettivo era talmente importante per la famiglia che la madre Anna Maria fu costretta ad affrontare i disagi e le fatiche di un viaggio così lungo per accompagnare Mozart. La povera donna morì a Pa rigi nel 1778, segnando in maniera simbolica la definitiva separazione di Mozart dal mondo della sua giovinezza. La Sonata in re maggiore K 311 risale alla fase iniziale del viaggio, quando Mozart si trattenne per qualche tempo a Mannheim, vivendo entusiasmanti esperienze musicali a contatto con gli eccellenti musici sti dell’orchestra di corte. Il pianoforte di Mozart si arricchisce di colori, come dimostra per esempio la parte conclusiva dell’esposizione nel delizioso “Allegro” iniziale. Una nuova idea formata da una breve catena di seste discendenti sug gerisce il suono di un quartetto d’archi e a sorpresa mette in moto il processo di sviluppo con una scrittura di magnifica invenzione contrappuntistica. Il mate riale principale ritorna in scena quasi casualmente, per riprendere il filo del di scorso in vista del ritorno dell’esposizione. Non è facile trovare nella produzione precedente un trattamento così brillante e intelligente della forma, che acquista un carattere e una fisionomia originale senza stravolgere il modello classico. Anche il movimento centrale, “Andantino con espressione”, condivide la scrittu ra densa e ariosa dell’“Allegro”. La melodia cantabile è sostenuta da una trama polifonica analoga a un lavoro per orchestra d’archi, mettendo in luce l’influenza del suono di Mannheim nella musica di Mozart. La bellezza di questa Sonata è suggellata dal Finale, una sorta di concerto per pianoforte senza orchestra,

tale è la ricchezza sonora della scrittura di Mozart e lo sfoggio di virtuosismo richiesto all’esecutore. La natura concertante di questo “Rondò” sembra sot tolineata dalla comparsa, prima del ritornello conclusivo, di una vera e propria cadenza solistica, confezionata secondo i crismi dei concerti dell’epoca. La visita a Mannheim era stata un vero toccasana per il giovane Mozart, che finalmente sembrava libero di esprimere nella maniera più completa il vulcanico mondo musicale che ribolliva nel proprio seno.

Nel 1990 l’autografo dei due maggiori lavori per pianoforte in do minore di Mo zart, la Fantasia K 475 e la Sonata K 457, venne battuto all’asta, raggiungendo la cifra record di £ 800,000. Il ritrovamento del manoscritto autografo di due opere di tale rilievo rappresenta di gran lunga la maggiore novità nell’ambito degli studi mozartiani di questi ultimi anni. La Sonata era conosciuta in pre cedenza dalla copia, con correzioni di pugno dell’autore, della dedicataria del pezzo, Maria Therèse von Trattern, moglie di un importante editore viennese. Mozart iscrisse la Sonata nel proprio catalogo il 14 ottobre 1784, diversi mesi prima della Fantasia in do minore. Decise però di pubblicare assieme i due lavori, usando la Fantasia come una sorta d’introduzione alla Sonata. Dopo la morte di Mozart, gli autografi furono venduti da Constanze all’editore André e in qualche momento del primo Ottocento vennero rilegati assieme. Le loro tracce si perdono nel corso delle successioni, finché il manoscritto non è sbucato fuori alla fine del Novecento negli archivi dell’Eastern Baptist Theological Se minary di Philadelphia.

La Sonata si apre con un gesto di notevole forza drammatica. Il tema principale è formato da due elementi fortemente contrastanti. Il primo segmento espri me forza, volontà e determinazione, mentre la risposta è piena di dolcezza e intimità, rimanendo sospesa su un silenzio interrogativo. Gli sviluppi di questa contrapposizione iniziale rappresentano il soggetto del movimento, che Mozart sviluppa con elegante maestria e una spiccata vocazione drammatica. L’“Adagio” centrale, scritto su un foglio separato, fu probabilmente dato a parte alla facol tosa allieva come forma di esercizio. Questa ampia e articolata pagina mette in luce un aspetto particolare del pianismo di Mozart, che lui stesso descriveva in una lettera al padre del 26 ottobre 1777 parlando del suo modo di suonare: «Io tengo sempre accuratamente il tempo. Di ciò si meravigliano tutti. Che la mano sinistra non conosca il Tempo rubato [in italiano] in un Adagio, non sanno capacitarsi. Da loro la mano sinistra va sempre dietro all’altra». La libertà degli abbellimenti e del rubato, secondo il gusto di Mozart, non doveva mai influire sul la pulsazione ritmica. Al contrario, l’intensità dell’espressione scaturisce proprio dalla tensione tra la precisione ritmica e la fantasia melodica. L’“Adagio”, nella più distesa tonalità di mi bemolle maggiore, rappresenta un magnifico esempio di questa concezione classica ed equilibrata della “vera arte di suonare la tastiera”, per riprendere il titolo del celebre trattato di Carl Philipp Emanuel Bach.

Mozart doveva tenere in gran conto il talento dell’allieva Therèse, dal momento che l’“Allegro assai” conclusivo contiene diversi spunti di notevole virtuosismo

concertistico, in particolare l’incrocio delle mani richiesto nella parte finale. Il carattere del movimento è chiarito subito dall’autore, che indica di suonare “agitato” la frase principale. La musica scaturisce da un cuore palpitante, che interrompe continuamente la pulsazione ritmica per riprendere fiato, prima di ripartire a spron battuto. Sotto la spinta di queste ondate emotive, il Finale sembra sbriciolarsi in una sequenza di frammenti, ma mantiene in realtà la for ma organica insita nella concezione dell’intera Sonata.

La Sonata in fa maggiore K 533/494 è il frutto della felice unione di due lavori differenti, come rivela l’insolito numero di catalogo. Il 3 gennaio 1788 Mozart in dicava nel suo catalogo la composizione di un “Allegro e andante” per pianoforte solo, ma al momento di pubblicare il lavoro aggiunse un precedente “Rondò”, scritto nel 1786, assemblando in questo modo i tre movimenti in una sonata. Per rendere più uniforme il tutto, comunque, Mozart rimaneggiò in parte il Finale, incorporando un breve passaggio in stile fugato che avvicinava un po’ lo stile del rondò a quello degli altri due movimenti. Il linguaggio di questa eterogenea Sonata è influenzato infatti dalla musica di Bach e di Händel, che Mozart aveva studiato a fondo in quel periodo grazie alla biblioteca del barone Gottfried van Swieten. Fin dalle prime battute appare chiaro che lo stile tende a un carattere più serio e colto, usando un vocabolario di canoni, imitazioni e arpeggi in ottava. Lo spiccato interesse dell’ultimo Mozart per il linguaggio contrappuntistico e il tentativo di innestarlo all’interno delle forme classiche anticipa di trent’an ni, per certi versi, l’analoga parabola di Beethoven. La Sonata in fa maggiore ovviamente non si spinge tanto in là, limitandosi ad adombrare le possibilità contrappuntistiche offerte dal tema iniziale. La zona del secondo tema infatti contrappone all’austero disegno delle crome una vivace e zampillante linea me lodica decorata con agili terzine. In genere Mozart introduce delle nuove idee tematiche nello sviluppo, ma in questo movimento si limita a usare il materiale dell’esposizione. Per una volta Mozart prende sul serio il concetto di sviluppo e lavora davvero sul processo di elaborazione tematica. L’“Andante” mette in luce un analogo atteggiamento compositivo e condivide le stesse qualità di fondo del precedente movimento. Il linguaggio è profondamente influenzato dall’idea di sviluppo organico del materiale originario, che in questo caso ha un caratte re molto espressivo e lirico. Il punto culminante dello sviluppo arriva con un crescendo irresistibile di tensione in un serrato dialogo a terze tra le due mani che sfocia in una vera e propria esplosione di luce con l’arrivo dell’accordo di fa maggiore. Il “Rondò” finale, come si è detto, è un’appendice spuria, aggiunta per motivi pratici. Rende in ogni caso più leggero e gradevole lo stile del lavoro, anche se Mozart ha introdotto qualche elemento di tipo contrappuntistico per non destare l’impressione di un eccessivo scollamento tra le due parti.

Oreste Bossini

Grieg: Un norvegese a Lipsia

Edvard Grieg nasce a Bergen, in Norvegia, nel 1843, da una famiglia benestante che già coltiva la musica con grande entusiasmo. Nel 1858, su consiglio del celebre violinista e amico di famiglia Ole Bull, si tras ferisce a Lipsia, dove frequenta il Conservatorio dal 1859 al 1862.

È interessante scoprire per quali motivi Lipsia attiri un norvegese proveniente da una città di provincia, così come molti altri musicisti e compositori stranieri, tra cui Arthur Sullivan, Hugo Riemann, Leósˇ Janácˇek, Isaac Albéniz, Frederick Delius, Ferruccio Busoni.

Innanzitutto è necessario sottolineare la centralità, nella vita musicale di Lipsia, della tradizione bachiana, coltivata dai Kantor della Thomasschule e rivalutata dal romanticismo tedesco. Tale rivalutazione prende le mosse da un evento di fondamentale importanza: nel 1829 Mendelssohn dirige a Berlino la Passione secondo Matteo di Bach, da lui riscoperta, e mai eseguita dopo la morte del compositore e al di fuori di Lipsia, dove era stata composta nel 1727.

Mendelssohn ne presenta una versione non integrale e da lui stesso rimaneggia ta nella strumentazione, ottenendo un grande successo di pubblico.

A seguito del lavoro di ricerca sull’opera bachiana, viene fondata a Lipsia, nel 1850, la Bach Gesellschaft (Società Bachiana), un’associazione di studi musicali creata da Moritz Hauptmann (che allora ricopriva la carica di Thomaskantor), Otto Jahn e R. Schumann, allo scopo di pubblicare l’Opera Omnia di Bach.

Lipsia è la prima città tedesca ad istituire nel 1743 dei concerti pubblici ed una delle prime città in Europa, insieme a Londra, a dotarsi di una sala da concerto, il Gewandhaus, costruito nel 1781. Questo fatto evidenzia non solo l’importanza che va assumendo in questo periodo il concerto pubblico, ma anche il ruolo di città-guida che Lipsia svolge in tale ambito.

I Gewandhauskonzerte vengono diretti dal 1835 al 1847 da Mendelssohn, che li porta ad un livello di eccellenza assoluta: esegue sue composizioni e di contem poranei, come Schumann, Hiller, Gade, Spohr, Moscheles, e mostra una predile zione per Mozart e Beethoven (meno per Haydn), consolidando così il repertorio strumentale della tradizione classica tedesca.

Dopo la sua morte, subentrano tra il 1847 ed il 1854 Julius Rietz, Niels Gade (compositore danese che nel 1843 si trasferisce a Lipsia, dove diventa assisten te di Mendelssohn presso il Gewandhaus e docente del Conservatorio) e Fer dinand David, poi dal 1854 al 1860 il solo Rietz. Quindi per trentacinque anni (1860-1895) il Gewandhaus ha come direttore Carl Reinecke.

Per quanto riguarda in particolare la generazione di Grieg, Lipsia risulta città affascinante anche in quanto centro della grande tradizione romantica, rappre sentata da Schumann e Mendelssohn: essi sono i primi docenti del Conserva torio di Lipsia, fondato dallo stesso Mendelssohn nel 1843 (è il primo ad essere istituito in Germania).

Presso il Conservatorio, Grieg studia pianoforte prima con Louis Plaidy, succes sivamente con Ernst Ferdinand Wenzel e Ignaz Moscheles; porta a compimento gli studi di composizione con Carl Reinecke.

È a Lipsia, inoltre, che si pubblica dal 1798 al 1882 la più antica rivista musicale tedesca, l’Allgemeine musikalische Zeitung (Giornale musicale generale), che recensisce spettacoli musicali di numerosi paesi europei e la cui casa editrice è la Breitkopf & Härtel di Lipsia.

Sul giornale appare materiale di grande importanza, tra cui la famosa recensio ne di E.T.A. Hoffmann sulla Quinta Sinfonia di Beethoven.

Per il giornale scrivono sia Schumann che Liszt.

Qui lo stesso Schumann, nel 1834, fonda e dirige la Neue Zeitschrift für Musik (Nuovo giornale per la musica), la rivista dei progressisti romantici.

Infine, Lipsia è sede di un’antica e prestigiosa università (fondata nel 1409 dal re di Sassonia Federico I il Bellicoso) e capitale dell’editoria tedesca, in particolare di quella musicale: vi hanno sede le case editrici Breitkopf & Härtel e Peters, fondate rispettivamente nel 1719 e nel 1800.

Giulia Ferraro Allieva del Conservatorio “G. Verdi” di Milano

Mikhail Pletnev

pianoforte

Mikhail Pletnev è nato nel 1957 a Archangelsk, in Russia. Figlio di musicisti, dopo le prime lezioni di pianoforte a Kazan, a tredici anni si trasferisce a Mosca per studiare al Conservatorio. Nel 1978 vince il primo premio e la medaglia d’oro al Concorso Cˇajkovskij, dando il via ad un’intensa carriera che l’ha portato a esibirsi con le maggiori orchestre in tutto il mondo.

Nel 1989, grazie all’appoggio dell’allora presidente sovietico Mikhail Gorbachov, ha ottenuto l’autorizzazione a fondare la prima orchestra russa a

finanziamento privato, la Russian National Orchestra (RNO), considerata

oggi una delle migliori orchestre del mondo con numerose tournée in Europa, America e Asia sotto la sua guida o di prestigiosi direttori ospiti. Nel 1996 si è esibita in occasione del concerto d’apertura dei Giochi Olimpici di Atlanta.

Mikhail Pletnev ha ottenuto notevole apprezzamento a livello internazionale

anche per le sue composizioni: nel 1998, il suo Concerto per viola è stato

eseguito in prima esecuzione mondiale da Yuri Bashmet. Le sue trascrizioni

per pianoforte delle Suite di Cˇajkovskij tratte da Lo Schiaccianoci e La bella addormentata sono considerate dai pianisti di tutto il mondo un’opera di

maestria tecnica.

Nel 1996 ha meritato lo “State Prize of the Russian Federation” del Presidente Eltsin, un onore che gli è stato rinnovato nel 2002 dal Presidente Putin. Nel 2007 gli è stato conferito il “Premio Presidenziale” per il suo contributo alla vita artistica della patria.

Dal 1993 Mikhail Pletnev è legato all’etichetta discografica Deutsche Grammophon. Le sue registrazioni hanno meritato numerosi premi tra cui i

prestigiosi “Grammy Award”. Il doppio CD Pletnev – live at Carnegie Hall ha

ottenuto un successo straordinario. È stato ospite della nostra Società nel 1996, 2000 e 2004.

Prossimo concerto:

Martedì 19 gennaio 2016, ore 20.30

Sala Verdi del Conservatorio

Quartetto di Cremona

Non si è ancora spenta l’eco della fortunata integrale dei

Quartetti

di Beethoven che il Quartetto di Cremona si cimenta in una lettura di tutti i lavori di Mozart per questa formazione. Come era accaduto per Beethoven, anche l’integrale mozartiana è condotta secondo un rigoroso criterio cronologico, che permette di seguire gli sviluppi della scrittura di Mozart e le varie tappe del suo processo di maturazione. Il primo concerto dunque presenta i lavori di un giovanissimo autore dal talento prodigioso, in grado di assorbire e assimilare con sbalorditiva rapidità i molteplici influssi di ogni ambiente con cui veniva in contatto. Il particolare in Lombardia, una delle sue radici.

Quartetto

cosiddetto di Lodi, perché scritto in una locanda durante una sosta nel viaggio verso Bologna, e il primo gruppo di quartetti scritti durante il secondo soggiorno a Milano, rappresentano il primo incontro di Mozart con un genere di musica strumentale che aveva in Italia, e in Società del Quartetto di Milano - via Durini 24 20122 Milano - tel. 02.795.393

www.quartettomilano.it - [email protected]