Marinella Attinà – Università di Salerno

Download Report

Transcript Marinella Attinà – Università di Salerno

Marinella Attinà – Università di Salerno
C’ERA UNA VOLTA NELLA CULTURA CONTEMPORANEA:
RIFLESSIONI PEDAGOGICHE E PROPOSTE FORMATIVE
L‟incipit di queste brevi riflessioni potrebbe essere condensato nell‟interrogativo: c’è ancora il c’era
una volta? E‟ un gioco linguistico che vuole mettere capo alla ricerca di una persistente attualità del valore
pedagogico della fiaba ed ad un suo possibile confronto con un altro genere-linguaggio dell‟infanzia,
apparentemente distante, rappresentato dal videogioco che, nell‟immaginario collettivo si rappresenta come
diametralmente oppositivo rispetto al mondo incantato della fiaba. Si tenterà, infatti, di argomentare, senza
alcuna pretesa dimostrativa, come sia possibile conciliare, al di là di ogni forma di barricata pedagogicogenerazionale, generi apparentemente, e si sottolinea ancora una volta l‟apparentemente, diversi come quello
della fiaba e dei videogiochi, icona di una cultura del bit elettronico che si fronteggia con quella che
Ferrarotti definisce cultura del paralume.
E proprio alla cultura del paralume appartiene quel complesso iconografico che ci ha tramandato
l'immagine della nonna che racconta fiabe accanto al focolare, attorniata dalla nidiata dei nipotini.
È inutile negarlo: quell‟immagine è solo una sbiadita traccia mnestica. Dobbiamo, dunque, dire
addio alle trepide emozioni della voce che racconta, ai contorni figurativi che ciascuno dava ai singoli
personaggi ed ai paesaggi, al calore affettivo della voce materna, ai colori della fantasia?
In realtà, se il contesto è certamente diverso non si può non concordare con Gianni Rodari quando
scrive nel testo Fiabe e fantafiabe che «la fiaba è di per sé uno strumento ideale per trattenere con sé
l‟adulto. Di rado l‟adulto ha tempo di giocare con il bambino come piacerebbe a lui …ma con la fiaba è
diverso. Finché essa dura, la mamma è lì, tutta per il bambino, presenza durevole e consolante, fornitrice di
protezione e sicurezza… la voce della madre non glia parla solo di cappuccetto Rosso o di Pollicino: gli
parla di se stessa… A cosa gli serve la fiaba? A costruirsi strutture mentali, a porre rapporti come “io, gli
altri”, “io, le cose”, “le cose vere, le cose inventate”. Gli serve per prendere delle distanze nello spazio e nel
tempo…la fiaba rappresenta un‟utile iniziazione all‟umanità»1.
E ancor prima, Fröbel, ne L'educazione dell'uomo, poneva l'azione del raccontare e dell'ascoltare
come rapporto di partecipazione di due generazioni tra loro distinte.
La prima osservazione da fare è quella relativa, dunque, alla fiaba come occasione magica per
riannodare le fila di passaggi generazionali, di relazioni diadiche dai forti marcatori affettivi.
Non c'è niente che possa sostituire le carezze e le modalità affettive dei genitori, che si possono
riassumere nel ripristino dell'incanto e nella commozione della voce materna. La voce della madre e
dell'insegnante esercita sempre sul bambino una benefica azione rasserenante e stimolante, specie quando la
voce interpreta il racconto attraverso il tono, le pause, gli accenti, la curva melodica degli eventi; specie
quando essa rende i significati che l'autore ha affidato al testo, col potere di evidenziarli o enfatizzarli o di
crearne addirittura di nuovi. La comprensione della fiaba, da parte dei bambini, è affidata in gran parte alla
capacità di scandirne i ritmi che la suggestione della voce è certamente in grado di rappresentare.
La fiaba si ripropone, oggi, come uno dei sussidi più flessibili al servizio del bambino, per
consentirgli il graduale sviluppo intellettuale e linguistico, la compensazione delle frustrazioni affettive,
l'affermazione della condotta morale, la scissione del mondo oggettivo da quello soggettivo.
La scoperta della funzione psico-pedagogica della fiaba non è, naturalmente, nuova. Basti pensare a
Vladimir Propp ed a Bruno Bettelheim.
Il primo, nel suo saggio dedicato alla morfologia della fiaba, muovendo dall‟analisi comparativa di
un gruppo di fiabe di magia, nota che gli elementi costanti sono le azioni, denominate funzioni, compiute dai
personaggi, mentre gli elementi variabili sono i personaggi stessi. In ogni fiaba, secondo il nostro autore,
compaiono certe azioni, sempre identiche e in un numero limitato e con una identica successione
cronologica, anche se non tutte sono presenti in ciascuna fiaba, mentre i personaggi che le vivono, che le
compiono o le subiscono variano sia per i nomi che solitamente indicano alcune qualità personali, sia per le
loro caratteristiche e attributi, che possono essere di carattere fisico e psicologico. In tal modo Propp
1
G. RODARI, Fiabe e fantafiabe, Einaudi Ragazzi, Milano 2012.
1
distingue quelle trentuno funzioni principali che consentono un raggruppamento ulteriore in «sfere di
azione», concentrate intorno ad alcuni personaggi (precisamente sette:l‟antagonista, il donatore, l‟aiutante, la
principessa, il re, il mandante, l‟eroe e il falso eroe), che costituiscono quegli elementi che non variano mai
nella fiaba, non nel senso che ricorrono tutti contemporaneamente, ma nel senso che, quando vi
intervengono, occupano un posto specifico all‟interno della narrazione. L‟ossatura narrativa della fiaba
comprende, allora, una parte preparatoria, l‟antefatto prima dell‟intervento dei personaggi, segue poi la fiaba
vera e propria, che inizia con un danneggiamento o eventualmente una sciagura. A partire da questa
situazione iniziale di mancanza si susseguono, in un certo ordine fisso, avvenimenti, azioni che fanno
intervenire di volta in volta, l‟eroe, l‟antagonista, il falso eroe, il donatore del mezzo magico, la lotta tra
l‟eroe e l‟antagonista, vale a dire, una serie di funzioni intermedie che segnano il passaggio da questa
situazione iniziale di mancanza ad una situazione finale di scioglimento e di risoluzione della mancanza
stessa. All‟interno di questo schema compositivo -mancanza/funzioni intermedie/scioglimento e risoluzioneil racconto può svilupparsi secondo due alternative: o privilegia la «lotta» dell‟eroe con l‟antagonista o crea
una situazione in cui la lotta è sostituita da compiti difficili, imposti all‟eroe protagonista.
Il secondo, Bettelheim, ritiene che la fiaba, il sogno ad ogni aperti, possa restituire la
«comunicazione» ai bambini autistici, portandoli al di qua della «barriera di vetro».
Non più luogo di paure e di turbamenti, non più forma di regressione, la fiaba diventa la generatrice
di processi liberatori, mezzo per meglio affrontare ciò che accade «dentro», al fine di meglio comprendere se
stesso. Essa è uno strumento attraverso cui il bambino è indotto a «meditare, rielaborare e fantasticare
intorno ad adeguati elementi narrativi». Ed è la fiaba che può aprire lo «sbocco» necessario alle pressioni
inconsce, consentendo al bambino di trovare «una propria» soluzione ai problemi psichici. Le fiabe popolari,
nell‟interpretazione di Bettelheim, rilanciano la funzione conviviale della narrazione orale. Con esse
ricompare la ritualità del raccontare storie tra persone che si guardano, si toccano, si scambiano sguardi
significativi.
Le metafore contenute nella fiaba permettono al bambino di trasfigurare la realtà. I personaggi e gli
eventi delle fiabe, attraverso il ricorso al linguaggio simbolico, personificano ed illustrano conflitti interiori e
suggeriscono in modo sottile, mai manifesto, come questi conflitti possono essere risolti. Nessuna richiesta è
rivolta nella fiaba all‟ascoltatore: la fiaba lascia a lui ogni decisione e gli permette, anche, di non prenderne
alcuna.
L‟atmosfera della narrazione fiabesca è dunque ineliminabile per lo sviluppo dell‟immaginazione e
del mondo della fantasia del bambino ed essa diventa, inoltre, premessa per quella educazione al dialogo,
all‟ascolto, all‟ incontro con l‟altro.
La fiaba deve essere adeguata, naturalmente, all'età mentale del bambino; essa deve rispondere,
possibilmente, allo stato emotivo ed affettivo del soggetto. Il suo successo dipende proprio da ciò che il
bambino avverte o sente in quel momento, sì che la verità della fiaba coincida con la verità della sua
immaginazione.
Ma utilizzare il meraviglioso ed il fantastico soltanto per provocare ed osservare le reazioni emotive
ed affettive del bambino, significherebbe ridurre la funzione della fiaba. Questa deve essere assunta non
soltanto per la emozionalità che produce ma anche per ciò che sul piano razionale può significare per il
bambino, ovvero per l'uso che se ne può fare a livello metodologico e didattico.
Oltre l'incantesimo e le magie, la fiaba attiva i processi cognitivi per capire, interpretare, comunicare;
per intrecciare le emozioni con la nascente capacità di ragionare del bambino, per problematizzare le
risonanze dei personaggi, per conferire un significato alle azioni, per dipingere gli scenari, per disciplinare
l'ordine interiore.
Al di là dei significati psicanalitici, la fiaba rinnova il suo successo proprio perché interpreta meglio
le esperienze che il bambino vive.
Guidare il bambino all'analisi logica dei personaggi e delle vicende può funzionare come concorso e
soccorso dell'attività didattica, passando attraverso la drammatizzazione, la rappresentazione scenica, la
riproduzione delle immagini, l'invenzione dei costumi, la ricerca dei dettagli (analisi, sintesi e sincresi).
Smontare e rimontare, decodificare e codificare i molteplici elementi della fiaba affinano il senso
discriminatorio, sollecitano il senso estetico, adeguano i messaggi alle esigenza della morale, del buon senso,
del costume.
La specificità pedagogica risiede nell‟essere essa, fondamentalmente, narrazione, nell‟accezione che
al termine narrazione viene data da Bruner.
La narrazione è «un modo di pensare, scrive ancora Bruner, è una «struttura per organizzare la nostra
conoscenza», è il «modo più naturale per raccontare l'esperienza». «La narrazione è un discorso».
2
Non ci sono limiti alla narrazione; può essere tabulata all'infinito.
Il pensiero narrativo è complementare, non alternativo al pensiero paradigmatico o logico-scientifico
che si esprime attraverso operazioni di categorizzazione, formalizzazione e simbolizzazione, rivolto al
modello della spiegazione. Il pensiero narrativo rappresenta uno strumento della mente, capace di creare
significato e persegue il modello della comprensione.
La narrazione è la tipica modalità attraverso cui i soggetti ricercano e costruiscono significati,
all‟interno di una gamma di mondi possibili, proprio quando il lettore diventa scrittore rispondendo alle
sollecitazioni di senso contenute nel testo reale, prefigurandosi un proprio testo virtuale.
Fin qui la fiaba, ma ritorniamo al nostro interrogativo iniziale: è possibile coniugare cultura del
paralume e cultura del bit elettronico? testualità ed iconicità? Analogico e digitale?
Proprio muovendo dalla struttura narrativa (un inizio, una parte centrale ed una fine) possiamo
spingerci a trovare forti analogie, almeno sul piano morfologico, tra fiaba e videogioco: cosa sono infatti gli
enigmi, le informazioni se non le “briciole di pane” che Pollicino raccoglie lungo il sentiero? Detto in altri
termini, la morfologia della fiaba, così come viene delineata da Propp, può essere, se pur in forma molto più
semplificata, proiettata nella struttura narrativa di alcuni videogiochi, che non sono nececessariamente solo
quelli che trattano „elettronicamente‟ la testualità fiabesca. L‟analogia è fortemente percepibile se ci
riferiamo a quella tipologia di videogiochi che va sotto il nome di fiabe interattive (storie raccontate con
temi e modalità vicine a quelle tradizionali): si pensi, ad esempio, ad un titolo come Il libro di lulù, libro
multimedializzato, comprendente nella confezione il libro ed il cd-rom ove le illustrazioni si animano e le
pagine parlano in un connubio tecno-narrativo perfettamente riuscito, o si pensi al Piccolo principe ,esempio
di traduzione della narrativa in immagini interattive o ancora, la tartaruga e la lepre , esempio di living book
. Ma l‟analogia non va riferita solo a questa tipologia , ma va riferita ad un‟ampia gamma di video giochi (da
quelli di avventura a quelli di azione, ai giochi di ruolo, ai simulatori, ai giochi di strategia), che hanno in
comune quell‟ essere storie interattive : nella fiaba come nei videogiochi il protagonista si trova a risolvere
numerose difficoltà che di volta in volta la trama gli presenta; nella fiaba come nel videogioco ogni finesequenza presenta un problema di scelta al protagonista, suscitando un sentimento di attesa e di
coinvolgimento emotivo; nella fiaba come nel videogioco è ricorrente la funzione del tranello; nella fiaba
come nel videogioco si favorisce l‟atteggiamento di ricerca ,di scoperta e di analisi di dati conoscitivi .
Nei videogiochi l‟elemento della interattività aggiunge, rispetto alla fiaba, la partecipazione,
l‟intervento diretto, la collocazione soggettiva. Il videogioco proprio per le sue caratteristiche strutturali
dell‟immersione, della multimedialtà e dell‟interattività, aggiunge, rispetto alla dimensione della lettura e
dell‟ascolto della fiaba, un elemento in più: la possibilità di agire nella storia, di essere non solo davanti alla
storia, ma dentro la storia e di agire in essa, avendo la possibilità (o l‟illusione) di scegliere fra snodi narrativi
diversi.
Nel videogioco alla dimensione dell‟ascolto della storia, propria del raccontare ed alla dimensione
del vedere e dell‟ascoltare la storia, propria dei linguaggi analogici (il cartone animato), si aggiunge
l‟elemento dell‟intervenire nella storia.
Se le considerazioni finora condotte ci inducono a scorgere non solo motivi di affinità tra fiaba e
videogiochi – una simile struttura narrativa sul piano morfologico – , ma anche un apparente plusvalore del
videogioco rappresentato dalla possibilità del fare , occorre, tuttavia, evidenziare che il videogioco presenta,
rispetto alla fiaba, qualcosa in meno e in questo qualcosa in meno stanno i motivi di distanza tra questi
diversi linguaggi formativi. Questo qualcosa in meno è rappresento dalla dimensione relazionale adultobambino messa in atto dalla fiaba. Non a caso Bettelheim nel saggio Il mondo incantato, dedicato
all‟interpretazione psicoanalitica della fiaba, sottolinea come sia necessario che la fiaba sia raccontata al
bambino, piuttosto che letta dal bambino, affinché essa possa comunicare i suoi messaggi consolatori, i suoi
significati simbolici ed interpersonali, attraverso quell‟uso ricorrente di un linguaggio metaforico, non
riscontrabile, a dire il vero, nel mondo, pur ricco e variegato, dei videogiochi.
La narrazione orale costituisce una delle modalità più congeniali per la costruzione/ri-costruzione di
quella relazione empatico-circolare tanto cara a Daniel Pennac quando, nell‟opera Come un romanzo, scrive:
«Dal primo sbocciare in lui del linguaggio abbiamo incominciato a raccontargli delle storie. Era un talento
che ignoravamo di avere. Ma il suo piacere ci ispirava, la sua felicità ci dava le ali. Per lui abbiamo
moltiplicato i personaggi, concatenato gli episodi, raffinato gli accorgimenti. Come il vecchio Tolkien con i
3
suoi nipotini, gli abbiamo inventato un mondo. Al confine tra il giorno e la notte, siamo diventati il suo
romanziere […] Ricordatevi di quell‟ intimità così ineguagliabile»2.
Proprio questa dimensione affabulatoria della narrazione della fiaba non può essere proiettata nel
videogioco, che, in qualche modo, sembra perdere in termini di “magia”. E ancora , se seguiamo
l‟interpretazione psicoanalitica della fiaba, possiamo scorgere ulteriori distinzioni:se la fiaba trasfigura la
realtà, il videogioco la simula, se la fiaba attiva un‟immaginazione fortemente ermeneutica volta a scorgere
il nostro doppio -inaccessibile alla percezione altrui- nel profondo dello schermo interiore di ognuno, nel
mondo virtuale l‟immaginazione richiesta è soprattutto di natura pragmatica, che consente di entrare in
contatto con il nostro doppio percettivamente visibile a noi e agli altri.
Il fil rouge che, comunque, può legare mondo del videogioco e mondo della favola , al di là delle
differenze e delle similitudini che si è tentato di ricercare, ricorrendo ora a Bettelheim ora a Propp, appare
essere l‟elemento della narrazione.
Linguaggio della fiaba e linguaggio del videogioco possono essere considerati forme della
narrazione, forme cioè, di quel pensiero narrativo che, nelle recenti proposte pedagogiche del Bruner,
rappresenta una dimensione fondamentale nel processo di conoscenza umana.
Proviamo a considerare le proprietà del pensiero narrativo individuate da Bruner e vediamo come
esse sono presenti nel videogioco e nella favola:
-sequenzialità: nella narrazione gli eventi sono disposti in un processo temporale ed hanno una
durata (fiaba), ma il movimento temporale può anche comportare delle soste, dei salti improvvisi in avanti o
indietro (videogiochi).
-particolarità, concretezza e intenzionalità: la narrazione tratta essenzialmente di avvenimenti e
questioni specifiche riguardanti le persone ed eventi umani (fiaba e videogiochi)
-opacità referenziale: in una narrazione non si può parlare di verità o falsità, di realismo o di
immaginario, ma solo di verosimiglianza, che risulta determinata solo dalla coerenza del racconto (fiaba e
videogioco).
-componibilità ermeneutica: gli eventi che compongono una storia possono essere compresi
unicamente in rapporto al più generale contesto che li contiene (fiaba e videogiochi)
-violazione della canonicità: la narrazione affronta contemporaneamente la canonicità e
l‟eccezionalità. C‟è una fase di processualità normale nella quale gli eventi si svolgono secondo le attese, ma
avviene, ad un certo punto, una rottura in questa normalità, un imprevisto che crea una situazione di
squilibrio facendo così deviare il corso delle azioni. Il ri-componimento della normalità (quel vissero tutti
felici e contenti della fiaba) nella fiaba è dato dalla parola narrata ed ascoltata, nel videogioco è data dalle
azioni conclusive.
-incertezza: un buon racconto è caratterizzato da una certa dose di incertezza, è aperto a varianti di
lettura, si svolge secondo un livello di realtà incerto, a metà strada tra realtà ed immaginazione (fiaba e
videogioco).
Queste riflessioni ci inducono a sostenere che il videogioco (ci si riferisce, evidentemente, ai
videogiochi a sfondo narrativo, ove la coreografia del gioco è il copione della storia) si configura oggi, al
pari della fiaba, come narrazione di storie: essi, cioè, come anche i cartoni animati, hanno un carattere
narrativo, raccontano vere e proprie storie come accade nelle fiabe , favorendo il coinvolgimento e la
partecipazione emotiva.
Ma c‟è racconto e racconto.
Occorre qualcosa di più di un semplice colpo di mouse per accendere la vis di un racconto e, come
esistono brutte fiabe, esistono brutti, bruttissimi videogiochi.
C‟è in entrambi generi una partecipazione emotiva, pur tuttavia bisogna riconoscere che nella fiaba
vi è una profondità emotiva ed una carica immaginativo-produttiva delle quali, sinceramente, non si riesce a
trovar traccia nei videogiochi.
Ciò non significa che il genere fiaba debba prevalere sul genere cartoon o sul genere videogioco e
viceversa: si tratta in realtà di linguaggi ludico-formativi dell‟universo infantile, che, pur incontrandosi in
molti punti, rimangono sostanzialmente diversi.
Nella loro diversità sta il loro potere formativo.
Proprio sul terreno del formativo sono, quindi, nel loro insieme, utilizzabili, perché ognuno di essi
aggiunge, sottrae, integra qualcosa rispetto all‟altro.
2
D. PENNAC, Come un romanzo, Feltrinelli, Milano 1998, p.3.
4
E, allora, proviamo a far convivere Lara Croft e Cappuccetto Rosso, Super Mario e Pollicino,
auspicando una famiglia ed una scuola, capaci di leggere, interpretare e rispondere a tutti i bisogni e i diritti
dell‟infanzia che non sono esclusivamente quelli del consumo o del mero divertissement o del mero istruire .
Riferimenti bibliografici
ATKINS B., More than a game .the computer game as a fiction, Manchester University, New York 2003.
ATTINÀ M. (a cura di), Dalla fiaba al Videogioco. Linguaggi formativi a confronto, Edisud, Salerno 2005.
BARTOLOMEO A, CARAVITA S., Il bambino e i videogiochi, Carlo Amore ed., Roma 2004.
BATESON G., Questo è un gioco, Raffaello Cortina, Milano 1996.
BAUMGARTNER E., Il gioco dei bambini, Carocci, Milano 2002.
BERENS K.,HOWARD G., Miniguida ai Videogiochi, Wise, Milano 2002.
BERGER J.,Videogames: a popular culture phenomenon,Transaction Publisher, London 2002.
BETTETINI G., FUMAGALLI A., Quel che resta dei media, F.Angeli, Milano 1998.
BETTELHEIM B., Il mondo incantato, Feltrinelli, Milano 1988.
BRUNER J., La mente a più dimensioni, Laterza, Bari 1988.
BRUNER J., La ricerca del significato. Per una psicologia culturale, Bollati Boringhieri, Torino 1992.
BRUNER J., La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 1997.
DE KERCKHOVE D., Brainframes. Mente, tecnologia e mercato, Baskerville, Bologna 1993.
DE KERCKHOVE D., Eccoci nell’era delle psicotecnologie, intervista rilasciata da De Kerkhove a
“MediaMente”, Bologna 1998.
FERRAROTTI F., La perfezione del nulla, Laterza, Bari 1997.
FORMENTI C., Incantati dalla rete, Raffaello Cortina, Milano 2000.
FRÖBEL F., L'educazione dell'uomo e altri scritti, La Nuova Italia, Firenze 1967.
GARASSINI S., ROMANO G., Digital Kids, Raffaello Cortina, Milano 2001.
HERZ J.C., Il popolo del joystick, Feltinelli, Milano 1997.
HUIZINGA J., Homo ludens, Einaudi, Torino 1973.
KANEKLIN C.,SCARATTI G., Formazione e narrazione, Raffaello Cortina, Milano 1998.
PECCHINENDA G., Videogiochi e cultura della simulazione. La nascita dell’”homo game”, Laterza, Bari
2003.
PENNAC D., Come un romanzo, Feltrinelli, Milano 1998.
PIAN A., L’ora di internet, RCS Libri, Milano 2000.
PROPP V., Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino 1998.
QUADRIO A., MARAGLIANO R., MELAI M., Joystick .Pedagogia e videogame, Walt Disney Company,
Milano 2003.
RIVOLTELLA P. C., Costruttivismo e pragmatica della comunicazione on line, Erikson, Trento 2003.
RODARI G., Fiabe e fantafiabe, Einaudi Ragazzi, Milano 2012.
SALZANO D., Comunicazione ed educazione,Incontro di due culture, L‟isola dei ragazzi, Napoli 2000.
SARTORI G., Homo videns , Televisione e post pensiero, Laterza, Bari 1999.
TANONI I., Videogiocando s’ impara, Erikson,Trento 2003.
VARISCO B. M., Costruttivismo socio-culturale, Carocci, Roma 2002.
VARISCO B. M., MASON C., Media, computer, società e scuola. Orientamenti per la didattica in prospettiva
multimediale e cognitivista, SEI, Torino 1989.
5