Grecia e Irlanda, economie a confronto

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Transcript Grecia e Irlanda, economie a confronto

Il Sole 24 Ore Domenica 3 Gennaio 2016 ­ N. 2 4

Le vie della ripresa

L’EUROZONA A DUE VELOCITÀ

L’effetto dei piani di bailout

Atene resta in recessione mentre Dublino è riuscita a risanare i conti e le banche

Le incognite

Grecia verso un nuovo confronto con i creditori Irlanda al test elettorale tra febbraio e marzo

La Grecia prepara il braccio di ferro con l’Ue sul debito

Berlino vuole l’Fmi, Tsipras si oppone

Grecia e Irlanda, economie a confronto I BAILOUT

(salvataggi) In miliardi di euro

Grecia

6

IL PIL

Variazione %

+5,0

442

3 0 -3

-1,3

180

IL DEBITO

In% del pil

102,7

144 108 72

173,5

30

LA DISOCCUPAZIONE

In % della forza lavoro

10,6

24 18 12

23,2

-6 36 6 di

Vittorio Da Rold

A settembre, a fine campa­ gna elettorale, in Piazza Syntagma, il cuore poli­ tico della infinita crisi greca, il premier uscente, poi riconfer­ mato nelle urne, Alexis Tsipras  tentò di uscire dall’isolamento  in cui era finito a Bruxelles nella drammatica notte tra il 12 e 13 lu­ glio quando decise di cedere al­ le richieste dei creditori e accet­ tare il terzo Memorandum di ri­ forme  e  austerità  per  evitare  l’uscita  dall’eurozona,  come proposto a sorpresa dal mini­ stro  delle  Finanze  tedesco,  Wolfgang Schaeuble.

Tsipras fece la “kalotoum­ ba”, la capriola in greco, accet­ tando il terzo piano di tagli alle spese sociali e aumenti di tasse che il referendum di luglio ave­ va  clamorosamente  bocciato  con il 61% dei voti. Era il punto più drammatico toccato dalla  lunga crisi dei debiti sovrani dell’eurozona.

Quando Tsipras decise di ac­ cettare gli 86 miliardi di euro di aiuti in cambio di nuove misure di austerità i ribelli di Syriza uscirono sbattendo la porta e fondando un nuovo partito di Unità popolare che però non riuscì nemmeno a entrare in  Parlamento. In un’intervista ri­ lasciata in quei giorni al quoti­ diano Ta Nea, il premier Tsi­ pras sottolineò che l’obiettivo principale era la «formazione di un governo progressista di  sinistra che sappia rinegoziare il debito della Grecia». E ora, quattro mesi dopo, con il so­ praggiungere  della  crisi  dei profughi, del terrorismo e del referendum  sull’uscita  della Gran Bretagna dalla Ue, Atene non è più la priorità delle situa­ zioni a rischio in Europa. Ma, la tregua è solo apparente: sotto  la cenere cova ancora il proble­ ma del suo enorme debito che nel 2019 potrebbe raggiungere il 186% del Pil.  La partita di come riportare in carreggiata la Grecia è di nuovo nelle mani del Fondo monetario internazionale  che  a  gennaio  2016,  come  ha  detto  recente­ mente il suo portavoce Gerry  Rice a Washington, «sulle basi  delle  verifiche  sulle  riforme  greche approvate a quel punto  noi finalizzeremo la nostra po­ sizione dopo aver analizzato la  sostenibilità del debito».  Il Fondo monetario vuole ri­ durre il debito prima di conce­ dere nuovi prestiti (ci sono an­ cora 28 miliardi di euro di pro­ grammi di prestiti in scadenza a marzo anche se l’Fmi non ha più rilasciato soldi da giugno 2014).

Il  premier  Alexis  Tispras vorrebbe  eliminare  entro  il  prossimo marzo i controlli di  capitale sulle banche che sono ancora  in  vigore  da  giugno.  Inoltre Atene spera di riconqui­ stare la fiducia degli investitori  internazionali al punto di poter  tornare a fine 2016 sul mercato  dei capitali come ha pronosti­ cato il ministro delle Finanze  Euclid Tsakalotos che ha sosti­ tuito il sulfureo Yanis Varou­ fakis, oggi messo in naftalina.  A quel punto Atene, che è quella che ne ha più bisogno, potrebbe di nuovo essere am­ messa nel programma di ac­ quisto dei titoli pubblici della Bce,  quello  che  consente  a  Francoforte di acquistare 60  miliardi di asset al mese alme­

L’ALFA E L’OMEGA

Il caos e il lieto fine

L

a Tigre celtica, dopo  l’esplosione della bolla  immobiliare e il conseguente  dissesto bancario ha saputo  raddrizzare la barra e tornare,  anche grazie a una fiscalità  superagevolta, a celebrare la  ripresa. Dublino ha saputo  tornare in poco tempo a ritmi di  crescita cinesi. Molti dei suoi  giovani che si erano visti  costretti ad emigrare stanno  facendo ritorno a casa dove  trovano occupazione. Una storia  a lieto fine, senza dimenticare i  duri sacrifici e le cicatrici sociali  che le politiche di austerità  hanno lasciato nella vita  quotidiana degli irlandesi.  Tutta un’altra storia la  vicenda ellenica che non riesce  ancora a voltare pagina e  scacciare il fantasma della  Grexit. Ieri il governatore della  Banca centrale di Grecia, Yannis  Stournaras, ha invitato il  governo di sinistra guidato da  Alexis Tsipras ad approvare le  riforme (tra cui i tagli alle  pensioni e gli aumenti della  imposte agli agricoltori) per far  tornare la fiducia e i depositi  nelle banche appena  ristrutturate. Due storie diverse  che disegnano un’eurozona a  due velocità . Con una politica  monetaria centrale ma senza  una politica fiscale comune,  senza la quale il progetto  europeo sarà sempre zoppicante.

no fino al marzo 2017.  Anche il mercato obbligazio­ nario di Atene lancia segnali di­ stensivi: dopo aver passato un  anno  sulle  montagne  russe  i rendimenti del decennale greco sono passati da un massimo di quasi il 20% nel mese di luglio,  quando i timori di un’uscita del­ la zona euro hanno raggiunto il  culmine durante i colloqui tra il  nuovo governo a guida Syriza e i creditori internazionali, per poi precipitare al 7% un mese fa.  Ora  i  rendimenti  veleggiano  tranquilli all’8,27%, più di 100  punti base inferiori rispetto alla fine del 2014. Certo un livello an­ cora molto lontano dal rendi­ mento toccato il 30 dicembre  scorso dal Bund decennale te­ desco allo 0,64%, che pure è pas­ sato dal minimo dello 0,05% di  metà aprile al massimo dell’1%  ai primi di giugno 2015.  Alexis Tsipras, che ha vinto le elezioni per aver contrastato fieramente le richieste dei cre­ ditori, oggi sta attuando la poli­ tica del suo avversario, il con­ servatore di Nea Dimokratia, Evangelos  Meimarakis,  che aveva chiesto la fine del brac­ cio  di  ferro  con  l’Europa,  di smetterla con le politiche av­ venturiste  e  di  rispettare  gli impegni con la Ue per poter ot­ tenere  il  sospirato  taglio  del debito pubblico. A breve Tsi­ pras vuole proprio ridurre il debito, ma senza far entrare in partita  il  Fondo  monetario.

Berlino, come al solito si oppo­ ne, e chiede che l’Fmi, garante tecnico  non  sottomesso  alla politica, debba rientrare in gio­ co. Sul tema del debito si sa che sia  la  direzione  Ecofin  della Commissione  europea  sia l’European stability mechani­ sm ci stanno lavorando.  La Ue vorrebbe allungare i termini e ridurre gli interessi o  al massimo concedere periodi  di grazia, ma senza ridurre il de­ bito per evitare precedenti pe­ ricolosi. Jeroen Dijsselbloem, il presidente  dell’Eurogruppo,  aveva evocato la possibilità di porre un limite del 15% del Pil  come tetto massimo per gli one­ ri sul debito, ma il governo gre­ co lo ha bocciato ritenendolo  troppo elevato.  Anche per il 2016 i colpi di scena  non  mancheranno  ad Atene. Una partita che se la­ sciata solo in mano agli ideologi dell’austerità potrebbe spinge­ re Atene di nuovo sull’orlo del­ l’abisso e mettere in crisi l’unità dell’euro nonostante il whate­ rever it takes della Bce.

© RIPRODUZIONE RISERVATA 1° bailout 2° bailout 3° bailout

Irlanda

110 miliardi 246 miliardi 86 miliardi 67,5

-9 ’04 ’06 ’08 ’10 ’12 ’14 2016

+4,6 +4,5

6 3 0 -3 -6 Nel novembre 2010 l’accordo di bailout è stato raggiunto in seguito alla crisi delle banche irlandesi -9 ’04 ’06 Nota: dato 2015 e 2016, previsioni della Commissione Europea ’08 ’10 ’12 ’14 2016 180 0 ’04 ’06 ’08 ’10 ’12 ’14 2016

28,2 95,4

144 108 72 36 0 ’04 ’06 ’08 ’10 ’12 ’14 2016 30 0 ’04 ’06 ’08 ’10 ’12 ’14 2016

4,5 8,7

24 18 12 6 0 ’04 ’06 ’08 ’10 ’12 ’14 2016 Fonte: Eurostat

Il ritorno della Tigre celtica.

Il rilancio dell’export e della domanda interna contribuisce a ridurre il debito e la disoccupazione

E l’Irlanda cresce a ritmi cinesi

di

Michele Pignatelli

C ommerzbank  l’ha  ribat­ tezzata la Fenice che rina­ sce dalle sue ceneri. Una nuova metafora per celebrare la  ripresa sempre più convinta del­ l’Irlanda, dopo gli anni seguiti al­ l’esplosione della bolla immobi­ liare e al dissesto bancario e poi  economico  che  l’avevano  tra­ sformata da Tigre celtica in Ce­ nerentola d’Europa.  Appena cinque anni fa il Paese era costretto a chiedere aiuti in­ ternazionali per 67,5miliardi ed  entrava in un piano di salvatag­ gio triennale costato dolorosa  austerity  e  povertà  crescente;  oggi – alla vigilia di un voto che,  tra febbraio e marzo, sancirà il  giudizio degli elettori sull’ope­ rato del governo – l’Irlanda si  conferma l’economia a crescita  più rapida dell'area Ocse, a ritmi “cinesi”, sta riportando i conti  sotto controllo, ha ridimensio­ nato la disoccupazione.

I punti di forza dunque sono molti, anche se restano alcune  fragilità e qualche interrogativo  legato agli scenari globali e alla di­ rezione che prenderà la ripresa.  Nel terzo trimestre dell’anno scorso il Pil di Dublino è cresciu­ to del 7% rispetto allo stesso peri­ odo del 2014: un trend che spinge  ormai diversi analisti a prevede­ re che questa sarà la performance dell’economia per l’intero 2015,  ben oltre il +6,2% che lo stesso go­ verno aveva stimato a ottobre.  Nel 2014 l’Irlanda era cresciuta  del 5,2% e per il 2016 si prevede un incremento tra il 4 e il 5 per cento.

Sono numeri importanti, sebbe­ ne qualcuno – tra gli altri l’ex go­ vernatore della Banca centrale  Patrick Honohan – inviti a valu­ tarli con cautela, visto il peso che  su  un’economia  piccola  come  quella irlandese hanno le multi­ nazionali. E bisogna tener conto  che finora Dublino ha molto be­ neficiato dello stato di salute di 

IL NUOVO MIRACOLO

L’anno scorso il Pil irlandese è aumentato quasi del 7% approfittando della crescita dei due mercati di riferimento: Gb e Stati Uniti

Stati Uniti e Gran Bretagna, mag­ giori destinazioni del suo export Analizzando le componenti della crescita, c’è però un’im­ portante considerazione: a de­ terminarla  non  è  più  solo l’export ma anche la domanda interna.  Commerzbank  nota  che, mentre nel biennio 2011­ 2013 il surplus commerciale fa­ ceva da traino all’incremento  del Pil e la domanda interna era un freno, negli ultimi due anni c’è stata una consistente ripre­ sa dei consumi (le vendite di auto,  per  esempio,  sono  cre­ sciute l’anno scorso del 30%) e, in parte, degli investimenti. Se­ gnali di un’economia più equi­ librata, capace di reggere me­ glio gli shock esterni.

Stando agli ultimi dati del Di­ partimento delle Finanze, il defi­ cit 2015 si attesterà al 2,1% del Pil,  oltre 12 punti percentuali in meno del 2009, picco negativo della cri­ si. Il debito rimane alto (al 97%  del Pil) ma è comunque calato di  23 punti rispetto al 2012 e, soprat­ tutto, lo ha fatto molto più rapida­ mente del previsto.

I risultati ottenuti sul fronte del deficit sono frutto in primo luogo dei robusti tagli alla spesa di que­ sti anni (oltre 30 miliardi), ma an­ che del gettito fiscale superiore  alle attese, in particolare la cor­ porate tax che Dublino ha mante­ nuto al 12,5 per cento. Grazie ai  buoni risultati e all’extragettito (3 miliardi più del previsto nel 2015) il governo ha potuto varare un  budget espansivo, con un inevi­ tabile occhio alle elezioni: prima  una riduzione delle tasse, poi un  aumento della spesa. E qualcuno  ha iniziato a storcere il naso.

Il  Fiscal  Advisory  Council, l’authority indipendente istitui­ ta nel 2011 per monitorare la poli­ tica di bilancio, ha messo in guar­ dia dall’utilizzo di entrate inatte­ se per finanziare incrementi per­ manenti della spesa, una scelta –  sottolinea il Consiglio – «che rie­ cheggia errori passati e va contro i nuovi criteri di bilancio». Di al­ tro segno la critica del mondo del business, con l’Ibec, la principale associazione  imprenditoriale,  che invita piuttosto a impiegare  quelle risorse per incrementare  gli investimenti, pubblici e priva­ ti: abitazioni, strade, trasporto  pubblico, istruzione, sanità.  L’attrattività fiscale che Du­ blino ha saputo mantenere, con misure vecchie e nuove (per esempio l’istituzione di un re­ gime  fiscale  agevolato,  al 6,25%, sui ricavi da royalties),  ha permesso al Paese di restare calamita  per  gli  investimenti diretti esteri, con la conseguen­ te creazione di posti di lavoro: 136mila nel settore privato dal 2012. In questo modo anche la disoccupazione, che aveva toc­ cato il 15%, è scesa l’anno scorso al 9,5 per cento.

In un quadro ampiamente po­ sitivo come quello tratteggiato  restano tre criticità. La prima è il settore bancario. I bilanci si sono nettamente  ridimensionati  ri­ spetto  agli  anni  precedenti  il  crollo  (dall’800%  del  Pil  al  300%) e si ha la sensazione di una maggiore solidità, grazie alle fu­ sioni, che hanno portato da cin­ que a tre i principali istituti, e al­ l’introduzione di requisiti di ca­ pitale più stringenti. Resta il cre­ dit crunch: il credito a famiglie e  imprese continua a calare o non  riparte, pesando soprattutto sul­ le imprese irlandesi.  La seconda incognita è Brexit: un’uscita  della  Gran  Bretagna  dall’Ue peserebbe sulla crescita  irlandese e sul mercato del lavo­ ro. L’interscambio tra i due Paesi  ammonta oggi a circa 50 miliardi  all’anno; secondo uno studio ef­ fettuato dall’Esri, think­tank di  ricerca socioeconomica basato a Dublino,  Brexit  ridurrebbe  gli  scambi di un quinto, prima di tut­ to a causa della reintroduzione di barriere tariffarie. Le ripercus­ sioni sul Pil sarebbero inevitabili.

Quanto al mercato occupaziona­ le, il ripristino di restrizioni nella libertà di spostarsi per motivi di  lavoro in Gran Bretagna potreb­ be far salire il tasso di disoccupa­ zione (Londra ha sempre funzio­ nato da valvola di sfogo, assor­ bendo forza lavoro irlandese in  tempi di crisi) e calare i salari, di­ rottando verso l’Irlanda lavora­ tori Ue meno qualificati che oggi scelgono la Gran Bretagna.

L’ultima  incognita  sono  le elezioni politiche, da fissare tra febbraio e marzo. I partiti oggi al governo sembrano destinati a pagare il pedaggio politico dei sacrifici imposti negli anni di crisi. Anche se secondo gli ultimi sondaggi la coalizione è in ripresa (il Fine Gael, centro­ destra, al 31% e i laburisti all’8% dei consensi), rimane 16,5 pun­ ti percentuali al di sotto del ri­ sultato del 2011. Sono calati so­ prattutto i laburisti, scavalcati a sinistra dai nazionalisti del Sinn  Fein,  paladini  dell’anti­ austerity. Un cambio di mag­ gioranza  che  dovesse  inclu­ derli potrebbe rimettere in di­ scussione molte cose.  © RIPRODUZIONE RISERVATA

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