Rassegna stampa 29 dicembre 2015

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Il Piccolo 29 dicembre 2015 Trieste Il Comune paga gli ultimi “bonus bebè” A gennaio si completa il “ripescaggio” delle famiglie escluse un anno fa: gli assegni da 600 euro arriveranno in 122 case di Gianpaolo Sarti. Assegno da 600 euro per più di cento famiglie triestine. È la tranche finale del “bonus bebè” che il Comune di Trieste erogherà a gennaio per i nati nel 2014. Una tranche che completa l’operazione ripescaggio che ha visto farsi avanti, entro il 15 ottobre, 505 neomamme e neopapà. Con questo intervento, riservato ai nuclei con Isee fino a 15mila euro, finisce definitivamente in archivio il contributo regionale ora sostituito da un’altra modalità di sostegno prevista dal governo nazionale: gli 80 euro mensili per i primi tre anni di vita del bambino. La Regione, proprio per effetto del nuovo sussidio, aveva interrotto l’erogazione già nell’agosto del 2014. Poi, viste le proteste, l’aveva ripristinato per l’ultima volta. Nelle prossime settimane, quindi, il Comune liquiderà le ultime domande ancora in lista di attesa: 383 sono già state soddisfatte nel corso dell’anno per complessivi 235 mila euro, ma ne restano 122. Gli importi variano a seconda del numero di bimbi partoriti: i 600 euro possono cioé raddoppiare in caso di gemelli. «Andiamo a coprire chi ancora mancava» conferma l’assessore comunale alle Politiche sociali Laura Famulari. E aggiunge: «Adesso il provvedimento è nazionale e a un carattere più universalistico perché si impegna a sostenere le famiglie per tre anni. Una fase importante e delicata della vita di un bambino e dei genitori». Quest’anno si chiude anche la “bebè card” da 300 euro, introdotta provvisoriamente dal municipio grazie a un intervento in Consiglio comunale del capogruppo di Trieste Popolare Paolo Rovis, fatto proprio dalla giunta. Il Comune, a questo proposito, ha stanziato a bilancio 36 mila euro. Un’iniziativa mirata a sostenere mamme e papà con bimbi nati nel 2014 (anche adottati), come ricorda lo stesso Rovis, proprio per sopperire al blocco del contributo regionale. Sono 50 le famiglie triestine che si sono fatte avanti: 46 richieste sono state accolte, 4 respinte per mancanza di requisiti. La tessera è stata rilasciata a partire dal primo dicembre ai genitori con Isee sotto i 20mila euro. Semplice il sistema: le famiglie dovevano recarsi in una delle due farmacie comunali cittadine, la “Cedro” di piazza Oberdan 2 e “Al Cammello” di Viale XX Settembre 6, compilare un modulo scaricabile anche online nel sito del municipio e consegnarlo in una delle due sedi autorizzate. Nel giro di qualche giorno è stato possibile ritirare la tessera del valore di 300 euro. Una somma con cui acquistare quanto necessario per un bimbo di pochi mesi: cremine, sapone per i bagnetti e pannolini, ad esempio, ma anche medicinali come la Tachipirina. Esclusi, invece, i farmaci da ricetta così come i prodotti che non si trovano tra le abituali forniture. La card, una volta esaurita, dà comunque il diritto di accumulare punti per ulteriori compere successive. Da “Tessera bebè”, quindi, si trasforma in “Carta fedeltà” per sconti su altri articoli in esposizione. L’unica regola, per il cittadino, è continuare a recarsi nella stessa farmacia in cui ha fatto il primo acquisto. Pianeta scienza Come curare il fegato grasso A Trieste un innovativo progetto coordinato dal professor Tiribelli di Simona Regina. Si chiama «Silimet» ed è il progetto coordinato dalla Fondazione Italiana Fegato per testare l'efficacia della silibina per la cura del fegato grasso. «È un farmaco nutraceutico dalle proprietà antiossidanti. Vogliamo verificare in modo scientificamente corretto se sia utile anche in caso di steatosi epatica non alcolica: se riesce cioè a eliminare o almeno a ridurre i grassi in eccesso» spiega il direttore scientifico della Fondazione, Claudio Tiribelli. La steatosi è dovuta infatti a un accumulo di grasso nelle cellule epatiche: ecco 1 perché è comunemente nota come fegato grasso. Negli ultimi vent’anni ha raggiunto proporzioni epidemiche, anche tra i più giovani, e oggi è la patologia cronica del fegato più frequente nel mondo occidentale. «È infatti una tipica malattia del benessere, figlia degli eccessi a tavola e della carenza di attività fisica, che non fa distinzioni di età: può colpire chiunque mangi troppo e consumi poco, a causa di uno stile di vita sedentario». In Italia si stima che ne sia affetto circa il 15% dei bambini, ma si arriva fino all'80% tra i bambini obesi. E come gli adulti, anche i più piccoli affetti da steatosi epatica non alcolica possono presentare danni metabolici, quali ipertensione, insulino-­‐resistenza, colesterolo alto: condizioni che aumentano il rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2 o malattie cardiovascolari. All'insorgenza della malattia concorrono «una serie di fattori, legati in parte alla genetica e in parte al comportamento alimentare e alla sedentarietà. Primo fra tutti l’obesità» puntualizza Tiribelli, che dirige anche la Clinica Patologie del Fegato all’Ospedale di Cattinara. «Di fatto – aggiunge -­‐ la steatosi è generalmente asintomatica e per la diagnosi è necessaria l’ecografia. Ma i chili di troppo accumulati in particolare a livello addominale possono essere un campanello d'allarme». Per mettere a dieta il fegato, si punta su una sana e corretta alimentazione e sulla regolare attività fisica, per tenere sotto controllo le calorie assunte e consumate. «Inoltre, ai pazienti con conclamata riduzione della sensibilità all’insulina si prescrivono anche farmaci ipoglicemizzanti». Il progetto «Silimet», partito ormai da un anno, coinvolge 49 centri epatologici italiani e si concluderà entro la prossima estate. «Stiamo conducendo esperimenti in laboratorio e abbiamo arruolato circa 150 pazienti per testare se, rispetto alla terapia basata su dieta normocalorica ed esercizio fisico, il farmaco nutraceutico contribuisce ulteriormente e più velocemente a ridurre la steatosi». Intanto uno studio pubblicato sulla rivista «Hepatology» dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma (con cui la Fondazione Italiana Fegato collabora per studiare e curare la steatosi epatica) ha evidenziato che i bambini con steatosi associata a un'infiammazione del fegato corrono un rischio di cirrosi epatica e di sindrome metabolica del 30% superiore alla media. «La precoce identificazione dei bambini con questo quadro clinico ci permetterà di iniziare quanto prima una terapia mirata a ottenere l’arresto della progressione del danno epatico e, se precocemente iniziata, la guarigione completa del fegato» spiega Valerio Nobili, responsabile di malattie epato-­‐metaboliche del Bambino Gesù. Prioni sintetici tutti prodotti in serie Sulla rivista Plos Pathogens i risultati delle prove di laboratorio effettuate a Trieste A volte per comprendere davvero qualcosa è utile saperlo ricostruire da zero. Succede anche per i prioni: il Laboratorio di Biologia dei Prioni della Sissa di Trieste, in collaborazione con l’istituto Besta di Milano, ha assemblato in laboratorio dei prioni artificiali, mettendo a punto un metodo per sintetizzarli in serie. Le prove di laboratorio hanno mostrato che i prioni sintetici si comportano come quelli biologici e i risultati verranno pubblicati nei prossimi giorni sulla rivista Plos Pathogens, una delle più autorevoli del settore. «Ci aiuteranno a comprendere con precisione i meccanismi con cui i prioni provocano malattie come la mucca pazza, o la malattia di Creutzfeldt-­‐Jakob». La Sissa, in collaborazione con l’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, ha stabilito le condizioni ideali in laboratorio per produrre prioni sintetici -­‐ funzionanti come quelli biologici -­‐ in maniera ripetitiva. «È la prima volta che si riesce a fare una cosa del genere, e le conseguenze a livello della ricerca sono importanti». I prioni sintetici prodotti in serie permettono di controllare con maggiore precisione la loro azione patogena negli esperimenti, spiega ancora Giuseppe Legname, il coordinatore della studio dove si spiegano la tecnica e i risultati di laboratorio. Lavorare con i prioni “naturali” infatti non è così semplice: «sono complessi e molto eterogenei», spiega Legname, e sono spesso un po’ complicati da usare. «Avendoli costruiti noi, invece, quelli sintetici sono molto più controllabili, omogenei e strutturalmente definiti, e ciononostante hanno le stesse 2 conseguenze di quelli biologici. Il nostro fine ultimo, naturalmente è quello di individuare quali meccanismi possono bloccare l’effetto patogeno, per sviluppare terapie contro queste malattie». Nel lavoro Legname e colleghi hanno sintetizzato prioni di topo, e hanno verificato il loro effetto nel provocare la malattia, che è risultato comparabile a quello dei prioni naturali. «Quando li abbiamo “caratterizzati”, abbiamo inoltre osservato che sono molto simili a quelli della “mucca pazza” e della variante di Creutzfeldt-­‐Jakob, la forma umana della malattia». «Questa nostra linea di ricerca naturalmente è già in evoluzione. Lavoreremo infatti anche sui prioni umani, e abbiamo anche altri progetti», spiega lo scienziato. Legname si riferisce alle ipotesi, sempre più solide scientificamente, che alla base della maggior parte delle malattie neurodegenerative vi siano molecole con meccanismi simili a quelli dei prioni. «Stiamo pensando alle molecole che provocano l’Alzheimer, come la beta-­‐amiloide, o il Parkinson, o anche la sclerosi amiotrofica laterale. Anche in questi casi avere a disposizione molecole sintetiche potrebbe essere un passo avanti importante». Gorizia Sorto un Comitato in difesa della Cardiologia a Gorizia L’organismo ritiene controproducente creare due mini-­‐reparti, nel capoluogo e a Monfalcone Inoltre la permanenza del servizio in città è vista come contropartita alla perdita del Punto nascita di Francesco Fain. E ora è nato anche un comitato: il “Comitato del buon senso per la salute cardiologica dell’Isontino tutto”. Si batte per un reparto di Cardiologia vero, evitando che nascano due minicardiologie negli ospedali di Gorizia e di Monfalcone, come denunciato recentemente dal sindaco del capoluogo provinciale Ettore Romoli. Il ragionamento che viene fatto è molto semplice: il Punto nascita di Monfalcone è diventato l’unico reparto materno-­‐
infantile della provincia dopo la chiusura del reparto a Gorizia. Perché non si può fare la scelta inversa (privilegiare cioé Gorizia) per la Cardiologia? «La scelta di raccogliere i cardiologi di Gorizia e Monfalcone a Gorizia come polo di riferimento dell’Isontino-­‐Bassa friulana è resa necessaria -­‐ afferma Romoli -­‐ dai seguenti motivi: il reparto di Cardiologia di Gorizia è una realtà più nuova, più attrezzata, con più letti monitorati e con esecuzione di procedure più raffinate conme ad esempio la resincronizzazione cardiaca e gli esami come la risonanaza magnetica cardiaca anche in portatori di pacemaker. Gorizia, poi, è una località più lontana dal centro Hub di Trieste cui afferiscono e fanno riferimento utenti dal Collio, dal Cormonese, da Palmanova e Villesse. Sviluppare Cardiologia nel capoluogo isontino significherebbe evitare questi spostamenti. La presenza di un maggior numero di professionisti cardiologi a Gorizia consentirebbe una miglior gestione degli scompensi cardiaci: patologia che impegna principalmente le attuali degenze cardiologiche internistiche con inoltre la possibilità di creazione di ambienti dedicati allo scompenso cardiaco, presenza di cardiologo in guardia attiva 24 ore su 24 ore, una gestione ordinata di impianti pacemaker-­‐defibrillatori e di resincronizzazioni cardiache con personale abilitato e opportunamente preparato, una gestione dei pazienti cardioperati a Trieste con letti di riabilitazione cardiologica in regime di ricovero in sicurezza monitorato». «Ora, infatti, vi è solo la realtà convenzionata di Pineta del Carso e la notte -­‐ aggiunge Romoli -­‐ non vi è un cardiologo e non vi è un monitoraggio telemetrico: la garanzia che comunque la cura intensiva cardiologica fatta dallo specialista risulta sempre superiore rispetto a quella del medico dell’emergenza formato per fornire prestazioni più grossolane». E al San Polo cosa resterebbe? Il Comitato, di cui fa parte il consigliere comunale di Sel Livio Bianchini, non ha dubbi. «All’ospedale di Monfalcone si garantirebbe comunque la presenza cardiologica diurna 8-­‐16 per visite urgenti, visite ambulatoriali, test ergometrici, ecografie e consulenze pre-­‐operatorie. Tali proposte -­‐ rimarca il Comitato -­‐ nascono dal convincimento che ostinarsi a garantire due minicardiologie a 3 estinzione a favore delle aree d’emergenza come da qualcuno del mandamento monfalconese ostinatamente voluto per mero campanilismo fine a se stesso non giovi a nessuno». Messaggero Veneto 29 dicembre 2015 Udine Diagnosi pre-­‐impianto: prima gravidanza in Friuli L’embrione di una coppia portatrice di fibrosi cistica analizzato a Oxford Il trattamento alla Casa di cura dove altri due coniugi attendono il responso di Alessandra Ceschia. Prima gravidanza ottenuta con un embrione sottoposto a diagnosi pre-­‐
impianto in regione. Per una coppia di friulani, che presto diventeranno genitori, il desiderio più grande, quello di avere un figlio, sembrava un traguardo irraggiungibile da quando avevano scoperto di essere portatori sani di fibrosi cistica, una grave malattia genetica. Chi nasce affetto da questa patologia ha ereditato un gene difettoso dal padre e dalla madre, portatori sani del gene Cftr mutato. In Italia c’è un portatore sano ogni 25 persone circa e una coppia di portatori sani, a ogni gravidanza, ha una probabilità su quattro di avere un figlio malato. Di fronte a questa possibilità, molte coppie rinunciano a diventare genitori, altre scelgono di rischiare e di attendere il responso della diagnosi prenatale per prendere una decisione. E quando il feto risulta malato, non è infrequente che le coppie decidano di interrompere la gravidanza, una scelta sempre dolorosa. Fino al maggio scorso la legge 40 vietava alle coppie fertili con patologie genetiche il ricorso alla procreazione medicalmente assistita. Poi, la Consulta ha dichiarato illegittima la norma che prevedeva il divieto di accedere alla diagnosi pre-­‐impianto e vietava l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita alle coppie fertili portatrici di patologie genetiche trasmissibili ai figli. Per il Friuli Venezia Giulia e parte del Veneto, l’unico centro attrezzato per le tecniche di indagine sulla salute dell’embrione, ora, è il Servizio di Procreazione medicalmente assistita della Casa di cura Città di Udine, dove già due coppie si sono sottoposte a un ciclo di fecondazione in vitro, alla diagnosi pre-­‐impianto sull’embrione e quindi all’impianto di un embrione sano in utero. In uno dei due casi il test di gravidanza ha già dato esito positivo. La Casa di cura Città di Udine, clinica privata accreditata al Servizio sanitario nazionale e certificata per la Pma dal Centro nazionale trapianti, del resto, ha recentemente rafforzato il proprio servizio di Pma (diretto dal dottor Renzo Poli, medico specialista ginecologo) sviluppando le tecniche di indagine sull’embrione coordinate dalla dottoressa Veronica Bianchi (specialista in genetica con un post-­‐doc a Yale) insieme all’équipe di biologhe (Magli e Furlan) in collaborazione con l’Università di Oxford con la quale la struttura ha stipulato un’importante convenzione. La competenza maturata in tale ambito ha consentito di effettuare, sempre sugli stessi embrioni, anche lo screening genetico pre-­‐impianto, una procedura che permette di ricercare eventuali anomalie cromosomiche (con stessa tecnica utilizzata per l’amniocentesi e la villocentesi a gravidanza iniziata), che possono ostacolare l’attecchimento provocando con aborti precoci, o che rischiano di sviluppare anomalie non compatibili con la vita. Procedure queste che aumentano considerevolmente le percentuali di successo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Tecnicamente, le due coppie sono state sottoposte a un normale ciclo di fecondazione in vitro; sugli embrioni ottenuti, in terza giornata, è stata effettuata una biopsia. I campioni prelevati sono stati inviati all’Università di Oxford, dove sono state condotte le indagini genetiche, quindi è arrivata la comunicazione dell’esito alla clinica udinese. Gli embrioni, intanto, sono stati mantenuti in coltura in incubatore, così da giungere allo stadio di blastocisti e assicurare maggiori probabilità di attecchimento; il prelievo cellulare, infatti, non altera, né danneggia il prodotto del concepimento. A due giorni dal prelievo della cellula da analizzare è arrivato il referto da Oxford, pertanto gli embrioni che non presentavano la patologia sono stati trasferiti nell’utero delle pazienti, dal dottor Renzo 4 Poli e dalla dottoressa Bianchi. «Le tecniche di indagine sulla salute dell’embrione sono fondamentali – commenta la dottoressa Bianchi – non solo per migliorare gli indici di successo dei percorsi di Pma in casi di ripetuti aborti, di età materna avanzata, oppure ancora in caso di ripetuti fallimenti di cicli di Pma, ma anche per consentire di avere figli sani alle coppie fertili, ma a rischio di trasmettere patologie ereditarie, evitando la necessità di sottoporsi a procedure invasive a gravidanza avviata». «Oltre alle più sofisticate tecniche come quelle illustrate -­‐ informa la direzione della struttura –, il Servizio attivo al Policlinico di Viale Venezia, accreditato al Servizio sanitario nazionale, garantisce alle coppie con problemi di sterilità le varie possibilità, in un’ottica di gradualità degli approcci: dalle semplici inseminazioni su ciclo naturale, alle fecondazioni in provetta, anche nei casi di grave sterilità maschile». Dal “gelo” la speranza di dare vita Aumenta la crioconservazione fra i pazienti che hanno problemi di salute Sono diverse centinaia le coppie, provenienti da tutta la regione, ma anche dal Veneto, che in questi mesi si sono rivolte al servizio di Procreazione medicalmente assistita della Casa di cura città di Udine per le varie attività erogate, dal primo consulto fino alle pratiche di diagnostica su embrione da seguito di fecondazione in vitro. Per quanto riguarda la crioconservazione di spermatozoi e ovociti per pazienti che si debbono sottoporre a procedure medico-­‐chirurgiche, dalla chemioterapia alla radioterapia, fino a determinati interventi con alto rischio di sterilità o di salute dei gameti, vi sono attualmente tre campioni di liquido seminale e una paziente in attesa di iniziare il ciclo per produrre e conservare i propri ovociti. Dopo un periodo di riconfigurazione organizzativa, dovuta anche alla necessità di erogare le varie prestazioni solo in regime ambulatoriale e non più in day hospital l’attività dell’istituto è ripartita con un ritmo consistente. «Va segnalato – puntualizza la dottoressa Veronica Bianchi, responsabile del laboratorio – che l’età materna delle donne che hanno effettuato uno o più tentativi di Pma si sta alzando, rendendo un po’ più difficile la probabilità di gravidanza. Una delle novità più importanti – aggiunge – è il potenziamento delle possibilità offerte anche alle coppie fertili, ma portatrici di malattie genetiche, di accedere alla diagnosi su embrione grazie alla collaborazione che la Casa di cura ha formalizzato con Reprogenetics, emanazione specialistica dell’Università di Oxford, che è in grado di assicurare il referto in 36 ore, e quindi di assicurare tempistiche compatibili con le procedure che portano l’embrione allo stadio di blastocisti, per aumentare le chance di gravidanza.(a.c.) Primo piano Friuli Dal Friuli una nuova strategia per curare le lesioni spinali Il sangiorgino Francesco Dose nel team di ricercatori coordinato da Giuliano Taccola Ha spiegato su “Nature” il progetto che aiuterà chi è paralizzato a stare in piedi di Francesca Artico. SAN GIORGIO DI NOGARO. Dal Friuli una nuova strategia per curare le lesioni spinali. Un gruppo di scienziati coordinati da Giuliano Taccola, ricercatore della Sissa (Scuola internazionale superiore di studi avanzati), ha infatti messo a punto un metodo di stimolazione epidurale che può produrre una locomozione nelle persone affette da paralisi spinale. Il primo autore dello studio è Francesco Dose (nella foto), sangiorgino originario di Chiarisacco, giovane dottorando della Sissa che sta portando avanti la ricerca in collaborazione con il laboratorio Spinal dell’Istituto di medicina e riabilitazione del Gervasutta di Udine e con l’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio. Qualche settimana fa ha pubblicato un articolo sulla rivista scientifica “Spinal Cord” di “Nature”, in cui spiegava il futuro di questa ricerca. Francesco ha 32 anni. Dopo essersi diplomato all’Istituto tecnico agrario, la svolta: passa a studiare biologia e lavora a Trieste nella biologia molecolare, scoprendo quella che è la sua vera strada, la ricerca. Il progetto che sta portando avanti adesso consiste nell’impianto 5 di elettrodi in prossimità delle radici dei nervi dorsali del midollo spinale al di sotto del livello del trauma e nell’applicazione di stimoli elettrici di varia intensità e frequenza. Questa tecnica, che produce o facilita la produzione di una schema di attivazioni nei nervi motori si auspica possa aiutare le persone paralizzate a stare in piedi in equilibrio. E proprio sulla natura e la qualità del segnale elettrico che viene erogato dagli elettrodi che si concentra il lavoro di Francesco Dose e degli altri ricercatori: «Sapere come funziona questo circuito -­‐ spiega Francesco -­‐ ci permetterà di migliorare la riabilitazioni tecniche utilizzate su persone che hanno subito una lesione del midollo spinale. Questa ricerca mi ha dato grande soddisfazione e mi ha dato la possibilità di pubblicare quattro articoli su riviste scientifiche internazionali e un articolo in realtà è in fase di revisione». Ma cos’è per lui la ricerca? «Penso -­‐ risponde -­‐ che essere un ricercatore significhi essere curiosi e creativi: avere il bisogno di fare molte domande per ottenere delle risposte e imparare e scoprire cose nuove. A mio parere, l’Italia produce ricercatori altamente qualificati. Tuttavia, vi è un problema di investimenti e fondi e spesso i ricercatori devono sopravvivere con pochi mezzi. Questo è il mio ultimo anno come studente di dottorato, conto di conseguirlo entro ottobre 2016, quindi il mio obiettivo principale per il prossimo futuro è quello di concludere il mio progetto di ricerca e scrivere la tesi. Alla fine di questo corso, voglio provare un?esperienza internazionale come ricercatore post-­‐doc». Per Francesco la ricerca è parte del nostro futuro, ogni passo avanti fatto fino ad oggi, sia in medicina sia ingegneria, e così via, è il risultato della ricerca. In merito alla sua esperienza alla Sissa, sottolinea che, essendo una scuola internazionale frequentata da studenti di tutto il mondo, permette il confronto, un confronto che si sviluppa ulteriormente in occasione del congresso internazionale che si svolge ogni anno, ma anche nelle collaborazioni che si svolgono tra i laboratori. Ribadisce infine che con l’organizzazione di corsi e seminari di ricerca la Sissa è una delle migliori scuole di dottorato in Italia. Gemona Revelant (Ar): mai bilanci in rosso nell’Ass3 Alto Friuli GEMONA. «Il primo dato che dovrebbe far riflettere è che da tempo in alto Friuli il bilancio della sanità era, e questo anche negli ultimi anni, sempre stato positivo generando degli utili. Ora emergono invece le criticità di un’azienda sanitaria che comprende la montagna friulana arrivando fino al codroipese, una disomogeneità territoriale che porterà, e lo sta già facendo, da una parte disservizi e dall’altra un aumento di costi». Il consigliere regionale Roberto Revelant (Ar) interviene all’indomani della pubblicazione, da parte del Messaggero Veneto, dei dati riguardanti i bilanci della sanità regionale, in base ai quali l’Azienda sanitaria 3 Alto Friuli -­‐ Collinare -­‐ Medio Friuli risulta registrare il maggiore “rosso”. Revelant osserva che, prima della fusione con altri territori, l’azienda sanitaria alto Friuli non aveva mai generato perdite di bilancio bensì avanzi, e dunque risparmi. «I conti continuano -­‐ dice Revelant -­‐ a lievitare incessantemente con un’incidenza sempre più pesante sul bilancio regionale, viste le minori entrate rispetto ad alcuni anni fa. A fronte di questa continua crescita della spesa avevamo predisposto un ordine del giorno in sede di bilancio perché venisse nominato all’interno della direzione regionale competente in materia di salute un soggetto responsabile della spending review per il comparto sanitario» « In sanità, alla quale vengono destinati oltre 2 miliardi di euro, ciò non avviene, anzi per cercare di far funzionare una riforma che fa acqua da tutte le parti ora si annuncia un maxibonus da 45 milioni di euro per il prossimo triennio da destinare ai medici di famiglia». (p.c.) 6 A San Daniele un centro per il diabete infantile A inizio anno sarà sottoscritta una convenzione con il Burlo Garofolo di Trieste Alla struttura faranno riferimento i piccoli pazienti di tutta l’area a nord di Udine di Anna Casasola. SAN DANIELE. Il Sant’Antonio punto di riferimento per il diabete infantile. Il prossimo anno sarà sottoscritta una convenzione con l’ospedale di riferimento per l’infanzia della nostra regione, il Burlo Garofolo di Trieste, affinché il reparto di pediatria del nosocomio sandanielese diventi centro specializzato per questa patologia per tutta l’area a nord di Udine. Un obiettivo ambizioso ma facilmente raggiungibile dall’ospedale di San Daniele stante il fatto che nel reparto per i più piccoli esiste già una “task force” specializzata in questa patologia. «Il 9 dicembre scorso – spiega Luca Lattuada, direttore sanitario dell’Azienda per l’assistenza sanitaria 3 “Alto Friuli – Collinare – Medio Friuli” – abbiamo fatto un incontro con i primari di pediatria di Tolmezzo e San Daniele, Tiziano Basso e Bruno Sacher, il direttore generale Pier Paolo Benetollo, per mettere i ferri in acqua per poter sottoscrivere agli inizi del 2016 una convenzione con il Burlo di Trieste. La bozza di progetto prevede la costituzione di un pool del quale faccia parte il punto di riferimento del Sant’Antonio del diabete infantile ovvero il dottor Alberto Comici, un esperto designato dall’ospedale pediatrico triestino e un giovane pediatra del reparto sandanielese». Fondamentale per Lattuada far partecipare al progetto un “giovane” pediatra al fine di poter garantire una sorta di continuità futura al progetto. Anche nel reparto di pediatria di San Daniele si registra un aumento di questa patologia: dei quasi 40 casi attualmente seguiti tra i 3 e i 18 anni, ben 7 sono stati i nuovi esordi nel 2014. San Daniele è l’unico ospedale di rete a poter applicare ai piccoli pazienti il diffusore di insulina. Gli altri centri abilitati per questa operazione sono la clinica pediatrica dell’Ospedale di Udine, il Burlo di Trieste e l’ospedale di Pordenone. Una patologia quella del diabete dai costi elevati per il sistema sanitario, costi che vengono moderati dalla buona volontà delle persone. I medici che seguono i bimbi affetti da questa patologia come il dottor Comici garantiscono una reperibilità 24 ore su 24 alle famiglie dei malati senza alcun tipo di riconoscimento economico. Lo scorso anno, l’equipe di Comici ha potuto beneficiare della donazione da parte dell’Associazione friulana delle famiglie diabetici di Udine di cui fa parte “Sugar free”, l’associazione composta da genitori di bambini e ragazzi affetti da diabete di tipo 1 (insulino-­‐dipedente), di una nuova strumentazione tecnica in grado di fotografare l’emoglobina glicata del sangue del bambino dalla mini puntura effettuata sul dito di una mano in soli sette minuti. La novità Per gli adulti sarà creato un ambulatorio specialistico a Gemona «Tutte le convenzioni vengono rinnovate entro la fine dell’anno. E questo vale ovviamente anche per i medici che si occupano di pazienti diabetici». Per molti l’affermazione del dottor Luca Lattuada, direttore sanitario dell’Aas 3 “Alto Friuli – Collinare – Medio Friuli è quasi scontata, non per i pazienti seguiti dal reparto di diabetologia che, come è già capitato, non hanno potuto ricevere il consueto appuntamento successivo a quello effettuato nelle ultime settimane. «Ovviamente – spiega Lattuada – a essere rinnovata sarà anche la convenzione con il professor Roberto Da Ros in forze all’azienda 2 Isontina». Alcuni pazienti affetti da diabete avevano lamentato nelle ultime settimane di non avere certezze per quanto riguarda l’assistenza futura: a spaventare di più il fatto che, hanno fatto sapere alcuni di loro, «l’efficientissimo staff in servizio è tutto provvisorio». Per Lattuada non c’è motivo di allarmarsi visto che le convenzioni saranno tutte riconfermate. Il 2016 per chi abita a nord di Udine e soffre di diabete sarà un anno di importanti novità: «è prevista – anticipa Lattuada -­‐ la creazione nell’ospedale di Gemona di un centro specialistico». (a.c.) 7 Il Piano sanitario spacca i sindaci della Bassa friulana Al vertice dell’Aas dovevano fornire un parere consultivo Latisana ha votato “no” , favorevole invece Palmanova di Vincenzo Compagnone. GORIZIA. Era solo consultivo e non vincolante, il parere che la conferenza dei sindaci dei comuni gravitanti nell’orbita dell’Ass Bassa Friulana-­‐Isontina doveva formulare ieri sera nei riguardi del Pal (Piano attuativo locale) del 2016. Ma è comunque significativo il fatto che, a differenza di un anno fa, quando l’analogo documento passò all’unanimità, si sia aperto ieri sera un battagliero fronte del “no” capeggiato dai sindaci di Gorizia, Romoli, e di Latisana, Benigno. A decretare il pollice verso, alla fine della di una discussione in certi momenti piuttosto accesa, che era cominciata due settimane fa con l’illustrazione del Piano da parte del direttore generale dell’Ass, Pilati, oltre a Romoli e Benigno sono stati i sindaci (o loro delegati) dei comuni di Fogliano, Carlino, Lignano, Marano, Palazzolo, Precenicco, Ronchis, Visco e Rivignano: 11 in tutto. Astenuto il sindaco di Aiello, 24 sono stati invece i pareri favorevoli, con in testa quelli dei sindaci di Palmanova, Francesco Martines, e di Monfalcone, Silvia Altran. Alcuni comuni non sono intervenuti oppure i loro rappresentanti hanno lasciato l’aula dell’ospedale di Gorizia prima del voto. Un voto che logicamente la risentito dell’appartenenza politica: altrimenti non si potrebbe spiegare come per Romoli e Benigno i rispettivi ospedali unici su due sedi (Gorizia-­‐Monfalcone da una parte, Palmanova-­‐Latisana dall’altra) siano stati “martoriati” dalla programmazione regionale, mentre di diverso avviso si sono detti Martines e Altran. Forse il principale motivo della contestazione lo ha riassunto in termini molto semplici il sindaco di Precenicco De Nicolò: «Se lo scopo della riforma è quello di dirottare le risorse dagli ospedali al territorio, prima si realizzino i servizi territoriali, e poi si proceda con accorpamenti ed eliminazioni di strutture ospedaliere». Qualcosa, si potrebbe dire, di molto “basagliano”. Per Latisana ovviamente sul “no” ha giocato l’agonia del Punto nascita: «In Regione è stata istituita proprio ieri – ci ha detto a microfoni spenti il dg Pilati – una commissione per valutare le emergenze, e per quel che ci riguarda stiamo facendo i salti mortali per garantire il servizio con i pediatri a gettone fintantoché la Regione stessa non prenderà una decisione su quale reparto chiudere fra Latisana e Palmanova (entro il 31 gennaio). Per ora siamo coperti fino al 3 gennaio». «Ci è stato promesso un piano delle urgenze-­‐emergenze pediatriche a compensazione della chiusura annunciata del Punto nascita – è sbottato Benigno – ma come si fa ad attuarlo se mancano i pediatri? Finchè non viene fatta chiarezza su questo Piano, il reparto non deve essere chiuso». Lunga la lista delle lamentele sciorinata da Romoli per Gorizia (e Monfalcone): «Ben 12 strutture sono state tagliate o accorpate, ci sarà un’unica Cardiologia, un’Oncologia e una Chirurgia, la Nefrologia e dialisi farà capo a Palmanova, sono spariti il laboratorio di analisi e l’anatomia patologica. Il tutto mentre vengono mantenuti ben 4 primariati di psichiatria». S. Vito Nuovo ospedale, scontro politico sui 3 milioni ancora da trovare San Vito, la giunta regionale boccia l’ordine del giorno di Luca Ciriani sulla copertura entro il 2016 Gregoris: «La somma necessaria per completare la ristrutturazione sarà reperita a tempo debito» di Andrea Sartori. SAN VITO. Si apre una nuova disputa politica, sull’ospedale di San Vito, che riguarda il finanziamento di 3 milioni di euro necessari a completare l’intervento, attualmente in corso, della ristrutturazione del corpo A, che altrimenti rimarrebbe monca. Di fatto, i fondi attualmente non ci sono. Il consigliere regionale Luca Ciriani (Fratelli d’Italia-­‐An) si è visto respingere dalla giunta Serracchiani un ordine del giorno che puntava a un impegno concreto già nel 2016. Ma, dalla maggioranza in consiglio regionale, Gino Gregoris (Cittadini) riferisce 8 di averne parlato con l’assessore regionale alla Salute, Maria Sandra Telesca, che avrebbe rassicurato che i 3 milioni arriveranno a tempo debito. Ciriani innanzitutto rimarca che i 9,3 milioni di euro necessari ai lavori in corso nel corpo A «furono stanziati dalla precedente giunta di centrodestra». Si sta adeguando la struttura con innovative torri dissipative con funzione antisismica, 80 posti letto su tre piani, laboratori ai piani terra e rialzato. Fine lavori prevista il 21 dicembre 2016. Ma sono necessari altri 3 milioni di euro, per ora non stanziati, per altre torri dissipative e, soprattutto, per ultimare i piani terra e rialzato del corpo A, che altrimenti resterebbero allo stato grezzo (fatta eccezione per il nuovo centro prelievi, i cui lavori prenderanno il via a giorni). «La giunta attuale – continua Ciriani – deve semplicemente garantire la restante copertura di 3 milioni di euro, inserendo il finanziamento tra le priorità di investimento. Trovo sorprendente e irragionevole che la giunta Fvg abbia bocciato, durante la votazione della Finanziaria, un odg di cui ero primo firmatario insieme ad altri colleghi della provincia. Chiedeva l’inserimento di questo investimento tra le priorità del 2016, posto che la giunta ha istituito un fondo di rotazione proprio per l’edilizia ospedaliera. Evidentemente, prevale un’opposizione cieca anche nei confronti di proposte costruttive e ragionevoli per il territorio». Ma per l’ex sindaco di San Vito, Gino Gregoris, che non ha sottoscritto l’odg, si trattava di «un tranello politico. In ogni caso ne ho parlato con l’assessore Telesca – riferisce –, che ha confermato che questo tipo di investimenti vanno richiesti e programmati dall’Azienda sanitaria e ha garantito che i fondi verranno trovati. Insomma, il finanziamento ci sarà, ma non è detto che sia necessario nel 2016, quando probabilmente non potrà essere speso. Si può prevedere, dunque, che i 3 milioni saranno finanziati ed effettivamente utilizzati nel 2017, una volta conclusa l’attuale fase di cantiere». Di recente anche il direttore generale dell’Aas 5, Paolo Bordon, si era detto fiducioso del finanziamento, auspicato anche dal sindaco Antonio Di Bisceglie. Dieci semplici consigli per prevenire malattie e vivere un sereno 2016 Il decalogo di Umberto Tirelli: prima di tutto stop al fumo Tutte le “anomalie” che inducono a rivolgersi al medico Un 2016 all’insegna della salute e del benessere. È l’auspicio di tutti, per tutti. Qualche buona regola permette, quantomeno, di non favorire o accelerare l’insorgere di patologie. Ecco un catalogo della salute, stilato dal professor Umberto Tirelli, primario del Cro di Aviano. Non fumare. Il fumo provoca più decessi di alcol, Aids, droghe, incidenti stradali, omicidi e suicidi messi insieme. L’organizzazione mondiale della sanità stima che il consumo di tabacco uccida attualmente quasi 6 milioni di persone ogni anno. Se sei giovanissimo, sappi che se comincerai a fumare avrai almeno dieci anni di vita in meno davanti a te; se fumi smetti immediatamente, non è mai troppo tardi, a tutte le età. Se non ce la fai, considera le sigarette elettroniche, sicuramente meno cancerogene delle tradizionali per la mancanza di combustione di tabacco e carta. Ricorda che anche il fumo passivo è cancerogeno. Tutte le droghe fanno male. Non esistono droghe leggere. Non abusare dell’alcol. Un bicchiere di vino al giorno ai pasti può essere anche salutare, ma no all’abuso dell’alcol; non bere mai fuori dai pasti, se non in circostanze particolari. Attenzione all’alcol e ai superalcolici nei giovani e nei giovanissimi. No quando ci si appresta a guidare. Mantieni il giusto peso. E osserva una corretta alimentazione. Recentemente l’Oms ha confermato il legame tra tumori e consumo troppo frequente e in grande quantità di carni rosse e lavorate. La carne va mangiata con moderazione ed accompagnata a verdura, legumi e frutta, senza dimenticare la pasta. La dieta mediterranea è la migliore ricetta per la nostra salute. Ricordiamoci di fare ricorso all’attività fisica, se si è giovani facendo sport anche amatoriali e frequentando una palestra, altrimenti una camminata a passo veloce di mezzora a giorni alterni può essere sufficiente. In viaggio sii prudente. Non aver bevuto in precedenza, moderare la velocità, non usare il telefonino (evitando anche se possibile vivavoce e auricolare) controllare le gomme e i freni, ed essere 9 comunque cortesi con gli altri automobilisti e rispettosi di pedoni e ciclisti sono norme da seguire. Quando si esce in compagnia, adottare il sistema che chi guida non beve (a turno, ovviamente). Andare in moto e in bicicletta, ma anche a piedi, comporta vantaggi e anche rischi ben conosciuti. Auto a casa, se possibile. Contribuisci a diminuire l’inquinamento, che è stato definitivamente considerato cancerogeno dall’Oms e che è dovuto soprattutto ai gas di scarico delle macchine, lasciando il più possibile l’auto a casa, camminando o andando in bicicletta. Medicina predittiva. La medicina predittiva rappresenta sicuramente la più diretta conseguenza della nostra conoscenza del genoma umano ed è un modello che si applica fondamentalmente ad individui sani e il suo scopo non è la guarigione, come per la classica medicina curativa, quanto la scoperta di alterazioni genetiche, a livello del nostro dna, la cui identificazione può essere utile per identificare i soggetti a rischio per tumore. Fatti visitare se... Se riscontri anomalie persistenti -­‐ quali tosse insistente, voce alterata, difficoltà a respirare, cuore che batte irregolarmente e frequentemente, febbricola, calo di peso inspiegato, sanguinamento inspiegato a livello della bocca o delle vie genitali o del retto, noduli della pelle come nei che cambiano colore o che sanguinano o che fanno solo prurito: vai dal tuo medico di fiducia. Screening e test genetici. A seconda dell’età, procedi agli screening per la diagnosi precoce dell’utero, della mammella, del colon retto, della prostata. Se hai parenti stretti (genitori, figli, fratelli) che hanno sviluppato tumori della mammella, colon retto e prostata, sussiste un aumentato rischio di sviluppare questi tumori e potrebbe essere necessario adottare indagini di screening più precoci e più sofisticati, compreso il genotest oncologico, per la valutazione del dna ed eventuali alterazioni che predispongono ai tumori. Rischio cardiovascolare. Controlla, tra gli altri, pressione arteriosa e colesterolo, e segui le indicazioni dei punti precedenti. Malattie che si trasmettono sessualmente e influenza. Le malattie sessualmente trasmesse non sono assolutamente scomparse ma, anzi, sono in aumento. Adotta, in base ai tuoi principi etici e religiosi, uno dei seguenti provvedimenti: astinenza (valida anche e soprattutto per i giovanissimi), relazioni stabili e fedeli con un partner che faccia altrettanto, o l’impiego del preservativo. Partecipa ai programmi di vaccinazione contro l’epatite B e l’Hpv, che possono fare scomparire o ridurre significativamente l’epatocarcinoma, i tumori del collo dell’utero, dell’ano e della tonsilla. Partecipa anche ai programmi di vaccinazione contro l’influenza se sei nei seguenti gruppi: età oltre i 65 anni, malattie croniche e lavori a rischio, come medici e infermieri. Lo specialista in oncologia che scoprì la Cfs Il professor Umberto Tirelli è direttore del dipartimento di oncologia medica, primario della divisione di oncologia medica A al Centro di riferimento oncologico di Aviano, nonché direttore del dipartimento di oncologia medica dell’area vasta pordenonese. È specialista in oncologia, ematologia e malattie infettive. Vincitore del premio Piercamillo Beccaria 2009 di Modena per la ricerca sul cancro, risulta primo nella classifica dei professori ordinari, dei direttori e dei primari, per quanto riguarda la produzione scientifica e biomedica relativa alle università e agli Irccs del Nordest. È autore, ad agosto 2015, di 808 pubblicazioni scientifiche edite sulle principali riviste mediche, di cui 567 pubblicazioni recensite su Medline. Il rapporto tra ambiente e salute è un suo principale interesse. Ha descritto per la prima volta nel 1990 la sindrome da stanchezza cronica (Cfs). Docente di oncologia medica al dottorato in chirurgia alla Sapienza di Roma, è membro di molti comitati tecnico-­‐scientifici di varie realtà italiane e di altrettante associazioni riferite alle problematiche oncologiche. 10