UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL MOLISE

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Transcript UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL MOLISE

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE
DIPARTIMENTO DI BIOLOGIA
E
UNIVERSITÀ ITALO-FRANCESE
DOTTORATO DI RICERCA IN BIOLOGIA
XX CICLO
(AA.AA. 2004-2007)
DIVERSITÀ FLORISTICA E FUNZIONALE DELLA VEGETAZIONE
DUNALE COSTIERA DELL’ITALIA CENTRALE E DELLA FRANCIA
SUD-OCCIDENTALE
DOCENTE GUIDA:
PROF.SSA ALICIA T.R. ACOSTA
CORRELATORE ESTERNO:
PROF. RICHARD MICHALET
DOTTORANDA:
DOTT.SSA CARMELA FRANCESCA
IZZI
A papà, mamma, Emidio,
.....e Antonio
Dalla Sinfonia n.6 “Pastorale”, op.68
Come sarò felice di poter camminare tra cespugli, foreste, alberi, erbe, rocce; non c’è
nessuno che possa amare la natura come me. Le foreste, gli alberi, le rocce danno
veramente quella risonanza che è desiderata dall’uomo.....”
(L. van Beethoven)
PREMESSA
Gli studi sulla biodiversità sono molto attuali essendo essa fortemente minacciata da diversi
fattori collegati direttamente o indirettamente all’attività antropica.
La perdita della diversità biologica ha interessato in modo particolare gli ecosistemi costieri
sabbiosi che rivestono su scala mondiale una grande importanza ambientale economica,
culturale e ricreativa. La biodiversità delle zone costiere è unica ed è un patrimonio che deve
essere conservato, tutelato e protetto dal costante degrado a cui è soggetto.
Per questo, lo scopo del mio progetto di ricerca è stato quello di analizzare la diversità
biologica di questi ecosistemi, considerando la componente vegetale nei suoi diversi aspetti.
Lo studio, infatti, è stato attuato mediante due diversi approcci uno “species-based”, basato
quindi sull’analisi della flora a livello di specie e comunità e, in particolare, della loro
ricchezza e composizione; e l’altro, invece, “functional types-based” che analizza i caratteri
morfologici funzionali e le strategie delle specie dunali, permettendoci di esaminare anche il
funzionamento di questi particolari ecosistemi. Entrambi gli approcci possono essere utili ai
fini conservativi e di gestione rappresentando un importante punto di partenza per qualsiasi
progettazione degli ambienti costieri. Tale studio ha posto, poi, in particolare rilievo la
problematica relativa all’invasività degli ambienti costieri da parte di specie esotiche.
La ricerca ha interessato due diverse aree costiere, una mediterranea (coste dell’Italia
centrale) e un’altra atlantica (costa aquitana del Sud-Ovest della Francia). Lo studio
dell’ecosistema costiero atlantico è stato realizzato grazie alla borsa di mobilità per tesi in cotutela finanziata dall’Università Italo – Francese nell’ambito del Programma Vinci 2005; parte
della ricerca, quindi, è stata effettuata in collaborazione con il Prof. R. Michalet e il
laboratorio BIOGECO ”BIOdiversité, Gènes et ECOsystèmes”- UMR INRA 1202, Equipe
Ecologie des Communautés dell’Università di Bordeaux 1.
ABSTRACTS
RIASSUNTO
DIVERSITÀ FLORISTICA E FUNZIONALE DELLA VEGETAZIONE DUNALE COSTIERA DELL’ITALIA
CENTRALE E DELLA FRANCIA SUD-OCCIDENTALE
Introduzione e finalità
Le profonde alterazioni della diversità del pianeta provocate, sia a livello locale sia globale,
dalle attività antropiche, determinano importanti conseguenze sugli ecosistemi terrestri e
marini. In particolare, fenomeni di perdita della biodiversità hanno interessato gli ambienti
dunali, particolarmente vulnerabili e per questo, ricchi di specie rare e spesso gravemente
minacciate. Gli effetti dell’antropizzazione diretta delle spiagge e delle dune costiere hanno
portato non solo alla diminuzione ed estinzione locale di specie, ma anche alla diffusione di
elementi esotici. Per questo analizzare la diversità floristica e funzionale è di fondamentale
importanza ai fini della conservazione e pianificazione ambientale.
Questo progetto di ricerca si è posto tre obiettivi principali:
1. analizzare la diversità floristica e cenologica degli ambienti costieri sabbiosi dell’Italia
centrale;
2. approfondire quali sono i meccanismi biologici ed ecologici (diversità funzionale) che
influenzano le invasioni delle piante esotiche negli ecosistemi dunali mediterranei;
3. confronto tra le comunità vegetali dei sistemi dunali mediterranei della costa italiana
del Lazio con quelli atlantici della Francia Sud-Occidentale e analisi delle strategie delle
specie dunali dei due sistemi attraverso lo studio dei caratteri morfologico funzionali
(plant traits) e dei tipi funzionali (PFT).
Metodi e principali risultati
1) Analisi floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
Il censimento floristico è stato realizzato seguendo il protocollo della cartografia floristica
europea e considerando, come unità di base, l’Unità Geografica Operazionale (OGU). Il
censimento ha riguardato le dune oloceniche costiere di tre regioni dell’Italia centrale,
rappresentative del litorale adriatico e di quello tirrenico: Lazio, Abruzzo e Molise. Lo studio
ha interessato 72 quadranti e ha rilevato la presenza di un’elevata ricchezza di specie. Sono
state censite, infatti, 820 specie, di cui 67 esotiche e 67 specie a rischio che rientrano in una
delle categorie IUCN. Per quanto riguarda la componente esotica, è stata riscontrata una
maggiore percentuale di aliene provenienti dall’America tropicale e dal continente africano
sulle coste tirreniche, mentre una maggiore percentuale di esotiche provenienti dall’America
extra-tropicale e dall’Asia sulle coste adriatiche; è stata quindi ipotizzata un’influenza
climatica sulla distribuzione differenziale delle specie esotiche, supportata dalle
caratteristiche più termofile delle aliene legate al versante tirrenico. Infatti, le specie del
genere Carpobrotus (originario del Sud Africa) e Agave americana (originaria del Messico) sono
i
le principali specie invasive delle coste tirreniche; mentre Oenothera biennis e Ambrosia
coronopifolia (entrambe originarie del Nord America) sono più frequenti lungo le coste
adriatiche. Le specie del genere Erigeron (ex. Conyza) sono presenti in entrambi i litorali
costieri. Le liste delle piante esotiche e native sono state archiviate in una banca dati,
corredata di diverse informazioni come la distribuzione geografica, le caratteristiche
ambientali e la biologia della specie.
2) Analisi dei caratteri morfologico-funzionali delle specie esotiche e native
In una prima fase, è stata realizzata una selezione di piante vascolari native ed esotiche, per
le quali individuare i principali caratteri morfologici funzionali. Sono state selezionate 41
specie più comuni ed abbondanti: 27 native e 14 esotiche. In seguito sono stati selezionati i
caratteri morfologico-funzionali più predittivi in relazione all’invasività delle specie esotiche,
per un numero complessivo di 16 variabili. Si è così ottenuta una matrice che è stata
elaborata mediante tecniche di analisi multivariata. Sono stati individuati 3 gruppi funzionali
che comprendono: le annuali; le perenni avandunali e le perenni del retroduna. Le esotiche
sono presenti in tutti i gruppi, quindi esse presentano sia le strategie delle specie annuali che
quelle delle perenni e sempreverdi. Dai confronti statistici non sono emerse differenze
significative tra le esotiche e le native per i gruppi delle perenni, ma solo per quello delle
specie annuali, in particolare per quelle che popolano la duna di transizione dove le esotiche
fioriscono più tardivamente e sono più sviluppate in altezza.
3) Analisi floristico-vegetazionale e funzionale del sistema dunale mediterraneo ed
atlantico
La terza fase del progetto ha visto un confronto della diversità floristica-vegetazionale e
funzionale tra il sistema dunale mediterraneo della costa laziale e quello atlantico della costa
aquitana della Francia Sud-Occidentale nell’ambito della co-tutela di tesi (Programma Vinci
2005). Lo studio floristico-vegetazionale è stato effettuato sulla base di 365 rilievi
fitosociologici di bibliografia delle due aree. L’analisi statistica ha mostrato una somiglianza
floristica a livello di comunità nell’avanduna, ma una forte diversità delle comunità
retrodunali. Si è osservata inoltre una maggiore presenza di elementi endemici sulla costa
atlantica rispetto a quella mediterranea. Per quanto riguarda lo studio della diversità
funzionale, sono stati selezionati, anche in questo caso, i caratteri più strettamente collegati
alle strategie delle specie dunali e le specie native più tipiche ed abbondanti dei due sistemi
dunali. Dallo studio dei plant traits delle specie dunali lungo i gradienti dei due ecosistemi
costieri è emersa una certa somiglianza funzionale nell’avanduna, dove le condizioni
ambientali legate alla salinità, ai venti e all’incoerenza del substrato è tipica per entrambi gli
ecosistemi, mentre è stata osservata una forte differenza nel retroduna dove differenti fattori
locali spiegano il diverso comportamento morfologico-funzionale delle specie.
ii
ABSTRACT
FLORISTIC AND FUNCTIONAL DIVERSITY OF COASTAL DUNE VEGETAZION ON
CENTRAL ITALY AND SOUTH -WESTERN FRANCE
Introduction and aims
Humans have extensively altered the biological diversity of the Earth, both locally and
globally, inducing major consequences on terrestrial and marine ecosystems. In particular,
loss of diversity has interested coastal dune ecosystems, which are vulnerable and especially
rich in rare and threatened species. Direct human activities on beaches and coastal dunes
have not only caused the decline and extinction of local species, but also increased rates of
species invasion. Therefore, analysing floristic and functional diversity becomes a priority in
order to preserve and manage these ecosystems.
This research project had three main goals:
1. To analyse floristic and cenologic diversity of coastal dunes in Central Italy;
2. To investigate, with a functional diversity approach, which biological and ecological
mechanisms influence the invasion of Mediterranean coastal dunes by alien plants;
3. To compare plant communities between Mediterranean (Lazio region, Italy) and
Atlantic (Aquitaine region, France) coastal dune ecosystems and to analyse strategies of dune
species in both systems through morphological-functional traits and functional types (PFT)
approaches.
Methods and main results
1) Floristic analysis of coastal sand dunes in Central Italy
The floristic sampling was carried out following the European Cartographic Project
protocol with the Operational Geographic Unit as sampling unit. Sampling was carried out
on Holocene coastal dunes of three Central Italian regions on both the Tyrrhenian and the
Adriatic coasts: Lazio, Abruzzo and Molise. This study considered 72 plots and highlighted
significant values of species richness. A total of 820 vascular plant species were sampled,
including 67 aliens and 67 threatened species in IUCN categories. With regard to alien
species, we found significantly higher rates of aliens coming from Tropical America and
Africa on the Tyrrhenian coast, but a greater number of aliens coming from Asia and Extra
Tropical America on the Adriatic coast; we hypothesize that the coastal flora (including
native and alien species) is influenced by climatic factors, in particular, by the warmer
conditions on the Tyrrhenian coast with respect to the Adriatic one. In fact, Carpobrotus spp.
(from the Cape Region of South Africa) and Agave americana (from Mexico), the most
common invasive aliens along the Tyrrhenian coast, are quite rare on the Adriatic. On the
other hand, Oenothera biennis and Ambrosia coronopifolia (from Extra Tropical North America)
are the most common invasive aliens on and are restricted to the Adriatic coast. The genus
Erigeron (ex. Conyza) is present along both coasts. Lists of native and alien species were
stored in a database including information about the environmental characteristics, the
geographic distribution and the biology of the species.
iii
2) Analysis of morphologic-functional traits of alien and native species
First, we selected native and alien plants whose main morphological and functional traits
we analysed. The most common and abundant 41 species were selected: 27 native and 14
alien species. We then chose 16 morphological and functional traits that are strongly
predictive of invasion by aliens. A multivariate analysis was applied to the species by traits
matrix. Three functional groups were identified: annuals, foredune and back-dune
perennials. All functional groups contain alien species, which therefore share with native
species both annual and perennial strategies.
No significant differences between native and alien plants were observed for perennial
functional groups, but only for the group of annuals, particularly for those growing on the
transition dune, where alien species flower later and are taller.
3) Floristic-cenologic and functional analysis of Mediterranean and Atlantic coastal dune
systems
In the third phase of the research a comparison of the floristic-cenologic and functional
diversity between the Mediterranean coastal dunes of Lazio and the Atlantic coastal dunes
of the Aquitaine region in South Western France was carried out, in the context of the VinciProgramme 2005.
The floristic and vegetational study was carried out on the basis of 365 phytosociologic
relevès, obtained from the literature, of the two areas. Statistical analysis showed a similarity
in communities of the foredune and a strong difference for backdune communities of the two
coastal dune systems. A good presence of endemics was observed for Atlantic coastal dunes
compared to Mediterranean ones. With regard to the study of functional diversity, we again
selected those characters that are strongly indicative of dune species adaptations and we
selected the most common and abundant entities of the communities of each ecosystem. The
analysis of plant traits of the species along the beach-inland gradient of each ecosystem
showed that similarity of plant traits between the two systems is higher on the foredune,
which are particularly harsh and dynamic environments. On the other hand, in the more
interior zones, traits of species are quite different in the communities of the two compared
dune systems, because of different local factors.
iv
SOMMARIE
DIVERSITE FLORISTIQUE ET FONCTIONNELLE DE LA VEGETATION DES DUNES
LITTORALES DU CENTRE DE L’ITALIE ET DU SUD-OUEST DE LA FRANCE
Introduction et objectifs
L’homme a profondément altéré la diversité biologique sur Terre et a induit à toutes les
échelles des bouleversements et des changements majeurs dans les écosystèmes terrestres et
marins. Les écosystèmes dunaires côtiers, qui sont des milieux vulnérables et également
riches en espèces rares et menacées, sont particulièrement touchés par la perte de la
diversité. L’impact direct des activités humaines sur les plages et littorales dunaires, n’ont
pas seulement causé un déclin et une extinction des espèces locales, mais ont aussi permis
aux espèces invasives de se développer dans ce milieu. L’analyse de la diversité floristique et
fonctionnelle s’avère donc être une priorité pour comprendre et ainsi mieux préserver et
gérer cet écosystème. Trois principaux objectifs émergent de ce travail de recherche :
1. analyser la diversité floristique et coenologique des dunes littorales du centre de l’Italie ;
2. analyser la diversité fonctionnelle des dunes littorales méditerranéennes et comparer les
traits fonctionnels et morphologiques des espèces natives et exotiques du littoral dunaire ;
3. comparer les communautés végétales dunaires du littoral méditerranéen (Région de
Lazio, Italie) avec celles du littoral atlantique (Région Aquitaine, France) et analyser les
stratégies des espèces dunaires de ces deux systèmes grâce à une approche basée sur l’études
des traits fonctionnels et morphologiques des plantes ainsi que sur les types fonctionnels
(PFT).
Méthodes et principaux résultats
1) Analyse floristique des dunes littorales du Centre de l’Italie
L’échantillonnage floristique a été réalisé suivant le protocole établi par le projet européen
de cartographie ayant pour unité d’échantillonnage l’unité opérationnelle géographique. Les
dunes étudiées sont des dunes littorales datant de l’holocène. Elles sont localisées dans 3
régions de l’Italie du centre (Lazio, Abruzzo et Molise) et intègrent à la fois des dunes de la
côte Tyrrhénienne et de la côte Adriatique. Dans cette étude, 72 parcelles ont été
échantillonnées et ont permis de souligner la forte richesse floristique de ces dunes. Au total,
820 espèces vasculaires ont été répertoriées parmi lesquelles 67 espèces exotiques et 69
espèces menacées selon l’IUCN (Union internationale pour la conservation de la nature).
Concernant les espèces exotiques retrouvées sur la côte Tyrrhénienne, un grand nombre de
ces espèces étaient originaires de l’Amérique du Sud et de l’Afrique tandis que sur la côte
Adriatique un grand nombre de ces espèces provenaient d’Asie ou d’Amérique du Nord.
Nous avons donc émis l’hypothèse que la flore du littoral (native et exotiques) était
fortement dépendante des facteurs climatiques avec notamment des conditions plus douces
sur la côte Tyrrhénienne que sur la côte Adriatique. L’étude de nos relevés a mis en évidence
que Carpobrotus spp. (Espèce originaire du Cap en Afrique du Sud) et Agave americana
(originaire du Mexique), étaient les espèces exotiques et invasives les plus communes le long
de la côte Tyrrhénienne mais peu présentes sur la côte Adriatique. A l’inverse, Oenothera
v
biennis et Ambrosia coronopifolia (originaire d’Amérique du Nord) étaient les espèces invasives
et exotiques les plus communes sur la côte Adriatique et pratiquement exclusive de cette
côte. Le genre Erigeron (ex. Conyza) a quant à lui été retrouvé sur les deux côtes. La liste des
espèces natives et exotiques issues de nos relevés ainsi que les données complémentaires
acquises au court de ce travail (caractéristiques de l’habitat, distribution géographique des
espèces, biologie des espèces) ont permis d’enrichir les banques de données existantes.
2) Analyse des traits morphologiques et fonctionnels des espèces natives et exotiques
Dans un premier temps, nous avons sélectionné des espèces natives et exotiques et étudiés
leurs principaux caractères morphologiques et fonctionnels. Cette étude a concernée 41
espèces les plus abondantes et communes, comprenant 27 espèces natives et 14 espèces
exotiques. Nous avons ensuite choisi 16 traits morphologiques et fonctionnels étant
fortement indicateurs d’invasion par les espèces exotiques. Une analyse multivariée a été
réalisée sur la matrice espèce-traits. Trois groupes fonctionnels ont été identifiés : des
annuelles, des espèces de dunes embryonnaires et des espèces pérennes d’arrière dunes. Les
espèces exotiques étaient présentes dans les 3 précédents groupes fonctionnels tandis que les
espèces natives étaient seulement présentes au sein des groupes à stratégie annuelle et
stratégie pérenne. Aucune différence significative de traits entre les espèces natives et
invasives n’a été observée au sein du groupe constitué d’espèces pérennes. Les seules
différences entre espèces natives et exotiques ont été observées au sein du groupe des
annuelles, et en particulier pour les espèces de dunes de transition, parmi lesquelles les
espèces exotiques se caractérisaient par une floraison tardive et par un port plus élevé.
3) Analyse floristique-coenologique et fonctionnelle des dunes littorales méditerranéenne
et atlantiques.
Dans la troisième partie de ce projet, et dans le cadre d’une bourse du programme Vinci
2005, une comparaison des traits floristique-coenologiques et fonctionnels a été réalisé entre
les dunes littorales méditerranéennes de la région de Lazio en Italie et celles d’Atlantique en
Région Aquitaine (sud ouest de la France). Les données floristiques de ces deux régions,
obtenues à partir de la littérature, ont permis de travailler sur 365 relevés
phytosociologiques. Les analyses statistiques de ces relevés ont révélé de fortes similitudes
dans la composition des communautés de dune embryonnaires, mais aussi de fortes
divergences au niveau des arrières dunes entre ces deux régions. Un grand nombre
d’espèces endémiques a été observé pour les dunes Atlantiques en comparaison avec les
dunes méditerranéennes. Concernant l’étude de la diversité fonctionnelle, nous avons choisi
des traits permettant de renseigner sur les adaptations des espèces et nous avons sélectionné
les espèces les plus abondantes dans les 2 systèmes (dont des espèces communes aux deux
systèmes). L’analyse des traits de ces espèces le long du gradient dunaire depuis la mer vers
les terres, a montré que les dunes embryonnaires où le filtre environnemental était
particulièrement sévère, étaient les dunes les plus similaires entre les deux systèmes. A
l’inverse, les communautés situées en arrières dunes montraient une forte différence de traits
ente les 2 systèmes en raison des facteurs environnementaux régionaux différents.
vi
INDICE
PREMESSA
ABSTRACTS ................................................................................................................... i
PARTE 1: QUADRO INTRODUTTIVO E OBIETTIVI GENERALI ........................ 1
1. BIODIVERSITÀ: CONCETTI E PROBLEMATICHE ............................................................................... 2
1.1 Definizioni ......................................................................................................................................... 2
1.2 Problematiche e previsioni… .......................................................................................................... 3
2. LA BIODIVERSITÀ E IL FUNZIONAMENTO DEGLI ECOSISTEMI: IL CONCETTO DI DIVERSITÀ
FUNZIONALE ............................................................................................................................................ 8
2.1 Diversità specifica e diversità funzionale....................................................................................... 8
2.2 Il concetto di diversità funzionale ................................................................................................ 10
2.3 Misure della diversità funzionale .................................................................................................. 11
2.3.1 Plant traits e Plant Functional Types ............................................................................................... 12
2.3.2 La ricchezza specifica e la ricchezza funzionale................................................................................. 16
2.3.3 Diversità funzionale: misure proposte e loro problematiche ................................................................. 18
2.3.4 La diversità funzionale in campo vegetale e sue applicazioni .............................................................. 20
3. HABITAT MINACCIATI: GLI AMBIENTI DUNALI COSTIERI............................................................. 22
3.1 I sistemi costieri sabbiosi ............................................................................................................... 22
3.2 Vegetazione psammofila e sue caratteristiche ............................................................................ 24
3.3 Le fitocenosi dunali e la loro importanza .................................................................................... 28
3.4 Vulnerabilità degli ambienti dunali ............................................................................................... 30
3.5 Gli effetti dell'antropizzazione sulle fitocenosi costiere ............................................................ 32
4. SPECIE ESOTICHE: UNA MINACCIA ALLA BIODIVERSITÀ .............................................................. 33
4.1 Le introduzioni di specie esotiche ................................................................................................ 33
4.2 Conseguenze delle introduzione di specie esotiche .................................................................. 35
4.3 La problematica delle specie esotiche in Europa e in Italia ..................................................... 38
4.4 Le specie esotiche nel Mediterraneo ........................................................................................... 39
4.5 Le specie esotiche negli ambienti dunali costieri ....................................................................... 40
5. OBIETTIVI GENERALI DELLA RICERCA ......................................................................................... 41
PARTE 2: ANALISI DELLA DIVERSITA' FLORISTICA DELLE COSTE
SABBIOSE DELL'ITALIA CENTRALE ..................................................................... 44
1. AMBIENTI DUNALI DELLE COSTE ITALIANE .................................................................................. 45
1.1 Ambienti dunali dell'Italia: stato e minacce ................................................................................. 45
1.2 Stato delle conoscenze floristico-vegetazionali degli ambienti dunali in Italia….................. 47
2. OBIETTIVI........................................................................................................................................... 48
3. AREA DI STUDIO ................................................................................................................................ 50
3.1 Il versante tirrenico: la costa laziale .............................................................................................. 50
3.2 Il versante adriatico: la costa abruzzese e molisana ................................................................... 52
3.2.1 Il litorale abruzzese .......................................................................................................................... 53
3.2.2 Il litorale molisano ............................................................................................................................ 54
3.3 La classificazione gerarchica delle coste dell'Italia centrale ...................................................... 56
3.4 Zonazione della vegetazione costiera........................................................................................... 57
3.5 Fenomeni erosivi e stato di conservazione ................................................................................. 61
4. MATERIALI E METODI....................................................................................................................... 63
4.1 Il censimento floristico .................................................................................................................. 63
4.2 Analisi dei dati ................................................................................................................................. 65
4.2.1 Lo spettro delle famiglie tassonomiche ................................................................................................ 66
I
4.2.2 Lo spettro biologico ........................................................................................................................... 66
4.2.3 Lo spettro corologico .......................................................................................................................... 68
4.2.4 Le specie esotiche e la loro classificazione............................................................................................ 70
4.2.5 Confronto tra i due versanti e analisi della ricchezza native/esotiche ................................................... 76
5. RISULTATI ........................................................................................................................................... 78
5.1 Risultati del censimento floristico complessivo.......................................................................... 78
5.2 Specie esotiche dell coste sabbiose dell'Italia centrale ............................................................... 83
5.2.1 Distribuzione di alcune specie esotiche lungo le coste tirreniche ed adriatiche ........................................ 88
5.3 Specie rare e vulnerabili delle coste sabbiose dell'Italia centrale .............................................. 91
5.3.1 Distribuzione di alcune specie a rischio lungo le coste tirreniche e adriatiche ........................................ 93
5.4 Confronto floristico tra versanti costieri: il tirrenico e l'adriatico ........................................... 96
5.4.1 La flora complessiva ........................................................................................................................ 96
5.4.2 La componente esotica ...................................................................................................................... 98
5.5 Relazione tra la ricchezza delle specie native ed quella delle specie esotiche ......................100
6. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI .......................................................................................................103
PARTE 3: ANALISI DELLA DIVERSITA' FUNZIONALE DELLE SPECIE
NATIVE ED ESOTICHE DELLE COSTE SABBIOSE DELL'ITALIA
CENTRALE ................................................................................................................ 108
1. LA DIVERSITÀ FUNZIONALE E GLI AMBIENTI DUNALI ...............................................................109
2. DIVERSITÀ FUNZIONALE E INVASIVITÀ DELLE SPECIE ESOTICHE ...........................................110
2.1 Gli aspetti generali delle invasioni biologiche...........................................................................110
2.2 Caratteristiche delle specie invasive ...........................................................................................112
2.3 Caratteristiche degli ambienti suscettibili all'invasione ............................................................114
3. OBIETTIVI.........................................................................................................................................115
4. MATERIALI E MEDODI ...................................................................................................................116
4.1 Selezione delle specie native ed esotiche ...................................................................................116
4.2 Selezione dei caratteri morfologico-funzionali (plant traits) ..................................................118
4.3 Breve descrizione dei caratteri morfologico-funzionali esaminati .........................................122
4.4 Analisi dei dati ...............................................................................................................................133
5. RISULTATI .........................................................................................................................................138
5.1 Quali e quanti Plant Functional Types (o gruppi funzionali) caratterizzano gli ambienti
dunali dell'Italia centrale? ...................................................................................................................138
5.2 Quali sono le differenze in termini di plant traits tra i gruppi funzionali? ...........................143
5.3 Le specie esotiche dimostrano strategie distinte dalla componente nativa? Ci sono PFTs
delle specie esotiche? ..........................................................................................................................145
5.4 Quali sono le differenze in termini di plant traits tra le specie native ed esotiche? e tra le
native e le esotiche invasive? .............................................................................................................147
5.5 Quali sono le principali differenze in termini di plant traits tra le specie esotiche non
invasive e quelle invasive? ..................................................................................................................148
5.6 Si possono individuare delle differenze a livello di plant traits all'interno di ciascun PFT
tra le native e le esotiche?...................................................................................................................148
5.7 Si possono individuare delle differenze a livello di plant traits lungo il gradiente mareterra, per le specie di avanduna, di duna di transizione e di duna fissa? .....................................154
6. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI........................................................................................................156
6.1 La diversità funzionale degli ambienti dunali costieri dell'Italia centrale ..............................156
6.2 Gruppi funzionali e specie esotiche ...........................................................................................157
6.3 Esistono dei caratteri tipici delle specie esotiche o associati all'invasività? ..........................159
PARTE 4. FLORISTIC AND FUNCTIONAL ANALYSIS OF ATLANTIC AND
MEDITERRANEAN COASTAL DUNE SYSTEMS ................................................. 165
1. INTRODUCTION ...............................................................................................................................166
1.1 Coastal dunes: stress and disturbance ........................................................................................166
II
1.2 Coastal dunes: sea-inland gradient..............................................................................................167
1.3 Coastal dunes: taxonomic and functional diversity..................................................................169
2. AIMS ..................................................................................................................................................173
3. STUDY AREAS ...................................................................................................................................174
3.1 Mediterranean coastal dune area.................................................................................................175
3.2 Atlantic coastal dune area ............................................................................................................177
3.3 Coastal zonation ............................................................................................................................179
3.4 …Something else about Atlantic coastal dunes ......................................................................181
PARTE A. TAXONOMICAL DIVERSITY: FLORISTIC & VEGETATIONAL ANALYSIS............183
4. MATERIALS AND METHODS...........................................................................................................184
5. RESULTS AND DISCUSSIONS ...........................................................................................................185
5.1 Analysis of community types ......................................................................................................185
5.1.1 Atlantic coastal dunes.....................................................................................................................185
5.1.2 Mediterranean coastal dunes ...........................................................................................................189
5.2 Comparison between Mediterranean and Atlantic coastal communities..............................192
5.2.1 Upper beach community ("haute de plage") .....................................................................................192
5.2.2 Embryodune communities ("dune embryonnaire") ............................................................................197
5.2.3 Mobile dune communities("dunes mobile or dunes blanche").............................................................202
5.2.4 Transition dune communities ("dune de transition" or "dune semi-fixée) ..........................................206
5.2.5 Fixed dunes communities ("dune fixée")..........................................................................................211
5.3 Total floristic comparison between Mediterranean and Atlantic coastal dunes ..................216
5.3.1 Species richness ...............................................................................................................................216
5.3.2 Phytogeographical differences ............................................................................................................217
5.3.3 Comparing the whole vegetation zonation .........................................................................................221
5.3.4 Something about rare and endemic Atlantic species ..........................................................................224
6. CONCLUSIONS..................................................................................................................................228
PARTE B: FUNCTIONAL ANALYSIS..............................................................................................231
7. MATERIALS AND METHODS...........................................................................................................232
7.1 Species and plant traits selection ................................................................................................232
7.2 Data analisys ..................................................................................................................................233
7.2.1 Identification of Plant Functional Types in Mediterranean and Atlantic coastal dunes ....................233
7.2.2 Analysis of plant traits along the coastal zonation in Mediterranean and Atlantic coastal dunes......235
8. RESULTS ............................................................................................................................................237
8.1 Plant Functional Types of coastal dune environments ...........................................................237
8.1.1 Explorative analysis of relationships among the traits ......................................................................237
8.1.2 Plant Functional Types in Mediterranean and Atlantic coastal systems ...........................................237
8.1.3 Comparison between Mediterranean and Atlantic PFTs .................................................................241
8.2 Plant traits of Mediterranean and Atlantic coastal dunes........................................................244
8.2.1 Comparison of plant traits along the coastal zonation ......................................................................244
8.2.2 Comparison of plant traits between Atlantic and Mediterranean communities .................................248
9. DISCUSSIONS ....................................................................................................................................251
9.1 Functional Types and plant traits on Mediterranean and Atlantic coastal dunes ................251
9.1.1 Plant traits and PFTs in foredune communities ...............................................................................251
9.1.2 Plant traits and PFTs in transition dune communities ...................................................................253
9.1.3 Plant traits and PFTs in fixed dune communities ...........................................................................254
9.2 Annual strategies in coastal dunes ..............................................................................................255
9.3 Critical traits of coastal plants .....................................................................................................257
9.3.1 Dispersal related traits ....................................................................................................................258
10. CONCLUSIONS................................................................................................................................261
11. FURTHER DEVELOPMENT ...........................................................................................................263
PARTE 5. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI GENERALI ..................................... 265
1. CONCLUSIONI GENERALI................................................................................................................266
III
1.1 Diversità floristica delle coste sabbiose dell'Italia centrale .....................................................266
1.2 Diversità funzionale delle coste sabbiose dell'Italia centrale .................................................268
1.2 Diversità tassonomica e funzionale degli ecosistemi dunali costieri del Mediterraneo e
dell'Atlantico .......................................................................................................................................270
2. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE .....................................................................................................273
BIBLIOGRAFIA .......................................................................................................... 275
APPENDICI ................................................................................................................ 298
APPENDICE I: ELENCO E CLASSIFICAZIONE DELLE SPECIE ESOTICHE CENSITE SULLE COSTE
DELL'ITALIA CENTRALE ......................................................................................................................299
APPENDICE II: ELENCO DELLE SPECIE A RISCHIO CENSITE SULLE COSTE DELL'ITALIA
CENTRALE.............................................................................................................................................301
APPENDICE III: SCHEMA SINTASSONOMICO DELLE COMUNITÀ DUNALI MEDITERRANEE E
ALTANTICHE ........................................................................................................................................303
RINGRAZIAMENTI................................................................................................... 305
IV
PARTE 1
QUADRO INTRODUTTIVO E OBIETTIVI GENERALI
Biodiversity as the ‘variety of life’ is the kind of
general intuitive definition that most people share
(Heywood & Iriondo 2003)
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
1. BIODIVERSITA’: CONCETTI E PROBLEMATICHE
1.1 DEFINIZIONI
La diversità dei viventi e la loro distribuzione sul territorio tendono continuamente a
variare per effetto dei naturali processi evolutivi, per gli effetti dei cambiamenti climatici a
lungo e a breve termine e per le conseguenze dell‟azione umana (Hooper et al. 2005). La vita
sulla Terra è stata drammaticamente influenzata, negli ultimi decenni, dalle alterazioni degli
ecosistemi per opera dell‟uomo sia a livello locale che globale (Díaz & Cabido 2001). Per
questo, il concetto di diversità biologica, o di biodiversità, ha assunto notevole rilievo in un
periodo di tempo notevolmente breve. Forse è il concetto dominante nell‟opinione e nella
progettazione in campo ambientale e l‟entrata in vigore della Convenzione sulla Diversità
Biologica (CBD), firmata a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 nel quadro della Conferenza delle
Nazioni Unite su ambiente e sviluppo (UNCED), l‟hanno posta al centro della scena
internazionale e politica (Heywood & Iriondo 2003). La CBD, infatti, ha rappresentato un
importante passo avanti nella protezione della biodiversità poiché è stato il primo trattato
che si è occupato delle risorse genetiche mondiali in una prospettiva globale e ha fornito
precise indicazioni sulle vie da seguire per arrivare ad applicare concretamente il principio
dello sviluppo sostenibile e garantire la conservazione della diversità biologica.
Pur assistendo ad un uso del termine biodiversità (o diversità biologica o semplicemente
diversità), sia a livello di pubblicazioni scientifiche che di mezzi d‟informazione, non esiste
un unanime consenso su cosa la biodiversità rappresenti e su come questa vada misurata
(Gaston 1996). Ancora oggi c‟è un considerevole dibattito su che cosa la biodiversità sia, se si
tratti di un concetto significativo o solo di una moda passeggera, se essa possa essere
considerata come una disciplina rigorosa e se meriti tutte le attenzioni che sembra attirare. Il
problema basilare è l‟affascinante semplicità dell‟idea: infatti, biodiversità come “ la varietà
della vita” è la definizione intuitiva generale che la maggior parte delle persone condivide
(Heywood & Iriondo 2003). È quando noi cerchiamo di applicare delle definizioni più precise
o rigorose che si riscontrano delle difficoltà. Gaston (1996) suggerisce che queste definizioni
possono essere ampiamente raggruppate in tre sezioni: quelle che riguardano la biodiversità
come concetto; quelle che riguardano la biodiversità come un‟entità misurabile; e infine,
quelle che la considerano come un costrutto sociale o politico.
Il concetto di biodiversità si è, inoltre, trasformato ed arricchito, nel corso del tempo, di
sempre maggiori aspetti. Secondo W.G.Rosen, che introdusse il termine “diversità ecologica”
negli anni Ottanta del secolo scorso, questa denominazione indica la “diversità a tutti i livelli
di organizzazione biologica” (Frankel et al. 1995). Nel 1987 l‟Office of Technology
Assessment del Congresso degli Stati Uniti stabilì che: “ la diversità biologica si riferisce alla
varietà e variabilità degli organismi viventi e dei sistemi ecologici che li comprendono”. Ciò
significa che il termine biodiversità include “diversità all‟interno delle specie (livello genetico
2
Parte 1
o intraspecifico), tra specie diverse (livello specifico o tassonomico) e degli ecosistemi (livello
ecosistemico o delle comunità). Tale definizione distingue i maggiori componenti o livelli
della biodiversità che possono essere riconosciuti – ecosistemi, specie e geni- e corrisponde
essenzialmente alla definizione data nell‟articolo 2 della Convenzione sulla Diversità
Biologia: “ Diversità biologica indica la variabilità tra gli organismi viventi, da tutte le fonti;
includendo tra l’altro, gli ecosistemi terrestri, marini e altri ecosistemi acquatici e i complessi ecologici
di cui questi fanno parte: essa include la diversità all’interno delle specie, tra le specie e gli ecosistemi”.
Il termine biodiversità, quindi, comprende un ampio spettro di scale biotiche, dalle
variazioni genetiche all‟interno della specie alla distribuzione dei biomi sul pianeta (Hooper
et al. 2005); essa è la manifestazione visibile della biosfera, ne compone la struttura attraverso
le relazioni che spazio e tempo hanno stabilito tra i suoi componenti, dal livello molecolare a
quello ecosistemico (Ferrari 2001).
La definizione adottata nel Global Biodiversity
Assessment (Heywood 1995) aggiunge alla diversità genetica, ecologica e tassonomica anche
quella culturale, fornendo un‟utile struttura in cui pianificare le valutazioni. Infine, una
definizione più ampia e complessa di diversità, che include anche l‟aspetto “funzionale” è
quella riportata da Díaz et al. (2006): “La biodiversità in senso ampio è il numero, l’abbondanza, la
composizione, la distribuzione spaziale e l’interazione di genotipi, popolazioni, specie, tipi funzionali e
caratteri, e unità di paesaggio in un dato sistema”.
Da questo rapido excursus sul concetto di biodiversità, ci rendiamo conto di quanto sia
complesso poterlo definire in modo univoco, ma anche di quanto tale concetto sia
fondamentale e cruciale in tutti i campi di ricerca.
1.2 PROBLEMATICHE E PREVISIONI
Lo studio della diversità biologica dei sistemi rappresenta oggi una fase necessaria
nell‟analisi dei processi della biosfera; esso ci permette di ottenere conoscenze utili alla loro
conservazione, soprattutto in seguito alle grandi minacce causate dall‟azione antropica. La
scala e l‟intensità delle interazioni umane con l‟ambiente, infatti, hanno portato ad una
progressiva e ampia perdita di habitat e alla loro degradazione e frammentazione, con la
conseguente perdita di specie e della variabilità genetica (Heywood & Iriondo 2003). Le
attività umane stanno modificando molti degli ecosistemi della Terra attraverso la
diminuzione della ricchezza di specie, l‟aggiunta d‟inquinanti nel suolo, nell‟acqua e
nell‟atmosfera e l‟alterazione di processi funzionali come la produzione di materia e il ciclo
dei nutrienti (Lacroix & Abbadie 1998). I disastri ecologici, l‟inquinamento industriale, la
deforestazione e la conversione di habitat naturali in terreni agricoli e industriali si verificano
ininterrottamente su vaste aree di ciascun continente generando cambiamenti spesso
irreversibili (Turner et al. 1991; Chapin et al. 2000). E‟ stato stimato che, a livello globale, la
“biodiversità” sta diminuendo ad una velocità maggiore rispetto a qualsiasi periodo del
passato (Chapin et al. 1998), come una risposta complessa ai molti cambiamenti effettuati
3
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
dall‟uomo nell‟ambiente globale, minacciando i principali processi dell‟ecosistema e
influenzando così i servizi e i benefici che gli uomini ricevono da essi, e che contribuiscono a
rendere la vita possibile (Fig. 1.1). La popolazione umana, infatti, è strettamente dipendente
dall‟ambiente per risorse quali l‟acqua, le materie prime, il cibo, e molti altri beni e servizi
(Díaz et al. 2006).
Fig. 1.1 - Il ruolo della biodiversità nel cambiamento globale. Le attività umane sono causa di cambiamenti
ambientali ed ecologici di importanza globale. Tali effetti ecologici alterano sia la comunità biotica (la
biodiversità) che le componenti abiotiche che controllano le proprietà dell‟ecosistema. Nel grafico tra i controlli
abiotici sono riportati anche i “modulators” intesi come condizioni abiotiche che influenzano il tasso dei processi
(es. T, pH) e che non sono direttamente consumate durante il processo, diversamente dalle risorse (Chapin et al.
2002).Vari aspetti della comunità biotica influenzano i range e la proporzione dei caratteri delle specie. Questi
caratteri possono poi, alterare i controlli abiotici, influenzando direttamente le proprietà dell‟ecosistema oppure i
benefici e i servizi che esso fornisce all‟uomo (da Hooper et al. 2005).
Secondo Wood et al. (2000) “la corsa a salvare la biodiversità sta diventando persa, e lo sta
diventando perché i fattori che stanno contribuendo alla sua degradazione sono più
complessi e potenti di quelle forze che stanno lavorando per proteggerla”. Le attuali minacce
alla diversità biologica sono storicamente senza precedenti: mai prima d‟ora si era verificato
che tante specie si avvicinassero alla soglia dell‟estinzione in così breve tempo (Chapin et al.
1998). A tal proposito molti studiosi affermano che la Terra è nel pieno della sesta estinzione
di massa nella storia della vita (Chapin et al. 1998; Chapin et al. 2000). Ma, mentre le
precedenti estinzioni erano probabilmente causate (es. quella che alla fine del Cretaceo
provocò la scomparsa dei Dinosauri) da cambiamenti dell‟ambiente fisico provocate da
impatti di grandi meteoriti sulla terra o da prolungatissime eruzioni vulcaniche, l‟odierna
estinzione ha un‟origine di tipo biologico; in particolare è dovuta all‟azione antropica
4
Parte 1
sull‟uso del suolo, le invasioni di nuove specie e i cambiamenti climatici e atmosferici (Fig.
1.1; Chapin et al. 2000; Wilson 2002).
L‟estinzione, quindi, è di per se un processo naturale, ma sta avvenendo ad una velocità
innaturale come conseguenza delle attività antropiche. Sebbene sia difficile valutare la
velocità con cui avviene il processo di estinzione, anche per la difficoltà di stimare il numero
di specie attualmente presenti sulla Terra, tuttavia la comunità scientifica è d'accordo
nell'affermare che il tasso attuale di estinzione è 100-1000 volte superiore a quello precedente
la comparsa dell'uomo e si attende che l‟estinzione delle specie attualmente minacciate
potrebbe aumentare questo tasso di un fattore 10 (Pimm et al. 1995; Pimm & Raven 2000). Ad
oggi si considera che il 5-20% delle specie dei principali gruppi di organismi è minacciato di
estinzione (Chapin et al. 2000; Fig.1.2).
Fig. 1.2 - Proporzioni del numero globale di specie di uccelli, mammiferi, pesci e piante che sono attualmente
minacciati di estinzione (da Chapin et al. 2000).
L‟elenco delle trasformazioni dei sistemi naturali legate direttamente alle attività
antropiche è estremamente lungo. Sono stati identificati cinque importanti fattori,
denominati drivers, che determinano cambiamenti nella diversità a scala globale:
cambiamenti dell‟uso del suolo, cambiamenti climatici, aumento della concentrazione di
anidride carbonica (CO2) atmosferica, deposizioni azotate e piogge acide, introduzioni di
animali e vegetali esotiche (Sala et al. 2000; Chapin et al. 2001). Mediante l‟utilizzo di modelli
globali, sono stati costruiti gli scenari futuri per l‟anno 2100 dei principali biomi presenti
sulla Terra (artico, alpino, boreale, prateria temperata, savana, mediterraneo e deserto) e
calcolato anche il singolo contributo di ciascun fattore a tale fenomeno. Tali studi (Sala et al.
2000; Chapin et al. 2001) hanno inoltre quantificato a livello globale (di tutti i biomi) l‟impatto
di ciascun fattore di cambiamento. Tre scenari plausibili sono stati considerati in base alle
assunzioni circa le interazioni tra i drivers del cambiamento nella biodiversità (Sala et al. 2000;
Chapin et al. 2000; Chapin et al. 2001). Nel primo scenario si assume che non ci siano
interazioni tra i vari fattori che influenzano la biodiversità; in questo caso, quindi, il
5
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
cambiamento previsto è uguale alla somma dei cambiamenti della diversità biologica causati
da ciascun fattore. Nel secondo scenario si assume che ci siano interazioni antagonistiche tra
gli effetti dei drivers e la biodiversità risponderà solo al driver a cui esso è più sensibile; infine
nel terzo scenario si assume che ci siano interazioni sinergiche e la biodiversità risponderà in
modo moltiplicativo ai vari drivers (Sala et al. 2000; Chapin et al. 2000; Fig.1.3).
Fig. 1.3 - Scenari nel cambiamento della
diversità di specie in biomi selezionati previsti
per il 2100. I biomi sono: T (foreste tropicali); G
(praterie temperate), M (mediterraneo), D
(deserti), N (foreste temperate settentrionali), B
(foreste boreali), A (artico). Il grafico dimostra
che, secondo le previsioni, tutti i biomi
presentano sostanziali cambiamenti nella
diversità specifica per il 2100, che la causa
principale del cambiamento della diversità
differisce tra i biomi, e che il cambiamento nel
pattern di diversità dipende dalle assunzioni
circa la natura delle interazioni tra i drivers. I
cambiamenti previsti sono più simili tra i biomi
se i fattori che influenzano la diversità non
interagiscono tra loro (scenario 1), mentre
differiscono fortemente se i fattori del
cambiamento della biodiversità interagiscono
(scenario 3) (da Chapin et al. 2000).
In quasi tutti gli ecosistemi terrestri i cambiamenti nell‟uso del suolo rappresentano il
fattore con il più alto indice di impatto sulla biodiversità perché determinano una perdita di
habitat a cui è associata una rapida estinzione di specie (Fig.1.4a).; il secondo fattore, in
ordine decrescente di importanza, è rappresentato dai cambiamenti climatici, e in particolare
dall‟aumento di temperatura, che interesserebbe particolarmente le latitudini elevate
(Fig.1.4b). La causa principale del cambiamento dell‟uso del suolo è rappresentata
dall‟espansione della popolazione umana che converte ecosistemi naturali in ecosistemi
dominati dall‟uomo. Il risultato principale di queste azioni è una frammentazione a scala di
habitat e di paesaggio; tale frammentazione limita la possibilità di interscambio genetico tra
le popolazioni isolate e numericamente impoverite (rarefazione), causando quindi una
diminuzione della diversità genetica delle popolazioni residue e riducendo dunque, la
possibilità di cambiamento evolutivo. Quando la dimensione della popolazione, e quindi la
diversità genetica, scendono la di sotto di un certo limite, le future opzioni evolutive
diventano talmente scarse da condannare la specie ad un rapido declino (Massa 1999).
Lo studio di Sala et al. (2000), quindi, ha permesso di osservare grandi differenze tra i biomi
circa le cause del futuro cambiamento nella biodiversità (Fig. 1.3; Fig. 1.4b); i biomi come
quelli tropicali e delle foreste temperate del sud dimostrano grandi cambiamenti,
principalmente a causa delle modifiche nell‟uso del suolo con effetti relativamente bassi
6
Parte 1
dovuti agli altri drivers (Fig. 1.4b). Gli ecosistemi artici sono influenzati largamente da un
singolo fattore, il cambiamento climatico (Fig. 1.4b). Biomi come le foreste temperate del
nord e i deserti sono influenzati da tutti i drivers ma la maggior parte di essi sono moderati.
(Fig. 1.4b). Gli ecosistemi di acqua dolce dimostrano sostanziali impatti derivati dall‟uso del
suolo, dalle introduzioni di specie esotiche e dal clima (Fig. 1.4b). Invece, i sistemi
mediterranei, le savane, e le praterie sono sostanzialmente sensibili a tutti i drivers dei
cambiamenti nella biodiversità, particolarmente al cambiamento nell‟uso del suolo; essi i
presentano, infatti, in tutti gli scenari prospettati dagli studiosi, una grande perdita della
biodiversità (Fig. 1.3; Fig. 1.4b).
Comunque, data la complessità nelle interazioni tra i drivers (antagonistiche, sinergiche,
indipendenti), si può ipotizzare che i cambiamenti futuri nella biodiversità saranno
intermedi tra gli scenari che considerano interazioni sinergiche (scenario 3) e quelli che
presuppongono l‟assenza di interazione tra i drivers (scenario 1); proiezioni realistiche del
cambiamento futuro della biodiversità richiedono un miglioramento nelle conoscenze circa
le interazioni tra i drivers che determinano il cambiamento della biodiversità.
a
b
Fig. 1.4 - a) Effetti dei maggiori fattori (drivers) di cambiamento sulla biodiversità previsto per il 2100; b) Effetto
di ciascun driver sul cambiamento della biodiversità per ciascun bioma terrestre ed ecosistema d‟acqua dolce (da
Sala et al. 2000).
7
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
2. LA BIODIVERSITA’ E IL FUNZIONAMENTO DEGLI
ECOSISTEMI: IL CONCETTO DI DIVERSITA’ FUNZIONALE
2.1 DIVERSITÀ SPECIFICA E DIVERSITÀ FUNZIONALE
Come su affermato, lo studio della diversità biologica è importantissimo perché ci permette
di conoscere il suo ruolo nella struttura e nel funzionamento dei sistemi viventi ed è una fase
cruciale di conoscenza per ogni strategia di gestione della biosfera (Ferrari 2001). Ma questo
studio rappresenta ancora una disciplina giovane, che non ha raggiunto una maturità tale da
garantire l‟esistenza di approcci e protocolli globalmente accettati. A rendere più complessa
la situazione è, poi, la natura stessa della biodiversità che raccoglie e analizza informazioni
diverse che vanno dall‟ambito propriamente ecologico a quello evoluzionistico.
Uno degli scopi di suddividere il concetto di biodiversità in varie componenti è di facilitare
la sua misurazione e sottoporla ad uno studio comparativo rigoroso (Heywood & Iriondo
2003). La biodiversità stessa non può essere misurata e ridotta in una singola misura (Norton
1994); perciò, è fondamentale individuare, in base allo scopo della nostra ricerca, quale
aspetto della diversità si dovrebbe misurare. Le misure ottenute sono utili se ci permettono
di derivare indicatori o indici della biodiversità, che ci consentano di monitorare che cosa
accade nel tempo e nello spazio. È chiaro che per occuparsi dell‟intera biodiversità e della
sua composizione, struttura e funzione, abbiamo bisogno di applicare molti differenti
indicatori ai diversi livelli di organizzazione (Heywood & Iriondo 2003).
Le specie viventi, “innumerevoli forme, bellissime e meravigliose “ (Darwin 1859), sono le
più visibili e significative protagoniste della diversità. Proprio perché le specie esistenti in un
dato sistema ambientale esprimono il risultato di un processo adattativo, la misura della
diversità specifica è la misura di diversità più significativa dal punto di vista ecologico.
Capire quante, e soprattutto, quali specie vivono in un ecosistema e quali sono i rapporti di
abbondanza tra loro rappresenta uno dei livelli di lettura della biodiversità con il miglior
livello di integrazione (Magurran 1988; Colwell & Coddington 1994; Harper & Hawksworth
1994; Gaston 1996; Lindenmayer et al. 1999). Molti autori concordano sul fatto che la
ricchezza specifica e complementarietà di specie, quindi, rappresentino le componenti più
importanti delle biodiversità per scopi di valutazione e monitoraggi, anche in contesti
paesaggistici.
Negli ultimi anni, però, lo scopo di molti studi è stato quello di comprendere l‟importanza
della biodiversità sul funzionamento degli ecosistemi e di individuare quali sono le
componenti funzionalmente significative della biodiversità (Díaz & Cabido 2001; Hooper et
al. 2002). L‟interesse che la biodiversità determini il funzionamento dell‟ecosistema (Schulze
& Mooney 1993) ha generato molti studi specificamente disegnati per rispondere a questa
domanda (Tilman 1999; Kinzig et al. 2001; Loreau et al. 2001, 2002). Molte controversie sono
nate sui problemi relativi ai disegni sperimentali, alle interpretazioni statistiche dei risultati,
8
Parte 1
alle misure più appropriate e ai fattori che controllano e che sono influenzati dalla diversità a
diverse scale (Díaz & Cabido 2001). I principali studi empirici, sperimentali e teorici si sono
focalizzati sull‟impatto della struttura trofica sul flusso di energia e materia, o sull‟impatto
della ricchezza di specie sulla performance e sostenibilità degli ecosistemi, soprattutto in
relazione ai cambiamenti globali dell‟ecosistema (Lacroix & Abbadie 1998). Recenti sintesi
hanno evidenziato le complesse relazioni tra la diversità biologica, la struttura trofica e le
funzioni degli ecosistemi, e le maggiori lacune delle nostre conoscenze su queste interazioni
(Heywood 1995; Gaston 1996). Per molto tempo, comunque, si è considerato esclusivamente
la ricchezza specifica come la sola misura della diversità. Solo una frazione degli studi
prodotti ha esplicitamente testato il ruolo delle componenti “funzionali” della diversità,
come la “ricchezza funzionale” e la “composizione funzionale” e pochi contributi concettuali,
empirici e di modelling sono stati realizzati con una prospettiva integrata, fornendo le
fondamenta da cui spiegare perché e come differenti componenti della diversità potrebbero
influenzare i processi. Tuttavia, negli ultimi anni, gli studiosi sono concordi nel ritenere che,
quando focalizziamo il nostro studio sull‟influenza della biodiversità sul funzionamento
degli ecosistemi, gli effetti della diversità sui processi dell‟ecosistema dovrebbero essere
attribuiti ai tratti funzionali (valore e range) delle specie individuali e alle loro interazioni
(come essi competono direttamente o indirettamente, e come essi modificano gli ambienti
biotici e abiotici degli altri) piuttosto che dal numero di specie per se (Díaz & Cabido 2001). Si
è focalizzata, quindi, l‟attenzione su un‟altra importante componente della diversità, spesso
sottostimata rispetto alla ricchezza di specie: la diversità funzionale (Naeem & Wright 2003),
cioè sul grado di differenze funzionali tra le specie in una comunità (Tilman 2001).
In questo scenario, un ampio dibattito ha riguardato il ruolo della diversità funzionale di
specie vegetali sul funzionamento degli ecosistemi (Schulze & Mooney 1993; Tilman 1999;
Kinzig et al. 2001, Loreau et al. 2001, 2002). Esiste una vasta letteratura sulle relazioni tra la
diversità e il funzionamento degli ecosistemi, e, in particolare, le relazioni tra i Plant
Functional Types (PFTs) e i plant traits con i processi dell‟ecosistema (Díaz & Cabido 2001).
Molti studi che hanno preso in considerazione la capacità delle piante di assorbire e
amministrare le risorse, hanno evidenziato fortemente l‟importanza dei gruppi funzionali e
della diversità funzionale (Tilman et al. 1996; Hooper & Vitousek 1997; Lacroix & Abbadie
1998). Relazioni forti tra la presenza e l‟assenza di certi gruppi funzionali e la velocità e
l‟intensità dei processi ecosistemici, sono ben documentati per una varietà di sistemi. Per
esempio, alberi con complesse strutture legnose aree e sistemi radicali estesi hanno un
importante effetto sul suolo, l‟acqua e la ritenzione dei sedimenti, il tamponamento del
clima, e la diversità animale; graminacee e muschi hanno differenti effetti sul ciclo del
carbonio e dell‟azoto negli ecosistemi della tundra; e l‟abbondanza relativa di cespugli d‟erba
determina fortemente il regime del fuoco nella vegetazione seminaturale (Díaz & Cabido
2001). Inoltre, secondo Grime (1998) la resilienza e la resistenza dell‟ecosistema sono
fortemente influenzate dai caratteri delle specie dominanti: le comunità dominate da piante
9
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
che crescono velocemente tenderanno ad avere elevata resilienza e bassa resistenza, al
contrario avviene per le comunità dominate da specie con una crescita lenta. Velocità e
intensità dei processi dell‟ecosistema, quindi, sono state associate più consistentemente alla
composizione funzionale (presenza di certi tipi funzionali o tratti) e alla ricchezza funzionale
(numero di differenti “tipi funzionali”) che alla ricchezza di specie (Díaz & Cabido 2001).
Grime (1997), inoltre, afferma che abbiamo bisogno di un approccio più integrato sulle
proprietà biologiche e funzionali e le dinamiche delle risorse degli organismi chiave.Questi
studi, comunque, hanno confermato l‟opinione secondo la quale la diversità funzionale è un
importante determinante dei processi degli ecosistemi (Loreau 1998; Chapin et al. 2000;
Tilman 2000; Díaz & Cabido 2001; Loreau et al. 2001; Petchey & Gaston 2002).
Tuttavia, sia l‟approccio basato sulle specie che quello basato sui tipi funzionali, hanno
avuto lo slancio all‟inizio degli anni novanta come risultato delle sfide poste dai cambiamenti
ambientali globali. L‟attenzione verso questi due aspetti della diversità ha rispecchiato
l‟esistenza di due linee parallele d‟inchiesta nell‟ecologia durante la gran parte del 20 secolo.
Il primo di questi, “specie-based approach”, ha messo l‟accento sul ruolo unico di ogni specie
in una comunità, e ha influenzato il modello di molti studi sul ruolo della diversità nel
funzionamento dell‟ecosistema, specialmente durante i primi anni novanta. Il secondo,
l‟approccio, “functional-type approach”, insiste, invece, sulle strategie comuni a molte specie
nella risposta alle sfide ambientali, indipendentemente dalla loro discendenza. La mancanza
di una ibridazione tra questi due approcci potrebbe in parte spiegare le controversie
generatesi sulla questione e anche che, sebbene la diversità funzionale sia conosciuta come il
meccanismo chiave con cui la diversità influenza il funzionamento dell‟ecosistema, non c‟è
ancora un soddisfacente mezzo standardizzato per misurarla. Di conseguenza, la ricchezza e
la composizione di specie è spesso usato come un surrogato della diversità funzionale,
nonostante la sua inadeguatezza (Díaz & Cabido 2001).
2.2 IL CONCETTO DI DIVERSITÀ FUNZIONALE
Solo da pochi anni la diversità funzionale sta emergendo come un aspetto di cruciale
importanza nel determinare i processi dell‟ecosistema, e sta guadagnando un posto di
generale importanza nelle ricerche ecologiche (Naeem 2002). Secondo uno studio effettuato
da Petchey & Gaston (2006) l‟uso del termine diversità funzionale negli anni 2003-2005 è
apparso nel titolo, nell‟abstract o tra le keywords di ben 238 articoli. Il concetto di diversità
funzionale rimane, tuttavia, complesso ed è stato definito spesso come “slippery” (Martinez
1996; Bengtsson 1998; Díaz & Cabido 2001). Sono tre le questioni ancora aperte: come
definire la diversità funzionale, come misurarla e come stimare la sua performance.
Per quanto riguarda il primo punto, è stato prodotto un ampio range di definizioni di
“diversità funzionale” come: “la molteplicità funzionale all‟interno di una comunità” o il “
numero, tipo e distribuzione delle funzioni compiute dagli organismi all‟interno di un
10
Parte 1
ecosistema “ (Díaz & Cabido 2001). Ma, come notano Petchey e Gaston (2006), il termine è
frequentemente usato senza definizione; infatti, nel 2005, oltre il 50% degli articoli pubblicati
con “ diversità funzionale” nel titolo, abstract o keywords non forniscono nessuna
definizione e nessun riferimento alla stessa, piuttosto essi sembrano basarsi su una
comprensione intuitiva dei suoi significati e suppongono che ciascuno condivida lo stesso
concetto. Ovviamente questo crea una forte incertezza sull‟argomento (Petchey & Gaston
2006). C‟è un generale accordo, nel ritenere che la diversità funzionale generalmente
coinvolga la comprensione di comunità ed ecosistemi fondati “su che cosa” l‟organismo fa
piuttosto che sulle sue storie evolutive. Questa è una considerazione molto generale per la
diversità funzionale e pone un enorme numero di questioni. Per esempio, se “cosa
l‟organismo fa” è interpretato come il fenotipo dell‟organismo (esempio un carattere
fenotipico) allora la diversità funzionale equivale alla diversità fenotipica (Petchey & Gaston
2006). Possiamo affermare che la maggior parte delle ricerche considera proprio
quest‟aspetto. Sebbene tale generalità è accettabile, recenti ricerche circa le potenziali
conseguenze della biodiversità per i processi dell‟ecosistema (Tilman 1999; Chapin et al. 2000;
Grime 2001; Loreau et al. 2001; Hooper et al. 2005) hanno portato a una più specifica
definizione di diversità funzionale intesa come: “il valore e il range di quei caratteri delle
specie e degli organismi che influenzano il funzionamento dell‟ecosistema” (Tilman 2001).
Una conseguenza di questa definizione è che la misura della diversità funzionale è circa la
misura della diversità dei caratteri funzionali (plant traits), dove i caratteri funzionali sono i
componenti del fenotipo dell‟organismo che influenzano i processi a livello dell‟ecosistema
(Petchey & Gaston 2006).
2.3 MISURE DELLA DIVERSITÀ FUNZIONALE
La diversità funzionale è un‟importante componente della biodiversità, tuttavia in
confronto alla diversità tassonomica, i metodi di quantificazione della diversità funzionale
sono ancora poco sviluppati (Petchey & Gaston 2002). Non c‟è una semplice, soddisfacente o
standardizzata misura della diversità funzionale (Díaz & Cabido 2001; Tilman 2001), né
esiste una misura “perfetta” della stessa. Vengono solitamente distinte due componenti della
diversità funzionale: la composizione funzionale (la presenza di certi caratteri o tipi
funzionali) e la ricchezza (il numero di differenti tipi funzionali). Un modo per misurare o
meglio caratterizzare la diversità funzionale, quindi, è quello di analizzare i caratteri
morfologico-funzionali delle specie (plant traits) e poi di raggrupparle in gruppi che sono
simili nei valori dei caratteri e di contare il numero dei gruppi presenti in un assemblaggio,
cioè il numero dei gruppi funzionali o di quelli che vengono definiti Plant Functional Types
(PFTs). Quindi, una comune misura della diversità funzionale è il numero di gruppi
funzionali delle specie in una comunità (Naeem & Li 1997; Hooper 1998; Hector et al. 1999;
Rastetter et al. 1999; Fonseca & Ganade 2001; Tilman 2001; Tilman et al. 2001).
11
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
Ma vediamo meglio cosa si intende per plant trait (carattere funzionale) e cosa per Plant
Functional Type (PFT) o tipo funzionale.
2.3.1 Plant traits e Plant Functional Types
Storicamente, il termine traits si è spostato naturalmente dal linguaggio comune a quello
più scientifico in diverse discipline (genetica quantitativa, ecologia funzionale). In seguito
alla proposta di Darwin, i caratteri (traits) furono inizialmente usati soprattutto come
elementi predittivi della performance degli organismi. Nelle ultime tre decadi, sviluppi
nell‟ecologia delle comunità e in quella degli ecosistemi, hanno spinto il concetto di carattere
oltre questi confini originari, e gli approcci basati sui traits sono oggi utilizzati in studi che
vanno da livello dell‟organismo a quello degli ecosistemi (Violle et al. 2007; Fig. 1.5).
Nonostante alcuni sforzi nel fissare una terminologia, c‟è ancora oggi un alto grado di
confusione nell‟uso, non solo del termine traits di per se stesso, ma anche nel sottolineare i
concetti a cui si riferisce. Violle et al. (2007), nel loro studio, hanno definito i concetti di traits e
di functional traits, e hanno suggerito una struttura che indica come i traits dovrebbero essere
utilizzati per affrontare le problematiche correnti nel campo dell‟ecologia delle comunità e
degli ecosistemi. Essi propongono di utilizzare i caratteri solo a livello del singolo individuo,
con la seguente definizione: un trait è “ogni aspetto morfologico, fisiologico e fenologico,
misurabile a livello dell‟individuo, dal livello di cellula a quello dell‟intero individuo, senza
riferimento all‟ambiente o ad altri livelli di organizzazione”. Questa definizione implica che
nessuna informazione esterna all‟individuo (fattori ambientali) o ad ogni altro livello di
organizzazione (popolazione, comunità o ecosistema) è richiesta per definire un carattere. A
livello di popolazione, Violle et al. (2007) suggeriscono di attenersi alla terminologia
utilizzata da Caswell (1989) e di usare l‟espressione “parametri demografici” invece di traits;
mentre a livello di comunità o di ecosistema, di utilizzare il termine “property” per
designare ogni aspetto o processo come diversità della comunità, decomposizione,
disponibilità delle risorse del suolo. La definizione di trait così come presentata da questi
autori richiede delle precisazioni importanti: 1) viene detto “attributo” il particolare valore o
modalità assunta dal carattere ad ogni spazio e tempo; 2) all‟interno delle specie, il carattere,
sia continuo che categorico, può dimostrare differenti attributi lungo gradienti ambientali o
nel tempo; 3) l‟attributo per un carattere è usualmente stimato per una popolazione in un
dato tempo e spazio.
Una volta definito il concetto di trait, Violle et al. (2007) definiscono quello di “functional
trait”; esso è “ogni morfologico, fenologico e fisiologico carattere che incide sulla fitness
dell‟individuo indirettamente attraverso i suoi effetti su quelli che vengono definiti
“performance traits” (biomassa vegetativa, rendimento riproduttivo e sopravvivenza della
pianta)”; questi traits, secondo il paradigma di Arnold (1983) applicato all‟ecologia vegetale,
contribuiscono direttamente alla fitness (Fig. 1.6).
12
Parte 1
Fig. 1.5 - Schema che collega le sfide di interesse di differenti livelli di organizzazione, attraverso i loro propri
relativi componenti, ad alcuni esempi di traits trovati in letteratura. Senza l‟informazione trait-based, salendo a
più alti livelli di organizzazione si ha bisogno di un‟informazione d‟integrazione complessa (I). Quindi le
componenti della fitness di un individuo determinano le componenti del tasso finito di aumento (λ) della
popolazione (II-P). L‟occorrenza e la frequenza delle specie a livello di comunità comprendono le componenti di λ
attraverso un‟integrazione complessa (esempio interazione biotica).Infine, l‟ascesa alle proprietà dell‟ecosistema
può essere attuata combinando le proprietà funzionali di ciascuna specie della comunità (I C-E). L‟uso di traits
come elementi predittivi di un processo ad un particolare livello di organizzazione biologica può essere attuata
senza la funzione di integrazione. Per esempio, a livello di ecosistema, la produttività dell‟ecosistema (una
componente del funzionamento dell‟ecosistema) dimostra una forte relazione positiva con l‟altezza della pianta.
(da Saugier et al. 2001; Violle et al. 2007)
Una struttura concettuale per comprendere i collegamenti fra specie e il funzionamento degli
ecosistemi usando i plant traits è stata proposta da Chapin et al. (2000) e in seguito definita da
Díaz & Cabido (2001) e Lavorel & Garnier (2002). Essa distingue: 1) “functional response
traits”: caratteri delle specie che variano consistentemente in risposta ai cambiamenti nei
fattori ambientali; 2) “functional effect traits”: caratteri delle specie che influenzano il
funzionamento dell‟ecosistema. Il totale insieme di functional traits in una comunità è uno dei
principali determinanti delle proprietà dell‟ecosistema (Chapin et al. 2000).
Ma lo studio dei plant traits è anche molto utile perché ci permette di operare
classificazioni. Tale utilità dei caratteri morfologico-funzionali è conosciuta dall‟epoca di
Aristotele e Teofrasto (ca. 300 a.C.), che classificarono le piante in alberi, arbusti e erbe in
base all‟altezza e la densità del fusto (Díaz Barradas et al. 1999).
13
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
Fig. 1.6 - Arnold‟s framework rivisitato nella prospettiva dell‟ecologia vegetale. I traits morfologico-fisiologicofenologici (M-P-P) modulano uno o tutti e tre i performance traits (biomassa vegetativa, rendimento riproduttivo e
sopravvivenza della pianta) che determinano la performance della pianta e la sua fitness individuale (da Violle et
al. 2007).
Secondo Noble e Gitay (1996) si possono riconoscere cinque categorie della classificazione
delle piante secondo il principale scopo dello studio:
1) Filogenesi (tassonomia tradizionale);
2) Struttura (forme di vita);
3) Uso delle risorse (gilde);
4) Risposte a definite perturbazioni (gruppi di risposta);
5) Ruolo nel funzionamento dell‟ecosistema (gruppi funzionali).
In particolare, in questo ultimo caso, una classificazione dettagliata dal punto di vista
funzionale, è stata proposta da Lavorel et al. (1997) che hanno individuato 4 tipi principali di
classificazione funzionale:
1) gruppi emergenti: gruppo di specie aventi caratteri simili e quindi basati su
correlazioni di attributi biologici;
2) strategie di adattamento delle specie: gruppo le cui specie presentano simili
adattamenti a particolari pattern di risorse;
3) tipi funzionali: gruppo di specie con ruoli simili nei processi dell‟ecosistema;
4) gruppi con risposte specifiche: gruppi di specie che rispondono in maniera simile a
specifici fattori ambientali, come al disturbo.
Attraverso l‟analisi delle caratteristiche delle piante, quindi, si può costruire una
classificazione funzionale delle stesse. L‟uso di classificazioni funzionali costituisce
attualmente
uno
degli
approcci
metodologici
più
innovativi
e promettenti
per
l‟individuazione dei modelli che descrivano la complessità strutturale e funzionale delle
comunità vegetali (Díaz & Cabido 1997; McIntyre & Lavorel 2001; Lavorel & Garnier 2002). Il
14
Parte 1
primo tipo di classificazione (gruppo emergente), esamina le correlazioni tra i caratteri
biologici delle specie senza fare riferimento ad un processo ecologico particolare (Barbaro et
al. 2000). Esso tende anche a classificare le specie essenzialmente in funzione delle loro forme
biologiche o morfologiche (Díaz et al. 1992; Körner 1993). Il secondo identifica le strategie
adattative delle specie collegando i caratteri a tre grandi processi ecologici che sono i livelli
di stress ambientale, di perturbazione e di competizione inter ed intra specifica, secondo un
ordinamento tridimensionale delle specie in strategie C, S, e R (Grime et al. 1988; Fernandez
Alés et al. 1993). Il terzo ed il quarto tipo di classificazione (tipi e gruppi funzionali) collegano
direttamente i caratteri (traits) ai fattori ambientali (Barbaro et al. 2000). Esse differiscono
dalle classificazioni precedenti perché permettono di identificare dei gruppi di specie sulla
base di aspetti non più filogenetici o morfologici, ma sulla base delle risposte simili ai
processi funzionali (Gitay & Noble 1997) o di impatti simili sui processi dell‟ecosistema.
Diventa, quindi, molto utile definire meglio il concetto di Plant functional Type (PFT). I PFTs
sono insieme di piante che mostrano simili risposte alle condizioni ambientali e che hanno
simili effetti sui processi dominanti dell‟ecosistema e quindi sul suo funzionamento (Walker
1992; Chapin et al. 1996; Noble & Gitay 1996; Díaz & Cabido 1997; Lavorel et al. 1997;
Semenova & Van der Maarel 2000; Grime 2001; Pausas & Lavorel 2003). Quindi, questi
gruppi tendono a essere basati come detto in precedenza, su attributi comuni piuttosto che
su relazioni filogenetiche (Díaz & Cabido 2001) e possono essere considerati da due differenti
angolazioni:
1) Functional Response Types (FRT): sono gruppi di specie che rispondono in maniera
simile all‟ambiente biotico e abiotico come la disponibilità delle risorse, le condizioni
climatiche, o i regimi di disturbo. Esempi di classificazioni FRT sono quelle che considerano
le specie xerofite e le mesofite, le specie che non hanno la capacità di reazione alla
distruzione in seguito ad un incendio e le pirofite, le specie che tollerano il pascolo e quelle
che ne sono danneggiate (Díaz & Cabido 2001).
2) Functional Effect Types (FET): sono gruppi di piante che hanno simili effetti sui processi
principali dell‟ecosistema, come la produttività primaria, il ciclo dei nutrienti, e i
trasferimenti trofici. Esempi includono i fissatori di azoto, gli ingegneri dell‟ecosistema, le
specie nurse e quelle che favoriscono gli incendi (Díaz & Cabido 2001).
FRT e FET spesso coincidono particolarmente nel caso dell‟uso delle risorse: per esempio,
tratti che conferiscono un‟elevata resistenza allo stress ambientale e all‟erbivoria (response
traits) determinano anche una più lenta decomposizione e più lento ciclo dei nutrienti. Come,
quindi, si possono suddividere i plant traits in “functional response traits” e in “functional
effect traits”, così può essere fatto anche per i PFTs (Plant Functional Types).
Comunque, non c‟e una classificazione universale dei tipi funzionali. Piuttosto, la
classificazione dipende dallo scopo della ricerca, dalla sua scala (da locale a globale) e da
processi dell‟ecosistema o fattori ambientali di interesse (Gitay & Noble 1997; Lavorel et al.
1997; Díaz & Cabido 2001). I Functional Types sono, come molte categorie usate per
15
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
semplificare il mondo naturale, divisioni arbitrarie dello spazio relativamente continuo dei
caratteri. La maggior parte della letteratura sui FT si riferisce ai FRT. Tuttavia, gli studi dei
legami tra la diversità e il funzionamento degli ecosistemi tende a focalizzare la propria
attenzione sui Functional Effect Types; mentre la considerazione dei Functional Response Types
sembra importante, soprattutto in relazione alla persistenza a lungo termine della funzione
dell‟ecosistema (Díaz & Cabido 2001).
Con l‟aiuto dei PFTs, quindi, siamo capaci di sintetizzare l‟enorme complessità delle specie
individuali e delle popolazioni in un numero relativamente piccolo di patterns generali
ricorrenti (Walker 1992; Grime et al. 1997).Differenti PFT sono atti a giocare ruoli diversi in
termini di processi di materia ed energia negli ecosistemi. Quindi, la loro identificazione e la
stima della loro abbondanza è altamente rilevante per valutare la funzione dell‟ecosistema.
Questo è molto importante dal momento che la maniera tradizionale di classificare le specie
vegetali secondo la tassonomia presenta dei forti limiti quando ci si trova di fronte ad
importanti quesiti ecologici a scala di ecosistema, paesaggio o bioma (Woodward & Diament
1991; Keddy 1992; Körner 1993; Woodward & Cramer 1996).
2.3.2 La ricchezza specifica e la ricchezza funzionale
Sebbene quando parliamo di diversità specifica non consideriamo la componente
funzionale della diversità, possiamo affermare che essa ha comunque conseguenze
funzionali, poiché il numero e il tipo di specie presenti determinano i caratteri degli
organismi che influenzano i processi dell‟ecosistema (Díaz & Cabido 2001). Molti autori
assumono che la ricchezza delle specie vegetali sia un sostituto della ricchezza funzionale
(Tilman 1999; 2001). Oltre a considerazioni pratiche, questa considerazione si fonda
sull‟assunzione che una più elevata ricchezza specifica porti ad una più elevata ricchezza
funzionale. In realtà, anche se spesso si osserva una relazione positiva tra esse, esso non è
sufficientemente universale da giustificare l‟uso della ricchezza di specie come un attendibile
sostituto della ricchezza funzionale (Díaz & Cabido 2001). Possiamo dire che la ricchezza
specifica non è uguale alla ricchezza funzionale. Infatti, la ricchezza di specie tipicamente ha
un basso potere esplicativo forse perché essa ignora le somiglianze e le differenze nei
caratteri funzionali delle specie (Root 1967; Hooper et al. 2002; Petchey et al. 2004). Inoltre,
quando è usata come una misura della diversità funzionale, assume implicitamente che tutte
le specie sono ugualmente differenti (in altre parole che l‟addizione di qualsiasi specie alla
comunità aumenterà la diversità funzionale di un‟unità) e che il contributo di ciascuna specie
alla diversità funzionale è indipendente dalla ricchezza di specie (Petchey et al. 2004).
Secondo Díaz & Cabido (2001) la ricchezza specifica potrebbe essere un adeguato sostituto
per la ricchezza di specie solo se c‟è un lineare aumento nella copertura dello spazio della
nicchia con l‟aumento della ricchezza di specie (Fig. 1.7a-b). Teoricamente, questo può
accadere in sole due situazioni: la prima è l‟occupazione random della copertura dello spazio
16
Parte 1
di nicchia (“snowballs on the barn roof‟ effect) (Tilman 1999; 2001); le specie sono tracciate a
random durante l‟aggruppamento della comunità, quindi aumentano la copertura dello
spazio di nicchia (Fig 1.7a). Un altro caso teorico, in cui dovrebbe essere atteso un aumento
lineare della diversità funzionale con quella specifica, è l‟occupazione uniforme dello spazio
della nicchia (Fig. 1.7b). In questi due casi la ricchezza di specie è un buon sostituto della
ricchezza funzionale. Tuttavia, nessuno di questi è comune in natura, in cui l‟aggregazione o
“l‟essere grumoso” (lumpiness) nell‟occupazione da parte delle specie dello spazio di nicchia
e un assemblaggio non random delle comunità da un pool regionale di specie, sembra essere
la norma piuttosto che l‟eccezione (Díaz & Cabido 2001; Fig. 1.7c-d). L‟occupazione
aggregata dello spazio di nicchia potrebbe essere relativa ad una forte convergenza di
differenti specie dentro tipi funzionali contrastanti o a una forte differenziazione dello spazio
della nicchia dei differenti genotipi, fenotipi o stadi ontogenici all‟interno di una singola
specie (cioè dovuta all‟elevata variabilità intraspecifica) (Díaz & Cabido 2001). Ci sono molti
esempi empirici in cui le variazioni nella diversità specifica non producono variazioni nella
diversità funzionale. Nel caso dell‟aggregazione, la ricchezza di specie può sovrastimare la
ricchezza funzionale (Fig. 1.7c): l‟impoverimento di specie può influenzare differenti tipi
funzionali nello stesso modo oppure esso può influire in maniera differente su certi tipi
funzionali e non su altri. Data una riduzione di un certo numero di specie, nel secondo caso,
l‟impoverimento nella ricchezza funzionale sarà molto più drammatico che nel primo caso.
Anche se l‟impoverimento di specie può influire allo stesso modo su tutti i tipi funzionali, la
riduzione differenziale delle specie a scapito di alcuni tipi funzionali è più comune (Díaz &
Cabido 2001). Questo avviene, per esempio, nei cambiamenti della vegetazione lungo i
gradienti altitudinali o nelle pratiche di gestione che richiedono rimozioni selettive. In altri
casi con l‟aggregazione si può verificare che la ricchezza specifica sottostimi quella
funzionale (Fig. 1.7d): cambiamenti o riduzioni di genotipi all‟interno di una specie
(riduzione funzionale) non saranno rispecchiati in una riduzione della ricchezza specifica. Le
interazioni biotiche, come la competizione e la facilitazione, possono modificare la nicchia
delle popolazioni. Esse quindi possono alterare il biotopo locale (Díaz & Cabido 2001).
Secondo la teoria sviluppata da studi in questo settore, l‟incremento della diversità
funzionale aumenterà il funzionamento dell‟ecosistema a causa della più grande
complementarietà nell‟uso delle risorse (Hooper 1998; Petchey 2003) tra le specie in una
comunità locale, che sono tutt‟altro che uguali (Tilman et al. 1997; Loreau 1998). Tale teoria è
strettamente correlata con i modelli della nicchia, dove la separazione nello spazio della
nicchia permette la coesistenza attraverso la mancanza di competizione per simili risorse
(Petchey et al. 2004).
Per esempio, specie che esibiscono un‟elevata diversità delle
architetture sopra e sotto il terreno potrebbero coesistere, catturare la luce e foraggiare le
risorse in maniera più completa ed efficiente che una comunità che contiene specie tutte con
la stessa architettura (Berendse 1983; Naeem et al. 1994). Per cui, un‟accurata misura della
diversità funzionale potrebbe aiutare a spiegare e predire i cambiamenti nella funzionalità
17
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
degli ecosistemi che potrebbero risultare, per esempio, dalle estinzioni (Petchey & Gaston
2002). Supporti empirici e teorici hanno portato all‟idea che la diversità funzionale potrebbe
influenzare le dinamiche delle risorse dell‟ecosistema a breve termine e la stabilità
dell‟ecosistema a lungo termine (Díaz & Cabido 2001).
Fig. 1.7 - Casi estremi delle relazioni tra la ricchezza vegetale specifica e la ricchezza funzionale. Gli assi 1 e 2
nei rettangoli ombreggiati rappresentano differenti assi di risorse o disturbi. I cerchi con linea continua indicano
lo spazio occupato dalla nicchia fondamentale delle differenti specie; i cerchi con la linea tratteggiata
rappresentano la nicchia dei differenti genotipi o stati ontogenetici all‟interno di una singola specie. Mentre
l‟occupazione uniforme e quella random dello spazio di nicchia (a,b) sono essenzialmente scenari teorici o
sperimentali, l‟occupazione aggregata della nicchia (c,d) è più vicina alla situazione delle comunità naturali,
sebbene l‟illustrazione risulta essere qui molto semplificata. Nei primi due casi (a,b) la ricchezza specifica (SR)
potrebbe essere un buon surrogato della ricchezza funzionale (FR); negli ultimi due casi, più comuni in natura,
invece, la ricchezza specifica potrebbe sovrastimare quella funzionale (c), oppure sottostimarla (d) (da Díaz &
Cabido 2001).
2.3.3 Diversità funzionale: misure proposte e loro problematiche
Il raggruppamento delle specie in base alle funzioni produce la misura più comune della
diversità funzionale: la ricchezza di gruppi o tipi funzionali (Martinez 1996; Díaz & Cabido
2001; Tilman 2001; Naeem & Wright 2003; Petchey & Gaston 2006).
La creazione di classificazioni funzionali mediante i caratteri di specie, che sono poi divise
in gruppi funzionali, ha molti parallelismi con la “fenetica” (phenetics) (Ehrlich 1964). Il
metodo base è di ottenere informazione circa i caratteri degli organismi, di stimare quanto
simili sono gli organismi nei valori di quei caratteri (calcolare una matrice di distanza), e di
18
Parte 1
costruire un sistema di classificazione che accuratamente rappresenti tutte le somiglianze a
coppie (pair-wise) (molto spesso con la hierarchical clustering). Mentre la cladistics è adesso
l‟approccio accettato per la ricostruzione filogenetica, i metodi di phenetics sono usati in un
range di campi ecologici che classificano gli organismi in base ai loro caratteri fenotipici. Le
nicchie ambientali delle specie sono state quantificate usando gli stessi metodi di analisi
multivariata utilizzati per la classificazione delle specie, poiché ci sono relazioni funzionali
tra le specie (Petchey & Gaston 2006). La divisione di specie vegetali tra gruppi con simili
effetti sulle proprietà dell‟ecosistema (Functional Effect Types) o simili risposte ai cambiamenti
ambientali (Functional Response Types) è stata ottenuta, nei diversi studi, usando metodi di
analisi multivariata (Chapin et al. 1996; Gitay & Noble 1997; Lavorel et al. 1997; Westoby &
Leishman 1997).
La misura della ricchezza funzionale, cioè del numero di gruppi funzionali detta
Functional group richness (FGR), ha, però, secondo diversi autori, importanti limiti che in
futuro dovranno essere considerati (Petchey et al. 2004). Dei problemi associati con
l‟assegnare specie a gruppi (Schulze & Mooney 1993; Lavorel et al. 1997) forse quello meno
risolvibile è proprio la scala arbitraria alla quale le differenze tra le specie si qualificano come
funzionalmente significative (Simberloff & Dayan 1991; Vitousek & Hooper 1993; Root 2001;
Petchey & Gaston 2002). Bisogna decidere, quindi, circa il grado di differenza nei caratteri
che rappresenti differenze funzionalmente significative tra gli organismi (Petchey & Gaston
2006). Organismi che differiscono meno di questo grado sono assegnati allora stesso gruppo,
mentre organismi con differenze più elevate sono posti in gruppi differenti. Inoltre, la
divisione di specie tra gruppi funzionali, può richiedere un numero elevato di decisioni e
assunzioni in qualsiasi misura della diversità funzionale poiché essa può esigere la
trasformazione di dati continui in dati categorici (Petchey et al. 2004). Queste decisioni e
assunzioni conferiscono alla ricchezza di gruppi funzionali importanti vantaggi e svantaggi
(Petchey & Gaston 2006). Prima di tutto si assume che le specie all‟interno di gruppi siano
tutte funzionalmente identiche, cioè, che esse siano completamente ridondanti (Lawton &
Brown 1993); poi che tutte le coppie di specie tratte da differenti gruppi funzionali siano
ugualmente differenti. In altre parole, aggiungendo una specie da un nuovo gruppo
funzionale ad una comunità si aggiunge un‟unità alla ricchezza funzionale del gruppo, senza
badare all‟identità dei gruppi che sono presenti e all‟identità del nuovo gruppo (Petchey et al.
2004). I più importanti svantaggi della misura funzionale della ricchezza funzionale, quindi,
sono l‟esclusione di ogni differenza funzionale che avviene tra gli organismi nello stesso
gruppo e la decisione largamente arbitraria circa il grado cui le differenze sono scartate
(Petchey & Gaston 2006).
Esiste, comunque, uno scambio tra le diverse misure della biodiversità (Tilman & Lehman
2002). A un estremo ci sono misure come la ricchezza di specie che incorporano poco e
nessuna informazione circa le specie individuali e sono, quindi, relativamente semplici da
ottenere. Poiché esse incorporano poche informazioni essere potranno spiegare poco e
19
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
predire in modo relativamente scarso (Petchey et al. 2004). All‟altro estremo ci sono le misure
che incorporano dettagliate informazioni individuali sulle specie e che sono relativamente
più difficili da ottenere (Clarke & Warwick 1998), come le molte proposte in questi ultimi
anni di cui ricordiamo: PD (Phylogenetic Diversity; Faith 1992), FAD (Functional Attribute
Diversity; Petchey et al. 2004), FD (Functional Diversity; Petchey & Gaston 2002). Secondo
Petchey (2004), alcune delle varianze nel funzionamento dell‟ecosistema, non possono essere
considerate da nessuna delle misure della diversità prima menzionate. Per esempio, nessuna
di esse incorpora l‟abbondanza delle specie; cioè, non c‟è nessuna diversità funzionale
equivalente a quella di Shannon o Simpson (Clarke & Warwick 1999). Altri esempi sono dati
dalle interazioni facilitative tra le specie (Bertness & Hacker 1994) che hanno un certo
impatto sul funzionamento dell‟ecosistema (Cardinale et al. 2002) e gli “ingegneri“
dell‟ecosistema (Jones et al. 1994); tali aspetti potrebbero essere difficili da inserire nelle
misure della diversità funzionale. Secondo Petchey (2004) includere aspetti della struttura
trofica nelle misure della diversità funzionale potrebbe essere una grande sfida. Un ultimo
lavoro di sintesi sulla misurazione della diversità funzionale che si vuole ricordare è quello
di Petchey & Gaston (2006). In questo lavoro gli autori hanno rivisto i processi di base della
misurazione della diversità funzionale perché essa possa essere rigorosamente applicata a
problemi ecologici e hanno illustrato le proprietà generali delle differenti misure,
evidenziando i loro vantaggi e svantaggi usando nuovi modelli, e suggerendo direzioni per
futuri sviluppi. Secondo Petchey & Gaston (2006) le numerose misure della diversità
funzionale proposte non equivalgono nell‟informazione che essi contengono e differiscono
nel modo in cui quantificano la diversità, ma tutte richiedono una convalida quantitativa.
Secondo gli autori la convalida delle misure aiuterà a comprendere gli effetti dei
cambiamenti della biodiversità sui processi degli ecosistemi e sui naturali servizi che essi
offrono agli uomini; infine essi suggeriscono questioni che potrebbero portare a significativi
avanzamenti nella misurazione della diversità funzionale e alcune questioni che potrebbero
trarre beneficio da una più approfondita comprensione della diversità funzionale.
Questa lunga parte dedicata alla misurazione della diversità funzionale e alle diverse misure
proposte, ci permette di comprendere quanto sia divenuta fondamentale accanto a quella
della diversità specifica, la misurazione della componente funzionale, ma anche di quanto sia
complesso misurare questa componente e la sua influenza sui processi e il funzionamento
dell‟ecosistema.
2.3.4 La diversità funzionale in campo vegetale e sue applicazioni
A causa dei notevoli cambiamenti che gli ecosistemi stanno sperimentando, dovuti a
modificazioni nell‟uso del suolo, nella composizione chimica dell‟atmosfera e nel clima
(Vitousek et al. 1997a), e di cui abbiamo parlato in precedenza, si è presentato un urgente
bisogno di trovare degli elementi che possano prevedere l‟impatto di tali eventi sul
20
Parte 1
funzionamento degli ecosistemi e che, nello stesso tempo, siano facili da misurare, applicabili
universalmente e sensibili al cambiamento. Proprio l‟utilizzo di plant traits (e dei PFTs), è
stato considerato uno dei modi più efficaci per affrontare questa problematica (Smith et al.
1997; Díaz & Cabido 1997). Attraverso diversi studi (ved. Chapin et al. 1996; Díaz & Cabido
1997; Grime et al. 1997; Wardle et al. 1998; Cunningham et al. 1999; Reich et al. 2001; Craine et
al. 2001; Wright & Westoby 2002; Ackerly 2004; Díaz et al. 2004, 2007; Garnier et al. 2004; 2007)
si è osservato come caratteristiche quali il tasso di crescita, la durata di vita dei tessuti, la
concentrazione dei nutrienti, la difesa contro gli erbivori, la resistenza alla decomposizione
ed altre, sono relazionate ad aspetti del funzionamento della pianta con chiare ripercussioni
sul funzionamento dell‟ecosistema. Le stesse comunità di piante possono essere viste come il
risultato di una gerarchia di “filtri” abiotci (es. clima, disponibilità di risorse, disturbo) e
biotici (es. competizione, predazione, mutualismo) che successivamente determinano quali
specie e caratteristiche possono instaurarsi in un determinato luogo, da un vasto pool di
specie disponibili (Keddy 1992; Díaz et al. 1999; Cingolani et al. 2007). La scala temporale e
spaziale alla quale si sceglie di studiare i sistemi dinamici ha un enorme grado di influenza
sulle modalità con cui determinati fattori ambientali acquisiranno rilevanza maggiore
rispetto ad altri e su come le variabili di stato del sistema risponderanno.
Un recente lavoro empirico ha ritenuto opportuno adottare un approccio di studio
cosiddetto “bottom –up”, ossia dal basso verso l‟alto, in cui delle analisi dettagliate mettono
in relazione i caratteri delle piante con specifici fattori ambientali. Alcune delle difficoltà
associate a quest‟approccio riguardano per lo più l‟identificazione degli attuali gruppi
funzionali di piante sulla base della conoscenza dei caratteri funzionali più rilevanti e lo
spostamento di scala dal livello di individuo a quello di ecosistema. Dall‟altra parte, invece, i
modellisti della geobiosfera, così come i paleoecologi, hanno tentato di mettere a punto una
classificazione “top-down”, ossia dall‟alto verso il basso, dove i tipi funzionali o le forme
biologiche sono definite a priori, a partire da un piccolo set di caratteristiche postulate.
Queste sono spesso le caratteristiche che possono essere osservate senza misurazioni
empiriche ed hanno solo un limitato potere funzionale esplicativo. Nel tentativo di colmare
la lacuna tra l‟approccio “bottom-up” e quello “top-down” (Canadell et al. 2000), gli
scienziati di ambedue le scuole di pensiero si sono riuniti nell‟ottobre del 2000 in un gruppo
di studio organizzato dall‟International Geosphere-Biosphere Programme (IGBP, project
Global Change and Terrestrial Ecosystems). Da questo incontro è emersa una lista di caratteri
funzionali delle piante vascolari terrestri che potevano:
1)
rappresentare le risposte principali e gli effetti della vegetazione a varie scale, dagli
ecosistemi ai paesaggi, ai biomi ed ai continenti;
2)
essere utilizzate per progettare una classificazione funzionale soddisfacente, utile per
la creazione dei modelli sia a scala regionale che a scala globale nonché in paleoecologia
della geobiosfera;
21
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
3)
risultare utili per rispondere ad ulteriori domande dell‟ecologia, della conservazione
della natura e della gestione del suolo (Weiher et al. 1999);
4)
essere ricavate da misurazioni relativamente semplici, economiche e standardizzate in
molti biomi e regioni della terra.
Un altro obiettivo principale del workshop è stato proprio quello di avviare la stesura di
una serie di protocolli per la misura dei caratteri funzionali utilizzabili a scala mondiale,
nella forma di un manuale facile da usare. Sulla base sia di precedenti pubblicazioni (Hendry
& Grime 1993; Westoby 1998; Weiher et al. 1999; Lavorel & Garnier 2002) si è giunti alla
realizzazione del manuale“A handbook of protocols for standardised and easy mesurement of plant
functional traits worldwide” di Cornelissen ed altri autori (2003), che rappresenta un po‟ il
punto di riferimento per lo studio funzionale in campo vegetale.
Concludendo possiamo dire che un ampio range d‟importanti questioni ecologiche
possono essere affrontate in termini di diversità funzionale, mediante l‟utilizzo dei plant
traits e dei Plant Functional Types. Ci sono questioni puramente descrittive che riguardano,
per esempio, la natura dei gradienti latitudinali nella diversità funzionale; ci sono questioni
circa le determinanti ecologiche ed evolutive della diversità funzionale (Weiher et al. 1998).
Essa può anche affrontare questioni circa la determinazione dei processi a livello di
ecosistema (Chapin et al. 2000; Díaz & Cabido 2001; Tilman 2001) e rappresenta un concetto
che collega specie ed ecosistemi attraverso meccanismi come la complementarietà nell‟uso
delle risorse, e la facilitazione. Potrebbe essere, quindi, anche uno strumento per predire le
conseguenze funzionali dei cambiamenti biotici causati dall‟uomo (ved. Chapin et al. 2000;
Loreau et al. 2002).
3. HABITAT MINACCIATI: GLI AMBIENTI DUNALI COSTIERI
3.1 I SISTEMI COSTIERI SABBIOSI
La costa, tratto d‟unione fra terra e mare, costituisce un ambiente assai diversificato, in cui
possiamo distinguere un‟ampia varietà di ecosistemi. In questo ambiente, infatti, avviene
l‟incontro tra Atmosfera, Idrosfera e Litosfera, i cui relativi processi chimici e fisici
interagiscono nella dinamica evolutiva del litorale. L‟ambiente costiero, in generale, e quello
dunale, nello specifico, rappresentano, per questo motivo, sistemi articolati e complessi nei
quali, in una stretta fascia di territorio, si ha il rapido passaggio dalla matrice marina a quella
terrestre con il conseguente instaurarsi di forti gradienti ambientali in funzione della
distanza dalla linea di costa. Per esempio, procedendo dal mare verso l‟entroterra, si attenua
l‟intensità dell‟aerosol marino, così come diminuiscono di norma gli effetti del vento e della
salsedine, mentre la concentrazione di nutrienti e la compattazione del suolo presentano un
andamento inverso (ved. Fig. 1.9). L‟ambiente costiero, quindi, costituisce un importante
22
Parte 1
esempio di ecotone (Packham & Willis 1997; WalKer et al. 2003); esso è pertanto
caratterizzato da forti gradienti ambientali e da elevata diversità ecologica (Acosta et al.
2003a). In questo ambiente di transizione e di scambio per eccellenza, e per di più altamente
dinamico, sono dunque moltissimi i fattori che contribuiscono alla sua morfologia ed
evoluzione. Il continuo rimodellamento è soggetto a meccanismi evolutivi a breve, medio e
lungo termine e gli agenti che ne determinano le transizioni temporali sono di natura
geologica e geomorfologia (peculiarità delle rocce da cui derivano i sedimenti delle spiagge,
apporto fluviale e azione delle maree), climatica (venti, irraggiamento solare, moto ondoso) e
anche biologica (attività degli organismi che popolano questi ambienti) (Packham & Willis
1997; Audisio & Muscio 2002). La duna costiera, appare, quindi, come un sistema
geomorfologico dinamico caratterizzato da un delicato equilibrio fisico; l‟instabilità
morfologica e la forte incoerenza del substrato lo rendono particolarmente sensibile alle
azioni erosive del mare, del vento e, alle sempre più numerose e deleterie azioni di disturbo
antropico.
Le dune costiere rappresentano “multifunctional ecosystems” (Van der Meulen & Udo de
Haes 1996). Nella Tab. 1.1 è riportata una sintesi delle principali azioni e funzioni svolte da
questi ambienti. Per lungo tempo le coste sono state usate per molti differenti scopi: per la
difesa costiera, per la captazione d‟acqua, per l‟agricoltura, per l‟estrazione di sabbie e
materiali inerti, per la costruzione di alloggi e per le attività turistiche (Carter 1991; Martínez
et al. 2004a). Tutte queste attività hanno portato e continuano a portare benefici alla
popolazione umana. Le aree costiere sono importanti sia per gli ecosistemi marini che per
quelli terrestri,il loro valore come “servizi ambientali” forniti dall‟uomo è pari al 40% del
valore complessivo dei servizi ambientali del nostro pianeta (Costanza et al. 1997). Oltre alla
loro importanza economica, le dune costiere hanno un valore intrinseco relativo alle sue
dinamiche temporali e spaziali che si sviluppano nello stretto confine tra terra e mare,
rappresentando così un eccezionale laboratorio per studi speculativi in un campo pressoché
infinito di discipline. Per esempio, esse sono state il sito di molte importanti ricerche
ecologiche dal diciannovesimo secolo. Il più vecchio studio sulla vegetazione costiera fu
attuato nel 1935 da Steinheil (van der Maarel 1993); in seguito altri studi in questi ambienti
hanno portato alcune delle prime teorie ecologiche che aiutarono a comprendere come
funzionano i sistemi ecologici. Per esempio, durante i primi tempi dell‟ecologia come
scienza, Cowles (1899) studiò le associazioni spaziali e temporali della vegetazione delle
dune sabbiose del Lago Michigan. Egli suppose che i cambiamenti vegetazionali nello spazio
erano paralleli ai cambiamenti della vegetazione nel tempo, e basandosi su questa
assunzione, i suoi studi fornirono la prima evidenza della successione. Inoltre, egli fu il
primo a sviluppare una prospettiva dinamica dell‟interazione tra la vegetazione e le
formazioni geologiche. Gli studi di Cowles furono determinanti per Clements che, quasi 20
anni più tardi (1916; 1936), sviluppò la teoria sulle successioni delle comunità vegetali.
23
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
Le dune costiere, infine, possiedono anche un importante valore paesaggistico, per la loro
bellezza, e culturale. Le zone costiere hanno sempre rivestito un‟importanza strategica per lo
sviluppo della civiltà. Per esempio, in Nuova Zelanda, gli insediamenti degli uomini
primitivi sorgevano sulle dune costiere (Hesp 2000; Martínez et al. 2004a), che, quindi,
contengono molte tracce archeologiche del patrimonio culturale Maori; ma lo stesso si può
dire per le civiltà greche, fenice… Inoltre, le dune dei Paesi Bassi e dell‟Olanda, sono state
ritratte da molti pittori e sono riportate anche in alcune canzoni popolari patriottiche
olandesi (Martínez et al. 2004a). Esse, comprendono, quindi, concentrazioni elevate di beni
naturali, archeologici, architettonici, storici e culturali.
Azioni/funzioni degli ambienti dunali costieri:
Azione fisica
• riserva di sabbia in grado di rifornire le spiagge nelle fasi erosive;
• barriera contro l‟ingressione marina e la conseguente inondazione dei territori costieri;
• quando assumono dimensioni rilevanti le dune possono anche costituire un ostacolo contro
l‟intrusione salina nelle acque di falda.
Azione biologica
Pur quasi monodimensionali le dune costituiscono:
• habitat unico per comunità vegetali molto specializzate alle quali sono riconducibili meccanismi di
formazione, accrescimento e consolidamento dei depositi eolici;
• habitat strategico per molte associazioni animali (mammiferi, uccelli, rettili, invetebrati).
Funzione ecologica
• azione complessiva di sostegno e protezione di altri ambienti ed ecosistemi quali aree umide, lagune
e laghi costieri, foci fluviali, agroecosistemi retrodunali, praterie di Posidonia ed altre fanerogame;
• in termini di rete ecologica, e più in generale di conservazione della biodiversità e geodiversità le
dune costiere possono svolgere il ruolo di zone tampone, core areas, corridoio ecologico, stepping
stone.
Tab. 1.1 - Principali azioni e funzioni degli ambienti dunali costieri.
3.2 VEGETAZIONE PSAMMOFILA E SUE CARATTERISTICHE
Le dune costiere sono caratterizzate da una diversità ecologica elevata, che è il risultato di
un ampio numero di fattori geomorfologici, eterogeneità ambientale, e variabilità di specie.
Negli ecosistemi costieri sabbiosi le relazioni tra la componente biotica (cenosi) e abiotica (in
particolare vento, maree, aerosol marino,..) sono molto strette e complesse. A causa della
limitata estensione e dei parametri abiotici fortemente limitanti che creano una condizione di
grande stress ambientale, questi ecosistemi hanno selezionato specie vegetali altamente
specializzate con particolari adattamenti e strategie che permettono loro di sopravvivere in
un ambiente tanto estremo (Biondi & Andreucci 1987; Packham & Willis, 1997; Pignatti
2002). La flora di questi ecosistemi, quindi, presenta una grande peculiarità: nessuna specie
delle sabbie marine può venire ritrovata negli ambienti continentali, e molto rari sono i casi
di specie continentali che possono sopravvivere sulle spiagge (Audisio et al. 2002). Secondo
Garbari (1984), per quanto riguarda l‟Italia, sono circa un centinaio le specie vegetali capaci
di vivere sulle dune spiagge, meno dell‟1,8% dell‟intera flora vascolare italiana.
24
Parte 1
Tra i principali elementi ecologici che rendono l‟ambiente costiero sabbioso estremo vi
sono l‟incoerenza e l‟aridità del substrato sabbioso, la carenza di nutrienti, la profondità della
falda freatica, la circolazione nel sottosuolo di acque salmastre, il vento salso, l‟aerosol e gli
spruzzi del mare, il forte irraggiamento estivo. Le piante che troviamo nei sistemi dunali
costieri devono perciò essere capaci di vivere in condizioni estreme, in apparenza
insostenibili per il regno vegetale. Il substrato sabbioso ha una struttura sciolta, per cui le
particelle vengono poste facilmente in mobilità dagli agenti di trasporto. La capacità di
ritenzione dell'acqua e di imbibizione è sulla sabbia praticamente nulla, a causa dei notevoli
spazi tra un granello e l'altro. Le dimensioni dei granelli di sabbia, inoltre, essendo
grandissime (2mm-63μm) se confrontate con le particelle di argilla dei normali suoli, offrono
una scarsissima superficie di adesione per l'apparato assorbente della pianta, costituito dal
complesso dei peli radicali. Ecco dunque che le piante, come primo requisito, devono
presentare radici con buona elasticità e resistenza alla trazione meccanica. Inoltre esse
presentano, come adattamento strutturale al substrato sabbioso, una porzione aerea poco
voluminosa rispetto a quella ipogea che risulta abbondante e fittamente ramificata, così da
creare un groviglio di rizomi e radici capace di trattenere fortemente la sabbia (Packham &
Willis 1997; Biondi 1999). In particolare le specie guida delle dune embrionali e delle dune
mobili, Elymus farctus e Ammophila arenaria, sviluppano fusti sotterranei molto lunghi (fino ad
80 cm per anno) che le ancorano alla sabbia (Huiskes 1979; Mulder 1993), e reagiscono al
continuo seppellimento producendo porzioni verticali di rizoma, che arrestano la loro
crescita in prossimità della superficie sabbiosa, dove emettono nuove foglie robuste, adattate
a resistere alla forte traspirazione indotta dalla ventosità elevata dell‟ambiente dunale (Fig.
1.8).
Un altro fattore condizionante per la vegetazione psammofila è che essa è costretta ad
oltrepassare con le sue radici uno spesso strato di sabbia asciutta, prima di giungere alla
falda d'acqua da cui alimentarsi; questa, infatti, data l‟elevata permeabilità del sedimento è
relativamente profonda, perciò gli apparati radicali devono avere un forte sviluppo in
lunghezza. La falda d'acqua, inoltre, è costituita di acqua marina, sulla quale 'galleggia'
l'acqua dolce che filtra dall'interno: si viene così a creare una variazione della salinità fra gli
strati superiori, più dolci, e gli inferiori, più salati (rapporto che, ovviamente, è anche in
funzione della maggiore o minore distanza dal mare). Le piante, devono dunque essere in
grado di adattarsi anche al variare della concentrazione di salinità del suolo. Le acque
salmastre circolanti nel sottosuolo sono di difficile assunzione, rendendo così necessaria una
certa alotolleranza dell‟apparato radicale con conseguente stratificazione della rizosfera
(Mulder 1993). Una caratteristica di queste piante è di avere i tessuti con una forte pressione
osmotica. Ciò permette di mantenere bassa nelle cellule la concentrazione degli ioni di sodio
massicciamente presenti nel suolo, così da consentire al potassio di svolgere correttamente la
sua funzione, come avviene nelle cellule delle piante che vivono sui terreni con bassa o nulla
concentrazione salina.
25
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
Fig. 1.8 - Stati successivi di sviluppo dell‟Ammophila arenaria durante il processo di insabbiamento (da Huiskes
1979).
La profondità alla quale l‟apparato radicale delle piante incontra la falda freatica è massima
nelle dune mobili e minima nelle depressioni interdunali, dove l‟acqua si raccoglie spesso in
superficie grazie alla presenza nel substrato di piccole quantità di particelle limose e
argillose, dilavate dalle porzioni anteriori delle dune. Con il tempo i sedimenti di marea
colmano le insenature dando luogo a bassi fondali di fango, formati da silt ed argilla, che
emergono durante la bassa marea ma vengono sommersi durante l‟alta marea. Su questi
fondali di fango può svilupparsi una vegetazione di alofite, che favorisce la deposizione di
maggiori quantità di sedimenti, così che il fondale si innalza fino quasi al livello dell‟alta
marea, divenendo una palude salmastra. Le correnti di marea mantengono attivo il loro
flusso nella zona ricoperta da vegetazione di alofite, mediante una fitta rete di canali sinuosi
modellati da correnti di marea, in cui l‟acqua fluisce alternativamente verso terra e verso il
mare.
Il vento marino è un altro 'nemico' che devono affrontare le piante dunali. Infatti esso
esercita intense sollecitazioni meccaniche, limitando la crescita e lo sviluppo delle piante, per
quanto la sua influenza vada via via diminuendo man mano che ci si allontana dalla battigia
(le stesse dune, poi, costituiscono un buon 'frangivento' naturale). Ecco allora i caparbi
adattamenti dell'habitus di crescita al vento, con soluzioni che oppongono minima
resistenza, come forme prostrate, unidirezionali, striscianti, a cuscinetto appiattito, a
cespuglio finemente suddiviso e il portamento a bandiera, tipica forma aerodinamica della
macchia. Tali architetture, inoltre, sono spesso conformate in modo da favorire l‟attività degli
animali impollinatori, offrendo loro varie tipologie di ripari e protezioni, cosicché possano
svolgere con maggiore efficienza l‟importante funzione (Corbetta et al. 1998). Il vento inoltre
disturba lo sviluppo delle piante sia con il suo carico di salsedine che con la sua azione di
smerigliatura, dovuta ai granuli di sabbia che trasporta. L‟azione dell‟aerosol marino
26
Parte 1
determina una selezione floristica in funzione della resistenza fisiologica delle piante
pioniere alla salsedine: l‟intensità dell‟aerosol è massima nel lato esposto al mare delle dune
embrionali e sulla cresta delle dune mobili.
Non dimentichiamo infine il forte irraggiamento estivo, che produce un intenso
surriscaldamento dello strato sabbioso superficiale tale che la temperatura dell‟interfaccia
regosuolo-aria può superare in estate 60°C, sottoponendo la vegetazione a lunghi periodi di
siccità estrema, durante le ore di luce (Mulder 1993). La pianta, se vuole vivere, deve così
adattarsi anche alle intense escursioni termiche diurne, come pure all'aridità atmosferica;
inoltre, l‟umidità relativa della sabbia in superficie è quasi pari allo 0%, tutte condizioni
queste, simili a quelle dei deserti (Pirone 1997). Per contro, nel suolo sabbioso (come del resto
in tutti i suoli 'a grana grossa') l'aria può circolare abbondantemente negli interspazi, il che
significa che le radici hanno buona disponibilità di ossigeno per la respirazione: le specie
psammofile hanno infatti spiccate esigenze di aerazione del loro substrato.
Gli adattamenti all‟aridità fisiologica del substrato sabbioso e alla xerotermicità utilizzati
dalle piante della duna, sono sia di tipo fisiologico che morfologico (Biondi & Andreucci
1998). Fra gli adattamenti fisiologici, si evidenziano quelli che aumentano la tolleranza delle
cellule verso le alte concentrazioni saline riducendo lo stress osmotico (per esempio,
l‟aumento del turgore cellulare e l‟elevata elasticità della parete cellulare) e quelli che
permettono alle piante di sopperire alla scarsa disponibilità di acqua e nutrienti (vari
adattamenti metabolici e accumulo di riserve). Un altro adattamento della maggior parte
delle specie dunali consiste nel ridurre il periodo vegetativo e concentrarlo fra inverno e
primavera, quando le piogge sono più frequenti e il calore non raggiunge i picchi estivi.
Adattamenti di tipo morfologico sono: la succulenza, che permette di conservare una certa
riserva d‟acqua; la sclerofillia, la microfillia e la spinescenza che contribuiscono a
economizzare l‟acqua; la pelosità, che riduce il movimento dell‟aria in prossimità degli stomi
limitando le perdite d‟acqua per traspirazione; l‟ispessimento delle cuticole per resistere
all‟abrasione; il colore glauco che attenua il surriscaldamento dovuto alla forte esposizione
alle radiazioni solari (Packham & Willis, 1997; Corbetta et al. 1998; Pignatti et al. 2002).
Della peculiarità di questa vegetazione Goethe, buon botanico oltre che massimo poeta,
scrive riguardo alla passeggiata al Lido di Venezia nell‟ottobre del 1786:
“….lungo la spiaggia ho anche trovato varie piante, i cui caratteri comuni mi hanno fatto conoscere
più da vicino le loro proprietà: sono tutte salde e forti, pieni di succhi e tenaci, ed è manifesto che
l’antica salsedine del terreno sabbioso,ma ancora più l’aria piena di sale, ha impresso loro queste
proprietà caratteristiche; son piante piene di succhi come le piante acquatiche e sono grasse e tenaci
come le piante montanine; e se il sommo delle loro foglie finisce quasi a spina, come fanno i cardi, le
foglie sono fortemente aguzze e rigide. Porterò con me alcuni semi ed alcune foglie disseccate..”
(Viaggio in Italia, 1816-17).
Questi caratteri generali osservabili nella vegetazione di tale tipo di ambiente sono
estremamente ripetitivi, al di là di quelli che potrebbero apparire i confini climatici: la
27
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
vegetazione dunale delle coste dell'Europa settentrionale e delle coste atlantiche ha infatti
una fisionomia del tutto paragonabile a quella delle coste meridionali del Mediterraneo, pur
con le inevitabili variazioni nella base floristica.
3.3 LE FITOCENOSI DUNALI E LORO IMPORTANZA
Le fitocenosi che colonizzano le coste sabbiose sono fortemente influenzate dalle
caratteristiche fisiche e microtopografiche del sistema dunale, collocandosi in questi habitat
lungo un gradiente complesso che si sviluppa a partire dalla linea di battigia, procedendo
verso l‟entroterra, perpendicolarmente alla linea di costa (Ranwell 1972; Barbour & de Jong
1977). Si caratterizza pertanto una ben definita zonazione di aspetti floristici, fisionomici,
strutturali ed ecologici, che viene anche denominata sequenza catenale (Fig. 1.9). Le comunità
psammofile e psammotolleranti, quindi, sono vicine e ordinate in funzione della variazione
di uno o più fattori ecologici; di conseguenza la sequenza catenale o zonazione costituisce
l‟espressione spaziale della variabilità ambientale. Sono molteplici le variabili ambientali (di
natura geomorfologica, edafica, microclimatica ecc.) che intervengono nella distribuzione
spaziale delle fitocenosi dunali e nei rapporti sociologici tra specie e comunità. I principali
fattori naturali che comportano la variazione della composizione floristica sono la distanza
dal mare, la natura geologica del substrato (incoerenza e mobilità dei sedimenti sabbiosi),
l‟inclinazione del suolo, l‟esposizione al sole e ai venti. Oltre alle esigenze ecologiche e ai
fattori topografici, ad influenzare la distribuzione spaziale delle comunità vi sono anche i
fenomeni di erosione naturale e l‟intervento antropico, che determinano non solo variazioni
nella composizione floristica, ma anche modificazioni sulla struttura della vegetazione,
erosione e denudamento del substrato. E‟ proprio la complessità di pattern abiotici e dei
processi tipici degli ecosistemi costieri responsabile della diversità e della peculiarità delle
biocenosi (Westhoff 1989).
In condizioni normali, lungo la sequenza catenale, incontriamo per prime le comunità
pioniere, situate più vicino alla battigia e, procedendo verso l‟interno, altre fitocenosi che
caratterizzano le dune e le loro retrovie (Fig. 1.9). Lo schema di questo sistema di comunità
forma una sorta di diaframma elastico sul quale gli affetti delle attività marine si attutiscono, e
la cui presenza è riconosciuta come condizione necessaria per l‟equilibrio della vegetazione
naturale retrostante. Una caratteristica, inoltre, della zonazione costiera è che le comunità
dell‟intero sistema psammofilo, non sono legate soltanto da rapporti spaziali ma anche da
rapporti temporali e dinamici. In questa prospettiva, le comunità pioniere sono gli stadi
iniziali del sistema, e quelle più complesse gli stadi progressivamente più maturi ed antichi.
L‟ecotono costiero rappresenta quindi quanto di meglio la natura possa aver realizzato per
assicurare il reciproco equilibrio ed una virtuosa fisiologica interazione tra due ecosistemi,
quello marino e quello terrestre.
28
Parte 1
Fig. 1.9 - Schema di una costa bassa sabbiosa in assenza di fattori di disturbo. Sono stati evidenziati, in alto,
l‟orientamento dei principali gradienti ambientali e, in basso, la tipica zonazione delle comunità vegetali che si
dispongono lungo tali gradienti in ragione dei particolari adattamenti e specializzazioni propri delle specie di
ciascuna fitocenosi (disegno di A. Merante, da Acosta & Izzi 2007d).
La vegetazione dunale ha un ruolo fondamentale nell‟edificazione, stabilizzazione ed
evoluzione geomorfologica dei sistemi dunali costieri in quanto innescano un processo di
edificazione geopedologica; possiamo considerare la vegetazione e la duna come elementi in
coevoluzione. In altre parole, la vegetazione psammofila esercita un‟azione di ostacolo al
trasporto eolico, contribuendo a favorire l‟accumulo dei sedimenti sabbiosi, impedendo il
loro avanzamento verso l‟entroterra. Con i propri apparati radicali, inoltre, aiuta a
consolidare il substrato, poiché trattiene la sabbia e ne permette l‟ulteriore deposito. Si può
affermare che le dune sono l‟azione combinata del mare che porta depositi, del vento che
trasporta sedimenti e delle piante che trattengono dette particelle ed edificano il tutto. Inoltre
la vegetazione psammofila, trattenendo la sabbia e consolidando gli accumuli eolici,
contribuisce alla conservazione delle dune costiere che rappresentano una riserva naturale di
sedimenti sabbiosi necessari per il ripascimento della spiaggia.
Le dune costiere con le proprie fitocenosi, svolgono, infine, un‟importante funzione di
protezione dalle inondazioni e di riparo dalla forza delle onde e dei venti, e rappresentano
delle barriere naturali alla salsedine e al trasporto delle sabbie verso l‟interno; i venti marini,
infatti, carichi di sabbia, di salsedine e di inquinanti aerosolizzati, non più sollevati, filtrati e
frenati dal “diaframma” protettivo costituito dalle dune e dalla vegetazione antidunale,
investono direttamente i boschi litoranei. Di conseguenza sono di notevole beneficio per la
coltivazione del territorio retrostante fino a molti chilometri nell‟entroterra, e consentono la
presenza di habitat particolari all‟interno della costa che rappresentano una vera riserva per
la biodiversità.
29
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
3.4 VULNERABILITÀ DEGLI AMBIENTI DUNALI
L‟habitat dunale costiero, per la facile alterabilità dei suoi equilibri dinamici, è per sua
natura da annoverare fra gli ecosistemi a più alta fragilità. Tale fragilità viene ulteriormente
esaltata e gli equilibri spesso gravemente compromessi, talora in maniera irreversibile, sia
per azione antropica diretta che indiretta. Parte della vulnerabilità dell‟ambiente dunale è
legata, come detto in precedenza, all‟estremo dinamismo che lo caratterizza e al fatto di
essere ubicato in prima linea rispetto a due potenti agenti atmosferici che possono provocare
erosione: il mare ed i forti venti marini. A tutto questo, però, bisogna aggiungere il crescente
ruolo svolto dall‟uomo nel rendere ancora più fragili questi ecosistemi. Possiamo affermare
che le dune sabbiose costiere e gli ambienti umidi limoso-sabbiosi retrodunali e litoranei ad
esse spesso associati, con le proprie comunità vegetali, attualmente sono tra gli ambienti più
vulnerabili e più seriamente minacciati a scala mondiale, dalla perdita della diversità
biologica (Audisio 2002). Infatti, nonostante la loro rilevanza ecologica, paesaggistica ed
economica, il precario e difficile equilibrio fisico del sistema dunale, nelle ultime decine di
anni, è stato turbato e spesso completamente stravolto dalla pressione antropica (Martínez et
al. 2004a).
L‟eccessivo sfruttamento delle risorse, la caotica espansione demografica e lo sviluppo
industriale sono le cause che a livello mondiale hanno portato alla degradazione di tali
sistemi (Martínez et al. 2004b). Arginature e canalizzazioni hanno modificato la costa in
prossimità delle foci dei fiumi, alterando la falda e gli apporti fluviali; spianamenti e
compattazione di dune, creazione di spiagge artificiali, strade litorali, camping e stabilimenti
balneari sono state alla base dell‟impressionante modificazione del litorale. E inoltre,
l‟inquinamento delle acque costiere, la crescente urbanizzazione, gli incendi, lo sfruttamento
agricolo e industriale, insieme ai cambiamenti climatici- quest‟ultimi peraltro di difficile
valutazione- e ai marcati fenomeni erosivi delle coste hanno comunque provocato una
sempre più generalizzata frammentazione di questi habitat, creando un‟urgente necessità di
appropriate strategie di intervento e di monitoraggio (Audisio 2002); come risultato, questa
stretta zona di tensione tra i due mondi, terrestre e marino, ha, quindi, subito trasformazioni
profonde e radicali che l‟ hanno portata a perdere man mano la propria naturalità,
costituendo in sistema sempre più artificiale e fragile. Il risultato di quest‟uso intensivo delle
aree costiere, è che in molte parti del mondo estesi sistemi dunali sono in un avanzato stato
di degradazione e talvolta sono irreversibilmente alterati; spesso, inoltre, le specie native ed
endemiche sono state eliminate e rimpiazzate dalle specie esotiche introdotte (Grootjans et al.
1997). In diverse aree costiere, le dune sono state completamente rimosse e i cambiamenti
sono avvenuti molto più velocemente di quanto non accadesse nelle aree interne. Oltre a ciò,
a causa delle barriere artificiali dovute all‟opera dell‟uomo, alta è la frammentazione degli
ecosistemi naturali “protetti” così da precludere la connettività tra le aree protette e la
“sopravvivenza” delle specie tutelate (Martínez et al. 2004b).
30
Parte 1
Sebbene, comunque, da tempo gli uomini abbiano influenzato gli ambienti costieri, è
nell‟ultimo periodo che questo processo è divenuto più imponente. In particolare, il turismo
estivo è aumentato drammaticamente negli ultimi 50-80 anni, portando ad un
peggioramento di molti ecosistemi costieri ben conservati. Oggi, una vasta proporzione della
popolazione umana nel mondo vive a 10 km dalla linea di costa e più del 50% a meno di 60
Km da essa (Van der Meulen & Udo de Haes 1996). Un esempio dell‟elevato grado di
modificazione delle dune costiere avviene in Nuova Zelanda, dove più di 115.000 ettari delle
dune sono state convertite in rimboschimenti e attività agricole negli ultimi 80 anni (Hesp
2000). Nei Paesi Bassi, gran parte delle antiche dune interne sono state scavate, e la sabbia è
stata usata per l‟espansione delle città e dei villaggi nelle aree interne della costa (Carter
1991). In Australia, 83% della popolazione, vive vicino alla costa, 25% entro 3 km,
aumentando la pressione su quest‟ambiente (Hesp 2000). Queste proporzioni probabilmente
valgono anche per molti paesi nel mondo (Martínez et al. 2004a). Per quanto riguarda
l‟Europa, lo sviluppo urbano, industriale e turistico sta provocando anche qui un forte
degrado e sta determinando crescenti pressioni su zone già fortemente provate; circa un
terzo della popolazione europea vive nel raggio di 50 km dalla costa. Si è stimato che,
dall‟inizio del 1900, su tutta l‟Europa si è avuta la perdita del 25% di dune costiere e circa il
55% delle coste rimanenti hanno perso il loro carattere naturale e sono sottoposte a gravi
minacce (Delbaere 1998). Già negli anni „50 Braun – Blanquet aveva rimarcato il pericolo
della scomparsa, in tempi brevi, della flora psammofila, a causa delle profonde modificazioni
antropiche delle coste (Pirone 1997). Il fenomeno della perdita del paesaggio dunale, ha
interessato praticamente tutti i Paesi costieri, comprese le coste atlantiche dei Paesi del Nord,
dove ha sollecitato da tempo l‟interesse di fondazioni scientifico-naturalistiche, quali il
National Trust in Gran Bretagna e la Stichting Duinbehoud nei Paesi Bassi, volte a
proteggere questi particolari ecosistemi (Pirone 1997). Da molti anni l‟Unione Europea ha
avviato programmi inerenti lo studio e la risoluzione delle problematiche relative agli
ambienti costieri in un‟ottica di sostenibilità indicando in vari documenti e Comunicazioni
(COM 95/511/CE; COM 00/547/CE; RAC 02/413/CE), le possibili soluzioni e le linee guida
da seguire per una Gestione Integrata Sostenibile della Zona Costiera (ossia la ICZM –
Integrated Coastal Zone Management) allo scopo di promuovere la collaborazione in sede di
pianificazione e gestione delle zone costiere. Un valido strumento, è rappresentato poi dalla
direttiva 92/43/CEE; essa permette di individuare azioni coordinate e coerenti che
consentano l‟uso del territorio e lo sfruttamento delle risorse in una logica di sviluppo
sostenibile per il mantenimento vitale degli ecosistemi (Coucil of Europe 1991).
Nel futuro è probabile che le zone litoranee siano esposte a pressioni crescenti, in
particolare sugli habitat, sulle risorse naturali (suolo, acque dolci e marine, energia)
soprattutto a causa dell‟aumento della richiesta di infrastrutture (porti e marine, trasporti,
impianti per il trattamento delle acque reflue, ecc.)(Martínez et al. 2004a). Non dobbiamo
dimenticare, inoltre, gli accentuati fenomeni erosivi che interessano le coste del mondo; essi
31
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
sono provocati oltre che da cause naturali anche e soprattutto da quelle antropiche, che in
parte gli hanno favoriti, distruggendo la vegetazione dunale e incidendo sulla riduzione
degli apporti sedimentali dei fiumi. In effetti, il fenomeno erosivo è tale da suggerire che, in
alcuni casi, alla tendenza naturale si sia sovrapposta una concausa antropica. I fenomeni
erosivi interessano oggi più del 70% delle coste sabbiose del mondo (Bird 1985) e
rappresentano uno dei problemi più seri considerando anche la risalita del livello marino a
causa dei cambiamenti climatici (Feagin et al. 2005). La crescente antropizzazione delle aree
litoranee e i processi di erosione marina hanno, quindi, innescato fenomeni di degrado quasi
ubiquitari, aggravati dal loro andamento progressivo. A livello mondiale, rimangono,
tuttavia, tratti di costa che ancora conservano ecosistemi immacolati o poco disturbati,
incorporando una ampia varietà di scenari e ecosistemi. Poiché è probabile, da quanto detto,
che lo sviluppo umano e le attività sulla costa continueranno, queste aree poche disturbate
hanno bisogno di urgenti e appropriate politiche di conservazione e gestione per assicurare
che esse conserveranno le loro caratteristiche e saranno disponibili per le generazioni future.
3.5 GLI EFFETTI DELL’ANTROPIZZAZIONE SULLE FITOCENOSI COSTIERE
L‟attività antropica può agire sui diversi elementi del sistema dunale, da quelli morgolofici,
a quelli pedologici, a quelli biologici, cioè sulle fitocenosi. Disturbi di una certa entità si
ripercuotono sulla morfologica dunale, e questo porta ad un‟alterazione delle comunità, dei
loro rapporti e da ultimo del paesaggio stesso, con modificazioni la cui intensità varia con
l‟intensità del disturbo (Acosta et al. 2000a; Acosta et al. 2003a; Acosta et al. 2003b; Ercole et al.
2007).
Gli effetti dell‟antropizzazione diretta delle spiagge e delle dune hanno cause multiple. Il
livellamento geomorfologico per ricavare una larga spiaggia piatta, più favorevole ai turisti,
ha per effetto la quasi totale scomparsa della zonazione dunale fino alle comunità legnose
retrodunali, in alcuni casi con profitto per alcune specie pioniere o nitrofile (Biondi 1999).
L‟impatto antropico diretto sulle fitocenosi costiere è ben evidente quando è derivato da
costruzioni, manufatti e infrastrutture per il turismo residenziale. Appare invece meno
evidente ai non addetti ai lavori quando è causato dalla “ripulitura della spiaggia” per il
turismo balneare. Questi interventi di ripulitura, con spianamenti del primo cordone dunale
e la cancellazione delle prime associazioni vegetali pioniere, eliminano la prima linea di
difesa per le fitocenosi che seguono. La vegetazione retrostante viene quindi a essere esposta
all‟azione erosiva dei venti, allo spray marino etc. con notevoli danni e conseguenti
dinamiche degradative, poiché queste associazioni vegetali non presentano le stesse
caratteristiche morfo-anatomiche e funzionali delle fitocenosi di “prima linea” eliminate. In
tale stato di squilibrio, inoltre, nuove specie invadenti, tra cui molte esotiche, trovano facile e
vincente competizione con le specie locali, conquistando ampia e talora massiccia diffusione.
32
Parte 1
Il continuo calpestio da parte dei turisti provoca sulla duna la comparsa di specie resistenti
che prendono il posto delle piante caratteristiche delle varie zone (es. Cynodon dactylon,
Plantago macrorrhiza). Anche gli incendi possono toccare la zonazione dunale, soprattutto nei
suoi biotopi continentali. Le macchie a ginepro si trasformano così in cisteti a Cistus
monspeliensis, C. creticus, ecc. o in vasti popolamenti ad Halimium halimifolium, come per
esempio in Corsica, in Sardegna o nel Sud dell‟Adriatico (Géhu & Biondi 1994).
Tra le cause dell‟alterazione per antropizzazione diretta della duna vi sono spesso anche
quelle dovute alla cattiva gestione forestale dei biotopi. Molte volte, infatti, la costituzione di
pinete artificiali sulle sabbie in posizione avanzata invece che diminuire i processi erosivi li
accelera, poiché toglie al sistema la necessaria elasticità e non favorisce l‟accumulo della
sabbia contribuendo così ad un “ingessamento” del sistema dinamico costiero (Géhu &
Biondi 1994). La degradazione prodotta dai rimboschimenti è una delle principali forme di
regressione della biodiversità dunale, non solo in rapporto con l‟enorme estensione spaziale
che tali interventi hanno interessato ma soprattutto perché riguardano i sistemi dunali non
distrutti fisicamente. La maggior parte delle piante esotiche introdotte, inoltre, quali Pinus
sp. pl., Acacia sp. pl., Eucalyptus sp. pl., non sopportano molti i commensali e distruggono
rapidamente le comunità naturali nelle quali sono state introdotte (Géhu & Biondi 1994);
inoltre, presentano spesso vistosi segni di sofferenza e di deperimento, soprattutto sul fronte
a mare.
4. SPECIE ESOTICHE: UNA MINACCIA ALLA BIODIVERSITA’
In molte parti del mondo, una delle principali cause di perdita della biodiversità è
rappresentata dall‟introduzione, al seguito dell‟uomo, di un crescente numero di specie al di
fuori del loro areale originario (Rejmánek 1995), quelle che si definiscono specie esotiche o
aliene o alloctone. L‟invasione operata da queste specie interessa diversi tipi di ambienti, tra
cui, come in precedenza sottolineato, i già di per se delicati habitat costieri. Ciò nonostante, le
problematiche scaturite dalle cosiddette “invasioni biologiche”, come viene comunemente
indicata la diffusione delle specie esotiche, sono state spesso trascurate o sottovalutate. Della
natura delle introduzioni e delle loro conseguenze, ci occupiamo in questo paragrafo.
4.1 LE INTRODUZIONI DI SPECIE ESOTICHE
La flora di un determinato territorio è il risultato di un complesso insiemi di fenomeni,
alcuni dei quali antichi, valutabili con la scala degli eventi geologici, altri più recenti o attuali,
riferibili alla storia dell‟uomo e direttamente analizzabili. Dal punto di vista corologico gli
elementi che costituiscono una flora possono essere distinti in “geografici” e “generici”
(Viegi et al. 1974). I primi sono definiti praticamente dal loro areale, cioè dalla superficie sulla
33
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
quale un‟entità tassonomicamente valutabile è distribuita naturalmente. Nell‟ambito di una
flora presente su un determinato territorio, accanto alle entità native o autoctone, che
risultano “naturalmente” e stabilmente insediate, sono rilevabili piante che si riconoscono
estranee a quel territorio, in quanto provenienti da regioni diverse e talora lontane (Viegi et
al. 1974). Sono le cosiddette “esotiche” (o aliene o alloctone), entità che, in vario modo, per
cause naturali o antropiche, più o meno recentemente, sono entrate a far parte della flora di
un territorio non compreso nell‟area naturale della loro distribuzione. Gli areali naturali delle
specie sono limitati, come sappiamo, da barriere ambientali e climatiche che impediscono la
dispersione degli individui e dei loro propaguli. Oceani, deserti, catene e massicci montuosi,
grandi corsi d‟acqua, sono tutti fattori geografici che limitano gli spostamenti di molte
specie. Come risultato dell‟isolamento geografico, l‟evoluzione ha seguito vie differenti nei
diversi continenti e nelle isole (Primack & Carotenuto 2003). Ma a stravolgere ed alterare
questi originali pattern di distribuzione delle specie è stato soprattutto l‟uomo. Nel corso
della storia umana, infatti, moltissime specie sono state introdotte, volontariamente o
accidentalmente, in aree geografiche dove erano assenti (Vitousek et al. 1996). Numerose
specie vegetali sono state introdotte come piante ornamentali o come piante alimentari per
uomini e animali domestici (Ferrari 2001). Molte specie si sono poi espanse al di fuori dei
coltivi diffondendosi su vaste aree, fino a divenire invasive. Inoltre un numero
incredibilmente alto di specie è stato introdotto per trasporto e rilascio accidentali. Ad
esempio, i semi di alcune specie erbacee infestanti sono stati raccolti insieme a semi di piante
coltivate e trasportati così in nuove aree (Ferrari 2001; Scalera 2001). Le introduzioni non
sono, comunque, un fenomeno recente; le loro origini risalgono addirittura alla preistoria.
Per questo motivo, talvolta potrebbe risultare assai difficile, se non addirittura impossibile,
stabilire se una data specie è giunta in una certa regione per cause naturali o al seguito
dell‟uomo. L‟idea di abbellire i giardini con specie di lontani paesi ha esercitato fin
dall‟antichità un fascino particolare. Già gli Egiziani compivano lunghe spedizioni per
ricercare alberi esotici, ed i Greci prima e i Romani poi, attraverso i loro contatti con genti
diverse scambiavano piante. Con il Rinascimento in Italia ed anche in Europa questo gusto
venne nuovamente scoperto, divenendo un costume consolidato durante tutto l‟ottocento.
Certo è che negli ultimi anni la continua traslocazione di specie, che ormai coinvolge
un‟infinità di organismi animali e vegetali in ogni parte del pianeta, sta assumendo
proporzioni davvero inquietanti, soprattutto a causa della crescente liberalizzazione del
mercato. La ridotta distanza tra i Paesi, per commercio o per turismo, ha aumentato il
numero di introduzioni accidentali di specie aliene. Molte piante esotiche, superate le prime
fasi di acclimatizzazione nella patria di adozione, possono trovare condizioni ecologiche ed
edafiche simili a quelle della regione d‟origine, per cui riescono ad insediarsi stabilmente, a
diffondersi con mezzi propri e a diventare parte integrante della flora del territorio. Altre
riescono ad impiantarsi solo transitoriamente: si mantengono per qualche tempo nella
stazione d‟arrivo, senza alcun accenno alla propagazione, per poi scomparire dopo una o
34
Parte 1
poche generazioni. La componente di origine esotica, quindi, può essere assai variabile nello
spazio e nel tempo, in quanto è soggetta ad un notevole dinamismo dettato dal successo di
alcune specie a fronte della scomparsa di altre. Secondo recenti stime, il numero di piante
vascolari esotiche nei singoli paesi del mondo supera il migliaio: 1360 nelle isole Britanniche
(circa 40% della flora totale) (Ellis 1994); 1500-2000 specie introdotte in Australia dalla
colonizzazione degli europei, più di 200 delle quali considerate infestanti nocive (Humphries
et al. 1991; Parsons & Cuthbertson 1992); infine, più di 2000 specie esotiche sono state
registrate negli Stati Uniti, molte delle quali causano importanti danni economici ed ecologici
(U.S. Congress, Office of Technology Assessment 1993)
4.2 CONSEGUENZE DELL’INTRODUZIONE DI SPECIE ESOTICHE
Le specie esotiche sono state definite con l‟appellativo di “cancri verdi” o “flagelli verdi”
(Koopwitz & Kaye 1990) a causa delle loro conseguenze sugli ecosistemi naturali e sulle
specie native, di cui ne possono causare il declino e l‟estinzione. La recente European
strategy on Invasive Alien Plants definisce le specie esotiche invasive come quelle specie
esotiche la cui introduzione e/o diffusione minacciano la diversità biologica. Le implicazioni
ecologiche delle invasioni sono di primaria importanza e coinvolgono l‟intera biosfera, dagli
habitat acquatici alle terre emerse. Possiamo dire che il problema relativo alle invasioni di
specie esotiche costituisce una delle sfide più importanti in cui è impegnata l‟Ecologia
odierna.
Già Elton (1958) sosteneva che l‟introduzione di organismi viventi all‟esterno delle aree in
cui si sono evoluti può causare alterazioni permanenti a tutti i livelli di organizzazione
ecologica. E‟ ben noto, infatti, che gli ecosistemi sono caratterizzati da strette relazioni tra le
loro componenti biotiche e abiotiche e da una loro struttura spaziale (Primack & Carotenuto
2003). Le specie esotiche invasive possono alterare queste caratteristiche, modificando sia il
numero sia la composizione delle specie, le relazioni nelle reti trofiche e la ripartizione delle
risorse nell‟ecosistema. Quindi, anche se la presenza di nuove specie sembra aumentare la
biodiversità su scala locale, essa può compromettere gli equilibri all‟interno di un sistema e
alterare le relazioni tra le specie viventi in una particolare area, stabilendo nuove dinamiche
di interazione fino a causare la possibile estinzione delle specie native (Ferrari 2001). Le
specie alloctone possono agire sia direttamente, per competizione, che indirettamente,
interferendo nei rapporti interspecifici tra i componenti di una comunità e modificando gli
equilibri preesistenti negli ecosistemi (Callaway & Aschehoug 2000; Alvarez & Cushman,
2002). L‟invasione da parte delle specie esotiche può cambiare la struttura delle comunità
occupate e alterare le loro proprietà specialmente quando le specie introdotte sono
qualitativamente differenti dalle specie native (Parker et al. 1999). Quando le specie esotiche
invadono nuovi habitat possono sostituire le specie native, le specie minacciate e vulnerabili
e quelle rare e a rischio di estinzione e causare locali estinzioni (Brock & Farkas 1997; Mack et
35
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
al. 2000; Scherer-Lorenzen et al. 2000).
Un ulteriore rischio consiste nelle interazioni
genetiche tra piante introdotte e native (ibridazione), che in alcuni casi può minacciare la
persistenza di specie rare (Rhymaer & Simberloff 1996). Tra gli effetti a breve-medio termine
dell‟invasione di specie esotiche sono stati descritti: perdita di biodiversità (Lodge 1993;
Huston 1994), declino delle piante native e della biodiversità dell‟ecosistema con la creazione
di campi monospecifici (D‟Antonio & Vitousek 1992), cambiamenti nei regimi dei disturbi
(Van Wilgen & Richardson 1985; D‟Antonio & Vitousek 1992), alterazione dei cicli del fuoco
(D‟Antonio & Vitousek 1992), alterazione del ciclo dei nutrienti (MacDonald et al. 1989;
Vitousek 1990), alterazione della qualità di cibo per la fauna selvatica (Medina 1988),
cambiamento nella distribuzione del pascolo per gli animali selvatici (Trammel & Butler
1995), la formazione di nuovi e diversi paesaggi (Atkinson & Cameron 1993; Vitousek et al.
1997b), senza poi considerare gli ingenti danni economici, sanitari e socio-culturali che
necessariamente si riflettono su tutta la società (Pimentel et al. 2002).
Possiamo dire, inoltre, che le invasioni biologiche portano alla “ecological homogenisation“
del mondo e contribuiscono in modo considerevole al cambiamento globale (D‟Antonio &
Vitousek 1992; Lodge 1993; Mooney & Hobbs 2000). Lo spostamento di specie da un‟area a
un‟altra rappresenta una dei maggiori cambiamenti a livello mondiale (Vitousek et al. 1997a),
confondendo i confini tra le regioni biogeografiche (Elton 1958). Il neofitismo, cioè
l‟insediamento delle specie esotiche, è il frutto di questo fenomeno della sinatropizzazione
definito da Falinski (1986; 1998) come l‟insieme dei cambiamenti prodotti dall‟uomo sulla
flora, la vegetazione, le comunità e gli ambienti. L‟essenza di questo fenomeno della
sinantropizzazione, è, secondo Sukopp (1998) il processo di sostituzione (Sukopp 1998) e di
omogeneizzazione delle comunità (Vitousek et al. 1997b): le specie native sono sostituite
dalle esotiche, e le stenotipiche (organismi con un range ristretto) dagli euritipici (organismi
con un ampio range), e le specie endemiche dalle cosmopolite.
Su scala mondiale, molti sono gli esempi di introduzioni di specie esotiche con effetti
disastrosi in termini ecologici ed economici. Non tutte le specie introdotte, però, sono nocive;
le specie esotiche in generale contribuiscono alla biodiversità di una regione e possono essere
anche una componente interessante e utile della flora (Hanson 1995; Baker 1996). In generale,
la maggioranza delle specie non riesce a superare la serie di barriere presenti (riproduttive,
ambientali) e a stabilirsi in nuovi territori. Tuttavia una piccola parte di esse, indicate con il
termine di “invasive” (Richardson et al. 2000), riesce a stabilirsi nella nuova area geografica e,
in assenza dei fattori che ne controllano la diffusione nelle regioni d‟origine (predatori,
parassiti, competitori efficaci), si propaga rapidamente su ampie superfici fino a divenire una
minaccia per la biodiversità (Camarda et al. 2005). Perciò, tra le specie esotiche introdotte,
solo una parte diventa dannosa. Secondo una regola empirica, infatti, solo una su dieci riesce
ad insediarsi in maniera stabile e di queste generalmente non più di una su dieci finisce per
costituire un problema per le comunità autoctone (Williamson& Brown 1986; Williamson
1993; Kowarik 1995). E‟ importante, inoltre, ricordare che la possibile invasività di una specie
36
Parte 1
è legata a una combinazione tra le sue caratteristiche ecologiche e quelle dell‟ecosistema nel
quale si trova ad essere introdotta. Appare dunque chiaro che una medesima specie può
comportarsi da invasiva in un ambiente e non farlo in un altro diverso dal primo (Tilman
1997; Ferrari 2001).
Inoltre è stato osservato che comunità primarie (e quindi autoctone) ben strutturate e
composte da numerose specie sono in grado di prevenire l‟insediamento di specie esotiche al
loro interno, in quanto non saranno disponibili nicchie ecologiche vacanti per la specie aliena
(principio di esclusione competitiva e “biotic resistrance hypothesis”) (Elton 1958); questa
teoria, come vedremo ha presentato risultati contrastanti in relazione alla scala utilizzata
(Espinosa-García et al. 2004). Al contrario, in ambienti sottoposti a disturbi antropici di vario
genere, è più facile che siano presenti nicchie ecologiche vuote dove specie aliene, soprattutto
se già adattate a quei disturbi, possono insediarsi più o meno stabilmente (Hobbs &
Huenneke 1992; Burke & Grime 1996). Il disturbo antropico facilita ad esempio l‟invasione
delle piante esotiche creando suolo disponibile all‟invasione, riducendo la copertura delle
specie autoctone, eliminando le strette relazioni tra gli organismi autoctoni, creando nicchie
vacanti, cambiando il naturale regime dei disturbi (Orians 1986; Mack & D‟Antonio 1998). E‟
stato, infatti, osservato che la probabilità che una specie aliena riesca ad insediarsi con
successo è direttamente correlata al grado di disturbo antropico e di alterazione
dell‟ambiente naturale (Mack 1985; Baker 1986; Mooney et al. 1986; Heatwole & Walker 1989;
Huston 2004; Leishman & Thomson 2005). Alcuni autori hanno poi osservato che le invasioni
biologiche generalmente hanno maggior successo in ambienti ricchi di risorse, quando, in
seguito a disturbo antropico, queste risorse divengono disponibili per le specie esotiche
(Rejmánek 1989; Davis et al. 2000). Altri autori hanno osservato che ecosistemi caratterizzati
da forte stress ambientale sono più resistenti alle invasioni biologiche rispetto ad ecosistemi
con stress meno intenso (Rodgers & Parker 2003). Questi autori hanno messo in evidenza
come il disturbo antropico interagisca con gli stress ambientali nel determinare l‟abbondanza
di specie esotiche. In ambienti dove il disturbo antropico riduce gli stress ambientali le
esotiche hanno maggiori possibilità di insediarsi, al contrario, in ambienti dove il disturbo
antropico comunque non altera il forte stress ambientale, quest‟ultimo funziona da barriera
efficace per le specie esotiche che vi giungono (Rodgers & Parker 2003).
Recentemente, numerosi autori hanno inoltre posto l‟accento sulle strette relazioni tra le
invasioni ecologiche e i fattori socio-economici delle aree geografiche in questione (Sala et al.
2000; Sax 2002; Kowarik 2003; Myers & Bazely 2003; Liu et al. 2005), in quanto le attività
umane hanno, come già detto, un‟importante influenza sulla dispersione e la
naturalizzazione delle piante esotiche (Sax 2002). Questi fattori andrebbero presi in
considerazione in ogni studio sulle invasioni di piante esotiche (Myers & Bazely 2003).
Alcuni risultati mostrano che la densità della popolazione umana e le attività umane hanno
importanti effetti sulle invasioni biologiche (Pyšek et al. 1998; Myers & Bazely 2003). In realtà
esiste spesso un rapporto sinergico tra i diversi processi di degrado ambientale (cambiamenti
37
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
nell‟uso del suolo, cambiamenti climatici globali, aumento della concentrazione di anidride
carbonica nell‟atmosfera, introduzioni di specie alloctone, deposizione di ossidi di azoto al
suolo), così che molti autori prevedono un futuro incremento dei processi di invasione
biologica a livello mondiale. La gravità e la diffusione del fenomeno impongono, quindi, di
predisporre appropriate contromisure per contenere la sua portata entro limiti sostenibili,
cercando altresì di contrastarne gli effetti a tutti i livelli in cui esso si ripercuote.
4.3 LA PROBLEMATICA DELLE SPECIE ESOTICHE IN EUROPA E IN ITALIA
Il problema delle invasioni biologiche ha interessato in quest‟ultimo ventennio la comunità
scientifica a livello mondiale, come dimostrano i numerosi dati di letteratura; esso è in stretta
connessione sia con la problematica dei cambiamenti globali del pianeta indotti dalle attività
umane, sia con la tutela della biodiversità. In Europa il problema delle specie vegetali
esotiche ha interessato i botanici a partire dalla seconda metà dell‟800. Oggi, molte specie
esotiche vegetali, introdotte da meno di 200 anni, sono pienamente naturalizzate ed
occupano estese superfici all‟interno dell‟Unione Europea (Weber 1997). Si osserva, inoltre,
un continuo incremento delle aree invase e del numero complessivo delle specie esotiche di
nuova introduzione. Pertanto, anche alcune specie esotiche che attualmente hanno una
limitata frequenza, potrebbero, in futuro, diventare molto diffuse nei Paesi dell‟Unione
Europea. L‟attenzione dell‟Unione Europea al problema delle invasioni biologiche, già nel
corso del Quinto Programma Quadro ha consentito il finanziamento e l‟avvio di un progetto
di ricerca denominato EPIDEMIE (Exotic Plant Invasion: Deleterious Effects on
Mediterranean Island Ecosystems) iniziato nel 2000 che ha voluto studiare in maniera
originale i processi di invasione in atto nelle isole del Mediterraneo, proponendo strumenti
di gestione per gli habitat più vulnerabili e richiamando maggior attenzione al problema da
parte delle amministrazioni pubbliche. Le isole del Mediterraneo sono fondamentali centri di
biodiversità dell‟Unione Europea, pertanto la minaccia rappresentata dalle specie esotiche
invasive è di rilevanza internazionale.
Le differenze che esistono tra le diverse isole
consentono di studiare aspetti molti diversi del processo invasivo, evidenziando tendenze
comuni o divergenze specifiche. Un altro progetto europeo è stato il Progetto GIAN ALIEN,
iniziato nel 2001. L‟Unione Europea, inoltre, con lo strumento finanziario LIFE, ha già
finanziato diversi interventi di rimozione di specie vegetali esotiche.
Per quanto riguarda l‟Italia, l‟interesse verso la flora esotica ha consentito di accumulare,
nel corso degli ultimi secoli, una ricca base informativa sulle specie introdotte (Scoppola &
Blasi 2005). La prima monografia dedicata alla flora esotica d‟Italia è di Béguinot & Mazza
(1916) cui ha fatto seguito il lavoro di Viegi et al. 1974 e diversi studi sulla flora esotica delle
singole regioni: Toscana (1981); Abruzzo e Molise (1989), Sardegna (1993), Piemonte (1999),
Marche (2004a) e Umbria (Viegi et al. 2004b). Le stime complessive più recenti, ottenute dalla
banca dati della nuova checklist della flora vascolare italiana (Conti et al. 2005), indicano la
38
Parte 1
presenza di 782 specie esotiche naturalizzate, pari all‟ 11,2% della flora totale italiana
(Scoppola & Blasi 2005) d‟Italia. Si tratta di valori molto inferiori rispetto a quelli di altri
paesi ad esempio dell‟Europa Centrale (Celesti Grapow & Blasi 1998): in Repubblica Ceca le
specie vegetali esotiche costituiscono il 33% (Pyšek 2002), in Germania il 22% (Kowarik
2002). Un altro aspetto, inoltre, da considerare è che nel nostro territorio le specie che
realmente riescono a penetrare nelle cenosi naturali e a minacciare i popolamenti autoctoni
sono relativamente poche, soprattutto se confrontate con la situazione che si riscontra nel
Nuovo Mondo, in particolare in Australia, Nuova Zelanda e nelle isole Oceaniche (Hawaii).
Ciò nonostante esistono specie problematiche per le cenosi naturali, taxa in forte espansione
e casi di particolare gravità, e pertanto anche in Italia le invasioni costituiscono una minaccia
alla conservazione della biodiversità (Celesti Grapow 2005).
4.4 LE SPECIE ESOTICHE NEL MEDITERRANEO
Un discorso particolare merita la problematica delle specie esotiche nel Bacino del
Mediterraneo. Secondo il lavoro di Sala et al. (2000), di cui abbiamo parlato in precedenza,
sono tre le principali cause della biodiversità per l‟area mediterranea nei prossimi anni (Fig.
1.4) nell‟ordine: l‟uso del territorio, l‟introduzione di specie esotiche, i cambiamenti climatici.
L‟impatto causato dalle invasioni, quindi, rappresenta un elemento determinante in questo
bioma, come anche in quello delle foreste temperate e dei sistemi delle acque interne. Le
invasioni biologiche, sono, invece, un elemento secondario negli ecosistemi artici e alpini e
nei tropici. A tal riguardo però, rispetto alle invasioni di piante esotiche in altre regioni
mediterranee (California, Cile centrale, Regione del Capo in Sud Africa, Australia suoccidentale), il Bacino del Mediterraneo presenta un certo paradosso. A causa della sua
disposizione geografica, e della lunga tradizione dei commerci marittimi e terrestri con altre
parti del mondo, esso è stato frequentemente esposto a molte introduzioni e invasioni di
specie esotiche (di Castri 1989; Quezel et al. 1990). Inoltre, il Bacino del Mediterraneo è
sempre stato interessato da un elevato grado di pressione antropica e disturbo: incendio,
pascolo, urbanizzazione, trasformazione delle pratiche agricole. Nonostante tutto, però,
questa regione, come è stato osservato in precedenza per l‟‟Italia, è generalmente considerata
poco invasa dalle specie esotiche rispetto alle altre regioni mediterranee (Di Castri 1990;
Naveh & Vernet 1991) con solo 250 specie naturalizzate, cioè l‟1% della flora totale (Quezel et
al. 1990). Circa 900 specie vegetali, invece, si sono naturalizzate in Australia negli ultimi anni,
650-750 in California e circa 320 nel Sud Africa (Primack & Carotenuto 2003). Si è osservato,
inoltre che la flora del Bacino del Mediterraneo, spesso offre un‟importante sorgente di
specie aliene per le altre regioni mediterranee, in particolare della California (Quezel et al.
1990; Groves & di Castri 1991). Molte specie esotiche comunemente naturalizzate nel
Mediterraneo sono divenute delle pericolose invasive in altre regioni del mondo con clima
mediterraneo. Sebbene la percentuale delle esotiche per il Bacino del Mediterraneo su
39
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
riportata sia probabilmente sottostimata, si ritiene che la vegetazione Mediterranea è
probabilmente meno alterata dall‟invasione di specie esotiche a causa della sua progressiva
acquisizione di resistenza alle costanti perturbazioni umane e naturali. Nel Bacino
Mediterraneo l‟elevata biodiversità, la costante introduzione di nuove specie e il lungo
adattamento della flora all‟impatto dell‟uomo hanno reso numerose comunità vegetali
relativamente resistenti alle invasioni (di Castri 1990; Naveh & Vernet 1991) e le specie
introdotte rimangono, per la maggior parte, confinate agli habitat antropizzati (come le aree
turistiche, aree costiere), degradati e frammentati e alle coltivazioni. Tuttavia, alcune piante
esotiche impongono una seria minaccia agli ecosistemi costieri del Bacino del Mediterraneo a
causa dell‟elevata proporzione di specie endemiche e rare. Secondo Primack & Carotenuto
(2003) il monitoraggio della flora esotica, soprattutto negli ambienti insulari del
Mediterraneo molto ricchi di specie endemiche, è oggi una delle azioni prioritarie per la
tutela della biodiversità e del paesaggio naturale.
4.5 LE SPECIE ESOTICHE NEGLI AMBIENTI DUNALI COSTIERI
Gli ambienti costieri sabbiosi e quelli fluviali risultano tra i più vulnerabili alle invasioni
biologiche. In seguito al suo continuo estendere le proprie attività lungo i litorali, infatti,
l‟uomo ha prodotto crescenti alterazioni a carico dei delicati equilibri ambientali, tra cui
quella relativa all‟introduzione, accidentale o volontaria, di specie esotiche. Abbiamo già
avuto modo di osservare che l‟ambiente delle dune litoranee è per sua natura instabile,
essendo gli equilibri delicati e strettamente legati alle dinamiche erosive e costruttive del
vento e del mare, oltre che ai molteplici fattori di disturbo naturali e antropici. Inoltre, la
copertura delle comunità dunali tende a offrire spazi liberi da vegetazione che possono
essere invasi con relativa facilità dalle specie aliene. L‟azione dell‟uomo può accelerare e
rendere drammaticamente esteso il fenomeno dell‟invasione: il calpestio delle dune,
l‟impianto di specie esotiche per ornamento o per consolidare artificiosamente le sabbie, il
rilascio di rifiuti e i movimenti del terreno conseguenti a certe attività costituiscono solo
alcuni esempi di come l‟antropizzazione riesca a rendere le dune del nostro litorale una vera
terra di conquista per gli invasori vegetali. Questo ha contribuito e contribuisce in modo
sensibile alla propagazione di specie che vanno a perturbare gli equilibri e la naturale
composizione delle fitocenosi dunali. Poiché il fenomeno può progredire fino a condurre alla
scomparsa di specie caratterizzate da estesi e robusti apparati radicali, non è soltanto causa
di consistenti perdite per la biodiversità ma, riducendo l‟azione consolidante dei substrati
sabbiosi, può giungere a danneggiare l‟integrità stessa dei sistemi dunali costieri. Con il
trascorrere del tempo – e, in particolare, se si tratta di entità invasive – esse possono occupare
spazi progressivamente più estesi, interferendo, anche in modo grave, con le già delicate
dinamiche di mantenimento delle dune e della loro vegetazione. Le invasioni biologiche
hanno conseguenze che si esplicano in modo complesso, spesso ripercotendosi a vari livelli.
40
Parte 1
Ciò rende particolarmente difficile approntare le opportune contromisure per contrastarle.
Le specie esotiche, come detto in precedenza, possono alterare le strette relazioni tra le
componenti biotiche e quelle abiotiche dell‟ecosistema, modificando sia il numero sia la
composizione delle specie, perturbando le relazioni nelle reti trofiche e la ripartizione delle
risorse. Nel modificare le relazioni tra le specie viventi, esse tendono dunque a sottrarre
spazio alle entità native, spostando l‟equilibrio verso una banalizzazione e semplificazione
degli habitat colonizzati. È opportuno insistere sul fatto che, in molti casi, la modifica dei
complessi equilibri preesistenti conduce all‟estinzione di specie autoctone di grande interesse
perché rilevanti sul piano conservativo in quanto rare, oppure perché edificatrici di habitat
importanti come quelli dunali. Un primo, importante passo nella gestione delle invasioni
biologiche consiste nell‟acquisire un‟adeguata conoscenza della presenza di specie esotiche
nei territori maggiormente soggetti al fenomeno, come quelli dunali, valutandone in modo
accurato sia lo stato attuale, sia la dinamica temporale.
5. OBIETTIVI GENERALI DELLA RICERCA
Molti studi sugli ambienti costieri si sono focalizzati sugli aspetti vegetazionali (es. studi
fitosociologici), e sulle relazioni delle comunità vegetali con gli aspetti ambientali (es.
insabbiamento, salinità, stress idrico..). Pochi studi hanno attuato un censimento floristico a
livello regionale di interi tratti costieri analizzando in particolare l‟impatto delle specie
esotiche su tali ambienti, ma soprattutto poche ricerche sono state condotte sulla diversità
funzionale degli ecosistemi costieri, e quindi sulla comparazione native-esotiche a livello di
plant traits o PFTs. Inoltre pochi studi hanno comparato sistemi dunali di diverse aree
geografiche con lo scopo esaminare le strategie delle specie vegetali che colonizzano
ambienti così tanto severi.
Questa ricerca, quindi, si pone come obiettivo principale quello di esaminare la diversità
biologica degli ambienti dunali costieri sulla base di due approcci: “species-based approach”
e “functional-types approach”. Nel primo caso si considera la diversità tassonomica, a livello
di specie e comunità vegetali, nel secondo caso a livello funzionali analizzando i plant traits e
i Plant Functional Types della specie dunali. La tesi è stata organizzata in cinque parti
fondamentali, ognuna delle quali sviluppa un particolare aspetto della problematica e
ognuna risponde a obiettivi specifici. La Fig. 1.10 riporta lo schema della presente tesi.
In questa Parte 1 si è voluto presentare un quadro introduttivo degli aspetti relativi alle
componendi della diversità biologica, e alle perdita della biodiversità negli ambienti dunali
costieri, con particolare riguardo alla problematica relativa all‟invasività delle specie
esotiche.
Nella Parte 2 analizzeremo la diversità la diversità floristica degli ecosistemi costieri
sabbiosi del Mediterraneo, ed in particolare delle coste dell‟Italia centrale. Lo studio, infatti,
41
Quadro introduttivo e Obiettivi generali
sarà condotto sui due versanti costieri della penisola: il Tirreno (costa del Lazio) e l‟Adriatico
(costa dell‟Abruzzo e del Molise). L‟obiettivo specifico di questa parte sarà quello di
analizzare la diversità a livello di ricchezza delle specie, sia native che esotiche, lungo le coste
sabbiose delle regioni esaminate; inoltre si prenderà in considerazione anche l‟aspetto
biologico e corologico (o fitogeografico) della flora due versanti costieri, e si esaminerà la
distribuzione delle specie sulle coste con particolare attenzione a quelle rare e vulnerabili e
alle esotiche.
Nella Parte 3 sarà considerato l‟aspetto funzionale della biodiversità dell‟ecosistema
dunale. Infatti, l‟obiettivo specifico sarà quello di analizzare i plant traits delle specie vegetali
ed individuare quali sono i Plant Functional Types, cioè i gruppi funzionali che esprimono le
principali strategie adottate dalle specie dunali degli ecosistemi Mediterranei. In questa
parte, inoltre, saranno considerate, insieme agli aspetti funzionali delle native, anche quelli
delle specie esotiche con lo scopo di definire quali sono le loro strategie e se coincidono con
quelle rilevate per le specie native. In pratica, si vuole esaminare quali caratteri sono
maggiormente legati all‟invasività per possibili studi predittivi e di conservazione.
La Parte 4, scritta in lingua inglese, è quella più complessa in quanto sarà esaminata sia la
diversità floristico-coenologica, sia funzionale degli ecosistemi dunali atlantici (dune della
Francia Sud-Occidentale) e confrontata con quella degli ecosistemi dunali mediterranei
(Costa tirrenica dell‟Italia). L‟obiettivo specifico di questa parte sarà quello di comparare le
comunità vegetali della zonazione costiera dei due sistemi dunali considerati e poi di
confrontare gli aspetti funzionali, in termini sia di plant traits e di PFTs. Si vuole, cioè
comprendere dove sono le somiglianze e dove le differenze tra i caratteri morfologici delle
specie dunali e di capire se i PFTs coincidono tra i due sistemi o se ci siano dei tipi funzionali
esclusivi del sistema atlantico e/o mediterraneo. Sarà esaminata, anche, la variazione dei
plant traits lungo il gradiente mare-terra dei due sistemi.
Infine nella Parte 5 sarà riportata una sintesi delle conclusioni generali dei principali
risultati ottenuti.
La presente ricerca si propone di gettare le basi sulla necessità un‟analisi integrata degli
aspetti relativi alla diversità biologica, in cui accanto alla diversità tassonomica, sia sempre
più considerata anche quella funzionale. Le indicazioni e le riflessioni sviluppate potrebbero
anch‟esse utili spunti per scopi applicativi di gestione e conservazione, in particolare in
relazione all‟invasività delle specie esotiche e alla vulnerabilità delle specie a rischio.
42
Parte 1
AMBIENTI DUNALI COSTIERI
BIODIVERSITA’
DIVERSITA’
FLORISTICOVEGETAZIONALE
DIVERSITA’
FUNZIONALE
SISTEMI DUNALI
MEDITERRANEI (ITALIA
CENTRALE) PARTI 2-3
SISTEMI DUNALI
ATLANTICI (SW
FRANCIA) PARTE 4
CONSIDERAZIONI
CONCLUSIVE 
PARTE 5
Fig. 1.10 – Schema delle parti di cui è costituita la presente tesi.
43
Quadro
introduttivo
 PARTE 1
PARTE 2
ANALISI DELLA DIVERSITA’ FLORISTICA
DELLE COSTE SABBIOSE DELL’ITALIA CENTRALE
In Italy sandy coasts are a stressed and threatened ecosystem, and the few
relicts, all of particular significance and beauty, need careful protection
and conservation
(Pignatti 1993)
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
1. AMBIENTI DUNALI DELLE COSTE ITALIANE
1.1 AMBIENTI DUNALI DELL’ITALIA: STATO E MINACCE
Il Bacino del Mediterraneo rappresenta una dei maggiori centri di biodiversità del mondo,
uno di quelli che vengono definiti punti caldi o hot spots (Ferrari 2001). Esso contiene da solo
circa il 10% di tutte le piante superiori attualmente note, mentre gli ecosistemi del
Mediterraneo coprono soltanto l‟1,5% circa della superficie complessiva degli ecosistemi
terrestri (Ramade 1997). Tuttavia, gli ecosistemi e le risorse costiere dell‟area mediterranea
sono minacciati dalla concentrazione demografica e dalla concentrazione delle attività
umane lungo questi ambienti. Si è osservato che, anche se il fenomeno del degrado e della
perdita del paesaggio dunale ha interessato tutti i Paesi costieri dell‟Unione Europea, esso è
stato particolarmente intenso nel Bacino del Mediterraneo (Van der Meulen & Udo de Haes
1996; Curr et al. 2000). Qui, infatti, la pressione antropica ha sacrificato, in quasi un secolo,
circa settantamila ettari di dune, con una perdita del 70% degli oltre centomila ettari di dune
esistenti all‟inizio del secolo. Lungo tutto il litorale mediterraneo si ha una perdita di 2000
km2 l‟anno di aree naturali (Saurì & Breton 1998). La popolazione residente negli stati costieri
del Mediterraneo era di 246 milioni di abitanti nel 1960, 380 milioni nel 1990 e 450 milioni nel
1997. E‟ stato valutato che la popolazione sarà tra i 520 e i 570 milioni nel 2025 e che
raggiungerà circa i 600 milioni nel 2050. Questo implica che anche l‟urbanizzazione
continuerà a crescere costantemente, con maggiori conseguenze sulla linea costiera. Al
giorno d‟oggi 150 milioni di persone vivono lungo la costa. Secondo le previsioni del Plan
Blue entro il 2025, 217 milioni di persone vivranno sulle coste, 170 dei quali in città (AttanéCourbage 2001). Si sono voluti riportare qui questi dati per comprendere quanto sia
importante la pressione antropica su questa strettissima e delicatissima fascia di territorio e
quindi quanto sia fragile lo stato dei litorali dell‟area mediterranea, e, per questo, anche
dell‟Italia.
Gli ambienti marini e costieri rivestono notevole importanza in una nazione
prevalentemente insulare come la nostra Penisola, che vanta ben oltre 7.500 km di coste,
4.500 dei quali costituiti da coste basse, sabbiose-ghiaiose. Le coste italiane presentano un
notevole valore paesaggistico-ambientale e sono caratterizzate da un‟elevata biodiversità
determinata dalla posizione geografia della penisola posta al centro del Mare Mediterraneo a
dividere i bacini occidentale ed orientale e, nel contempo, a collegare Nord e Sud dello stesso
bacino quale ponte, seppure incompleto, tra l‟Africa e l‟Europa. A questa peculiare posizione
geografica si legano le diverse condizioni bioclimatiche e una non minore variabilità
geologica, geomorfologia e sedimentologica. Nel complesso si determina una diversità
ambientale eccezionale, spesso relegata a siti estremamente limitati, nei quali si realizzano
microhabitat di straordinaria rilevanza per la presenza di piante ed animali. La variazione
climatica da nord a sud, le differenze strutturali tra il settore tirrenico e quello adriatico, la
45
Parte 2
tipologia dei substrati e il corrispondente profilo pedogenetico, oltre agli altri parametri
ambientali più spiccatamente locali, (es. ventosità) hanno contribuito alla diversificazione
della vegetazione costiera. Ma, come in tutti i paesi industrializzati, l‟interfaccia terra-mare
costituisce, come abbiamo detto, anche una delle zone più soggette a degrado ambientale, sia
per gli interessi conflittuali che vi si accentrano, sia per la fragilità che è tipica di ogni
ambiente di transizione. Se da un lato, quindi, la fascia costiera italiana è caratterizzata da
paesaggi di eccezionale valore naturalistico, dall‟altro essa ospita una consistente parte delle
risorse economiche nazionali, con importanti centri urbani ed industriali, infrastrutture
viarie ed attività turistiche.
In Italia, il sistema delle dune costiere ha mantenuto un buono stato di conservazione dal
punto di vista morfologico, idrogeologico e naturalistico fino alle soglie del XX secolo
(Garbari 1984), quando l‟impatto antropico sulle coste è divenuto più consistente, soprattutto
a causa della generale industrializzazione del territorio planiziare e del turismo balneare, che
ha comportato l‟aumento dell‟edificato, del calpestio e delle infrastrutture. Ciononostante, le
principali attività di colonizzazione umana erano ancora rimaste per lo più concentrate
presso le foci dei grandi fiumi o entro baie protette. A partire dal secondo dopoguerra,
invece, gran parte degli ambienti costieri, anche quelli fino allora sfuggiti alla distruzione
diretta, sono stati soggetti a varie forme di disturbo antropico. Attualmente, le maggiori
cause del degrado dei nostri ecosistemi costieri possono essere ricondotte al grande sviluppo
urbano e al turismo balneare di massa. A questi disturbi va aggiunto l‟incremento
generalizzato dell‟erosione della linea di costa, che ha comportato la scomparsa di numerosi
ettari di spiaggia (AA.VV. 1999; D‟Alessandro & La Monica 1999; Fierro 2004; Iannantuono et
al. 2004). Secondo il Rapporto Europeo sull‟Ambiente del 1995, tra tutti i Paesi europei spetta
proprio all‟Italia il primato di aver sacrificato più dune: dai quarantacinquemila ettari
dell‟inizio del 1900 si è passati ai novemila attuali, con una perdita, quindi, dell‟80% di
paesaggio dunale. Inoltre, dal recente volume sullo stato dei litorali italiani (AA.VV. 2006)
ne emerge una situazione preoccupante, con il 42,5% delle spiagge italiane in erosione; non
solo, ma molti tratti del litorale considerati stabili lo sono solo grazie alla presenza di opere
di difesa, che hanno determinato un degrado paesaggistico ed una riduzione del valore
economico della spiaggia. Solo una piccola percentuale (meno del 5%) è caratterizzato da una
tendenza all‟avanzamento, tendenza che invece ha largamente controllato l‟evoluzione delle
stesse spiagge nei secoli scorsi.
La presenza di un forte disturbo antropico si è ripercossa in maniera determinante sulla
componente vegetale che colonizza le dune costiere italiane. Infatti, dall‟aggiornamento della
Lista Rossa delle piante d‟Italia, riportato nelle Liste Rosse Regionali (Conti et. al. 1997),
sappiamo che negli ambienti costieri e lagunari è presente il 20% delle specie minacciate
d‟Italia. In realtà non sono solo le singole specie ad essere minacciate, ma le intere comunità
dunali. Il forte disturbo antropico e l‟erosione costiera, infatti, spesso hanno determinato,
come suddetto, la modificazione morfologica delle dune (D‟Alessandro & La Monica 1999;
46
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
Fierro 2004; Iannantuono et al. 2004) con la conseguente perdita di identità floristicovegetazionale, o addirittura la totale scomparsa di alcune o di tutte le comunità della
sequenza catenale. La perdita di diversità floristica e fitocenotica di questi ambienti è il più
delle volte drastica e riguarda sia le comunità pioniere delle prime fasce della zonazione
catenale, sia quelle retrostanti (Géhu & Biondi 1994; Acosta et al. 2003b). Attualmente
l‟espressione più caratteristica della vegetazione dunale, la zonazione costiera psammofila o
sequenza catenale, nella sua espressione più caratteristica, è osservabile soltanto in pochi siti
del litorale dell‟Italia peninsulare (Pirone 1997; Lucchese & Pignatti 1990). Non solo, ma,
come detto nella prima parte, gli effetti dell‟antropizzazione diretta delle spiagge e delle
dune costiere hanno portato anche alla diffusione di elementi esotici, cioè di specie che sono
originarie di altre aree geografiche (Stanisci et al. 2004; Acosta et al. 2007a; Acosta et al. 2007b).
Appare dunque chiara l‟importanza di studi che si occupano dell‟incidenza delle specie
esotiche negli ecosistemi dunali costieri e dei dettagli dei processi di invasione in questi
ambienti. Inoltre, proprio perché sono limitate le aree costiere dell‟Italia in cui la vegetazione
dunale è ben conservata, è sulla loro gestione e conservazione che dovrà essere rivolta in
futuro l‟attenzione non solo di scienziati ma anche di politici e governatori.
1.2 STATO DELLE CONOSCENZE FLORISTICO-VEGETAZIONALI DEGLI
AMBIENTI DUNALI IN ITALIA
Le coste dell‟Italia, proprio per il loro grande interesse geomorfologico, biologico, e
paesistico nell‟ambito della regione mediterranea, sono state oggetto di diversi studi di tipo
ecologico, tra i quali quelli floristico-vegetazionali. Lo stato di tali conoscenze lungo le coste
italiane è ancora molto frammentario, e quindi studi che approfondiscano quest‟aspetto
risultano estremamente utili per la valutazione della biodiversità attuale di questi complessi
e fragili sistemi.
La frammentarietà delle conoscenze floristiche degli ambienti dunali
italiani, emerge chiaramente dalla recente Carta dello stato delle conoscenze floristiche
d‟Italia (Scoppola & Blasi 2005). Infatti, ci sono aree costiere di regioni come la Sicilia, le
Marche, della Toscana che sono ben conosciute nella loro quasi totalità, altre con una
conoscenza media come l‟Abruzzo, la Molise, il Veneto e gran parte del Lazio e infine, alcune
per le quali la conoscenza floristica è generica o appena informativa come le coste calabresi,
liguri e gran parte delle coste pugliesi.
In Italia, gli studi sulla vegetazione dunale costiera hanno riguardato principalmente la
fitosociologia e l‟analisi del paesaggio. Lo studio delle fitocenosi, infatti, offre un contributo
fondamentale sia per attuare una corretta politica di gestione e conservazione degli ambienti
costieri che per la salvaguardia della biodiversità che caratterizza gli ecosistemi dunali. Tra
gli studi fitosociologici concernenti la vegetazione dunale costiera dell‟Italia ricordiamo il
lavoro di Géhu et al. (1984), quello di Biondi (1999) e Brullo et al. (2001). Altri lavori si sono
focalizzati soprattutto su regioni e aree costiere più limitate e numerosi di questi hanno
47
Parte 2
riguardato le isole, in particolare la Sardegna (Brambilla et al. 1982; Valsecchi & Bagella, 1991;
Bartolo et al. 1992; Filigheddu & Valsecchi 1992; Arrigoni 1996). Per l‟Italia centrale, su cui è
stata focalizzata la nostra ricerca, diversi sono stati gli studi sia sulla costa tirrenica, in
particolare sulla costa toscana (Pedrotti et al. 1982; Arrigoni et al. 1985; Arrigoni 1990; De
Dominicis et al. 1988; Vagge & Biondi 1999; Andreucci 2004) e laziale (Bonaventura 1957;
Marinucci et al. 1980; Lucchese & Pignatti 1990; Acosta et al. 1998; Bianco et al. 2001; Acosta et
al. 2000a; Stanisci et al. 2004), sia su quella adriatica, in particolare quella marchigiana (Biondi
et al. 1992) e abruzzese-molisana (Pirone 1983, 1985,1988,1995,1997,2005; Pirone et al. 2001;
Conti & Stanisci 1989,1990; Taffetani & Biondi 1989; Stanisci & Conti 1990; Conti & Pirone
1996). Ma lo studio sui litorali italiani ha riguardato anche ricerche sull‟analisi del pattern
spaziale e della connettività delle comunità vegetali e sul paesaggio costiero (Acosta et al.
2000b, Acosta et al. 2003a; Acosta et al. 2003b; Acosta et al. 2005; Izzi et al. 2006), sugli aspetti
della qualità ambientale, del disturbo sulla vegetazione costiera (Iannantuono et al. 2004;
Tammaro & Pirone 1979; Filesi & Ercole 2000; Géhu & Biondi 1994; Blasi et al. 1999; Buffa et
al. 2005; Carboni 2006) e sugli aspetti fisiologici delle specie dunali (Gratani et al. 1986;
Gratani 1987; Viegi et al. 2001; Gratani et al. 2007). Un recente numero speciale di
Fitosociologia (Vol. 44 - 2007) dal titolo “Conservazione e recupero degli habitat costieri:
analisi e metodologie a confronto”, è stato dedicato esclusivamente all‟ambiente dunale, con
ricerche riguardanti vari aspetti e problematiche.
Da un‟approfondita analisi degli studi concernenti gli ambienti dunali costieri, è emersa,
comunque, la mancanza di studi floristici di più ampia scala mediante un censimento
puntuale delle coste sabbiose e piani di monitoraggio della flora presente; inoltre, sono anche
molto limitate le ricerche sull‟impatto e la distribuzione di specie esotiche negli ambienti
costieri, nonostante questi ambienti vengano riportati fra quelli più severamente minacciati
dalle invasioni biologiche. In Italia i lavori sulle esotiche a livello floristico comprendono in
particolare elenchi regionali di specie esotiche redatti a partire dagli anni Settanta grazie
soprattutto al contributo di Viegi e collaboratori (Viegi et al. 1974; Viegi et al. 1990; Viegi et al.
2005). La situazione non è diversa a livello europeo, dove la maggior parte dei lavori sulle
specie esotiche, ha riguardato soprattutto gli ambienti riparali oppure le aree urbane (Pyšek
1998; Pyšek et al. 2004b), oppure si è limitata alla caratterizzazione ecologica di un numero
ristretto di specie come ad esempio Carpobrotus (Suehs et al. 2001; 2004), Oenothera (Mihulka
et al. 2001; 2003). Il monitoraggio della flora esotica, soprattutto negli ambienti insulari del
Mediterraneo molto ricchi di specie endemiche, è oggi una delle azioni prioritarie per la
tutela della biodiversità e del paesaggio naturale.
2. OBIETTIVI
Da quanto sopra riportato, emerge con sufficiente evidenza che il problema della tutela
degli aspetti floristici e vegetazionali delle coste italiane sia molto attuale e di rilevante
48
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
portata scientifica, ambientale e culturale. Se da un lato le coste sabbiose italiane mostrano
rilevanti aspetti ecologico-fitogeografici, dall‟altro presentano anche preoccupanti segni di
degrado. La necessità di attuare un monitoraggio delle aree costiere a livello di specie
vegetali presenti, accompagnata da una mancanza di ricerche sull‟incidenza delle specie
esotiche sugli ecosistemi costieri, ha portato ad approfondire, nella presente ricerca, tali
aspetti. Inoltre si deve considerare che, essendo le specie vegetali della duna fortemente
legate al loro peculiare habitat ed altamente specializzate, esse sono importanti per la
caratterizzazione dell‟ambiente, cioè ogni specie è un bioindicatore particolarmente
significativo (Biondi & Andreucci 1998).
Data la stretta relazione tra azioni erosive del mare, del vento, azioni di disturbo antropico
e fitocenosi presenti, la vegetazione dunale assume la funzione di indicatore dello stato
ecologico. Quindi, basandosi sul valore di bioindicazione di specie e anche di comunità
vegetali che si rinvengono sulla spiaggia, è possibile interpretare la qualità dell‟ambiente
(Tammaro & Pirone 1979; Géhu & Biondi 1994; Acosta et al. 2003a). L‟alterazione della duna
è evidenziata dalla scomparsa di specie caratteristiche dei diversi stadi della zonazione
dunale, unita alla variazione quali-quantitativa della comparsa di nuove specie legate ai
diversi tipi di alterazione prodotti dall‟uomo per ogni biotopo dunale. L‟osservazione di
queste trasformazioni è alla base per altrettanti significativi biotest sull‟antropizzazione delle
dune, che possono essere utilizzati per diagnosi speditive dei fenomeni di alterazione (Géhu
& Biondi 1994). In questo senso risulta chiara l‟importanza di studi che si occupano da una
parte della distribuzione delle specie rare e minacciate e dall‟altra dell‟incidenza delle specie
esotiche negli ecosistemi dunali costieri e dei loro processi di invasione.
L‟obiettivo specifico di questa parte della ricerca è quello di analizzare la diversità
floristica, in termini di ricchezza e tipologia di specie, dei sistemi dunali olocenici della costa
dell‟Italia centrale considerando il versante tirrenico (costa laziale) e quello adriatico (costa
abruzzese-molisana).
In particolare si vuole:

Analizzare in termini biologici e fitogeografici la flora nativa ed esotica delle dune
sabbiose mediterranee delle coste tirreniche ed adriatiche;

Analizzare la distribuzione della componente a rischio d‟estinzione, cioè delle specie
rare e vulnerabili e di quelle maggiormente minacciate dall‟antropizzazione con lo
scopo, di fornire un contributo per un eventuale aggiornamento della checklist della
flora a rischio a livello locale e nazionale;

Analizzare la distribuzione delle specie esotiche, classificarle in base alla loro
“invasività” e relazionare la loro ricchezza con quella della componente nativa;

Confrontare la flora dunale delle coste dei due versanti, adriatico e tirreno per
sottolinearne differenze e somiglianze.
49
Parte 2
3. AREA DI STUDIO
Il censimento floristico ha riguardato l‟ambiente costiero sabbioso di tre regioni dell‟Italia
centrale: il Lazio per il versante tirrenico, l‟Abruzzo e il Molise per quello adriatico (Fig. 2.1).
Da un punto di vista fitoclimatico, la maggior parte dell‟area analizzata ricade nella regione
Mediterranea e solo il nord della costa abruzzese, come vedremo, in quella Temperata
(Biondi & Baldoni 1994; Blasi 2003).
Fig. 2.1 - Area di studio: ambienti costieri sabbiosi dell‟Italia centrale (Lazio, per il versante tirrenico e
Abruzzo e Molise per quello adriatico).
3.1 IL VERSANTE TIRRENICO: LA COSTA LAZIALE
Il litorale laziale si sviluppa per circa 290 Km dalla foce del Fosso Chiarore a quella del
Fiume Garigliano con notevole continuità di spiagge sabbiose (pari a 216 km), di variabile
ampiezza. Le coste rocciose sono subordinate com‟estensione, sviluppandosi per un totale di
74 km circa; esse sono localizzate soprattutto nel Lazio centro - meridionale, in prossimità di
Gaeta–Sperlonga e del Promontorio del Circeo, mentre, nel Lazio settentrionale, risultano
concentrate lungo il tratto che va da Civitavecchia a S. Marinella. La situazione della fascia
costiera quale oggi appare si è sviluppata negli ultimi 20.000-18.000 anni, alla fine della
glaciazione Würmiana, durante la quale il livello del mare era più basso di quello attuale di
circa 120 metri e la linea di costa probabilmente doveva trovarsi a non meno di dieci
chilometri dall'attuale. Durante le fasi di regressione, vastissime regioni del Lazio e della
Toscana emersero dalle acque lasciando allo scoperto gran parte di quello che oggi
costituisce il territorio più o meno pianeggiante del Lazio costiero. Videro così la luce vasti e
profondi strati di sabbie e argille depositatesi in mare in lunghi tempi geologici.
50
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
L‟elemento morfologico, caratterizzante l‟intero litorale, è il delta del Fiume Tevere e tale
struttura consente di suddividere la costa laziale in tre unità con diverse caratteristiche
(AA.VV. 2006). L‟unità settentrionale si estende verso sud fino a Palo (limite settentrionale
del delta tiberino) ed è caratterizzata da un lungo e continuo arco sabbioso interessato dalle
foci degli unici corsi d‟acqua laziali (Fiora, Marta e Mignone) di una certa rilevanza, a parte il
Tevere. L‟area tra Ladispoli e S. Marinella, comprende aree costiere di particolare interesse
perché sfuggite all‟urbanizzazione selvaggia grazie al fatto di essere comprese in zone
militari o limitrofe ad esse come l‟Aeroporto di Furbara e l‟annesso poligono di tiro. Questi
lembi litoranei che costituiscono una striscia continua di litorale sono: Torre Flavia, Furbara e
Macchiatonda. L‟interesse di questo lembo che non supera i 10 km è dato dal fatto che su di
essa si susseguono habitat diversi: aree salmastre, lembi residui di boscaglie costiere, dune.
La minaccia più grave che incombe su quest‟area è legata al fenomeno dell‟erosione marina,
documentata peraltro anche dai resti della Torre Falvia che sono oggi sono separati dalla
terra. L‟unità centrale è costituita dal delta del Tevere e dalla sua prosecuzione verso sud fino
al Capo d‟Anzio; la sua morfologia costiera è caratterizzata da una successione di cordoni
sabbiosi che marcano gli stadi di costruzione del delta tiberino in epoca storica (La Monica &
Raffi 1996). Alle sue spalle sono presenti aree palustri bonificate e un‟ampia piana costiera,
che si estende da Castelporziano al Monte Circeo. Infine, più a sud, da Capo d‟Anzio al
confine con la Campania, troviamo l‟unità meridionale che si distingue dalle precedenti per
la quasi totale mancanza di apporti solidi fluviali, essendo modesto anche il contributo del
Fiume Garigliano, che segna il limite sudorientale del litorale laziale. In quest‟ultima unità le
spiagge coronano l‟interno di insenature più o meno vaste comprese fra aggetti rocciosi
(AA.VV. 2006).
Le spiagge sabbiose attuali e le dune a loro associate in generale sono costituite da
sedimenti clastici incoerenti d‟origine sia alluvionale che marina, aventi granulometria fine
ma non finissima (le sabbie sono convenzionalmente costituite da frammenti di diametro
medio tra i 2 mm e i 0,06 mm) e nell‟area campano-laziale presentano generalmente una
significativa percentuale di feldspati (anche il 25%), con quarzo (25%) e carbonati attorno al
40% (Audisio & Muscio 2002). I materiali sabbiosi che caratterizzano il litorale laziale
provengono dagli apporti dei principali corsi d‟acqua che sfociano in questa regione; la loro
costituzione mineralogica è ovviamente legata alle tipologie litologiche affioranti nel bacino
di ciascun fiume. I materiali deposti sul litorale a Nord della foce del Tevere sono legati
mineralogicamente agli affioramenti vulcanici dei monti Vulsini, Sabatini, Vicani e del
complesso Cerite-tolfetano. La litologia delle spiagge di questo settore è quindi generalmente
caratterizzata da depositi fluvio-lacustri e sabbie, se si fa eccezione per la zona di
Civitavecchia dove si osservano depositi clastici eterogenei e calcareniti. A sud del Tevere si
rilevano spiagge caratterizzate da percentuali più elevate di calcite e di frammenti litici
calcarei, soprattutto in corrispondenza del M.Circeo e della costa rocciosa tra Sperlonga e
Gaeta.
51
Parte 2
Il clima della fascia costiera laziale risulta abbastanza articolato, in particolar modo in
dipendenza della distanza dalla costa, e soprattutto in base ai caratteri morfologici; sono
presenti, comunque, caratteri fitoclimatici riferibili alla Regione Mediterranea, caratterizzati
da 3-4 mesi di aridità, precipitazioni estive nettamente inferiori comprese fra 47mm (Ponza) e
88mm (Latina). Il clima varia da Mesomediterraneo secco-subumido (precipitazioni scarse
598-811 mm) a termomediterraneo sub-umido (precipitazione elevata e molto variabile,
compresa tra 727 e 1133 mm). Nel grafico si riporta il diagramma climatico per la stazione di
Castelporziano (Lazio centrale) relativo al periodo 1985-2004 (Fig. 2.2). Qui la temperatura
media delle minime dei mesi più freddi (Gennaio e Febbraio) è di 4° C e la temperatura
media delle massime del mese più caldo è di circa 31°. La piovosità annuale totale è di 714
mm e il periodo di aridità va da Maggio ad Agosto (piovosità totale pari a 98.2 mm)
Fig. 2.2 - Diagramma climatico della
Stazione Meteorologica di Castelporziano (Roma) per il periodo 19852004. Tm = Temperatura mensile
dell‟aria; Rm = piovosità mensile totale
(da Gratani & Varone 2006).
Tutta la fascia costiera, specialmente nella parte centrale e meridionale è stata sede negli
ultimi decenni di un intenso sviluppo edilizio; l‟addensarsi delle popolazioni lungo la fascia
costiera e l‟uso del litorale per scopi turistici o di resistenza stagionale, hanno reso
drammatiche le conseguenze di taluni arretramenti costieri. Considerando in generale la
costa laziale da precedenti studi si è rilevato, comunque, che la percentuale di superficie
coperta da elementi naturali è nettamente prevalente rispetto a quella antropizzata. Si è
notata una maggiore naturalità lungo le coste settentrionali con il 73% di elementi naturali
rispetto al 16% di quelli artificiali.Le condizioni peggiori, invece, si registrano nel Lazio
centrale, probabilmente per le numerose pressioni esercitate da Roma. I tratti costieri con più
elevata naturalità, si osservano, quindi, nel Lazio settentrionale, dove i sistemi dunali sono
ben rappresentati e formano un‟ampia fascia di vegetazione, in cui si possono individuare le
comunità tipiche della serie psammofila e della macchia retrodunale.
3.2 IL VERSANTE ADRIATICO: LA COSTA ABRUZZESE E MOLISANA
3.2.1 Il litorale abruzzese
Il litorale abruzzese è compreso tra la foce del Fiume Tronto (confine Nord con le Marche)
e quella del Fiume Trigno (confine Sud con il Molise) e ha una lunghezza di 125 Km, dei
quali 26 di costa alta e 99 di spiagge; queste ultime, quindi, costituiscono complessivamente
52
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
circa l‟80% dell‟intero litorale e sono per oltre il 50% in erosione (AA.VV. 2006). Il litorale,
basso e uniforme, ha quasi ovunque spiagge sabbiose piuttosto strette, con una larghezza
media variabile dai 50 ai 100 m, interrotte dalle foci dei corsi d'acqua. Il settore settentrionale,
compreso fra il Fiume Tronto e Ortona, è caratterizzato da coste basse raccordate al versante
pedemontano da una piana variamente estesa; procedendo verso sud, il litorale è formato,
fino a Vasto, da coste prevalentemente alte, con un andamento articolato in baie e
promontori; presso Vasto Marina e San Salvo il litorale torna a essere basso e sabbioso.
Alcuni tratti, come quelli ubicati nei comuni di Martinsicuro, Roseto, Pineto, Casalbordino,
Vasto e San Salvo, sono caratterizzati dalla presenza di dune che si estendono linearmente
per circa 15 km complessivi. Tali aree sono generalmente interessate da dune stabilizzate
dalla vegetazione arbustiva e arborea, site in posizione arretrata rispetto all‟attuale linea di
riva, e da dune incipienti, interessate da sporadica vegetazione erbacea, ubicate in posizione
prossimale di attiva e costante partecipazione al bilancio sedimentario della spiaggia. Il
settore compreso tra Ortona e Vasto è il tratto di costa che ha conservato la maggiore
naturalità e valenza paesaggistica; esso è caratterizzato da numerosi tratti di costa alta,
costituiti da falesie attive e inattive, orlate da spiagge ampie anche qualche decina di metri,
alimentate dall‟erosione dei conglomerati e delle arenarie, di formazione pleistocenica, che
costituiscono le falesie stesse e che sono site al tetto di litotipi argillosi. Le spiagge basse,
invece, dal punto di vista litologico sono costituite in prevalenza da sedimenti sabbiosi fini
pliocenici e in alcuni tratti da depositi fluviali ciottolosi (AA.VV. 2006).
Il clima della regione abruzzese è soprattutto Mediterraneo anche se la zona settentrionale
presenta una tipologia Temperata. La temperatura media annua varia da 12°-16° lungo la
costa e con escursioni termiche elevate. Il mese più freddo in tutta la regione è Gennaio,
quando la temperatura media del litorale è di circa 8°.In estate invece le temperature medie
sono di 24°. Il regime delle piogge presenta un massimo in novembre-dicembre ed e un
minimo estivo, in genere in luglio. Nella Fig. 2.3 è riportato il diagramma
termopluviometrico della stazione di Pescara relativo ai dati del periodo 1960-1990.
Fig. 2.3 - Diagramma climatico della
Stazione Meteorologica di Pescara
relativo al periodo 1960-1990 (da
Pirone et al. 2001).
53
Parte 2
In Abruzzo gli ambienti costieri hanno subito pesanti manomissioni e in molti casi sono
stati completamente distrutti. Basti pensare, per esempio che lungo il litorale pescarese è
scomparso circa il 35% delle specie note fino al 1950, mentre lungo la costa di Roseto (TE) e
di Martinsicuro (TE) è scomparso, rispettivamente circa il 40% ed il 20% delle specie riportate
nel “Compendio della Flora Termana” di Zodda del 1967. A livello regionale sono
considerate estinte 22 specie (Pirone 1997). Tra le comunità vegetali sono scomparse quasi
totalmente la macchia mediterranea ed i boschi litoranei. Infatti, i residui sistemi dunali,
relegati in brevi segmenti, sono assai compressi e quasi sempre privi della vegetazione più
evoluta della macchia. Essa si presenta, con frammenti impoveriti, solo in pochissime località
sulla falesia della provincia di Chieti (Pirone et al. 2001). La lecceta di Torino di Sangro, che
non costituisce un esempio di macchia dunale poiché vegeta sulle arenarie della costa
rocciosa, è uno dei pochi boschi litoranei residui del litorale adriatico italiano. Poco
rappresentata è anche la vegetazione arbustiva termofila, a dominanza di camefite e
nanofanerofite, con fisionomia di gariga. Anche le fitocenosi della fascia avandunale
costituite dalla duna embrionale e mobile sono molto sporadiche, e risultano fortemente
compromesse lungo la costa abruzzese a causa delle drastiche modificazioni antropiche
(Pirone et al. 2001).
3.2.2 Il litorale molisano
Il litorale molisano si estende da nord-ovest verso sud-ovest per circa 36 km dalla foce del
Canale Formale del Molino (poco più a Nord del fiume Trigno), che delimita il confine con
l‟Abruzzo, fino alla foce del Torrente Saccione, che delimita il confine con la Puglia. Esso
ricade in due unità fisiografiche distinte che sono separate tra loro dal promontorio di
Termoli interessato da una falesia ben pronunciata con altezza della scarpata di circa 30 m,
che corre parallela al corso del fiume Biferno. Ad ovest della falesia si può distinguere una
fascia caratterizzata da ghiaie, sabbie e argille dei fondovalle attuali dell‟Olocene ed altre
aree di diverso ordine del Pleistocene. Si tratta di una zona alluvionale influenzata dalla
dinamica fluviale marina (AA.VV. 2006). Tale area, fino al secolo scorso, era paludosa
(località “Pantano”) (Aucelli et al. 2001). Ad est della falesia, si distingue una grossa fascia
caratterizzata da depositi di ghiaia e conglomerati prevalentemente di ambiente marino del
Pleistocene, talvolta intercalati da “croste calcaree “ più o meno profonde (AA.VV. 2006). Il
litorale molisano, è costituito in prevalenza da costa bassa (22 Km pari al 61%) comprendente
piccole pianure alluvionali costiere e cordoni dunali olocenici, e da brevi tratti di costa alta
(14 Km) I bacini idrografici dei corsi d‟acqua che sfociano lungo esso (Trigno, Biferno,
Saccione, e minori), risultano impostati in prevalenza su terreni arenaceo-marnosi e politicoargillosi, come d‟altronde anche i rilievi costieri che si affacciano direttamente sulla costa
(Iannantuono et al. 2004).
54
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
Diverse tracce di aree umide, affioranti in vari punti della fascia costiera, suggeriscono
un‟antica presenza di ambienti palustri e lacustri retrodunali. Questa ipotesi è stata
confermata dai dati di una ricerca storica (Taffetani 1990) che ha permesso di recuperare
diverse carte, stampate tra il 1613 ed il 1620, nelle quali risultano chiaramente descritti una
serie di laghetti costieri, uno posto a sinistra del Biferno e altri quattro distribuiti lungo la
fascia litorale compresa tra la foce del Biferno e quella del Saccione. Le superfici lacustri sono
state gradualmente cancellate attraverso ripetuti tentativi di bonifica, la più recente delle
quali Bonifica di Ramitelli eseguita negli anni Cinquanta. Risulta inoltre testimoniata da
numerose mappe catastali della seconda metà dell‟800 e da una carta topografica del 1869 la
presenza di ampie superfici di vegetazione boschiva oggi pressoché completamente
scomparse. In particolare un esteso complesso forestale denominato “Bosco di Ramitelli” era
situato in corrispondenza dell‟attuale area della Bonifica di Ramitelli. Attualmente l‟area
risulta completamente posta a coltura, come pure le restanti superfici un tempo boscate.
Sono scampati alla completa distruzione solamente piccoli lembi di macchia.
Dal punto di vista climatico la costa molisana è inquadrabile nell‟ambito della Regione
Mediterranea, termotipo mesomediterraneo, ombrotipo secco/umido-subumido (Paura &
Lucchese 1997). Nel grafico riportiamo il diagramma climatico per la stazione di Termoli
relativo al periodo 1970-1990 (Fig. 2.4). La temperatura presenta un valore medio annuo di
16,03 °C, con la minima media nel mese di Gennaio e la massima media nel mese di Luglio,
rispettivamente con i valori di 8,12 e 25,33. La serie pluviometrica indica una precipitazione
40
80,0
30
60,0
20
40,0
10
20,0
0
Precip. (mm)
Fig. 2.4 - Diagramma climatico della
stazione
termopluviometrica
di
Termoli ubicata sulla costa a 11Km a
Nord dell‟abitato di Campomarino,
ad un‟altitudine di 21m s.l.m., di
latitudine N 42° 00‟ e di longitudine
(mer.Roma) 2° 33‟. I dati si riferiscono
ad un periodo di 20 anni, dal 1970 al
1990. (dati da Regione Molise 1996).
Temp. (°C )
totale media di 632 mm/anno ed è concentrata prevalentemente nel semestre ottobre-marzo.
0,0
G
F
M
A
M
G
Temp. (°C )
L
A
S
O
N
D
Prec. (mm)
Il tratto di costa molisana presenta molte problematiche legate al crescente impatto
antropico (urbanizzazione, turismo), alla forte erosione, alla frammentazione e riduzione di
molti habitat, ai rimboschimenti e all‟introduzione di specie esotiche. In particolare, diversi
interventi di forestazione sono stati realizzati lungo tutta la fascia costiera a partire dal 1907;
e sono state utilizzate, oltre alle varie specie di Pinus ssp., anche diverse specie esotiche, in
55
Parte 2
particolare Acacia saligna ed Eucalyptus ssp., entrambe di origine australiana. L‟utilizzo di
queste specie ha dato, in generale, risultati deludenti sul piano ambientale: queste specie
mantengono, infatti, sempre il loro carattere di elementi estranei nell‟assetto del paesaggio e
non riescono in qualche modo a innestare una successione naturale. Molti eucalipteti sono
stati impiantati su terreni non sempre idonei alle esigenze delle specie impiegate,
erroneamente considerate “frugali” con chiare conseguenze sull‟intero ecosistema litoraneo.
Nonostante i molti fattori di disturbo antropico cui si aggiungono fenomeni di erosione
marina molto importanti, il litorale molisano comprende unità fisiografiche di grande
interesse naturalistico ed ambientale. Lungo la costa molisana, infatti, si possono osservare
gli ultimi lembi dei sistemi dunali, di tutta la costa Adriatica occidentale, dove ancora sono
presenti la vegetazione psammofila e le formazioni di macchia mediterranea, che risultano
per gran parte scomparse o molto ridotte nel settore Adriatico centro-settentrionale dal
Gargano fino alla foce del Po (Taffetani & Biondi 1989). Aspetti ben conservati di vegetazione
psammofila si possono ancora osservare, nel tratto che parte dalla foce del Vallone due
Miglia fino a qualche centinaio di metri a Nord della foce del Torrente Saccione. Qui
possiamo notare un‟interessante serie di dune che in qualche punto si spingono per centinaia
di metri dalla linea di costa.
3.3 CLASSIFICAZIONE GERARCHICA DELLE COSTE DELL’ITALIA CENTRALE
In un recente lavoro di Carranza et al. (2007), sulla base dello schema metodologico
proposto da Blasi et al. (2000) ed Acosta et al. (2003b), è stata operata la classificazione
gerarchica degli ambienti di dune costiere dell‟Italia Centrale (regioni Lazio, Abruzzo e
Molise). Questo tipo di classificazione fornisce un modello predittivo sulla distribuzione
della vegetazione naturale potenziale delle dune recenti, e si basa su una differenziazione
ambientale derivata dalla combinazione di fattori climatici, litologici, morfologici e
idrogeologici, integrata dall‟informazione fitosociologica. Secondo lo schema proposto da
Blasi et al. (2000), le prime unità riportate nella classificazione sono le “Regioni di paesaggio”
(land regions), determinate dalle caratteristiche macroclimatiche; all‟interno di queste Regioni
si trovano i “Sistemi di paesaggio” (land systems), definiti in base a differenze litologiche
significative, che a loro volta possono essere suddivisi in “Sottosistemi di paesaggio” (land
subsystems), individuati da caratteristiche litomorfologiche e dal bioclima locale (basato sulle
precipitazioni e la temperatura). Continuando in questo modo, il territorio può essere
ulteriormente suddiviso, identificando le “Unità ambientali” (land units), definite dalla
zonazione fitotopografica principale, ed infine gli “Elementi di paesaggio” (land elements),
costituiti dalle associazioni vegetali.
Lo studio di Carranza et al. (2007) ha portato
all'identificazione, per le spiagge recenti dell‟Italia centrale di 24 Elementi di paesaggio
articolati in 8 differenti Unità di paesaggio appartenenti a 5 Sottosistemi, 2 Sistemi e 2 regioni
di paesaggio (Fig. 2.5; Tab. 2.1). Ogni unità è un complesso di differenti comunità di piante
56
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
con la stessa sequenza catenale, ordinate, secondo il gradiente ambientale, da quelle pioniere
e annuali della spiaggia a quelle costituite da varie specie legnose che crescono nella zona
più riparata. Alle unità individuate corrispondono 8 differenti sequenze catenali di comunità
vegetali potenziali che si differenziano principalmente in funzione alle cenosi arbustive e
arboree retrodunali e, subordinatamente, in funzione alle comunità delle dune fisse e mobili
(Tab. 2.1). In effetti, le formazioni legnose retrodunali presentano una buona corrispondenza
con le caratteristiche litologiche e climatiche dei diversi tratti costieri. La vegetazione
tipicamente psammofila delle spiagge, dune embrionali e dune mobili, invece, essendo
fortemente condizionata dai fattori limitanti quali salinità, tipo di substrato e forte radiazione
solare, si presenta con caratteristiche molto simili nelle diverse unità ambientali.
Fig. 2.5 - Ubicazione delle unità ambientali negli ecosistemi costieri dell‟Italia centrale. Asterisco: UP (unità di
paesaggio): 1.1.1.1.; cerchio pieno: UP - 1.1.2.1.; cerchio vuoto: UP - 1.1.2.2.; triangolo pieno: UP - 1.1.3.1; croce: UP
- 1.1.4.1.; stella: UP - 1.1.4.2.; rombo: UP - 1.1.4.3; quadrato pieno UP - 2.1.1.1. (vedi Tab. 2.1 per descrizione delle
Unità e degli Elementi di paesaggio) (da Carranza et al. 2007).
3.4 ZONAZIONE DELLA VEGETAZIONE COSTIERA
Quanto suddetto a proposito della somiglianza delle fitocenosi della zona avandunale
rispetto a quella retrodunale nei sistemi dunali costieri dell‟Italia centrale trova una sua
conferma se andiamo ad osservare i profili della sequenza catenale in aree rappresentative
dei due versanti. La Fig. 2.7 riporta la zonazione della vegetazione costiera in due aree
caratterizzate da un‟elevata naturalità: la costa settentrionale del Lazio, in località di
Montalto di Castro, per il versante tirrenico, e quella del Molise, in località Petacciato, per il
versante adriatico.
57
Parte 2
AREA
COSTIERA
REGIONE
SISTEMA DI SOTTOSISTEMA
DI
PAESAGGIO DI PAESAGGIO
PAESAGGIO
1.1. Costa sabbiosa
1. Mediterranea
LAZIO
1.1.1. Dune recenti
con clima meso
mediterraneo seccosubumido
1.1.2. Dune recenti
con clima mesomediterraneo
subumido
1.1. Costa sabbiosa
1.1. Costa
sabbiosa
1.1. Costa sabbiosa
1. Mediterranea
1. Mediterranea
MOLISE
2. Temperata
ABRUZZO
1.1.3. Dune recenti
con clima termomediterraneo
subumido
1.1.2. Dune recenti
con clima mesomediterraneo
subumido
2.1.1. Dune recenti
con clima mesotemperato subumido
1.1.4 Dune recenti
con clima meso
mediterraneo secco
1.1.4 Dune recenti
con clima meso
mediterraneo secco
UNITA’ DI
PAESAGGIO
ELEMENTI DI
PAESAGGIO
1.1.3.1. Geosigmeto
delle dune costiere a
contatto in retroduna con depositi
lacustri e laghi costieri
1.1.2.2. Geosigmeto
delle dune costiere a
contatto in retroduna con depositi di
sabbie fini chiare
pleistoceniche
2.1.1.1. Geosigmeto
delle dune costiere a
contatto in retroduna con depositi di
sabbie fini chiare
pleistoceniche
1.1.1.1.1. Spiagge e duna
mobili
1.1.1.1.2. Dune fisse
1.1.1.1.3. Retroduna di
transizione con depositi
alluvionali
1.1.1.2.1. Spiagge e dune
mobili
1.1.1.2.2. Dune fisse
1.1.1.2.3. Retroduna di
transizione con depositi
di duna antica
1.1.1.3.1. Spiagge e dune
mobili
1.1.1.3.2. Dune fisse
1.1.1.3.3. Retroduna di
transizione con depositi
lacustri e laghi costieri
1.1.2.2.1. Spiagge e dune
mobili
1.1.2.2.1. Dune fisse
1.1.2.2.2. Retroduna di
transizione con sabbie
fini chiare pleistoceniche
2.1.1.1.1. Spiagge e dune
mobili
2.1.1.1.2. Dune fisse
2.1.1.1.3. Retroduna di
transizione con sabbie
fini chiare pleistoceniche
1.1.4.2. Geosigmeto
delle dune costiere a
contatto in retroduna con depositi
conglomeratici
e
ghiaiosi
1.1.4.2.1. Spiagge e dune
mobili
1.1.4.2.2. Dune fisse
1.1.4.2.3. Retroduna di
transizione con depositi
conglomeratici e ghiaiosi
1.1.1.1. Geosigmeto
delle dune costiere a
contatto in retroduna con depositi
alluvionali
1.1.2.1. Geosigmeto
delle dune costiere a
contatto in retroduna con depositi di
duna antica
1.1.4.1. Geosigmeto
delle dune costiere a
contatto in retroduna con depositi di
sabbie fini ed argille
1.1.4.3. Geosigmeto
delle dune costiere a
contatto in retroduna con depositi di
duna antica
1.1.4.1.1. Spiagge e dune
mobili
1.1.4.1.2. Dune fisse
1.1.4.1.3. Retroduna di
transizione con depositi
di sabbie fini ed argille
1.1.4.3.1. Spiagge e dune
mobili
1.1.4.3.2. Dune fisse
1.1.4.3.3. Retroduna di
transizione con depositi
di duna antica
Tab. 2.1 - Classificazione gerarchica del territorio per i sistemi dunali dell‟Italia centrale. Per
geosigmeto si intende la serie di vegetazione o zonazione costituita da tutte le tipologie di vegetazione
naturale potenziale che si alternano in questo ambiente (da Carranza et al. 2007).
58
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
La zonazione tipica della vegetazione costiera che si ritrova in buona parte del mediterraneo,
si articola fondamentalmente nelle fasce di seguito descritte. La spiaggia intertidale con la
battigia è detta “zona afitoica”, poiché è sempre priva di vegetazione a causa delle condizioni
ambientali fortemente proibitive (Biondi & Andreucci 1998). In questo tratto dunque la vita è
limitata alla componente animale, per altro molto ricca. La prima fascia di vegetazione, nel
tratto successivo della spiaggia emersa, è generalmente costituita dalle così dette pioniere,
specie annuali con un ciclo vitale estremamente breve, che si conclude nel giro di 1-2 mesi in
tarda primavera o all‟inizio dell‟estate. Queste specie alonitrofile sono in grado di crescere su
un substrato ricco di sali, in presenza però di sufficiente accumulo di materiale e residui
organici depositati dal moto ondoso (Pignatti 2002). Tra le specie più comuni sulle spiagge
tirreniche ed adriatiche si possono ricordare Cakile maritima subsp. maritima, di solito
accompagnata dalla Salsola kali e dalla piccola Euforbia delle spiagge (Chamaesyce peplis)
(Pignatti 2002; Stanisci et al. 2004). Questo tipo di comunità ha una struttura sempre molto
aperta, con coperture della superficie basse e forma il primo ostacolo alla sabbia portata dal
vento, che in qualche punto comincia ad accumularsi. Si fa spesso riferimento a questa cenosi
con il nome di “Cakileto” dal nome della specie più diffusa (Cakile marittima subsp. maritima).
Dopo questa prima fascia di vegetazione, s‟incontrano generalmente le prime specie perenni
che contribuiscono al processo di formazione delle dune embrionali, nel quale ha un ruolo
fondamentale la gramigna delle spiagge (Elymus farctus subsp. farctus). Questa specie blocca
la sabbia e consolida il suolo con i lunghi e fitti rizomi, favorendo la colonizzazione da parte
di altre specie. Altre specie che sulle coste tirreniche ed adriatiche frequentemente
accompagnano l‟Elymus farctus subsp. farctus sono l‟Echinophora spinosa e l‟Otanthus maritimus
subsp. maritimus (Stanisci et al. 2004). Anche in questo caso la copertura della superficie
rimane comunque medio-bassa (Pignatti 2002). Le cenosi in questa fascia si indicano spesso
semplicemente come “Elymeto” o “Elytrigeto” anche qui dal nome della specie più
abbondante (Elymus farctus subsp. farctus). La fascia di vegetazione successiva colonizza e
contribuisce ad edificare la duna mobile. Qui la specie più caratteristica e tipica sulle coste
laziali ed adriatiche, oltre che su buona parte delle coste europee come vedremo in seguito, è
un‟altra poacea psammofila perenne, Ammophila arenaria subsp. australis (Pignatti 2002).
Questa specie è dotata di foglie coriacee e fusti robusti e forma cespi densi, mediante i quali
favorisce efficacemente l‟accumulo di sabbia, crescendo in altezza in risposta al
seppellimento (Pignatti 2002). La combinazione floristica tipica di questa cenosi comprende
oltre ad Ammophila arenaria subsp. australis anche Anthemis maritima, Pancratium maritimum e
Echinophora spinosa (Pignatti 2002; Stanisci et al. 2004). La struttura è dunque molto chiusa
rispetto alle fasce precedenti. Si parla da un punto di vista sintassonomico semplificato di
“Ammofileto”.
Dietro le prime dune mobili stabilizzate da Ammophila arenaria si crea una zona riparata con
rilievi più modesti, dove il suolo è ancora sabbioso, ma leggermente più compatto. In questa
fascia più riparata sono numerose le specie che trovano le condizioni adatte alla loro
59
Parte 2
sopravvivenza ed è a questo punto che la vegetazione sulle coste adriatiche e tirreniche
risulta essere un po‟ differente. Sulle coste laziali, infatti, lungo i fianchi in lieve pendio delle
dune, si stabilisce Crucianella maritima, una camefita psammofila dai fusti prostrati, legnosi
alla base, che forma un‟associazione perenne caratteristica, a cui si fa riferimento con il nome
generale di “crucianelleto” (Pignatti 2002; Stanisci et al. 2004), che come vedremo nella parte
4, è inclusa nella Direttiva Habitat (92/43/EEC) come un “habitat comunitario”. Spesso
questa comunità è rimpiazzata da varie altre fitocenosi di sostituzione che si insediano negli
spazi aperti lasciati dalla vegetazione più tipica (Stanisci et al. 2004). Si tratta generalmente di
vegetazione erbacea annuale con coperture del suolo notevoli, all‟interno della quale
spiccano le colorate Silene canescens e Ononis variegata e numerose graminacee come Lagurus
ovatus s.l., Vulpia fasciculata (Stanisci et al. 2004). Si parla spesso, per via delle colorate
fioriture primaverili, di “pratelli terofitici”. Anche lungo la costa adriatica troviamo questa
comunità annuale costituita pressappoco dalle stesse specie, ma si osserva anche una buona
presenza di specie quali il Verbascum niveum subsp. garganicum e Artemisia campestris subsp.
variabilis ben distinte del versante tirrenico. Inoltre i cordoni dunali adriatici spesso bassi e
estesi consentono spesso la presenza di interduna umidi ricchi di formazioni a giunchi e
carici.
Infine, le dune stabili di entrambi i versanti sono caratterizzate dalla presenza di un
substrato sabbioso con uno strato di humus e da ventosità ridotta, ospitano una vegetazione
legnosa arbustivo-arborea, sempreverde, che approfitta della maggiore stabilità e delle
condizioni più riparate di questa fascia. Anche qui la distinzione tra i due versanti è molto
chiara. Infatti, questa fascia lungo la costa tirrenica è generalmente caratterizzata dalla
presenza in un primo tratto di una macchia pioniera bassa, dominata dal ginepro coccolone
(Juniperus oxycedrus ssp. macrocarpa), denominata “ginepreto”, che fa da scudo ai venti salsi e
all‟azione abrasiva dei granelli di sabbia per le formazioni più interne (Stanisci et al. 2004) e
poi di una macchia alta, strutturalmente più complessa, formata da diverse specie arbustive
come Pistacia lentiscus, Phillyrea latifolia e da lianose come Smilax aspera, Lonicera implexa
subsp. implexa e la Clematis flammula (Pignatti 2002; Stanisci et al. 2004). Lungo la costa
adriatica, invece, la macchia mediterranea è presente solo in aree molto limitate del litorale
abruzzese e molisano. Un lembo di macchia, seppure bassa, e poco strutturata è presente
nella
fascia
costiera
meridionale
del
Molise
presso
località
Bonifica
Ramitelli
(Campomarino). In altre aree del litorale adriatico esaminato, invece, queste formazioni
arbustivo-arboree sono state ormai sostituite da rimboschimenti oppure sono scomparse a
causa dell‟urbanizzazione.
60
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
TIRRENICO
6
2
3
7
4-5
1
ADRIATICO
3
2
5
8
9
10
1
Fig. 2.6 - Profili relativi alla zonazione della vegetazione lungo il litorale laziale per il versante tirrenico (località
Montalto di Castro) e quello molisano (località Marina di Petacciato) per il versante adriatico. 1: cakileto; 2:
elymeto o elytrigeto; 3: ammophileto; 4: crucianelleto; 5: pratelli terofitici; 6: ginepreto; 7: macchia mediterranea;
8: prato arido con presenza di Verbascum niveum subsp. garganicum e Artemisia campestris subsp. variabilis; 9:
macchia a Pinus halepensis; 10: rimboschimento a Pinus halepensis e Acacia saligna. (Disegni di A. Acosta).
3.5 FENOMENI EROSIVI E STATO DI CONSERVAZIONE
L‟antropizzazione delle coste mediterranee (urbanizzazione selvaggia, spianamento delle
dune per scopi balneari, ecc..) è stata e continua ad essere così intensa che la tipica
successione di vegetazione è stata, in molte zone, distrutta, interrotta o compressa, così che
testimonianze di questa toposequenza naturale sono ormai rarissime soprattutto lungo le
coste del medio Adriatico. A rendere più complessa la situazione, contribuisce, poi, la
presenza di una forte erosione costiera che interessa la maggior parte delle spiagge delle tre
regioni esaminate, in particolare il Molise in cui i tratti in erosione rappresentano addirittura
più del 90% della costa totale (Tab. 2.2). L‟evoluzione recente della costa adriatica abruzzese
e molisana, è stata caratterizzata da una tendenza prevalente all‟arretramento che si è
manifestata in modo crescente durante gli ultimi 50 anni (Iannantuono et al. 2004; Aucelli et
al. 2001).
Particolarmente significativa appare la dinamica delle aree di foce e di alcune aree portuali,
interessate da evidenti erosioni (esempio foce del Trigno, Biferno, Vomano, del Torrente
Pioma e del Fiume Saline), con arretramenti anche superiori ai 20 m per anno, a
testimonianza dell‟importanza degli apporti fluviali alle foci ai fini del bilancio sedimentario
costiero.
61
Parte 2
Regione
Lazio
Molise
Abruzzo
Italia
Lunghezza
totale (km)
Coste alte ed
aree portuali
(km)
Coste
basse
(km)
Tratti in
erosione
(km)
% Spiagge
in erosione
290
36
125
7465
74
14
26
3515
216
22
99
3950
117
20
60
1671
54,2
90,9
60,6
42,3
Tab. 2.2 - Dati riguardanti lo stato delle coste delle aree esaminate in relazione ai fenomeni erosivi.
La foto aerea della Fig. 2.7 mostra l‟arretramento delle linee di riva della foce del Fiume
Biferno (Molise) nel periodo tra il 1954 e il 1991.
Fig. 2.7 - Forte arretramento della
linea di riva alla foce del F. Biferno:
linea di riva del 1991
linea di riva del 1954
(da Iannantuono 2002)
Anche la costa laziale è stata interessata da fenomeni erosivi molto evidenti. Confrontando la
linea di riva del 1990 con quella del 1998, si è notato come oltre 72 km (33%) della costa
laziale sono in evidente erosione, con arretramenti che superano i 3 m/anno, mentre il 43%
delle spiagge tende a progradare. Utilizzando come indicatore la percentuale di aree soggette
ad erosione costiera, nel 2003, il 37,7% del litorale della Provincia di Roma veniva
considerato come in arretramento (Regione Lazio 2004) I tratti di litorale in erosione non
sono concentrati in un‟area ben definita e quindi non sono ricollegabili a un‟unica causa, ma
sparsi lungo l‟intero tratti del litorale laziale (AA.VV. 2006). Sul promontorio di
Macciatonda, dove l‟erosione è molto forte, si possono notare le ultime tracce della lunga
storia geologica: gli strati cretosi di origine fluvio-lacustre, ricchi di sostanza organica, ci
riportano agli antichi stagni costieri. La distruzione delle dune sabbiose che li proteggevano
dal mare, insieme alle imponenti opere di bonifica dell‟ultimo secolo, ha definitivamente
cancellato quest‟ambiente costiero: lo testimonia la presena inquietante dei bunker del
secondo conflitto mondiale, prima torrette di difesa sulla terraferma, oggi elementi
naturalizzatti del paesaggio marino.
62
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
Tra le principali cause che hanno contribuito all‟attuale configurazione della linea di riva
sulle coste adriatiche e tirreniche e più in generale dell‟intera penisola, oltre ai fattori naturali
legati essenzialmente ad aspetti climatici, vanno ricordati una serie di interventi antropici
(prelievi in alveo, sbarramenti artificiali, variazioni dell‟uso del suolo..) che hanno in modo
consistente contribuito ad una riduzione degli apporti grossolani alle foci. Il trasporto solido
fluviale, infatti, si è notevolmente ridotto nel corso degli anni, sia in termini di granulometria
che di quantità di sedimenti; Per esempio, la portata solida del fiume Tevere è diminuita di
circa 27 volte, dai 10 milioni di tonnellate annue del 1935 agli 0,37 milioni di tonnellate annue
del 1973. Anche gli interventi realizzati lungo la fascia costiera condizionano l‟equilibrio del
litorale; particolarmente incisivi sono sia l‟intensa urbanizzazione che la realizzazione di
opere marittime (porti, pennelli, scogliere,..) che alterano la dinamica delle sabbie litorali.
Nonostante il forte impatto antropico e l‟intenza erosione costiera, lembi ancora naturali e
ben conservati di ecosistemi costieri, come abbiamo detto, sono presenti ancora lungo le
coste laziali e abruzzesi-molisane. Non è un caso, quindi, che nelle tre aree costiere studiate
siano presenti diversi siti S.I.C. (Siti d‟Importanza Comunitaria) riconosciuti a livello
europeo e appartenenti alla Rete Natura 2000 istituita dall‟Unione Europea con la Direttiva
Habitat 43/92 EEC, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché
della flora e ella fauna selvatiche. Lungo il litorale laziale i siti SIC sono presenti da Nord a
Sud, dal “Litorale a NW delle foci del Fiora” alle “Dune di Capratica” e numerosi di essi
sono relativi anche ad altre tipologie ambientali (rocce, ambienti salmastri..). Lungo il litorale
adriatico i Siti d‟Importanza Comunitaria sono distribuiti lungo tutta la costa molisana (Foce
Trigno-Marina di Setacciato; Foce Biferno-Litorale di Campomarino; Foce Saccione-Bonifica
Ramitelli), e sulla costa abruzzede meridionale, che è quella con una più elevata naturalità
(Marina di Vasto) (Tab. 2.3).
4. MATERIALI E METODI
4.1 IL CENSIMENTO FLORISTICO
Il censimento (o campionamento) della flora vascolare autoctona ed esotica degli ecosistemi
dunali costieri dell‟Italia centrale, ha avuto inizio nel 2001, nell‟ambito della mia tesi di
laurea, che ha interessato la costa molisana; in seguito i rilevamenti hanno riguardato la costa
abruzzese e quella laziale. Il censimento è stato è stato effettuato attenendosi al protocollo
della cartografia floristica europea (Ehrendorfer & Hamman 1965), considerando come unità
di base, l‟Unità Geografica Operazionale (OGU) sensu Crovello (1981), comprendente una
superficie di circa 143 Kmq che corrisponde ad ¼ di Foglio I.G.M.1: 50.000. Tale griglia è
stata, però, ulteriormente suddivisa in quadranti di minore estensione, pari a 1⁄16 del Foglio
al 50.000 (circa 36 Kmq), per avere aree di campionamento con un maggior dettaglio.
63
Parte 2
Molise Abruzzo
Lazio
REGIONE
Codice
Denominazione
IT6010018
Litorale a nord ovest delle Foci del Fiora
IT6010019
Pian dei Cangani
IT6010026
Saline di Tarquinia
IT6010027
Litorale tra Tarquinia e Montalto di Castro
IT6030019
Macchiatonda
IT6030022
Bosco di Palo Laziale
IT6030023
Macchia Grande di Focene e Macchia dello Stagneto
IT6030024
Isola Sacra
IT6030027
Castel Porziano (fascia costiera)
IT6030045
Lido dei Gigli
IT6030046
Tor Caldara (zona solfatare e fossi)
IT6030048
Litorale di Torre Astura
IT6030049
Zone umide a ovest del Fiume Astura
IT6040009
Monte S. Angelo
IT6040011
Lago Lungo
IT6040012
Laghi Fogliano, Monaci, Caprolace e Pantani dell'Inferno
IT6040013
Lago di Sabaudia
IT6040016
Promontorio del Circeo (Quarto Caldo)
IT6040017
Promontorio del Circeo (Quarto Freddo)
IT6040018
Dune del Circeo
IT6040021
Duna di Capratica
IT6040022
Costa rocciosa tra Sperlonga - Gaeta
IT6040023
Promontorio Gianola e Monte di Scauri
IT6040025
Fiume Garigliano (tratto terminale)
IT7140106
Fosso delle Farfalle (sublitorale chietino)
IT7140107
Lecceta litoranea di Torino di Sangro e foce del Fiume Sangro
IT7140108
Punta Aderci - Punta della Penna
IT7140109
Marina di Vasto
IT7222216
Foce Biferno - Litorale di Campomarino
IT7222217
Foce Saccione - Bonifica Ramitelli
IT7228221
Foce Trigno - Marina di Petacciato
Tab. 2.3 - Siti S.I.C. presenti lungo le coste del Lazio, dell‟Abruzzo e del Molise.
Queste unità campionarie, numerate in ordine crescente da Nord per le tre regioni, sono state
chiamate quadranti o semplicemente plots.
Le carte topografiche considerate sono state ovviamente quelle comprendenti tutte le aree
costiere delle tre regioni esaminate. Sono stati individuati complessivamente 91 quadranti: 56
per il Lazio, 27 per l‟Abruzzo e 8 per il Molise. In Fig. 2.8 se ne mostra la disposizione. In
realtà, si tratta di 90 quadranti effettivi poiché uno di questi plot ricade lungo il confine tra la
costa abruzzese e molisana. Il campionamento floristico ha riguardato, però, soltanto le coste
sabbiose e, in particolare, le dune oloceniche. Per questo, alla fine, i quadranti campionati in
questa ricerca, escludendo quelli comprendenti le coste rocciose e altre tipologie ambientali,
sono risultati 72: 46 per il Lazio, 19 per l‟Abruzzo e 7 per il Molise. Il campionamento
floristico ha interessato la vegetazione psammofila delle dune embrionali e mobili, le
depressioni interdunali, i rimboschimenti litoranei e la macchia mediterranea.
64
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
Per ogni quadrante (o plot) sono state censite le specie presenti, sia autoctone che esotiche.
Questa lista di taxa di piante vascolari, di volta in volta aggiornata in base ai dati ottenuti dal
campionamento, è stata archiviata in una banca dati.
Fig. 2.8 - Quadranti utilizzati per il campionamento della flora autoctona ed esotica delle dune costiere
dell‟Italia centrale.
Per l‟identificazione e la nomenclatura dei taxa è stata consultata la Flora di Pignatti (1982)
e le flore regionali più aggiornate pubblicate da Anzalone (1988, 1994, 1996) per il Lazio, da
Conti (1998) per l‟Abruzzo e da Lucchese (1995) per il Molise; inoltre sono stati considerati i
lavori di Viegi et al. (1974; 1990), la Med-Checklist (Greuter et al. 1984-1989), la Flora Europea
(Tutin et al. 1964-1993) e la recente Checklist della flora vascolare d‟Italia (Conti et al. 2005)
per i taxa non contemplati nelle flore regionali, e in particolare per le esotiche. A ciascun
taxon sono stati associati i seguenti campi nella banca dati: famiglia, genere, quadrante
cartografico di ritrovamento, forma biologica (Raunkiaer 1934), corotipo (Pignatti 1982);
particolare attenzione è stata posta ai taxa esotici (Viegi et al. 2005), al loro status di invasività
e paese di origine, e a quelli endemici e al loro status di tutela secondo le categorie IUCN
(Conti et al. 1992, 1997; Scoppola & Spampinato 2005).
4.2 ANALISI DEI DATI
L‟elenco complessivo delle specie ottenuto dal censimento floristico dei quadranti
campionati
è stato poi oggetto di analisi di tipo ecologico-strutturale e fitogeografico.
Infatti, partendo da questo elenco si è proceduto al calcolo dello spettro delle famiglie
65
Parte 2
tassonomiche, dello spettro biologico, dello spettro corologico su dati di presenza/assenza.
In un secondo momento, queste analisi sono state effettuate per confrontare i due versanti
dell‟Italia centrale: i plots (o quadranti) dell‟Adriatico (Molise e Abruzzo) e quelli del Tirreno
(Lazio).
4.2.1 Lo spettro delle famiglie tassonomiche
Per calcolare lo spettro delle famiglie tassonomiche si è preceduto partendo dall‟elenco
floristico; per ciascun taxon è stato indicata la famiglia di appartenenza secondo la Flora
d‟Italia (Pignatti 1982). Una volta suddivise le piante per le diverse famiglie si è calcolata la
frequenza di ogni famiglia tassonomica. Il calcolo dello spettro delle famiglie è importante in
quanto esso ha un significato innanzitutto fitogeografico, dato che la composizione
tassonomica di una flora varia a seconda delle regioni; può avere, inoltre, un significato
ecologico dato che certi adattamenti sono abbastanza omogenei nell‟ambito della stessa
famiglia, come ad esempio, i sistemi d‟impollinazione.
4.2.2 Lo spettro biologico
Per forma biologica s‟intende un tipo morfologico, che può essere riconosciuto, con
variazioni più o meno notevoli, ma sempre limitate, in diversi gruppi vegetali
indipendentemente dalla loro appartenenza tassonomica (Pignatti 1995).
Le forme
biologiche si classificano in base alle caratteristiche macro-morfologiche e funzionali delle
piante. Esse sono utili per caratterizzare una flora o un tipo di vegetazione, mettendo in
evidenza l‟adattamento rispettivamente alle condizioni climatiche e microclimatiche. Molti
autori si sono occupati dello studio delle forma biologiche ma il sistema proposto all‟inizio
del „900 dal fitogeografo danese Raunkiaer (1934) è quello largamente adottato oggi per gli
studi di vegetazione nei paesi di clima temperato; si adatta meno bene ai problemi della flora
tropicale per la quale sono utilizzati altri sistemi. L‟idea di base di questo sistema è la
definizione di tipi caratterizzati dalla posizione delle gemme, cioè degli organelli destinati
alla produzione di nuovi tessuti dopo la stagione sfavorevole; in sostanza questa posizione
dipende direttamente dal tipo di strategia che la pianta ha adottato per la propria
sopravvivenza (Pignatti 1995).
Le forme biologiche di Raunkiaer sono fondamentalmente cinque (Fig. 2.9), ciascuna
suddivisa in sottocategorie che sono equivalenti a delle forme di crescita, e sono:
 Fanerofite (P): le gemme sono portate su germogli ad un‟altezza dal suolo superiore a
30-50 cm; vi appartengono gli alberi, gli arbusti maggiori, le liane legnose e le epifite.
 Camefite (Ch): le gemme sono portate vicino al suolo, ad un‟altezza inferiore a 30-50 cm;
vi appartengono gli arbusti di piccole dimensioni, i suffrutici, e le erbacee perenni che
mantengono la porzione epigea durante la stagione critica.
66
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
 Emicriptofite (H): le gemme sono portate a livello della superficie del suolo; vi
appartengono piante erbacee perenni e bienni.
 Geofite (G): le gemme sopravvivono sotto il suolo, su organi ipogei (rizomi, bulbi,
tuberi, radici) o sotto il pelo dell‟acqua (elofite e idrofite); durante la stagione avversa, fredda
o caldo-arida, le geofite dei nostri climi perdono completamente la loro porzione epigea e
possono dare l‟impressione di piante stagionali.
 Terofite (T): sono le piante annuali, stagionali o effimere, che all‟approssimarsi della
stagione sfavorevole concludono il proprio ciclo vitale con la dispersione dei semi che
aspettano la buona stagione per germinare.
Fig. 2.9 - Schema delle forme biologiche secondo Raunkiaer (1934). P: fanerofita, Ch: camefita, H:
hemicriptofita, G: geofita. Le gemme destinate alla produzione di nuovi tessuti dopo la stagione sfavorevole sono
state evidenziate in nero. Le terofite non vengono rappresentate in questo schema poiché, durante la stagione
sfavorevole, le gemme si trovano all‟interno del seme. (disegno di A.Acosta)
Una volta annotata la forma biologica di ciascuna specie, abbiamo calcolato lo spettro delle
forme biologiche, considerando, la percentuale di ogni forma sul numero totale di piante,
cioè la sua frequenza. Gli spettri biologici sono molto utili; infatti, mettono in evidenza le
strategie adattative morfologico-funzionali delle diverse specie all‟ambiente e possono:
 fornire informazioni su caratteristiche ambientali (aspetti microclimatici rilevanti);
 procurare un‟ipotesi sulle risposte di comunità vegetali a fattori ambientali particolari
(microclima, etc.) e sul modo di utilizzo dello spazio disponibile;
 essere usati come indicatori di aspetti dinamici; le terofite, per esempio, possono essere
indicatrici di ambienti antropizzati, poiché la brevità del ciclo biologico le rende adatte a
diffondersi nei siti che presentano brevi periodi di stabilità (Ubaldi 1997).
67
Parte 2
Per determinare la forma biologica delle specie abbiamo considerato le indicazioni
riportate soprattutto nella Flora d‟Italia (Pignatti 1982), ma sono state consulte anche altri
fonti e flore su menzionate soprattutto per la componente esotica.
4.2.3 Lo spettro corologico
Ogni specie possiede un determinato areale, cioè occupa un‟area entro la quale essa vive
allo stato spontaneo, come risultato sia di fattori ecologici attuali (clima, substrato) che storici
(punto di origine di una specie, possibilità di diffondersi nel passato, esistenza di barriere
alla diffusione). Se compariamo gli areali di più specie è possibile determinare modelli che
tendono a ripetersi e che sono chiamati tipi corologici o corotipi. Nel presente lavoro, per il
calcolo degli spettri corologici è stato annotato, per ogni specie censita, il corotipo, secondo
quanto riportato nella Flora d‟Italia (Pignatti 1982). Le specie spontanee della flora italiana
possono venire distribuite in almeno una settantina di corotipi (Pignatti 1982). Questi diversi
corotipi possono essere ricondotti secondo lo schema proposto da Pignatti (1982) a nove
categorie principali, riscontrate nelle aree studiate con alcune modificazioni; la Tab. 2.4
riporta il corotipo generale e i corotipi specifici.
I corotipi generali osservati sono i seguenti:

Endemiche: specie esistenti soltanto nell‟ambito del territorio italiano. In generale si
tratta di specie che per la loro rarità possono venire considerate minacciate e spesso in
pericolo di estinzione.

Stenomediterranee: specie con areale limitato alle coste mediterranee e alle zone più
calde dell‟interno (zone con aridità estiva, area di coltivazione dell‟olivo).

Eurimediterranee: specie con areale concentrato sulle coste mediterranee, ma
prolungatesi verso nord e verso est (area della vite). In questa tipologia abbiamo incluso
anche le Mediterraneo-Montane.

Mediterranee: in questo gruppo abbiamo incluso diverse tipologie non riconducibili né
alle Euri né alle Steno- mediterranee in senso stretto, ma sono specie che presentano un
baricentro o più orientale o occidentale.

Eurasiatiche: specie del continente eurasiatico oppure di una porzione di questo
sempre entro l‟area del clima temperato. Si tratta per lo più di specie legate all‟ambiente del
bosco caducifoglio oppure all‟ambiente arido continentale di tipo steppico o substeppico.

Atlantiche: specie con areale centrato sulle coste atlantiche d‟Europa e irraggianti più o
meno profondamente nell‟Europa Occidentale e Centrale. Sono adattate ad un bioclima
oceanico; spesso sono piante di ambienti umidi e salmastri o di ambienti sabbiosi.

Boreali: specie con areale centrato sulle masse continentali che circondano il Polo
Nord, quindi nelle zone settentrionali temperate e fredde di Europa, Asia e America
settentrionale (Ubaldi 1997).

Cosmopolite: specie ad ampia distribuzione che si presentano più o meno in tutti i
continenti e con diverse condizioni climatiche.
68
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale

Esotiche: specie che non fanno parte della flora spontanea d‟Italia e sono state
introdotte per trasporto diretto o indiretto da parte dell‟uomo.
Corotipo specifico
Steno-Medit.
Steno-Medit.-Turan.
Steno-Medit.-Atl.
E-Steno-Medit.
W-Steno-Medit.
NW-Steno-Medit.
Submedit.
Submedit.-Pontica
E-Medit.
S-Medit.
NE-Medit.
Euri-Medit.
E-Euri-Medit.
Euri-Medit.-Turan.
Euri-Medit.-Subatl.
Euri-Medit.-Macaron.
Euri-Medit.-Atl.
W-Euri-Medit.
S-Euri-Medit.
C-Euri-Medit.
Eurasiat.
Paleotemp.
W-Paleotemp.
Europee
S-Europ.
S-Europ.-S-Sib.
Europ.-Caucas.
Subtrop.
Paleosubtrop.
Pantrop.-Subtrop.
Cosmop.
Subcosmop.
Corotipo generale
SW-Steno-Medit.
S-Steno-Medit.
Steno-Medit.-Mont.
Steno-Medit.-Macaron.
N-Steno-Medit.
NW-Steno-Medit.
N-Medit.
W-Medit.-Macaron.
W-Medit.
CW-Medit.
NW-Medit.
NE-Euri-Medit.
N-Euri-Medit.
Euri-Medit.-Mont.
Medit.-Mont.
NE-Medit.-Mont.
E-Medit.-Mont.
C-Medit.-Mont.
SW-Medit.-Mont.
W-Medit.-Mont.
SE-Europ.
E-Medit.-Pontica
Centroeurop.
Pontica
SE-Europ.-Pont.
S-Europ.-Pont.
E-Europ.-Pont.
Saharo-Sind.
Termocosmop.
Medit.-Turan.
S-Medit.-Turan.
E-Medit.-Turan.
Stenomediterraneoe
Mediterranee
EuriMediterranee
Eurasiatiche
Cosmopolite
Circumbor.
Eurosib.
Boreali
Subatl.
Medit.-Atl.
Submedit.-subatl.
W-Europ.
Anfiatl.
Atlantiche
Endemiche
Endem.
Esotica dubbia
Diversi paesi d'origine
Esotiche
Tab. 2.4 - Schema dei tipi corologici specifici e generali utilizzati per calcolare lo spettro corologico.
Per ogni tipo corologico è stata calcolata la percentuale sul numero totale delle specie, cioè
la sua frequenza. Gli spettri corologici esprimono la distribuzione differenziata di specie, in
un‟area nella quale essa vive allo stato spontaneo, in rapporto a fattori ecologici. Sono,
quindi, di notevole interesse sia per lo studio fitogeografico sia per quello ecologico. Ad
esempio, un‟elevata percentuale di specie cosmopolite denota ambienti molto influenzati
dall‟uomo. Possiamo dire, quindi, che gli spetti corologici e biologici funzionano alla stregua
69
Parte 2
di bioindicatori sono cioè elementi sintetici in grado di dare informazioni sui fattori
ambientali (climatici, ecologici e storici).
4.2.4 Le specie esotiche e la loro classificazione
Riguardo alle specie esotiche, un uso appropriato dei termini è essenziale per affrontare
con metodo l‟argomento, onde evitare fraintendimenti dovuti a un‟errata interpretazione.
Perciò, in questa parte presentiamo in modo approfondito il problema legato alla
classificazione delle specie esotiche e la terminologia che si è deciso di seguire.
Molti autori, si sono occupati, in modi e in tempi diversi, della identificazione, definizione
e terminologia delle entità “esotiche” (o aliene o alloctone) contrapposte alle specie native (o
indigene, o autoctone). Risulta, però, subito evidente la grande quantità di termini e
definizioni usate, tutt‟altro che semplificanti e chiarificatori. Alcune parole sono usate come
sinonimi, anche quando non lo sono, in quanto l‟uso nel linguaggio comune di alcuni termini
è differente dal loro significato tecnico-scientifico. Anche i vocaboli apparentemente più
semplici hanno accezioni le più varie o addirittura contraddittorie da autore ad autore. Ne
sono un esempio le numerose classificazioni prodotte a cominciare dall‟inizio del XX secolo:
da quelle che hanno interessato l‟Europa centrale come la proposta dal botanico svizzero
Thellung (1912, 1918/19) che creò una terminologia scientifica (Sukopp 1998), molto
complicata e ricca di termini di radice greca preoccupandosi di tradurre le definizioni di
nativa, introdotta, aliena in francese, tedesco e inglese, a quelle che hanno considerato l‟area
mediterranea come il lavoro di Quezel et al. (1990) in cui si distinsero le antropofite dalle
apofite.
Per quanto riguarda la flora italiana si può menzionare: il lavoro di Fiori (1908), in cu le
specie introdotte vengono distinte in economiche, ornamentali e casualmente introdotte;
quello di Saccardo (1909) in cui le specie esotiche vengono distinte in coltivate e avventizie;
quello di Béguinot & Mazza (1916) che individua tra le advenae le specie economiche ed
industriali; e infine il lavoro di Viegi et al. (1974) in cui le specie esotiche presenti in Italia
sono state distinte in coltivate (spontaneizzate e non spontaneizzate) e avventizie (casuali e
naturalizzate).
L‟assenza di una terminologia chiaramente definita, e largamente accettata, per descrivere
lo stato delle piante esotiche ha rappresentato un problema anche per l‟attuazione di
politiche di conservazione. Così, con lo sviluppo di una vera e propria “ecologia delle
invasioni” e con la pubblicazione di numerosi lavori dedicati alla comprensione dei processi
di invasione da parte di piante esotiche si è sviluppata anche la necessita di rivedere la
terminologia di questi concetti (Collautti & MacIsaac 2004).
A riguardo, un importante contributo nel chiarire la terminologia e nel renderla univoca, è
stato quello fornito da Richardson et al. (2000), e approfondito poi nel lavoro di Pyšek et al.
(2004). I fraintendimenti terminologici, secondo questi autori, sono causati particolarmente
dalle diverse percezioni delle invasioni delle piante da parte delle specifiche discipline
70
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
biologiche e dei differenti punti di vista (Williamson 1993; Di Castri 1990; Rejmánek 1995).
Come dimostrato da di Castri (1990) e Rejmánek (1995) le piante che invadono gli habitats in
cui esse non erano presenti prima, possono essere considerate dal punto di vista ecologico
(colonizer, pioneering species, migrants) o dal punto di vista biogeografico (aliens, exotics,
introduced species, invaders) o antropocentrico (weeds, pests, agent of epidemic) (Fig. 2.10).
Fig. 2.10 – Approcci utilizzati per classificare le specie che invadono habitat e territorio dove non erano presenti
prima. È riportato il punto di vista antropocentrico, ecologico e biogeografico (da Pyšek et al. 2004)
Secondo Pyšek et al. (2004) l‟approccio biogeografico dovrebbe essere preferito quando si
studiano le invasioni biologiche. Inoltre, tre sono le questioni cruciali che dovremmo porci
quando ci si occupa delle specie esotiche:
1- Se il taxon che consideriamo è nativo o esotico nella regione di studio origin status
2- Qual è la sua posizione nel processo di invasione quando era introdotta  residence
status
3- Qual è il grado della sua naturalizzazione e possibile invasione  invasion status
Per questo, è fondamentale considerare e definire precisamente tutte le fasi del processo di
invasione di una nuova regione da parte di un taxon introdotto (Richardson et al. 2000; Kolar
& Lodge 2001; Collautti & MacIsaac 2004). Sono state distinte quattro fasi fondamentali: 1)
trasporto di una particolare specie in una nuova regione biogeografia; 2) insediamento nella
nuova regione; 3) diffusione; 4) invasione. Da una fase all‟altra, molti filtri entrano in gioco
(Kühn et al. 2004); è utile considerare i fattori che limitano l‟espansione di un taxon introdotto
in una regione, e rappresentarli come una serie di barriere. Richardson et al. (2000) hanno
proposto, così, una semplice concettualizzazione del processo naturalizzazione /invasione
(Fig. 2.11). Secondo questo schema l‟invasione è il processo che richiede ad un taxon di
superare molte barriere biotiche e abiotiche. Le fasi del processo possono essere definite sulla
base delle barriere che sono (o non sono) superate.
71
Parte 2
Introduzione indica il processo mediante il quale una specie è trasportata dall‟uomo al di
fuori del suo areale primario storicamente noto, accidentalmente o intenzionalmente; questo
significa che la pianta ha superato con l‟aiuto dell‟uomo la principale barriera geografica.
Successivamente devono essere superate le barriere ambientali locali (clima e suolo, fattori
ambientali diversi da quelli del luogo di origine). Le specie che superano questa barriera
possono considerarsi aliene casuali; tali taxa, infatti, possono riprodursi sessualmente o
vegetativamente ma non riescono a mantenere la loro popolazione per tempi più lunghi.
Queste piante, quindi, devono fare affidamento su una ripetuta introduzione per persistere.
Fig. 2.11 - Una schematica rappresentazione delle maggiori barriere che limitano la diffusione delle piante
introdotte (da Richardson et al. 2000).
La naturalizzazione inizia solo quando le barriere ambientali non impediscono al taxon di
sopravvivere e quando le barriere che regolano la riproduzione sono superate. Quindi un
taxon potrebbe essere naturalizzato quando ha superato le tre barriere A, B e C (Fig.2.11). A
questo punto le popolazioni sono così numerose che la probabilità di estinzione è bassa.
L‟invasione, invece, si verifica quando si ha una diffusione lontano dai siti dell‟introduzione;
questa richiede, che la pianta introdotta superi anche le barriere di dispersione interne alla
nuova regione e possa lottare con successo contro l‟ambiente abiotico e la componente
biotica dell‟intera area, andando ad occupare ambienti naturali e seminaturali (Richardson et
72
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
al. 2000). La Tab. 2.5 riporta la classificazione di Richardson et al. (2000) e Pyšek et al. (2004)
delle specie vegetali “invasive”, basata su tale processo di naturalizzazione / invasione.
Tale terminologia proposta da Pyšek et al. 2004, a cui facciamo riferimento nella presente
ricerca, è stata adottata a livello internazionale dallo IUCN e introdotta anche nel
programma LIFE (L‟instrument financier pour l‟environnement) della Commissione Europea
che rappresenta il principale fondo dell‟Unione diretto alla conservazione della natura.
Ovviamente trattandosi di una classificazione presenta dei limiti nonostante la sua utilità in
campo applicativo e scientifico. Una prima problematica è determinata dal fatto che la
classificazione proposta da Richardson et al. (2000) e da Pyšek et al. (2004) non considera le
specie “invasive” o “non invasive” in riferimento all‟impatto sull‟uomo, sulla sua salute o
sull‟ambiente, come invece, in molte convenzioni e leggi è contenuto. Infatti, nella stessa
Convenzione sulla biodiversità di Rio de Janeiro (1992) all‟art.8, che riguarda la
conservazione in situ, al punto h, si legge che ciascuna parte contraente vieta l‟introduzione
di specie esotiche che minacciano gli ecosistemi, gli habitat o le specie, le controlla o le
sradica. Le specie considerate in questo contesto, sono solo una parte delle specie “invasive”.
Per questo nelle loro classificazioni gli autori, per considerare anche questa componente
riferita ai possibili impatti, riportano alcuni termini già esistenti come quello di “erbacce”,
weeds (Randall 2002) e di pests per tutti i tipi di organismi e il termine di trasformatori,
transformers, per quelle specie che hanno un chiaro ed evidente impatto sull‟ecosistema sulle
sue componenti (Tab.2.2).
Inoltre, un'altra questione riguarda proprio la fase di passaggio di una specie esotica da
naturalizzata, non invasiva a invasiva; tale cambiamento rappresenta il punto in cui la specie
esotica può iniziare a causare chiare conseguenze ecologiche o economiche. Ma, dal punto di
vista applicativo, purtroppo non è sempre semplice classificare un taxon come naturalizzato
o come invasivo, anche perché queste fasi non sono discrete e si potrebbe verificare un
cambiamento graduale da una forma ad all‟altra nel tempo e nello spazio; inoltre non è
sempre possibile definire la distanza dei propaguli dalle piante madri.
Il concetto chiave è comunque, che non tutte le specie esotiche introdotte in una regione
diventano invasive e che non tutte le specie naturalizzate diventano invasive.
È famosa a riguardo la ten-ten rule (Williamson & Brown 1986; Williamson & Fitter 1996)
che proponeva una stima quantitativa delle specie esotiche che divenivano nocive (pests).
Questa probabilistica valutazione prediceva che il 10% delle specie introdotte diveniva
casuale, il 10% delle causali diveniva naturalizzata (sensu Richardson et al. 2000) e infine il
10% delle naturalizzate diveniva dannosa (pest, sensu Pyšek 2004). Kowarik nel 1995 propose
anch‟egli sulla base dei lavori condotti sulle specie arboree introdotte in Germania, un
rapporto 10:2:1; cioè il 10 % delle specie introdotte si propagava (casuali), il 2% si stabilizzava
(naturalizzate) e la metà di queste (1%) diventava membro della vegetazione naturale
(invasiva).
73
Parte 2
Sebbene questi calcoli siano molto probabilistici con grandi limiti, e molte eccezioni
(Williamson 2000) e siano stati anche mal interpretati, essi rappresentano una buona
indicazione del numero di specie da considerare come specie potenzialmente invasive e
nocive; la regola delle decine è utile come riferimento a cui i dati reali possono essere
relazionati: deviazioni da questa regola indicano taxa con una più elevata o minore
invasività e regioni o habitat con una maggiore o minore invasività (Williamson 1996; Gaston
et al. 2003).
In molte flore e in molti lavori che studiano i processi di invasione, si distinguono le specie
esotiche in archeofite e neofite (es. Pyšek & al. 2002) in base alla data della scoperta
dell‟America (1492) per l‟Europa centrale (2003) o quella delle colonizzazione degli europei
per altre parti del mondo (es. Australia). Nel presente lavoro la componente delle esotiche ha
compreso solo le neofite, a causa della difficoltà di distinguere le specie archeofite da quelle
native; questo, infatti, richiede notevoli informazioni di tipo paleobotanico archeologico,
ecologico e storico di cui non sempre si hanno i dati. Inoltre, è stato dimostrato (vedi Pyšek et
al. 2004) che le archeofite dal punto di vista ecologico-funzionale sono molto differenti dalle
neofite e sono molto simili alle native per quanto riguarda la distribuzione e grandezza dei
loro range geografici. Per questo si tende, come nel nostro caso, a aggruppare insieme i taxa
stabiliti da tempi lontani (archeofite) con le native.
Quindi, in questa ricerca le specie esotiche sono state classificate in casuali, naturalizzate,
invasive secondo le indicazioni di Richardson et al. (2000) et Pyšek et al. (2004); inoltre a
queste categorie sono state aggiunte quelle delle specie esotiche coltivate e quelle delle specie
di dubbia “esoticità”. Le informazioni per tale classificazioni sono state attinte da lavori
precedenti, osservazioni in campo e studi monografici delle specie esotiche rinvenute.
74
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
TERMINOLOGIA DELLE ESOTICHE
Piante native (Native plants): specie che si sono originate in una data area senza l’intervento dell’uomo o che sono
arrivate lì senza l’intervento intenzionale o non intenzionale dell’uomo da un’area in cui esse sono native.
Sinonimi: autoctone, indigene.
Piante aliene (Alien plants): specie la cui presenza in una data area è dovuta all’introduzione intenzionale o
involontaria per mezzo delle attività umane o che sono arrivate lì senza l’aiuto dell’uomo da un’area in cui
esse sono esotiche. Sinonimi: esotiche, alloctone, non nativa, non indigena.
Piante esotiche occasionali o causali (Casual alien plants): piante esotiche che possono fiorir e poi riprodursi
occasionalmente in un’area, ma che non possono mantener popolazioni per lunghi periodi di tempo e fanno
affidamento per la loro persistenza ad introduzioni ripetute.
Piante naturalizzate (Naturalized plants): piante esotiche che si riproducono consistentemente e sostengono la
loro popolazione per molti cicli vitali (almeno 10 anni) senza l’intervento umano mediante il reclutamento da
semi o ramets (tuberi, bulbi, frammenti..) capaci di crescere indipendentemente.
Piante invasive (Invasive plants): sono le piante naturalizzate che producono una prole riproduttiva , spesso molto
numerosa, ad una distanza considerevole dalle piante madri (più di 100 m in meno di 50 anni per specie che si
riproducono con semi, più di 6 m in 3 anni per specie che si riproducono mediante rizomi, stoloni, radici, fusti
striscianti), e quindi hanno il potenziale per diffondendosi su un’ampia area.
Trasformatori (Transformers): è un termine ecologico (non è relazionato a danni economici) che indica un
sottogruppo delle specie invasive (non necessariamente esotiche) che modificano il carattere, le condizioni, la
forma , la natura degli ecosistemi su un area notevole dell’estensione complessiva di quell’ecosistema.
Possiamo distinguere : a) quelli che utilizzano in modo eccessivo le risorse (acqua- Tamarix ssp.; acqua e luce
– Arundo donax; b) quelli che donano risorse limitate (azoto- Acacia ssp.); c) i promotori (Bromus tectorum) o
soppressori del fuoco; d) stabilizzatori della sabbia; e) promotori dell’erosione; d) accumulatori di lettiera
(Eucalyptus ssp.); e) accumulatori di sale.
Erbacce (Weeds, pests): questo termine è antropocentrico (è relazionato agli interessi dell’uomo) ed indica piante,
non necessariamente esotiche, che crescono in aree dove esse non sono volute (es. campi coltivati) e che
generalmente producono effetti nocivi all’economia e all’ambiente. Sinonimi: infestanti, nocive,…
Tab. 2.5 -Terminologia raccomandata nell‟ecologia dell‟invasione delle piante (da Richardson et al. 2000 e Pyšek
et al. 2004).
75
Parte 2
4.2.5 Confronto tra i due versanti e analisi della ricchezza native/esotiche
Dopo aver analizzato dal punto di vista tassonomico, ecologico e corologico i dati ottenuti
dal censimento per l‟area costiera complessiva e per ciascuna regione di studio, si è
proceduto al confronto tra i due versanti costieri, quello tirrenico e quello adriatico. Questo è
stato realizzato non solo mediante l‟utilizzo di spettri corologici e biologici, ma anche
attraverso strumenti di analisi statistica. Infatti, è stata costruita una matrice in cui si è
riportato il numero totale di specie x il numero dei quadranti o plots censiti (820 specie x 72
rilievi). A tale matrice si è applicata, utilizzando il programma Syntax-2000 (Podani 2001),
una Principal Coordinates Analysis (PCoA) con coefficiente di Jaccard {1-a/(a+b+c) } per dati
binari come coefficiente di somiglianza; in questo modo si è ottenuto un ordinamento con la
distribuzione spaziale dei plot censiti. In un secondo momento, è stata effettuata un‟analisi
più approfondita sulle differenze tra i due versanti a livello di tipi corologici per la
componente nativa e di areali orginari per quella esotica; questo è stato effettuato attraverso
l‟uso di test statistici, in particolare del t-Test effettuato con il programma SPSS (SPSS Inc.
2001). Le tipologie corologiche confrontate sono state per le specie native: il corotipo delle
Mediterranee in senso lato (Euri-Medit. + Steno-Medit. + Mediterranee), quello delle
Eurasiatiche+Boreali, quello delle Atlantiche e, infine, quello delle Cosmopolite. Per quanto
riguarda le esotiche, invece, si sono considerate i seguenti areali originari: America
extratropicale, America tropicale, Africa, Asia, Australia e Altri paesi.
In seguito, il nostro interesse si è focalizzato sulla ricchezza specifica di ciascun plot. È stata
applicata di nuovo una PCoA e i plots sono stati etichettati con il numero di specie che essi
comprendono e indicati con cerchi di dimensione diversa relativamente a tale ricchezza
specifica. Lo scopo di questo tipo di analisi era innanzi tutto di esaminare se ci fosse un
trend particolare relazionato a qualche aspetto di tipo ambientale o ecologico, e poi,
soprattutto di esaminare quale relazione ci fosse tra la ricchezza di specie native e il numero
di esotiche presenti in ciascun plot. Questo secondo aspetto è stato analizzato attraverso
un‟analisi di regressione. Si ricorre alla regressione quando si vuole semplicemente utilizzare
la capacità predittiva della regressione per stimare Y, conoscendo X, allo scopo di ottenere
una semplice descrizione di una relazione empirica oppure come controllo della sua
esistenza, senza entrare nella logica disciplinare. L‟analisi della regressione stima i rapporti
tra le variabili in modo che sia possibile valutare l‟andamento di una data variabile in
funzione delle altre.
Nel nostro caso si è realizzato un grafico (o diagramma) di dispersione in cui si sono
confrontate coppie di valori, e cioè il numero di esotiche sulle ordinate in relazione al
numero di specie native per ciascun plot. In seguito è stata rappresentata graficamente,
mediante un programma informatico (Excel 2000) la linea di tendenza e la sua equazione
insieme al valore del coefficiente di determinazione (coefficient of determination) R2 (R square
76
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
indicato anche con R oppure r2). Questo coefficiente rappresenta la proporzione di
variazione totale che è spiegata dalla variabile dipendente.
In termini statistici esso rappresenta, su un campione di n dati, il rapporto della devianza
dovuta alla regressione sulla devianza totale:
Espresso a volte in percentuale, più spesso con un indice che varia da 0 a 1, R2 serve per
misurare della variabile dipendente Y sia predetto dalla variabile indipendente X e quindi
per valutare l‟utilità dell‟equazione di regressione ai fini della previsione dei valori della Y.
Il valore del coefficiente di determinazione è tanto più elevato quanto più la retta passa
vicino ai punti, fino a raggiungere 1 quando tutti i punti sperimentali sono collocati
esattamente sulla retta. In tale caso, infatti, ogni Yi può essere predetto con precisione totale
dal corrispondente valore di Xi. Nella ricerca ambientale e in molti settori della ricerca
biologica, data l‟ampia variabilità delle risposte individuali agli stessi stimoli, è prassi diffusa
che la determinazione possa essere ritenuta buona, (in linguaggio tecnico, il modello ha un
buon fitting con in valori sperimentali), quando R2 supera 0,6 (0,60%). R2 è una misura che
ha scopi descrittivi del campione raccolto; non è legata ad inferenze statistiche, ma a scopi
pratici, specifici dell'uso della regressione come metodo per prevedere Yi conoscendo Xi.
Infine, si è voluto riportare in maniera cartografica il pattern di alcuni aspetti corologici e di
quelli relativi alla ricchezza di specie native e di esotiche nei due versanti costieri, attraverso
l‟utilizzo di Arc View 3.1 (ESRI 2000), un programma per la cartografia e la gestione dei dati
in ambiente GIS (Geographic Information System). Infatti, alla carta delle tre regioni è stata
sovrapposta la griglia dei quadranti e indicato con vari tipi di colori e scale di gradazione
l‟andamento della ricchezza specifica e delle diverse tipologie corologiche. Inoltre l‟utilizzo
del GIS ci ha permesso anche di creare delle cartine di distribuzione di alcune specie di
particolare interesse, specie rare o vulnerabili, e anche di alcune delle principali specie
esotiche.
77
Parte 2
5. RISULTATI DEL CENSIMENTO FLORISTICO
5.1. RISULTATI DEL CENSIMENTO FLORISTICO COMPLESSIVO
Il censimento floristico delle dune costiere sabbiose dell‟Italia centrale ha interessato 72
quadranti: 46 del Lazio, 19 dell‟Abruzzo e 7 del Molise. I dati ottenuti hanno dimostrato la
presenza di un‟elevata ricchezza di specie. Sono state censite, infatti, 820 entità (di cui 210
sottospecie) comprese in 94 famiglie tassonomiche. La quasi totalità delle specie censite è
rappresentata da Angiosperme, in particolare il 75,5% è costituito da Dicotiledoni (619
entità), mentre il 23% da Monocotiledoni (189 entità); solo lo 0,73% (6 entità) è costituito da
Pteridofite e la stessa percentuale è costituita dalle Gimnosperme (Fig. 2.12).
75,5
80
60
%
Fig. 2.12 - Percentuale delle
specie
ripartite
nelle
quattro categorie sistematiche principali.
40
23,0
20
0,7
0,7
ni
do
oc
ot
ile
on
M
Di
co
t
ile
do
rm
e
G
im
no
sp
e
of
ite
Pt
er
id
ni
0
In particolare, per la costa laziale, sono state censite 547 specie comprese in 88 famiglie
tassonomiche; per la costa abruzzese 474 specie comprese in 75 famiglie; mentre per la per la
costa molisana sono state censite 347 specie comprese in 70 famiglie tassonomiche. Nel
complesso, le famiglie più frequenti sono risultate in primo luogo le Poaceae con una
percentuale di circa il 13%, seguite dalle Fabaceae e Asteraceae, (entrambe con una percentuale
del 12% circa), e infine dalle Caryophyllaceae (circa 5%) (Fig. 2.13). Le Asteraceae e Le Fabaceae
sono risultate in maggiore percentuale lungo le coste tirreniche rispetto a quelle adriatiche,
dove, invece, si sono osservate un maggior numero di Asteraceae. Ben 73 famiglie sono
presenti con percentuali minori dell‟1% del totale; di queste 24 sono rappresentate da una
sola
specie
(es.
Anacardiaceae,
Portulacaceae,
Lauraceae,
Amaryllidaceae,
Cactaceae,
Pittosporaceae..…), 17 da due specie (Agavaceae, Campanulaceae, Arialiaceae, Crassulaceae,
Oxalidaceae, Resedaceae, Rhamnaceae…). Le famiglie rappresentate, quindi, sono quelle a larga
distribuzione e ricche di generi e specie. I generi maggiormente rappresentati dei 403
individuati sono Trifolium (18), Carex (15), Medicago e Vicia (11) Silene (10), Euphorbia,
Ranunculus, Senecio e Linum (9), Juncus, Plantago (8), Allium, Cerastium, Geranium, Lotus,
Lathyrus, Veronica (7).
78
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
58,7
60
Fig. 2.13 - Spettro complessivo
delle
famiglie
tassonomiche
individuate
dal
censimento
floristico delle tre regioni costiere.
50
40
30
20
13,3
11,7
11,7
4,6
10
4%
<
Fa
ba
ce
ae
As
te
ra
ce
Ca
ae
ry
op
hy
lla
ce
ae
Po
ac
ea
e
0
Molte delle entità censite, e precisamente poco più del 42% (347 entità), sono risultate
comuni ai due versanti costieri (adriatico e tirrenico); e di queste entità, ben 164 (pari 20% del
totale) sono presenti in tutte e tre le regioni. Si tratta soprattutto di entità legate alla
vegetazione naturale potenziale della duna (come Elymus farctus subsp. farctus, Eryngium
maritimum, Cakile maritima subsp. maritima, Cyperus capitatus, Echinophora spinosa, Calystegia
soldanella, Chamaesyce peplis (=Euphorbia peplis), Euphorbia paralias, Medicago marina, Ononis
variegata, Pancratium maritimum, Polygonum maritimum, Sporobolus virginicus, Vulpia
fasciculata, Sonchus bulbosus subsp. bulbosus) della macchia (come Cistus salviifolius, Quercus
ilex subsp. ilex, Rhamnus alaternus subsp. alaternus, Myrtus communis s.l.), degli ambienti più
umidi e salmastri (come Artemisia caerulescens subsp. caerulescens, Erianthus ravennae,
Scirpoides holoschoenus, Limbarda crithmoides s.l., Juncus acutus subsp. acutus) e anche di specie
legate agli ambienti ruderali e sinantropici (come Anagallis arvensis subsp. arvensis,
Convolvulus arvensis, Plantago lanceolata, Malva sylvestris subsp. sylvestris, Rumex crispus e
Raphanus raphanistrum s.l.).
In particolare si è notato che le specie comuni alle coste laziali e molisane sono 85, mentre
quelle comuni alle coste laziali e abruzzesi sono 98. Tra le prime ricordiamo molte specie di
ambienti salmastri come Sarcocornia fruticosa, Atriplex portulacoides, Limonium narborense e
diverse specie del retroduna e della macchia come Euonymus europaeus, Rosmarinus officinalis,
Halimium halimifolium subsp. halimifolium, Erica multiflora; mentre tra le seconde emergono
alcune specie rare per il versante adriatico ma comuni su quello tirrenico come Anthemis
maritima e specie di ambiente più umido di origine europea o boreale (es. Agrostis stolonifera,
Cyperus longus, Lytrhum salicaria, Geranium molle).
Le entità esclusive del versante tirrenico costituiscono una percentuale del 24,4% (200
entità) delle specie censite per tutte e tre le regioni, e il 36,6% di quelle censite per il Lazio.
Tra queste vi sono specie tipicamente tirreniche, aventi un areale, esteso sulle regioni
occidentali d‟Italia, come alcune specie di avanduna (Crucianella maritima, Cutandia divaricata,
Matthiola sinuata, Plantago macrorrhiza) e di retroduna e macchia come Pycnocomon rutifolium,
Centhrantus calcitrapae subsp. calcitrapae, Senecio leucanthemifolius subsp. leucanthemifolius, S.
79
Parte 2
lividus, Daphne gnidium, Prasium majus e Quercus suber. Ve ne sono poi altre di macchia come
Erica arborea, Arbutus unedo, Juniperus phoenicia subsp. phoenicia, o di pratelli retrodunali come
Clypeola jonthlaspi subsp. jonthlaspi che erano presenti anche sulla costa adriatica, seppur
estremamente localizzate come confermato da precedenti segnalazioni (Lucchese 1995; Conti
& Stanisci 1989), ma che adesso sono qui quasi del tutto scomparse.
Le specie, invece, censite solamente sul litorale adriatico costituiscono circa il 29 % (pari a
273 entità) delle specie totali. Di queste 61 (pari al 7,4% delle specie totali) sono esclusive
della costa molisana, 175 (21,3%) della costa abruzzese, mentre solo 37 specie (4,5%) sono
comuni a entrambe le regioni adriatiche. Si tratta di specie dunali come Ambrosia maritima,
Lotus creticus e l‟endemica Verbascum niveum subsp. garganicum, che hanno il loro areale
centrale sui litorali. Si hanno poi specie ruderali distribuite nei pratelli retrodunali (Bellis
perennis, Melilotus sulcatus, Glycyrrhiza glabra, Diplotaxis erucoides subsp. erucoides) ma anche
specie legate ad ambienti umidi o alofili come Schoenoplectus tabernaemontani, Sonchus
maritimus subsp. maritimus, Juncus maritimus e Plantago crassifolia. Tra le specie esclusive della
costa abruzzese è importante ricordare alcune specie legate agli ambienti retrodunali umidi,
ai prati umidi e salmastri come Samolus valerandi, Aegopodium podagraria, Linum maritimum
subsp. maritimum, Euphorbia platyphyllos subsp. platyphyllos, Sanguisorba officinalis e Clematis
viticella una pianta lianosa, legata originariamente a siepi, arbusteti, macchie di cespugli,
boschi, ma in luoghi prettamente umidi; infine, tra le specie tipiche degli ambienti di gariga e
di incolti aridi sono state censite Ballota nigra subsp. meridionalis, Cerastium diffusum subp.
diffusum e tra le specie dunali Stachys maritima. Le specie esclusive, invece, della costa
molisana comprendono alcune alofile che sono state censite presso la foce del fiume Biferno
(Campomarino) come Suaeda maritima e Aeluropus littoralis; alcune specie delle radure di
macchia e degli incolti aridi come Helianthemum jonium, Alkanna tinctoria subsp. tinctoria e
Senecio delphinifolius; e specie di ambienti umidi come Carex hispida, Carex acutiformis, Isolepis
cernua e Puccinellia festuciformis. Specie, comunque, con un baricentro più spostato verso
l‟Adriatico sono Ambrosia maritima, Glycyrrhiza glabra e Lotus creticus.
In seguito, è stato realizzato uno studio ecologico-strutturale e fitogeografico calcolando gli
spettri corologici e biologici per i quadranti laziali, abruzzesi e molisani campionati.
Dall‟analisi dello spettro biologico complessivo (Fig. 2.14) è emersa la predominanza di
terofite (41%), con una netta prevalenza di scapose. Molte delle terofite censite sono specie
ruderali frequenti negli incolti e nei pratelli che si sviluppano tra le radure della macchia, nei
rimboschimenti o nelle zone retrodunali. Nel nostro caso ne sono un esempio Arenaria
serpyllifolia subsp. serpyllifolia, Avena barbata, Geranium rotundifolium, Papaver rhoeas subsp.
rhoeas, Dasypyrum villosum. Delle terofite, invece, legate alla vegetazione naturale potenziale,
troviamo molte specie delle spiagge e della duna mobile come Cakile maritima subsp.
marittima, Cutandia maritima, Euphorbia terracina, Phleum arenarium subsp. caesium, Silene
canescens, Plantago coronopus subsp. coronopus e Salsola kali. Tra le terofite frequenti nei pratelli
retrodunali e nelle radure di macchia, ricordiamo Lagurus ovatus s.l., Vulpia fasciculata,
80
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
Malcolmia nana, Pseudorlaya pumila, Erodium laciniatum subsp. laciniatum e Polycarpon
tetraphyllum subsp. tetraphyllum. Seguono poi, nello spettro biologico le emicriptofite (circa
28%), le geofite (11,8%) e le fanerofite (11,7%).
45
41,0
40
35
27,6
30
25
20
11,8
15
11,7
10
4,6
5
Fig. 2.14 - Spettro biologico
complessivo delle specie censite.
3,3
0
T
G
H
Ch
NP
P
Tra le emicriptofite legate alla vegetazione potenziale naturale, ricordiamo alcune specie di
duna, oltre alle già menzionate Polygonum maritimum, Echinophora spinosa e Anthemis
marittima, come Centaurea sphaerocephala, Sixalix atropurpurea subsp. grandiflora, e Glaucium
flavum; sono emicriptofite anche alcune specie dei pratelli retrodunali come Silene vulgaris
subsp. tenoreana, Petrorhagia saxifraga subsp. saxifraga e Lobularia marittima subsp. maritima, e
altre specie di ambienti più umidi o salmastri come Erianthus ravennae, Schoenus nigricans,
Carex extensa, Calystegia sepium subsp. sepium e il già menzionato Limonium narbonense. Tra le
emicriptofite vi sono naturalmente anche diverse specie ruderali e di incolti come Capsella
bursa-pastoris subsp. bursa-pastoris, Silene latifolia subsp. alba, Trifolium repens s.l., Crepis
vesicaria subsp. vesicaria e Dactylis glomerata s.l. Le geofite, sono quasi esclusivamente
rizomatose; infatti esse, con le loro radici, trattengono la sabbia e sono così responsabili della
formazione delle dune.Tra le geofite tipiche degli ambienti dunali, infatti, troviamo
Ammophila arenaria subsp. australis, Elymus farctus subsp. farctus, Cyperus capitatus, Pancratium
maritimum, Sporobolus virginicus e Sonchus bulbosus subsp. bulbosus. Tra le geofite troviamo
anche specie di ambienti umidi come Aristolochia rotonda s.l., Phragmites australis subsp.
australis, Scirpoides holoschoenus e del retroduna come Arum italicum subsp. italicum, Cyclamen
repandum subsp. repandum, Muscari comosum e Limodorum abortivum. Per quanto riguarda,
infine, le fanerofite, osserviamo che esse comprendono sia specie legate alla vegetazione
naturale della macchia mediterranea e dei boschi retrodunali quali Phillyrea angustifolia,
Pistacia lentiscus, Rhamnus alaternus subsp. alaternus, Rubia peregrina s.l., Quercus ilex subsp.
ilex, Myrtus communis s.l., Lonicera implexa subsp. implexa, Clematis flammula, Laurus nobilis,
Viburnum tinus subsp. tinus sia specie utilizzate dall‟uomo per rimboschimenti o per fini
ornamentali quali Pinus ssp. e Tamarix gallica alle quali si aggiungono diverse esotiche di cui
parleremo in seguito.
Per quanto riguarda l‟aspetto corologico, è emerso il predominio delle specie Mediterranee,
che nel complesso costituiscono circa il 54% delle specie censite (Fig. 2.15). Le EuriMediterranee rappresentano il 26,6%, mentre le Steno-Mediterranee raggiungono il 24,3%.
81
Parte 2
Nello spettro corologico al gruppo delle Mediterranee seguono le Eurasiatiche (19,5%) e le
Cosmopolite (11%) (Fig.2.15). Tra le Eurasiatiche troviamo specie legate all‟ambiente del
bosco caducifoglio (es. Quercus pubescens subsp. pubescens, Acer campestre, Fraxinus ornus
subsp. ornus, Ulmus minor subsp. minor), agli ambienti umidi (es. Populus alba, Alnus
glutinosa, Eupatorium cannabinum subsp. cannabinum) oppure all‟ambiente arido di tipo
steppico e substeppico; in questo caso si tratta di erbe con adattamenti per lo xerofitismo.
Alcune specie, infatti, come Avena fatua, Sonchus oleraceus, Trifolium campestre, Malva neglecta e
Cerastrium semidecandrum sono tipiche degli incolti aridi. Tra le specie eurasiatiche troviamo
anche due specie tipiche delle dune: Salsola soda, che cresce sui suoli salati dove si ha
accumulo di residui organici e Salsola kali, tipica specie pioniera delle spiagge.
30
25
24,3
26,6
19,5
20
Fig. 2.15 - Spettro corologico
complessivo
delle
specie
censite.
15
11,0
8,2
10
3,2
5
4,6
2,2
0,5
Eu
St
en
o
-M
ed
ri- it.
M
ed
it .
M
ed
Eu it.
ra
s
Co iat.
sm
E s op.
ot
ic
h
Bo e
re
al
At i
la
n
En t.
de
m
.
0
Anche le Cosmopolite, includono specie multizonali legate ad ambienti ecologici ben
determinati, che si ripetono nelle varie parti del mondo tra cui, appunto, le spiagge sabbiose
costiere. Tra queste specie ricordiamo le già menzionate Calystegia soldanella, Sporobolus
virginicus e Polygonum maritimum. Esiste, però, un gruppo importante di piante multizonali,
costituito da specie che vivono a stretto contatto con l‟uomo: specie dei terreni calpestati (es.
Parapholis incurva, Cynodon dactylon), degli accumuli di rifiuti, oppure infestanti di orti e
campi, (es. Chenopodium album s.l., Fumaria officinalis subsp. officinalis, Urtica dioica subsp.
dioica, Vicia sativa s.l.). Tra le cosmopolite di ambiente umido e salmastro censite troviamo
Juncus bufonius, Bolboschoenus maritimus, Suaeda vera e Imperata cylindrica. Sono state censite,
infine, quattro specie endemiche (0,5%), tre sulla costa molisana-abruzzese (versante
adriatico) e una su quella laziale (versante tirrenico). Si tratta nel primo caso del Verbascum
niveum subsp. garganicum, specie tipica degli ambienti aridi, che ha il suo areale sul versante
orientale della nostra Penisola, dalle Marche al Gargano, di Helianthemum jonium, e di
Artemisia campestris subsp. variabilis; nel secondo caso, invece, della Linaria purpurea, specie
caratterizzata da straordinaria ampiezza ecologica.
82
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
5.2 SPECIE ESOTICHE DELLE COSTE DELL’ITALIA CENTRALE
Sono state censite un totale di 67 entità esotiche pari all‟8,2 % della flora totale rilevata (Fig.
2.15). Le entità aliene campionate sono 27 (=7,8%) per il Molise, 37 (=7,8%) per l‟Abruzzo e 46
(=8,4%) per il Lazio (vedi Appendice I). Le famiglie tassonomiche più rappresentate sono
risultate due famiglie ad ampia distribuzione: Asteraceae (circa 18%) seguite dalle Fabaceae
(9%) (Fig. 2.16); a queste seguono le Aizoaceae, Palmae, Onagraceae e Poaceae tutte con una
percentuale del 4,5%. Più del 55% delle specie esotiche è rappresentato da famiglie con due o
una specie. I generi maggiormenti rappresentati sono Erigeron (=Conyza) con tre specie
seguito da Carpobrotus, Vitis, Senecio, Xathium, Phoenix, Acacia, Oxalis ed Oenothera con 2
specie.
55,2
60
50
Fig. 2.16 - Spettro delle famiglie
tassonomiche delle specie esotiche
censite nelle tre regioni costiere.
40
30
20
10
17,9
9,0
4,5
4,5
4,5
4,5
A
st
er
ltr
e
A
ac
e
ae
Fa
ba
ce
Po ae
ac
ea
A
e
iz
oa
ce
ae
Pa
lm
O
na
ae
gr
ac
ea
e
0
Dall‟analisi sullo status di invasività delle specie esotiche (vedi Appendice I), si osserva che
le esotiche casuali, come atteso, rappresentano la percentuale maggiore (circa 48% pari a 32
entità), seguite dalle naturalizzate (circa 21% pari a 14 entità) e infine dalle invasive (poco più
del 16% pari a 11 entità) (Fig. 2.17) Tra le casuali sono incluse molte esotiche introdotte
principalmente a scopo ornamentale, come Yucca gloriosa, Aptenia cordifolia, Mirabilis jalapa,
Lantana camara, Phoenix canariensis, Ipheion uniflorum, Chamaedorea elegans, Gazania rigens,
Commelina communis e Aloe barbadensis. Si tratta quasi sempre di esemplari piantati dall‟uomo
(vicino case e stabilimenti) e dotati solo di una limitata capacità di riproduzione vegetativa
che non consente comunque alle nuove piante di allontanarsi molto dal sito di introduzione
(Acosta et al. 2007a). Le esotiche naturalizzate comprendono specie come Pittosporum tobira,
Cuscuta scandens subsp. cesattiana, Opuntia ficus-indica (sulla costa tirrenica), Ligustrum
lucidum, Amaranthus retroflexus (sulla costa adriatica). Pittosporum tobira è stata considerata
specie naturalizzata in quanto osservata in ambienti molto distanti da insediamenti umani
(da escludere che si trattasse di piante coltivate), inoltre sono state trovate plantule di
pittosporo in contesti di macchia relativamente ben conservati. Cuscuta scandens subsp.
cesattiana è stata considerata naturalizzata in quanto trattasi di una specie introdotta
accidentalmente e diventata ormai comune sulle dune (Acosta et al. 2007a); non è dunque
83
Parte 2
ipotizzabile che sia piantata e diffusa dall‟uomo. Anche Amaranthus retroflexus, sebbene
conosciuta come per la sua capacità di occupare velocemente i campi coltivati ed
abbandonati grazie alla rapida crescita vegetativa e alla produzione di un elevatissimo
numero di semi dispersi dal vento (può produrre fino a 120.000 semi nel suo breve ciclo
vitale; Celesti Grapow 2005), non è stata osservata come invasiva negli ambienti costieri,
dove occupa ambienti ruderali marginali.
Coltivate
11,9%
Fig. 2.17 - Status di invasività delle
specie esotiche censite.
Invasive
16,4%
Dubbie
3,0%
Casuali
47,8%
Naturalizzate
20,9%
Le esotiche invasive, infine, che rappresentano la componente più “minacciosa”, includono
Carpobrotus acinaciformis/C. edulis, Agave americana, Erigeron ssp. (= Conyza ssp.), Oenothera
ssp. e Ambrosia coronopifolia (vedi Appendice I). Nel caso di Carpobrotus acinaciformis/C.
edulis, si è preferito mantenere le due entità anche se esistono problemi tassonomici non
ancora risolti (Akeroyd & Preston 1990; Suehs et al. 2004). Dal XIX secolo, infatti, C.
acinaciformis e C.edulis sono stati tradizionalmente distinti come due specie ben distinte nel
Bacino del mediterraneo, distinguibili solo per pochi caratteri dei fiori, delle foglie e degli
internodi. Entrambe sono glabre e carnose con fusti striscianti erbacei lunghi fino a parecchi
metri (Pignatti 1982); tuttavia alcuni studi sulla loro sistematica (Akeroyd & Preston 1990)
considerarono C. acinaciformis come una variante con fiore rosa-violaceo (var. rubescens) del
C. edulis; questo è stato confermato anche dal lavoro di Suehs et al. (2001) in cui è stato
osservato che gli individui di C. acinaciformis delle isole Bagaud erano il risultato di una
ibridazione tra C. acinaciformis ed C. edulis delle naturali popolazioni del Sud Africa quindi
definirono questi individui ibridi come C. affine acinaciformis. Anche studi effettuati sulle
popolazioni introdotte in California hanno accertato la possibilità di una facile ibridazione
tra le specie di questo genere (Albert et al. 1997). A causa, quindi, della loro ambiguità
tassonomica in questa parte della ricerca di natura tassonomica si continua a considerarli
come distinti.
84
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
Alle classi causali, naturalizzate ed invasive abbiamo aggiunto anche quella che
comprende le specie esotiche coltivate; si tratta di 8 specie (circa il 12% delle esotiche totali)
quasi tutte di origine americana o asiatica tra cui ricordiamo: Albizzia julibrissin, Morus alba,
Prunus domestica subsp. domestica e Popolus canadensis. Un'altra classe, infine, aggiunta è stata
quella delle specie esotiche dubbie, cioè di quelle specie per le quali è dubbio il loro status di
esotiche. In questa categoria sono state incluse due specie: Arundo donax e Xantium orientale
subsp. italicum. La prima è una graminacea di origine asiatica che stata introdotta nel
Mediterraneo da lungo tempo per costituire barriere e per utilizzare i culmi, simili al
bamboo; è da molti considerata ormai una archeofita ad ampia distribuzione (cosmopolita)
essendo attualmente diffusa nelle aree tropicali e subtropicali di tutto il mondo. L‟altra
specie, Xantium orientale subsp. italicum (= X. strumarium subsp. italicum), secondo alcuni
autori (Weber 2003) potrebbe essere una nuova entità evolutasi nell‟Europa meridionale e il
cui preciso areale nativo sarebbe ancora sconosciuto; essa si sarebbe sviluppata dallo
Xanthium strumarium, specie di origine nordamericana e di antica introduzione in Europa
(anch‟essa probabilmente un‟archeofita secondo Poldini et al. 2001).
Alcune specie esotiche (26 entità circa il 39% delle esotiche totali) sono risultate comuni a
entrambi i versanti costieri; e di queste entità 15 sono comuni a tutte e tre le regioni. Tra
queste specie censite su entrambi i versanti, alcune sono state trovate sulle dune come
Carpobrotus acinaciformis, C. edulis, Agave americana presenti soprattutto sulla costa laziale e
Xanthium orientale subsp. italicum, Arundo donax e Cuscuta scandens subsp. cesattiana, presenti
soprattutto sulla costa molisana e abruzzese; ma anche di specie introdotte per i
rimboschimenti litoranei come Elaeagnus angustifolia, Eucalyptus camaldulensis o frequenti in
prossimità di siepi o case come il Pittosporum tobira, Phoenix canariensis e Opuntia ficus-indica o
in ambienti più ruderali come Erigeron ssp., Oxalis articulata e Robinia pseudacacia. Esotiche
presenti solo lungo il litorale tirrenico sono risultate alcune specie introdotte per fini
ornamentali come le già menzionate Yucca gloriosa, Gazania rigens, Aptenia cordifolia, Mirabilis
jalapa, Lantana camara e Aloe barbadensis o per rimboschimenti come Acacia melanoxylon. Le
specie esotiche presenti solo sul litorale molisano sono risultate essenzialmente legate ai
rimboschimenti, come la diffusa Acacia saligna e il Cupressus semprervirens; tra le specie,
invece, campionate sulla duna ricordiamo Xanthium spinosum. Ben 15 specie esotiche sono
state censite solo in Abruzzo; tra queste ricordiamo due specie del genere Oenothera,
Oenothera suaveolens e O. adriatica, ma anche di specie quali Commelina communis, Artemisia
verlotiorum, Ligustrum lucidum, Amaranthus retroflexus, Ambrosia coronopifolia, Cortaderia
selloana e alcune specie coltivate come Populus canadensis e Morus alba. Due sono le specie
esotiche esclusive della costa molisana-abruzzese: Oenothera biennis, specie di origine
americana molto frequente sulle dune adriatiche e Amorpha fruticosa, anch‟essa di orgine
americana che si sviluppa negli ambienti più umidi del retroduna.
85
Parte 2
Per quanto riguarda le forme biologiche delle specie esotiche censite, dal seguente spettro
biologico (Fig. 2.18) si può osservare che le più rappresentate sono le fanerofite (circa 39%) e
le terofite (25,4%), seguite dalle geofite (16,4%). Nello stesso spettro, però, vengono riportate
anche le percentuali delle forme biologiche delle sole specie native, dominate, a differenza
delle esotiche, dalle terofite (42,4%) e dalle emicriptofite (29,3%). Per comprendere questo
differente comportamento a livello di tipi biologici tra la componente nativa e quella esotica,
abbiamo suddiviso quest‟ultima sulla base delle categorie di invasività e, quindi, calcolato lo
spettro biologico delle esotiche in base al loro status (Fig. 2.19), escludendo le coltivate e le
dubbie.
50
42,4
38,8
Fig. 2.18 - Spettro biologico
delle specie esotiche e delle
native a confronto.
40
29,3
30
25,4
%
16,4
20
11,4
7,5
10
4,4
7,5
9,3
3,2 4,5
0
T
G
H
Native
Ch
NP
P
Esotiche
40
35
Fig. 2.19 - Spettro biologico
delle specie esotiche in base
al loro status di invasività.
30
25
% 20
15
10
5
0
T
G
Esotiche casuali
H
Ch
Esotiche naturalizzate
NP
P
Esotiche invasive
Si è osservato che un‟elevata percentuale di fanerofite riguarda fondamentalmente le aliene
casuali (38%) a anche le specie coltivate che qui non sono state indicate, introdotte a scopo
ornamentale o per i rimboschimenti. Potremmo dire che, quindi, l‟elevata presenza di
fanerofite tra le specie esotiche causali non sarebbe dovuta ad una strategia adattativa.
Mentre si è osservato che le aliene invasive sono principalmente terofite (36%) e in minor
misura emicriptofite (27%) oppure camefite (18%).
86
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
Infine, per quanto riguarda la provenienza delle specie esotiche, cioè il loro areale di
origine, è emerso che l‟America rappresenta il continente di origine per il maggior numero di
esse con una buona presenza di elementi tropicali (circa 27%) e extratropicali (22%), seguito
dall‟Asia (circa 21%) e dall‟Africa (13%) (Fig. 2.20a-b). Tra le specie di origine asiatica
ricordiamo Ailanthus altissimus, Artemisia verlotiorum, Dichondra micrantha, Ligustrum lucidum,
Pittosporum tobira e Lonicera japalonica.
Altri paesi
6%
30
25
20
15
10
5
0
Dubbie
3%
Am erica
50%
Africa
13%
26,9
22,4
20,9
13,4
7,5
6,0
3,0
ex
tr
at
ro
A
p.
m
er
.tr
op
.
A
si
a
A
fr
ic
A
us a
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al
A
ia
lt r
ip
ae
si
D
ub
bi
e
Australia
7%
A
m
er
.
Asia
21%
Fig. 2.20 - a) Origine delle specie esotiche censite; b) Spettro con la distinzione della componente americana
tropicale ed extratropicale.
Tra le specie di origine africana predominano le Aizoaceae; si tratta di specie succulente
introdotte soprattutto a scopo ornamentale. Il caso più noto è la diffusione del genere
Carpobrotus ssp. (fico degli ottentotti), di cui abbiammo accennato a proposito dei problemi
tassonomici. Questa specie, spesso utilizzato nelle opere di consolidamento dunale è una
pianta succulenta, che si accresce formando fitti tappeti sulle sabbie o sulle rocce e sottraendo
spazio vitale alle specie autoctone. È risultata molto invasiva sulle coste laziali a differenza di
quelle molisane; è quasi del tutto assente sulle coste abruzzesi (vedi cartina pag. 89).
In seguito, come per lo spettro biologico, anche per quello indicante gli areali d‟origine
delle specie esotiche, è stato considerato lo status di invasività delle esotiche e ricostruito un
nuovo spettro che evidenziasse il comportamento di ciascuna categoria. La Fig. 2.21 mostra
la dominanza di specie di origine americana sia nelle casuali che nelle invasive che in quello
naturalizzate; si evidenzia, però, come le specie invasive siano rappresentate solo da specie
di origine americana e africana comprendendo Agave americana e le specie del genere
Erigeron, Oenothera, Carpobrotus; le naturalizzate e le causali, invece, includono specie
provenienti anche da altri continenti.
87
Parte 2
90
75
Fig. 2.21 - Spettro relativo
all‟areale originario delle
specie esotiche in base al loro
status d‟invasività.
60
% 45
30
15
Esotiche casuali
Esotiche naturalizzate
e
bi
Du
b
ae
si
Al
tri
p
tra
lia
Au
s
Af
ric
a
As
ia
Am
er
ic
a
0
Esotiche invasive
5.2.1 Distribuzione di alcune specie esotiche lungo le coste tirreniche ed adriatiche
Nella parte seguente riportiamo alcune cartine di distribuzione delle specie esotiche più
comuni e invasive degli ambienti dunali esaminati.
Agave americana L.
Il genere Agave è formato da un gruppo di piante a rosetta con foglie succulente endemiche del Nuovo
Mondo; esse sono native del Nord America, dell‟America Centrale, dei Caraibi e del Sud America.
Agave americana è stata introdotta in Italia nel secolo XVI e poi nel resto del Mediterraneo. In Italia
centro-meridionale è diffusa negli incolti, negli uliveti, nei coltivi e sul bordo di strade, dove si
propaga per via vegetativa (Pignatti 1982). Essa è considerata aliena invasiva in Europa meridionale,
nelle isole del Mediterraneo, in Africa meridionale, nelle Canarie e nelle Azzorre (Weber 2003). Nelle
zone dove si comporta da invasiva, come negli ambienti costieri della costa tirrenica, la pianta persiste
a lungo e si riproduce grazie ad abbondanti e robusti stoloni; in questo modo un singolo individuo
può formare un popolamento denso e impenetrabile danneggiando la vegetazione autoctona. Inoltre
questa specie presenta metabolismo di tipo CAM (Badano & Pugnaire 2004), è molto resistente allo
stress idrico e mostra una grande adattabilità ai diversi tipi di suolo (Weber 2003).
88
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
Carpobrotus acinaciformis/edulis
Il genere Carpobrotus (Aizoaceae) è composto da specie perenni succulente con una crescita prostrata e
strisciante, foglie a forma triangolate e frutti carnosi indeiscenti con un aroma dolce (Wisura & Glen
1993). Esso comprende approssimativamente 25 taxa che si trovano soprattutto in Africa, Australia,
Nuova Zelanda, Cile, Messico e California. Almeno 4 specie non native di Carpobrotus sono presenti
nel Bacino del Mediterraneo. Lungo le coste Mediterranee dell‟Italia, e quindi nelle aree costiere da noi
censite, sono presenti probabilmente due specie C. acinaciformis ed C. edulis introdotte inizialmente per
fini ornamentali e poi piantate per la stabilizzazione delle dune e dei versanti . Densi tappeti di
Carpobrotus possono effettivamente trattenere le particelle di sabbia e argilla e limitare il potere
erosivo. Nell‟arco di pochi anni, però queste specie si diffondono e invadono le comunità delle coste
(Suehs et al. 2001). Esse, infatti, formano larghe, monospecifiche e continue patches, escludendo le
specie delle comunità native, quindi minacciano le specie native delle coste mediterrnaee. Gli stoloni,
divenendo legnosi quando si propagano, formano spessi (fino a 50 cm in altezza) e ampi (fino a 20 m
in lunghezza) tappeti in cu nessuna o poche specie possono crescere. La caratteristica dei Carpobrotus è
quella di presentare, quindi, un‟efficace riproduzione vegetativa che si caratterizza, peraltro,
contrariamente a quello che di solito accade, da un‟elevata diversità genetica; a questa, però, si
accompagna anche una riproduzione sessuale producendo centinaia di semi dispersi soprattutto da
roditori e uccelli (endozoocoria). La propagazione vegetativa permette a queste specie di coprire
completamente i suoli nudi, si strisciare su piccoli arbusti e di pendere lungo la parete delle scogliere.
La rapida estensione di questi taxa può indurre gravi estinzioni di specie native di grande valore; per
esempio minacciando molte specie rare, le specie endemiche come i Limonium sulle isole Baleari (Vilà
& Muñoz 1999) o intere comunità (crucianelleto lungo litorale laziale). Per questo sono considerate
specie modificatrici del paesaggio e della vegetazione costiera in ambito mediterraneo. Le specie di
Carpobrotus invadono l‟avanduna, le fasce ricche di specie alofite, il retroduna, i versanti rocciosi
costieri, i prati, le macchie basse costiere principalmente su terreni silicei. Ben 21 comunità vegetali
incluse nella Direttiva Europea Habitat (Direttiva 92/43/EEC) e almeno 26 specie di valore
patriomoniale (24 protette e 7 endemiche) sono localmnente minacciate dall‟invasione del Carpobrotus
(Suehs et al. 2001).
C. acinaciformis ed C. edulis sono considerate aliene invasive in Europa meridionale, nelle isole del
Mediterraneo, nelle isole britanniche, in Australia, in California, nelle Azzorre, nelle isole
dell‟Atlantico meridionale; sono considerate aliene non invasiva in Africa settentrionale, in Nuova
Zelanda, negli USA sud-orientali, nelle isole di Capo Verde e nelle isole Canarie (Weber 2003). In
numerose aree della Penisola Iberica sono in corso progetti di eradicazione finanziati dal Programma
LIFE dell‟Unione Europea (Scalera & Zaghi 2004).
89
Parte 2
Erigeron ssp.
Le specie del genere Erigeron (ex Conyza)
censite lungo le coste delle tre regioni costiere
sono E. canadensis, E. bonariensis e E.
sumatrensis. Si tratta di Asteracee di origine
americana; sono specie antropofile che
beneficiano del disturbo antropico.La cartina
ne dimostra la distribuzione complessiva sulle
coste esaminate. La più diffusa è E. canadensis,
originaria delle praterie del Nord America.Si
tratta di una specie dotata di una notevole
capacità invasiva; essa è capace di produrre un
elevatissimo numero di semi (200.000 per ogni
pianta di buone dimensioni), che per la loro
leggerezza e facilità di dispersione le hanno
permesso di invadere ampi territori. Lungo le
coste censite è presente soprattutto nel
retroduna; sulla costa molisana invade anche
nell‟ammofileto.
Oenothera ssp.
Nelle aree costiere esaminate, in particolare sul versante adriatico, sono state censite tre specie
appartenenti al genere Oenothera, di cui sopra si riporta la distribuzione complessiva: O. biennis, O.
suaveolens e O. adriatica. Il range nativo delle specie del genere Oenothera è confinato nel Centro, NordSud America; non ci sono prove della loro presenza nel Vecchio Mondo prima del 1492 (Dietrich et al.
1997). Attualmente sono circa una quarantina le specie di Oenothera individuate dagli autori europei,
soprattutto nella regione tedesco-polacca; in parte si tratta di specie di introduzione Nordamericana ed
in parte di specie derivate da incroci con entità già stabilizzate in Europa (Soldano 1993). Sono
soprattutto, come nel nostro caso, specie bienni che si riproducono sessualmente mediante semi. Esse si
insediano in modo efficace su siti disturbati che mancano di copertura vegetale (Mihulka et al. 2001;
2003). Infatti, il ciclo di vita bienne è ben adatto alla colonizzazione di habitat aperti e irregolarmente
disturbati; queste specie, quindi, hanno un grande successo negli ambienti sinantropici, sebbene
nell‟area di studio siano stati osservati anche in situazioni di elevata naturalità.
90
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
Ambrosia coronopifolia Torr. & A. Gray
Specie
originaria
del
Nord
America.
Introdotta
accidentalmente in Europa, si è ampiamente diffusa anche nella regione
Mediterranea. Cresce suoli temporaneamente umidi a trama leggera.
È stata censita solo lungo il litorale
adriatico, in particolare lungo la
costa abruzzese dove invade le
aree retrodunali.
5.3 SPECIE RARE E VULNERABILI DELLE COSTE SABBIOSE DELL’ITALIA
CENTRALE
Dopo aver esaminato la componente esotica, la nostra attenzione si è focalizzata sulla
componente a rischio, cioè su quelle specie rare e vulnerabili che crescono sulle coste italiane
esaminate. Come detto in precedenza, accanto al nome di ogni entità censita è stato indicato
anche lo status di tutela secondo le categorie IUCN, utilizzando il Libro Rosso delle Piante
d‟Italia (Conti et al. 1992), le Liste Rosse Regionali delle piante d‟Italia (Conti et al. 1997) il
recente Atlante delle specie a rischio d‟estinzione (Scoppola & Spampinato 2005). Sono state
censite mediante il censimento floristico effettuato 67 specie a rischio per almeno una delle
tre regioni esaminate (vedi Appendice II). A queste specie bisogna aggiungere Convolvulus
cneorum (status LR), censita nel Lazio e compresa tra le specie a rischio per l‟intero territorio
italiano (Scoppola & Spampinato 2005). L‟Abruzzo è la regione con il maggior numero di
specie a rischio, seguita dal Molise e dal Lazio (Tab. 2.6).
Tab. 2.6 - Numero di specie a rischio
censite nelle tre regioni esaminate ed
incluse in Conti et al. 1997 Le
categorie IUCN sono: EW = extinct in
the wild = CR = critically endangered;
EN= endangered; VU= vulnerable;
LR=Lower risk; DD= data deficient.
Cat. IUCN
EW
CR
EN
VU
LR
DD
Totale
LAZIO
1
6
6
13
ABRUZZO MOLISE
2
6
20
6
15
12
1
6
1
45
24
Brevemente ricordiamo alcune delle specie incluse in ciascuna categoria. Tra le specie
“gravemente minacciate” (CR) sono state censite per l‟Abruzzo Anthemis maritima, Polygonum
91
Parte 2
maritimum, Pancratium maritimum e Sarcocornia perennis. Tra le specie “minacciate” (EN) sono
state rilevate: Aeluropus littoralis, Malcolmia nana, Puccinellia festuciformis, Artemisia
caerulescens subsp. caerulescens, Alkanna tinctoria subsp. tinctoria e Sarcocornia fruticosa per il
Molise, Romulea rollii per il Lazio e Ammophila arenaria subsp. australis, Ambrosia maritima,
Juncus littoralis, J. maritimus, Phleum arenarium subsp. caesium, Calystegia soldanella, Eryngium
maritimum, Sporobolus virginicus, Echinophora spinosa e Euphorbia paralias per l‟Abruzzo. Infine,
tra le specie Vulnerabili (VU) sono state censite Malcolmia nana, Suaeda vera e Sarcocornia
fruticosa per il Lazio; Chamaesyce peplis, Cyperus capitatus, Erodium laciniatum subsp. laciniatum
e Euphorbia terracina per l‟Abruzzo e Ambrosia maritima, Atriplex portulacoides, Pancratium
maritimum e Otanthus maritimus subsp. maritimus (=Achillea maritima subsp. marittima) per il
Molise.
Le famiglie tassonomiche più rappresentate sono risultate le Poaceae (16,4%) seguite dalle
Asteraceae (9%) e Cyperaceae (9%) (Fig. 2.22). Più del 50% delle specie a rischio è rappresentato
da famiglie con meno di 4 specie. I generi maggiormente rappresentati sono Carex e Juncus
con tre specie seguiti da Allium, Asphodelus, Atriplex, Euphorbia, Polypogon e Puccinellia con 2
specie.
53,7
60
50
Fig. 2.22 - Spettro delle famiglie
tassonomiche delle entità a rischio
d‟estinzione censite nelle tre
regioni costiere.
40
%
30
16,4
20
9,0
9,0
10
6,0
6,0
A
lt r
e
Li
lia
C
ce
he
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no
po
di
ac
ea
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ac
ce
ae
C
yp
Po
A
st
er
a
ac
ea
e
0
In seguito, anche per le specie a rischio è stato realizzato uno studio ecologico-strutturale e
fitogeografico calcolando gli spettri corologici e biologici per i quadranti laziali, abruzzesi e
molisani campionati. Dall‟analisi dello spettro biologico complessivo (Fig. 2.23) è emersa la
predominanza di emicriptofite (31,3%) seguite dalle terofite e geofite, entrambe con una
percentuale del 25,4%; poco rappresentate sono le altre forme biologiche.
50
40
30
31,3
25,4
Fig. 2.23 - Spettro biologico delle specie a
rischio censite nelle tre regioni costiere.
25,4
%
20
9,0
10
3,0
6,0
0
T
G
H
Ch
NP
P
92
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
Per quanto riguarda l‟aspetto corologico, è emerso il predominio delle specie Mediterranee,
che nel complesso rappresentano circa il 63% delle specie a rischio censite (Fig. 2.24). Le
Steno-Mediterranee rappresentano il 34,3%, mentre le Euri-Mediterranee raggiungono circa
il 24%; una buona percentuale, poi, è costituita dalle Cosmopolite (19,4%).
34,3
35
30
Fig. 2.24 - Spettro corologico delle
specie a rischio censite nelle tre
regioni costiere.
23,9
25
%
19,4
20
15
10
7,5
4,5
5
6,0
1,5
3,0
os
m
op
.
B
or
ea
li
A
tla
nt
.
En
de
m
.
si
at
.
C
Eu
ra
ed
it.
M
ed
i t.
M
Eu
ri-
St
en
oM
ed
i t.
0
Infine, è stato realizzato un grafico (Fig. 2.25) in cui abbiamo riportato la tipologia di
ambiente in cui le specie a rischio sono state censite lungo le aree costiere esaminate. Si è
osservato come le specie a rischio siano principalmente legate agli habitat di spiaggia e di
duna (31%) e a quelli umidi che si sviluppano soprattutto nel retroduna (ca. 46%).
Incolti-ruderi
13%
S piagge-dune
31%
Prati retrodunali
6%
Macchie-garighe
4%
Fig. 2.25 - Ripartizione per tipo di
ambiente delle specie contenute
nelle liste rosse regionali delle aree
costiere studiate.
Ambienti umidisalmastri
46%
5.3.1 Distribuzione di alcune specie a rischio lungo le coste tirreniche ed adriatiche
Nella parte seguente riportiamo alcune cartine di distribuzione delle specie a rischio più
tipiche degli ambienti dunali e quelle che presentino un certo interesse dal punto di vista
biogeografico.
93
Parte 2
Ammophila arenaria (L.) Link subsp. australis (Mabille) Laínz
EN
Otanthus maritimus (L.) Hoffmanns. & Link subsp. maritimus
EW
VU
Pancratium maritimum L.
CR
VU
94
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
Romulea rollii Parl.
EN
EN
VU
Echinophora spinosa L.
EN
LR
Anthemis marittima L.
CR
95
Parte 2
5.4 CONFRONTO FLORISTICO TRA VERSANTI COSTIERI: IL TIRRENICO E
L’ADRIATICO
5.4.1 La flora complessiva
Per analizzare i dati floristici ottenuti dai quadranti censiti lungo la costa laziale,
rappresentativa del versante tirrenico e quella abruzzese- molisana, rappresentativa, invece,
del versante adriatico, abbiamo applicato alla matrice 820 specie x 72 quadranti, una PCoA.
Il risultato ottenuto è stato un ordinamento in cui sul piano fattoriale venivano indicati i
quadranti (Fig. 2.26a).
a
b
Q.n°52L
0,3
0,3
Q.n°54L
Q.n°51L
Q.n°53L
Tirreno
Adriatico
Q.n°31L
Q.n°16L
Q.n°33L
Q.n°14L
0,2
Q.n°13L
Q.n°55L
0,2
Q.n°28L
Q.n°6L
Q.n°15L
Q.n°27L
Q.n°32L
Q.n°56L
Q.n°49L
Q.n°47L
Q.n°50L
Q.n°37L
0,1
0,1
Q.n°2A
Q.n°4M
Q.n°6A
0
Q.n°25A
Q.n°13A
Q.n°2M
-0,1
Q.n°15A
Q.n°14A
Q.n°16A
Q.n°7A
Q.n°21A
Q.n°38L
Q.n°7L Q.n°29L
Q.n°40L
Q.n°39L
Q.n°18L
Q.n°17L
Q.n°5L
Q.n°35L
Q.n°21L
Q.n°41L
Q.n°36L
Q.n°3L
Q.n°42L
Q.n°26L
Q.n°24LQ.n°30LQ.n°20L
Q.n°4L
Q.n°23L
Q.n°2L
Q.n°48L
Q.n°25L
Q.n°19L
Q.n°1L
Axis 2
Axis 2
Q.n°8L
-0,1
Q.n°6M
Q.n°1M Q.n°3M Q.n°8M
Q.n°8A
Q.n°9A
Q.n°23A Q.n°24A
Q.n°7M
Q.n°12A
Q.n°27A
Q.n°1A
Q.n°26A
-0,2
0
-0,2
Q.n°5A
Q.n°4A
-0,3
-0,2
-0,1
0
0,1
-0,3
0,2
Axis 1
-0,2
-0,1
0
0,1
0,2
Axis 1
Fig. 2.26 - Ordinamento ottenuto mediante la PCoA dei quadranti censiti sulla base della presenza/assenza
delle specie. a) ordinamento con il numero originario dei quadranti; b) ordinamento in cui è stata evidenziata
l‟appartenenza dei quadranti ai due versanti.
Sebbene la flora costiera sia generalmente riconosciuta come avere un‟ampia distribuzione
(Géhu et al. 1989), si è osservato una chiara differenziazione tra i quadranti del Tirreno e
dell‟Adriatico; cioè, essi risultano chiaramente separati, come è possibile notare meglio nella
Fig. 2.26b in cui abbiamo indicato i plots dei due versanti con cerchi di diversi colori. Queste
differenze potrebbero essere dovute a vari fattori, tra i quali soprattutto quelli di tipo
fitogeografico e climatico. Per esempio si potrebbe ipotizzare che sulla costa adriatica le
specie vegetali sono più capaci di sopportare inverni freddi e estati calde e secche, per il
clima più temperato rispetto a quello del tirrenico. Per questo motivo, una prima indagine ha
riguardato il confronto tra le forme biologiche delle specie censite nei plot dei due versanti,
indicative degli adattamenti al tipo di clima; in seguito abbiamo focalizzato la nostra
attenzione sullo studio degli aspetti corologici.
96
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
Lo spettro biologico (Fig. 2.27) dimostra la presenza di una maggiore percentuale di
emicriptofite sulla costa adriatica (circa il 30%) rispetto a quella tirrenica (circa 22%), dove,
invece, è si è registrata una maggiore presenza di terofite (44%) e fanerofite (circa 14%).
50
40
%
Fig. 2.27 - Confronto tra gli spettri
biologici delle specie censite sue
due versanti costieri, tirrenico e
adriatico.
30
20
10
0
T
G
H
Totale
Tirrenico
Ch
NP
P
Adriatico
Analizzando questo dato mediante un test statistico, il t-Test, che ha considerando le
percentuali delle forme biologiche per ciascun plot, si è osservato che solo le emicriptofite
sono significativamente differenti tra i due versanti; le differenze riguardanti gli altri tipi
biologici, invece, non sono significative (Tab. 2.7)
Forma
biologica
Versante
Mean and
SE
t
Sig.
T
Adriatico
Tirrenico
63.65 ± 1.686
71.72 ± 1.161
- 4.05
n.s.
Ch
Adriatico
Tirrenico
10.99 ± 1.24
7.71 ± 0.75
2.41
n.s.
H
Adriatico
Tirrenico
11.79 ± 0.832
9.49 ± 0.456
2.63
**
G
Adriatico
Tirrenico
3.06 ± 0.26
4.01 ± 0.475
-1.47
n.s.
P
Adriatico
Tirrenico
9.84 ± 0.923
6.70 ± 0.804
2.48
n.s.
Tab.2.7 – Confronto mediante t--Test
delle forme biologiche delle specie
censite nei quadranti dei due
versanti
costieri
(adriatico
e
tirrenico).
Dal punto di vista corologico è stato compiuto lo stesso procedimento. Dapprima, infatti,
abbiamo calcolato lo spettro sulla base delle specie censite nei due versanti, e poi elaborato i
dati relativi alle frequenze dei corotipi per ciascun plot mediante un t-Test. Lo spettro
dimostra una maggiore presenza di Mediterranee (circa 27%; esse includono le Euri-, Stenoe Medit.) e di esotiche (8,4%) sulle coste tirreniche rispetto a quelle adriatiche dove si è
osservata una maggiore percentuale di Eurasiatiche (circa 20,3%), Cosmopolite (12,6%) e
Boreali (5,3%) (Fig. 2.28). Mediante il t-Test (Tab. 2.8) che considera come dati le frequenze
dei corotipi all‟interno di ciascun plot e non le percentuali dei corotipi delle specie censite
separatamente lungo i due versanti, si è osservato che nessuna delle differenze osservate
nello spettro risulta significativa a livelli statistici; l‟unico tipo corologico significativo è
97
Parte 2
risultato quello delle atlantiche, che sono più frequenti nei plots tirrenici rispetto a quelli
adriatici.
60
50
40
%
Fig. 2.28 - Confronto
tra gli spettri corologici
delle
specie
censite
sue
due
versanti costieri.
30
20
10
0
Medit.
Eurasiat.
Cosmop.
Totale
COROTIPO
Versante
Means ( ± SE)
t
Sig.
Adriatico
Tirrenico
64.01 ± 2.46
61.61 ± 1.90
- 0,77
n.s.
Eurasiat./Boreali
Adriatico
Tirrenico
14.40 ± 1.61
16.34 ± 1.40
0.89
n.s.
Cosmop.
Adriatico
Tirrenico
9.09 ± 0.52
9.97 ± 0.53
0,89
n.s.
Atl.
Adriatico
Tirrenico
1.95 ± 0.24
3.47 ± 0.32
3.32
***
Esotiche
Adriatico
Tirrenico
9.85 ± 1.81
8.55 ± 0.91
-0,71
n.s.
Medit.
Esotiche
Tirreno
Boreali
Atlantiche
Endem.
Adriatico
Tab. 2.8 - Confronto mediante tTest dei corotipi delle specie
censite nei quadranti dei due
versanti costieri (adriatico e
tirrenico).
5.4.2 La componente esotica
In seguito, il nostro confronto tra i due versanti costieri analizzati ha diretto la sua
attenzione verso la componente esotica. Anche in questo caso abbiamo considerato prima
l‟aspetto relativo alle forme biologiche e poi quello dei paesi d‟origine delle esotiche censite
nei plots dei due versanti.
Nel primo caso, si è osservata, tra le esotiche, la dominanza in tutti e due i versanti delle
fanerofite e delle terofite sulle altre tipologie; nel confronto, però, si è notata una maggiore
percentuale di camefite (circa 11%) e geofite (circa 20%) sulla costa tirrenica rispetto a quella
adriatica, dove, invece, si registra una maggiore percentuale di emicriptofite (circa 11%), di
terofite (circa 30%) e di fanefofite (circa 37%) (Fig. 2.29); in quest‟ultimo caso ciò è dovuto alla
maggiore presenza sul litorale adriatico di specie utilizzate per rimboschimenti litoranei o
per fini ornamentali. La Tab. 2.9 del t-Test conferma in parte queste considerazioni,
riportando la significatività solo per le terofite e le emicriptofite, più frequenti sul litorale
adriatico, e per le camefite, più frequenti su quello tirrenico.
98
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
45
40
35
30
%
Fig. 2.29 - Confronto tra gli spettri
biologici delle specie esotiche
censite sue due versanti costieri,
tirrenico e adriatico.
25
20
15
10
5
0
T
G
H
Totale
Forma
biologica
T
Ch
H
G
NP/P
Versante
Mean and
SE
Adriatico
6,22 ± 1,85
Tirreno
3,02 ± 0,46
Adriatico
0,23 ± 0,10
Tirreno
1,86 ± 0,32
Adriatico
0,57 ± 0,16
Tirreno
0,00 ± 0,00
Adriatico
1,52 ± 0,24
Tirreno
1,16 ± 0,26
Adriatico
Tirreno
1,77 ± 0,33
2,71 ± 0,42
t
Sig.
-2,12
*
3,69
***
-4,73
****
-0,89
n.s.
1,54
n.s.
Ch
Tirreno
NP
P
Adriatico
Tab. 2.9 - Confronto mediante tTest delle forme biologiche delle
specie esotiche censite nei
quadranti dei due versanti
costieri (adriatico e tirrenico).
Anche confrontando gli areali d‟origine delle specie esotiche censite lungo i due versanti
esaminati, emergono alcune differenze significative. Dallo spettro corologico (Fig. 2.30) si
può osservare, infatti, come si sia registrata una percentuale maggiore di entità provenienti
dall‟America tropicale (28,3%) e dall‟Africa (17,4%) sulle coste tirreniche, mentre una
maggiore percentuale proveniente dall‟America extra-tropicale (circa 27%) e dall‟Asia (17%)
è stata riscontrata sulle coste adriatiche. Per esempio, le specie del genere Carpobrotus,
originarie dalla regione del Capo, in Sud Africa, e Agave americana originaria del Messico,
sono più diffuse lungo le coste tirreniche ma piuttosto rare sulle coste adriatiche. D‟altra
parte, Oenothera ssp. e Ambrosia coronopifolia provenienti dall‟America extratropicale (Nord
America) sono esotiche invasive molto diffuse sul versante adriatico. Questi risultati ci
portano a ipotizzare un‟influenza climatica sulla distribuzione differenziale delle specie
esotiche, supportata dalle caratteristiche più termofile delle aliene legate al versante
tirrenico.
99
Tirreno
Dubbie
Coltivate
Altri paesi
Australia
Africa
Asia
America
tropicale
30
25
20
15
10
5
0
America
extratrop.
Fig. 2.30 - Confronto degli
areali originari delle specie
esotiche censite sui due
versanti costieri (tirrenico e
adriatico).
%
Parte 2
Adriatico
Dalla Tab. 2.10 che riporta i risultati del t-Test, si osserva come tra i due versanti vi sia in
effetti, anche considerando le frequenze all‟interno dei plots, una significativa differenza per
quanto riguarda l‟areale di origine delle specie esotiche; infatti quelle provenienti
dall‟America extratropicale m (soprattutto Nord America) ma anche dall‟Australia sono più
frequenti sulle coste adriatiche, mentre le specie di origine africana sono altamente più
frequenti sulle coste tirreniche.
ORIGINE
ESOTICHE
Versante
Mean ± SE
America
extratrop.
Adriatico
Tirreno
America
trop.
t
Sig.
31,65 ± 3,77
19,33 ± 3,06
- 2,49
*
Adriatico
Tirreno
15,60 ± 2,59
10.85 ± 1,93
-1,45
n.s.
Asia
Adriatico
Tirreno
19,15 ± 3,14
14,12 ± 2,35
-1,26
n.s.
Africa
Adriatico
Tirreno
4,66 ± 1,61
24,98 ± 2,92
4,77
****
Australia
Adriatico
Tirreno
6,22 ± 2,14
2,27 ± 0.89
-2,01
*
Altri paesi
Adriatico
Tirreno
4,77 ± 1,31
6,47 ± 1,56
0,71
n.s.
Tab.
2.10
Confronto
mediante t-Test degli areali di
origine delle specie esotiche
censite nei quadranti dei due
versanti costieri (adriatico e
tirrenico).
5.5 RELAZIONE TRA LA RICCHEZZA DELLE SPECIE NATIVE E QUELLA
DELLE SPECIE ESOTICHE
Sovrapponendo la ricchezza specifica a ciascun plot dell‟ordinamento ottenuto mediante la
PCoA, si osserva che oltre a disporsi in modo differenziato rispetto ai due versanti, i
quadranti si dispongono anche secondo un gradiente della loro ricchezza specifica; infatti, si
nota un aumento del numero di specie per plot con l‟aumentare dei valori dell‟asse 1 (Fig.
2.31).
100
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
Lungo l‟asse 1, quindi si passa da plot poveri di specie, che talvolta coincidono con area in
cui la zonazione costiera è stata quasi del tutto compromessa e quindi resa abbastanza
povera di specie, a plot, in corrispondenza di valori elevati dell‟asse 1, ricchi di specie; in
quest‟ultimo caso si tratta soprattutto di quadranti ricadenti in cui è possibile notare una
zonazione quasi completa, oppure aree in cui sono presenti ampie comunità retrodunali
ricche di specie, soprattutto dei prati annuali. In questo modo, il numero totale di specie
potrebbe essere relativo all‟integrità e allo stato di conservazione della sequenza della
vegetazione costiera.
< 50
0,3
a
51-100
b
0,3
Q.n°52L
Q.n°54L
101-150
Q.n°51L
Q.n°53L
> 150
Q.n°31L
Q.n°33L
Q.n°14L
0,2
Q.n°13L
Q.n°47L
Q.n°50L
Q.n°55L
0,2
Q.n°28L
Q.n°49L
Q.n°6L
Q.n°15L
Q.n°27L
Q.n°32L
Q.n°56L
Q.n°37L
0,1
Axis 2
Q.n°8L
Q.n°2A
Q.n°4M
Q.n°6A
0
Q.n°35L
Q.n°41L
Q.n°25A
-0,1
Q.n°15A
Q.n°14A
Q.n°13A
Q.n°2M
Q.n°7A
Q.n°21A
Q.n°16A
Q.n°23L
Q.n°38L
Q.n°7L Q.n°29L
Q.n°40L
Q.n°39L
Q.n°18L
Q.n°17L
Q.n°5L
Q.n°21L
Q.n°36L
Q.n°3L
0
Q.n°42L
Q.n°26L
Q.n°24LQ.n°30LQ.n°20L
Q.n°4L
Q.n°2L
Q.n°48L
Q.n°25L
Q.n°19L
Q.n°1L
-0,1
Q.n°6M
Q.n°1M Q.n°3M Q.n°8M
Q.n°8A
Q.n°9A
Q.n°23A Q.n°24A
Q.n°7M
Q.n°12A
Q.n°27A
Q.n°1A
Q.n°26A
-0,2
0,1
Axis 2
Q.n°16L
-0,2
Q.n°5A
Q.n°4A
-0,3
-0,2
-0,1
0
0,1
0,2
-0,3
Axis 1
-0,2
-0,1
0
0,1
0,2
Axis 1
Fig. 2.31 – a) Ordinamento ottenuto mediante la PCoA dei quadranti censiti sulla base della presenza/assenza
delle specie con il numero originario dei quadranti; b) ordinamento in cui è stata evidenziata, con l‟utilizzo di
cerchi di differenti dimensioni, la ricchezza specifica di ciascun plot.
Ci siamo chiesti a questo punto se i plots più ricchi di specie fossero anche quelli che
contenevano più specie esotiche. Mettendo in un grafico sugli assi la ricchezza delle specie
native e quella delle esotiche, si è osservata, per ciascun plot, una buona correlazione tra le
due componenti (Fig. 2.32). Il grafico di dispersione riporta, infatti, una relazione positiva tra
le due ricchezze (coefficiente di determinazione R2=0,506). Sebbene il valore di R quadrato
non sia elevata possiamo affermare che si nota la tendenza ad avere un maggior numero di
specie esotiche nei plots più ricchi di specie.
Infine, attraverso l‟uso di cartine ottenute in ambito GIS con il programma Arc View 3.1
(ESRI 2000), sono stati evidenziati i risultati ottenuti, permettendoci di visualizzare meglio la
differenza tra i due versanti e di osservare quali sono i tratti costieri più ricchi a livello
specifico, quali più ricchi di specie esotiche, di invasive o di specie a rischio (Fig. 2.32). Dalle
cartine (Fig. 2.32) emerge che le specie esotiche (e le invasive) sono concentrate soprattutto
sulla costa del Lazio centro-meridionale e su quella abruzzese settentrionale; le specie a
101
Parte 2
rischio sono più numerose nei quadrati del litorale adriatico, in particolare di quello
abruzzese.
25
y = 0,0674x + 1,3262
R2 = 0,506
N. esotiche
20
15
10
5
0
0
50
100
150
200
250
300
N. native
Fig. 2.32 – Grafico che riporta la correlazione tra il numero di specie native e quello delle esotiche per plot.
(Coefficiente di determinazione R2 =0,506)
a
b
c
d
Fig. 2.33 - Cartine in cui i plots vengono classificati mediante gradazioni di colori in base al: a) numero
totale di specie censite; b) numero di totale di specie esotiche; c) numero di specie a rischio di estinzione
comprese nelle Liste Rosse Regionali (Conti et al. 1997); d) numero di specie esotiche invasive.
102
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
6. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI
La flora complessiva
Lo studio della diversità tassonomica degli ambienti costieri dell‟Italia centrale ha rilevato
la presenza di una notevole ricchezza di specie, con ben 820 entità censite. È stata registrata
una buona presenza di specie incluse nelle Liste Rosse Regionali come rare e vulnerabili;
queste sono soprattutto specie che crescono sulle spiagge e dune, e negli ambienti umidi del
retroduna. Nello stesso tempo, però, è stata rilevata anche una forte incidenza di specie
esotiche che sono distribuite nei diversi habitat della zonazione costiera psammofila. La
nostra attenzione si è focalizzata prima sulla caratterizzazione biologica e corologica
dell‟intera flora censita, poi, sulla componente esotica e sulle entità a rischio di estinzione.
Per quanto riguarda la componente nativa, si è osservato che tra le forme biologiche, le
terofite predominano su entrambi i versanti costieri; la presenza di terofite è dovuta alla
notevole aridità estiva che caratterizza il clima mediterraneo, ma anche alla presenza di
ambienti antropizzati. Sulle coste adriatiche si è riscontrata una maggiore percentuale di
emicriptofite, mentre su quelle tirreniche di fanerofite. Questo è dovuto essenzialmente alla
presenza di una macchia mediterranea molto più sviluppata e frequente sui litorali tirrenici e
che, invece, che in Abruzzo e Molise è ora totalmente assente o è limitata a poche aree. Dal
punto di vista corologico, si è osservato che le specie Mediterranee nel loro complesso
(Steno-Euri e Medit.) sono predominanti su entrambe le coste; la sola significativa differente
tra i due versanti è relativa alla componente atlantica, maggiormente distribuita come atteso,
lungo le coste tirreniche.
Le specie esotiche e le specie native
La componente esotica è presente lungo i litorali dell‟Italia centrale con una buona
percentuale (8,5 %) pari a 67 entità censite; la maggior parte di esse sono, però, casuali, cioè
esse si riproducono per poche generazioni ma non formano popolamenti stabili. Poche sono
le specie che si possono considerare con una certa sicurezza invasive negli ambienti dunali.
Tra queste si registra la forte minaccia costituita soprattutto da Carpobrotus ssp. e Agave sugli
ecosistemi dunali tirrenici e Oenothera ssp., Erigeron ssp. e Ambrosia coronopifolia su quelli
adriatici.
Confrontando la componente nativa con quella esotica è emerso, a livello di forme
biologiche, che le native sono soprattutto terofite ed emicriptofite, mentre le esotiche sono
principalmente fanerofite. In realtà considerando lo status di invasività si è notato che
un‟elevata percentuale di fanerofite è costituita dalle esotiche casuali; le esotiche invasive,
invece, condividono le stesse forme biologiche delle native, sono, infatti, soprattutto terofite
103
Parte 2
ed emicriptofite. Nel caso delle terofite l‟elevata produzione di semi facilita la capacità di
dispersione e di colonizzazione della specie. Le emicriptofite e le camefite invasive, invece,
sono spesso rizomatose o stolonifere, adattamenti che promuovono una dispersione locale
ma veloce (Acosta et al. 2007c). Infatti, anche se la propagazione vegetativa non garantisce
una diffusione molto ampia, essa garantisce un insediamento ottimale, a poi una rapida
espansione all‟interno di habitat idonei (Lloret et al. 2005) come siti disturbati di tutte le dune
costiere. Queste caratteristiche legate alla capacità di dispersione e di occupazione degli
spazi potrebbero spiegare perché alcune esotiche siano molto abbondanti e possano
colonizzare diversi habitat dell‟ambiente costiero dunale. In precedenti lavori si è osservato
che la propagazione (riproduzione) generativa è correlata con l‟invasività nelle specie
perenni (Daehler 1998; Lloret et al. 2005). In altre parole, le aliene invasive sono in grado di
invadere molto velocemente nuovi spazi dunali, utilizzando due strategie principali di
dispersione, che vedremo meglio nella Parte 3 della ricerca: producendo un numero
significativo di semi che garantiscono la sopravvivenza delle popolazioni (Ambrosia
coronopifolia, Erigeron ssp., Cenchrus incertus) o avanzando per riproduzione tramite organi
vegetativi come stoloni e rizomi (Carpobrotus, Agave). Il caso ben conosciuto è quello del
Carpobrotus, di cui abbiamo abbondantemente parlato, e la cui distribuzione si concentra
sulle coste tirreniche del Lazio, dove risulta particolarmente invasiva.
Le specie esotiche, sono soprattutto di origine americana, come del resto è stato riscontrato
per la Flora esotica italiana (Viegi et. al. 1974; Viegi et al. 1990; Scoppola & Blasi 2005). In base
a questi lavori, l‟America e l‟Asia costituiscono i continenti di origine per il maggior numero
di specie; è chiaro che gli intensi traffici commerciali che l‟Italia svolge con questi paesi e
l‟apporto del turismo hanno giocato un ruolo predominante sulla diffusione delle specie.
Inoltre, non dobbiamo dimenticare che l‟Italia per la posizione geografica che occupa nel
Mediterraneo, lo sviluppo delle coste, la ricchezza delle isole, le variazioni altitudinali e
climatiche offre alle entità vegetali che vi giungono un‟enorme variabilità ambientale (Viegi
et. al. 1974). Alcune significative differenze, comunque, emergono dal confronto fra i due
litorali considerati: su quello tirrenico si rinvengono con maggior frequenza le specie
provenienti dall‟America tropicale (Agave, Opuntia ficus-indica) ma soprattutto da altre
regioni a clima mediterraneo, in particolare dall‟Africa (Carpobrotus ssp., Aptenia), mentre su
quello adriatico sono state censite soprattutto specie esotiche di origine extratropicale
(Oenothera ssp., Ambrosia coronopifolia, ..) ed australiana (Acacia saligna, Eucalyptus
camaldulensis). Possiamo quindi, osservare una certa corrispondenza tra il clima delle aree di
origine e quelle delle aree colonizzate dalle nuove specie esotiche invasive; sembrerebbe,
cioè, che le specie esotiche più mesofite vanno a colonizzare le aree costiere più temperate
(litorale adriatico), mentre quelle più termofite quelle con un clima più spiccatamente
mediterraneo (litorale tirrenico).
La nostra attenzione, in seguito, si è rivolta a comprendere se ci fosse una relazione tra la
ricchezza di specie native e quella di specie esotiche per i plots complessivi censiti lungo i
104
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
due versanti. Dalla correlazione è emersa una relazione positiva (R2 = 0,506), sebbene non
molto elevata, tra le due ricchezze, concordando con quanto affermato in recenti lavori
(Stohlgren et al. 1999; Sax 2002; Deutschewitz et al. 2003). Il problema della relazione tra
ricchezza di specie vegetali native e ricchezza di specie vegetali esotiche è tuttora molto
dibattuto nella comunità scientifica mondiale (Stohlgren et al. 1999; Fargione & Tilman 2005).
La domanda che la comunità scientifica si pone è la seguente: le specie esotiche invadono più
facilmente comunità ricche di specie o comunità povere di specie? Elton (1958) e in seguito
Tilman (1997) e più recentemente Espinosa-García et al. (2004) hanno proposto che
l‟invasione interessa maggiormente zone una bassa ricchezza di specie native piuttosto che
zone con alta ricchezza specifica a causa delle intense competizioni con le specie esistenti.
Secondo questa ipotesi della “resistenza biologica” (biotic resistance hypothesis), comunità con
un‟alta ricchezza di specie sarebbero in grado di utilizzare le risorse limitanti in modo più
completo, prevenendo l‟invasione di specie esotiche potenzialmente competitive (Mac
Arthur & Wilson 1967; Tilman 1997). Comunità con bassa ricchezza di specie, invece,
sarebbero più suscettibili alle invasioni perché, in accordo con la teoria della rete trofica
(Drake 1991) e con la teoria della coevoluzione (Pimm 1984), queste comunità hanno una più
semplice rete di relazioni interspecifiche e usano le risorse in modo meno completo. Altri
lavori, a cui sembra potersi collegare il nostro risultato, hanno dimostrato, invece, una
relazione positiva tra la ricchezza specifica e quella della componente esotica (e.g. Stohlgren
et al. 1999; Sax 2002). Sembra che le comunità ricche di specie siano intrinsecamente instabili,
con un turnover continuo delle specie presenti, facendo ipotizzare che si inseriscano anche
specie esotiche al posto delle native. Il fatto che sia l‟invasività che la diversità delle specie
native siano regolate nello stesso modo dallo stesso set di fattori (microclima, eterogeneità
spaziale..) spiegherebbe perché si osservino spesso relazioni positive tra le specie native e
quelle non native quando diverse comunità e aree sono confrontate. Una tale relazione
positiva, comunque, sembrerebbe far riferimento a studi a scala di paesaggio, mentre per gli
studi a scala locale (“neighbourhood”scales; Levine 2000), varrebbe ancora la teoria su
ricordata di Elton (1958). Secondo Huston & De Angelis (1994), inoltre, un grande numero di
specie possono coesistere come risultato di un‟eterogeneità a bassa scala e dell‟interazione tra
organismi per risorse variabili nello spazio e nel tempo. In questo scenario le specie esotiche
vegetali potrebbero invadere e coesistere con un alto numero di specie native a condizione
che la luce, l‟acqua e i nutrienti non siano risorse limitanti (Stohlgren et al. 1999). Queste
osservazioni suggeriscono la possibilità che le comunità ricche di specie, quando ricevono un
qualche tipo di disturbo, hanno più risorse disponibili, anche se temporaneamente, per le
eventuali esotiche invasive. Alcuni autori hanno recentemente posto l‟accento sugli altri
possibili fattori, oltre alla ricchezza specifica di autoctone, che potrebbero influenzare i
processi di invasione, in larga parte ancora non noti, e sulle risposte specie-specifiche al
disturbo nelle varie comunità, suggerendo quindi di evitare troppo estese generalizzazioni e
di non dimenticare il particolare contesto di ogni singolo caso di studio (Stohlgren et al.
105
Parte 2
1999). Crawley et al. 1999 e Davis et al. 2000, infatti, suggeriscono che non necessariamente ci
siano relazioni tra l‟invasibilità di un comunità di piante e il numero di specie presenti in
quella comunità. Inoltre secondo questi autori, la maggior parte degli effetti della diversità
delle specie sull‟invasività si focalizza sul numero delle specie e non sull‟identità delle
specie, che molte volte sono state determinanti per l‟interpretazione degli effetti osservati
rispetto alla ricchezza stessa (Crawley et al. 1999). La ricchezza di specie può essere
semplicemente troppo ampio come fattore per spiegare le differenze osservate
nell‟invasibilità delle comunità. Altri fattori come il disturbo, la disponibilità di nutrienti, il
clima possono covariare con la ricchezza. Tra gli altri un elemento da considerare è
sicuramente quella che viene definita la pressione del propagulo (Williamson 1996): le
invasioni sono più frequenti negli habitat accessibili alle specie trasportabili. Considerare,
quindi, questi altri elementi, significa che la presenza di un elevato numero di specie esotiche
potrebbe essere dovuto alla vicinanza di aree ad elevato impatto umano come strade,
ferrovie o lungo corridoi di comunicazione ed essere, quindi, non principalmente collegato al
numero di specie native o alla presenza di un certo disturbo. Anche nel nostro studio, la
presenza di plots ricchi di specie native ma anche di esotiche potrebbe essere relativa proprio
a questi fattori, che si sovrapporrebbero ad altri elementi di natura ecologica (competizione,
nicchie vacanti). In generale, comunque, si è riscontrata una maggiore presenza d‟esotiche in
ambienti particolarmente disturbati, per esempio presso i centri abitati oppure sulle spiagge
dove le dune sono state pesantemente manomesse da interventi antropici, nelle aree di
accesso al mare e nei dintorni di abitazioni, di stabilimenti e camping. In queste aree, dove
sono assenti o scarsi i rapporti di competizione, le esotiche trovano la possibilità di
affermarsi rapidamente e di avviare processi di colonizzazione. Il disturbo, infatti, è stato
osservato come un elemento cruciale nel processo di insediamento delle specie esotiche
(Kowarik 1995).
Le specie a rischio di estinzione
Per quanto riguarda la componente a rischio, è stata rilevata, come detto, una notevole
incidenza di specie a rischio secondo la classificazione IUCN. Gli habitat costieri e gli
ambienti retrodunali umidi, infatti, essendo tra i più vulnerabili, costituiscono gli ecosistemi
elettivi di molte tra le specie maggiormente minacciate. Il numero più elevato di specie rare e
vulnerabili è stato riscontrato nella regione abruzzese, come è stato possibile osservare nella
Fig. 2.33c, e comunque, maggiormente lungo la costa adriatica rispetto a quello tirrenica.
Nessuna specie è risultata a rischio contemporaneamente in tutte e tre le regioni esaminate
(Lazio, Abruzzo e Molise). È inoltre, interessante notare come alcune specie tipiche
dell‟ambiente dunale presentano una diversa categoria IUCN nelle tre regioni. È il caso, ad
esempio, di Ammophila arenaria subsp. australis che non presenta alcun grado di minaccia nel
Lazio e nel Molise, ma è inclusa tra le specie “minacciate” (EN) per l‟Abruzzo; oppure
106
Diversità floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
Echinophora spinosa che non è inclusa tra le specie a rischio di estinzione per il Lazio, ma lo è
per l‟Abruzzo (EN) e il Molise (LR). Altri esempi simili sono rappresentati da Ambrosia
maritima, Euphorbia paralias ed E. terracina. I motivi delle differenze nell‟attribuzione dello
status di criticità alle specie comuni ad almeno due regioni sono da ricercare o nelle
differenti condizioni ambientali dei litorali indagati, o in una disparità di valutazione dovuta
al diverso grado di aggiornamento delle Liste Regionali. Inoltre, spesso le categorie di rischio
attribuite alle entità risentono della soggettività del responsabile scientifico regionale che ha
curato la lista (Scoppola & Blasi 2005). Sono state emanate, inoltre, Leggi Regionali per la
tutela di specie di particolare interesse, le cui liste tuttavia necessitano spesso di un
aggiornamento sostanziale. Per il Lazio ricordiamo la L.R N.64/1974 nel cui elenco di specie
da proteggere sono riportate Ammophila arenaria subsp. australis, Otanthus maritimus subsp.
maritimus, Schoenus nigricans, Imperata cylindrica e Senecio leucanthemifolius. Per l‟Abruzzo
troviamo la L.R N.45/1979 nel cui elenco di specie da proteggere sono riportate Ruscus
aculeatus, Glycyrrhiza glabra e l‟endemica Verbascum niveum subsp. garganicum. Infine, per
quanto concerne la regione molisana abbiamo la L.R N° 9/1999 in cui troviamo tra le specie
da proteggere: Crithmum maritimum, Pistacia lentiscus, Rubus ulmifolius, Glycyrrhiza glabra,
Myrtus communis e Rosmarinus officinalis. La rarità osservata nella presente ricerca, di
numerose specie legate agli ambienti dunali e retrodunali, particolarmente esposti al
disturbo antropico diretto ed indiretto (es. Malcolmia nana, Alkanna tinctoria subsp. tinctoria,
Romulea rollii), suggerisce di aggiornare le Checklist di riferimento nazionale delle entità a
rischio. I dati floristici ottenuti mediante il censimento della presente ricerca, con le cartine di
distribuzione delle singole specie, possono fornire un utile strumento per una maggiore
oggettività nella compilazione delle Liste Rosse, per l‟individuazione di nuove entità dunali
da tutelare e per un futuro riesame delle entità a rischio sulla base della versione 3.1 delle
categorie e dei criteri IUCN.
Concludendo possiamo affermare che la conoscenza della flora delle coste sabbiose è un
importante fase per ogni programma di gestione monitoraggio di questi fragili ambienti. La
costruzione di carte di distribuzione delle entità a rischio ci permette, infatti, di tutelare e
preservare la biodiversità; mentre la realizzazione di carte di distribuzione delle specie
esotiche invasive e non offre una grande piattaforma di dati per studi ecologici e fornisce una
conoscenza di base da cui misurare il successo di futuri programmi di controllo.
107
PARTE 3
ANALISI DELLA DIVERSITÀ FUNZIONALE DELLE SPECIE
NATIVE ED ESOTICHE DELLE COSTE SABBIOSE
DELL’ITALIA CENTRALE
The invasion of natural communities by introduced species
constitutes a major threat to biodiversity globally
(Adair & Groves 1998)
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
1. LA DIVERSITA’ FUNZIONALE E GLI AMBIENTI DUNALI
Davanti alla recente e futura perdita della biodiversità, spiegare la relazione tra la diversità
biologica e il funzionamento e la stabilità degli ecosistemi è diventato uno dei principali
elementi delle ultime ricerche (Schulze & Mooney 1993; Vitousek et al. 1997). Infatti, l‟analisi
della diversità funzionale in termini di plant traits e di Plant Functional Types (PFTs) ci
permette di comprendere i sistemi esaminati in termini ecologici e di analizzarne i principali
processi. L‟applicazione di uno studio funzionale degli ecosistemi terresti e marini è oggi
divenuto molto comune soprattutto per il carattere che i tipi funzionali possono assumere di
“indicatori” in risposta ai continui cambiamenti globali degli ultimi decenni. Comprendere il
funzionamento degli ecosistemi ci permette anche di applicare corrette misure di gestione e
di conservazione. Nella nostra ricerca abbiamo focalizzato l‟attenzione sui sistemi dunali
costieri, ecosistemi tra i più vulnerabili a livello mondiale. Abbiamo già analizzato nella
parte precedente l‟aspetto tassonomico della diversità, adesso ci occuperemo di quello
funzionale. Tale studio è stato effettuato sempre considerando gli ecosistemi dunali
mediterranei dell‟Italia centrale. In questa parte, però, largo spazio sarà dato anche allo
studio funzionale della componente esotica. Infatti, le coste sabbiose del Mediterraneo,
particolarmente soggette alle invasioni biologiche, sono ottimi ecosistemi per individuare le
regole generali della colonizzazione da parte delle specie esotiche. Infatti, esse sono
caratterizzate da tre aspetti principali che influenzano lo sviluppo dell‟invasione e incidono
sulla caratterizzazione funzionale di tali ecosistemi:
1. sono ambienti dinamici sottoposti a forti condizioni di stress, nei quali la
selezione è così intensa da costringere i popolamenti vegetali a forti
specializzazioni ed adattamenti per superare le condizioni estreme cui sono
sottoposti;
2.
sono caratterizzati da un‟elevata ricchezza di specie, caratteristica che può
fornire un certo grado di resistenza alla invasione;
3. sono segnati da una lunga storia degli interventi antropici che ha permesso alle
specie invasive di stabilirsi con effetti importanti sui principali processi
ecosistemici come la produttività primaria, la dinamica dei nutrienti e il flusso
idrologico.
Possiamo dire, quindi, che gli ambienti dunali presentano alcuni caratteri che potrebbero
conferire loro una certa resistenza all‟invasività, ma anche aspetti, di cui parleremo in
seguito, che li rendono, invece, più facilmente “invasibili”. Tra i primi possiamo menzionare
l‟elevata ricchezza di specie che caratterizza la fascia costiera in quanto ambiente ecotonale.
Secondo Elton (1958), la resistenza di una comunità aumenta proporzionalmente al numero
di specie della comunità e quindi alla sua ricchezza di specie (biotic resistance hypothesis).
Abbiamo visto, nella parte precedente, però, come questo valga, secondo recenti studi, a
scala locale e non di paesaggio. Tra gli aspetti che conferirebbero agli ambienti dunali costieri
109
Parte 3
una certa resistenza possiamo ricordare anche la presenza di forti stress ambientali. Secondo
Rodgers & Parker (2003), gli ecosistemi caratterizzati da forte stress ambientale, quali sono le
dune costiere, sono più resistenti alle invasioni biologiche rispetto ad ecosistemi con stress
meno intenso (Rodgers & Parker 2003). Secondo questi autori, in particolare, il disturbo
antropico interagisce con gli stress ambientali nel determinare l‟abbondanza di specie
esotiche. In ambienti dove il disturbo antropico riduce gli stress ambientali le esotiche hanno
maggiori possibilità di insediarsi, al contrario, in ambienti dove il disturbo antropico
comunque non altera il forte stress ambientale (come le dune costiere pioniere con forte
salinità), quest‟ultimo funziona da barriera efficace per le specie esotiche che vi giungono
(Rodgers & Parker 2003).
Tra gli elementi, invece, collegati all‟invasibilità degli ecosistemi potremo menzionare
proprio il disturbo antropico. Esso si manifesta sugli ambienti dunali in vari modi: calpestio,
pulitura meccanica, livellamento geomorfologico; anche la frammentazione di questi
ambienti è vista come una forma di disturbo a “livello di paesaggio” (Hobbs & Huenneke
1992); la frammentazione e la perdita di habitat, infatti, facilitano ed influenzano la
diffusione delle specie invasive, creando numerose nicchie vacanti.
2. DIVERSITA’ FUNZIONALE E INVASIVITÀ DELLE SPECIE
ESOTICHE
2.1 GLI ASPETTI GENERALI DELLE INVASIONI BIOLOGICHE
Nowadays we live in a very esplosive world, and while we may not know where or when the next
outburst will be, we might hope to find ways of stopping it or at any rate dampening rown its force”;
così Charles Elton nel suo libro The ecology of animal and plant invasions (Elton 1958), che segnò
l‟inizio di quella che si definì l‟ecologia delle invasioni (Rejmánek et al. 2005a). Il termine
“invasions”, utilizzato da Elton, è stato molto criticato all‟inizio degli studi sulle specie
esotiche per il suo senso militaristico, evocando l‟idea che l‟espansione delle specie esotiche
porti aggressione e distruzione. Se pensiamo che gli studi sulle invasioni sono quasi
esclusivamente concentrati sulle specie esotiche e che per le piante infestanti indigene si è
proposto di utilizzare anziché il termine invader quello meno negativo di expanding ci
rendiamo conto come nel mondo scientifico esistano pregiudizi e diffidenze, spesso non
giustificati, verso la componente “alloctona”. Il temine invasions è ancora, in ogni modo, il
termine più utilizzato negli articoli che si occupano delle specie non native. In questa parte
saranno presentati i maggiori aspetti legati alla problematica dell‟”invasione” delle specie
esotiche.
Gli aspetti ecologici e genetici collegati alle invasioni di piante hanno rappresentato, negli
ultimi due decenni, uno dei maggiori temi in ecologia a causa dei danni causati da certe
specie invasive negli ecosistemi nativi (Williamson 1996). Molti differenti approcci sono stati
110
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
eseguiti per investigare le cause e i meccanismi delle invasioni biologiche e per predire, per
quando possibile, il loro impatto. Williamson (2001) ha realizzato una lista di questi possibili
“elementi predittivi” (predictors) che possono essere correlati, quindi, al successo di
un‟invasione e gli ha classificati in: storici, relativi alla popolazione, e relativi al singolo
individuo. Tra i primi egli ha incluso il precedente successo (previous success): che una specie
con un certo impatto in una data area possa avere un simile impatto in un'altra area che è,
per grandi linee simile, a livello ecologico, alla precedente, è stato considerato ampiamente
come il migliore elemento predittivo (Williamson & Fitter 1996). In realtà recenti studi hanno
attribuito a questo fattore una certa variabilità e parzialità nel predire un processo invasivo.
Infatti, spesse volte specie vegetali si comportano in maniera differente quando vengono
introdotte rispetto a quando sono native. Si può osservare che una specie altamente
infestante in una determinata area lo sia, anche di più, in qualche altro luogo, ma è anche
vero che una specie che non sia infestante o lo sia molto poco, altrove può comportarsi come
una specie fortemente infestante (o invasiva).
Un altro fattore che Williamson considerò come un elemento predittivo di tipo storico è
quella che viene definita la pressione del propagulo (propagule pressure), a cui abbiamo
precedentemente accennato. Questo aspetto fu sottolineato per la prima volta probabilmente
da Simberloff (1986) e ripreso da Williamson (1996) ed è un importante variabile: le invasioni
sono più frequenti negli habitat accessibili alle specie trasportabili. È un luogo comune che
molte specie invasive sono trovate in habitat disturbati, ma non è sicuro concludere da
questo, che tali habitat sono particolarmente vulnerabili o che tali specie sono invasori di
successo. Un‟elevata presenza di esotiche in una determinata area potrebbe essere dovuta
alla presenza di un fonte di emissione e di introduzioni di queste specie in aree vicine.
Secondo Williamson (1996) la pressione del propagulo potrebbe spiegare, in molti casi, quasi
tutti gli aspetti che sono stati attribuiti al disturbo. La pressione del propagulo sia nel tempo
che nello spazio può influenzare in modo determinante la probabilità di invasioni da parte di
specie aliene come dimostrato da diversi lavori (es. Kowarik 1995; Rouget & Richardson
2003; Kühn et al. 2004). Quando si studia l‟invasività a grandi scale (regioni, habitats,
comunità) la pressione del propagulo è molto difficile da misurare per questo si utilizzano
dei surrogati quantitativi come la grandezza e dimensione della popolazione umana,
l‟ammontare del turismo (e dell‟attività economica (Richardson & Pyšek 2006). Modelli che
prendono in considerazione questo elemento si stanno dimostrando marcatamente superiori
rispetto a quelli che considerano solo i parametri ambientali per spiegare i patterns di
distribuzione e l‟abbondanza delle invasive a scala regionale.
Tra i migliori elementi predittivi del successo invasivo a livello di popolazione Williamson
(2001) include la grandezza del range nativo delle specie esotiche: specie ampiamente
distribuite sono quelle che probabilmente, più delle altre, riescono ad adattarsi ad un ampio
range di situazioni e ad avere una migliore chance di essere disperse essendo presenti in
molto luoghi (Rejmánek 1995; Godwin et al. 1999; Richardson & Pyšek 2006). Rejmánek
111
Parte 3
(2000) ha dimostrato che specie con un ampio range nativo in Europa dimostravano una
diffusione molto grande in America, dove si comportavano da invasive, rispetto a quelli che
avevano range nativi più piccoli. Sebbene ci siano eccezioni a questa regola generale per
specie individuali, lo stesso carattere che permette a una specie di essere diffusa nel suo
range nativo sembra essere anche favorevole per un suo successo invasivo. La grandezza del
range occupato è, quindi, certamente una misura conveniente della versatilità ecologica,
anche se costituisce da solo un elemento predittivo molto debole.
A livello del singolo individuo Williamson (2001) include due importanti predictors: i
caratteri morfologico-funzionali delle specie e le caratteristiche (climatiche, ecologiche) degli
ambienti invasi. Questi due aspetti sono fondamentali per la comprensione dei processi di
invasione da parte delle specie esotiche; infatti, rappresentano due delle questioni basilari
affrontate dal programma internazionale SCOPE sorto negli anni „80 per lo studio delle
invasioni biologiche; esse sono:
1) Quali specie sono invasive?(cioè quali caratteri determinano se una specie sarà o meno
invasiva? )
2) Quali habitat sono “invasibili”? (cioè quali proprietà dei siti determinano se un
sistema ecologico sarà predisposto o resistente alle invasioni?)
3) Quale è l‟impatto delle specie invasive?
Alpert et al. (2000) distinguono tre punti topici della problematica: invasiveness,
invasibility e impact. Le questioni sul perché alcune specie sono invasori più efficienti di
altri e sul perché alcuni ecosistemi sono più vulnerabili alle invasioni di altri, sono gli aspetti
più cruciali nella biologica delle invasioni. Esse non sono indipendenti, ma secondo diversi
autori dovrebbero essere considerate insieme; infatti, il processo di invasione è il risultato
dell‟interazione tra set di attributi delle specie invasive e delle comunità o degli habitat
invasi. Era noto già ai tempi di Salisbury (1942) che le specie che crescono in habitat diversi
presentano caratteristiche differenti negli aspetti riproduttivi, in particolare nella grandezza
del seme e nel numero dei semi. Ad esempio semi di piccole dimensioni sarebbero un
carattere tipico delle specie che invadono certi habitat aperti. Noble (1989) nel suo lavoro
analizzò proprio le relazioni tra le caratteristiche biotiche e abiotiche del sito occupato dalla
specie esotica e i caratteri della pianta che influenzano il corso di una invasione; egli
dimostrò come gli attributi delle piante invasive sono strettamente dipendenti dall‟ambiente.
Molti studi approfonditi degli ultimi decenni hanno cercato, quindi, di creare un profilo
delle specie invasive e dei sistemi che vengono invasi (Rejmánek 1989; Londsale 1999;
Richardson & Pyšek 2006).
2.2 CARATTERISTICHE DELLE SPECIE INVASIVE
La questione se sia possibile determinare un set di caratteri che predisponga una specie ad
essere invasiva, è stato un tema centrale dall‟inizio dell‟ecologia delle invasioni come un
112
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
concreto campo di studio (Richardson & Pyšek 2006). La ricerca di certe caratteristiche delle
specie invasive (Baker 1965; Noble 1989), è connessa con l‟ipotesi che le caratteristiche delle
specie, cioè i plant traits, hanno una forte influenza sui processi invasivi: quindi, traits do
matter. Si è cercato, così, di individuare i caratteri associati all‟invasività. Il primo tentativo fu
quello di Herbert Baker (1965) che identificò i caratteri di una “ideal weed” (infestante
ideale), ipotizzando un‟idea adesso considerata alquanto semplicistica. Baker (1965), infatti,
definì un‟infestante una “pianta che cresce interamente o principalmente in situazioni di
evidente disturbo antropico” (escludendo, ovviamente, le piante che sono volontariamente
coltivate). Per lui, le infestanti includevano le piante che invadevano le aree agricole (agresti),
e quelle che crescevano nelle aree incolte (ruderali), ma non c‟era nessun esplicito riferimento
allo status delle specie se fossero native o esotiche. Forse sono state le due coppie di specie
che egli utilizzò per documentare i caratteri delle infestanti rispetto a quelle non infestanti
che hanno fatto considerare, ai successori, l‟ideale infestante di Baker come sinonimo
dell‟invasore ideale” (Pyšek & Richardson 2007). In seguito, altri hanno allargato la lista dei
caratteri proposti per le “specie invasive” così da include aspetti fisiologici, demografici,
genetici, biologici (Pyšek & Richardson 2007). I lavori pubblicati dopo il periodo di Baker
hanno dimostrato che l‟identificazione dei caratteri delle specie associate con l‟invasività è
difficile e complessa (Alpert et al. 2000), sebbene i plant traits siano ancora considerati come
gli ingredienti principali per comprendere (e quindi) predire le invasioni. Molti studi sono
stati effettuati per trovare differenze nelle caratteristiche biologiche tra le specie non invasive
e quelle invasive o, almeno, tra le native e le non native in particolare flore. Sebbene si
concluse che è impossibile identificare semplici elementi predittivi biologici e ecologici dei
processi di invasione, si osservò che alcuni caratteri hanno più a che fare con l‟invasione che
altri (Pyšek & Richardson 2007). Questi includono: alta variabilità genetica e plasticità
fenotipica, poliploidia e /o capacità di ibridazione, tendenza per strategie di tipo competitivo
C o ruderale R (Grime et al. 1988), alta fertilità, crescita veloce della popolazione, ciclo vitale
semplice e breve, capacità di una collocazione appropriata delle risorse, abilità nella
produzione di semi in un ampio range di fattori abiotici, tempi di germinazione e fioritura,
efficace dispersione dei semi nel tempo e nello spazio e la capacità di una crescita vegetativa
(Noble 1989; Williamson & Fitter 1996; Hodkinson & Thomson 1997).
Quando si effettuano studi sui caratteri delle specie esotiche e sui confronti tra questi e
quelli delle native o tra le esotiche invasive dalle altre esotiche non invasive, di solito si
considerano anche altri elementi che possono influenzare i risultati ottenuti. Innanzitutto
quello che viene definito il “tempo di residenza". L‟analisi di pool di specie esotiche, ha
dimostrato che le specie presenti da più tempo nel territorio in cui sono state introdotte sono
probabilmente quelle che diventano più diffuse. Considerare questo nell‟esplorare l‟effetto
netto dei caratteri richiede conoscenze precise sulle date di introduzioni e questi dati sono
difficili da ottenere. Per questo è stato proposto il termine di “minimum residence time”
(Rejmánek 2000; Rejmánek et al. 2005). Di solito le specie introdotte per fini di utilità come
113
Parte 3
per alimentazioni sono le prime, seguite dalla specie ornamentali e da quelle introdotte
accidentalmente che sono le ultime. Un altro elemento da considerare è la scala di studio.
Infatti l‟effetto di un dato carattere a diverse scale può essere molto differente. Inoltre, anche
il tipo di approccio e di confronto è importante. Infatti la grandezza del seme può essere un
elemento che identifica le specie native rispetto alle esotiche, ma se vado ad analizzare
confronti all‟interno della sola componente esotica è possibile osservare che i semi piccoli
sono quelli che promuovono l‟invasività; oppure, se effettuo uno studio a scala continentale
osservo che la dispersione operata dall‟uomo è la modalità principale, mentre se considero le
scale regionali osservo che entrano in gioco altre modalità di dispersione.Di solito gli effetti
dei caratteri individuali dipendono dallo stage del processo di invasione.
2.3 CARATTERISTICHE DEGLI AMBIENTI SUSCETTIBILI ALL’INVASIONE
Tuttavia, il successo di una invasione dipende non solo dalle caratteristiche delle specie
invasive ma anche, come abbiamo anticipato nel primo capitolo, dalle caratteristiche degli
ecosistemi che vengono invasi. Molti autori hanno indicato che l‟invasibilità degli ecosistemi
non può essere chiaramente dissociata dall‟invasività delle specie (Kowarik 1995). È
fondamentale considerare gli aspetti delle specie invasive, degli ecosistemi invasi e le
circostanze dell‟introduzione. Le differenze tra gli ambienti, che sono suscettibili o resistenti
all‟invasione, sono una delle tematiche più studiate nell‟ecologia delle invasioni (Williamson
1996). Tra i caratteri che determinano l‟invasività delle comunità ci sono fattori abiotici, la
biodiversità, lo stato successionale, il tipo e la frequenza di disturbi e molti altri aspetti
(Rejmánek 1989). Ci sono molti fattori che facilitano l‟invasione: frequenti eventi naturali che
riducono la copertura delle piante come incendi o le inondazioni (Hobbs et al. 1992), un basso
numero di specie in un ecosistema con potenzialmente più nicchie o mancanza di certi
adattamenti delle specie native negli ecosistemi invasi. L‟attività umana è sicuramente uno
dei fattori che più condiziona e facilità le invasioni. Inoltre, può essere considerato un
aspetto cruciale nel comprendere il processo di invasione anche analizzare la possibilità che
può avere un organismo di essere trasportato in una nuova area. È importante, infatti,
considerare anche il ruolo del trasporto nelle invasioni quando si studia la possibilità di una
specie di entrare in una nuova comunità; questa, infatti, dipende fortemente dalle interazioni
biotiche all‟interno del comunità ma è anche fortemente limitata dal reclutamento (Tilman
1997). Un‟altra teoria presentata per spiegare l‟invasibilità degli ambienti, è quella relativa
alla fluttuazione delle risorse (fluctuating resources theory of invasibility) di Davis et al. (2000).
Questa teoria identifica la fluttuazione nella disponibilità delle risorse come un fattore chiave
di controllo della invasibilità: l‟incremento (es. eutrofizzazione) o la perdita delle risorse a
causa del disturbo aumenta la suscettibilità della comunità all‟invasione, che avvengono,
però, solo se questa situazione coincide con la disponibilità e l‟arrivo di propaguli adatti.
Ultimamente, poi, molta importanza è stata posta sugli aspetti climatici, soprattutto in
114
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
relazione ai cambiamenti che si stanno verificando a livello mondiale; in particolare, il
riscaldamento globale e l‟effetto serra, potrebbero, secondo alcuni autori, non solo scatenare
un aumento del tasso di diffusione delle specie esotiche già insediate, ma anche favorire
l‟insediamento di nuove esotiche. La domanda che gli studiosi si sono posti, quindi, è se i
fattori climatici possano predire la capacità delle specie di invadere. Le analisi sono molte
controverse: alcuni studi hanno dimostrato che il clima non è un importante elemento
predittivo (es.Williamson 1996), altri come Hodkinson (1999) nel suo studio sulla relazione
clima-distribuzione di insetti afferma “come in molte controversie, la risposta reale poggia a
qualche parte tra gli estremi”. In altre parole, per molte specie il clima sembra essere
determinante per i confini dei range, per altre no.
Comprendere tutti gli aspetti di un processo di invasione è sicuramente molto complesso
ed ambizioso. La complessità del processo d‟invasione e l‟unicità dei singoli processi ha fatto
emergere l‟idea che le specie esotiche potrebbero avere successo o fallire in relazione al
contesto delle interazioni tra le specie e la comunità (Williamson 2001). Secondo diversi
autori una sintesi di aspetti climatici, biologici ed ecologici è sicuramente altamente
auspicabile e preferibile nel prevedere il processo di invasività di molte specie a livello
mondiale. L‟analisi dei plant traits rimane, comunque, fattore centrale di indagine. Sono stati
numerosi, per questo motivo, i tentativi di realizzare delle liste di caratteri comuni suddivisi
a seconda del successo dell‟invasore. Questi dati possono essere inseriti in un database e poi
utilizzati per confrontare i caratteri delle specie invasive in differenti parti dal mondo o in
diverse tipologie di habitat, oppure per più elaborati modelli previsionali. A tal riguardo, un
esempio è rappresentato da “BioFlor”, un database dei caratteri biologici ed ecologici della
flora vascolare, nativa ed esotica, della Germania (Klotz et al. 2002); un altro esempio è il
LEDA “trait base” (Life-history traits of the Northwest European flora; un database) (Knevel,
et al. 2003) il cui scopo è stato quello di analizzare ben 26 plant traits di circa 3000 specie
dell‟Europa Nord Orientale; entrambi questi progetti si pongono scopi applicativi per la
gestione, conservazione della biodiversità. Essi rappresentano importanti strumenti per
potere prevedere i futuri cambiamenti della biodiversità, partendo dalla comprensione dei
processi che influenzano la distribuzione e l‟abbondanza delle specie.
3. OBIETTIVI
In questa parte della tesi, quindi, l‟attenzione sarà focalizzata sullo studio dei caratteri
morfologico-funzionali e dei tipi funzionali delle specie dunali; ma soprattutto, oltre alla
componente nativa, sarà presa in considerazione anche quella esotica che cresce nelle
comunità dunali delle coste dell‟Italia centrale cercando di analizzarla dal punto di vista
funzionale, individuando le caratteristiche tipiche delle specie esotiche ed in particolare di
quelle invasive. Sulle strategie delle specie dunali si ritornerà in una maniera più
115
Parte 3
approfondita nella quarta parte della tesi, in cui saranno analizzati e confrontati il sistema
dunale Mediterraneo con quello Atlantico. In questa parte, si tenterà soprattutto di
comprendere quali sono i meccanismi biologici ed ecologici che sono alla base della
colonizzazione di ecosistemi molto vulnerabili e fortemente disturbati quali quelli dunali
costieri.
Si vuole rispondere alle seguenti domande:
1. Quali e quanti principali Plant Functional Types (PFTs o gruppi funzionali) caratterizzano
gli ambienti dunali?
2. Le specie esotiche dimostrano strategie distinte dalla componente nativa? Ci sono PFTs
delle specie esotiche?
3. Quali sono le differenze in termini di plant traits tra le specie native ed esotiche? e tra le
native e le esotiche invasive?
4. Quali sono le principali differenze tra i plant traits delle specie esotiche non invasive e di
quelle invasive?
5. Si possono individuare delle differenze a livello di plant traits all‟interno di ciascun PFTs
tra le native e le esotiche? e lungo il gradiente mare-terra, per le specie di avanduna, di
duna di transizione e di duna fissa?
4. MATERIALI E METODI
4.1 SELEZIONE DELLE SPECIE NATIVE ED ESOTICHE
I lavori che hanno indagano lo studio sui caratteri associati all‟invasività si fondano su
diverse metodologie. In letteratura si distingue l‟approccio target-area e quello source-area
(Pyšek & Richardson 2007). Nel presente lavoro è stata applicata la prima tipologia: essa si
focalizza su un pool di specie che sono esotiche in un‟area e si attribuisce la variazione del
loro successo a differenze nei loro caratteri. Secondo Pyšek & Richardson (2007) esistono due
versioni dell‟approccio target-area: la prima considera le specie esotiche e quelle native
presenti in una data area target e cerca di risponde alla seguente domanda: quali caratteri
delle specie esotiche invasive permettono loro di crescere in abbondanza rispetto alle specie
native? I confronti tra le specie esotiche e quelle native cercano di comprendere, perciò, se i
caratteri delle specie native in una area target differiscono da quelli delle esotiche che
invadono quell‟area (Pyšek & Richardson 2007). Nella nostra analisi, un‟indagine di questo
tipo è stata effettuata, in un primo momento, considerando anche tutta la componente
esotica e non solo quella invasiva. La seconda versione, invece, considera la componente
esotica invasiva ed non invasiva e cerca di risponde alla seguente domanda: quali caratteri
distinguono gli invasori di successo dalle esotiche che non sono invasive?
116
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
Nella prima fase dell‟analisi della diversità funzionale degli ecosistemi dunali costieri
esaminati, è stata realizzata, quindi, la selezione di piante vascolari native ed esotiche per le
quali individuare i principali caratteri morfologico-funzionali (plant traits). Sono state
considerate, sulla base di lavori pubblicati in precedenza (Stanisci et al. 2004; Acosta et al.
2005; Izzi et al. 2007), 41 specie vegetali, selezionando le specie native ed esotiche più comuni
ed abbondanti dei sistemi costieri sabbiosi dell‟Italia centrale (Tab. 3.1).
Per quanto riguarda le native sono state selezionate 27 specie, rappresentative di ciascuna
comunità della zonazione costiera che segue il gradiente mare-terra, dalle comunità nitrofile
della prima formazione vegetale (es. Cakile marittima subsp. marittima, Chamaesysce peplis) alle
dune embrionali (es. Elymus farctus subsp. farctus, Calystegia soldanella) e mobili (es.
Ammophila arenaria subsp. australis, Echinophora spinosa, Eryngium maritimum), alla duna di
transizione (es. Silene canescens, Vulpia fasciculata) e a quelle della duna fissa (es. Quercus ilex
subsp. ilex, Rhamnus alaternus subsp. alaternus). Si tratta, quindi, di specie legate alla
vegetazione naturale potenziale della duna e comuni ad entrambi i versanti costieri
dell‟Italia centrale (costa adriatica e tirrenica). Le specie esotiche considerate per questo
studio, invece, sono state 14 anch‟esse rappresentative delle diverse fasce dunali. Poiché una
delle domande cui si è proposto di rispondere riguardava il perché solo alcune specie
introdotte diventano invasive e poiché si vuole soprattutto analizzare se ci sono dei caratteri
morfologico-funzionali caratteristici di queste specie, abbiamo voluto separare la
componente esotica invasiva da quella non invasiva. In questo modo, le specie esotiche sono
state classificate, secondo la terminologia di Richardson et al. (2000) e di Pyšek et al. (2004),
che abbiamo menzionato precedentemente, in: esotiche casuali, esotiche naturalizzate ed
esotiche invasive. Questa classificazione è stata realizzata, oltre che sulla base di diverse fonti
e studi che hanno in precedenza approfondito lo stato di invasività di queste specifiche
specie, anche considerando la loro frequenza nei quadranti censiti lungo gli ambienti costieri
esaminati. Tra le specie esotiche invasive per l‟ambiente dunale abbiamo incluso il complesso
Carpobrotus acinaciformis/eduli specie invasiva soprattutto delle coste tirreniche (laziali) e
presente nella fasce avandunali, poi Erigeron (ex. Conyza) canadensis, E. sumatrensis, E.
bonariensis, Cenchrus incertus e le specie del genere Oenothera, invasive soprattutto delle coste
adriatiche (abruzzesi e molisane), dove colonizzano la duna di transizione. Tra le esotiche
naturalizzate di cui sono state analizzati i caratteri, si sono considerate Acacia saligna e
Pittosporum tobira, entrambe presenti nelle comunità retrodunali della macchia; la prima
censita solamente lungo il litorale adriatico e la seconda presente su entrambi i versanti. Tra
le esotiche casuali sono state incluse per lo studio alcune specie che sono state introdotte per
fini ornamentali come Yucca gloriosa, Gazania rigens, Aptenia cordifolia, osservate soprattutto
nella fascia avandunale. Due specie, infine, Arundo donax e Xanthium orientale subsp. italicum,
sono state classificate come dubbie; la prima perché ormai considerata archeofita a
distribuzione cosmopolita, e la seconda perché probabilmente si tratta di una nuova specie
evolutasi dalla esotica di origine nord americana Xanthium strumarium.
117
Parte 3
Native
Esotiche e grado di naturalizzazione
Ammophila arenaria (L.) Link subsp. australis
Acacia saligna (Labill.) H.L.Wendl.
Nat.
Cakile maritima Scop. subsp. maritima
Ambrosia coronopifolia Torr. & A. Gray
Inv.
Calystegia soldanella (L.) Roem. & Schult.
Aptenia cordifolia L. (L. f.) Schwantes
Caus.
Chamaesyce peplis L.
Arundo donax L.
Dub.
Cistus creticus subsp. eriocephalus
Carpobrotus ssp.
Inv.
Cutandia maritima (L.) Barbey
Cenchrus incertus Curtis
Echinophora spinosa L.
Cupressus semprervirens L.
Elymus farctus L. subsp. farctus
Erigeron bonariensis L.
Eryngium maritimum L.
Erigeron canadensis L.
Euphorbia terracina L.
Erigeron sumatrensis Retz.
Inv.
Juniperus oxycedrus L. subsp. macrocarpa
Gazania rigens (L.) Gaertner
Inv.
Lagurus ovatus L. s.l.
Oenothera biennis L.
Lonicera implexa Aiton subsp. implexa
Pittosporum tobira (Thunb.)W.T.Aiton
Inv.
Lotus cytisoides L. s.l.
Xanthium orientale L. subsp. italicum
Nat.
Medicago littoralis Loisel.
(Moretti)Greuter
Medicago marina L.
Inv.
Colt.
Inv.
Caus.
Dub.
Ononis variegata L.
Otanthus maritimus (L.) Hoffmanns. & Link subsp.
maritimus
Pancratium maritimum L.
Phillyrea angustifolia L.
Pistacia lentiscus L.
Polycarpon tetraphyllum L. subsp. tetraphyllum
Quercus ilex L. subsp. ilex
Rhamnus alaternus L. subsp. alaternus
Salsola kali L.
Silene canescens Ten.
Vulpia fasciculata (Forssk.) Fritsch
Tab. 3.1 - Specie native ed esotiche utilizzate nell‟analisi della diversità funzionale degli ambienti dunali costieri
dell‟Italia centrale. Per le specie esotiche è indicato lo status di invasività: Nat.= naturalizzata; Inv.= invasiva;
Cas.= casuale, mentre Dub.= specie esotica dubbia.
4.2 SELEZIONE DEI CARATTERI MORFOLOGICO-FUNZIONALI (plant traits)
Dopo aver selezionato le specie sono stati individuati i caratteri (plant traits) da considerare
per la costruzione della matrice (specie x caratteri). Quasi tutti i caratteri che abbiamo
considerato in questo studio vengono chiamati in letteratura “soft traits”, perché si tratta di
caratteri facilmente misurabili in campo o in laboratorio, reperibili nelle flore o attraverso
118
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
l‟osservazione in campo e quindi relativamente semplici e veloci da determinare (Hogdson et
al. 1999; Weiher et al. 1999). Questi soft traits sono i surrogati di altri traits, a cui sono
correlati, chiamati “hard traits”. Si tratta di caratteri che catturano la funzione di interesse
(Violle et al. 2007) e che, quindi sono di importanza ecologica verificata a larga scala; questi
potrebbero essere dei buoni indicatori degli effetti e delle funzioni che si realizzano come
risposta delle piante, a scala di ecosistema o bioma, ma non possono essere determinati per
un grande numero di specie (Hogdson et al. 1999; Weiher et al. 1999; Lavorel & Garnier 2002)
a causa del grande sforzo e difficoltà di misurazione, nonché del costo economico che questo
richiederebbe. Per esempio la combinazione della massa e la forma dei semi (che sono
entrambi soft traits) è stata individuata come un buon indicatore della loro persistenza sotto
forma “banca semi” nelle zone temperate: semi piccoli e relativamente rotondi sono quelli
che riescono a sopravvivere più a lungo sepolti nel suolo. I cosiddetti hard traits includono tra
l‟altro: tolleranza della pianta e della foglia alla siccità, alla deficienza di ossigeno nei tessuti
e ad alta concentrazione di sali; presenza/assenza di aerenchima nel fusto e nell‟apparato
radicale; profondità delle radici; anatomia del legno; età della maturità sessuale; biomassa
della pianta; architettura della pianta; dimensione degli stomi e loro densità; concentrazioni
fogliari (o della radice o del fusto) di lignina, cellulosa, fenoli, composti organici volatili, peso
secco ed altre proprietà chimiche; contenuto fogliare di clorofilla; capacità fotosintetica;
germinazione dei semi; modalità di impollinazione; tasso di crescita potenziale; potenza
riproduttiva e fenologia; qualità della lettiera. Questa dicotomia soft-hard traits attualmente è
criticata da molti studiosi a causa della soggettività della terminologia e quindi della sua
difficoltà applicativa. Infatti, mentre in termini economici è facile definire un carattere
costoso e quindi hard sulla base oggettiva dei costi di misurazione, la facilità di misurazione
è solo apparente. Anche l‟altezza di una pianta, considerata come un soft trait e surrogato
della capacità competitiva, può in realtà essere un hard trait in determinate circostanze (Violle
et al. 2007). Nonostante il suo limite, comunque, questa hard/soft dicothomy, rappresenta un
primo utile strumento di distinzione tra la molteplicità dei functional traits che possono essere
presi in considerazione ed analizzati.
Per la selezione dei tratti morfologico-funzionali oltre a selezionare sopratutto soft traits
abbiamo seguito il criterio secondo il quale sono stati selezionati solo quei caratteri che
fossero fortemente collegati alle fasi rigenerative e stabilizzatrici del ciclo vitale della pianta
(Weiher et al. 1999; McIntyre et. al. 2001) e alle risposte delle piante a ambienti severi, come
quelli degli ecosistemi dunali sabbiosi. Questi caratteri risultano, sulla base delle attuali
conoscenze scientifiche (García-Mora et al. 1999; Grime 2001; Cornelissen et al. 2003; Pausas &
Lavorel 2003; Rodgers & Parker 2003; Suehs et al. 2004) fortemente relazionati alle strategie di
vita delle piante in ambienti estremi quali quelli delle sabbie litoranee, predittivi riguardo la
funzione e la struttura di tali ecosistemi e forniscono indicazioni sulla resistenza e/o
resilienza al disturbo. In questo modo, é stato identificato un set di tratti semplici delle
piante, considerati potenzialmente utili per studiare anche la capacità d‟invasione delle
119
Parte 3
specie esotiche negli ambienti dunali costieri esaminati, con lo scopo di determinare i
caratteri morfologico-funzionali che permettono alle specie invasive di occupare con
successo nuovi habitat.
Sono state considerate due tipologie di caratteri: quelli di tipo quantitativo o continuo e
quelli di tipo qualitativo o categorico (o discreto). I primi sono derivati da misurazioni in
campo o in laboratorio; ogni carattere è stato osservato su dieci individui diversi per ogni
specie, in modo da essere rappresentativo della media della popolazione di ciascun taxon
considerato. I secondi sono derivati essenzialmente dalla consultazione di diverse fonti
incluse le flore, come la Flora d‟Italia di Pignatti (1982), la Med-Checklist (Greuter et al. 19841989), la Flora Europea (Tutin et al. 1964-1993) e la Flora di Francia (Guinochet & De Vilmorin
1973-1984). Inoltre sono state consultate numerose pubblicazioni scientifiche che fanno
riferimento sia ai caratteri morfologici che funzionali delle specie vegetali individuate; altre
informazioni, poi, sono state attinte dall‟osservazione in campo. Per l'analisi e la valutazione
quantitativa degli attributi morfologici e funzionali, in molti casi, sono stati adottati le
categorie riportate nel protocollo metodologico di Cornelissen et al. (2003). I caratteri
selezionati sono riportati nella Tab. 3.2 con le informazioni circa le classi o categorie di
ciascuno di essi e la fonte dei dati.
120
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
Plant traits
Categoria (o classe)
Fonte dei dati
Altezza della pianta
3 classi: 1. < 20 cm; 2. 20-50 cm; 3. > 50 cm
Misure in campo
QUANTITATIVI O CONTINUI
(Canopy height)
Area fogliare (Leaf size)
3 classi: 1. < 3 cm; 2. 3-10 cm; 3. > 10 cm
Misure in laboratorio
SLA (Specific leaf area)
3 classi: 1. < 9 mm2/mg; 2. 9-13 mm2/mg; 3. > 13 mm2/mg
Misure in laboratorio
3 classi: 1.< 210 mg/g; 2. 210-320 mg/g; 3. > 320 mg/g
Misure in laboratorio
LDMC
(Leaf dry matter content)
Spessore fogliare
3 classi: 1. < 0,3 mm; 2. 0,3-0,5 mm; 3. > 0,5 mm
Misure in campo
(Leaf tickness)
Peso del seme
3 classi: 1.< 0,6 mg; 2. 0,6-6 mg; 3. > 6 mg
Misure in laboratorio
3 classi: 1.< 0,23; 2. 0,23-0,38; 3. > 0,38
Misure in laboratorio
(Seed mass)
Forma del seme
(Seed shape)
Forma di crescita
4 Classi: 1. Short basal; 2. Long and semi basal; 3. Erect
leafy; 4. Cushions, tussocks; 5. Shrubs, lianas and trees
(Growth form)
Forma biologica
(Life form)
(Cornelissen et al. 2003).
5 classi: 1. Fanerofite; 2. Camefite; 3. Emicriptofite; 4.
Geofite; 5. Terofite.
QUALITATIVI O CATEGORICI
2 classi: 1. Terofite/Decidue; 2. Sempreverdi.
(Leaf phenology)
Durata della vita
2 classi: 1. Annuali; 2. Perenni.
(Plant lifespan)
Propagazione vegetativa
Consistenza della foglia
(Leaf texture)
Inizio di fioritura
(Onset of flowering)
osservazioni in campo
Dati bibliografici e
osservazioni in campo
Fenologia fogliare
(Clonality)
Dati bibliografici e
3 classi: 1. Non-clonale ; 2. Clonale
4 classi: 1. Succulente/carnose; 2. Malacofille; 3.
Cartilaginee (o semisclerofille); 4. Sclerofille.
4 classi: 1. Fino ad Aprile; 2. Maggio; 3. Giugno; 4. Luglio
e dopo
Dati bibliografici e
osservazioni in campo
Dati bibliografici e
osservazioni in campo
Dati bibliografici e
osservazioni in campo
Dati bibliografici e
osservazioni in campo
Dati bibliografici e
osservazioni in campo
Tipo di impollinazione
2 classi: 1. Anemogamia -autogamia; 2. Entomogamia
Dati bibliografici
(Pollination system)
Modalità di dispersione
3 classi: 1. anemocora; 2. barocora-idrocora; 3. zoocora
(Dispersal mode)
Dati bibliografici e
osservazioni in campo
Tab. 3.2 - Caratteri morfologico-funzionali considerati in questa analisi con le relative classi e le indicazioni sulla
modalità di acquisizione dei dati.
121
Parte 3
4.3 BREVE DESCRIZIONE DEI CARATTERI MORFOLOGICO-FUNZIONALI
ESAMINATI
Forma di crescita (Growth form)
Le forme di crescita si riferiscono alle caratteristiche morfologiche e strutturali delle specie
vegetali, ma, a differenza delle forme biologiche di cui abbiamo già parlato e su cui
torneremo, vengono stabilite senza tener conto del presumibile significato adattativo a un
determinato fattore ecologico (Barkam 1988). La forma di crescita, principalmente
determinata dalla struttura e dall‟altezza delle foglie, può essere associata alla strategia
adottata dalla pianta, ai fattori climatici e all‟uso del suolo. Per esempio l‟altezza e la
posizione del fogliame possono essere sia adattamenti che risposte al pascolo di differenti
erbivori, forme a rosetta e forme prostrate sono associate ad un‟elevata pressione esercitata
dal pascolo dei diversi mammiferi erbivori. Nel nostro caso le specie sono state suddivise in
4 classi o categorie considerando le proposte di Cornelissen et al. (2003) semplificandole sulla
base dei nostri dati; esse sono riportate nella Tab. 3.2 con la terminologia originale e sono:
1. Short basal: sono incluse in questo gruppo le specie con foglie di lunghezza minore di 0.5
m, concentrate molto vicino al suolo, per esempio le piante con forma a rosetta o a crescita
prostrata (es. Calystegia soldanella, Sonchus bulbosus subsp. bulbosus, Carpobrotus ssp. Aptenia
cordifolia);
2. Long and semibasal: sono incluse in questo gruppo specie con foglie grandi (picciolate)
maggiori di 0.5 m emergenti dalla superficie del suolo, ma senza formare ciuffi e specie con
foglie piuttosto grandi, disposte sia nella parte basale che in quella apicale della pianta (es.
Cakile maritima, Echinophora spinosa, Xanthium orientale subsp. italicum, Gazania rigens).
3. Erect leafy: sono incluse in questo gruppo specie con foglie concentrate nella parte
centrale e/o nella parte superiore della pianta (es. Euphorbia terracina, Erigeron ssp.).
4. Cushions, tussocks: in questo gruppo sono incluse specie con foglie strettamente
raggruppate, posizionate vicino al suolo, con superficie superiore a forma relativamente
piatta e tondeggiante e specie con molte foglie (es. Otanthus maritimus subsp. maritimus,
Medicago marina), formanti ciuffi prominenti dal meristema basale (es. Ammophila arenaria
subsp. australis, Elymus farctus subsp. farctus).
5. Shrubs, lianas and trees: in questo gruppo sono inclusi arbusti con la maggior parte del
fogliame disposto relativamente vicino al terreno su uno o più fusti, relativamente corti
(Cistus creticus subsp. eriocephalus), piante legnose con la maggior parte delle foglie elevate su
un fusto essenziale (es. Juniperus oxycedrus subsp. macrocarpa, Pistacia lentiscus, Quercus ilex
subsp. ilex, Acacia saligna, Pittosporum tobira) e liane, cioè piante che radicano nel suolo e
usano supporti esterni per crescere e posizionare le foglie (es. Smilax aspera, Lonicera implexa
subsp. implexa).
122
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
Forma biologica (Life form)
Molto spesso forma di crescita e forma biologica vengono utilizzate come sinonimi; in
realtà, in questo secondo caso si fa riferimento al significato ecologico dell‟habitus,
intendendo specie che mostrano lo stesso adattamento morfologico e/o fisiologico a un
determinato fattore ecologico. Molti autori si sono occupati dello studio delle forme
biologiche, ma il sistema proposto all‟inizio del 1900 dal fitogeografo danese Raunkiaer
(1934) è quello largamente adottato oggi per gli studi di vegetazione; egli ha ricercato nelle
diverse forme delle piante le connessioni con il clima,
attribuendo alla posizione delle
gemme (cioè degli organelli destinati alla produzione di nuovi tessuti dopo la stagione
sfavorevole), rispetto al suolo, il ruolo di carattere adattativo fondamentale. Nel sistema di
classificazione progettato da Raunkiaer, quindi, invece del miscuglio di caratteristiche
attraverso le quali sono definite le forme di crescita, viene usata una sola caratteristica
principale: la relazione tra il tessuto perenne e la superficie del terreno. Il termine tessuto
perenne si riferisce al tessuto meristematico che rimane inattivo durante l‟inverno o la
stagione secca e riprende la crescita con il ritorno della stagione favorevole. I tessuti perenni
pertanto includono delle gemme, le quali possono contenere rametti con foglie che si
schiudono in primavera o nella stagione delle piogge. Siccome i tessuti perenni, che
includono le gemme, fanno in modo che la pianta possa sopravvivere durante la stagione
sfavorevole, la collocazione del tessuto meristematico è considerata è una caratteristica
essenziale per quanto riguarda l‟adattamento della pianta alle condizioni climatiche. Più il
clima è aspro, più le piante tendono ad avere le gemme vicino al terreno, meno esposte al
freddo e all‟essiccamento. Inoltre, la posizione delle gemme ci permette di capire la
probabilità di sopravvivenza di specie che potrebbero essere soggette a disturbi imprevisti,
come il pascolamento periodico o il fuoco. Le forme biologiche di Raunkiaer sono
fondamentalmente cinque (ved. Fig. 2.9 Parte 2): fanerofite (P), camefite (Ch), emicriptofite
(H), geofite (G) e terofite (T). In questo studio l‟individuazione della forma biologica è stata
effettuata mediante ricerca bibliografica, osservazione sul campo, descrizioni o fotografie in
letteratura. Molte pubblicazioni sulla flora riportano le forme biologiche come delle
informazioni standard sulle specie vegetali, ne è un esempio la Flora d‟Italia (Pignatti 1982),
da cui abbiamo attinto le maggiori informazioni.
Altezza della pianta (Canopy height)
L‟altezza della pianta è dai tempi di Teofrasto, insieme alla legnosità, il trait fondamentale
per la classificazione delle piante. Anche Westoby (1998) l‟ ha indicata, insieme allo SLA
(area fogliare specifica) e alla massa del seme, uno dei caratteri funzionali fondamentali delle
specie vegetali. In letteratura si distinguono due tipi di misurazione dell‟altezza della pianta:
quella che viene definita plant height e considera l‟altezza complessiva della pianta
123
Parte 3
considerando anche i germogli e la parte riproduttiva e quella che viene definita canopy
height, che misura solo l‟altezza del tessuto fotosintetico (foglie). Quest‟ultima misurazione
viene considerata in questo studio secondo le indicazioni di Cornelissen et al. (2003).
L‟altezza della pianta, quindi, viene definita come la distanza più breve tra il limite superiore
dei principali tessuti fotosintetici ed il suolo: quella che è stata misurata, quindi, è l‟altezza
del fogliame (della chioma) e non quella dell‟infiorescenza (o dei semi o dei frutti) o quella
dello stelo principale.
L‟altezza della pianta è associata alla capacità competitiva, alla
fecondità della pianta e all‟intervallo di tempo che le specie generalmente impiegano per
crescere dopo un evento di disturbo (fuoco, tempeste, aratura, pascolo). Ci sono inoltre
importanti compromessi tra l‟altezza della pianta e la tolleranza o la capacità di sfuggire a
stress ambientali (climatici, nutritivi). D‟altra parte, alcune piante alte evitano che il fuoco
raggiunga le parti verdi ed i meristemi posti in alto. L‟altezza tende a essere correlata
allometricamente con le misure di altri caratteri nei confronti interspecifici, per esempio la
biomassa epigea, la profondità delle radici, la larghezza e la dimensione della foglia.
La misurazione dell‟altezza degli individui è stata eseguita secondo le indicazioni di
Cornelissen et al. (2003), verso la fine della stagione di crescita, su piante adulte ed in salute, e
con le foglie esposte alla luce solare. Per le piante che presentavano la maggior parte delle
foglie disposte a rosetta e una superficie fotosintetica molto ridotta nella parte superiore (es.
Sonchus bulbosus subsp. bulbosus), l‟altezza della piante è stata misurata sulle foglie della
rosetta. Per le specie rampicanti o liane, invece, si è considerata l‟altezza della struttura di
supporto (Cornelissen et al. 2003). In questo studio, l‟altezza delle specie è stata calcolata
misurando il valore medio delle misurazioni effettuate in campo con l‟utilizzo del metro su
10 foglie della stessa specie prese su differenti individui.
Consistenza e spessore fogliare (Leaf texture, Leaf tickness)
La consistenza fogliare fa riferimento alla durezza o meno delle foglie e alla loro minore o
maggiore succulenza.
L‟acqua costituisce un fattore di grandissima importanza per le
piante, non solo per il processo fotosintetico ma anche per altri processi, come il
mantenimento del turgore delle cellule, l‟apertura degli stomi, ecc… . L‟habitus delle piante e
la stessa morfologia e struttura fogliare sono direttamente dipendenti dalla quantità di acqua
disponibile nel terreno, dalla possibilità dell‟assorbimento di tale acqua, e dalla possibilità
del suo trasporto fino alle foglie. Quando c‟è una grande disponibilità d‟acqua, le lamine
fogliari sono espanse, sottili e prive di peli, con cellule epidermiche scarsamente cutinizzate e
limitato sviluppo dei tessuti di sostegno. All‟estremo opposto, quando c‟è la necessità di
approvvigionare l‟acqua, le foglie hanno taglia ridotta, mesofillo pluristratificato e grande
sviluppo di sclerenchimi e peli morti, che riflettono la luce e creano sopra l‟epidermide
fogliare un microambiente più umido e ombreggiato (Gerola 1995).La durezza delle foglie
(sclerofillia) è un adattamento meccanico che protegge la struttura fogliare dagli attacchi
124
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
causati specialmente dai fattori climatici, come siccità e gelo. Secondo una scala di
consistenza crescente, le piante sono state suddivise nelle seguenti classi:
1. succulente e carnose
2. malacofille: specie con foglie molli o poco coriacee
3. semisclerofille o cartilaginee: comprende molte graminacee
4. sclerofille
I dati su questo carattere sono stati individuati sia dall‟osservazione in campo sia mediante
ricerca bibliografica.
Anche lo spessore della foglia è relazionato all‟immagazzinamento d‟acqua e di risorse e
dalla presenza di consistenti strutture di sostegno e protezione. Lo spessore della foglia è
stato misurato direttamente in campo, utilizzando un calibro digitale, sensibile a spessori
molto fini.
Dimensione della foglia (Leaf size)
La dimensione della foglia è data dall‟area proiettata di una singola foglia o dal valore
medio dell‟area proiettata di più foglie, espressa in mm2. Per procedere alla misurazione dell‟
area fogliare, fondamentale anche per il calcolo della SLA (Specific Leaf Area) si sono scelti
individui adulti, le cui foglie non presentavano segni di attacco da erbivori, patogeni e senza
copertura di epifille. Per quanto riguarda la questione se lasciare o meno il picciolo in
letteratura si sono avute distinte posizioni di cui abbiamo tenuto conto prima di scegliere il
metodo che risultasse per noi il più adatto. Westoby (1998) suggerisce che il picciolo non
dovrebbe essere rimosso essendo parte integrante della foglia ed avendo la stessa longevità
caratteristica della lamina fogliare. Inoltre, il picciolo ha lo stesso valore funzionale della
nervatura centrale per le foglie sessili. Altri autori, invece, hanno rimosso il picciolo (es.
Shipley 1995). In questo studio sono state seguite le indicazioni di Cornelissen et al. (2003)
per l‟area fogliare da includere nella misurazione della SLA, che condividono la posizione di
Westoby e quindi, qualsiasi picciolo o rachide e tutte le venature sono state considerate parte
delle foglia da includere nella misurazione standard dello SLA e sono state mantenute anche
nel calcolo dell‟area fogliare. Seguendo Cornelissen et al. (2003), sono state raccolte 10 foglie
(raccogliendo una porzione del ramo con le foglie ancora attaccate e senza rimuoverle fino
alla fase di misura), prese su 10 individui diversi, scegliendo quelle pienamente esposte alla
luce del sole; il materiale raccolto è stato conservato in sacchetti inumiditi e ben chiusi per
evitare la perdita d‟acqua fino alla successiva fase di laboratorio. In laboratorio ogni foglia è
stata staccata dal ramo o dal gambo con tutto il picciolo, è stata asciugata ed inserita in uno
scanner per poter misurare l‟area (scanner Epson 1640XL). Questo metodo alternativo
fornisce un‟elevata accuratezza soprattutto aumentando la definizione della scansione.
L‟area proiettata (Projected Area, PA) ottenuta dalla scansione è stata determinata con il
software Win RHIZO V 5.0A (Regent Instruments Inc., Quebec, Canada). Durante la
125
Parte 3
scansione si è cercato di tenere le foglie ben distese sul piano dello scanner, mettendole anche
sotto ad un foglio di plastica trasparente in modo tale da far coincidere la proiezione della
foglia in esame con l‟area effettiva della superficie misurata, per non sottostimare l‟area. La
dimensione delle foglie ha importanti conseguenze per quanto riguarda il bilancio energetico
della foglia e il bilancio dell‟acqua. Variazioni interspecifiche nella dimensione della foglia
sono state associate alla variazione climatica, la geologia, l‟altitudine o la latitudine, a
situazioni di stress da caldo, stress da freddo, stress da siccità e stress dovuto ad un‟elevata
radiazione solare; tutte queste sono situazioni che tendono a selezionare foglie relativamente
piccole. All‟interno di zone climatiche, la variazione della dimensione della foglia può anche
essere associata a fattori allometrici (dimensione della pianta, dimensione dei rami, anatomia
ed architettura) e a strategie ecologiche, riguardo allo stress e a fenomeni di disturbo
ambientale dovuto a carenza di nutrienti, mentre i fattori filogenetici possono altrettanto
giocare un ruolo molto importante (Cornelissen et al. 2003).
Area fogliare specifica (Specific Leaf Area, SLA)
L‟area fogliare specifica (o SLA) è l‟area unilaterale della foglia fresca divisa per il peso
della sua massa secca, espressa in m2 kg-1 o in mm2 mg-1. Si tratta di una misura che potrebbe
essere altamente variabile in relazione alle condizioni ambientali. I valori di SLA di una
specie, nella maggior parte dei casi sono correlati positivamente con il relativo tasso di
crescita potenziale o con il tasso di attività fotosintetica basato sulla massa (Cornelissen et al.
2003). Valori bassi tendono a corrispondere ad un investimento relativamente alto della
foglia nelle “difese” (in particolare quelle strutturali) e ad una lunga durata di vita della
foglia. Le specie che si trovano in ambienti ricchi di risorse presentano valori più grandi di
SLA rispetto a specie che vivono in ambienti in cui scarseggiano le risorse. Con l‟altezza della
pianta e il peso del seme, la SLA, rappresenta uno dei caratteri funzionali principali nello
schema proposto da Westoby (1998) per la comprensione delle strategie delle specie. Per
procedere alla misurazione della SLA, dopo aver raccolto 10 foglie su individui diversi,
averne calcolato come su descritto l‟area fogliare, sì è proceduto alla misurazione del peso
secco dei campioni di foglie. Pertanto, i campioni freschi, appena dopo la scansione, sono
stati pesati, avvolti in carta stagnola, e collocati in stufa a 75°C per una settimana circa. Dopo
l‟essiccamento, i campioni sono stati pesati (mediante bilancia analogica E42S-B), ottenendo
in questo modo il peso secco. Ovviamente nel caso dei campioni di Carpobrotus ssp., è stato
necessario un periodo di essiccamento più prolungato. Dal rapporto dei valori medi delle
aree fogliari e dei pesi secchi si è ottenuto il valore dello SLA per ogni taxon considerato.
126
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
Contenuto di materia fogliare secca LDMC (Leaf Dry Matter Content)
LDMC ( contenuto di materia secca fogliare) è il rapporto tra il peso secco della foglia e
quello fresco, espresso in mg g-1. Esso è relativo alla densità media di tessuto fogliare e tende
ad avere un andamento inverso rispetto allo SLA. È stato dimostrato che esso è correlato
negativamente con il tasso di crescita potenziale e positivamente con la durata di vita delle
foglie. Ma le forze di queste relazioni sono più deboli di quelle che riguardano la SLA. Le
foglie con elevati valori di LDMC tendono ad essere relativamente dure (coriacee) e quindi
più resistenti a disturbi (vento, erbivoria, grandine) rispetto alle foglie con bassi valori di
LDMC; anche alcuni aspetti delle relazioni tra l‟acqua fogliare e l‟infiammabilità dipendono
dal LDMC. Specie con bassi valori di LDMC tendono ad essere relazionati con ambienti
produttivi spesso altamente disturbati. Nei casi in cui l‟area fogliare è difficile da misurare,
LDMC potrebbe dare risultati più significativi rispetto allo SLA, sebbene i due caratteri non
catturino le stesse funzioni. Poiché LDMC varia durante il giorno, abbiamo cercato di
raccogliere le foglie prima del tramonto o dopo l‟alba (Garnier et al. 2001; Cornelissen et al
2003). LDMC viene considerata come una misura indiretta della densità dei tessuti;
quest‟ultima gioca un ruolo importante nell‟utilizzazione dei nutrienti da parte delle specie
determinando la velocità di biomass turnover (esempio, una bassa densità di tessuto è
associata con un alto tasso di crescita). Sebbene la variazione della densità di tessuto sia
spesso correlata con le differenze nei caratteri del ciclo vitale tra le specie, la maggior parte
della densità di tessuto degli organi è relativamente costante per ciascuna specie (Enquist et
al. 1999). Per procedere alla misurazione della LDCM, dopo aver raccolto 10 foglie su
individui diversi, sì è proceduto alla misurazione del peso fresco dei campioni di foglie. In
seguito, i campioni freschi, appena dopo la scansione, sono stati avvolti in carta stagnola e
collocati in stufa a 75°C per una settimana circa. Dopo essiccamento i campioni sono stati
pesati (mediante bilancia analogica E42S-B), ottenendo in questo modo il peso secco. Il
rapporto dei due pesi è stato utilizzato per calcolare il valore medio del LDMC per i dieci
campioni di ciascuna specie.
Durata della vita (Plant lifespan)
La longevità di una pianta è uno di quei caratteri considerati hard traits. In questo lavoro si
è voluto considerare questo aspetto semplicemente suddividendo le specie in due classi: 1)
piante annuali e bienni; 2) piante perenni. La classificazione delle specie è stata fatta
basandosi sui dati riportati in letteratura e sull‟osservazione in campo. Le piante annuali o
effimere sono specie scarsamente dotate contro le avversità ambientali. Esse superano i
momenti difficili evitandoli con la conclusione del ciclo vitale: prima che le condizioni
dell‟ambiente si rendano insopportabili esse terminano l‟accrescimento e producono i semi
che supereranno la stagione critica. Le piante perenni, invece, hanno il vantaggio di
127
Parte 3
mantenere a lungo il sito in cui si trovano e non hanno bisogno di produrre i semi tutti gli
anni, data la lunga durata di vita, ma devono essere adattate a tollerare nelle medie ed alte
altitudini, l‟alternanza delle stagioni e devono affrontare anche gli eventi meteorologici più
critici. Le specie con una lunga durata di vita tendono ad investire molte risorse nella
protezione e (in parte come conseguenza) crescono più lentamente delle specie con una
durata di vita breve; inoltre, conservano i nutrienti interni più a lungo.
Fenologia fogliare (Leaf phenology)
Definiamo la fenologia della foglia come il numero di mesi dell‟anno in cui il fogliame è
verde. Certi gruppi di specie non competitrici evitano la competizione con le altre specie
mostrando le foglie in periodi brevissimi, cioè hanno un breve ciclo vitale come molte
annuali; oppure, come le decidue, perdono le foglie prima della stagione avversa. Le specie
decidue evitano di perdere preziose risorse contenute nelle foglie riacquistandole con il
riassorbimento, ed in seguito fanno cadere le foglie prima dell‟inizio della stagione secca o
dell‟inverno. Le specie sempreverdi, invece, possono svolgere la fotosintesi durante tutto
l‟anno, ma devono anche pendere molte energie durante il periodo avverso per sostenere
questa attività; esse dirigono un‟importante crescita all‟inizio della stagione favorevole,
prima che le specie stagionali inizino a competere per la luce. Molte geofite primaverili
mostrano una strategia simile sotto la chioma degli alberi decidui. In questo studio abbiamo
distinto due classi principali di fenologia fogliare: da una parte le terofite e le decidue, e
dall‟altra le sempreverdi; i dati sono stati ottenuti mediante ricerca bibliografica e
dall‟osservazione in campo.
Clonalità (Clonality)
La clonalità è un aspetto biologico molto importante che influenza la vita delle piante in
molti modi (De Kroon & Van Groenendael 1997). Circa il 70% delle specie incluse nella flora
delle zone temperate è costituita da specie clonali. Inoltre è stato osservata un‟elevata
diversità e plasticità delle forme, essendo queste influenzate dall‟ambiente locale. La
clonalità è la capacità di alcune specie di piante di riprodursi vegetativamente, attraverso la
produzione di nuovi “ramets” (unità epigee) ed attraverso l‟espansione orizzontale. La
clonalità può conferire vigore competitivo alle piante e la capacità di sfruttare ambienti ricchi
di risorse fondamentali (nutrienti, acqua, luce) mentre può promuovere la persistenza delle
piante dopo eventi di disturbo ambientale (Cornelissen et al. 2003). La capacità di riprodursi
clonalmente può anche essere un efficace mezzo che consente la migrazione su piccole
distanze in condizioni di scarsa dispersione dei semi o di difficoltà di insediamento delle
plantule. Le specie clonali sono più frequenti di quelle non clonali nelle aree più umide e
fredde rispetto a quelle più secche e calde, e in quelle naturali meno disturbati rispetto a
128
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
quelle costruite dall‟uomo. Gli organi clonali, specialmente quelli sotterranei possono
assolvere anche funzioni di riserva ma spesso è difficile distinguere tra le due funzioni. I
tuberi ed i bulbi delle geofite probabilmente assolvono come funzione predominante quella
di riserva e sono relativamente inefficienti come organi clonali (Cornelissen et al. 2003). Si
distingue una clonalità superficiale da una clonalità sotterranea. Nel primo caso
l‟individuazione di strutture clonali epigee viene effettuata considerando piante che siano
sufficientemente lontane da sembrare improbabile un loro collegamento. Nel caso, invece
delle strutture ipogee, bisogna scavare piante di aspetto sano durante la stagione di crescita
(fioritura o fruttificazione) dai siti in cui la specie si trova naturalmente; in alcuni casi
(sistemi radicali forti e ampi) è sufficiente anche l‟escavazione parziale. Nella presente ricerca
abbiamo semplicemente classificato le specie in clonali e non clonali senza nessun ulteriore
distinzione tra le due tipologia di clonalità. La specie è stata classificata come clonale se
almeno una tra le piante osservate (tra i 5 e i 10 individui) presentava chiaramente uno degli
organi clonali descritto nella seguente lista:
- stoloni: steli orizzontali,
-
gemme avventizie sulle foglie o altre gemme vegetative o frammenti di pianta che
possono disperdersi e produrre nuove piante;
- rizomi: rami sotterranei più o meno orizzontali
-
tuberi: rami o rizomi sotterranei modificati spesso funzionanti come organi di riserva. I
tuberi sono corti, spessi e tondeggianti, spesso ricoperti da gemme modificate, ma non
da foglie o scaglie;
-
bulbi: rami sotterranei relativamente corti e sferoidali ricoperti da foglie carnose o
scaglie sovrapposte, spesso utilizzati come organi di riserva;
- gemme avventizie radicali: gemme presenti sulla radice principale o sulle radici laterali.
In questo studio l‟individuazione della clonalità è stata effettuata soprattutto mediante
ricerca bibliografica e in parte dall‟osservazione in campo.
Sistema di impollinazione (Pollination system)
L‟impollinazione insieme alla disseminazione è il periodo della vita di una pianta in cui le
interazioni con l‟ambiente nelle sue varie componenti, si fanno sempre più frequenti e
condizionanti. Il trasporto del polline dall‟antera di un fiore allo stigma di un altro fiore (o
dello stesso nel caso dell‟autoimpollinazione) avviene principalmente attraverso il vento
(impollinazione anemofila) o attraverso gli animali (impollinazione zoofila). Le piante
anemofile hanno fiori privi di organi e sostanze che attraggono gli insetti; i fiori sono
generalmente inodori, senza nettare e con perianzio ridotto, dimessamente colorato. La
produzione di polline è molto grande e le antere sono spesso gli organi più sviluppati del
fiore. Le piante zoofile, invece, posseggono fiori provvisti di nettare, profumati e
generalmente vistosi. La funzione vessillare del singolo fiore può però anche mancare se è
129
Parte 3
ben sviluppato il profumo (es. Hedera helix) oppure se è appariscente l‟intera infiorescenza
come per esempio nelle Apiaceae, Dipsaceae e Asteraceae, dove i singoli fiori sono molto piccoli
(Ubaldi 1997). Nel nostro studio, quindi, abbiamo distinto due classi: le specie anemofile o
con nessuna specializzazione per l‟impollinazione (incluse le autogame) e le specie
impollinate da insetti (entomofile) o altri animali. I dati su questo carattere sono stati
individuati soprattutto mediante ricerca bibliografica.
Inizio della fioritura (Onset of flowering)
Tra i caratteri legati alle fasi rigeneratrici del ciclo vitale delle specie è stato considerato
anche il periodo di fioritura delle specie ed in particolare, l‟inizio della fioritura. Secondo
Weiher et al. (1999) questo carattere è molto utile negli studi che riguardano specie che si
sviluppano nei climi prevedibili stagionali, come nel nostro caso; mentre, la loro utilità ed
importanza diminuisce nei climi dove le piante rispondono a eventi imprevedibili (es. le
piogge nei climi semiaridi) e nei climi tropicali con poca stagionalità.
In questo studio abbiamo individuato tre classi principali:
1. specie che fioriscono in inverno o all‟inizio della primavera (fino a Aprile);
2. specie che fioriscono a Maggio;
3. specie che fioriscono in primavera inoltrata e all‟inizio della stagione estiva (Giugno)
4. specie che fioriscono in estate o in autunno.
I dati su questo carattere sono stati attinti soprattutto da fonti bibliografiche e da
osservazioni in campo.
Peso e forma dell’unità di dispersione (Seed mass, Seed shape)
Il peso del seme, chiamato anche dimensione del seme, è il peso secco di una media di semi
di una data specie, espresso in mg. Più che di seme molto spesso si considera l‟intera unità di
dispersione riproduttiva (= struttura dispersiva o propagulo) così come entra nel suolo.
L‟unità dispersiva può coincidere col seme, ma in molte specie è costituita dal seme e da altre
strutture che lo circondano, per esempio il frutto. Un ampio range nei valori del peso dei
semi è stato osservato in letteratura tra le specie, da meno di 10–6 a più di 104 g. Il peso del
seme è relazionato alla dispersione e all‟insediamento delle plantule. Semi piccoli tendono ad
essere dispersi più lontano dalla pianta madre, mentre semi grandi, ricchi di sostanze di
riserva, contribuiscono alla sopravvivenza della plantula, in situazioni ambientali limitanti
(erbivoria, siccità). Grazie ad una migliore disponibilità di nutrienti, i semi grandi avrebbero
una maggior chance nello stabilirsi come plantule (Salisbury 1942; Grime et al. 1988). Questa
ipotesi è supportata sia da numerosi studi sperimentali (Dailing & Hubbell 2002; Leishman &
Westoby 1994), che dalle analisi delle correlazioni tra massa del seme e condizioni
dell‟habitat. Semi piccoli possono essere prodotti in grande numero con lo stesso sforzo
130
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
riproduttivo e tendono anche ad essere sepolti più profondamente nel suolo. La variazione
interspecifica nella massa del seme ha anche un‟importante componente tassonomica: più i
taxa sono vicini in termini evolutivi, più probabilmente sarà simile la massa dei loro semi.
Ci sono molti modi di misurare la massa dei semi in letteratura che differiscono in ciò che
viene misurato (il seme in senso stretto o l‟unità di dispersione?) e nel metodo di essiccazione
del seme prima della pesata (in aria o in forno). Nel nostro studio abbiamo raccolti i semi (le
unità di dispersione), abbiamo eliminato tutte le appendici (pappi, peli) e li abbiamo fatti
seccare a 60 gradi per almeno 72 ore oppure 80 gradi per 48 ore prima di pesarli. Ma prima
di misurare la massa dei semi abbiamo concentrato la nostra attenzione sulla forma del seme.
Per dare un valore alla forma dell‟unità di dispersione sono stati presi in considerazione i
semi delle specie analizzate. Poiché quando si misura la forma del seme, l‟unità di
dispersione è di primario interesse, i semi non sono stati rigorosamente puliti degli accessori;
inoltre, nel caso di frutti carnosi, i semi sono stati rimossi secondo Thompson et al. (1993).La
forma del seme è stata calcolata come la varianza delle tre dimensioni lunghezza, larghezza e
spessore (in molti casi sono stati considerati solo le due maggiori dimensioni, lunghezza e
larghezza) dividendo ciascuna di esse per quella di valore maggiore che quindi rappresenta
l‟unità: le tre misure (i tre assi) quindi, sono state standardizzate ad 1 dividendo con il più
grande dei tre valori (Thompson et al. 1993). La varianza delle tre dimensioni si calcola con la
seguente formula:
Vs = Σ (xi – mean (x))2 / n
dove n= 3 (nel caso delle tre dimensioni, 2 nel nostro caso per due dimensioni) e x1 =
lunghezza/lunghezza; x2=larghezza/lunghezza e x3= spessore/lunghezza .
La lunghezza nella formula indica la dimensione con i valori più alti, anche se non sempre
coincide con la lunghezza morfologica .
Fig. 3.1 – Misurazioni dei caratteri relativi al seme di
Calystegia soldanella (foto di S. Del Vecchio).
Le misure delle tre dimensioni sono state effettuate in laboratorio, con un microscopio
particolare, fornito di una scala di riferimento grazie alla quale è stato possibile misurare
direttamente l‟oggetto in osservazione; l‟unità di misura di tutte e tre le misure è stato il mm.
Per attribuire un valore numerico alla forma è stata calcolata la varianza delle dimensioni
131
Parte 3
standardizzate. Per ogni specie sono stati raccolti e misurati 10 semi presi su individui
differenti ( un numero maggiore dei 5 per specie consigliate da Thompson (1993)): quindi la
forma del seme di una specie è data dalla media delle varianze delle dimensioni di ciascun
seme. La varianza nel caso si considerino solo le due dimensioni principali, è compresa tra 0
(semi perfettamente sferici) e 1 (semi a forma di ago) ed è priva dell‟unità di misura. Piccole
unità dispersive con valore della forma basso (relativamente sferico) tendono ad essere
seppellite più in profondità nel suolo e a vivere più a lungo sotto forma di banca semi. Per
misurare la dimensioni del seme, gli accessori (es. pappi) che facilmente si staccavano non
sono stati inclusi nelle misure; ma, essendo l‟unità che probabilmente penetrerà nel suolo
quella che ci interessa, sono stati mantenuti gli altri elementi del seme, come le ali.
Modalità di dispersione (Dispersal mode)
La dispersione è il processo dinamico di trasporto di semi e frutti o di altri tipi di propaguli
o diaspore, come spore, bulbilli, frammenti di rizomi. Questo fenomeno costituisce un fattore
che limita severamente la distribuzione delle specie. Possiede anche un‟importanza
evoluzionistica ed ecologica in quanto favorisce, insieme all‟impollinazione, il flusso genico
tra popolazioni, ed inoltre, può produrre popolazioni segregate ecologicamente o
geograficamente. La dispersione dei semi influenza, quindi, molti aspetti della biologia delle
piante, incluso la diffusione delle specie invasive, la dinamica delle metapopolazioni e la
diversità e le dinamiche nella comunità vegetali, ma esso è anche un carattere difficile da
misurare (Cain et al. 2000). Per questo molto spesso si fa riferimento alla morfologia del
propagulo, poiché la modalità di dispersione spesso può essere riconosciuta dalle
caratteristiche morfologiche dei frutti e dei semi; ad esempio la presenza di pappi
indicherebbe una dispersione mediante il vento, la presenza di polpa del frutto dolce e
nutritiva è spesso relazionata alla dispersione mediante animali frugivori; strutture adesive
sono relazionate a una dispersione mediante il pelo di animali, tessuti areati indicherebbero
una dispersione mediante l‟acqua. Generalmente ci sono tre principali ragioni per cui le
piante disperdono i loro semi, principalmente per scappare dai loro potenziali predatori, per
fuggire dalla competizione con le piante vicine, o per raggiungere siti più favorevoli per la
germinazione e l‟attecchimento (Fenner 1992). Un ampio range di adattamenti morfologici
della struttura dell‟unità di dispersione si sono evolute tra le piante a seme per permettere
una dispersione efficace. Solo una parte delle piante è adattata a disperdersi a grande
distanza; in molte specie, invece, viene attuata una strategia “dei brevi passi”, essendo più
certo il reperimento di un habitat favorevole in siti vicini a quelli della pianta madre. Piante
siffatte posseggono adattamenti cosiddetti di atelicoria.
132
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
Nel presente studio abbiamo considerato le seguenti tipologie di dispersione:
1. anemocoria: l‟agente responsabile del trasporto è il vento.Numerosissime specie hanno
diaspore che facilitano il trasporto da parte del vento, essendo rigonfie come palloncini,
oppure piumate (numerose Asteraceae) o costituite da batuffoli di peli o alate.
2. barocoria/idrocoria: la prima è una tipologia di dispersione nella quale i frutti o i semi
cadono in prossimità della pianta madre e per gravità vengono trascinati verso il basso.
Cornelissen et al. (2003) parlano di dispersione non assistita. Abbiamo aggiunto in questa
classe anche un numero limitato di specie per le quali la dispersione avviene mediante
l‟acqua. In questo caso le diaspore galleggianti sono costituite da semi o frutti che
usufruiscono della tensione superficiale dell‟acqua per un certo periodo di tempo prima di
affondare, oppure da frutti che galleggiano grazie al loro basso peso specifico, dovuto alla
presenza di cavità piene d‟aria.
3. zoocoria: la disseminazione avviene per opera degli animali; gli animali possono giocare
un ruolo attivo, principalmente attraverso l‟endozoocoria, cioè cibandosi dei frutti contenenti
a loro volta i semi, oppure un ruolo passivo (epizoocoria), con il trasporto di semi, spesso
minuti di setole, uncini e peli, sulla superficie esterna dell‟animale (es. Xanthium). A secondo
del tipo di animali si parla di ornitocoria (uccelli), mirmecocoria (formiche), mammalocoria
(mammiferi). La difficoltà comunque di una classificazione come questa è causata dalla
complessità della variabile che si va ad indagare; infatti diversi autori hanno distinto varie
fasi nel processo di dispersione e probabilmente la maggior parte delle piante può usufruire
di diversi tipi di trasporto, fenomeno che viene indicato come policoria. Idealmente, si
potrebbe usare una versione quantitativa di queste categorie, ma a parte per l‟anemocoria e
la balistocoria per cui è stato proposto un metodo di misura della “terminal velocity” (il tasso
di caduta quando gli effetti della gravità sono bilanciati dalla resistenza dell‟aria), per le altre
tipologie di dispersione è davvero harder utilizzare misure quantitative. L‟attribuzione di
ciascuna categoria di dispersione alle specie esaminate nel presente studio, è stata effettuata
dopo un‟attenta analisi delle molte informazioni presenti in bibliografia su ciascun taxon.
4.4 ANALISI DEI DATI
Analisi multivariata: classificazione e ordinamento
I dati raccolti sui caratteri morfologico-funzionali sono stati organizzati in una matrice 41
specie x 16 caratteri e sono stati elaborati attraverso tecniche di analisi multivariata, in
particolare, tecniche di ordinamento e di classificazione. L‟analisi multivariata analizza
matrici di dati che descrivono oggetti per mezzo di numerosi caratteri (variabili). Nel nostro
caso abbiamo una matrice in cui un determinato numero d‟oggetti (specie) sono descritti non
da una ma da molteplici caratteristiche (plant traits) misurate per ciascun oggetto. Al fine di
133
Parte 3
valutare i rapporti di similarità o differenza tra le molteplici entità (oggetti), le tecniche
d‟analisi multivariata permettono di prendere in considerazione in maniera organica tutti i
molteplici attributi (variabili) misurati e quindi di visualizzare tali relazioni in maniera
grafica (Podani 2007). Possiamo dire che i metodi di analisi multivariata sono strumenti che
facilitano l‟interpretazione della variabilità presente nei dati, mettendone in evidenza la
discontinuità, l‟omogeneità e la tendenza di variazione (Digby e Kempton 1987). Attraverso
l‟analisi multivariata si valuta in una prima fase il grado di similarità tra le entità oggetto di
studio e successivamente si analizzano le informazioni presenti nei dati. Tra i principali
metodi di analisi multivariata vi sono la classificazione e l‟ordinamento, due modi differenti
di osservare la variabilità presente nelle misure (Pielou 1988). Infatti, mentre la
classificazione tende ad esaltare le differenze presenti tra i diversi gruppi di variabili per
permetterne la separazione in modo più netto, l‟ordinamento tende ad evidenziare la
continuità di trasformazione tra i diversi gruppi per avere un quadro della distribuzione
delle entità. Nella presente ricerca, in un primo momento abbiamo applicato un metodo di
ordinamento ai valori degli oggetti (specie) della matrice di dati immessa. Poi in un secondo
momento una Hierarchical Cluster Analysis (HCA) è stata elaborata su questi valori, cioè
sovrapposta all‟ordinamento, ottenendo gruppi che forniscono una esplorazione dinamica
dei clusters sul piano fattoriale. L‟ordinamento, quindi, ci ha permesso di descrivere la
struttura dei dati e la classificazione di identificare i gruppi funzionali di specie dunali con
simili caratteri. Attraverso le tecniche di ordinamento la somiglianza tra gli oggetti (nel
nostro caso le specie) viene espressa mediante grafici in due o tre dimensioni, nei quali ogni
punto rappresenta la specie campione e la distanza tra due punti nel grafico rappresenta una
misura del livello di somiglianza sulla base delle variabili (plant traits). Si tratta dunque di
metodi che permettono di sintetizzare l‟intera informazione contenuta in matrici di dati in
diagrammi di punti, quindi sono noti anche come metodi di approssimazione di matrice
(Gurevitch et al. 2002).
Esistono molteplici tecniche di ordinamento, tra cui una delle più comunemente utilizzate
è l‟analisi delle componenti principali (principal components analysis = PCA), attraverso cui
ogni oggetto viene inizialmente rappresentato in uno spazio multidimensionale definito da
tante coordinate quante sono le variabili che definiscono le specie. In seguito a questa prima
fase, non graficamente rappresentabile, è possibile definire delle rette (componenti
principali) la cui direzione è tale che le proiezioni degli oggetti su di esse risultano
distanziate il massimo possibile. Si possono dunque selezionare i due assi che spiegano il
massimo della variabilità dei dati e dunque procedere ad una rappresentazione grafica degli
oggetti su questo nuovo piano cartesiano (Podani 2007). In questo lavoro è stato utilizzata
una tecnica simile, quella dell‟Analisi delle coordinate principali (PCoA), in particolare è
stata applicata una Multiple Correspondence Analysis (MCA) (Legendre & Legendre 1998).
Si tratta di una analisi delle corrispondenze applicata a una matrice in cui sulle righe sono
posti gli oggetti (le specie) e sulle colonne le variabili (plant traits). La MCA può essere
134
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
considerata una Correpondence Analysis che permette di analizzare sia le variabili
qualitative che quantitive e di esplorare le relazioni tra una grande set di variabili di diversa
natura. Infatti, tutte le variabili vengono trasformate in dati categorici; questa tecnica risulta,
così, particolarmente appropriata per descrivere in modo sintetico una matrice di variabili
categoriche. Nel presente studio, i caratteri qualitativi o categorici sono stati mantenuti con
l‟indicazione delle classi indicate per ciascuno mentre i valori dei caratteri quantitativi, sono
stati raggruppati in classi di uguale grandezza e l‟MCA è stata utilizzata per ordinare le
specie secondo queste differenti classi (o categorie) dei plant traits. Le specie vengono
rappresentate da una nube di punti (ordinamento) la cui dispersione e disposizione rispetto
agli assi denotano i gradienti funzionali nel materiale trattato e possono o non possono
essere interpretati anche come gradienti ecologici. L‟utilizzo della MCA, sebbene sia
puramente descrittivo, permette di analizzare anche la struttura dei dati e le relazioni tra le
classi di ogni carattere. La collocazione di ciascuna classe dei caratteri nel piano fattoriale
corrisponde al centro di gravità delle specie che sono caratterizzate da questo particolare
intervallo di valori del carattere. Confrontando la collocazione delle differenti classi è
possibile analizzare così la struttura dei dati.
In seguito, i valori (scores) della MCA per ciascuna specie in relazione solo ai primi due assi
sono state utilizzate come dati di immissione delle variabili per la successiva cluster analysis;
è stata applicata quella che viene definita una ordiClust. Con il termine Cluster Analysis
(analisi dei gruppi) si fa riferimento ad un insieme di tecniche di classificazione, basate su
valutazioni numeriche della similarità tra oggetti da classificare e su diverse strategie
agglomerative. Le tecniche di classificazione (Hierarchical Cluster Analysis) adottate in questo
lavoro permettono di raggruppare le specie (oggetti), in funzione di un certo numero di
variabili (plant traits), in gruppi, che vengono a loro volta riuniti in ulteriori aggruppamenti,
d‟ordine superiore (Legendre & Legendre 1998), ai quali è infine possibile associare un
determinato gruppo funzionale (Plant Fuctional Type). Sono dunque due gli algoritmi che
bisogna scegliere nell‟effettuare questo tipo d‟analisi: un primo per calcolare la similarità (o
dissimilarità) dei singoli oggetti/specie e un secondo per valutare la similarità o determinare
la strategia di legame fra i gruppi. Nel presente lavoro è stato utilizzata la distanza euclidea e
l‟average linkage algoritm (UPGMA). I risultati della classificazione sono rappresentati
graficamente attraverso dendrogrammi, in cui la lunghezza dei rami a partire dalla base è
proporzionale alla dissimilarità fra le entità raggruppate.
La combinazione di una Correpsondence Analysis e di una Cluster Analisys è attualmente uno
strumento comune nella letteratura e viene applicato per esplorare le relazioni tra un gran
numero di variabili e per facilitare l‟interpretazione dei risultati della Corrispondence
Analysis (Lebart 1994). Nel nostro caso, sovrapponendo la classificazione all‟ordinamento,
abbiamo potuto di individuare le tipologie funzionali, costituite da gruppi di specie con traits
relativamente omogenei. Attraverso la MCA e la Hierarchical Cluster Analysis, quindi, si sono:
1) identificati i gruppi funzionali delle specie native ed esotiche che crescono negli ambienti
135
Parte 3
dunali costieri dell‟Italia centrale; 2) analizzati i pattern di ciascun plant traits nel piano
fattoriale e in ciascun gruppo funzionale individuato. I calcoli e i grafici sono stati realizzati
utilizzando il ADE-4 statistical software package (Thioulouse et al. 1997).
Test statistici
In seguito, con lo scopo di esaminare le differenze tra i tre gruppi funzionali individuati e
di confrontare le specie native con quelle esotiche sulla base dei loro caratteri morfologicofunzionali, sono stati effettuati test statistici. Mediante questi test è possibile analizzare se ci
sono delle differenze significative tra le medie dei campioni confrontati e consente di dire
quanto sia probabile che la differenza tra i gruppi di oggetti sia dovuta al caso. Il test di
significatività tra campionarie comporta un'ipotesi zero o ipotesi nulla, secondo la quale le
medie a confronto ( µ1, µ2, µ3..µk) sono identiche; di conseguenza, le differenze effettivamente
riscontrate nelle medie campionarie sarebbero imputabili a variazioni casuali, come effetti
dovuti al campionamento, cioè all‟estrazione casuale di alcuni dati da un universo
teoricamente infinito, formato da valori tra loro diversi e con una distribuzione normale
intorno alla loro media. Mediante l'inferenza sulle medie calcolate sui dati dei campioni, si
determina la probabilità di ottenere tra loro differenze così grandi o maggiori di quelle
sperimentalmente osservate, nella condizione che l'ipotesi nulla H0 sia vera. Se questa
probabilità risulta alta, si accetta l'ipotesi nulla; se la probabilità risulta piccola,
convenzionalmente inferiore al 5%, si inferisce che esiste una ragionevole evidenza per
dubitare della validità dell'ipotesi nulla, che quindi è rifiutata (Foster 1992). Questo significa
che se esiste una probabilità del 5% o meno che la differenza tra i gruppi sia causata da
variazioni casuali, si conclude che non è causata da variazioni casuali e che esiste una
differenza “reale” e non casuale quindi l‟ipotesi nulla viene rigettata. Se, invece, la
probabilità è superiore al 5% si conclude che la differenza non è reale. L‟ipotesi nulla, H 0,
rimane uguale qualunque sia il test statistico scelto per comparare i campioni.
Una prima metodologia di analisi ha visto il confronto simultaneo tra le medie di più di
due gruppi; infatti abbiamo confrontato i plant traits tra i gruppi funzionali (PFTs)
individuati. In particolare, per testare la significatività delle differenze tra le medie
aritmetiche dei caratteri morfologico-funzionali di tipo quantitativo nei gruppi funzionali
individuati è stata applicata l‟analisi della varianza univariata One-way- ANOVA (ANalysis
Of VAriance). L‟analisi della varianza ONEWAY (univariata) viene utilizzata per confrontare
le medie di tre o più gruppi di oggetti su una particolare variabile.
136
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
Questa analisi comporta il calcolo di F, il rapporto della varianza prodotta dalla differenza
fra i gruppi e la varianza all‟interno dei gruppi (Foster 1992), indicato con la simbologia:
La varianza fra gruppi misura le differenze esistenti tra un gruppo e l'altro, mentre la
varianza entro gruppi misura la variabilità esistente attorno alla media aritmetica di ogni
gruppo. I valori critici per i rispettivi gradi di libertà sono forniti dalla distribuzione F. Se il
valore di F calcolato è superiore a quello tabulato, alla probabilità α prefissata (nel nostro
caso 0,05), si rifiuta l'ipotesi nulla e si accetta l'ipotesi alternativa: almeno una media è
diversa dalle altre. Se il valore F calcolato è inferiore a quello riportato nella tabella, si accetta
l'ipotesi nulla, o almeno non può essere rifiutato che le medie sono tutte uguali. Se, nel
confronto tra le medie di k gruppi, con il test F è stata rifiutata l‟ipotesi nulla si pone il
problema di verificare tra quali esista una differenza significativa. È stato applicato, quindi
uno dei confronti multipli o a posteriori (post-hoc comparisons), in particolare il test di Tukey
HDS (Honestly Significant Difference). Per quanto riguarda, invece, i caratteri morfologicofunzionali qualitativi, la significatività delle differenze tra i tre gruppi funzionali è stata
analizzata attraverso il test non parametrico per k campioni indipendenti di Kruskall-Wallis.
Esso si fonda sull‟ipotesi nulla che tutti i campioni abbiamo la medesima mediana, quindi è
fondato sui ranghi e rappresenta l‟equivalente non parametrico dell‟analisi della varianza ad
un criterio di classificazione. Anche in questo caso, una volta osservata una differenza
significativa fra tre gruppi, per ciascun coppia di campioni (in questo caso dei gruppi
funzionali) il test non parametrico di Mann-Whitney di cui parleremo a breve.
Un seconda metodologia statistica è stata applicata per il confronto tra i caratteri
morfologico-funzionali tra due soli gruppi: le esotiche e le native. Anche in questo caso sono
stati utilizzati due tipi di test, uno applicato ai caratteri quantitativi, qui considerati con i
valori ottenuti dalle misurazioni (e non dati categorici) e un altro applicato ai caratteri di tipo
qualitativo (o categorici). Nel primo caso è stato applicato il test parametrico t-Test bilaterale
o a due code, nel secondo caso, è stato applicato il test non parametrico di Mann-Whitney
anche in questo caso a due code. A differenza del t-Test, il test U di Mann-Whitney o test
dell'ordine robusto dei ranghi, non richiede alcuna ipotesi sulla simmetria dei due campioni,
può essere applicato quando essi hanno dimensioni diverse e serve sempre per verificare la
significatività della differenza tra le mediane e non tra le medie. Le analisi sono state
effettuate mediante il software statistico SPSS (SPSS Inc. 2001).
L‟applicazione dei test ha riguardato le seguenti coppie di campioni:

specie native/specie esotiche nel complesso (41 specie totali)

specie native/ specie esotiche invasive
137
Parte 3

specie esotiche invasive/specie esotiche non invasive
In seguito, sono stati considerati i singoli Plant Functional Type individuati mediante
l‟ordinamento e la classificazione e sono stati ripetuti i seguenti test per ciascun gruppo tra:

specie native/specie esotiche

specie native/specie esotiche invasive
Infine un ultimo confronto è stato effettuato in senso spaziale, considerando le specie delle
comunità che si sviluppano nelle tre principali fasce che comprendono dal mare al
all‟interno: l‟avanduna (foredune; comprende le dune embrionali e mobili), la duna di
transizione (transition dune; comprende i pratelli retrodunali) e la duna fissa (fixed dune;
comprende la macchia mediterranea). Prima di applicare il test, quindi, abbiamo attribuito
sulla base di lavori fitosociologici di letteratura (Stanisci & Conti 1990; Acosta et al. 2000,
Stanisci et al. 2004) e sulla base dell‟osservazione in campo, ciascuna specie ad una delle tre
fasce di vegetazione. In seguito, per ciascuna di queste facies sono stati effettuati anche qui
tests tra:

specie native/specie esotiche

specie native/specie esotiche invasive
5. RISULTATI
5.1 Quali e quanti Plant Functional Types (o gruppi funzionali) caratterizzano gli
ambienti dunali dell’Italia centrale?
La matrice 41 specie x 16 caratteri è stata elaborata mediante la tecnica multivariata
dell‟ordinamento, in particolare attraverso la Multiple Correspondence Analysis (MCA). Il
Fig. 3.2 rappresenta la distribuzione delle specie in base ai loro plant traits sul piano fattoriale
determinato dai primi due assi principali. Con i numeri sono indicate le diverse specie,
riportate poi chiaramente con il loro nome nella seguente Fig. 3.3. Possiamo osservare una
disposizione delle specie a formare una tipica forma a ferro di cavallo; le specie sono
disposte, cioè, lungo un arco e non lungo una linea; ciò potrebbe essere dovuto all‟esistenza
di relazioni non lineari tra gli oggetti (Podani 2007). L‟eigenvalues diagram (Fig. 3.2)
dimostra come i primi due assi coprano circa il 60 % della struttura dei dati.
Nella Fig. 3.3 viene di nuovo riportato il risultato dell‟ordinamento con l‟indicazione del
nome abbreviato delle specie; quello delle esotiche è scritto in blu. Si osservano tre gruppi
ben definiti, che abbiamo delimitato con linee tratteggiate; questi corrispondono ai gruppi
funzionali o Plant Functional Types delle principali specie dunali native ed esotiche delle coste
sabbiose dell‟Italia centrale. L‟ordinamento, quindi, dimostra già chiaramente la presenza di
tre gruppi distribuiti lungo l‟asse 1.
138
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
a
d=1
Ax
is
2
9
5 4
22
13
2
21
0.35
b
0.30
11
0.25
19
0.20
39
3
20
6
31
29
28
41
40
7
27
16
23
24
26
37
36
18
12
35
25
14
0.00
Axis 1
0.10
33
0.05
110
0.15
32
17
15
38
34
30
8
Fig. 3.2 - a) Risultati della Multiple Correspondence Analysis; disposizione delle specie sul piano fattoriale
definito dall‟asse 1 e dall‟asse 2. b) Eigenvalue diagram.
1
Axis 2
a
d = 0.5
2
b
3
Echinophora spin
Carpobrotus Calystegia
Pancratium
Gazania Aptenia
Otanthus
Eryngium
c
Medicago mar
Oenothera
Ammophila
Elymus
Axis 1
Acacia
Pittosporum
Cistus
Lonicera Rhamnus
Phillyrea
Pistacia
QuercusCupressus
Juniperus
Cakile mar
2
Lotus
Ambrosi
Arundo
Ononis var
Chamaesyce peplis
Silene canes
kali
Xanthium SalsolaErigeron
can
Erigeron bon
Medicago lit
Euphor ter
Polycarpon tet Lagurus ovat
Erigeron sum
Cenchrus incertus
Cutandia mar
Vulpia fascic
1
3
Fig. 3.3 - a) Risultati della MCA con l‟indicazione del nome abbreviato delle specie native ed esotiche (in blu); b)
Dendrogramma ottenuto mediante la Cluster Analysis con i tre PFTs ben distinti. c) Grafico dell‟ordiClust
ottenuto dalla sovrapposizione all‟ordinamento della Cluster Analysis; in questo modo i tre gruppi funzionali
sono resi più evidenti nel piano fattoriale.
139
Parte 3
Ma a rendere più chiara la disposizione di questi 3 aggruppamenti ha contribuito la tecnica
multivariata della classificazione (Fig. 3.3b) e in particolare l‟ordiClust (Fig. 3.3c) ottenuta
dalla sovrapposizione della classificazione all‟ordinamento.
Una volta individuati i Plant Functional Types, abbiamo cercato di analizzare le loro
caratteristiche funzionali. Che cosa caratterizza ciascun tipo funzionale (Plant Functional
Type) individuato?
La Fig. 3.4 ottenuta sempre dalla MCA, ci permette di rispondere a queste domande, in
quanto per ogni carattere, viene rappresentata la distribuzione sul piano fattoriale delle loro
classi (o categorie), e quindi la loro disposizione relativamente ai tre gruppi di specie. Il
piano fattoriale, con la distribuzione a forma di nubi delle specie, è ovviamente comune a
tutti i grafici dei caratteri, e coincide con l‟ordinamento che abbiamo prima esaminato con i
puntini sostituiti dal nome delle specie; mentre i quadrati con i numeri (corrispondenti alle
classi di ciascun traits) rappresentano il baricentro delle specie che mostrano valori o
categorie appartenenti a quella classe. Analizzando il grafico si può osservare come il primo
asse è relativo soprattutto all‟altezza, alla forma biologica, alla forma di crescita, alla
fenologia fogliare e alla tessitura fogliare. Il secondo asse, invece, è relativo soprattutto alla
clonalità e all‟impollinazione. Infatti le specie che sono disposte in corrispondenza dei valori
più negativi dell‟asse 1 (nella parte sinistra dell‟ordinamento), e che appartengono al PFT 3
sono specie perenni, con foglie persistenti, alte, fanerofite, alberi o arbusti, con foglie coriacee
(sclerofille); le specie, invece che sono disposte per i valori positivi dell‟asse 1 (nella parte
destra dell‟ordinamento) e che corrispondono al PFT o Gruppo 1, sono specie annuali,
terofite, di medio-bassa altezza, con foglie non coriacee. Relativamente all‟asse 2, invece, si
osserva che le specie posizionate nella parte bassa dell‟ordinamento, per valori negativi
dell‟asse 2 (come il PFT O Gruppo 1 e PFT o Gruppo 3), sono soprattutto specie non clonali e
per lo più anemogame; mentre le specie posizionate per valori positivi dell‟asse 2 (e
corrispondenti essenzialmente al PFT o Gruppo 2) sono clonali e molto spesso entomogame.
Quindi, l‟asse 1 della MCA potrebbe essere collegato al relativo rivestimento di carbonio
sulle strutture protettive dei tessuti fotosintetici e sopratutto al tasso di crescita,
sviluppandosi da specie che impiegano molto tempo per raggiungere la maturità (specie
della macchia, sempreverdi, alte costituite in predominanza da arbusti ed alberi, con foglie
sclerofille) a specie che impiegano un breve periodo per raggiungere la maturità (bassa
altezza della pianta, forme di crescita costituite principalmente da erbe annuali con foglie
tenere o succulente). L‟asse 2, invece, potrebbe essere collegato con il minore o maggiore
investimento nell‟accumulo di risorse negli organi clonali, e con la specializzazione nella
modalità di impollinazione sviluppandosi da specie per lo più non clonali e anemogame a
specie clonali ed entomogame. Ma vediamo di definire in dettaglio le caratteristiche
funzionali di ciascun Plant Functional Type o Gruppo funzionale.
140
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
Altezza
Peso seme
SLA
LDMC
1
2
1
3
2
1
2
1
3
2
3
3
Area foglia
Forma seme
Spessore foglia
Forma biologica
3
2
3
3
2
4
2
1
2
1 3
2
5
1
1
1
Modalità dispersione
Inizio fioritura
Clonalità
Forma.di.crescita
3
3
2
2
3
4
2
1
1
Fenologia fogliare
4
23
1
5
Tessitura foglia
Durata di.vita
1
Impollinazione
1
2
2
2
1
1
3 2
4
1
Fig. 3.4 - Ordinamento delle classi dei caratteri morfologico-funzionali esaminati per i primi due assi della
MCA. I quadrati con i numeri indicano il centro delle classi e le linee segnano la dispersione degli oggetti (specie).
Per la categoria di ciascuna traits vedere la Tab. 3.2. A lato è riportato il grafico dell‟ordiClust per osservare gli
andamenti delle classi per ciascun PFTs o Gruppo funzionale.
Gruppo funzionale o PFT 1
Questo primo gruppo, posizionato nella parte destra dell‟ordinamento, include le specie
annuali, le cosiddette terofite. La presenza di specie annuali si osserva in due diverse fasce
della zonazione costiera: nella prima fascia in prossimità della battigia, nella comunità
nitrofila detta cakileto (Cakile marittima subsp. maritima, Salsola kali, Chamaesyce peplis,
Xanthium orientale subsp. italicum) e nelle comunità annuali che crescono nelle zone
interdunali, nei pratelli della duna di transizione, dietro alle dune o a mosaico con esse (es.
Silene canescens, Vulpia fasciculata, Erigeron ssp.).Oltre alla forma di crescita, alla durata di vita
della foglia e alla fenologia fogliare, che contraddistinguono questo gruppo rispetto agli altri,
diverse considerazioni possiamo fare anche rispetto agli altri caratteri . Si tratta, infatti, di
specie non clonali, anemogame e anemocore, che presentano valori di altezza medio-bassi,
peso del seme medio-basso, SLA elevati, foglie medio-piccole, sottili e una fioritura precoce o
molto tardiva. L‟altezza relativamente bassa è condizionata dai forti venti salsi e dalle
caratteristiche del suolo, incoerente, scarso di nutrienti e dotato di bassissima ritenzione
idrica (Del Vecchio et al. 2006). Le specie di questo gruppo sono, dunque, tutte terofite:
141
Parte 3
germinano, si riproducono e muoiono nell‟arco di una sola stagione, sfruttando le risorse per
l‟unica fase riproduttiva della loro vita. Accorciare il ciclo vitale ad un periodo breve,
rappresenta un‟efficace strategia per sopravivere in ambienti inospitali, proprio come quelli
costieri. La strategia di utilizzo rapido delle risorse viene suggerita anche dagli elevati valori
dello SLA e dalle caratteristiche della foglia, che tende ad essere di piccole dimensioni, per
limitare l‟evapotraspirazione; queste specie, quindi, vanno incontro ad un rapido
accrescimento e sono molto efficienti nell‟acquisizione delle risorse subaeree (Del Vecchio et
al. 2006). Sono specie che si riproducono esclusivamente mediante semi, che vengono
dispersi sopratutto dal vento, andando ad colonizzare nuove aree, talvolta a grande distanza.
Gruppo funzionale o PFT 2
Il secondo gruppo, posizionato nella parte alta dell‟ordinamento, è il gruppo delle perenni
avandunali. Infatti, le specie di questo tipo funzionale appartengono alle comunità
psammofile perenni delle dune embrionali (Elymus farctus subsp. farctus, Calystegia soldanella,
Carpobrotus ssp.) e delle dune mobili (Ammophila arenaria subsp. australis, Echinopora spinosa,
Carpobrotus ssp.). La caratteristica principale delle specie di questo PFT è sicuramente la
presenza di organi clonali specializzati per la riproduzione vegetativa, che molto spesso
determinano una copertura densa di queste specie e permettono loro di occupare lo spazio in
modo dominante (Pottier et al. 2007). Tra le specie clonali per eccellenza ci sono le due specie
edificatrici della duna: Elymus farctus e Ammophila arenaria. Sono due specie caratterizzate da
particolari adattamenti che consentono loro di sopportare o, meglio, opporsi all‟accumulo
della sabbia trasportata dal vento.Esse presentano una porzione aerea poco voluminosa
rispetto a quella ipogea, che risulta abbondante e ramificata, tanto da creare un groviglio
fittissimo di rizomi e radici, capace di trattenere fortemente la sabbia. Sono tipiche specie
psammofile, in quanto reagiscono al seppellimento producendo porzioni verticali di rizoma
che arrestano la loro crescita in prossimità della superficie del substrato, dove emettono
nuove robuste foglie (Packham & Willis 1997). Nuovi apporti di materiale innescheranno di
volta in volta l‟elaborato processo di crescita, che porta a un notevole sviluppo dell‟apparato
ipogeo della pianta, sia in ampiezza che in profondità, in grado di immobilizzare grandi
masse di sabbia via via più considerevoli.
Oltre alla clonalità, che contraddistingue questo tipo funzionale, altri importanti caratteri
sono stati osservati (Fig. 3.4). Le specie di questo gruppo presentano valori medio-bassi di
altezza, foglie, spesso carnose-succulente ma anche cartilaginee, con spessore medio-alto e
area elevata, e una buona presenza di specie con forma di crescita a cuscinetto o a ciuffo. Si è
osservato, inoltre, che molte delle specie di questo gruppo funzionale presentano
un‟impollinazione entomogama. All‟ampia superficie fogliare riscontrata dalle misure prese
che permette di sfruttare meglio le risorse subaeree, non corrispondono valori elevati di SLA;
questo fatto indica che le specie di questo gruppo non tendono ad investire le risorse per
142
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
crescere rapidamente, mentre hanno bisogno di fornire strutture protettive alle foglie, le
quali, avendo una superficie ben sviluppata, devono limitare l‟evapotraspirazione (foglie
cartilaginee) oppure devono essere capaci di immagazzinare più efficacemente acqua (foglie
succulente-carnose) (Del Vecchio 2006). Questo è dimostrato anche dallo spessore della
foglia, relativamente elevato, che riflette la necessità di immagazzinare l‟acqua, proprietà
necessaria in un ambiente caratterizzato da stress idrico. Le condizioni ambientali avverse
che contraddistinguono gli ambienti dunali sono responsabili anche della posizione in cui
queste specie portano le gemme: le forme biologiche principali sono geofite, camefite ed
emicriptofite da cui si nota la tendenza a proteggere le gemme, conservandole nel terreno, o
comunque vicino al suolo (Del Vecchio 2006). Possiamo affermare che le specie di questo
gruppo sono più propense ad accumulare le risorse, piuttosto che a consumarle in fretta:
sono tutte specie perenni, contraddistinte dalla capacità di riprodursi clonalmente mediante
organi ipogei, i quali permettono anche di immagazzinare le risorse, fungendo quasi sempre
anche da organi di riserva.
Gruppo funzionale o PFT 3
Il terzo gruppo, posizionato nella parte sinistra dell‟ordinamento, è il gruppo delle perenni
retrodunali. Infatti, esso comprende tutte specie che crescono nel retroduna o meglio sulla
duna fissa: le specie tipiche della macchia mediterranea (Rhamnus alaternus subsp. alaternus,
Juniperus oxycedrus subsp. macrocarpa, Quercus ilex subsp. ilex e Pistacia lentiscus) e dei
rimboschimenti (Cupressus semprervirens, Acacia saligna). Si tratta di un gruppo funzionale
ben distinto. Le specie di questo gruppo sono tutte perenni, arboree-arbustive, fanerofite,
non clonali, che presentano elevati valori di altezza e di LDMC e bassi valori di SLA, foglie
sempreverdi, coriacee (sclerofille) con spessore medio-elevato, e una dispersione soprattutto
zoocora. Possiamo affermare che le specie di questo gruppo tendono ad investire in
fitomassa: crescendo in una zona più riparata dall‟azione dei venti e degli spruzzi marini, e
su un suolo più maturo, esse possono permettersi un maggior sviluppo della porzione
epigea (Del Vecchio 2006). In questo gruppo sono comprese le specie più alte tra quelle
analizzate, trattandosi, di alberi e arbusti. Gli elevati valori di LDMC (e bassi di SLA)
evidenziano, in ogni caso, l‟investimento delle foglie in strutture protettive; la presenza di
foglie sclerotizzate indicherebbe, che, nonostante le condizioni ambientali siano più mitigate,
esse sono limitanti anche nella duna fissa.
5.2 Quali sono le differenze in termini di plant traits tra i gruppi funzionali?
I risultati ottenuti dall‟analisi multivariata che hanno individuato la presenza di tre gruppi
funzionali ben definiti delle specie dunali considerate in questo studio, sono stati in parte
confermati anche dalle analisi statistiche. L‟ANOVA per i caratteri quantitativi e il test non
parametrico di Kruskall-Wallis per quelli qualitativi, hanno evidenziato delle importanti
143
Parte 3
differenze tra i tre tipi funzionali, soprattutto per quanto riguarda i traits di tipo qualitativo.
Questi risultati sono stati sintetizzati nella Fig. 3.5 e nei grafici a barre (Fig. 3.6) che riportano
il valore medio e l‟errore standard dei caratteri che sono risultati significativi. Solo due
caratteri quantitativi sono risultati significativi tra i tre gruppi: l‟altezza e lo SLA (Fig. 3.5)
Possiamo notare dal grafico che questi due traits presentano un trend opposto: l‟altezza delle
piante presenta valori maggiori andando dal primo al terzo gruppo, sovrapponendosi al
gradiente mare-terra; lo SLA, invece, presenta valori più elevati nel gruppo funzionale 1
diminuendo poi fino al gruppo 3. Infatti, come abbiamo detto in precedenza, le specie
annuali sono specie erbacee dalle modeste altezze, caratterizzati da una crescita rapida (SLA
elevato); mentre le specie perenni avandunali e poi retrodunali (di macchia) sono
caratterizzate da piante più sviluppate (specialmente il gruppo 3) e da foglie più resistenti e
coriacee per difendersi dai danni dovuti alla siccità, all‟erbivoria, all‟areosol marino. I
caratteri qualitativi invece sono molto più variabili tra i tre gruppi funzionali: tutti eccetto
Kruskal Wallis Test
ANOVA
l‟inizio della fioritura e la modalità di impollinazione sono significativi (Fig. 3.5; Fig. 3.6).
F/Chi-Square
13,795
1,799
7,433
2,721
1,943
2,183
0,823
38,13
10,41
4,53
21,93
25,58
26,98
40,00
18,91
1,01
Altezza pianta
Peso seme
SLA
LDMC
Area fogliare
Spessore fogliare
Forma del seme
Forma biologica
Modalità dispersione
Periodo fioritura
Clonalità
Forma di crescita
Fenologia fogliare
Durata di vita
Tessitura fogliare
Tipo di impollinazione
Sig.
0,00003 ****
0,1792 n.s.
0,0019 **
0,0786 n.s.
0,1572 n.s.
0,1267 n.s.
0,4466 n.s.
5,25E-09 ****
0,0055 **
0,1038 n.s.
1,726E-05 ****
2,791E-06 ****
1,382E-06 ****
2,061E-09 ****
7,823E-05 ****
0,602 n.s.
Altezza della pianta
SLA
300
18
16
250
Mean +/- 2SE
Mean +/- 2SE
14
200
150
100
12
10
8
6
4
50
2
0
0
Gruppo 1
Gruppo 2
Gruppo 3
Gruppo 1
Gruppo 2
Gruppo 3
Fig. 3.5 - Risultati dell‟ANOVA (caratteri quantitativi) e del Kruskall-Wallis Test (caratteri qualitativi) per i
confronti statistici tra i tre gruppi funzionali. La significatività è indicata da * 0.05 > P > 0.01, **0.01 > P > 0.001,
***0.001>P>0.0001, ****P < 0.0001.
144
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
3,5
5
4
3
2
1
4,5
3,0
2,5
2,0
1,5
0
4,0
Mean +- 2 SE Tessitura fogliare
Mean +- 2 SE Modalità di dispersione
6
3,5
3,0
2,5
2,0
1,5
1,0
N=
16
15
10
1
2
3
N=
1,0
16
15
10
1
2
3
GRUPPI
N=
Mean +- 2 SE Forma di crescita
1,4
1,2
1,0
2,0
Clonalità
5
4
3
1,8
1,6
1,4
1,2
2
1,0
,8
,8
1
N=
3
2,2
Mean +- 2 SE
1,6
10
2
GRUPPI
6
1,8
15
1
GRUPPI
2,2
2,0
16
16
15
10
1
2
3
GRUPPI
N=
16
15
10
1
2
3
GRUPPI
N=
16
15
10
1
2
3
GRUPPI
Fig. 3.6 - Diagrammi a barre degli andamenti, nei tre gruppi funzionali, delle seguenti variabili qualitative,
nell‟ordine: forma biologica, modalità di dispersione, tessitura fogliare, fenologia fogliare, forma di crescita e
clonalità.
5.3 Le specie esotiche dimostrano strategie distinte dalla componente nativa? ci sono
PFTs delle specie esotiche?
Un importante risultato che possiamo osservare analizzando le specie presenti nei tre
gruppi funzionali è che le specie esotiche sono presenti in tutti e tre i gruppi, condividendo i
caratteri morfologico-funzionali delle specie native. Un'altra osservazione che possiamo
notare è che, nel Gruppo funzionale 1 che comprende le specie annuali si registra il più
elevato numero di esotiche, mentre questo risulta minore nel Gruppo 2 e diminuisce ancora
nel Gruppo 3. Nella macchia mediterranea, infatti, sono state osservate, come nel censimento
floristico prima analizzato, poche specie esotiche e nessuna di queste invasiva. Infatti, se
consideriamo lo status di invasività delle esotiche, si osserva che le invasive sono presenti
solamente nel Gruppo 1 e nel Gruppo 2. Nel gruppo funzionale delle annuali ad eccezione
dello Xanthium orientale subsp. italicum, che abbiamo classificato come una specie dalla
dubbia esoticità, le altre quattro specie esotiche comprese in questo gruppo sono tutte
invasive. Il Gruppo 2, quello delle perenni avandunali, comprende tre specie invasive
(Carpobrotus ssp., Oenothera biennis e Ambrosia coronopifolia), una specie dubbia (Arundo donax)
e due specie casuali (Aptenia cordifolia e Gazania rigens). Infine il Gruppo 3, la macchia,
145
Parte 3
comprende solo specie naturalizzate (Acacia saligna e Pittosporum tobira) e il Cupressus
semprervirens che viene coltivato per rimboschimenti.
Quanto prima detto per i gruppi funzionali in generale, vale ovviamente anche per le
esotiche. Anche per queste, infatti, possiamo parlare di tre strategie:
 le specie che “utilizzano rapidamente le risorse” (Gruppo 1). Tra le esotiche comprese in
questo PFT troviamo il gruppo del genere Erigeron (Erigeron canadensis, E. bonariensis e E.
sumatrensis). Si tratta di Asteraceae, di origine americana, annuali (terofite), di mediaelevata altezza e con un‟area fogliare medio-bassa, elevati valori di SLA; sono specie che
si riproducono solo per semi, sono autogame (Viegi et al. 2001) e anemocore. Molte fonti
hanno dimostrato la loro notevole capacità invasiva grazie alla produzione di un
elevatissimo numero di semi. Si tratta di specie antropofile che beneficiano del disturbo
antropico e che riescono a consumare rapidamente le risorse disponibili, occupando così
le aree dunali fortemente disturbate.
 le specie che “immagazzinano le risorse” (Gruppo 2). Tra le esotiche comprese in questo
gruppo troviamo le invasive Carpobrotus edulis/acinaciformis. Si tratta di piante perenni,
camefite, con forma prostrata, foglie succulente e persistenti; sono specie clonali,
entomogame ed endozoocore. Sono capaci di una vigorosa propagazione vegetativa
grazie ai robusti fusti striscianti, ma si riproducono anche sessualmente attraverso la
produzione di numerosi semi, ricoperti con una mucillagine zuccherina e appiccicosa
all‟interno di un frutto indeiscente carnoso. La succulenza di queste specie è relazionata
alla loro capacità nell‟immagazzinare grandi quantità di acqua, una risorsa limitata negli
ambienti costieri. La presenza di uno apparato radicale molto sviluppato e superficiale,
infatti, permette loro una elevata capacità di acquisizione delle risorse presenti nel suolo.
I valori bassi di LDMC registrati sono dovuti probabilmente all‟alto contenuto di acqua
delle foglie e quindi a un peso fresco molto elevato; di solito bassi valori di LDMC
tendono ad essere associati ad ambienti altamente disturbati. Gli individui di Carpobrotus
possono resistere alla severità del clima mediterraneo come siccità e gelo ma anche al
fuoco e ai severi calpestii che si verificano lungo molti habitat litorali. È stato stimato, che
le invasioni di taxa di Carpobrotus sono state facilitate dall‟assenza di piante native con
simili tratti della storia biologica (Lavorel et al. 1999).
 le specie che “investono in fitomassa” (Gruppo 3). Tra le esotiche di questo gruppo
troviamo due specie naturalizzate Acacia saligna e Pittosporum tobira. Si tratta di due
arbusti introdotti nel primo caso per la stabilizzazione delle dune, nel secondo per fini
ornamentali. Sono specie non clonali, con bassi valori di SLA, elevati valori del LDMC e
delle aree fogliari. Esse investono molto in strutture protettive; le foglie, infatti, sono
semisclerofille (Acacia) o sclerofille (Pittosporum). Sono due specie capaci di resistere alla
salsedine e di crescere su suoli ancora mobili.
146
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
5.4 Quali sono le differenze in termini di plant traits tra le specie native ed
esotiche? e tra le native e le esotiche invasive?
Una volta aver definito i principali gruppi funzionali (Plant Functional Types) delle specie
native ed esotiche degli ambienti dunali costieri dell‟Italia centrale e di averne esaminato le
caratteristiche principali, si sono voluti confrontare i plant traits (i caratteri morfologicofunzionali) della componente nativa e di quella esotica. Sebbene ogni gruppo funzionale
comprenda specie non native, e sebbene, queste, condividano quindi, con le native strategie
simili, ci siamo chiesti se si potessero individuare dei caratteri tipici delle specie esotiche ed
in particolare delle invasive. Il nostro confronto è stato effettuato, come detto, mediante
l‟applicazione di test statistici. Il primo confronto statistico è stato eseguito tra l‟intera
componente nativa (27 specie) e quella esotica (14). Dai risultati dei test non sono emerse
sostanziali differenze di strategie, a conferma di ciò che è emerso dall‟analisi dei gruppi
funzionali. Infatti, per quanto riguarda il t-Test applicato ai caratteri quantitativi, nessun dei
plant traits è risultato significativamente differente tra le specie native e quelle esotiche (Fig.
3.7 a).
Plant traits
b)
Altezza pianta
Peso seme
SLA
LDMC
Area fogliare
Spessore fogliare
Forma del seme
Plant traits
Forma biologica
Tipo di dispersione
Periodo fioritura
Clonalità
Forma di crescita
Fenologia fogliare
Durata di vita
Tessitura fogliare
Modalità impollinazione
MannWhitney U
Mean +- 2 SE Inizio fioritura
a)
Native
Esotiche
Mean + SE
Mean + SE
55,804 ± 13,895 113,664 ± 33,769
82,003 ± 69,735
9,179 ± 5,162
10,315 ± 0,934
11,471 ± 1,175
305,719 ± 37,384 256,448 ± 32,164
11,697 ± 4,758
26,75 ± 11,543
0,748 ± 0,147
1,207 ± 0,688
0,293 ± 0,038
0,345 ± 0,045
184
173
93,5
150
178,5
165
179,5
183
186,5
Sig. (2tailed)
0,8861 n.s.
0,6388 n.s.
0,0035 **
0,1738 n.s.
0,7675 n.s.
0,4461 n.s.
0,7573 n.s.
0,8643 n.s.
0,9344 n.s.
t
Sig.(2-tailed)
-1,87
0,75
-0,75
0,86
-1,42
-0,86
-0,83
0,06855 n.s.
0,45963 n.s.
0,46025 n.s.
0,39288 n.s.
0,16222 n.s.
0,39300 n.s.
0,40918 n.s.
4,0
c)
3,5
3,0
2,5
2,0
1,5
1,0
N=
27
Native
14
Esotiche
Fig. 3.7 - Risultati dei test statistici relativi al confronto tra i plant traits delle specie native e esotiche. a) risultati
relativi a t-Test per i caratteri quantitativi; b) risultati relativi al Mann Whitney U Test per i caratteri qualitativi. c)
differenza del periodo di fioritura tra le due la componente nativa e quella esotica. La significatività è indicata da
* 0.05 > P > 0.01, **0.01 > P > 0.001, ***0.001>P>0.0001, ****P < 0.0001.
147
Parte 3
Per quanto riguarda i caratteri qualitativi dal Mann-Whitney U-test è risultato significativo
tra le due componenti solo il periodo di fioritura (Fig. 3.7b). In particolare, si è osservato che
le specie esotiche generalmente presentano periodi di fioritura più tardivi, rispetto alle specie
native, fiorendo nella tarda estate e o all‟inizio dell‟autunno (Fig. 3.6c).
Il confronto statistico successivo, quindi, è stato realizzato prendendo in considerazione
sempre il gruppo delle specie native (27 specie), ma non tutta la componente esotica, solo
quella costituita dalle specie esotiche invasive. I risultati dei test hanno presentato delle
leggere differenze rispetto al caso precedente. Questa differenza ha riguardato in particolare
i caratteri quantitativi (Fig. 3.8a). Infatti, mentre nel confronto precedente tra l‟intera
componente nativa e quella esotica nessuno di questi traits risultava significativo, adesso,
considerando sola la parte invasiva della compagine esotica, si è osservato che lo SLA
presenta una leggera significatività (0,046), con valori più elevati per le specie invasive
rispetto alle specie native (Fig. 3.8a-b). Per quanto riguarda i caratteri qualitativi, invece,
rimane la significatività relativa solamente al periodo di fioritura, con un comportamento
marcatamente più tardivo delle specie invasive rispetto a quelle native (Fig. 3.8c-d).
5.5 Quali sono le principali differenze tra i plant traits delle specie esotiche non
invasive e di quelle invasive?
Le analisi statistiche che hanno preso in considerazione il complesso delle specie
selezionate in questa ricerca, native ed esotiche, si sono focalizzate, infine, solo sulla
componente non nativa con lo scopo di esaminare se, dal confronto tra le specie esotiche non
invasive (naturalizzate, casuali, dubbie e coltivate) e le specie esotiche invasive, si potessero
individuare dei caratteri tipici di queste ultime, cioè dei plant traits relazionati all‟invasività.
Per quanto riguarda i caratteri quantitativi, il t-Test ha mostrato come significativo solo lo
SLA, come era risultato dal precedente confronto tra la componente nativa con quella esotica
invasiva, ma in questo caso con un maggior livello di significatività (0,01): le specie esotiche
invasive presentano valori più elevati di SLA rispetto alla componente esotica non invasiva
(Fig. 3.9a-b). Per quanto riguarda i caratteri qualitativi sono risultati significativi oltre al
periodo di fioritura (0,046) sempre significativo anche nei precedenti confronti, anche la
forma biologica e la fenologia fogliare: le specie esotiche invasive infatti sono soprattutto
terofite (Fig. 3.10a-b).
5.6 Si possono individuare delle differenze a livello di plant traits all’interno di
ciascun PFT tra le native e le esotiche?
Dopo aver esaminato complessivamente la componente nativa ed esotica, abbiamo
effettuato confronti statistici all‟interno di ciascun gruppo funzionale. Dapprima, sono stati
confrontati i caratteri morfologico-funzionali delle specie native ed esotiche in ciascun PFT.
148
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
a)
Native
Mean + SE
55,804 ± 13,895
82,003 ± 69,735
10,315 ± 0,934
305,719 ± 37,384
11,697 ± 4,758
0,748 ± 0,147
0,293 ± 0,038
Plant traits
Altezza pianta
Peso seme
SLA
LDMC
Area fogliare
Spessore fogliare
Forma del seme
Esotiche invasive
Mean + SE
52,1± 13,571
2,089 ± 1,177
14,253 ± 1,487
265,493 ± 42,377
10,746 ± 3,482
1,699 ± 1,391
0,350 ± 0,061
t
Sig.(2-tailed)
0,13
0,58
-2,24
0,52
0,10
-1,29
-0,70
0,897 n.s.
0,568 n.s.
0,046 *
0,605 n.s.
0,922 n.s.
0,206 n.s.
0,487 n.s.
b)
SLA
Media +/- 2SE
20
15
10
5
0
native
esotiche invasive
4,5
Forma biologica
Tipo di dispersione
Periodo fioritura
Clonalità
Forma di crescita
Fenologia fogliare
Durata di vita
Tessitura fogliare
Modalità impollinazione
Inizio fioritura
Plant traits
Mean +- 2 SE
c)
MannWhitney U
Sig. (2tailed)
68,5
78,5
26,0
88,5
71,5
79,5
79,0
79,5
86,5
0,2434 n.s.
0,4672 n.s.
0,00099 ***
0,7281 n.s.
0,3167 n.s.
0,4538 n.s.
0,4429 n.s.
0,5063 n.s.
0,6807 n.s.
d)
4,0
3,5
3,0
2,5
2,0
1,5
1,0
,5
N=
27
7
Nati ve
Invasi ve
Fig. 3.8 - Risultati dei test statistici relativi al confronto tra i plant traits delle specie native ed esotiche
invasive. a) Risultati relativi a t-Test per i caratteri quantitativi; b) grafico della media e SE dello SLA
per la componente nativa ed esotica invasiva.; c) risultati relativi al Mann Whitney U Test per i
caratteri qualitativi; d) differenza del periodo di fioritura tra la componente nativa e quella esotica
invasiva. La significatività è indicata da * 0.05 > P > 0.01, **0.01 > P > 0.001, ***0.001>P>0.0001, ****P <
0.0001.
149
Parte 3
a)
Plant traits
Altezza pianta
Peso seme
SLA
LDMC
Area fogliare
Spessore fogliare
Forma del seme
Esotiche non invasive
Mean + SE
175,229 ± 59,109
16,270 ± 9,864
8,689 ± 1,091
247,403 ± 51,574
42,754 ± 21,906
0,714 ± 0,199
0,339 ± 0,070
Esotiche invasive
Mean + SE
52,1± 13,571
2,089 ± 1,177
14,253 ± 1,487
265,493 ± 42,377
10,746 ± 3,482
1,699 ± 1,391
0,350 ± 0,061
t
Sig.(2-tailed)
2,03
1,43
-3,02
-0,27
1,44
-0,70
-0,11
0,0651 n.s.
0,1789 n.s.
0,011 *
0,7910 n.s.
0,1746 n.s.
0,4969 n.s.
0,9113 n.s.
b)
Fig. 3.9 - Risultati dei test statistici
relativi al confronto tra i plant traits
delle specie esotiche non invasive e
le esotiche invasive. a) risultati
relativi a t-Test per i caratteri
quantitativi; b) grafico della media
± SE dello SLA per la componente
esotica non invasiva e esotica
invasiva. La significatività è
indicata da * 0.05 > P > 0.01, **0.01 >
P > 0.001, ***0.001>P>0.0001, ****P <
0.0001.
SLA
Media +/- 2SE
20
Plant traits
Forma biologica
Tipo di dispersione
Periodo fioritura
Clonalità
Forma di crescita
Fenologia fogliare
Durata di vita
Tessitura fogliare
Modalità impollinazione
4,5
2,4
4,0
2,2
3,5
3,0
2,5
2,0
1,5
1
Mean +- 2 SE Fenologia fogliare
2
Mean +- 2 SE Inizio fioritura
3
5
esotiche non invasive
5
4
10
0
Fig. 3.10 - Risultati dei test statistici
relativi al confronto tra i plant traits delle
specie esotiche non invasive e le esotiche
invasive. a) risultati relativi al MannWhitney U Test per i caratteri
quantitativi; b) diagrammi a barre degli
andamenti, per la componente esotica
non invasiva e pequella invasiva relativi
alle variabili qualitative significative:
forma biologica, inizio della fioritura,
fenologia fogliare. La significatività è
indicata da * 0.05 > P > 0.01, **0.01 > P >
0.001, ***0.001>P>0.0001, ****P < 0.0001.
6
15
N=
7
7
Invasi ve
N=
Sig. (2tailed)
8,5
20,5
10,0
17,5
16,5
10,5
14,0
17,5
21,0
0,0346 *
0,5780 n.s.
0,045 *
0,2980 n.s.
0,2930 n.s.
0,0374 *
0,1069 n.s.
0,3467 n.s.
0,5909 n.s.
1,8
1,6
1,4
1,2
1,0
,5
Non invasi ve
MannWhitney U
2,0
1,0
0
esotiche invasive
7
7
,8
N=
Non invasi ve
Invasi ve
150
7
Non invasi ve
7
Invasi ve
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
Da questi test è emerso che solo per il gruppo 1, quello delle specie annuali, sono risultate
differenze significative tra le due componenti (Fig. 3.11).
a)
Plant traits
Gruppo 1
Altezza pianta
Peso seme
SLA
LDMC
Area fogliare
Spessore fogliare
Forma del seme
Native
Esotiche
Mean + SE
Mean + SE
12,432 ± 2,886
58,420 ± 15,749
2,374 ± 0,733
16,006 ± 14,317
12,907 ± 1,683
15,208 ± 1,824
285,526 ± 80,069 275,136 ± 34,664
1,773 ± 0,485
30,888 ± 23,693
0,604 ± 0,158
0,328 ± 0,055
0,282 ± 0,064
0,452 ± 0,061
t
Sig.(2-tailed)
-4,16
-1,47
-0,82
0,08
-1,90
1,14
-1,62
0,00096 ***
0,1646 n.s.
0,4255 n.s.
0,9339 n.s.
0,0777 n.s.
0,2733 n.s.
0,1276 n.s.
Altezza della pianta
b)
Media +/- 2SE
100
80
60
40
20
0
native
esotiche
5
Forma biologica
Tipo di dispersione
Periodo fioritura
Clonalità
Forma di crescita
Fenologia fogliare
Durata di vita
Tessitura fogliare
Modalità impollinazione
MannWhitney U
Mean +- 2 SE Inizio fioritura
Plant traits
Gruppo 1
27,5
24,5
2,5
27,5
9,5
27,5
27,5
21,5
26,5
Sig. (2tailed)
1
0,7110 n.s.
0,0013 **
1
0,0267 *
1
1
0,4602 n.s.
0,8927 n.s.
4
3
2
1
0
N=
11
Native
Forma di crescita
Fig. 3.11 - Risultati dei test statistici relativi al
confronto tra i plant traits delle specie native ed
esotiche all‟interno del gruppo funzionale 1. a)
risultati relativi a t-Test per i caratteri
quantitativi; b) grafico della media e SE
dell‟altezza della pianta per le specie native ed
esotiche del gruppo 1.; c) risultati relativi al
Mann Whitney U Test per i caratteri qualitativi.
d) differenza del periodo di fioritura (in alto) e
della forma di crescita (in basso) tra le due
componenti all‟interno del gruppo funzionale 1.
Mean +- 2 SE
c)
5
Esotiche
3,5
3,0
2,5
2,0
1,5
1,0
N=
11
Native
151
5
Esotiche
d)
Parte 3
Come si vede dalle tabelle, infatti, per il gruppo 2 e il gruppo 3 nessun carattere né di tipo
quantitativo, né qualitativo è risultato significativo (Fig. 3.12a-b). Il gruppo 1 evidenzia
differenze funzionali tra le specie native ed esotiche che si manifestano nella variabile
quantitativa dell‟altezza, con valori più elevati per le specie esotica, nella forma di crescita,
con forme di crescita più sviluppate per le specie esotiche e, come in precedenza, nell‟inizio
della fioritura, con le specie esotiche più tardive rispetto alle native (Fig. 3.11 a-d).
Plant traits
Gruppo 2
Altezza pianta
Peso seme
SLA
LDMC
Area fogliare
Spessore fogliare
Forma del seme
a)
Native
Esotiche
Mean + SE
Mean + SE
35,561 ± 9,236
92,30 ± 59,631
16,569 ± 7,852
1,716 ± 1,051
8,812 ± 1,357
10,847 ± 1,028
252,469 ± 38,685 196,985 ± 53,193
28,731 ± 12,794 30,843 ± 19,964
1,102 ± 0,385
2,285 ± 1,569
0,349 ± 0,061
0,299 ± 0,077
Plant traits
Native
Esotiche
Mean + SE
Mean + SE
Gruppo 3
Altezza pianta
153,843 ± 29,129
248,467 ± 62,440
Peso seme
291,263 ± 267,014
12,727 ± 4,298
SLA
8,174 ± 0,994
6,490 ± 1,031
LDMC
405,916 ± 40,185 1344,227 ± 74,487
Area fogliare
5,391 ± 1,601
11,667 ± 5,753
Spessore fogliare
0,519 ± 0,022
0,513 ± 0,134
Forma del seme
0,240 ± 0,074
0,257 ± 0,052
b)
Plant traits
Gruppo 2
MannSig. (2-tailed)
Whitney U
Forma biologica
24,0
0,707 n.s.
Tipo di dispersione
25,5
0,851 n.s.
Periodo fioritura
22,0
0,537 n.s.
Clonalità
22,5
0,490 n.s.
Forma di crescita
12,5
0,069 n.s.
Fenologia fogliare
19,5
0,280 n.s.
Durata di vita
27,0
1 n.s.
Tessitura fogliare
Modalità impollinazione
23,5
24,0
0,657 n.s.
0,645 n.s.
t
Sig.(2-tailed)
-1,22
1,52
-1,09
0,86
-0,09
-0,88
0,51
0,2453 n.s.
0,1526 n.s.
0,2973 n.s.
0,4028 n.s.
0,9267 n.s.
0,3945 n.s.
0,6196 n.s.
t
Sig.(2-tailed)
-1,60
0,66
1,00
0,80
-1,47
0,06
-0,14
0,149 n.s.
0,528 n.s.
0,347 n.s.
0,449 n.s.
0,180 n.s.
0,954 n.s.
0,894 n.s.
Plant traits
Gruppo 3
Forma biologica
Tipo di dispersione
Periodo fioritura
Clonalità
Forma di crescita
Fenologia fogliare
Durata di vita
Tessitura fogliare
Modalità impollinazione
MannWhitney U
Sig. (2-tailed)
10,5
8,5
8,5
7
10,5
10,5
10,5
9
9,5
1 n.s.
0,513 n.s.
0,513 n.s.
0,127 n.s.
1 n.s.
1 n.s.
1 n.s.
0,626 n.s.
0,789 n.s.
Fig. 3.12 - Risultati dei test statistici relativi al confronto tra i plant traits delle specie native ed esotiche
all‟interno del gruppo funzionale 2 e 3. a) risultati relativi a t-Test per i caratteri quantitativi; b) risultati
relativi al Mann Whitney U Test per i caratteri qualitativi.
In seguito, sono stati ripetuti i test statistici di confronto tra le specie native e le specie
esotiche invasive all‟interno di ciascun gruppo funzionale. I test hanno riguardato solamente
i primi due gruppi poiché il terzo include solo tre esotiche, di cui nessuna invasiva. Per il
gruppo 2 continua a non essere significativo nessun carattere né quantitativo né qualitativo,
anche restringendo l‟analisi alla sola componente esotica invasiva (Fig. 3.14). Per quanto
riguarda, invece, il gruppo delle annuali, è risultata nuovamente significativa l‟altezza, con
152
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
valori più elevati per le specie esotiche invasive rispetto alle native (Fig. 3.13 a-b); anche un
altro carattere quantitativo è significativo, l‟area fogliare, con le invasive che presentano aree
fogliari più grandi rispetto alle native (Fig. 3.13 a-b).
Plant traits
Gruppo 1
Altezza pianta
Peso seme
SLA
LDMC
Area fogliare
Spessore fogliare
Forma del seme
a)
Native
Mean + SE
12,432 ± 2,886
2,374 ± 0,733
12,907 ± 1,683
285,526 ± 80,069
1,773 ± 0,485
0,604 ± 0,158
0,282 ± 0,064
Esotiche invasive
Mean + SE
56,6 ± 20,195
1,743 ± 1,603
16,170 ± 2,00
294,898 ± 36,767
7,310 ± 3,01
0,283 ± 0,04
0,443 ± 0,078
t
Sig.(2-tailed)
-3,58
0,41
-1,06
-0,07
-2,95
1,19
-1,36
0,0034 **
0,6877 n.s.
0,3073 n.s.
0,9467 n.s.
0,0113 *
0,2548 n.s.
0,1959 n.s.
b)
Area fogliare
120
14
100
12
Media +/- 2SE
Media +/- 2SE
Altezza della pianta
80
60
40
10
20
6
4
2
0
0
MannWhitney U
22,0
17,5
2,0
22,0
5,5
22,0
22,0
16,5
17,5
Inizio fioritura
Plant traits
Gruppo 1
Forma biologica
Tipo di dispersione
Periodo fioritura
Clonalità
Forma di crescita
Fenologia fogliare
Durata di vita
Tessitura fogliare
Modalità impollinazione
native
esotiche invasive
Mean +- 2 SD
native
Sig. (2tailed)
1 n.s.
0,5177 n.s.
0,0026 **
1 n.s.
0,0205 *
1 n.s.
1 n.s.
0,4399 n.s.
0,4897 n.s.
esotiche invasive
5
4
3
2
1
0
-1
N=
Fig. 3.13 - Risultati dei test statistici relativi al
confronto tra i plant traits delle specie native ed
esotiche invasive all‟interno del gruppo
funzionale 1. a) risultati relativi a t-Test per i
caratteri quantitativi; b) grafico della media e SE
dell‟altezza della pianta e dell‟area fogliare per
le specie native ed esotiche invasive del gruppo
1.; c) risultati relativi al Mann Whitney U Test
per i caratteri qualitativi, d) differenza del
periodo di fioritura (in alto) e della forma di
crescita (in basso) tra le due componenti
all‟interno del gruppo funzionale 1.
Mean +- 2 SD Forma di crescita
c)
8
153
11
4
Nati ve
Invasi ve
4
3
2
1
0
N=
11
4
Nati ve
Invasi ve
d)
Parte 3
a)
b)
Plant traits
Gruppo 2
Altezza pianta
Peso seme
SLA
LDMC
Area fogliare
Spessore fogliare
Forma del seme
Plant traits
Gruppo 2
Native
Mean + SE
35,561 ± 9,236
16,569 ± 7,852
8,812 ± 1,357
252,469 ± 38,685
28,731 ± 12,794
1,102 ± 0,385
0,349 ± 0,061
MannWhitney U
Esotiche invasive
Mean + SE
46,10 ± 21,023
2,550 ± 2,090
11,697 ± 1,325
226,287 ± 92,315
15,327 ± 6,960
3,587 ± 3,227
0,227 ± 0,019
Sig. (2-tailed)
Forma biologica
13,5
1 n.s.
Tipo di dispersione
11,0
0,6224 n.s.
Periodo fioritura
7,5
0,2482 n.s.
Clonalità
13,5
1 n.s.
Forma di crescita
4,5
0,0739 n.s.
Fenologia fogliare
12,0
0,7462 n.s.
Durata di vita
13,5
1 n.s.
Tessitura fogliare
Modalità impollinazione
12,0
12,0
0,7676 n.s.
0,7125 n.s.
t
Sig.(2-tailed)
-0,68
1,00
-1,14
0,31
0,58
-1,38
1,12
0,5090 n.s.
0,3431 n.s.
0,2793 n.s.
0,7618 n.s.
0,5757 n.s.
0,1982 n.s.
0,2889 n.s.
Fig. 3.14 - Risultati dei test
statistici relativi al confronto tra
i plant traits delle specie native
ed esotiche invasive all‟interno
del gruppo funzionale 2. a)
risultati relativi a t-Test per i
caratteri quantitativi; b) risultati
relativi al Mann Whitney U Test
per i caratteri qualitativi.
5.7 Si possono individuare delle differenze a livello di plant traits lungo il
gradiente mare-terra, per le specie di avanduna, di duna di transizione e di duna
fissa?
Un‟ultima analisi statistica ha visto il confronto tra i caratteri morfologico-funzionalis delle
specie esotiche e native in base alla loro disposizione lungo il gradiente mare-terra. Le 41
specie dunali selezionate, quindi, sono state attribuite ad una delle tre principali fasce
costiere: avanduna, duna di transizione e duna fissa. In seguito sono stati effettuati test
statistici di confronto tra la componente nativa ed esotica per le specie di ciascuna di queste
fasce dunali, tranne per la duna fissa, essendo le specie attribuite a questa fascia tutte
comprese nel gruppo 3, i cui risultati sono stati già analizzati. Dai tests è emerso che per le
specie dell‟avanduna nessun carattere è risultato significativo tra le specie native ed esotiche
(Fig. 3.15 a-b), mentre sono emerse differenze significative per le specie che occupano la
duna di transizione (Fig. 3.16 a-c). Dalle tabelle si nota, infatti, che sono risultati significativi
l‟inizio della fioritura e la forma di crescita: anche qui le specie esotiche presentano forme di
crescita più sviluppate e una fioritura più tardiva rispetto alle specie native (Fig. 3.16 a-c).
154
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
Plant traits
Avanduna
Altezza pianta
Peso seme
SLA
LDMC
Area fogliare
Spessore fogliare
Forma del seme
Native
Mean + SE
27,864 ± 8,221
14,552 ± 6,497
8,282 ± 0,846
229,049 ± 37,622
23,828 ± 10,868
1,183 ± 0,317
0,332 ± 0,052
b)
Fig. 3.14 - Risultati dei test
statistici relativi al confronto
tra i plant traits delle specie
native ed esotiche per la fascia
avandunale. a) Risultati relativi a t-Test per i caratteri
quantitativi; b) risultati relativi
al Mann Whitney U Test per i
caratteri qualitativi.
Plant traits
Duna di transizione
Native
Mean + SE
12,550 ± 3,106
1,044 ± 0,266
14,004 ± 2,086
328,482 ± 104,955
1,783 ± 0,405
0,409 ± 0,094
0,321 ± 0,080
Sig. (2-tailed)
Forma biologica
20,5
0,2646 n.s.
Tipo di dispersione
19,5
0,2385 n.s.
Periodo fioritura
0
0,0003 ***
Clonalità
20
0,1167 n.s.
Sig.(2-tailed)
-0,10
-0,15
-2,05
1,17
-0,46
-1,21
0,28
0,920 n.s.
0,881 n.s.
0,059 n.s.
0,261 n.s.
0,654 n.s.
0,245 n.s.
0,781 n.s.
Sig. (2tailed)
19
19,5
26
20,5
12,5
23,5
25,5
25,5
24
0,319 n.s.
0,335 n.s.
0,860 n.s.
0,345 n.s.
0,074 n.s.
0,602 n.s.
0,763 n.s.
0,793 n.s.
0,622 n.s.
Esotiche
Mean + SE
102,971 ± 48,777
1,367 ± 0,913
13,050 ± 1,858
277,571 ± 29,424
25,076 ± 17,390
0,412 ± 0,139
0,430 ± 0,060
MannWhitney U
Inizio fioritura
b)
Plant traits
Duna di transizione
Altezza pianta
Peso seme
SLA
LDMC
Area fogliare
Spessore fogliare
Forma del seme
t
Mann-Whitney
U
Forma biologica
Tipo di dispersione
Periodo fioritura
Clonalità
Forma di crescita
Fenologia fogliare
Durata di vita
Tessitura fogliare
Modalità impollinazione
Mean +- 2 SE
a)
Esotiche
Mean + SE
29,280 ± 9,576
16,598 ± 14,162
11,344 ± 1,192
152,484 ± 50,074
34,012 ± 23,251
2,736 ± 1,841
0,305 ± 0,080
Plant traits
Avanduna
t
Sig.(2-tailed)
-1,99
-0,36
0,34
0,44
-1,44
-0,02
-1,06
0,068 n.s.
0,724 n.s.
0,741 n.s.
0,668 n.s.
0,174 n.s.
0,984 n.s.
0,310 n.s.
4,5
4,0
3,5
3,0
2,5
Forma di crescita
10,5
0,0338 *
Fenologia fogliare
16
0,0455 n.s.
Durata di vita
19,5
0,2000 n.s.
1,5
Tessitura fogliare
Modalità impollinazione
25,5
22
0,7482 n.s.
0,4142 n.s.
1,0
2,0
,5
N=
8
7
Nati ve
Esotiche
4,0
Fig. 3.16 - Risultati dei test statistici relativi al
confronto tra i plant traits delle specie native ed
esotiche per la duna di transizione. a) Risultati
relativi a t-Test per i caratteri quantitativi; b)
risultati relativi al Mann Whitney U Test per i
caratteri qualitativi. c) Differenza del periodo di
fioritura (in alto) e della forma di crescita (in
basso) tra le specie native ed esotiche della duna
di transizione.
Mean +- 2 SE Forma di crescita
a)
3,5
3,0
2,5
2,0
1,5
1,0
N=
155
8
7
Nati ve
Esotiche
Parte 3
6. DISCUSSIONI
6.1 LA DIVERSITÀ FUNZIONALE DEGLI AMBIENTI DUNALI COSTIERI
DELL’ITALIA CENTRALE
I risultati ottenuti hanno permesso di individuare tre principali gruppi funzionali (o Plant
Functional Types) delle specie native ed esotiche che crescono sulle coste sabbiose dell‟Italia
centrale. Infatti, dai test statistici è emerso che tutte le variabili qualitative sono significative
tra i gruppi funzionali individuati indicando la presenza piuttosto netta di tre distinte
strategie; inoltre, sebbene siano risultate significative solo due variabili quantitative, si tratta
di due plan traits fondamentali per comprendere il comportamento funzionale delle specie
vegetali, l‟area fogliare specifica (SLA) e l‟altezza della pianta (Westoby 1998). Possiamo dire,
inoltre, che i tre gruppi individuati adottano tre differenti strategie di sopravvivenza e di
allocazione delle risorse in risposta al forte gradiente ecologico che si estende dal mare verso
l‟entroterra. Infatti, sull‟asse 1 della dell‟ordinamento (MCA), dai valori più elevati a quelli
più bassi, si osserva che la disposizione dei tre gruppi funzionali corrisponde pressappoco
alla disposizione delle tipologie vegetazionali che si sviluppano dal mare verso l‟interno. In
realtà, nel primo gruppo sono comprese, come già detto, sia le specie annuali delle fascia
pionera (cakileto), sia quelle dei pratelli retrodunali che si sviluppano nella duna di
transizione. Queste specie, sono tutte terofite e sono caratterizzate dall‟utilizzare le risorse in
breve tempo piuttosto che immagazzinarle. Le specie del secondo gruppo, invece, che
coincidono con quelle della duna embrionale e mobile, sono più propense ad accumulare le
risorse, piuttosto che a consumarle rapidamente. Infine, il terzo gruppo è costituito
esclusivamente dalle specie della duna fissa (macchia mediterranea), che, crescendo in una
zona più riparata, tendono ad investire in fitomassa e in strutture protettive.
I tre gruppi funzionali individuati sono espressioni di tre strategie, che possono essere
definite secondo la classificazione di Grime (1977;2001) molto semplicemente come un
continuum R (ruderali) – S (stress-tolleranti) - C (competitive) oppure utilizzando la
classificazione di Bolker & Pacala (1999) in relazione alla loro occupazione spaziale, come
colonization, exploitation, e tolerance (Poiters et al. 2007). Le specie annuali potremmo
includerle nel gruppo delle colonizzatrici (le ruderali secondo Grime), grazie alla loro
capacità di occupare aree vuote e disturbate mediante una produzione talvolta copiosa di
semi dispersi dal vento. Le specie perenni avandunali potremmo includerle tra le specie che
sfruttano le risorse, investendo molto in organi di riserva e occupando lo spazio in modo
molto efficace grazie alla riproduzione vegetativa. Infine, le specie perenni retrodunali
rappresenterebbero il gruppo delle tolleranti, o comunque delle specie che investono molto
in difese e quindi sono altamente competitive. La presenza di queste tre distinte strategie
delle specie dunali è stata osservata anche nel lavoro di García-Mora et al. (1999), uno dei
pochi lavori che ha riguardato la diversità funzionale degli ambienti costieri. Tuttavia,
156
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
questo lavoro, relativo alle dune della Spagna SW, ha preso in esame solo le specie erbacee
dell‟avanduna e della duna di transizione; non venivano considerate le specie della duna
fissa. A differenza dei nostri risultati, nel lavoro di García-Mora et al. (1999), le specie
annuali sono contenute in due gruppi distinti. Infatti, specie della fascia alonitrofila in
prossimità del mare (Cakile maritima, Salsola kali) sono comprese nello stesso PFT delle specie
perenni edificatrici della duna (Ammophila, Elymus,..) per la loro capacità di rispondere
all‟insabbiamento e alla salinità (foglie carnose) e a disperdersi mediante l‟acqua (idrocoria);
mentre, le altre specie annuali, quelle della duna di transizione, formano un gruppo distinto
e sono caratterizzate per l‟assenza di adattamenti specifici alla salinità, all‟insabbiamento e
agli altri stress tipici dell‟ambiente dunale (García-Mora et al. 1999). Nel nostro caso non è
stata osservata una duplice strategia delle specie annuali e probabilmente i caratteri
morfologici legati alla forma di vita, alla forma biologica, hanno pesato maggiormente
nell‟elaborazione, rispetto agli altri caratteri come quelli rigenerativi (es. dispersione del
seme). Future elaborazioni potrebbero prende in considerazione solo la componente annuale
ed evidenziane le due differenti strategie. Per quanto riguarda la componente perenne
avandunale, invece, le specie incluse nel gruppo funzionale 2 individuato nella nostra ricerca
(come Elymus farctus, Ammophila arenaria, ma anche Arundo donax e Carpobrotus ssp.),
presentano, come per i gruppi funzionali determinati da García-Mora et al. (1999),
adattamenti all‟insabbiamento, alla salinità, alla siccità, e all‟aerosol marino.
La nostra analisi sulle strategie delle specie dunali, comunque, sarà approfondita nella
parte quarta in cui si prenderanno in considerazione anche le specie delle dune atlantiche.
6.2 GRUPPI FUNZIONALI E SPECIE ESOTICHE
La prima domanda che ci siamo posti dopo aver individuato i tipi funzionali delle coste
sabbiose dell‟ecosistema costiero esaminato, era se le specie esotiche condividessero le
strategie delle specie native o formassero un gruppo funzionale (PFT) distinto. I risultati
hanno chiaramente confermato la prima ipotersi: le esotiche sono state osservate in tutti e tre
i gruppi funzionali. Esse, quindi, non presentano strategie proprie distinte da quelle delle
native, ma condividono le loro stesse strategie mostrando un‟elevata plasticità che è, tra
l‟altro, considerata come uno degli elementi tipici dell‟invasività. Le specie esotiche sono
state osservate tra le annuali, tra le perenni avandunali e tra le specie della macchia
mediterranea. A questo punto andando ad analizzare il loro status di invasività, è stato
osservato che le specie invasive sono presenti solo nel gruppo funzionale 1 e nel gruppo 2;
nel gruppo 3, che comprende le specie della macchia mediterranea, sono state osservate solo
esotiche naturalizzate o coltivate (es. Acacia saligna, Cupressus semprervirens). Questi risultati,
tra l‟altro vanno a confermare in parte, quelli ottenuti in un nostro precedente lavoro (Acosta
et al. 2006), in cui veniva considerato un numero più elevato di specie dunali, native ed
esotiche (183), e analizzato un numero minore di plant traits (9), con dati ottenuti
157
Parte 3
esclusicamente da fonti bibliografiche. In questo caso venivano individuati 4 tipi funzionali:
due per le specie annuali (I-II), distinti essenzialmente in base alla tessitura fogliare e alla
modalità di impollinazione; il gruppo delle specie perenni clonali (III), e poi un gruppo di
specie perenni avandunali e retrodunali tra cui il sottogruppo di specie della macchia
mediterranea (IV) (Fig. 3.17).
Fig. 3.17 - I quattro gruppi
funzionali definiti nel lavoro di
Acosta et al. 2006.I puntini neri
rappresentano
le
specie
autoctone;
i
simboli
rossi
indicano le esotiche invasive,
quelli blu le naturalizzate e
quelli gialli le casuali. I puntini
vuoti indicano le esotiche dubbie
(da Acosta et al. 2006 mod.).
Le specie esotiche invasive e causali erano state osservate in tutti i tre i gruppi
(considerando quello delle annuali come un solo gruppo), corrispondenti alle tre strategie
prima esaminate; mentre si osservò che le specie naturalizzate erano presenti soprattutto
nelle comunità retrodunali e in particolare in quelle della macchia mediterranea. La presenza
di un numero basso di esotiche nelle comunità legnose retrodunali (essenzialmente elementi
naturalizzati o coltivati) e la maggiore presenza nella comunità avandunali e in particolare
nella duna di transizione di elementi esotici spesso invasivi è stato dimostrato in recenti
lavori (Acosta et al. 2007b; Santoro 2007). Si è ipotizzato che, nelle comunità dove i “filtri
ambientali” (sensu Keddy 1992; Díaz et al. 1999), abiotici e biotici, sono più intensi, le specie
esotiche che vi giungono hanno meno facilità ad insediarsi, nelle comunità dove invece
questi filtri sono meno intensi, vi è una maggiore facilità per le esotiche ad entrare a far parte
dell‟assemblaggio della comunità. Quindi, le specie che crescono nelle aree più vicine al
mare (avanduna) sono soggette ad intensi stress ambientali che fungono da filtro per la
maggior parte delle esotiche che vi giungono. Le comunità delle dune fisse (macchia
mediterrane), invece, pur non essendo soggette a stress ambientali così intensi, sono
caratterizzati da una maggiore competizione per le risorse tra le specie, e quindi da filtri di
tipo “biotico”, che potrebbero funzionare da filtro ambientale (Santoro 2007). Inoltre essendo
158
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
la macchia mediterranea una comunità matura essa è particolarmente resistente alle
invasioni esotiche a causa dell‟elevata percentuale di stabilità a differenza degli stadi
successionali iniziali o degli ambienti aperti e disturbati. Le comunità che colonizzano la
duna di transizione presentano caratteristiche intermedie, cioè un‟attenuazione dei filtri
abiotici rispetto alle comunità avandunali, ma anche una un‟attenuazione dei filtri biotici
rispetto a quelle della macchia mediterranea; ciò fa sì che in presenza di disturbi antropici si
creino nicchie ecologiche vacanti, che le rendono vulnerabili alle invasioni biologiche. Una
nutrita presenza di elementi esotici, in particolare invasivi, nella duna di transizione, quindi,
potrebbe essere l‟equivalente spaziale della teoria che individua negli ambienti “mesici” la
presenza di una maggiore invasività. Le specie esotiche invasive che riescono ad occupare
l‟avanduna, come il Carpobrotus ssp., la cui presenza è molto elevata anche nella duna di
transizione (Santoro 2007), sono specie che influenzano fortemente il funzionamento
dell‟ecosistema, riuscendo ad occupare nicchie lasciate vuote dalle native grazie alla loro
capacità di tollerare l‟insabbiamento e l‟instabilità del substrato, di adattarsi alla siccità e alle
elevate temperature, e di riprodursi efficacemente per via vegetativa andando ad occupare
aree molto estese. Indagini future, quindi, potrebbero prevedere studi più approfonditi a
livello di comunità, considerando anche i dati relativi ai principali “filtri ambientali” delle
dune costiere.
6.3 ESISTONO DEI CARATTERI TIPICI DELLE SPECIE ESOTICHE O
ASSOCIATI ALL’INVASIVENESS?
Dopo aver individuato i tipi funzionali delle specie dunali e averne indicato le principali
caratteristiche, la nostra analisi si è spostata a considerare i confronti native/esotiche,
native/esotiche invasive e esotiche non invasive/invasive, secondo l‟approccio target-area. I
dati andavano a confermare i risultati dell‟analisi multivariata in quanto sono stati osservati
pochi caratteri (in alcuni casi nessuno) significativamente differenti tra la componente nativa
ed esotica complessiva, e per quella inclusa in ciascun gruppo funzionale o comunità della
fascia dunale, a dimostrazione della straordinaria somiglianza di strategie tra le specie native
e quelle esotiche.
Tuttavia i confronti statistici hanno evidenziato la presenza di caratteri, seppur poco
numerosi, particolarmente distintivi delle specie esotiche ed in particolare di quelle invasive.
Si tratta dei seguenti plant traits:
1) Inizio della fioritura: è risultato significativo in tutti i confronti statistici considerati e il
solo, nel nostro studio, a distinguere la componente nativa da quella esotica
complessiva;
2) Area fogliare specifica (SLA): distingue la componente nativa da quella esotica
invasiva e anche la componente esotica non invasiva da quella invasiva;
159
Parte 3
3) Forma biologica e fenologia fogliare: distinguono la componente esotica invasiva da
quella invasiva.
4) Altezza della pianta: distingue la componente nativa da quella esotica invasiva e non
invasiva relativamente al gruppo funzionale 1.
Dai test statistici si è rilevato che le specie esotiche invasive degli ambienti costieri sabbiosi
dell‟Italia centrale fioriscono più tardivamente e presentano elevati valori di SLA. Inoltre, dal
confronto tra i plant traits delle specie esotiche invasive con quelle non invasive, è emerso
che, rispetto alla componente non invasiva, quella invasiva è costituita essenzialmente da
terofite, quindi da specie annuali (es. Erigeron ssp.). In realtà ulteriori indagini che stiamo
effettuando, stanno valutando il ruolo fortemente invasivo della componente perenne
rappresentata oltre che dal Carpobrotus ssp. anche da Agave americana di cui stiamo
analizzando i caratteri morfologico-funzionali. In ogni modo, sebbene la forma biologica sia
un carattere molto comune e di cui si dispongono molte informazioni, non sembra essere un
carattere particolarmente collegato all‟invasività (Pyšek & Richardson 2007). Di solito si è
osservato che le specie che diventano invasive presentano un ampio spettro di forme
biologiche. Secondo Pyšek & Richardson (2007), infatti, all‟interno delle esotiche il ruolo
della forma di vita sembra essere stage-specifica ed habitat specifica: le annuali sono favorite
in termini di arrivo precedente, ma l‟invasività sembra associata alla forma di vita perenne;
inoltre, le terofite sono favorite negli ambienti disturbati, le emicriptofite in quelli
seminaturali.
I risultati ottenuti, comunque, sono particolarmente interessanti in quanto trovano
conferma in letteratura, per studi che hanno riguardato ambienti e specie differenti da quelli
dunali. Infatti, relativamente al periodo di fioritura, sebbene diversi confronti tra la
componente esotica e nativa (Williamson & Fitter 1996) non abbiamo dimostrato significative
differenze, altri studi (es. Lake & Leishman 2004), hanno chiaramente dimostrato che è
vantaggioso, per una specie esotica, fiorire per un periodo più esteso rispetto alle native; altri
studi hanno rilevato che le specie europee che invadono il Canada fioriscono per un periodo
di tempo più lungo rispetto ai cogeneri non invasivi (Goodwin et al. 1999) e che le specie
esotiche sulle isole del Mediterraneo che fioriscono in estate e per un periodo più lungo, sono
quelle più abbondanti (Lloret et al. 2005). A differenza dei lavori sopra citati, il nostro studio
non ha considerato la durata della fioritura, ma si è soffermato sull‟inizio di questa: le specie
esotiche (in particolare quelle invasive) iniziano a fiorire più tardivamente. Questo
comportamento che trova una certa somiglianza con i risultati relativi al pattern di fioritura
per la flora britannica di Crawley et al. 1996, in cui è emerso che le specie esotiche fioriscono
o più precocemente o più tardivamente rispetto a quelle native, sostenendo così il concetto
“aliens try harder” suggerito dagli stessi autori. Ma il comportamento tardivo delle specie
esotiche è stato evidenziato anche nel lavoro di Viegi (2001) in cui sono stati considerati gli
aspetti riproduttivi delle specie esotiche dell‟Italia e in quello di Celesti-Grapow et al. (2003),
160
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
per le specie della flora di Roma. In entrambi i lavori, come nel nostro, si è osservato che le
specie native, germogliano preferibilmente in primavera, la stagione di fioritura tipica della
flora Mediterranea. Le specie native, quindi, fioriscono, prima dell‟inizio della stagione secca.
Per le specie esotiche, invece, è stata osservata, una fioritura più tardiva e concentrata
durante e dopo la secca stagione estiva mediterranea (es. Erigeron ssp., Xanthium sp.,
Oenothera sp.). Una possibile spiegazione di questo diverso comportamento relativo alla
fioritura delle specie dunali analizzate, potrebbe essere relazionata alla competizione con le
piante locali: una separazione temporale della nicchia potrebbe essere un meccanismo per
evitare la competizione con la vegetazione nativa (Viegi 2001). Infatti, secondo vari autori,
diversi pattern fenologici, come la differenziazione nel tempo di fioritura, possono facilitare
l‟insediamento delle specie esotiche; la strategia di svilupparsi e/o fiorire quando tali specie
sono già scomparse potrebbe essere, quindi, un vantaggio nei processi di invasione.
Nel nostro caso, una spiegazione più interessante prende piega se noi osserviamo i risultati
dei confronti native/esotiche (e anche il confronto invasive e non) all‟interno di ciascun
gruppo funzionale e per ciascuna fascia dunale (avanduna, duna di transizione e duna fissa).
Quello che emerge è che questa separazione temporale nella fioritura interessa la
componente annuale (gruppo funzionale 1), ed, in particolare quella che occupa la duna di
transizione. In questa fascia, si sviluppano pratelli di specie annuali costituiti peraltro, da
molte specie soggette a minaccia di estinzione. Si tratta di comunità di specie native,
effimere, caratterizzate, a differenza delle esotiche, da una fioritura molto precoce, che a
volte inizia alla fine dell‟inverno (es. Romulea rollii, Clypeola jonthlaspi).
Queste specie
finiscono il loro ciclo vitale all‟inizio ell‟estate, seccandosi e affrontando la stagione secca
sotto forma di semi; è in quel momento, invece, che le specie esotiche invasive annuali o
bienni (Erigeron ssp., Oenothera ssp.) riescono a svilupparsi, a crescere, fiorire e fruttificare.
Possiamo dire, quindi, che le specie esotiche potrebbero occupare una nicchia lasciata
vacante dalle specie annuali native e in questo modo evitare la competizione interspecifica.
Ma in questa particolare fascia del gradiente zonale costiero e, in generale, nel gruppo
funzionale 1 delle annuali, un altro aspetto distingue le esotiche (e le invasive) dalle native:
un forma di crescita più sviluppata che si traduce anche in valori di altezza più elevati.
L‟altezza della pianta è un altro carattere che molti studi (alcuni anche a livello cogenerico e
quindi “corretti” in termini fitogenetici), ritengono sia associata all‟invasività (Pyšek &
Richardson 2007). Diversi lavori, infatti, hanno dimostrato che le piante esotiche, che
colonizzano e diventano stabili in una nuova area geografica, sono più alte ed hanno un più
elevato ammontare di biomassa rispetto alle piante della stessa specie che crescono nei loro
range nativi (Williamson 1996) Crescendo più alte, dunque, le aliene possono divenire le
specie dominanti nei nuovi habitat, mettendo in ombra le specie native . In questo modo le
piante mostrano un comportamento più competitivo; non solo quindi le specie esotiche
annuali fioriscono più tardivamente, ma proprio grazie alla disponibilità di risorse per
l‟assenza di competitori, possono crescere in maniera più vigorosa. È interessante notare
161
Parte 3
come l‟importanza del periodo di fioritura e dell‟altezza della pianta come caratteri collegati
all‟invasività siano stati osservati anche in altri studi (es. Goodwin et al. 1999).
Tra i caratteri fisiologici che abbiamo considerato in questa ricerca, è risultato
significativamente relazionato all‟invasività il trait dell‟area fogliare specifica (SLA).
L‟importanza di questo trait trova conferma in molti studi sia multispeficici che cogenerici;
l‟area
fogliare
specifica
rappresenta
così
uno
dei
maggiori
indicatori/predittori
dell‟invasiveness. In particolare confrontando i caratteri delle specie native con quelli delle
specie esotiche invasive si è osservato che l‟area fogliare specifica delle specie esotiche
invasive è più elevata rispetto a quella delle specie native. Elevati valori di SLA, infatti, sono
correlati con una breve ritenzione fogliare e con veloci tassi di crescita; le specie, quindi,
evitano di investire biomassa in strutture di lunga durata, condizione questa fondamentale
per avere successo in ambienti disturbati ed eterogenei, come quelli dunali, dove la crescita
rapida è di primaria importanza. Le specie esotiche invasive, così, colonizzano rapidamente
nuove aree, soprattutto in ambienti aperti o disturbati e ricchi di risorse.
Vediamo adesso, brevemente, di dire qualcosa su quei plant traits che non sono risultati
significativi per nessuna analisi, e quindi sono simili nelle due componenti nativa ed esotica.
Un carattere che abbiamo osservato essere caratteristico delle specie perenni avandunali
(Gruppo funzionale 2) è quello relativo alla clonalità. Si tratta di un carattere comune alle
specie native e a quelle esotiche, tra cui le invasive. Tra queste troviamo il Carpobrotus, specie
che è capace anche di una riproduzione per semi grazie alla sua elevata plasticità. Dai
confronti statistici la clonalità non è emersa come un carattere associato all‟invasività, ma
sicuramente rappresenta uno dei traits che incrementano il potenziale invasivo delle specie
che stanno invadendo una nuova area. Secondo Pyšek & Richardson (2007) la clonalità
insieme all‟abilità della vegetazione riproduttiva e una buona crescita laterale, è
positivamente associata con l‟invasività, ma i suoi effetti sono contesto-dipendenti. Infatti, gli
invasori clonali sembrano avere uno svantaggio nella fase iniziale della dispersione, ma, una
volta stabiliti appaiano più resistenti e competitivi e quindi sono capaci di persistere in
maniera migliore rispetto alle esotiche non clonali. Le specie clonali che invadono
l‟avanduna, una volta stabilitisi sono favoriti proprio dai caratteri che contraddistinguono le
specie clonali quali: effettivo sito di occupazione, indipendenza da una impollinazione o
dispersione specializzata, potenziale rigenerazione e una diffusione immediata. La presenza
di specie invasive sia tra le clonali (es. Carpobrotus ssp.) che tra le non clonali (es. Erigeron
ssp.), dimostrata, che entrambe hanno lo stesso successo di invadere presentando strong
points in differenti fasi del processo di invasione; questa differenza di strategie permette sia
alle clonali che alle non clonali di occupare differenti aree della zonazione costiera.
Per quanto riguarda i caratteri riproduttivi, a parte il periodo di fioritura, nessun altro
carattere è risultato significativo nei test statistici, contraddicendo i risultati di molti studi
(multispecifici e co-generici) che considerano quelli riproduttivi come i caratteri più
importanti per l‟invasività. Molti studi hanno collegato l‟invasività all‟entomogamia,cioè
162
Diversità funzionale delle specie dunali costiere
all‟impollinazione per opera di insetti, altri invece all‟ autogamia o all‟anemogama, cioè
sostanzialmente ad una mancanza di specializzazione; altri, al contrario hanno dimostrato
che si tratta di una trait poco determinante nello spiegare il successo dell‟invasione. Il nostro
studio sembra proprio concordare con quest‟ultima affermazione; infatti il trait realtivo al
vettore del polline non è risultato significativo in nessuna analisi effettuata. Sappiamo, però
che è l‟ecologia del seme l‟elemento cruciale in un processo di invasione delle specie esotiche
in nuovi habitat. La produzione di semi è una delle caratteristiche fondamentali associata
con la rarità o con l‟essere comune, quindi con la frequenza di una specie; essa è spesso
riportata tra i caratteri delle “invasore ideale” (Roy 1990). Nel caso di annuali, i semi sono il
solo possibile mezzo di introduzioni in nuove aree geografiche, essi rimangono il principale
propagulo anche per la maggior parte delle esotiche perenni (Roy 1990; Williamson 1996;
Rejmanek 1995). Quindi, studi sulla produzione del seme, germinazione e dispersione
possono contribuire sostanzialmente a comprendere le invasioni biologiche. Nel nostro
studio né i caratteri relativi alla modalità di dispersione né quelli sul peso e la forma del
seme sono risultati significativi tra la componente nativa e quella esotica (invasiva e non
invasiva). Di solito, semi di piccole dimensioni si considerano significativamente correlati
con il successo invasivo (Reimánek et al. 2005a). Nel nostro caso, in realtà, le specie esotiche
invasive presentano sia semi molti piccoli (es. Erigeron ssp.) che più grandi (es. Cenchrus
incertus); e anche la forma è molto varia da sferica (es. Oenothera ssp.) ad allungata (es.
Erigeron ssp.). Altri studi hanno dimostrato che un‟elevata fecondità e un‟efficiente
dispersione dei semi promuovono l‟invasività (Pyšek & Richardson 2007); altri, che la
dispersione per opera di vertebrati (zoocoria) è responsabile del successo di molti invasori
sia negli ambienti disturbati che in quelli non distrurbati, altri infine hanno osservato
l‟importanza della dispersione anemocora nei processi di imvasione. Dai risultati da noi
ottenuti non sono emerse rilevanti differenze tra le specie native e quelle esotiche; in
particolare, le invasive sono risultate sia anemocore (es. Erigeron), che zoocore (es.
Carpobrotus). La difficoltà, molte volte, di individuare nella dispersione un carattere
predittivo sta nel fatto che molto spesso le piante sono effettivamente disperse da molti
fattori (qualcuna parla di almeno due fasi nel processo dispersivo), ciascuno dei quali
efficienti in specifiche circostanze. Un futuro oggetto di studio potrebbe essere quello di
considerare e analizzare il ruolo dell‟uomo anche nel processo dispersivo, quella che viene
definita antropochoria. Molto spesso, infatti, è l‟uomo (intenzionalmente o meno) il più
significativo driver di molte invasioni (Hodkinson & Thompson 1997); tutto ciò ha profonde
implicazioni nella capacità delle specie aliene di diffondersi attraverso paesaggi frammentati
e, ultimamente, nella loro capacità di rispondere ai cambiamenti delle condizioni ambientali.
Si è dimostrato che i caratteri tipicamente associati con la “normale” capacità di dispersione
(massa del seme, morfologia..) sono inappropriati per la previsione di potenziali dinamiche
di diffusione di una specie. Per questo si è formulato il concetto di long-distance dispersal, cioè
di una dispersione che avviene spesso attraverso mezzi di dispersione non standard, e che
163
Parte 3
controlla ultimamente il tasso di diffusione (Higgins et al. 2003). Il concetto di LDD è molto
importante per collegare l‟ecologia delle invasioni ai campi della conservazione biologica
(Richardson & Pyšek 2006). Infatti, situazioni in cui abbiamo valori di LLD limitati indicano
casi di specie rare e quindi conoscere questi valori ci permette di poter attuare un più
corretta gestione di queste specie; inversamente, LLD elevate rappresentano i maggiori driver
delle invasioni biologiche (Trakhtenbrot et al. 2005). Per meglio comprendere i meccanismi
dell‟invasività si potranno considerare questi aspetti e prendere in considerazioni altri
caratteri come la capacità di germinazione, e la longevità e la grandezza della banca semi; si
ritiene, infatti, che la facilità nella germinazione, e la possibilità di creare una banca semi
duratura, permetta alle specie di prolungare la germinazione nel tempo e di aspettare le
condizioni preferenziali, aumentandone l‟invasività. Tra i caratteri fisiologici potrebbero
essere presi in considerazione il tasso di fotosintesi e l‟efficienza nell‟uso dell‟aqua dell‟azoto
e del fosforo, considerati, anch‟essi, fortemente associati all‟invasività.
Da quanto finora affermato emerge una certa difficoltà nel comprendere il complesso
processo di invasione. Non ci sono plant traits tipici di un “invasore”; possono esserci dei
casi più generici, dei caratteri più ricorrenti, ma da soli non bastano per predire il successo
di un‟invasione. Si può dire che ogni singolo processo di invasione sembra essere unico, e
per ogni regola sembra che ci sia sempre una eccezione. Questo è quello che Roy (1990)
definisce: mancanza di regole.
164
PARTE 4
FLORISTIC AND FUNCTIONAL ANALYSIS OF ATLANTIC
AND MEDITERRANEAN COASTAL DUNE SYSTEMS
Le destin géologique singulier du littoral aquitain a permis la formation
de la plus grand côte sableuse d’Europe. Elle a ainsi pu être qualifiée de
“dernière côte sauvage d’Europe”.
(Maizeret 2005)
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
1. INTRODUCTION
1.1 COASTAL DUNES: STRESS AND DISTURBANCE
Coastal dune ecosystems are complex and dynamic, continually changing due to the action
of wind, tides, and waves. Since they are found at almost all latitudes, climatic conditions
and biomes developing on coastal dunes are very diverse, covering ecological habitats,
which range from polar to tropical latitudes (van der Maarel 1993;Martínez et al. 2004a).
Thus, one of the most outstanding features in these ecosystems is their broad distribution
and ecological diversity in terms of geomorphological dimensions, environmental
heterogeneity, and species variability (Martínez et al. 2004). Together with sandy beaches,
dunes form a buffer zone and link between the marine system and the truly terrestrial
stabilised land surfaces (Lubke 1998). Coastal dunes exist along the shores of many water
bodies in the world where waves and currents interact with available sediment and local
vegetation to create combinations of forms and habitats at the water-land interface.
All over the world, the vegetation found in such ecosystems must be able to tolerate a wide
range of environmental features that vary in space and time, including low levels of soil
nutrients and soil moisture, salt spray, sand accumulation (Oosting & Billings 1942; van der
Valk 1974; Barbour et al. 1985; Maun 1993), episodic over-wash and immersion, highly
permeable and abrasive substrate, high air and substrate temperatures, large temperature
fluctuations, intense solar radiation (incident and reflected), drought, high winds, and
substrate mobility (Salisbury 1952; Barbour et al. 1985; Rozema et al. 1985; Lee & Ignaciuk
1985; Clark 1986; Hesp 1991; Kumler 1997; Randall 2004). For this reason, coastal habitats are
often characterized as being “stressful”.
According to Osmond et al. (1987) “the survival of plants in any ecosystem depends on
their physiological reactions to various stresses of the environment”. Grime (1979) defined
stress as: „„ the external constraints which limit the rate of dry matter production of all or part
of the vegetation‟‟. According to this definition, stress causes a deviation from the optimum
conditions (usually a reduction) in variables such as biomass production and reproduction.
Any deviations from the optimum situation would be considered as resulting from stress, in
other words, organisms are continuously living under stress in one form or another (Ievinsh
2006). A similar definition was used by Crawford (1989): „„any environmental factor which
restricts growth and reproduction of an organism or population‟‟. Nevertheless, Grime's
theory has been criticised for numerous reasons, including the definition of stress, which
Grime suggests to be a property of a habitat. The problem is that a low nutrient availability
may be experienced as stress by some plant species while it may be optimal for others (Aikio
2000). While the term has been used mostly to point out that environmental conditions are
outside the optimal range for the majority of the plants, it does not mean that the plants
growing in a coastal zone continuously face stress conditions (Ievinsh 2006). According to
166
Parte 4
Otte (2001), therefore, stress occurs when organisms are exposed to extreme conditions, i.e.
conditions outside the normal range. This view is supported also by Larcher (1991): „„stress is
the exposure to extraordinarily unfavourable conditions‟‟. In contrast to the former one, this
definition does not consider variations from the optimum and sufficient ranges to be
stressful. In fact, according to Maun (2004), small amounts of burial specific to a species do
not cause any stress. Actually, it is beneficial and plants exhibit a stimulation response.
However, above a certain threshold level of burial, specific to each species, it becomes a
stress (Maun 2004). Therefore, instead of using the term “stressful”, coastal habitats can be
characterized as highly “heterogeneous” (Ievinsh 2006). According to Stuefer (1996)
environmental “heterogeneity” may refer to various fundamentally distinct aspects of
environmental variability including scale, contrast, predictability, temporality, spatiality etc.
With respect to coastal habitats it is obvious that spatial and temporal variability of both
resources and abiotic factors should be considered first (Ievinsh 2006). In temperate sand
dunes a patchy distribution of nutrients and water is spatially and temporally variable
(Alpert & Mooney 1996).
Dune environments often are subject to the presence of disturbance factors too. Grime
(1979) defined disturbance as „„the mechanisms, which limit the plant biomass by causing its
partial or total destruction‟‟. Disturbance can be particularly high in coastal foredunes and
includes wind, salt-spray, occasional inundation by seawater and sand movement. The latter
can lead to burial, exposure, or physical damage from sand-blasting (Ripley & Pammenter
2004). Disturbance induced by sand burial (Oosting & Billings 1942; Sykes & Wilson 1991;
Wilson & Sykes 1999) and salt stress (Moreno-Casasola 1986; Maun & Perumal 1999; Dech &
Maun 2005) are the two main direct abiotic factors proposed in the different studies carried
out on the subject as drivers of community zonation (Dech & Maun 2005). Disturbance is also
defined as a stochastic event that directly causes the physical destruction of species in
opposition to stress, which is predictable and rather continuous. According to Forey et al.
(2007) most common stress factors are drought, cold, shade and nutrient deficiency (Grime
1979), whereas examples of disturbance are multiple and include biotic disturbances (e.g.
herbivory) as well as physical and/or anthropogenic disturbances (e.g. flooding, fire,
ploughing or mowing).
1.2 COASTAL DUNES: SEA-INLAND GRADIENT
Coastal sand dunes are dynamic systems of interface between sea and land, characterized
by the presence of gradients of soil mobility (sandy sediments) and salinity (sea spray).
These gradients are responsible for the typical biotope zonation in horizontal layers, parallel
to the coastal line, establishing the so-called “dune vegetation complexes” (Araujo et al.
2002). Therefore, coastal dunes form complex systems as a result of the combined effects of a
steep environmental gradient that develops moving inland from the sea‟s edge, the “sea-
167
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
inland gradient”. Ever since the early studies preformed by Cowles, more than a century ago
(1899), succession on coastal dunes along this gradient has been the focus of much research.
Importantly, the studies by Cowles were seminal for Clements who, almost 20 years later
(1916), proposed the successional theory of plant communities, a key concept in current
ecological theory (Martínez et al. 2004a). A major reason, thus, for interest in coastal
environments is the strong zonation of herbaceous communities resulting from the variation
of the wide set of above-mentioned environmental factors, along the “sea-inland gradient”
(Babour et al. 1985; Houle 1997; Maun & Perumal 1999; Forey et al. 2007). This sea-inland
gradient determines the different vegetation types that occur on coastal dunes, while it is the
complexity of the underlying abiotic pattern and processes, that are responsible for the
diversity of ecosystems found on the dunes (Westoff 1989). Recent studies demonstrate that
local environmental characteristics and heterogeneity affect successional trends (Grootjans et
al. 1997). An array of complex interactions affects the successional process, namely: local
hydrological and topographical conditions, nutrient availability, amount of precipitation,
and freshwater discharge (Grootjans et al. 1991; Houle 1997; Vasquez et al. 1998; Lichter 2000;
Martínez et al. 2001). There is evidence that the rate of vegetation succession is largely
controlled by the productivity of the ecosystem, the decomposition of organic matter, and
the recycling of nutrients within the ecosystem (Koerselman 1992). Moreover, studies on
successional changes on coastal dunes indicate that in addition to local abiotic conditions
such as topography and hydrology biotic interactions are integral to dune system
development (Grootjans et al., 1991; Martínez et al. 2001; Martínez et al. 2004b).
Worldwide similar coastal dune sequences have been described along the beach inland
gradient. Usually, the full sequence of vegetation from pioneer to mature types includes
upper beach, foredune, mobile dune, transition dunes and fixed dune plant communities.
The “standard zonation” is optimally developed in warm-temperate, humid climates and
shores, exposed to ocean tides and winds (Doing 1985). The environmental requirements of
coastal phytocoenoses are very specific, so their position in the phyto-toposequence tends to
be fixed. Detailed long-term studies of foredunes by van der Maarel et al. (1985) and StuderEhrensberger et al. (1993) have shown how particular types of vegetation are related to the
strongly fluctuating environment. On the sea side of the foredune and of the broad sand
plain frequently found farther inland a succession with a set of plants that initially stabilize
the sand begins. The upper beach and foredune are occupied by plants tolerant of salt spray,
strong winds, and sand burial. These sand-tolerant grasses and forbs gradually cover the
sand surface with a dense mat-like layer of vegetation (Wiedemann & Pickart 2004).
Foredune vegetation is dominated by few species which are limited to beaches and coastal
foredunes and which show a wide geographical distribution. These communities tend to be
permanent because of the special adaptations required to grow and thrive. In addition,
because of the interfering and ameliorating effect of the sea on local climate, plant species
tend to be often azonal in their occurrence, having very wide spatial distribution at the
168
Parte 4
species level (van der Maarel et al. 1985; Studer-Ehrensberger et al. 1993). A universal
occurrence of similar species and genera on the upper beach and the active sands of the
foredunes has been observed. There are many examples of geographically vicarious species
within genus, or vicarious genera within a family, occupying similar niches. The most
important genera are: Cakile, Festuca, Vulpia, Ammophila, Silene, Carex and Helichrysum (Doing
1985). Some of the taxa are very consistent in their preference for a certain zone (es. Cakile).
Others, equally occurring in various areas, tend to shift from one zone to another. Fairly
common is a kind of behaviour, which might be called “retraction phenomenon”: a species
(or groups of species) retreats into a more sheltered zone away from its climatic optimum,
where conditions are more extreme in one or more respects (e.g. Eryngium, Calystegia) (Doing
1985). On the foredunes identity is more at the generic level. However, the physiognomy and
vegetation zonation are similar everywhere. Behind the foredune, where stabilization takes
place, there is less similarity. At the semi- stabilized stage (transition dune) of vegetation
development, communities are more heterogeneous depending upon variation in the
microclimates of the site (Wiedemann & Pickart 2004). Finally, on the fixed dune there is
identity with the regional tree flora (Doing 1985). Farther inland, the vegetation varies
depending on the microclimate and local conditions and there is less latitudinal similarity.
So, it has been proposed that plant communities of coastal dunes in various parts of the
world, have much in common at the taxonomic or coenologic level (Doing 1981, 1985), in the
foredune stage, but very little in the back dune stages. The understanding of the concept of
successional sequence and of the interactive processes is of immense value in dynamic
management plans aimed at maintaining the natural dynamics of dune systems.
1.3 COASTAL DUNES: TAXONOMIC AND FUNCTIONAL DIVERSITY
Many studies concerned plant community analysis and the relation of plant communities
with abiotic factors in coastal areas (e.g. Moreno Casasola 1988; Hesp 1991; Grotjans et al.
1991; Géhu & Biondi 1994; Sykes & Wilson 1991; Wilson & Sykes 1999). However, less has
been written on the analysis of properties and on strategies adopted by dune species and
communities (Díaz Barradas et al. 1999; García-Mora et al. 1999); that is, less has been written
about functional diversity of coastal dune ecosystems.
The floristic and coenologic approach is very important to describe an ecosystem and
characterize it, but it is not the proper way to understand and compare processes and
functioning between similar ecosystems in different parts of the world. In fact, there is a
growing consensus, that effects of diversity on ecosystem processes should be attributed to
the functional traits (value and range) of individual species and their interactions (how they
compete directly or indirectly, and how they modify each other‟s biotic and abiotic
environment), rather than to species number per se or floristic composition (Díaz & Cabido
2001). There exists a wealth of literature on the links between diversity and ecosystem
169
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
functioning (Schulze & Mooney 1993; Schwartz et al. 2000; Schläpfer & Schmid 1999), and the
relationships between plant functional “traits” and “types” and ecosystem processes (Wilson
& Agnew 1992; Aerts 1995; Díaz & Cabido 1997; Grime 1998; Díaz et al. 1999; Garnier et al.
2007). Empirical and theoretical support is accumulating for the idea that functional diversity
might affect short-term ecosystem resource dynamics and long-term ecosystem stability
(Díaz & Cabido 2001). Therefore, to understand and, in particular, to compare ecosystem
functioning and processes of different coastal dune ecosystems we have to focus on issues
related to the functional diversity and not only on the taxonomic or coenologic diversity.
Taxonomic analysis, indeed, does not provide much information about ecosystem
functioning for two main reasons: 1) same species in different coastal dune systems don‟t
always exhibit same traits (phenotypic variability); many species differ among coastal
regions and this makes the comparison of distinct ecosystems difficult. The floristic (or
taxonomic) similarity doesn‟t permit us to affirm that there is certainly a functional similarity
as well; and, moreover, we could have a functional similarity between two coastal dune
ecosystems without observing a floristic similarity. It is necessary, therefore, to wonder
whether factors (forces) that determine floristic composition of coastal dune ecosystems are
the same that determine the functional composition of these ecosystems. To understand this
aspect we have to consider the “community assembly rules”, usually defined as generalized
restrictions to coexistence; these determine which components of a species pool will form a
community (Diamond 1975; Drake 1991; Wilson & Gitay 1995).
Most authors (e.g. Drake 1991; Wilson & Gitay 1995) emphasize interactions between
organisms rather than with other selective forces. On the other hand, Keddy (1992) defined
assembly rules in a broader sense, as filters of any kind imposed on the regional species pool
(Díaz et al. 1998). According to Keddy (1992), the best way to visualise assembly rules is a
process of deletion by which the environment acts as a filter for the regional species pool
removing those species (or, more realistically, increasing their probability of being removed)
lacking the adequate trait attributes for persisting under that given set of conditions (Keddy
1992; Díaz et al. 1998). He mentions climatic conditions, disturbance regime and biotic
interactions as examples of filters. Other plant ecologists in community assembly theory
(Grime 1998; Lortie et al. 2004) talk about: chance biogeographical events (e.g. dispersal),
environmental conditions (stress and disturbance) and biotic interactions (e.g. competition,
facilitation and predation) (Michalet et al. 2006; Forey et al. 2007). Woodward & Diament
(1991), although they do not explicitly mention the term assembly rules, consider climate,
disturbance and site productivity as successive filters, which select certain traits and
functions out of the regional species pool. Trait-environment linkages, consistent associations
between sets of plant attributes and certain environmental conditions, irrespective of the
species involved (Keddy 1992) are the consequence of the filtering effect of environmental
conditions (Woodward & Diament 1991; Keddy 1992). Moreover it is known that not all
species, which persist in a community, attain the same abundance. In general, plant
170
Parte 4
communities have a typical structure with a relatively small number of dominant species
which account for a high proportion of the total biomass, and a large number of minor
species that account for a low proportion of the biomass (Whittaker 1965; Grime 1998).
Considering this, and given a regional pool of species, a plant assemblage can be viewed as
the result of two filtering processes that in nature probably act simultaneously. A first-level
filtering process, that determines which species (according to their particular combinations
of trait values) have a greater probability being present under certain conditions and a
second-level filtering process, that determines which of the species present have a greater
probability of becoming dominant (Cingolani et al. 2007).
Climatic, disturbance and interaction filters tend to operate at increasingly finer spatial
scales, with the end result being a non-random local assemblage, which might be a biased
sample of the functional diversity present in the regional species pool (Díaz et al. 1999; Díaz
& Cabido 2001). Examples of the operation of „filters‟ at different scales can be found in the
literature. Following Pickett & White (1985), community patterns may be analysed at four
spatial scales, the patch scale (or neighborhood scale, Naeem et al. 1999), the local scale
(Mittelbach et al. 2001), the regional scale (Pärtel et al. 1996; Loreau et al. 2001; Mittelbach et al.
2001) and the continental scale (Mac Arthur & Wilson 1967). At any particular site, a
hierarchy of filters can be found: only those traits/functions which are viable under the
prevailing climatic conditions, and then under the predominant disturbance regime at
landscape level, have the opportunity to be „filtered out‟ (or not) by the interactions with
other organisms at the local level (Díaz et al. 1998). There is a large consensus on the idea
that biotic interactions are prevalent at the smallest scale (i.e. the patch scale) and chance
biogeographical events at the largest (continental) scale (Zobel 1992; Mittelbach et al. 2001).
The regional pool on which successive filters act is determined by biogeographical and
historical factors, operating at broad spatial and temporal scales. Moreover, it has been
suggested that two different factors act on the species composition and functional
composition respectively: at a given site, species composition is limited by the regional
species pool and dispersal, whereas functional diversity is limited above all by
environmental filters (Díaz & Cabido 2001).
In the case of coastal dune communities, it has been found that the presence of abovementioned strong environmental features such as sand burial, salt spray, high wind speed,
intense radiation, has led to the evolution of certain convergent functional traits in dune
plant species in different continents such as vegetative expansion by rhizomes or root
suckers, production of shoot borne roots, sunken stomata, leaf rolling, ability to withstand
sand blast, and resistance to salt spray (Brown 1997; Maun 1998; Maun & Perumal 1999; van
Zandt et al. 2003; Ievinsh 2006; Yura & Ogura 2006). Thus, coastal plants should have evolved
a variety of adaptations that allow survival, growth, and reproduction under relatively harsh
conditions (Maun 1994).
171
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
Morphologic and physiological functional features can be difficult to measure. For this
reason, a helpful alternative is the use of structural-functional traits, where “trait” is any
characteristic of the plant that may have „functional‟ (or „strategic‟) significance (Weiher et al.
1999; Semenova & van der Maarel 2000; Díaz et al. 2004; Violle et al. 2007). Some simple traits
have been recognized as having a strong impact on plant local persistence (Lavorel et al.
1997; Hodgson et al. 1999; Ackerly 2004; Díaz et al. 2004; Silvertown 2004), and thereby on
community structure, ecosystem processes (Díaz & Cabido 2001; Lavorel & Garnier 2002,
Díaz et al. 2004; Garnier et al. 2004; Garnier et al. 2007) and response to environmental change
(Díaz & Cabido 1997; Suding et al. 2003; Fynn et al. 2005; McGill et al. 2006; Quétier et al.
2007). For example, specific leaf area (SLA) and leaf dry matter content (LDMC) are directly
correlated with relative growth rate (Reich et al. 1999; Garnier et al. 2001), which is a predictor
of plant response to resource availability and disturbance (Grime 1977). Lateral spread and
plant height are expected to be linked to some aspects of competitive ability (Grime 1977;
Gaudet & Keddy 1988; Navas & Moreau-Richard 2005). Garnier et al. (2004) proposed that
they be called “functional markers”.
Another approach to take into account is the analysis of “plant functional types” (PFT),
which are groups of plant species that share similar structural and functional attributes, and
that exhibited a comparative response to environmental conditions (García-Mora et al. 1999).
PFTs are also defined as “non-phylogenetic groupings of species exhibiting common
biological traits that enable them to fulfil specific functions in a similar way within an
ecosystem” (Gitay & Noble 1997). PFTs are regarded as a concept enabling the identification
of general principles for the functioning of organisms, which can be used for making
predictions, but also as practical tool to reduce a wide diversity of species to a small number
of entities. The concept of plant functional types summarises the role that plants perform in
ecosystem processes and the functionally different responses to environmental changes.
Plant functional types, therefore, have been widely proposed as an ecological alternative for
traditional taxonomic entities, in effectively assessing the probable impact of the potential
environmental changes on ecosystems (Smith et al. 1997) and in predicting the dynamics of
plant communities in regularly disturbed landscapes (Noble & Gitay 1999; Díaz & Cabido
1997). At the local scale, functional types analysis could be a useful tool in interpreting
community function. On the other side, the use of PFTs favours the comparison of
communities in similar environments but having few species in common.
Therefore, the main reason for describing vegetation in terms of functional traits and of
plant functional traits (PFTs) rather than floristic composition has often been an operational
one, namely the possibility of comparing taxonomically distinct floras and/or summarizing
the overwhelming biodiversity of natural systems (Díaz et al. 1998). Another powerful
reason, is that dominant plant traits are known to strongly influence ecosystem function.
According to Grime (1998) ecosystem properties should be determined to a large extent by
the characteristics of the dominants and will be relatively insensate to variation in species
172
Parte 4
richness in circumstances where it is attributable to changes in the number of subordinate
and transient species. This is highly relevant to ecological theory as well as having important
implications, for example in ecosystem service assessment or predictive modelling. For
example, given a certain scenario of future climatic conditions, and assuming consistent traitenvironment linkages, a distribution of dominant plant traits in space -especially along steep
environmental gradients - may be used as a proxy for changes in time (Díaz et al. 1998).
2. AIMS
Most of the studies involving plant traits/environment relations focused on the
community level or higher in order to define ecological assembly rules or filtering effects of
the various environmental factors (Díaz & Cabido 1997). As we said before, because all over
the world, coastal dunes are regularly subjected to the same major types of environmental
factors, functional traits could be appropriate to compare plant dune strategies between
different biogeographical regions. Similar environmental stress factors have led to the
evolution of certain convergent traits in coastal dune plant species in different continents
causing the selection of functional traits and functional types that may be identified and
linked to ecological processes. Functional analysis of these environments offers a valuable
tool to the study of coastal dune vegetation where species from several biogeographical and
ecological origins coexist thanks to different life strategies and dispersion processes, and
allows us to asses the coastal dune status through evaluation of the vegetation, since both
physical and biological factors can affect plant morphology. A functional approach allowed
us to compare dune systems at a much larger scale than would be possible through
traditional taxonomic methods.
In Temperate and in Mediterranean climates of European regions, coastal dunes are highly
heterogeneous habitats. They show spatial and temporal variability for both resources and
abiotic factors (Alpert & Mooney 1996; Ievinsh 2006). Habitat types in coastal-dunes of
Europe have been described in terms of floristics, geomorphology, ecology and climate;
coastal vegetation zonation has been studied mainly in terms of plant community analysis
(syntaxonomy and syndynamic ranking), and in relation to environmental factors (e.g.
Moreno-Casasola 1988; Géhu & Biondi 1994; Muñoz-Reinoso 2001). However, few studies
have analysed the differences between Mediterranean and Atlantic coastal vegetation of
dune systems in terms of species composition and phytosociology and above all few studies
have analysed the functional diversity of these coastal dunes. The only plant traits studies
carried out in coastal dunes focused on a particular community: the foredune (e.g. GarcíaMora et al. 1999) or the fixed dune (e.g. Díaz Barradas et al. 1999). Atlantic and Mediterranean
coastal ecosystems present a lot of similarities, but also important differences in
environmental, biogeographical and climatic features. They are affected by the same abovementioned environmental features, but with different levels of harshness. It is well known, in
173
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
fact, that Atlantic coasts present harsher environmental conditions (high wind speed, sand
burial, salt spray, humidity, etc…) than Mediterranean ones. This concerns especially the
foredune stage, which is closer to the sea‟s influence. As we said until now, we could
suppose that these ecosystems exhibit a greater similarity of floristic (and coenologic)
composition of foredune stages with respect to backdune stages because of biogeographic
events (e.g. dispersal), but also a greater similarity of the functional traits (and PFTs) of
foredunes than of backdunes. Moreover, at a regional scale, we could suppose that, since
environmental “filters” are harsher on Atlantic coastal dune systems than on Mediterranean
ones, we should observe a smaller variation in functional features in the Mediterranean; this
may became apparent if few traits change along the sea-inland gradient or if changes of
functional traits of communities are not very significant.
Considering that biodiversity is a critical element in coastal environments, in this chapter
we compare taxonomical and functional diversity patterns between Mediterranean and
Atlantic coastal dune systems. We answer to the following questions:
1-
What is the major floristic and coenologic variation along the sea-inland gradient on
both ecosystems? What are the major differences? Where can we observe the principal
differences?
2-
Do different community types, defined on the basis of their taxonomic properties,
support similar PFTs?
3-
How similar are plant traits and morphological-functional types in the two
ecosystems?
Which are the principal differences? Do PFTs relate to particular
communities of coastal dune area?
4-
Does the presence of a more similar “environmental filters” on foredune stages,
compared to backdune ones, also lead to greater functional similarity of foredune
stages of Mediterranean and Atlantic coastal systems, independently of their
taxonomic composition?
5-
Following the “environmental filter theory”, which filters could be proposed along the
gradient?
3. STUDY AREAS
In this part of the project, the study was conducted in two coastal dune systems: one
Mediterranean and the other Atlantic (Fig. 4.1).
174
Parte 4
France
Atlantic
Ocean
Aquitaine
region
Italy
Lazio region
Mediterranean Sea
Fig. 4.1 - Atlantic and Mediterranean coastal dune areas considered in this study.
3.1 MEDITERRANEAN COASTAL DUNE AREA
The Mediterranean study area is represented by the Lazio coast (Central Italy), which
extends for ca. 250 km (from 42°23‟N, 11°39‟E to 41°11‟N, 13°20‟E) along the Tyrrhenian Sea
(Fig. 4.2) and consists mainly of sandy beaches. This study considers only coastal sandy
beaches (more than 90% of the coastline), limestone promontories and river outlets were not
included. The tyrrhenian coastal dune system has a relatively simple structure, consisting
generally of some embryo-dunes followed by a main mobile dune ridge and a fixed dune
ridge. This coastal area is characterized by dune systems which are quite less imposing and
narrower than the Atlantic ones: the recent dune belt (Holocene) is in average 250 m wide
and not more than 7-8 m high and it is in contact with the ancient dune (Pleistocene) or with
alluvial or lacustrine deposits. Complex dune systems are only found on the southern part of
the Tiber river delta and on the Northern coast of Lazio.
The climate of the area is of Mediterranean type (varying from Meso-Mediterranean dry
subhumid to thermo-Mediterranean subhumid), with high summer temperatures, extremely
dry summers and most of its annual rainfall distributed in autumn-winter (Crescente et al.
2002). This climate of the Mediterranean Basin, and to a large extent of all Mediterranean
areas, is so characterized by a pronounced seasonality and by two prevailing states. The
rainy winters and the long hot summers, with high irradiance and little or no precipitation, a
condition that strongly limits carbon assimilation and promotes photo-inhibition. The
Mediterranean type climate is also characterised by high interannual rainfall variability, with
severe drought events, intermingled with years of elevated precipitation.
175
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
In the Tyrrhenian coast, the average minimum air temperature of the coldest months
(January and February) is 4.00 °C and the average maximum air temperature of the hottest
month (August) is 30°C. Total annual rainfall is 714 mm, and dry period is from May to
August (98.2 mm total rainfall) (data by the Castelporziano Meteorological Station for the
period 1985–2004).
Tyrrhenian Sea
Fig. 4.2 - Mediterranean study area: Lazio coast (Central Italy)
Human influence on coastal dune systems in the Mediterranean basin dates back several
thousand years. Up to the end of the 1940s the Tyrrhenian sandy coasts (and generally the
entire coast of Italy) remained in nearly natural condition and relatively well preserved from
the morphological, hydro-logical and naturalistic standpoint (Garbari 1984); most places
were every isolated and often nearly inaccessible, and even dangerous because of war relies
and malaria. Coast-bound tourism (including building-up and trampling), in particular,
became a mass phenomenon after World War II and is now considered the principal cause of
degradation of coastal ecosystems. The impact during the economic boom from 1955 to 1970
was particularly hard (Pignatti 1993). The lack of land-use planning and permissive policy
led to huge speculation on land, uncontrolled urbanization and an irreversible degradation
of the coasts. This is particularly evident at the two extremes of the catenal sequence. At the
one extreme pioneer stages are disturbed mainly by coastal erosion and tourism (Filesi &
Ercole 2000) while at the other extreme fixed dune communities are affected by towns and
villages, coastal roads, pines plantations, agriculture, cattle grazing and water catchments
(Acosta et al. 2004). Extensive human activity on the Mediterranean coast and the presence
of coastal roads have favoured the entry of ruderal and wide distribution species into plant
176
Parte 4
communities, the fragmentation of phytocoenoses, the substitution of communities and, in
the most severe cases, also the disappearance of some coenoses. The communities that are
most endangered at a local level are those on the foredunes, which consist of perennial
species with a very restricted ecological niche. This facies is affected also by coastal erosion
that either entirely eliminates or drastically reduces the first plant communities of the
sequence and leads to structural modifications which take the form of patches of denudation
and erosional gullies on the fixed (inland) dunes. Another serious problem of Lazio coasts
(but also of other Mediterranean areas), as already said, is the invasion of exotic (or alien)
species. In some areas of the Lazio coast, the local flora disappears and is substituted by
aliens such as species of the genera Carpobrotus, Agave, Cenchrus, etc. These species compete
with native species for light, water and other resources, and interfere with successional
processes and even modify geochemical processes. Moreover, in some zones, reforestation is
carried out without respect for the natural features of the territory, mostly with alien species
such as Pinus sp., Eucalyptus ssp. and Acacia ssp. Undisturbed areas along the coasts of Lazio
are now very few; these are situated above all on the Northern coast, on a coastal National
Park (Circeo), on other nature reserves (e.g. Macchiatonda), on the presidential estate of
Castelporziano (near Rome) and in some military (e.g. Torre Astura) or archaeological areas.
3.2 ATLANTIC COASTAL DUNE AREA
The second study area includes the coast of the Aquitaine region in south-western France
from the Gironde estuary (45°33‟N, 1°05‟W) to the mouth of the Adour (43°32‟N, 1°30‟W),
close to the Pyrenees (Fig. 4.3). The Gironde Estuary is one of the largest estuaries in Europe;
it is the marine-influenced part of the hydrological system that drains the Aquitaine Basin, in
South-western France (Kapsimalis et al. 2002). Here, a vast arm of the sea penetrating deeply
inward starts where the Garonne and the Dordogne debouch. The dunes of Cote d’Aquitaine
are exclusively sandy and form the biggest section of the vast system that runs along the Bay
of Biscay from Brittany to the Pyrenees.
The study area extends for approximately 240 km and is characterized by dune systems
remarkable both in height (12-15 m) and width (approximately 500 m). Extensive dunes are
found between Bordeaux and Bayonne; they form the vast sands of Les Landes de Gascogne.
Behind the dune a chain of freshwater lakes occurs, which are former lagoons separated
from the sea by the dune ridge; now only the Arcachon Basin is still in contact with the sea
(Géhu & Géhu-Franck 1993). About geological features, South of the Gironde sands of older
origin show less and less carbonate from North to South and the coastal ridges are in
constant contact with the podzolized sand of the Gascogne Landes. At the Southern end of
the Aquitaine coast, in the surroundings of the Adour, the sediments become coarser and
gravelly.
177
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
The Aquitaine coast is characterized by a temperate oceanic climate with mean annual
rainfall of 1020 mm and mean annual temperature of 13.4°C, ranking from 2,3°C in the
coldest month (January) to 26,5°C in the warmest (August) (data from Méteo France for the
period 1985-1999). The climate is relatively wet, with higher levels of precipitation than the
continental region but with less marked seasonal precipitation than the Mediterranean
region.
Charente
Maritime
Atlantic
Ocean
Gironde
Landes
Pyrenées
atlantique
SPAIN
Fig. 4.3 - Atlantic study area: Aquitaine coast (south-western France). It includes from North to South: Gironde,
Landes and Pyrenées atlantique.
Most of the dune areas (180 km) are owned by the French government and managed by the
National Forest Office (ONF). In Aquitaine, especially in the lake sector of the Gironde coast
and the Arcachon Basin, the coastal dunes are very frequented. In Aquitaine, the
development of tourism is based on the region‟s many attractive features, first and foremost
its “natural” landscapes. The southern end of Aquitaine‟s sandy coastline (Tarnos, Landes)
on the north bank of the Adour, has some highly original characteristics. The area is rich in
ecological interest, including the Atlantic‟s strongest concentration of sea lilies (Pancratium),
but this heritage is under threat from badly channelled anthropic pressure. As the
Tyrrhenian coast, also the Aquitaine littoral is affected by coastal erosion. Since 1966 to 1998
70% of the coast has exhibited an erosional process, while only 30% was in mowing forward
(Forey 2007).
178
Parte 4
3.3 COASTAL ZONATION
Coastal dune systems are highly variable in form and dimension. Psuty (2004) and Hesp
(2004) establish that the present-day morphological systems have been evolving through the
most recent period of Holocene sea-level transgression and they have waxed and waned in
their development as sediment supply has fluctuated and sequences of stabilization and
destabilization have characterized regions. There is no one dune system, there are patterns,
trends, and episodes that describe the creation of regional coastal dune forms and systems.
As morphologies pass trough sequences depending on ambient sediment supply, wind
conditions, stabilizing vegetation, and human interaction, they form the variable physical
base that constitutes the coastal foredune in beach profile and the inland extension of the
dune fields.
Both areas are characterized by a strong zonation of the vegetation, arranged in belts
parallel to the coastline. There is often, above all on the Atlantic coast, a complete sequence
of sub-parallel dune ridges with the youngest near the shore and the oldest on the inland
side of the system. The absolute time interval between the formations of any pair of ridges
varies between systems, but is commonly between 70 and 200 years (Packam & Willis 1997).
From the beach to the inland four-line ecotone, five major geomorphological or dune types
(facies) have been distinguished: the strandline (high beach), the embryo-dune, the mobile
dune (or white dune), the transition dune (or semi-fixed dune) and the fixed dune (grey
dune and macchia) (Fig. 4.4). Along such a transect ground wind speed, influence of salt
spray, soil pH and levels of soil calcium and sodium diminish in an inland direction, while
extent of vegetation cover, amount of soil organic matter, number of plant and animal
species and overall stability increase (Packham & Willis 1997). Generally, organic carbon is
extremely low in the seaward dunes and slacks, but substantially higher where scrub
develops and in old well-vegetated slacks. Total nitrogen is also very low, except for areas
bearing scrub and for slacks of considerable age. Salisbury (1925) first showed that soil
changes could be correlated with changes in the vegetation. The transitions between the
uniform vegetation zones are usually not abrupt, following the theory of a continuum that
inevitably results in certain intermixing between the species that make up the communities
that are in contact. In many cases, moreover, the disturbing actions of natural factors, when
particularly violent, or of anthropic origins, tend to destabilise the system to various degrees,
favouring therefore the remixing of the floristic contents. At first, the community types
growing in each facies were analysed in floristic and phytocoenologic terms. Then, for the
following functional diversity analysis, because the number of species of embryo-dunes was
very low for statistical analyses, we considered the following three major plant communities:
growing on foredunes, on transition dunes and on fixed dunes. Even for diversity analyses,
the upper beach (strandline) community with pioneer species was not considered because it
is much more frequent and stable in the Mediterranean than in the Atlantic system, where on
179
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
the contrary this community appears to be quite fluctuating and is not always present. It is
important for this reason to clarify what the term „foredune‟ denotes. According to Psuty
(2004) the coastal „foredune‟ is the uppermost and inlandmost component of the sandsharing system. It has accumulated sand in association with a range of pioneer vegetation
types to create a positive landform perched above the dry sand beach.
Transition
dune
A
Strandline
(high beach)
Fixed dune
Foredune
(embryo - mobile)
Fixed dune
B
Transition
dune
Fig. 4.4 - Coastal zonation of Atlantic (A) and Mediterranean (B) study areas. (drawings by A. Acosta)
In the simple profile, the coastal foredune, exists at the boundary between coastal processes
seawards and continental processes landwards. The foredune is intricately related to beach
dynamics and to the sediment available to drive changes; it is dynamic and it is the only
dune form that is totally dependent on coastal location. Willis et al. (1959), Ranwell (1960)
and Chapman (1964) used „foredune‟ to describe low dunes formed by species different from
the dominant main dune builder, above the strand level but below the parallel ridges of the
main mobile system. This definition corresponds to our term “embryo-dune”. Doing (1985),
on the other hand, used in his work about coastal dune zonation and succession in various
parts of the world, the term “fore-dune complex” to indicate the complete range of zones
which may be present as a direct effect of recent, active transportation of sand and organic
material perpendicular to the shoreline; so, he indicated with this term all zones from
strandline up to fixed dune facies. We use, in this research, the term foredune to indicate
180
Parte 4
only embryo and mobile dune facies (Fig. 4.4). Although the coastal foredune is a part of the
dunes-beach profile in form and function, it is possible to separate it conceptually form the
beach. Both the beach and the foredune are forms of sediment accumulation and they each
develop morphological responses to their short term and long-term sediment balance. The
beach widens and narrows in response to changes in sediment supply; the dune gains and
loses height and width relative to a gain or loss of sand. Spatially, the foredune may pass
through a sequential morphological development associated with alongshore distance from
a sediment source (Psuty 2004).
3.4 …SOMETHING ELSE ABOUT ATLANTIC COASTAL DUNES
The Atlantic area of Europe is rich of sandy coasts with beaches and dunes that have
preserved a wild nature. Along the French Atlantic shoreline, there is a great diversity of
landscapes, amongst which sand dunes have an important place (Lemauviel & Rozé 2000).
A man-influenced product of the early 19 the century, now home to specific biological
diversity, the non-wooded coastal dunes of Aquitaine are at the interface between the
historical, landscape and natural heritage of the area (Duffaud 2002). They are, at European
level, one of most demonstrative examples of a continuous control of coastal dunes through
human action. In fact, these sand dunes were subject to winds and to sand deposition so
much that their stability has been a concern for a long time for the authorities responsible for
population security. Aquitaine coastal dunes have known many phases of intervention: the
stabilisation of the 18th century; the mechanic calibration of the period between 1960-1980s;
and, finally, the “flexible control” of the last decades.
Coastal dunes bear the mark of their “domestication”, in the form of the woodlands
planted in the 19th century and the barriers erected for protection. At first, indeed, at the end
of the 18th century, a French engineer called Brémontier started a campaign for the
stabilisation of sand dunes by plantations of Maritime Pine. This resulted in the afforestation
of 910 km2 of sand dunes in the Landes region (Boucheron 1987; Jacamon 1975). This set the
scene for a debate on the best way to “domesticate” the dunes closest to the coast. Thus
began a titanic programme of calibration work to build a protective foredune (“piege a
sable”) to an “ideal” profile (Favennec 2002). These building techniques were well described
by Grandjean (1896). A total of approximately 230 Km of Aquitaine coastal dunes were
calibrated in the past century: 200 km on the Gironde and Lande littoral. After World War II,
the dunes were mechanically remodelled once again to reproduce the ideal profile (Favennec
2002).
In the second half of the 20th century came the tourist explosion and the urbanization to
cater for it. Projects set out to develop an integrated management system for coastal dune
environments, by reconciling heritage protection with economic activities. Action has been
taken to rehabilitate ecosystems of major heritage value and management plans formulated
181
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
for them. The action plans have taken account of the economic dimension and aim to
reconcile conservation with “sustainable” tourism. The socio-ecological parameters have
changed since the beginning of the 20th century, when afforestation was begun. The
introduction of multifunctional objectives has considerably modified coastal dune
management methods. In the 1980s, the idea of a calibrated profile was abandoned in favour
of flexible control (controle souple), giving way to development of complex, seminatural shapes
better suited to contemporary social expectations (Favennec 2002). While basic know-how
has changed little, the techniques are implemented in a new way; the quest to fix dunes has
given way to flexible control which aims only to moderate the processes without
interrupting them, so as to reconcile nature conservation with current and future social
expectations.
It is not anymore about fixing but about controlling. With much of the
woodland being publicly owned, discussion and debate have been facilitated, leading to the
formulation of a planning policy that reconciles tourist development with the protection of
unique and fragile natural environments. The policy takes the form of “beach plans”
implemented jointly by the State, the ONF (Office National des Forêts) and local authorities.
Different types of actions have been developed to limit the constrains and safeguard a
precious ecosystem while allowing tourist and peri-urban use to continue; selective manual
cleaning of the dunes and beach, fencing at the top of the beach to protect the embryonic
dunes and especially the very rare Euphorbia peplis (which ha almost disappeared from
Atlantic coast), the conversion of a coastal road into a cycle path, a dune discovery trail, a
land use plan for the site and peripheral areas, etc…Dunes are better protected, care is taken
to prohibit major destructive activities against the vegetation, so that population security no
longer depends on tree protection. However, the 18th century afforestation campaign carried
out in western France to fix sand dunes has left only a small surface of non-forested dunes;
the Atlantic shoreline of France has extensive areas of pines, but not a lot of well developed
dune grasslands. Moreover, keeping in mind that morphological and ecological processes
are linked, the pines, by fixing the substrate, influence the dynamics of these dune
formations (Lemauviel & Rozé 2000). Some studies showed that afforestation of dunes
modifies the surrounding features a lot. The soil is modified, stratified, the horizons
thickened, and the water-table decreases. With the passing of time, the rare species
disappear, with a net loss in species richness. Pine forests can be considered, therefore, one of
the principle factors in the destruction of sand dunes (Doody 1989).
Many authors emphasise the ecological interest of nonforested dunes (Dupont 1992), in
particular of grey dunes (Lemauviel & Rozé 2000; Provoost et al. 2004); they are characterized
by high values of species diversity. According to Lemauviel & Rozé (2000), as dune
plantations have only a small conservation value, it would be of great interest to restore grey
dunes; the extension of grey dunes could permit the conservation of the dune flora, as well
as its fauna, and perhaps allow for the appearance of new groups and new species.
Moreover, these vast sand dunes can be very attractive to the public.
182
Parte 4
PART A
TAXONOMICAL DIVERSITY:
Floristic & Vegetational Analysis
183
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
4. MATERIALS AND METHODS
Vegetation zonation of Mediterranean and Atlantic coastal areas, from the seashore to the
fixed dune, was analysed in relation to phytosociological (=phytocoenological), chorological
and life form types. Firstly, in fact, information about plant communities of Mediterranean
(Lazio coast) and Atlantic (Aquitaine coast) dune systems (areas) was derived using the
phytosociological approach, according to the Braun Blanquet method (Braun-Blanquet 1964;
Welsthoff & van der Maarel 1978), which allows describing the vegetation taking into
account both species presence and cover-abundance. Braun Blanquet (1965) thought that, just
like organisms are classified into a hierarchy of taxonomic groups, phytocoenosa
(communities) can be arranged in an hierarchical system. Phytocoenose is defined as a “part
of the vegetation consisting of interacting populations growing in a relatively uniform
environment and showing a floristic composition and structure that is relatively uniform and
distinct from the surrounding vegetation” (Welstoff & van der Maarel 1973).
In this research, relevés from previous phytosociological studies were used (Acosta et al.
1998; Favennec et al. 1998 (ONF data); Vagge & Biondi 1999; Acosta et al. 2000; Stanisci et al.
2004). We selected 365 total relevés: 183 for the Atlantic coast and 182 for the Mediterranean
coast. The choice was made in a way that selected relevés were representative of coastal
dune vegetation of each study area; that is, all coastal dune communities of each study area
were represented. Then, these 365 relevés were combined in two matrixes, one relating to the
Atlantic (60 species x183 relevés) study area and other relating to the Mediterranean one (140
species x 182 relevés). In order to identify the major plant community types (phytocoenosa)
present in each study area, both floristic matrixes were separately classified through Cluster
Analysis and ordinated through Principal Coordinates Analysis (PCoA) using the SYN-TAX
package (Podani 2001). The classifications and ordinations were made with cover data; these
are transformations of the Braun-Blanquet cover values according to the following scale (van
der Maarel 1979): 5 → 9; 4→ 7; 3→ 5; 2→ 3; 1→ 2; + → 1;
→ 0. For both classifications the
employed method (algorithm) was average linkage clustering (U.P.G.M.A.) and the
similarity coefficient was the chord distance (Orloci & Kenkel 1985):
Chord distance:



21 



n
 xij x jk
i 1
n
n
i 1
i 1
 xij 2  xik 2







With regard to ordinations we applied a Principal Coordinates Analysis with, also in this
case, the chord distance as similarity coefficient. In this way we obtained a graphic in two
184
Parte 4
dimensions, on which every point (circle) represents a relevé. Through Multivariate Analysis
we identified main species groups of coastal zonation of Mediterranean and Atlantic study
areas. Species groups were then assigned to syntaxonomic taxa according to what was
reported in the phytosociological studies we referred to and according to their floristic,
structural and coenological features. The names of the sintaxa are in accordance with the
rules of the International Code of Phytosociological Nomenclature and follow the
syntaxonomical scheme proposed by Biondi (1999) and Brullo et al. (2001) for Italian coastal
dunes and by Géhu (1994; 1998) for the French coastal area.
Then each community type (phytocoenose) was analysed in ecological-structural and
phytogeographical (chorological) terms: a life form (or biological) spectrum and a
chorological spectrum were constructed. Moreover, also a table of taxonomic families
percentages was compiled for each phytocoenose. Spectra were constructed by expressing
the number of frequencies of the species in each life form class (or chorological type or
taxonomic family) as percentage of frequencies of all community species. In this way we
obtained a “weighted” spectrum (biological, chorological and family) that gives a more
realistic result in ecological terms. The most widely adopted description and classification of
the life forms or types of vascular plants is that developed by Raunkiaer (1934). The main
feature of his simple, but ecologically valuable, system is the position of the vegetative
perennating buds or persistent stem apices in relation to the ground level during the cold
winter or dry summer which constitutes the unfavourable season of the year (Packham &
Willis 1997). For chorological types and nomenclature of species we followed the Italian
Flora (Pignatti 1982), the Checklist of the Italian vascular flora (Conti et al. 2005), the Flora of
France (Guinochet & De Vilmorin 1973-1984) and the European Flora (Tutin et al. 1964-1993).
Finally special attention we paid to the presence in each community type, of endemics and
endangered species, and also to exotic ones.
The comparison between Mediterranean (Lazio) and Atlantic (Aquitaine) coastal zonation
was carried out first analysing each community type and then examining the total flora of
phytocoenologic relevés of both study areas.
5. RESULTS & DISCUSSIONS
5.1 ANALYSIS OF COMMUNITY TYPES
5.1.1 Atlantic coastal dunes
The matrix of 67 species x 183 relevés selected for the Atlantic study area (Aquitaine coast)
was subjected to multivariate analysis. Cluster analyses performed on the 183 sampling
relevés led to the identification of four distinctive community types (phytocoenosa) across
the dune system of the Atlantic coast (Aquitaine) (Fig.4.5a). When these groups were
185
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
overlapped on the PCoA (Principal Coordinates Analysis) ordination space, plots showed
gradual changes along the sea-inland environmental gradient (Fig. 4.5b-c).
a
Fig. 4.5 - Results of Hierarchical Cluster
Analysis and Principal Coordinates
Analysis (PCoA) for the Atlantic coast
reléves. a) Dendrogram from clustering
analysis of reléves according to their
species; b-c) sample (relevés) ordination
in the plan defined by axes 1 and 2 of
the PCoA. Blue circles indicate the
foredune relevés; yellow circles indicate
the transition dune relevès and, finally,
green circles indicate fixed dune relevés.
A
Cluster I
beach
inland
EDF47
MDF18
EDF36
EDF43
EDF6
EDF15
EDF32
EDF25
MDF3
EDF2
MDF26
EDF34
Axis 2
Axis 2
0
FDF2
FDF1
FDF13
FDF56
FDF17
FDF55
FDF16
FDF26
FDF21
FDF45 FDF62
FDF33FDF61
FDF36
FDF12 FDF54
FDF58
FDF60
FDF20
FDF23
FDF30
FDF59
FDF4
FDF32
FDF15
FDF27
FDF48
FDF40
FDF38
FDF39
FDF37
FDF34
FDF10
FDF3
FDF18 TDF10
FDF14
FDF63
FDF6
FDF24
TDF27
FDF49
FDF43
FDF44
FDF35 FDF5
FDF42
FDF57
FDF47
FDF41
FDF46 FDF7
FDF50
FDF29
FDF9
FDF31
TDF15
FDF53
FDF22
FDF25
FDF19
Cluster III
Cluster II
c
EDF18
EDF28 EDF10
EDF37
EDF17
EDF16
EDF38
EDF40
EDF39
EDF13
EDF22
EDF33
EDF24
EDF20
EDF30
EDF14
EDF12
EDF29
EDF42
EDF4
EDF8
EDF44
EDF23
EDF45
EDF5
EDF11 EDF3
EDF35
EDF27
EDF41
EDF48
EDF26
EDF46
EDF49
EDF50 EDF7EDF21
EDF9
b
B
0
FDF11
EDF19
TDF12
FDF28
FDF51
TDF31
MDF31
TDF3
TDF18
FDF8TDF13
TDF19
FDF52 TDF33
EDF31
TDF14
TDF28 TDF25TDF5
TDF17
EDF1
TDF16
TDF24TDF29
TDF23
TDF11 TDF7
TDF22TDF20 TDF2 TDF30
TDF6
TDF26
MDF19 MDF28
MDF1
MDF27
MDF25
MDF34
MDF15
TDF1 TDF21
MDF7
MDF13
MDF22
MDF14
MDF37
TDF8
MDF8
TDF4
MDF35MDF32 TDF32
MDF6
MDF16
MDF23
MDF21
MDF12MDF24
MDF5
MDF30
MDF17 MDF29
MDF4
MDF11
MDF20 MDF10
MDF33
MDF9
MDF36
MDF2
TDF9
0
0
Axis 1
Axis 1
Fig. 4.5 (b-c), in fact, shows one main ordination axis that is clearly related to the
stabilization gradient: the more extreme pioneer communities (embryo and mobile dune) are
found at the right side of the factorial plan, with the sheltered groups (transition dune) in the
middle, and the stabilized communities (fixed dune) on the left side. Therefore, axis 1
suggests a successional gradient, with species of early successional stages on the right and
those of fixed dune communities on the left.
Groups (clusters) individuated are related to four main plant associations that, from sea to
inland, are:
1. Cluster I: Euphorbio paraliae-Elytrigetum boreoatlanticae R. Tüxen in Br.-Bl. et R.
Tüxen 1952 (= Euphorbio-Agropyretum juncei)
186
Parte 4
The first group includes 56 relevés and a total number of 21 species. These relevés are
related to the earliest zone of the foredune corresponding to the banquette (sub-horizontal
drift at the foot of embryo-dunes) and to the most seaward dunes (embryo-dunes) (see
Fig.4.4). Community of Cluster I was classified under the Euphorbio paraliae-Elytrigetum
boreoatlanticae because of the dominant character species and its characteristic species
combination (Favennec et al. 1998). It is a pioneer association including perennial species of
Atlantic embryo-dunes from South England to South -Western Spain. The most typical
species are Elymus farctus subsp. boreatlanticus, Euphorbia paralias, Calystegia soldanella and
Eryngium maritimum.
2. Cluster II: Euphorbio paraliae-Ammophiletum arenariae R. Tüxen 1945 in Br.-Bl. et R.
Tüxen 1952
The second group includes 52 relevés and a total of 35 species. These relevés are related to
the mobile dune or white dune (dune blanche) (see Fig. 4.4), a facies very common along the
Aquitaine coast even if it is less developed at the Southern end (in the surroundings of the
Adour), where dunes are not so massive and are less mobile due to coarser and gravelly
sediments. Plant communities of mobile dunes of SW-France, were thoroughly examined by
Géhu et al. (1995); according to them Ammophila arenaria s.l. is the peculiar species and others
as Eryngium maritimum, Calystegia soldanella and Euphorbia paralias, are “geographic
differential species” (espèces différentielles gèographiques) of more temperate areas. They are not
strictly linked to the mobile dunes, but they are present also in other coastal dune
associations (Géhu et al. 1995).
In the physociological nomenclature Atlantic white dunes are related to two main
associations of sub-alliance Euphorbio paraliae-Ammophilenion arenariae: Euphorbio
paraliae-Ammophiletum arenariae R. Tüxen 1945 in Br.-Bl. et R. Tüxen 1952 and Silene
thorei-Ammophiletum arenariae J.-M. et J. Géhu 1969 ( Géhu et al. 1995). The former was
Identified here; it is typical of Atlantic white (mobile) dune from Southern England to the
South of the Armor massif in France (Géhu 1998). This association is characterized by the
dominance of Ammophila arenaria subsp. arenariae and the three (ubiquitous) species:
Eryngium maritimum, Euphorbia paralias e Calystegia soldanella. The latter synvicariant
association is not identified by the relevés that we have chosen, even if some of its typical
species were included in various relevés.
Sileno thorei-Ammophiletum arenariae is an
endemic association of the Aquitaine littoral (SW France) from La Charente-Maritime to the
border with Spain (Adour) (Géhu et al. 1995). For long time this association has been
regarded as a typology with Silene vulgaris subsp. thorei (=Silene thorei Duf.) of the former
association; but, due to a particular climatic contest and to the special history of SW-France
coastal dunes, it has been considered as a separate association (Géhu et al. 1995). Its typical
species, in addition to Ammophila arenaria subsp. arenaria and to “omnipresents”(Eryngium
maritimum, Euphorbia paralias e Calystegia soldanella), are Artemisia campestris subsp. maritima
187
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
(= Artemisia lloydii) and Silene vulgaris subsp. thorei and Linaria thymifolia, both endemic
species.
3. Cluster III: A-Festuco juncifoliae-Galietum arenarii Géhu 1964 corr.; B-Silene
portensis- Helichrysetum stoechadis Géhu 1974
This group is distinguished in two main sub-groups:
A: It includes 15 relevés (24 species) that are related to semifixed dunes or transition dune
(see Fig. 4.4). In this facies, behind the mobile dunes, drift and transfer of sand are reduced
and stabilisation and pedogenesis processes begin. This group identifies the Festuco
juncifoliae-Galietum arenarii; according to Géhu (1998), this plant association is probably
endemic of Western French (Gironde) and of the South Armorican coast. Its physiognomy is
characterised by dominance of Festuca juncifolia and endemic species Galium arenarium; they
form an effective low carpet against wind erosion. Another vicariant association, which was
not distinguished by our selected relevés and which develops in this facies, is Galium
arenarii-Hieracietum eriophori Géhu (1968) 1982. It is a highly original and rare
phytoceonose (Géhu et al. 1995), endemic of the coast of Landes, from Arcachon to the border
with Spain. The most typical species of this association are the two endemic species that
name it, Galium arenarium and Hieracium eriophorum; another species frequent in this
association is the endemic species Astragalus bayonensis, with a wider distribution.
B: The latter subgroup includes 59 relevés (51 species) relating to fixed dunes, often called
“grey dunes” (see Fig. 4.4). These are an intermediate dynamic stage between mobile dunes
and coastal woodland, forming the heart of the Aquitaine dune landscape. Atlantic grey
dunes are related to the alliance Euphorbio portolandicae-Helichrysion maritimae Géhu et
R. Tüxen Sissingh 1974 corr., concerning partially chamaephytic vegetation of the thermoatlantic backdunes rich in bryophytes, lichens and various therophytes. It develops along the
cantabro-atlantic littoral, from Western Brittany to Basque Country. This alliance includes
several synendemic associations:

Thymo drucei-Helichrysetum stoechadis Géhu et Sissingh 1974 (W Armorican
coast);

Roso spinosissimae-Ephedretum distachyae
(Kuhnholtz-Lordat 1928) Vanden
Berghen 1958 (S Armorican coast-South Brittany);

Artemisio maritimae-Ephedretum distachyae Géhu et Sissingh 1974 (coasts of
Vendée and Charente, Central-West France);

Sileno portensis-Helichrysetum stoechadis Géhu 1974 (Coasts of Gironde and
Lande, SW France);

Alysso loiseleuri-Helichrysetum stoechadis Géhu 1974 (South Aquitaine- Basque
Country)
188
Parte 4
Our relevés are related to Silene portensis- Helichrysetum stoechadis, fot which the most
typical species are: Helichrysum stoechas, Silene portensis, Jasione crispa subsp. maritima (= J.
montana) and Carex arenaria.
5.1.2 Mediterranean coastal dunes
The matrix of 140 specie x 182 relevés selected for the Mediterranean study area, was
subjected to multivariate analysis too. Cluster analyses performed on the 182 sampling plots
(relevés) led to the identification of six distinctive community types across the dune system
of the Mediterranean coast (Lazio). When these groups were overlapped on the PCoA
(Principal Coordinates Analysis) ordination space, plots showed gradual changes along the
sea-inland environmental gradient (Fig. 4.6).
Fig. 4.6 shows, as in the Atlantic ordination, one main ordination axis which is related to a
stabilization gradient with species of early successional stages on the left and those of fixed
dune communities to the right; but, in this case, in comparison with the Atlantic case, the
ordination is less homogeneous, and is not “horseshoe shaped”, since the macchia (fixed
dune) relevés are very markedly separated from relevés of the other communities.
Groups (clusters) individuated are related to four main plant associations that, from sea to
inland, are:
1. Cluster 0:
Salsolo kali-Cakiletum maritimae Costa et Manzanet 1981, corr. Rivas-
Martínez et al. 1992
The first group of Mediterranean communities includes 18 relevés and a total of 22 species.
These relevés are related to strandline and upper beach, where the waves leave the organic
waste carried by the rivers (see Fig. 4.4). The middle and higher beach are colonised by
annual, ephemeral and halo-nitrophilous communities, exposed to wind action and
occasionally to breaking waves. The vegetation cover of this community type is generally
discontinuous and low (never greater than 5%), and the colonization of the sand is
ephemeral because of scarcity of perennial plants.
On Mediterranean coasts, the most frequent strandline community is Salsolo kaliCakiletum maritimae; this community is recognized in this group of Tyrrhenian relevés. The
Salsolo kali-Cakiletum maritimae has a Circum-Mediterranean distribution; it is spread
over younger dune systems and often forms the first belt of vegetation close to the sea, its
influence on the formation and conservation of organogenous dunes is always minimal
(Pignatti 1993). It is a pioneer community consisting chiefly of therophytes, among which
Cakile maritima subsp. maritima, Salsola kali and, secondly, Polygonum maritimum and
Chamaesyce peplis (= Euphorbia peplis) are the most frequent. Often, we can is observe, as in
some Tyrrhenian relevés, the frequent presence of another annual, Xanthium orientale subsp.
italicum (= X. strumarium subsp. italicum), which identifies the sub-association xanthietosum
189
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
italici; it is highly nitrophilous and common along Italian coasts. In this research, however,
our analysis was restricted only to plant the association level.
a
Fig. 4.6 - Results of Hierarchical Custer
Analysis and Principal Coordinates
Analysis (PCoA) for Mediterranean
coast reléves. a) Dendrogram from
clustering analysis of reléves according
to their species; b-c) sample (relevés)
ordination in the plan defined by axes 1
and 2 of the PCoA. Purple circles
indicate the upper beach relevés; blue
circles indicate the foredune relevés;
yellow circles indicate the transition
dune relevès and, finally, green circles
indicate fixed dune relevés.
A
Cluster 0
B
Cluster I
A
B
Cluster II
beach
c
BD14 BD16
BD7
BD15
BD3
BD2
BD6
BD13
BD12
BD9
BD4
BD5
BD1
b
BD11
BD8
BD10
mac6
Axis 2
0
M35
M34
mac25
mac18
mac15
mac24
mac23
mac13
M13
mac21
mac22
mac16
M23
mac11
mac14
mac19
mac12
mac20
mac17
M30
M28
M33
mac9
mac10
M22
M32
M24
M29
mac1
M1
M20
mac7
M10
M15
M12
M19
M25
M26
M9
mac8
mac4
M8
M2
mac5
M11
M31
M5
M18
M17
M21
M6
mac2
M16
M3
M14
M7
M27 mac3
M4
P19
P3 P2
P14
PCR16
5
ED16
P9 P4
P16
P6
P17
CR6
P11
CR5
CR20
CR10
P13
P1P8
P18
P10 CR17
CR1
CR19
CR13
CR18
CR14
CR9
CR7
MD20
CR2
CR4
inland
ED10
ED24
ED9
1ed
ED3
ED29
ED14 ED15
0
Axis 2
P15
P20
ED2ED1
ED30
ED31 ED6
ED27ED17
ED23
ED7
ED19
ED26
2ed
1ed
ED18
ED22
ED13
ED20ED8
ED21
ED25
ED28
ED12
ED11
ED4
ED5
P7
Cluster III
CR11
CR12
CR15
CR8
MD15
CR3
MD16
MD1
MD18
MD13MD23
MD25
MD8
MD10
MD17
MD31
MD21
MD22
MD9
MD24
MD3MD2
MD19
MD14
MD4
MD30
MD7
MD5
MD12MD27
MD26
MD11
MD32
MD29
MD6
2mdMD28
0
0
Axis 1
Axis 1
2. Cluster I: A-Echinophoro spinosae- Elytrigetum junceae Géhu 1988 corr. Géhu 1996; BEchinophoro spinosae- Ammophiletum australis (Br.-Bl. 1921) Géhu, Rivas-Martínez & R.
Tüxen in Géhu 1975
In this second group we con distinguish two main sub-groups:
A: The former includes 32 relevés and 29 species. These relevés are related to the most
seaward dunes, which are called also embryodune (see Fig. 4.4). Community of Cluster IA
was classified under the Echinophoro spinosae – Elytrigetum junceae, the prevalent
association of the Italian Mediterranean (Biondi 2007). This is a psammophylic geophytic
vegetation on embryonic dunes exhibiting a Mediterranean distribution. Its structure is
190
Parte 4
generally open, with cover values between 30% and 50%. The most frequent specie of
Echinophoro spinosae- Elytrigetum junceae are Echinophora spinosa, Anthemis maritima,
Sporobolus virginicus and especially Elymus farctus subsp. farctus
(=Elytrigia juncea), that
forms the first low dunes. Often, we observe, as in some Tyrrhenian relevés, a high presence
of Otanthus maritmus subsp. maritimus, which identifies the sub-association otanthetosum
maritimi (Géhu & Biondi 1994) developing in more internal embryonic dunes, more stable
and continuous. It is common along Tyrrhenian coasts; however, in this research, as
mentioned above, our analysis was restricted only to the level of plant associations.
B: The latter sub-group comprises 30 relevés and 39 plant species. These relevés concern
the mobile (or white) dunes (see Fig. 4.4), where a psammophylic geophytic vegetation
grows. The association identified in this sub-group is Echinophoro spinosae –
Ammophiletum australis. This association grows on higher dunes (1-5 m high and more)
and is characterized by the optimal development of Ammophila arenaria subsp. australis; other
frequently occurring species are Echinophora spinosa, Anthemis maritima, Eryngium maritimum
and Pancratium maritimum. Echinophoro spinosae – Ammophiletum australis has a NorthWestern Mediterranean distribution and is present, with slight floristic variation, also in
Spain and Western Greece.
3. Cluster II: A-Loto cytisoidis-Crucianelletum maritimae Alcarez et al. 1989 corr.; BSileno coloratae – Ononidetum variegatae Géhu et al. 1986
Also the third group (cluster) comprises two sub-groups:
A: The former sub-group is made up of 25 relevés and includes 46 plant species. These
relevés are related to the alliance Crucianellion Rivas Goday & Rivas-Martínez 1958, found
in the Italian Mediterranean with different associations (Biondi 2007). The community
recognized by our selected relevés and distributed on the Tyrrhenian coast is Loto cytisoidis
– Crucianelletum maritimae. It is a chamaephytic vegetation that is localized on dune
systems which are farther from the sea, in the facies that we call “transition dune” (semifixed dunes) (see Fig. 4.4). Here the wind action is not as strong as in the Ammophiletum
zone, and the relief is quite soft with gentle slopes (Pignatti 1993); the amount of sand
movement is inferior and the vegetation cover is higher than in the Ammophiletum. The
reduced wind action is coupled with a hot and dry microclimate, particularly in summer
(Pignatti 1993). The two most typical species are Crucianella maritima and Lotus cytisoides; they
are two chamaephytes with Mediterranean distribution, which often are co-dominant and
determine the physiognomy of the association and its characteristic species combination.
Other frequent species are: Anthemis maritima, Pancratium maritimum, Pycnocomon rutifolium
and also Ammophila arenaria subsp. australis. Loto cytisoidis - Crucianelletum maritimae has
a North Western Mediterranean distribution.
B: The latter sub-group consist of 22 relevés and 69 species. These relevés are related to
annual communities growing in the clearings of the main perennial associations from
191
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
Ammophiletum to Crucianelletum and Mediterranean macchia. In fact, therophytic grasses
develop generally on the flat surfaces mixed with those colonized by perennial associations,
especially in the clearings of Crucianelletum. Along the Tyrrhenian coast annual vegetation
is very common and well-defined and grows especially in transition dunes. Community of
Cluster IIB was classified under the Sileno coloratae – Ononidetum variegatae, that has a
Central Mediterranean distribution. The most typical species of this association are all
therophytes: Silene canescens (=S. colorata), Ononis variegata and Vulpia fasciculata.
4. Cluster III: Asparago acutifolii – Juniperetum macrocarpae R. et R. Molinier 1955 ex
O.de Bolòs 1962, corr. race typique Géhu et al. 1990
The last group includes 60 relevés and 70 plant species. These relevés are related to the
vegetation growing in the inner part of the dune system, in the facies that is called “fixed
dune” (see Fig. 4.4); it is in general more stable and aeolian erosion or sedimentation are of
little importance. The vegetation covers the surface more or less completely and
consequently it can be interpreted as being in a more mature stage than in the outer parts of
the littoral. The association identified in this group is Asparago acutifolii – Juniperetum
macrocarpae, characterized by the dominance of the juniper (Junyperus oxycedrus subsp.
macrocarpa) and by other evergreen Mediterranean shrubs such as Pistacia lentiscus, Phillyrea
angustifolia, Rhamnus alaternus subsp. alaternus and Quercus ilex subsp. ilex, and lianas such as
Smilax aspera, Lonicera implexa subsp. implexa and Rubia peregrina subsp. peregrina. These
shrubs colonize the more pioneer macchia and seem to be in a permanent stage, further
succession to a Quercetum ilicis being hindered by the strong wind action. Most shrubs
show reduced size and the typical “flag” form caused by salt winds. Trees are almost
lacking; they become dominate in the next community (Quercetum ilicis) that forms a dense
woodland, but this association was not considered in this research. Asparago acutifolii –
Juniperetum macrocarpae has a Central – Mediterranean distribution.
5.2 COMPARISON BETWEEN MEDITERRANEAN AND ATLANTIC COASTAL
COMMUNITIES
After identifying the major communities of both study areas, we have accurately described
the characteristics of each community and of the facies that it occupies, and we have
analysed the differences of these communities and facies between Mediterranean and
Atlantic coastal areas. It is useful, during the following explanation, to refer also to Fig. 4.4.
5.2.1 Upper beach community (“haute de plage”)
The high beach zone is an extremely stressful habitat for higher plants, it is partly eroded
and bears only exceptionally halo-nitrophilous therophytes. The strand zone affords a very
192
Parte 4
hostile environment in which the plants may be splashed by seawater and take the full force
of onshore gales; both loss of substrate by erosion and burial by sand accretion are frequent
events. Strandlines are colonized by few species just because of the severity of the
environment for plant growth. A number of factors contribute to this. First, there is a marked
seasonal variation in salinity (Lee & Ignaciuk 1985). Second, the habitat is mobile and
unstable being liable to disturbance by wind and tide. Rapid accretion of sand may occur in
the vicinity of plants which can lead to burial, and wind or tide erosion can cause up-rooting
or damage. Waves action, particularly in oceanic ecosystems, can completely destroy whole
communities on beaches, but this may lead to a floating seed population for the recolonization of these or other shores (Lee & Ignaciuk 1985). Third, the porous nature of the
substrate and exposure to wind and high insolation may lead to drought. Fourth, the supply
of plant nutrients is low except in the immediate vicinity of drifted organic matter, and this
restricts the growth of strandline plants (Lee et al. 1983) and may prevent seed production.
An important characteristic of strandline plants is the ability of their seeds or fruits to float
and to withstand prolonged immersion in sea-water. On many temperate beaches which
show marked sand accretion, the sea probably provides the major seed source of annual
species. Strandline plant species tend to be sparsely distributed; they appear to be
independent of each other and capable of growing alone or in association with any of the
others. Communities of high beach may represent the earliest stages of dune succession or,
more commonly, they may be destroyed annually by equinoctial tides and winter storms.
In this research, the community of this facies is found only in the Mediterranean coastal
area. It corresponds to Cluster 0. In the Atlantic system, in fact, this community appears to be
quite fluctuating and is not always present. According to Doing (1985) there is some
confusion in the literature about the independence of ephemeral tidemark communities,
consisting of annual species. Partly this is due to the vulnerability of these communities and
to the local history of coastlines. Because of rising sea levels, a retreating coast, not
permitting the development of these communities as a well–separated zone, is the most
common situation. Even where conditions are more favourable, they often occur only in
some years, or each year in different places. However, according to Doing (1985) there are
apparently two cases in which they are missing for climatological reasons: very cold areas
(generally unfavourable for the maintenance of annuals) and areas with hot, dry summers,
which create extremely harsh conditions on the beach. In the case of Atlantic dunes, surely
the environmental factors (floods and tides) with the climatic ones play an important role in
determining the variability of this pioneer zone. As stated before, the typical association of
Mediterranean high beaches is Salsolo kali-Cakiletum maritimae that is also the dominant
community type on Italian coasts (Biondi 2007). The most frequent species of Cluster 0
correspond to characteristic species of this community such as Cakile maritima subsp.
maritima and Salsola kali, whose cover values are variable depending on the secondary
ecological factors and on the season of the year (Géhu & Biondi 1994). These major species
193
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
were accompanied sometimes by other annual species, above all Chamaesyce peplis (=
Euphorbia peplis). Because of the importance of these species, especially of Cakile maritima, it
could be interesting to say something about them.
5.2.1.1 Characteristic species of upper beach zone
Cakile maritima Scop.
Cakile maritima is a succulent, annual species that is characteristic of ephemeral strandline
communities on sandy shores in many parts of the world (Doing 1985). Annual colonisation,
through dispersal by tides and wind, is determined in part by local beach and dune
topography. Once established, C. maritima may play a role in trapping blown sand, thus
initiating foredune formation and dune succession, especially on prograding coasts. Growth
is stimulated by burial with blown sand and plants sometimes form the nuclei of early
successional foredunes. Cakile maritima exploits ephemeral sandy habitats and gaps in dune
vegetation. It competes poorly with perennial dune grasses, particularly Ammophila arenaria
and Elymus farctus. Disturbances such as fire, trampling, excavation or wind erosion, which
remove existing vegetation cover, provide opportunities for colonisation by C. maritima. It
cannot survive heavy human trampling, such as on tourist beaches. Cakile maritima is tolerant
of salt spray and transient seawater inundation. Although beach and dune sand is a meagre
source of macronutrients, it shows large growth responses to nitrogen addition and can
exploit local nitrogen enrichment associated with mineralisation of organic detritus washed
up on the strandline. Its insect- or self-pollinated flowers are self-compatible, but selfing
apparently results in comparatively low seed set (Rodman 1974; Thrall et al. 2000). The fruits
are 2-segmented: the distal segments are readily detached and can float considerable
distances in seawater; the proximal segments tend to shed their seed while attached to the
maternal plant. Dispersal can be by water (tides and sea currents) or more locally by wind.
Salsola kali L.
Salsola kali is an annual that shares its habitat with Cakile maritima. The species is windpollinated. Either the entire plant is dispersed as a tumbleweed, or the persistent winged
calyx results in wind dispersal of the attached fruits (Ridley 1930). Fruits have been reported
to float in seawater between five and four days, even though in this medium they remain
viable for at least 40 days (Ridley 1930).
Euphorbia peplis L.
Euphorbia peplis (= Chamaesyce peplis) is a type of Euphorbia, native to southern and
Western Europe, northern Africa, and southwestern Asia, where it typically grows on coastal
sand and shingle. It is a small, prostrate annual plant, the stems growing to 10-20 cm lengths.
194
Parte 4
5.2.1.2.Biological and chorological analysis
Salsolo kali-Cakiletum maritimae community is characterized by the presence of
therophytes (43%), as is shown in the biological spectrum (Fig. 4.7) of Cluster 0. Also a good
percentage of geophytes (ca. 29%) and hemicryptophytes (ca. 18%) was observed because of
high frequency of Elymus farctus subsp. farctus and Polygonum maritimum respectively.
50
43,2
40
Fig. 4.7 - Weighted biological
spectrum of the Mediterranean
upper beach community.
28,8
30
%
17,8
20
10,2
10
0,0
0
T
G
H
Ch
P
The weighted chorological spectrum (Fig. 4.8) highlights the dominance of Mediterranean
species, Eury- and Steno-Mediterranean that together reach a percentage of about 41%. The
high percentage of species with an atlantic distribution is due to the high frequency of Cakile
maritima subsp. maritima, the distribution range of which is classified as MediterraneanAtlantic in the Flora of Italy (Pignatti 1982).
30
27,1
25
20
%
16,9
17,8
16,9
13,6
15
10
Fig. 4.8 - Weighted chorological
spectrum of the Mediterranean
upper beach community.
5,9
5
1,7
it .
ra
si
at
ic
he
Co
sm
op
ol
it e
Es
ot
ic
he
Bo
re
al
i
At
la
nt
ic
he
Eu
riM
ed
Eu
St
en
o
-M
ed
it.
0
A fair number of Cosmopolitan (ca. 17%) species, such as Polygonum maritimum (a species
characteristic of the Mediterranean coast), and Eurasiatic ones (ca. 17%), such as Salsola kali,
were registered. The only exotic species included in the Tyrrhenian high beach relevés
(Cluster 0), was the annual nitrophilous Xanthium orientale subsp. italicum (= Xanthium
strumarium subsp. italicum). This is an American species of ancient introduction in Europe
(probably an archaeophyte according to Poldini et al. 2001) but according to Weber (2003) the
195
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
exact native range is obscure. We have considered this species a dubious exotic; in fact, the
subsp. italicum is probably a new entity which has evolved in southern Europe (Piva &
Scortegagna 1993).
Finally, Tab. 4.1 with percentages of taxonomic families frequencies, shows a high
percentage of Poaceae (ca. 21%) followed by Chenopodiaceae (ca. 19%) and Brassicaceae (15%);
this is due to high frequencies of Elymus farctus subsp. farctus, Salsola kali, and Cakile maritima
subsp. maritima respectively.
Families of
Frequency in
Mediterranean high
plots
beach zone
Tab. 4.1 - Percentage of frequency of
taxonomic families in the Mediterranean upper beach zone.
Poaceae
Chenopodiaceae
Brassicaceae
Asteraceae
Polygonaceae
Apiaceae
Euphorbiaceae
Cyperaceae
Fabaceae
Aizoaceae
Amaryllidaceae
Convolvulaceae
Portulacaceae
13
25
22
18
14
12
11
8
2
2
1
1
1
1
118
%
21,19
18,64
15,25
11,86
10,17
9,32
6,78
1,69
1,69
0,85
0,85
0,85
0,85
100,00
Although relevés describing this pioneer community are recorded only for the Lazio coast
(Mediterranean area), it is important to remind that along the Atlantic coast and, in
particular, Aquitaine coast, when this vegetation zone is present, it is constituted by BetoAtriplicetum arenariae. The most typical species of this association are Cakile maritima subsp.
integrifolia (= maritima), Salsola kali and Atriplex laciniata. In the Southern coast of the
Aquitaine region (Tarnos) there is a very interesting area where a good population of
Euphorbia peplis (= Chamaesyce peplis) is present; this species is considered a relict of a
Thermo-Atlantic community. Now it has nearly disappeared from Atlantic coasts due to
increasing trampling by tourists. Also along the Lazio coast the community of the strandline
is subjected to anthropic activity (especially trampling, mechanical cleaning..) and marine
erosion as well. It grows along the whole coast but with a discontinuous distribution.
Therefore, it is very important to conserve this facies and this issue concerns mainly
Mediterranean coasts. In fact, the vegetation of the strandline is included in the “Habitats”
Directive (92/43/EEC) as “Annual vegetation of drift lines” (code 1210) and is defined as
“formations of annuals or representatives of annuals and perennials, occupying
accumulations of drift material and gravel rich in nitrogenous organic matter (Cakiletea
maritimae)”. Habitats Directive (92/43/EEC) is a community legislative instrument in the
field of nature conservation that establishes a common framework for the conservation of
196
Parte 4
wild animal and plant species and natural habitats of Community importance; it provides for
the creation of a network of special areas of conservation, called Natura 2000, to "maintain
and restore, at favourable conservation status, natural habitats and species of wild fauna and
flora of Community interest".
5.2.2 Embryo dune communities (“dune embryonnaire”)
Behind the high beach the first dunes are fixed by vegetation, especially Elymus farctus or
Ammophila arenaria, where the beach is not flooded. The so-called “embryo dunes” are built
up by sand blown towards the back of the beach. These formations represent the first stages
of dune construction and are constituted by a seaward fringe at the foot of the tall dunes.
They have an intermediate position between the strand-line communities and the white
dune phytocoenoses. The embryodune sand is well aerated, but temperature and air
humidity fluctuate strongly. The low sand drifts are distributed more or less isolated from
each other over the sandy beach and are subjected to wind activity and frequently to salt
spray, and gradually accumulate piles of sand 1 or 2 m high. In this facies, indeed, salt spray
is intense and local-scale sand movements cause burial and sand blasting of vegetation. Leaf
surface abrasion by sand grains generally causes holes in the leaf surface and in combination
with salt spray, the leaf tissue dies off locally, visible as brown dips on the leaf surface
(Rozema et al. 1985).
Both along Aquitaine (Atlantic) and Lazio (Mediterranean) coasts, low embryo dunes are
occupied by a pioneer, perennial and halophilous community dominated by dune-forming
plants, in particular Elymus farctus (= Elytrigia juncea). This community shows low vegetation
cover and develops on a poor sandy substrate, with low organic matter but high salinity
content. In Atlantic and Mediterranean study areas two different associations (Euphorbio
paraliae-Elytrigetum boreoatlanticae; Echinophoro spinosae-Elytrigetum junceae) were
recognized (Cluster I and I/A rispectively). These communities differ for the presence of two
sub-species of Elymus farctus: subsp. borealiatlanticus (Atlantic coast) and subsp. farctus
(Mediterranean coast). Furthermore, the Mediterranean embryodune community is
characterized by the remarkable presence of Echinophora spinosa, a species growing on
embryo-dunes of most Mediterranean Basin coasts, from Spain to Greece and from Asia
Minor to Northern Africa; the Atlantic embryo dune community, on the other hand is
characterized by the remarkable presence of Euphorbia paralias. Other typical and
omnipresent species of Euphorbio paraliae-Elytrigetum boreoatlanticae are Calystegia
soldanella and Eryngium maritimum; these are characteristic also of the Mediterranean
embryo-dune community (Echinophoro spinosae- Elytrigetum junceae), but, in this case, a
higher number of species was registered including Sporobolus virginicus (=pungens), Anthemis
maritima, Otanthus maritimus subsp. maritimus and Pancratium maritimum. Even in this case, it
is interesting to say something about these species.
197
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
5.2.2.1 Characteristic species of embryodune zones
Elymus farctus (Viv.) Runemark ex Melderis
Elymus farctus is a perennial grass with more or less isolated stems (in general 2-4 dm high);
it produces horizontal rhizomes of potentially unlimited growth, which are long (up to 1 m)
and creeping, but relatively superficial, so that they can easily be uncovered by wind erosion
(Pignatti 1993). It is a relatively weak obstacle to the wind, and its capacity to fix the sand is
very low, consequently in this facies the dunes remain in an embryonic condition, and are
confined to the sea ward-side of major dune systems. If sand accretion is slight development
of rhizomes continues indefinitely; elongation of shoots can bring them to the surface in sand
up to about 23 cm deep. If, however, burial is very rapid, shoots are killed and rhizome
extends vertically rather than laterally until the surface is reached. This zonation may be
based on tidal inundation; for this reason Elymus farctus is more tolerant of root salinity than
Ammophila arenaria (Sykes & Wilson 1989).
Euphorbia paralias L.
Euphorbia paralias is a Mediterranean -Atlantic species and has a long taproot and thick and
tough leaves. It is characterized by good colonizing capacity, which is especially due to
extraordinary rapidity of seedling growth: they can produce roots of 10-15 cm length in only
two weeks.
Eryngium maritimum L.
Eryngium maritimum grows on sand, but often in more stabilized habitats such as dunes. It
has a root system which can reach to 2 metres in depth; as Ammophila, it is able to fix sand
dunes. Its leaves are coriaceous and spinous with a thick cuticle that allows it to withstand to
drought. Its showy flowers are likely to be insect-pollinated. Eryngium maritimum has a
sexual reproduction (by seeds). Although the spiny sepals of the fruit may indicate
epizoochorous dispersal (Thellung 1926), they do not adhere efficiently to animal surfaces
(Kadereit et al. 2005). The fruits contain a spongy tissue restricted to the commissural ridges
of the mericarps and can float in sea water for between two and four days (Ridley 1930), and
remain viable for up to 40 days (Ridley 1930; Thellung 1926). Germination is inhibited by sea
water (Ridley 1930).
Calystegia soldanella (L.) Roem. & Schult.
Calystegia soldanella is a psammophic species, native of the Circum-Mediterranean area, but
now Cosmopolitan. In fact, it grows on beach sand and other coastal habitats on the west
coast and selected areas on the east coast of North America, and across Europe into Asia also
reaching New Zealand. It is a perennial vine herb with stout, white, deeply descending,
fleshy roots and numerous prostrate branching stems forming dense patches. Barbour & De
Jong (1977) reports that Calystegia soldanella seems to survive seawater inundation better than
198
Parte 4
many other species. After seawater inundation the aerial parts at least usually die, though
the buried rhizome may survive. It is able to withstand a wide interval of salinity and
drought; in fact, its leaves are fleshy and can store water.
Sporobolus virginicus Kunth
Sporobolus virginicus is a pantropical perennial grass, 15 - 25 cm tall, with a capacity for fast
vegetative spread by stolons. It has a superficial root system and sclerophyllous,
nanophyllous leaves. It forms open communities, which are often the first colonizers of
young, primary dunes. It is also found in a variety of humid slacks and in more stabilized
communities in protected areas behind the foredunes, though much less frequent there.
Sporobolus locally forms dense populations with rather continuous cover in somewhat
moister places (probably an effect of salty groundwater). It is one of the most widespread
pioneer species.
Otanthus maritimus (L.) Hoffm. et Link
Otanthus maritimus subsp. maritimus is a halo-tolerant species that grows optimally on flat
and non-mobile sands and, therefore, where aeolian drifts are absent or not very strong.
5.2.2.2 Biological and chorological analysis
The weighted life forms spectrum
(Fig. 4.9) of Lazio and Aquitaine embryo dune
communities shows the dominance in both cases of geophytes (ca.49% and ca.61%
respectively) due to high frequency of Elymus farctus and Calystegia soldanella, and also of
Ammophila arenaria, especially in the Atlantic area. On Mediterranean embryodune
communities we registered a high presence of hemicryptophytes (23%) (such as Echinophora
spinosa and Anthemis maritima), while on the Atlantic coast a high percentage of therophytes
(17%) was observed due to the presence of Cakile maritima, that is in a more rearward
position compared to the Mediterranean area. High percentage of chamaephytes (17%in
Atlantic and 16% in Mediterranean coast) is due to elevated frequency of Euphorbia paralias in
the Atlantic area, and Medicago marina and Otanthus maritimus subsp. maritimus in the
Mediterranean one.
70
60
Fig. 4.9 - Weighted biological
spectrum
of
Atlantic
and
Mediterranean
embryodune
communities.
50
40
%
30
20
10
0
T
G
H
Atlantic
199
Mediterranean
Ch
P
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
The chorological spectrum (Fig. 4.10) shows a higher percentage of Steno-Mediterranean
(35%) in the Lazio embryo dunes community than in the Aquitaine one, where EuryMediterranean (ca. 45%), Cosmopolitan (ca. 20%) and Atlantic (16%) species are more
dominant. Among the species with Atlantic distribution registered for the Aquitaine coast,
we have included also endemics species growing just along the Atlantic coast. In relevés of
Atlantic Cluster I, in fact, we found five endemic species: Astragalus baionensis, Galium
arenarium, Hieracium eriophorum, Linaria thymifolia and Silene uniflora subsp. thorei. With
regard to the alien component, only two exotics were observed in Mediterranean embryo
dune relevés: Xanthium orientale subsp. italicum and Carpobrotus acinaciformis (from the Cape
Region of South Africa), the most threatening alien species found in Central Italy coastal
dunes and especially along the Tyrrhenian coast (Acosta et al. 2007).
50
40
Fig. 4.10 - Weighted chorological
spectrum of Atlantic and Mediterranean
embryo-dune communities.
30
%
20
10
Atlantic
Bo
re
al
At
la
nt
ic
Ex
ot
ic
t.
ra
si
Co
at
ic
sm
op
ol
it a
n
ed
i
Eu
ry
-M
Eu
St
en
o
-M
ed
it.
0
Mediterranean
Carpobrotus ssp., is generally used for ornamental purposes but now grows in a wide range
of foredune communities. It forms very close tussock carpets and often succeeds in excluding
any possible competitors. This species can cause widespread changes in plant community
structure by forming monospecific stands with no native dune species inside. It can tolerate
salt-spray, and grows in severely disturbed dunes. Carpobrotus spp. relys both on clonal
reproduction (producing stolons) and on sexual recruitment, producing hundreds of seeds
dispersed by birds (Suehs et al. 2004). Only one alien specie was observed on Atlantic
embryo dunes: Euphorbia polygonifolia (from North America); it is a annual herb with stems
usually prostrate, that is common along the Aquitaine littoral where it seems to be
naturalized (Fournier 1961). Finally, Tab 4.2 shows the percentage of frequencies of
taxonomic families in embryo dunes communities recognized by Cluster I and I/A; in both
coastal communities a high percentage of Poaceae (Elymus farctus) and Apiaceae (Eryngium
maritimum) was observed. On Mediterranean embryodune communities we registered a
higher frequency of Asteraceae (Otanthus maritimus and Anthemis maritima) than on Atlantic
200
Parte 4
ones, where, on the other hand, we observed a high percentage of Convolvulaceae (Calystegia
soldanella) and Euphorbiaceae (Euphorbia paralias).
Families of
Atlantic embryo
dune
Frequency
in plots
%
Poaceae
Convolvulaceae
Euphorbiaceae
Apiaceae
Brassicaceae
Caryophyllaceae
Asteraceae
Chenopodiaceae
Fabaceae
Polygonaceae
Cyperaceae
Rubiaceae
Scrophulariaceae
13
72
52
47
41
29
8
6
6
3
2
1
1
1
269
26,77
19,33
17,47
15,24
10,78
2,97
2,23
2,23
1,12
0,74
0,37
0,37
0,37
100
Families of
Mediterranean
embryo dune
Poaceae
Asteraceae
Apiaceae
Fabaceae
Amaryllidaceae
Convolvulaceae
Cyperaceae
Brassicaceae
Euphorbiaceae
Plantaginaceae
Caryophyllaceae
Chenopodiaceae
Polygonaceae
Aizoaceae
Dipsacaceae
Rubiaceae
16
Frequency
in plots
%
56
48
39
21
20
17
10
9
5
3
2
2
2
1
1
1
237
23,63
20,25
16,46
8,86
8,44
7,17
4,22
3,80
2,11
1,27
0,84
0,84
0,84
0,42
0,42
0,42
100
Tab. 4.2 - Percentage of frequency of taxonomic families in Mediterranean and Atlantic embryodune
communities.
Embryo dune communities are present along both study area: Atlantic (Aquitaine) and
Mediterranean (Lazio-Tyrrhenian) coasts. However, they are more threatened on the Lazio
coast because of higher levels of urbanizations, human activity and marine erosion.
Also embryo dune vegetation is included in the Habitat Directive (92/43/EEC) as
“Embryonic shifting dunes” (code 2110) and is defined as “formations of the coast
representing the first stages of dune construction, constituted by ripples or raised sand
surfaces of the upper beach or by a seaward fringe at the foot of the tall dunes”. This Habitat
was reported as a “community Habitat” both for Atlantic and Mediterranean coastal dunes.
However this Habitat (2110) includes only Atlantic embryo dunes, since it is comprised in
the sub category 21, concerning “Sea dunes of the Atlantic, North Sea and Baltic coasts”.
Therefore, if Atlantic embryo dune communities are securely included in N2000, it isn‟t the
same for Mediterranean ones; no reference to applicability in the Mediterranean area is
reported in the Directive and in the “Interpretation manual of European Union habitats”
(2003), although these communities are considered “community HABITAT” by most
countries of the Mediterranean Region, such as Italy, France, Spain and Greece (EEA 2004).
This could be an interesting debating point to analyse.
201
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
5.2.3 Mobile dune communities (“dune mobile” or “dunes blanche”)
Behind the embryodunes, in a later stage due to an increase of plant density, dunes become
coalescing and create a ridge parallel to the seashore. It is the area of a perennial herb
community dominated, both in Atlantic and Mediterranean coastal zonation, by Ammophila
arenaria. In subsequent stages of dune formation Ammophila arenaria becomes the dominant
species in an association called Ammophiletum. This community develops on a more
stabilized sandy substrate. Salinity content and salt spray are usually lower than in the
Elymus farctus community. Where Ammophila arenaria develops, the dune becomes higher,
and is then physiognomically characterized by high dune grasses. This dune-building plant,
therefore, is the key species of the community in terms of geomorphology (Jungerius & Van
der Meulen 1997) and in terms of biomass and species richness (Lemauviel & Rozé 2003).
This dune is called “mobile” or “white”. The vegetation of the white dune depends on
continuous supply of fresh sea-sand. The dune grasses, including Ammophila arenaria, are
quite capable of growing through the blown-up sand by a well-developed system of
rhizomes and roots. The dune itself grows by the continuous sand drift, and becomes an
effective wall against storm floods. A front dune ridge formed by A. arenaria usually has few
associated species, especially on the more mobile seaward slope (Huiskes 1979).
Further inland, the vegetation becomes mixed, though A. arenaria is still dominant on the
ridges. Following some authors, therefore, the Ammophiletum is often divided into “pure”
Ammophiletum, in the more heavily-accreting part of the successional stage, and “mixed”
Ammophiletum in the less mobile areas, especially leeward slopes of mobile dunes (Willis et
al. 1959). In the pure Ammophiletum, Ammophila arenaria may be almost the only species
present; other species may occur in this association but in low frequencies. In the mixed
Ammophiletum several species are associated with Ammophila arenaria which is still the
dominant species.
Along the Aquitaine coast we found the community called Euphorbio paraliaeAmmophiletum arenariae
(Cluster II) while along the Tyrrhenian coast we found
Echinophoro spinosae – Ammophiletum australis (Cluster I/B).
They are two similar
communities, where other common species in addition to Ammpohila arenaria are the
“omnipresent”, Calystegia soldanella and Eryngium maritimum, though they are more
abundant in Atlantic community. Also in this case, like for Elymus farctus, Ammophila
presents two different subspecies: along the Mediterranean coast (Lazio) we found subsp.
australis (= arundinacea) while along the Atlantic coast (Aquitaine) we found subsp. arenaria.
Furthemore, on the Atlantic coast Euphorbia paralias is again dominant on the white dune; the
same goes for Echinopora spinosa in the Mediterranean coast, even if with an inferior
frequency. Other species with high frequency in Mediterranean relevés of Cluster I/B are
Anthemis maritima, Otanthus maritimus subsp. maritimus, Pancratium maritimum and Elymus
farctus subsp. farctus. In Atlantic relevés we found: Leontodon taraxacoides, Elymus farctus
202
Parte 4
subsp. borealiatlanticus and the endemics Hieracium eriophorum, Galium arenarium and Silene
uniflora subsp. thorei.
5.2.3.1 Common species in both ecosystems: Ammophila arenaria (L.) Link
Because of the importance of Ammophila arenaria in dune building it is interesting to say
something about it. Ammophila arenaria is a tall perennial grass with a tussock habitus; it
grows most vigorously on the open habitat of mobile and semifixed dunes, where it tolerates
extreme exposure and wide diurnal fluctuation of soil temperature, which may change from
10°C at night to over 40° C at midday in summer (Willis et al. 1959). Ammophila is clearly a
species with generally high phenotypic plasticity (Gray 1985). It has a long deep-lying
horizontal system of rhizomes and robust stems up to 10 to 15 dm; basal leaves and stem are
densely tufted and form a strong obstacle to the wind, so that large amounts of sand blown
by maritime breeze are constantly being deposited on the dune surface. In this way the dune
grows, and the accumulation by wind can continue.
This mechanism is responsible for the formation of orogenic dunes, which on the
Mediterranean coast reach 5-8 m in height, while on the Atlantic one 10-15 m. Therefore,
Ammophila arenaria is very tolerant of sand mobility. It tolerates burial up to 1 m per year; the
clusters of tillers enhance sand deposition, by decreasing wind speed (Willis et al. 1959). The
plants react to burial by rapid production of elongated stem internodes. Rhizome and root
production by Ammophila arenaria tend to stabilize the mobile sand. The majority of the roots
of Ammophila arenaria extend to a depth of c. 1 m (Salisbury 1952), but roots can regularly be
found at depths of 2 m (Huiskes 1979) and even at 5 m. It is reported to be salt-sensitive, but
capable of tolerating 1% sea salt; on the other hand, Elymus farctus is reported to tolerate 67% sea salt. Huiskes (1979) reported that 1,5% sea salt in the soil was almost always lethal for
Ammophila, which, for these reasons is unable to survive repeated inundation by sea water
and is often absent from very low dunes near the sea, though it may enter the succession
very soon afterwards and form an intimate mixture with Elymus in low dunes not far from
the shore. Ammohpila arenaria does not occur on soils with a pH lower than 4,5-5 (Huiskes
1979). In mobile dunes pH is fairly constant with depth, but in fixed dunes pH increases
down the profile. Clonal spread is far more important than reproduction by seed. Ammophila
arenaria often establishes from rhizome fragments on the mobile dunes not far from the
coastline, but may also arise from seedlings, especially in more inland dunes. Growth does
not stop completely during winter months, but is very slow. The seeds are dispersed mainly
by wind action, still covered with lemma and palea. The wind blows the seeds around on the
ground together with sand. The hairs surrounding the lemma may also allow some dispersal
by animals. As stated above, Ammophila arenaria has a zone of dominance and high flowering
in the yellow fore-dune, and occurs inland into the established dune system with decreasing
frequency and apparently decreasing individual vigour. In later stages of succession
203
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
Ammophila arenaria ceases to be any important in the composition of vegetation. This decline
in vigour which Marshall (1965) named “ Ammophila problem” has attracted the attention of
ecologists for at least 100 years. Various authors ascribe the decrease in vigour of Ammophila
arenaria in the smifixed dune and fixed dunes to competition with other species for nutrients
and water (Salisbuty 1952; Willis et al. 1959). In semifixed and fixed dunes the risk of burial is
much less, and other species may then outcompete Ammophila arenaria; this superficially
rooted species is responsible for concentrating recycled nutrients in the surface layer of soils.
Marshall (1965) ascribes the decline in vigour to the lack of sand accretion in the older parts
of the dunes, by which Ammophila arenaria is deprived of the possibility of forming fresh
roots on newly-buried internodes; on the other hand, more superficially rooted species may
be present. The decline in vigour of Ammophila arenaria in fixed dunes has also been
attributed to changes in soil proprieties due to both abiotic and biotic factors (Marshall 1965;
Salisbury 1952; Willis et al. 1959). Therefore, most explanations emphasize one or other of the
group of factors relating to pedogenesis (poor aeration, mineral content deficiency), to
increased interspecific competition (for nutrients and water) or the cessation of sand
accretion.
5.2.3.2 Biological and chorological analysis
The high frequency of Ammophila arenaria and also of Elymus farctus in Atlantic ad
Mediterranean mobile dune relevés (Cluster II and Cluster I/B), explains the dominance of
geophytes in the weighted biological spectrum (Fig. 4.11) of both communities (ca. 37% in
Aquitaine relevés; ca. 47%in Tyrrhenian relevés); these are followed by hemicryptophytes
(28,5%) (GaIium arenarium, Hieracium eriophorum) and chamaephytes (ca. 23%) (Euphorbia
paralias) in the Atlantic community and hemicryptophytes (51%)
(Anthemis maritima,
Echinophora spinosa) and therophites (ca. 18%) (Silene canescens, Cutandia maritima) in the
Mediterranean one.
50
40
Fig. 4.11 - Weighted biological
spectrum of Atlantic and Mediterranean mobile communities.
30
%
20
10
0
T
G
Atlantic
204
H
Ch
Mediterranean
P
Parte 4
The weighted chorological spectrum
(Fig. 4.12) shows a higher percentage of Steno-
Mediterranean (39%) and Cosmopolitan (12%) species in the Mediterranean mobile dune
community than in the Atlantic one, where, on the other hand, we registered a high
frequency of Eury-Mediterranean (ca. 39%), Atlantic (28%) and Eurasiatic (7%) species. Also
in this case, several atlantic endemisms, which are numerous in mobile dune relevés of
Aquitaine coast, were included among the species with atlantic distribution. They are:
Hieracium eriophorum, Artemisia campestris subsp. maritima, Galium arenarium and Linaria
thymifolia.
With regard to the exotic component, we found three alien species in the Mediterranean
(Lazio-Tyrrhenian coast) mobile dune community: Carpobrotus acinaciformis and Agave
americana (from Mexico), the two most spread invasive aliens along the Tyrrhenian coast,
and Arundo donax. Arundo donax L. is an Asiatic grass spreading mainly vegetatively by stem
or rhizome fragments which are easily transported by waves. In the Atlantic (Aquitaine
coast) mobile dune community two specie were found: Yucca gloriosa and Erigeron canadensis.
The former from North America is very casual along the Aquitaine coast, and is present
especially on fixed dunes. The latter, Erigeron (=Conyza) canadensis is an annual weed, native
of North America and widespread in different European disturbed ecosystems. It is common
along the Aquitaine coast but especially on fixed dunes.
40
30
Fig. 4.12 - Weighted chorological spectrum of Atlantic and
Mediterranean mobile communities.
% 20
10
t.
ra
Co
s
s m iati
c
op
ol
it a
n
Ex
ot
ic
Bo
re
al
At
la
nt
ic
ed
i
Eu
ry
-M
Eu
St
en
o
-M
ed
it.
0
Atlantic
Mediterranean
Finally, Tab. 4.3 with percentage values of taxonomic families, highlights the dominance of
Poaceae in both mobile dune communities (Cluster II, Cluster I/B), followed by Asteraceae
(Leontondon taraxacoides and Hieracium eriophorum for the Atlantic community and Anthemis
maritima for the Mediterranean one). On the Atlantic community we registered a high
frequency of Euphorbiaceae (Euphorbia paralias), while on the Mediterranean one of Apiaceae
(Echinophora spinosae).
Along the Aquitaine coast the mobile dune community is very
common and continuous with a good state of preservation and it is well-developed; on the
other hand, along the coast of Lazio this community is present only in well-preserved areas
205
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
and its development is very discontinuous. This is due to high levels of urbanization, alien
invasion and human activities.
Families of Atlantic Frequency
mobile dune
in plots
Poaceae
Asteraceae
Euphorbiaceae
Apiaceae
Convolvulaceae
Fabaceae
Caryophyllaceae
Rubiaceae
Scrophulariaceae
Brassicaceae
Cyperaceae
Campanulaceae
Geraniaceae
Labiatae
Agavaceae
Chenopodiaceae
Polygonaceae
17
106
74
45
43
38
24
23
23
12
5
4
3
2
2
1
1
1
407
Families of
Frequency in
Mediterranean
plots
mobile dune
%
26,04
18,18
11,06
10,57
9,34
5,90
5,65
5,65
2,95
1,23
0,98
0,74
0,49
0,49
0,25
0,25
0,25
100
Poaceae
Asteraceae
Apiaceae
Fabaceae
Amaryllidaceae
Convolvulaceae
Rubiaceae
Cyperaceae
Caryophyllaceae
Euphorbiaceae
Aizoaceae
Dipsacaceae
Agavaceae
Brassicaceae
Liliaceae
Plantaginaceae
16
82
41
25
19
15
14
14
11
10
9
2
2
1
1
1
1
248
%
33,06
16,53
10,08
7,66
6,05
5,65
5,65
4,44
4,03
3,63
0,81
0,81
0,40
0,40
0,40
0,40
100
Tab. 4.3 - Percentage of frequency of taxonomic families in Mediterranean and Atlantic mobile dune
communities.
According to Géhu et al. (1984), however, mobile dune communities, in the whole
Mediterranean area, but especially in Italy, are not very developed because Ammophila
arenaria requires a greater and more constant sand alimentation. This explains also why the
embryonic dune community with Elymus farctus is more developed and common along the
Mediterranean coast than the white dune community. Also the mobile dune facies is
included in the Habitats Directive (92/43/EEC) as “Shifting dunes along the shoreline with
Ammophila arenaria”(white dunes)(code 2120) and is defined as “mobile dunes forming the
seaward cordon or cordons of dune systems of the coasts”. As before, also the mobile dune
Habitat was reported for “Sea dunes of the Atlantic, North Sea and Baltic coasts”; no
reference to applicability in the Mediterranean area is reported in the Habitats Directive and
in the “Interpretation manual of European Union habitats” (2003), although these
communities are considered “community HABITAT” by most countries of the
Mediterranean region, such as Italy, France, Spain and Greece (EEA 2004).
5.2.4 Transition dune communities (“dune de transition” or “dune semi-fixée”)
The term semi-fixed dune in particular describes a very open dune community with an
extremely low biomass compared to the mobile dune and the fixed dune (Lemauviel 2000).
206
Parte 4
Where the supply of sand decreases, the mobile (white) dunes lose their vitality. Behind the
Ammophileum, the sand supply is inferior, so that over blowing of plants does not occur. The
semi-fixed dunes, having generally a lower cover of plants, lower soil organic matter and
drier soil, are conventionally considered to be less stable than fixed dune areas.
In the transition facies on the Mediterranean coast (Lazio coast) we found two communities
Loto cytisoidis-Crucianelletum maritimae and Sileno coloratae – Ononidetum variegatae.
These two communities are very different; in fact, the former is constituted mainly by
perennial, especially chamaephytic species, among which the most typical are Crucianella
maritima, an exclusively mediterranean species and Lotus cytisoides. The latter, on the other
hand, is annual vegetation that includes a lot of theropohyte such as Silene canescens, Vulpia
fasciculata (=membranacea), Pseudarlaya pumila, Ononis variegata, Medicago littoralis. This last
annual association with different species composition is very common along the Tyrrhenian
coast; it develops on transition dunes or in a mosaic pattern with the Ammophila arenaria
community; indeed, this annual community tends to be widespread when the Ammophila
arenaria community or the Mediterranean macchia has disappeared due to disturbance. Here
species should be “opportunists”; they in fact, are capable of fast reaction to change and fast
recovery from disturbance and occur where drought or some other factor inhibits a full cover
of perennials. Most annuals growing on semifixed dunes are “winter annuals”: they
germinate in autumn and flower in spring before their habitat becomes too dry. The
Crucianelletum maritimae, on the contrary, is not very common along the Tyrrhenian coast
and its structure and floristic composition is highly compromised. The relevés of this
chamaephytic association (Cluster II/A) include both several annual species of the abovementioned association and perennial species of the Ammophiletum community, in particular
geophytic species (Ammophila, Elymus). In fact, in some parts wind erosion or anthropic
activity, can be heavy and the dune relief is chaotic through deep blowouts; the
Ammophiletum settles again, so the landscape of this zone looks often like a mosaic of plant
communities.
Along the Aquitaine littoral only one transition dune association was individuated (Cluster
III/A): Festuco juncifoliae-Galietum arenarii. It is a perennial community where, as for the
Mediterranean case, we found both a high frequency of Ammophila and of species growing
mainly in fixed dune communities (Corynephorus canescens, Carex arenaria, Helichrysum
stoechas and Jasione crispa subsp. maritima = J. montana). The most typical species of this
association are: Festuca juncifolia and, to a lesser degree, the endemic species, Galium
arenarium. However, another very important and interesting association that occupies
semifixed dunes of the Aquitaine region is the endemic Galio arenarii-Hieracietum
eriophori. In this research, through cluster analysis, this association was not observed, but
greater frequency of two endemic species was registered in cluster II, where mobile dune
relevés are included.
207
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
Fig. 4.13 shows the weighted life forms spectrum of transition dune communities of
Mediterranean and Atlantic study areas. In the comparison we have considered first the
perennial community (Crucianelletum), and then the annual community for the
Mediterranean transition dune (Fig.
4.13 a-b). The two weighted spectra are not very
different; infact, therophytes always dominate in Mediterranean transition dune
communities, whether we consider perennial (a) or annual Mediterranean communities (b).
In the Atlantic transition dune community, on the other hand, hemicryptophytes (Festuca
juncifolia), and chamaephytes (Helichrysum stoechas, Jasione crispa subsp. maritima) are
prevalent. Geophytes are present in both Mediterranean and Atlantic communities due to
high frequencies of Ammophila arenaria and Elymus farctus; in the Mediterranean area we
found other geophytes as Pancratium maritimum, Cyperus capitatus and Sporobolus virginicus.
a
b
60
50
50
40
40
30
% 30
%
20
20
10
10
0
0
T
G
Atlantic
H
Ch
T
P
Mediterranean
G
Atlantic
H
Ch
P
Mediterranean
Fig. 4.13 - Weighted biological spectrum of Atlantic and Mediterranean transition dune communities. a)
Comparison between Atlantic community and perennial Mediterranean community (Crucianelletum); b)
Comparison between Atlantic community and annual Mediterranean community.
.
Fig. 4.14 shows the weighted chorological spectrum of transition dune communities of
Mediterranean and Atlantic study areas. Also in this case we consider the two
Mediterranean transition dune communities for the comparison with the Atlantic one (Fig.
4.14 a-b). Chorological spectra are very similar and show the higher frequency of StenoMediterranean and Cosmopolitan species on the Mediterranean transition dune than on the
Atlantic one, where, on the other hand, also in this facies, Atlantic and Eurasiatic species
prevail. No alien species was registered in the Atlantic transition dune community, whereas
two species were observed in the Mediterranean community, once again, Carpobrotus
acinaciformis and Xanthium orientale subsp. italicum.
Finally, with regard to families, Poaceae, Asteraceae and Fabaceae dominate in both transition
dune communities (in this case for the Mediterranean we have considered annual and
perennial communities together) (Tab. 4.4); in the Mediterranean we observe also a higher
frequency of Caryophyllaceae (Silene sp.), while, in the Atlantic community, we observe a high
frequency of Campanulaceae (Jasione crispa subsp. maritima).
208
Parte 4
40
% 30
% 30
20
20
10
10
0
0
ry
-M
-M
St
en
o
Mediterranean
Eu
-M
Eu
St
en
o
Atlantic
t.
Co ras
s m iati
c
op
ol
it a
n
Ex
ot
ic
Bo
re
al
At
la
nt
ic
40
ed
i
50
b
ed
it.
50
ed
it.
ry
-M
e
Eu dit.
ra
Co
s
s m iati
c
op
ol
it a
n
Ex
ot
ic
Bo
re
al
At
la
nt
ic
60
Eu
a
60
Atlantic
Mediterranean
Fig. 4.14 - Weighted chorological spectrum of Atlantic and Mediterranean transition dune communities. a)
Comparison between Atlantic community and perennial Mediterranean community (Crucianelletum); b)
Comparison between Atlantic community and annual Mediterranean community.
The difference between transition dune communities of both areas (Atlantic and
Mediterranean) in addition to the presence of different species and life forms, concerns a
different structure as well. On the Tyrrhenian coast we observe above all a back dune
colonized by a carpet of annuals, and sometimes a narrow strip of chamaephytic vegetation,
namely Crucianelletum. Often this area is called grey dune, but it doesn‟t correspond to the
grey dune of Atlantic coasts, where it occupies a more fixed and stabilized zone. The
remarkable presence of annuals makes this facies very different both from the geophytic
vegetation of mobile dunes and from the macchia that colonizes the fixed dunes. The
transition dune, therefore, is very different from neighbouring communities and represents a
gap along the zonation. On the Atlantic coast, on the other hand, we found exclusively
perennial vegetation with features both of foredune and fixed dune vegetation. In this case,
the transition dune is very similar to neighbouring communities.
On the Mediterranean the transition dune is more fragmented and threatened in comparison
with the Atlantic one. The chamaephytic vegetation dominated by Crucianella maritima,
indeed, is certainty the most rare and vulnerable coastal plant association of the Lazio
Region.
Already Géhu at al. (1984) noticed a reduced floristic composition of this vegetation with
respect to the association of Mediterranean France. Due to human disturbance, especially
trampling and alteration of dune morphology, the only Crucianelletum maritimae coenosa
remaining in the northern and central Lazio coast are a few isolated clumps. In the southern
coast, on the other hand, the association has completely disappeared and has been replaced
by ephemeral communities (Maresion nanae) and grasslands with Pycnocomon rutifolium and
rare Crucianella maritima individuals. Analogous situations are also seen in other areas of
209
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
Italy; the vegetation of these typologies, therefore, is always more rarely seen and is badly
compromised by management of these beaches.
Families of Atlantic Frequency in
transition dune
plots
Poaceae
Asteraceae
Campanulaceae
Fabaceae
Caryophyllaceae
Apiaceae
Rubiaceae
Euphorbiaceae
Convolvulaceae
Plantaginaceae
Scrophulariaceae
Santalaceae
Cyperaceae
13
41
25
13
11
8
7
6
5
5
2
1
1
1
126
Families of
Mediterranean
transition dune
%
32,54
19,84
10,32
8,73
6,35
5,56
4,76
3,97
3,97
1,59
0,79
0,79
0,79
100
Tab. 4.4 - Percentage of frequency of
taxonomic families in Mediterranean and
Atlantic transition dune communities.
Poaceae
Fabaceae
Asteraceae
Caryophyllaceae
Apiaceae
Cyperaceae
Plantaginaceae
Amaryllidaceae
Rubiaceae
Dipsacaceae
Euphorbiaceae
Convolvulaceae
Brassicaceae
Cupressaceae
Liliaceae
Ranunculaceae
Iridaceae
Oleaceae
Orobanchaceae
Aizoaceae
Caprifoliaceae
Cistaceae
Linaceae
Polygonaceae
Scrophulariaceae
25
Frequency
in plots
%
134
94
59
45
32
28
20
19
17
16
12
11
10
3
3
3
2
2
2
1
1
1
1
1
1
518
25,87
18,15
11,39
8,69
6,18
5,41
3,86
3,67
3,28
3,09
2,32
2,12
1,93
0,58
0,58
0,58
0,39
0,39
0,39
0,19
0,19
0,19
0,19
0,19
0,19
100
Therefore, it is very important to conserve this facies along Mediterranean coasts. In fact,
the chamaephyte vegetation is included in Habitats Directive (92/43/EEC) as “Crucianellion
maritimae fixed beach dunes” (code 2210) and is defined as “fixed dunes of the western and
central Mediterranean, of the Adriatic, of the Ionian Sea and North Africa with Crucianella
maritima, Pancratium maritimum”. However, also grass communities of therophytes are
included in Habitats Directive as “Malcolmietalia dune grasslands” (code 2230) and are
defined as “associations with many small annuals and often abundant ephemeral spring
bloom, with Malcolmia lacera, M. ramosissima, Evax astericiflora, E. lusitanica, Anthyllis hamosa,
Linaria pedunculata, of deep sands in dry interdunal depressions of the coasts”. Semistabilized
(or transition) dune communities of the Atlantic are not considered in the Directive, but
Favennec (2002) proposed to include, among “priority Habitat”, the rare and endemic
community Galio arenarii-Hieracietum eriophori due to its patrimonial importance.
210
Parte 4
5.2.5 Fixed dunes communities (“dune fixée”)
Dune fixation implies a decrease in aeolian activity and stabilization by vegetation.
Rhizome forming plants such as Ammophila arenaria and, only on Atlantic coasts, Festuca
juncifolia, which keep up with a certain sand accumulation, play an important part and
decaying tussocks of Ammophila arenaria become a substantial source of nitrogen in the early
stages of fixed dune development. Therefore, further inland, where the vegetation is spared
from the effects of the marine aerosol, the soil gradually becomes more evolved.
Here in the Tyrrhenian coast we find Mediterranean macchia, with evergreen species,
especially shrubs and trees. Mediterranean macchia communities have higher cover values
and are less exposed to the harsh coastal conditions and sheltered from winds. These are
more protected from salt spray and have richer, moister soils. Generally it is possible to
distinguish two types of macchia: a pioneer macchia that includes, above all, short shrubs
(nanophanerophytes), and another, more developed macchia, including mostly trees. In fact,
the seaward side of the inner dunes (fixed dunes) is mainly covered by juniper shrub, while,
the inland-facing side of these dunes, on the other hand, is progressively dominated by trees
such as Phillyrea angustifolia, Rhamnus alaternus subsp. alaternus, Pistacia lentiscus and
afterwards Quercus ilex woods. In the northern coast of Lazio and in the southern part of the
river Tiber delta where complex dune systems occur, this macchia is particularly well
developed (Acosta et al. 2000a). In this research, macchia relevés relating to Cluster III/B,
refer to Asparago acutifolii- Juniperetum macrocarpae, the first community type.
Very different is the situation along the Atlantic coast. Here, behind the semifixed dune,
there is a zone, sometimes very broad, where an herbaceous community develops. This
facies is called “grey dune” (fixed dune). The grey dune is a relatively flat part of the
landscape on a well-stabilized soil with high organic matter content and short grasses with
high cover values (Lemauviel & Rozé 2003). In landscape-ecological terms grey dunes can be
considered as the dry component of the „stressed dune landscape‟ (Provoost et al. 2004). In
such a landscape, biological dynamics show a certain equilibrium between „top down‟
regulating stress factors and „bottom up‟ community succession. Dominance of top down
regulation, for instance by blowing sand, would lead towards a „dynamic landscape‟ –dunes
with Ammophila arenaria - while dominance of bottom up organization would lead to the
development of scrub and woodland (Provoost et al. 2004). Dune grassland succession is
initiated by fixation and driven by the complex of soil formation (humus accumulation) and
vegetation development. The community of the grey dunes covers the sandy soil surface
intensively by rooting the upper soil and causing the formation of a thin humus layer, thus
holding the loose dune sand and preparing the seedling bed for the dwarf bushes and pines
of the “brown” dunes. It is interesting to note that for the semifixed dunes the initial dune
substrate is not very hospitable for plant growth due to low nutrient content. Moreover, grey
dune surface exposed to the sun can heat up to more than 60 ºC and soils can dry out down
211
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
to 20 cm deep. Considering the importance of drought stress on grey dunes, climate is
determinative for grey dune development and different vegetation types can be
distinguished according to the geographical position. Their composition depends largely on
local circumstances; each segment of the European coast is after all characterized by a unique
combination of climate, geomorphology, soil and history (Prevoost et al. 2004). Also for grey
dunes we can distinguish two different types: the former is called grey dune of previous
generation or subcurrent; it represents remains of old (ancient) foredunes developed before
reforestation and off shore modelling. These grey dunes are low and exhibit a parabolic
shape. The latter type, on the other hand, is called in the gascon term: lettes grises
(sometimes “lèdes” in Gironde). This type is very common along the Aquitaine coast and it is
characterized by a flat depression, mainly dry, placed between dunal convexities (bars),
where we can observe an outer side covered with sand and an inner (inland) side totally
fixed and full of mosses and lichens. Studies and observations of the Aquitaine coast have
demonstrated that mosses and lichens build persistent populations on dunes and contribute
substantially to the biomass and help to stabilize the dune surface. In fact, by dint of their
location on the dune and their relationship with characteristic plants such as Helichrysum
stoechas, their mode of development and their sensitivity to dune dynamics, moss and lichen
populations may be considered to be biological indicators of the stable or instable character
of the dune. They sometimes cover wide areas, but maximum diversity is observed just on
“grey” dunes on the woodland frange. Moreover, the presence of a bryologic-lichenic layer
determines, togheter with Helichrysum stoechas, the grey colour of this facies. This colour is
also due to soil features; in fact, in this vegetation a thin humus layer in the upper subsoil
horizon is formed making it slightly grey.
Along the Aquitaine coast the most common species are Helichrysum stoechas, Corynephorus
canescens, Jasione crispa subsp. maritima = J. montana, Carex arenaria. Helichrysum stoechas is a
flowering plant of the daisy family Asteraceae. It grows on dry, rocky or sandy ground. The
stems are woody at the base and can reach 60 cm or more in height. Also short-lived species
such as Phleum arenarium, Cerastium sp., which help to stabilize the surface, were found. The
community determined by Cluster III/B is related to association Sileno portensisHelichrysetum stoechadis, sinendemic vegetation growing on dry dune depressions of the
Gironde-Lande area. This community is characterized in addition to the above-mentioned
species, also by Silene portensis a Spanish- Mediterranean and Atlantic species. It is
interesting to say something about these more typical species.
5.2.5.1 Characteristic species of Atlantic fixed dune
Corynephorus canescens (L.) P. Beauv.
Corynephorus canescens is an Atlantic or oceanic/suboceanic species that grows in open
sandy places with large temperature fluctuation and a detectable fluctuation in moisture
212
Parte 4
tension. This is generally a plant of substrata which are extremely low in mineral nutrient
though this is not necessarily true of its behaviour throughout the range of its distribution
(Marshall 1967). It grows vigorously where there is up to 10 cm of sand accretion per year
and where there are favourable moisture conditions. Establishment cannot take place where
accretion, at germination, exceeds 2 cm, and so plants are found less frequently where a large
amount of sand is being trapped for example by Ammophila arenaria. The adult plant cannot
withstand burial but responds to partial burial by vegetative internode elongation, a
response similar to that of A. arenaria (Marshall 1967). Corynephorus can be effectively
destroyed by burning as there are no underground parts from which regeneration can take
place; in fact, it is a non-clonal species. It is essentially a pioneer species. However,
populations are maintained on stable sand for several years on suitably dry, semi-open
habitats in the presence of lichens and some annuals species (Marchall 1967). Competition
for water takes place in the presence of Carex arenaria. It is a potentially long-lived perennial
so long as sand accretion is taking place. It is wind pollinated, probably self-compatible; their
caryopses are dispersed by wind and gravity: violent movement of the awn may serve to free
the caryopses from the glumes.
Carex arenaria L.
Another common species of Atlantic fixed dune is Carex arenaria. This species plays an
important role in stabilizing the floor of the slack between opposite arms of the parabola.
Carex arenaria is a rhizomatous perennial sedge capable of extensive vegetative growth. Like
Ammophila arenaria, it can be classed both as a hemicryptophyte and as a geophyte since buds
are not only located close to the surface but can remain viable at depths in excess of 100 cm
(Noble 1982). When the plant is buried by sand, it produces a vertical series of “stepped” or
tiered lateral rhizomes, each higher than its predecessor. While the long rhizome branches of
the juvenile phase grow into the face of a dune, extension growth eventually ceases with loss
of apical dominance leading to the production of new lateral rhizomes. It is markedly
drought-tolerant in the adult phase and also frost-tolerant (Noble 1982). As with other
perennial species of sand dunes (e.g. Ammophila arenaria (Huiskes 1979), Carex arenaria is
damaged by trampling by humans in popular holiday areas. Carex is found most often on
deep purely sandy soils, but it is also recorded in shingle and at inland sites. It is favoured by
fresh deposition of sand, but it is found on mobile sand. More often it seems to be an
indicator of past mobility of the sandy topsoil. It is a very variable plant displaying
considerable phenotypic plasticity, particularly in height. It grows in areas that are sheltered
from wind and salt spray and on soil with low organic matter content and relatively low pH.
On fixed dunes the surface pH may be as low as 6, while that at 50 cm depth remains at
about 8. Carex tolerates widely different soil condition and wide pH ranges (3-9)(Noble
1982).
213
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
5.2.5.2 Biological and chorological analysis
Comparing life forms (Fig. 4.15) of Mediterranean and Atlantic fixed dune communities,
we observe, that phanerophytes (ca. 77%) dominate in Mediterranean fixed dunes where
macchia develops, while all other life forms dominate in Atlantic grey dunes, especially
emicriptophytes (ca. 30%) such as Corynephorus canescens and chamaephytes (ca. 29%) such
as Helichrysum, Jasione crispa, Artemisia campestris subsp. maritima. Compared to
Mediterranean fixed dunes, in Atlantic ones we observed also a good frequency of
therophytes, mainly winter annuals; perhaps this is an adaptation (strategy) to summer
drought (Favennec 2002). The most common and abundant therophyte is Silene portensis.
80
70
Fig. 4.15 - Weighted biological
spectrum of Atlantic and Mediterranean fixed communities.
60
50
% 40
30
20
10
0
T
G
H
Atlantic
Ch
P
Mediterranean
Also for this facies the weighted chorological spectrum (Fig. 4.16) underlines the higher
frequency of Mediterranean species (mainly Steno-Mediterranean, 62%) in the relevés of the
Tyrrhenian fixed dune community and, on the other hand, a higher frequency of Atlantics
(38%) and Eurasiatics (14%) in the relevés of the Aquitaine fixed dune community. Here,
among the species with atlantic distribution there are many endemics of the Atlantic or only
Aquitaine region, such as: Dianthus gallicus, Galium arenarium, Hieracium eriophorum, Linaria
arenaria, Linaria thymifolia, Solidago virgaurea and Silene thorei.
70
60
50
%
Fig. 4.16 - Weighted choro-logical
spectrum of Atlantic and Mediterranean fixed communities.
40
30
20
10
t.
ra
si
at
ic
m
op
ol
it a
n
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i
Co
s
Eu
ry
-M
Eu
St
en
o
-M
ed
it.
0
Atlantic
Mediterranean
214
Parte 4
Within the Aquitaine region, therefore, grey dunes are important for conservation of Red
List species since they include many endemic species. This underlines the habitat specificity
and the international responsibility for conservation. Two alien species were registered in the
Atlantic community: Cuscuta grovi and Oenothera biennis. Both have North American origin;
the former is a parasitic plant, the latter is a biennal species that according to Fournier has
been introduced in France in 1614. It is strongly naturalized and very common along the
Aquitaine coast, where also other species of the Oenothera genus are present (as O. rosea).
Two aliens species were registreted in the Mediterranean community: Carpoborotus
acinaciformis and Erigeron canadensis (= Conyza canadensis).
Finally, with regard to taxonomic families (Tab. 4.5), we found a considerable difference
between the fixed dune communities of Mediterranean and Atlantic study area; in fact, in
Mediterranean relevés Liliaceae, Cupressaceae, Anacardiaceae, Oleaceae and Caprifoliaceae
dominate for the presence of typical macchia species, while, in Atlantic relevés, Poaceae,
Asteraceae and Caryophyllaceae are more frequent.
Families of Atlantic
fixed dune
Poaceae
Asteraceae
Caryophyllaceae
Campanulaceae
Convolvulaceae
Cyperaceae
Fabaceae
Rubiaceae
Apiaceae
Pinaceae
Polygonaceae
Euphorbiaceae
Crassulaceae
Labiatae
Brassicaceae
Cistaceae
Geraniaceae
Plantaginaceae
Scrophulariaceae
Agavaceae
Amaryllidaceae
Onagraceae
22
Frequency in
plots
147
109
51
30
17
17
17
16
14
10
10
7
4
4
3
3
2
2
2
1
1
1
468
Families of
Mediterranean fixed
dune
Liliaceae
Cupressaceae
Oleaceae
Caprifoliaceae
Anacardiaceae
Labiatae
Rubiaceae
Fagaceae
Rhamnaceae
Ericaceae
Ranunculaceae
Thymelaceae
Cistaceae
Apiaceae
Asteraceae
Araliaceae
Fabaceae
Poaceae
Santalaceae
Caryophyllaceae
Geraniaceae
Cyperaceae
Gentianaceae
Pinaceae
Myrtaceae
Hypolepidaceae
Primulaceae
Rosaceae
Aizoaceae
Brassicaceae
Dipsacaceae
Lauraceae
Plantaginaceae
Scrophulariaceae
34
%
31,41
23,29
10,90
6,41
3,63
3,63
3,63
3,42
2,99
2,14
2,14
1,50
0,85
0,85
0,64
0,64
0,43
0,43
0,43
0,21
0,21
0,21
100
Tab. 4.5 - Percentage of frequency of
taxonomic families in Mediterranean and
Atlantic fixed dune communities.
215
Frequency in
plots
%
111
67
62
54
50
44
44
40
40
32
29
29
28
24
19
18
17
16
12
9
6
5
5
5
4
3
3
3
2
2
2
1
1
1
788
14,09
8,50
7,87
6,85
6,35
5,58
5,58
5,08
5,08
4,06
3,68
3,68
3,55
3,05
2,41
2,28
2,16
2,03
1,52
1,14
0,76
0,63
0,63
0,63
0,51
0,38
0,38
0,38
0,25
0,25
0,25
0,13
0,13
0,13
100
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
Both Tyrrhenian macchia and Aquitaine grey dunes have been affected by human activity.
In the former case, this has occurred with a strong urbanization that has concerned the inner
area of coastal dune causing, in numerous areas of Lazio coast, the fragmentation or the
disappearance of this vegetation type. In the latter case, the reforestation of the 18th century
and the mechanic calibration of the period between 1960-1980s have played a prominent
role. Atlantic grey dune conservation is of international importance due to the limited range
of the characteristic flora and vegetation. Its importance is reflected in the designation as a
priority habitat in the EU Habitats Directive. In fact, grey dunes, defined as „fixed coastal
dunes with herbaceous vegetation (grey dunes)‟ (code 2130) in the CORINE biotope
classification, are considered a priority in the Annex I of the EU Habitats Directive. The same
goes for pioneer macchia with juniper shrubs that colonize Tyrrhenian fixed dunes; in fact, it
too is included in the EU Habitats Directive as ” Coastal dunes with Juniperus spp.” and
classified as “priority Habitat” in the Annex I. This status implies that both grey dunes and
Mediterranean macchia deserve special conservation attention.
5.3 TOTAL FLORISTIC COMPARISON BETWEEN MEDITERRANEAN AND
ATLANTIC COASTAL DUNES
5.3.1 Species richness
Through phytosociologic relevés of Mediterranean (Lazio-Central Italy) and Atlantic
(Aquitaine - SW France) coastal dune vegetation we registered 140 species for Lazio coastal
communities and 67 for Aquitaine ones. Therefore, a higher specific richness was found on
Mediterranean coastal dunes. This could be due to the high variability of the Mediterranean
coastal landscape compared to the Atlantic one or alternatively to higher human disturbance.
Fig. 4.17 shows the trend of species richness in each facies of Mediterranean and Atlantic
coastal areas. In particular, we can observe a similarity of trend relatively to the first two
facies corresponding to the foredune, with an increase of number species from embryo to
mobile dunes; on the other hand, we notice a different trend in transition and fixed dunes. In
the Mediterranean area, the transition dunes is the richest facies, while on the Atlantic dune
the fixed dune is the richest habitat of the zonation. The occurrence of a high number of
species on the Mediterranean transition dune is due to the presence of a rich community of
annual grasses, but the decrease of species on the Atlantic transition dune is not clear. In fact,
we expected a positive trend in species richness from embryo to fixed dunes, as found in
other studies. This can be due to a smaller number of transition dune relevés and to high
frequency of Ammophila in inland facies too.
216
Parte 4
100
78
80
N° species
70
60
51
39
40
29
20
35
24
21
0
Embryo
Mobile
Atlantic
Transition
Fixed
Mediterranean
Fig. 4.17 - Species richness in each facies of Mediterranean and Atlantic coastal area.
5.3.2 Phytogeographical differences
Twenty species are in common between the two areas and generally these are typical
species of foredune communities (understood as embryo and mobile dunes) such as Cakile
maritima, Calystegia soldanella, Eryngium maritimum, Otanthus maritimus, Pancratium
maritimum, and Elymus farctus and Ammophila arenaria that are present with different subspecies. Some of these species have been analysed accurately in various studies in
biogeographical and genetic terms, like for example Cakile maritima.
Cakile maritima Scop.
Cakile maritima is essentially a European species (Fig. 4.18a). At least four subspecies have
been recognised in Europe, differing mainly in fruit and leaf shape: ssp. integrifolia (= ssp.
maritima); ssp. baltic of the Baltic and south-east Norway; ssp. aegyptiaca of the
Mediterranean; and ssp. auxina of the Black Sea (Fl. Eur. 1 edn 2). The ssp. aegyptiaca is
extremely variable and doubtfully distinct from ssp. integrifolia (Ball 1964; Rodman 1974; Atl.
Fl. Eur.), that, in turn forms a virtual continuum with the other subspecies (Ball 1964). C.
maritima ssp. integrifolia (= C. maritima subsp. maritima) is found from arctic Norway (69°N),
all the way around the Atlantic, North Sea and Mediterranean coasts of Europe (Davy et al.
2006). It shares part of its distribution in the Mediterranean region and south Portugal with
the doubtfully distinct ssp. aegyptiaca (Fl. Eur.). We have considered Cakile maritima to belong
to the same sub-species for both coastal systems examined in this study; in fact in the recent
Checklist of Italian Flora (Conti et al. 2005) it is reported as Cakile ssp. maritima, the same
subspecies of the Atlantic. However the distinction between these subspecies is not very
clear and many authors for long time have talked about the presence on Meditrranean coasts
of ssp. aegyptiacae and have called the community of upper beach Salsolo-Cakiletum
aegyptiacae (Géhu et al. 1984).
217
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
It has been observed that the natural distribution of strandline species of the genus Cakile
implies that Cakile maritima Scop. evolved after the Tethys Sea close (Scandone 1975) in
Pliocene times (Davy et al. 2006). Cakile was probably one of the first members of re-invasion
floras after successive glaciations, and the specialisation of northern forms could be a result
of rapid radiation into previously uninhabitable areas (Davy et al. 2006). Analysis of genetic
variation has suggested a reconstruction of the glacial and postglacial phylogeography of
Cakile maritima (Clausing et al. 2000). Comparison of material from 21 locations around the
coast of Europe revealed two clusters, from the Atlantic and Mediterranean, separated by a
genetic distance of 0.037 (Clausing et al. 2000). This pattern may represent recolonisation
from distributions separated during the Würm glacial (Davy et al. 2006). In another work,
Kadereit et al. (2005) investigated the phylogeography of five flowering plants (Cakile
maritima, Eryngium maritimum, Salsola kali, Halimione portulacoides and Crithmum maritimum)
widespread along the European coasts across their entire European range. Also in this work
it was observed that Cakile maritima contains a distinct Atlantic Ocean/North Sea/Baltic Sea
cluster clearly separate from the Mediterranean material. (Fig. 4.18b; Fig. 4.19c). Moreover, a
distinct Baltic Sea subcluster was found, and in the western Mediterranean, two species
groups can be recognized; a difference was found between Tyrrhenian and Adriatic Italian
coasts (Fig. 4.18b; Fig. 4.19c).
Cakile maritima presents also a different morphology in different areas of Europe (Fig.
4.18c). A detailed description and interpretation of the morphology of this species are given
by Wright (1927). The more or less glaucous leaves tend to be oblong with a deeply serrated
outline and tapering towards the base. However, leaf shape is variable, becoming more
pinnatifid towards the south and east of Europe (Ball 1964); this cline of increasing leaf
dissection may reflect selection for favourable thermal balance, with less transpiration, under
higher irradiance during hotter, drier summers. Leaves produced early, or under adverse
environmental conditions, tend to remain less pinnatifid. Moreover, considering that fruits
or seeds of this species show adaptations to dispersal by sea water, that all can float in sea
water and remain viable there, and that its distribution range is essentially continuous,
authors (Kadereit et al. 2005) conclude that dispersal of seeds and fruits by sea-water is of
overriding importance in shaping the genetic structure of geographical ranges. On a larger
scale, it tolerates climates ranging from arctic to Mediterranean, reflecting its latitudinal
distribution.
Eryngium maritimum and Salsola kali
Also for other species the geographical distribution has been studied on the basis of genetic
analysis, including Salsola kali, which we found in our Mediterranean coast relevés, and
Eryngium maritimum, common to both Mediterranean and Altantic costal relevés.
218
Parte 4
a
c
b
Fig. 4.18 - a) The European distribution of Cakile maritima s.l.. b) Geographical distribution of samplig localities
and clusters of Cakile maritima individuals. Different colours indicate genetically different groups. c) Variation in
the leaf shape of Cakile maritima originating from around the coasts of Europe (from Kadereit et al. 2005 e Davy et
al. 2006).
Fig. 4.19 shows the geographical distribution of genetically different groups of Eryngium
maritimum and Salsola kali individuals carried out by Kadereit et al. (2005) and also a scheme
of the genetic distances and percentages of variation among regions for Cakile maritima,
Eryngium maritimum and Salsola kali. Both species contained a distinct Atlantic Ocean/North
Sea/Baltic Sea cluster clearly separate from the Mediterranean material and contained a
distinct Black Sea/Aegean Sea cluster. Salsola kali, unlike Eryngium maritimum, contained also
a distinct Adriatic Sea cluster or group of genetically very similar clusters (Fig. 4.19b).
219
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
a
b
Salsola kali
Eryngium maritimum
c
Fig. 4.19 - Genetic differentiation among geographical regions of Eryngium maritimum (a) and Salsola kali (b).
Different colours indicate genetically different groups. c) Isolation-by-distance within geographical regions; the
percentages of variation partitioned among regions (bold) are indicated between regions, and correlations
between geographical and genetic distances below regions. Significance is indicated by *0.05 > P > 0.01, **0.01 > P
> 0.001, ***P <0.001. (from Kadereit et al. 2005) .
Elymus farctus and Ammophila arenaria
Elymus farctus and Ammophila arenaria are present with two different subspecies in Atlantic
and Mediterranean coasts. This last species plays a major role in stabilizing mobile and
semifixed dunes in continental Europe and, ad for this reason, it has been introduced, as an
exotic, into almost every part of the world (North America, Australia, Africa…), with a
serious impact on coastal dune biodiversity (Wiedemann & Pickart 1996). It has a
distribution, both natural and human-induced, that lies roughly between 32° and 60° on both
sides of the equator. So, it has a continuous distribution from subpolar in the North to full
Mediterranean in the South; only a few upper beach species with global distributions share
this characteristic (Wiedemann & Pickart 2004). In Europe, with its long history of planting
220
Parte 4
the species widely for “coastal defence” Ammophila arenaria is found on all coastal dune areas
of the European temperate zone (Huiskes 1979). It occurs along all European coasts south of
latitude 63 °N. The ssp arenaria grows along the coasts of the North Sea, the Baltic and the
Atlantic as far as central Portugal (Fl. Eu.); the ssp. arundinacea (=subsp. australis),on the
other hand, is found from central Portugal southwards, and along the Mediterranean and
Black Sea coasts. It has, unlike ssp. arenaria, more rigid and pointed leaves, a longer,
narrower and less dense panicle, glumes which barely exceed the lemma and palea, and the
hairs surrounding the base of the lemma about half as long the lemma. Its northern-most
occurrence seems to be southern Finland at 60° N (Hellemaa 1998).
5.3.3 Comparing the whole vegetation zonation
Analysing Mediterranean and Atlantic total species, we observed, with regard to
taxonomic families (Tab. 4. 6) a high frequency in both study areas of families with wide
distribution such as Poaceae, Asteraceae and Apiaceae. However, in Tyrrhenian coast
communities we found a higher percentage of Fabaceae compared to the Atlantic where, on
the other hand, we notice a higher frequency of Convolvulaceae. In the former case, this is due
to good frequency of species of the genus Medicago and Trifolium, and in the latter case,
instead, to high occurrence of Calystegia soldanella.
The weighted life forms spectrum (Fig. 4.20) of total Atlantic (Aquitaine) and
Mediterranean (Lazio) communities species shows a higher frequency of geophytes (33%),
hemicryptophytes (25%) and chamaephytes (24%) along the Atlantic coast compared to the
Mediterranean one, where there is a higher percentage of phanerophytes (33%) and
therophytes (21%). In fact, a drier climate and the presence of a shrubby community,
Mediterranean macchia, which grows on fixed dunes, determine this result. Fig. 4.21 shows a
different trend of life forms in the two coastal ecosystems. It is interesting to observe the
different structure of transition and fixed dunes between Mediterranean and Atlantic coast
areas.
On the Mediterranean transition dune therophytes dominate, while on the Atlantic one the
perennial life forms of hemicriptophytes, chamaephytes and geophytes are more common. In
Mediterranean fixed dunes, then, phanerophytes dominate, while in Atlantic we observe a
good percentage of hemicriptophytes, chamaephytes, geophytes and also of therophytes
(Fig. 4.24).
221
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
Families of
Atlantic coastal
dune
Poaceae
Asteraceae
Convolvulaceae
Apiaceae
Euphorbiaceae
Caryophyllaceae
Fabaceae
Campanulaceae
Rubiaceae
Brassicaceae
Cyperaceae
Scrophulariaceae
Polygonaceae
Pinaceae
Chenopodiaceae
Labiatae
Crassulaceae
Geraniaceae
Plantaginaceae
Cistaceae
Agavaceae
Amaryllidaceae
Onagraceae
Santalaceae
24
Frequency in
plots
%
369
215
112
106
105
90
57
46
46
37
23
16
13
10
7
6
4
4
4
3
2
1
1
1
1278
28,87
16,82
8,76
8,29
8,22
7,04
4,46
3,60
3,60
2,90
1,80
1,25
1,02
0,78
0,55
0,47
0,31
0,31
0,31
0,23
0,16
0,08
0,08
0,08
100
Families of
Mediterranean
coastal dune
Poaceae
Asteraceae
Fabaceae
Apiaceae
Liliaceae
Rubiaceae
Cupressaceae
Caryophyllaceae
Oleaceae
Cyperaceae
Caprifoliaceae
Amaryllidaceae
Anacardiaceae
Labiatae
Convolvulaceae
Rhamnaceae
Fagaceae
Brassicaceae
Euphorbiaceae
Ranunculaceae
Ericaceae
Thymelaceae
Cistaceae
Plantaginaceae
Chenopodiaceae
Dipsacaceae
Araliaceae
Polygonaceae
Santalaceae
Aizoaceae
Geraniaceae
Pinaceae
Gentianaceae
Myrtaceae
Rosaceae
Primulaceae
Hypolepidaceae
Scrophulariaceae
Orobanchaceae
Iridaceae
Agavaceae
Portulacaceae
Linaceae
Lauraceae
44
Frequency in
plots
%
313
181
153
131
115
76
70
66
64
56
55
55
50
44
43
40
40
40
34
32
32
29
29
25
24
21
18
15
12
7
6
5
5
4
3
3
3
2
2
2
1
1
1
1
1909
16,40
9,48
8,01
6,86
6,02
3,98
3,67
3,46
3,35
2,93
2,88
2,88
2,62
2,30
2,25
2,10
2,10
2,10
1,78
1,68
1,68
1,52
1,52
1,31
1,26
1,10
0,94
0,79
0,63
0,37
0,31
0,26
0,26
0,21
0,16
0,16
0,16
0,10
0,10
0,10
0,05
0,05
0,05
0,05
100
Tab. 4.6 - Percentage of frequency of taxonomic families in Mediterranean and Atlantic coastal zonation.
222
Parte 4
35
30
25
Fig.
4.20
Weighted
biological spectrum of Atlantic
and Mediterranean coastal
zonation species.
20
%
15
10
5
0
T
G
H
Atlantic
Ch
P
Mediterranean
140
120
100
T
80
G
H
60
Ch
Fig. 4.21 - Mediterranean
biological forms trend along
the coastal zonation.
P
40
20
0
Embryo
Mobile
Transition
Fixed
The weighted chorological spectrum of total species (Fig. 4.23) confirms the results
obtained for each community analysed: a higher percentage of Atlantic (ca. 31%) and
Eurasiatic (ca. 10%) species along the Aquitaine coast and more Steno-Mediterraneans (50%)
along the Tyrrhenian (Lazio) coast.
60
50
Fig. 4.23 - Weighted choro-logical
spectrum
of
Atlantic
and
Mediterranean coastal zonation
species.
40
% 30
20
10
t.
ra
si
at
ic
m
op
ol
it a
n
Ex
ot
ic
Bo
re
al
At
la
nt
ic
ed
i
Co
s
Eu
ry
-M
Eu
St
en
o
-M
ed
it.
0
Atlantic
Mediterranean
223
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
With respect to the alien component we registered five exotics both in the Atlantic coastal
area (Cuscuta gronovii, Oenothera biennis, Euphorbia polygonyfolia, Conyza (=Erigeron) canadensis,
Yucca gloriosa) and in the Mediterranean one (Agave americana, Carpobrotus acinaciformis,
Arundo donax, Conyza (=Erigeron) canadensis, Xanthium orientale subsp. italicum). However,
the phytosociological approach probably underestimates the alien component of the flora.
For relevés of Aquitaine communities, among the species with atlantic distribution, several
endemic species growing along the Atlantic coast are included; they are in total 12 and are
indicated in Tab. 4.7. These species, except Galium arenarium, Artemisia campestris subsp.
maritima and Festuca vasconensis, are all protected species, at national or regional level. For
the Mediterranean study area (Lazio coast) we observed no endemic species in the relevés
and no species is included in Red Lists neither at the national nor at the regional level; only
five species are reported by the Lazio Regional law (LR. N.61, 19/9/1974) as species to
preserve (Tab. 4.7).
Species
Alyssum arenarium Loisel. (= A. loiseleuri P. Fourn.)
Astragalus baionensis Loisel.
Dianthus gallicus Pers.
Eryngium maritimum L.
Chamaesyce peplis (L.) Prokh. (= Euphorbia peplis L.)
Hieracium eriophorum St Amans
Linaria arenaria DC
Linaria thymifolia (Vahl) DC.
Otanthus maritimus (L.) Hoffm.et Link
Pancratium maritimum L.
Silene portensis L.
Silene uniflora Roth subsp.. thorei (Duf.) Jalas
Solidago virgaurea L. subsp. macrorhiza (Lange) Nyman
Thesium humifusum DC.
Ammophila arenaria (L.) Link ssp. australis (Mabille) Laínz
Atriplex tatarica L.
Imperata cylindrica (L.) P. Beauv.
Senecio leucanthemifolius Poir.
National French
Law (28/1/82France Red
Endemic
31/8/85)- Annexe I List (1995)
or II
x
I
x
I
x
I
x
x
x
Regional
Regional
protection in Lazio law
Aquitaine
(L.R. N.61
(8/3/2002)
19/9/1974)
II
I
I
x
Tab. 4.7 - Threatened and rare species of Mediterranean and Atlantic coastal dunes.
5.3.4 Something about rare and endemic Atlantic species
Hereafter, we report the European distribution of two atlantic endemic species, Dianthus
gallicus and Silene uniflora subsp. thorei, with some information about them, and also the
French distribution and information of others rare and preserved species of the Aquitaine
area.
224
Parte 4
Silene uniflora Roth subsp. thorei (Duf.) Jalas (= Silene thorei Duf.)
Silene uniflora Roth subsp. thorei is a endemic
species with limited distribution. In France it develops
from South of Vendée to Pays Basque (Favennec 1998).
It is common in Aquitaine and grows especially on
embryo and mobile dune, withstanding a strong sand
burial. Its name is related to a botanist of the Lande
region, J. Thore (1762-1823). Map from Atl. Fl. Eur.
(Tutin et al. 1967-1993).
Silene portensis L.
Spanish-Mediterranean and Atlantic species, it is
distributed from Southern Landes to the Vendee coast,
and is very common along the Aquitaine coast and very
rare in Charente –Maritime. It grows in semifixed and
fixed dunes communities. Its name derives from Porto,
where it has been observed by Linnaeus (Favennec
1998). Map from Atl. Fl. Eur. (Tutin et al. 1967-1993).
225
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
Hieracium eriophorum St. - Amans
Hieracium eriophorum is a hemicryptophyte, endemic
of the SW French coast. It has a limited distribution
growing from Landes, where it is relatively common, to
Gironde and Pyrenees Atlantic. It is typical of semi-fixed
dunes, where it characterizes the endemic association,
Galio arenarii - Hieracietum eriophori. It is considered
Vulnerable (VU) at global and national (France) level.
Map from Livre rouge de la flore menacée de France (1995)..
Linaria thymifolia (Vahl) DC.
Linaria thymifolia is a hemicryptopyte, endemic to
the Aquitaine littoral (Favennec 1998), from Atlantic
Pyrenees to l‟ile d‟Oléron. It is well represented
along Landes and Gironde coasts. It grows especially
on mobile dunes and is a pioneer in not much
vegetated sand dunes. It is considered Rare (R) at
global and national (France) level. Map from Livre
rouge de la flore menacée de France (1995).
226
Parte 4
Solidago virgaurea L. subsp. macrorhiza (Lange) Nyman
Hemicryptophyte and French-Spanish (Pays Basque,
SW-France) endemic species. It grows especially in
semifixed and fixed dune communities. It is
considered Rare (R) at world level, and Vulnerable
(VU) at national (France) level. Map from Livre Rouge
de la flore menacée de France (1995).
Dianthus gallicus Per.
Dianthus gallicus is an endemic FranceSpanish Mediterranean species, very common
in the Southern Landes. It grows especially in
the semi-fixed and fixed dunes (dune grise).
Map from Atl. Fl. Eur. (Tutin et al. 1967-1993).
Astragalus baionensis Loisel.
Astragalus baionensis is an endemic of the Atlantic
French-Spanish coast (Guinochet & Vilmorin 19731984), from Pay Basque to Charente-Maritime and
South Finistère. It is well represented in Landes,
where it grows especially in mobile and semifixed
dunes, in the Galio-Hieracietum community.
227
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
6. CONCLUSIONS
For both Atlantic and Mediterranean coastal dunes, classification and ordination
techniques provide a well-defined spatial distribution of plant communities, individuated
through the phytosociological method. We have identified four main communities along the
sea-inland gradient of the Aquitaine (Atlantic) study area; these correspond to facies
developing along the zonation and called: embryo, mobile, transition and fixed dunes.
Along the Mediterranean coast of Lazio, we have identified six main communities due to the
presence of a strandline (high beach) community (not observed on the Atlantic coast) and of
two different typologies of transition dunes communiies, one chamaephytic (Crucianelletum)
and the other therophitic (annual plant grasses) community.
A clear difference between the two coastal dune systems (Atlantic and Mediterranean)
emerged and, this is observed not only at the floristic and chorological level, but also at a
structural one. This difference concerns almost exclusively the transition and fixed dune
communities compared to foredunes. Here, indeed, many common species were observed;
and, also if foredune communities are not the same, they are very similar at a floristic and
structural level. In fact, biological spectra are similar for embryo and mobile dunes of the two
ecosystems; chorological spectra, on the contrary, are different with a higher presence of
species with western distributions (atlantic) along the Atlantic coast than in the
Mediterranean one, where Mediterranean species (especially Steno-) dominate. At the
phytogeografic level, so, the foredune of Mediterranean and Atlantic coasts are different.
Moving toward the inland, the difference between the two coastal systems are more evident
and become greatest on fixed dunes, that are occupied, on the one side by shrubby
Mediterranean pioneer macchia, and on the other, by an herbaceous perennial community,
with a good presence also of therophytes growing on Atlantic grey dunes. The biological
spectum and also the chorological spectrum are different; we can say that at the functional
and phytogeographical level back-dunes (transition and fixed dunes) are different. We will
deal with this functional feature in the following part of this study.
The similarity at the floristic and coenologic level of foredune communities, has been found
in many previous studies (e.g. Doing 1985) that took into consideration different coastal
areas. This similarity could have been determined especially by biogeographical and
dispersal events, that have acted as “filter” leading to current species distribution.
Phytogeopraphical studies have examined this aspect, also through genetic analysis, to
identify the differences and to reconstruct the distribution of main species common to both
coastal ecosystems (e.g. Cakile maritima). Some authors, then, have examined the importance
of hydrochory dispersion to explain their continuous distribution along European coasts.
Comparing Mediterranean and Atlantic coastal dune communities we found a higher
species richness in the Mediterranean than in the Atlantic study area, where, on the other
hand, we registered a higher frequency of endemic species that are almost absent along
228
Parte 4
Tyrrhenian coastal dunes and generally along all Italian sandy coasts. Here, in fact, endemic
species are found exclusively on rocky coasts. The Aquitaine littoral, instead, is rich of
endemic species because of its geological history and particular environmental
characteristics. These species often are well developed and even form endemic plant
associations such as Galio arenarii-Hieracietum eriophorii. With regard to alien species, in both
Mediterranean and Atlantic communities, few aliens were registered. Phytosociological
method, indeed, allows to identify main natural communities and, so, it is generally carried
out in well-preserved areas (where there are generally few exotics). The aim of this part of
the research is not to analyse alien species distributions in Mediterranean and Atlantic
coasts, but to identify the main communities of coastal zonation and their typical species. To
analyse alien distribution another method would have been more appropriate, such as
random sampling or the homogeneus floristic census. However, we can assert that, also
according to what stated above, the Tyrrhenian coast, as most of Mediterranean coasts, is
affected by aliens invasion that, sometimes, becomes a threat to native species biodiversity.
Among the most invasive species of the Tyrrhenian coast, we mentioned Agave americana and
Carpobrotus sp.; the latter has been registered also in each community of the zonation that we
have analysed through the phytosociological method. On the Aquitaine coast, on the other
hand, we generally observed generally the presence of few invasive exotics. The most
frequent, are, also in more preserved areas, Oenothera biennis and Euphorbia poligonifolia, that
are considered as naturalized in this area.
All Mediterranean andAtlantic coastal communities that we analysed are threatened by
more or less serious impact. Foredune communities of both areas are subjected above all to
trampling, mechanical cleaning and marine erosion. The back-dune, on the other hand, is
interested by tramping and other human activities such as urbanisation, tourist impact,
forestation… Lazio coasts, however, are subjected to a higher level of urbanisation, although
there are also coastal nature reserves. Unlike the Atlantic coast, where coastal conservation
areas managed by ONF (Office National des Forêts) cover many hectares, including wide
pinewoods, along the Mediterranean these conservation areas are smaller and more
fragmented by urban centres and industrial and tourist units. Anyway, the fragility of
coastal dunes and their plant communities has been recognized by the European Community
including, among Community Habitats (Directive 92/43/EEC), almost all coastal
communities both in the Mediterranean and in the Atlantic area, although there are still
some doubts, as we have mentioned before. Among Community Habitats classified in the
Annexe I of the Habitats Directive as “priority” habitats there are the communities of
Atlantic fixed dunes (grey dunes with herbaceous vegetation) and of Mediterranean fixed
dunes (Juniper formations code 2250). This status implies that these communities deserve
special conservation attention. Therefore it is useful to focus on the ecology of these
landscapes and their vegetation and to discuss the contribution of ecological research to
conservation strategy, management and monitoring. A careful phytosociological analysis of
229
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
the coastal biotopes allows the recognition of these microhabitats in which plant
communities are found, defining them according to their exact floristic composition, along
with the variation in ecological factors that characterise their ecological niche. The
associations that are found under these conditions are typically stenotope, being
characterised by a limited ecological valence. They can therefore be considered to be very
good bioindicators, as their distribution reveals the complexity of the sites in which they live
and allows the characterisation of these in ecological terms (Biondi & Géhu 1994; Biondi
2007).
230
Parte 4
PART B
FUNCTIONAL ANALYSIS
231
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
7. MATERIALS AND METHODS
In order to analyse the functional diversity of Mediterranean and Atlantic coastal areas
(Lazio and Aquitaine coast respectively), we firstly identity the main Plant Functional Types
of coastal dune environments and, in particular, of Mediterranean and Atlantic dunes,
examining overall differences and similarities between them. Secondly, we investigate the
plant traits specifically of coastal dune species growing in the major facies of zonation
(foredune, transition dune and fixed dune) and then compare traits values between the two
coastal systems (Mediterranean and Atlantic) and along their respective sea-inland
gradients.
7.1 SPECIES AND PLANT TRAITS SELECTION
In order to compare on the community level the morphological and functional traits and to
identify the main PFTs of Atlantic and Mediterranean coastal dunes, the most common and
abundant species (entities) of the communities of each ecosystem were selected, on the basis
of previous studies and of published vegetation relevés (used for the described floristiccoenologic analysis), with indications of their position along the coastal zonation (Favennec
et al. 1998; Acosta et al. 2003b; Stanisci et al. 2004; Acosta et al. 2005; Forey et al. 2007; Izzi et al.
2007). We selected species that collectively made up at least 80% of the maximum standing
live biomass of each community. This threshold should ensure a satisfactory description of
community properties in relation to ecosystem processes (Garnier et al. 2004; Garnier et al.
2007; Pakeman & Quested 2007).
In this way 95 species were chosen (47 of the Mediterranean and 48 of the Atlantic coast).
Among the selected species 10 are common to both ecosystems; these are almost always
typical species of the foredunes. Specifically, in several cases the species are the same but
they are represented by different subspecies with distributions, respectively more Atlantic in
or more Mediterranean (for example Ammophila arenaria, Elymus farctus). For this reason and
in order to compare traits of the species common to both ecosystems as well, we preferred to
maintain them as separate entities.
We then selected fourteen plant traits. The choice of the traits is of great importance
(Westoby & Leishman 1997). We therefore selected those characters that are strongly
predictive and indicative of the strategies of the species necessary to survive in such harsh
and instable environments. For the selection of the morphological-functional traits we
considered the following criteria: 1) we chose traits that are available from floras, herbaria or
from field observations; we therefore specifically selected “soft traits” (Hogdson et al. 1999);
2) we chose characters that are linked to the regenerative and life -cycle -stabilizing phases of
the plant and to plant responses to harsh environments (Pausas & Lavorel 2003; Grime 2001;
Rodgers & Parker 2003), such as coastal dune ecosystems. Selected traits included following
232
Parte 4
quantitative or continuous variables: SLA (Specific Leaf Area), LDMC (Leaf Dry Mass
Content), canopy height, seed mass and C/N (Carbon/Nitrogen ratio); and following
qualitative or categorical variables: life form, growth form, leaf persistence, leaf texture,
clonality, pollination system, dispersal mode, flowering phenology and plant lifespan. These
traits were assigned to the selected species. Data on traits were obtained partly through
direct observation on the field and measurement (all continuous traits) and partly through
bibliographic research. Moreover we consulted numerous scientific publications that
referred to both morphological and functional traits of the plant species considered in this
study. In most cases, we adopted the trait categories suggested by the methodological
protocol proposed by Cornelissen et al. (2003). In the case of quantitative variables, each
attribute was obtained from measurement of at least 10 replicate samples per species. Only
individuals growing on well-conserved coastal areas of both ecosystems were considered.
Tab. 4.8 shows the single traits used in the functional analysis and the respective attribute
classes.
7.2 DATA ANALYSIS
7.2.1 Identification of Plant Functional Types in Mediterranean and Atlantic
coastal dunes
In an exploratory phase, correlations between the traits were examined using Spearman
rank correlation coefficients calculated between continuous (quantitative) traits. The
relationships between continuous (quantitative) and discrete (qualitative) traits were
assessed by means Kendall‟s tau b and the association between qualitative traits was
determined with the Pearson Chi2 test-statistic. Next, in order to identify major plant
functional types in Mediterranean and Atlantic coastal dunes, we organized the data into a
single 12 traits (all traits except C/N and plant lifespan, see Tab. 4.8) x 95 vascular plant taxa
matrix. An Ordination and Cluster Analysis was then applied to this matrix.
As a first step, an ordination method computes the row scores of the input data table. In a
second step, cluster analysis is used on these row scores to obtain groups and provide a
dynamic exploration of the clusters on the factor maps. For ordination we applied a Multiple
Correspondence Analysis (MCA) (Legendre & Legendre 1998) that is a simple
correspondence analysis carried out on an indicator (or design) matrix with cases as rows
and categories of variables as columns. This method is particularly appropriate for the
synthetic description of the structure of the data. MCA allows the use of both quantitative
and qualitative variables and allowed us to explore the relationships between a large set of
variables of different nature, as they are all coded into modal variables.
233
Continuos
traits
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
Traits
Canopy height
SLA
C/N *
LDMC
Seed mass
Growth form
Categorical traits
Life form
Vegetative propagation
(Clonality)
Leaf texture
Leaf persistence
Plant lifespan*
Pollination system
Dispersal mode
Flowering phenology
Categories
cm
mm2/mg.
% values ratio
mg/g.
g.
5 classes: 1. Short basal; 2. Long-semibasal; 3. Erect leafy; 4. Cushions, tussocks and dwarf
shrubs; 5. Shrubs, trees and climbers.
5 classes: 1. Phanerophyte, 2. Chamephyte, 3.
Hemicryptohyte, 4. Geophyte, 5. Therophyte
2 classes: 1. Non-clonal, 2. Clonal
M
M
M
M
M
F-O
F
F-O
4 classes: 1. Succulents, 2. Malacophyllous
3. Semi-sclerophyllous, 4. Sclerophyllous
2 classes: 1. Deciduous, 2. Evergreen
2 classes: 1. Annual, 2. Biennal-Perennial
2 classes: 1. by wind or no specialised, 2. by
insects or birds
3 classes: 1. Anemochory; 2. Barochory; 3.
Zoochory
F-O
4 classes: 1. April and before; 2. May; 3. June;
4. July and after.
F-O
F-O
F
F-O
F-O
Tab. 4.8 - List of traits and categories for statistical analysis. Traits with asterisk were used only for plant traits
analysis and not for Plant Functional Types identification. M= measurement; F: floras; O= observation in field.
Then, the MCA scores for every observation (species) were used as the input variables for the
subsequent cluster analysis that identifies plants with similar traits (which rapresent our
Plant Functional Types for subsequent analyses); namely, an ordiClust was applied. The
Euclidean distance was used in order to compute the distance matrix between species. Since
the diagram for the first two MCA axes is directly interpretable, we used only these two axes
for performing clustering.
Classification was carried out using an agglomerate algorithm based on the average
linkage algoritm. The number of groups was judged visually based on the resulting
dendrogramm.
The combination of a correspondence analysis and a cluster analysis is a common way to
explore relationships between large numbers of variables and to facilitate interpretation of
the results of the correspondence analysis (Lebart 1994). Computations and graphical
displays were carried out using the ADE-4 statistical software package (Thioulouse et al.
1997). Through Multiple Correspondence Analysis and Hierarchical Cluster Analysis we: a)
identified functional groups of native plants in sand dune environments (Mediterranean and
Atlantic study areas); b) analysed the pattern of each trait in the factorial plane and in each
functional group. In fact, the location of the variables in a factorial plane composed of the
234
Parte 4
two first dimensions was used to interpret the relationship between the variables. The
location of each class corresponds to the centre of gravity of the species characterised by this
particular class value. Through the comparison of the location of different classes, it is
possible to identify relationships between different classes and in this way to analyse the
structure of the data.
After Plant Functional Types (or functional groups) were defined, we analysed the
difference among these Functional Types using the following statistical tests: an ANOVA
with post hoc Tukey test for continuous data and a non-parametric Kruskal-Wallis test with
post hoc Mann-Whitney test for discrete type traits. Finally, for each Type, we compared
plant traits between Atlantic and Mediterranean coastal dunes, using T-tests for continuous
(or quantitative) type data, and Mann-Whitney U-tests, for discrete (or categorical) type
traits. Analyses were carried out using the statistical package SPSS (SPSS Inc. 2001).
7.2.2 Analysis of plant traits along the coastal zonation in Mediterranean and
Atlantic coastal dunes
Also for plant trait analysis data were organized into a single matrix of 14 traits x 88
vascular plant taxa and a MCA (Multiple correspondence Analysis) was then applied to this
matrix (ADE-4 statistical software package, Thioulouse et al. 1997). In this analysis we didn‟t
include the upper beach species of the Mediterranean system; in fact, due to the almost
absence of this community on the Atlantic coast, it wasn‟t possible to compare
Mediterranean with Atlantic plant traits of upper beach species. As for PFTs analsysis, all
quantitative variables were transformed into categorical classes of equal size (Tab. 4.8) and a
Multiple Correspondece Analysis was used to ordinate the samples according to these
different categories. In this case through the multivariate analysis we: a) analysed the pattern
of coastal communities of both ecosystems in relation to plant traits; b) analysed the pattern
of each trait in the factorial plane. In the first case, as we are examining traits at community
level (“property” according to Violle et al. 2007), each species‟ label was replaced by its
position along the vegetation zonation (i.e. fore dune, transition dune or fixed dune). Then,
we calculated the mean values and the standard error of the dune communities‟ scores on
the first two MCA axes. In order to emphasize the Atlantic and Mediterranean dune position
in our factorial plane, we also calculated mean and standard error of these two points. In the
second case, to analyse the pattern of each trait, it is true, as for PFT analysis, that the
location of each class of variables corresponds to the centre of gravity of the species that are
characterised by this particular class value. Through the comparison of the location of
different classes (or categories), it is possible to identify relationships among them.
We then analysed the difference of traits for each community between Mediterranean and
Atlantic coastal dunes. In particular we calculated aggregated trait values (values of each
trait) on the basis of vegetation sampling. This aggregated trait value is a quantitative
235
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
translation of the “biomass ratio hypothesis” (Grime 1998) which asserts that “the extent to
which the traits of a species affect ecosystem properties is likely to be strongly related to the
species‟ contribution to the total biomass of the community”, therefore to species relative
abundance in a community (Garnier et al. 2004; Quétier et al. 2007). It implies that the
instantaneous functioning of ecosystems is determined to a large extent by the trait values of
the dominant contributors to the plant biomass (Garnier et al. 2004). We have selected 101
relevés (again among those used for floristic-coenologic analysis), 51 for the Atlantic and 50
for the Mediterranean coastal ecosystem: 20 relevés for each foredune (embryo and mobile
dunes) community, 10 for each transition dune community, and finally approximately 20 for
each fixed dune community. For each relevé (plot), a community aggregated trait value was
calculated using the trait value of each species weighted according to the species relative
abundance in the plot. For quantitative traits this was done as follows:
where pi is the relative contribution of species i to the community, and traiti is the trait
value of species i. For categorical traits, the relative contribution of each particular attribute
was calculated as the sum of the relative abundances of species within that attribute.
Then, for continuous (quantitative) type data, we used T-tests to identify statistically
significant differences in aggregated trait values between each community of the
Mediterranean and Atlantic coastal systems; making no assumptions on the normality of the
data, non-parametric Mann-Whitney tests were used for categorical type traits. In both
analyses position of community along coastal zonation was used as grouping variable.
Finally, we also analysed differences in aggregated trait values among communities of
species (foredune, transition dune and fixed dune) separately in the two coastal dune
systems (Mediterranean and Atlantic). In this case One-way ANOVAs with post hoc Tukey
tests and non-parametric Kruskal-Wallis tests with post hoc Mann-Whitney tests were used
to test differences in aggregate traits values for continuous and categorical variables
respectively. All analyses were carried out, also in this case, using the statistical package
SPSS (SPSS Inc. 2001).
236
Parte 4
8. RESULTS
8.1 PLANT FUNCTIONAL TYPES OF COASTAL DUNE ENVIRONMENTS
8.1.1 Explorative analysis of relationships among the traits
In a first explorative phase before the analysis of Plant Functional Types and plant traits,
we examined the relationships among the selected traits. Many of the traits investigated are
significantly correlated (Tab. 4.9). Growth form and canopy height are the traits that show
the most significant correlation: the former is positively and significantly correlated to
canopy height, LDMC, leaf persistence and leaf texture; the latter is positively correlated to
LDMC, growth form and seed mass; both are negatively related to SLA, and life form. These
traits are, in this study, the most integrative traits. On the other hand, some traits are not
very correlated with others such as: clonality that is weakly related to growth form;
flowering phenology (onset of flowering) that is weakly related to leaf persistence, clonality
and life form and, finally, dispersal mode that is weakly correlated to seed mass, canopy
height and pollination system. In general, no significant correlations could be found between
the traits linked to regenerative/reproductive plant phase and other functional traits; that is,
they are not integrative traits.
Height
SLA
LDMC
Life form
Dispersal mode
Flowering phenology
Clonality
Growth form
Leaf persistence
Plant lifespan
Leaf texture
Pollination mode
Seed mass
Height
SLA
0.63 ****
-0.166 ns
0.26 **
-0.19 *
0.29 ***
0.04 ns
-0.08 ns
0.23 **
0.06 ns
0.16 ns
0.10 ns
0.13 ns
-0.37 ***
0.43 ****
-0.36 ****
0.21 **
0.05 ns
-0.02 ns
0.62 ****
0.31 ***
0.31 ***
0.29 ***
-0.01 ns
-0.33 **
0.21 **
-0.08 ns
-0.11 ns
-0.8 ns
-0.31 ****
-0.26 **
-0.25 **
-0.08 ns
0.14 ns
LDMC
Life form
-0.23 **
0.15 ns
-0.16 *
0.04 ns
0.39 ****
0.27 **
0.13 ns
0.47 ****
-0.35 ***
-0.26 *
-0.22 *
-0.15 ns
-0.50 ****
-0.63 ****
-0.79 ****
-0.24 *
-0.29 **
Dispersal
mode
-0.10 ns
-0.16 ns
0.17 ns
-0.01 ns
0.03 ns
0.16 ns
0.27 **
Flowering
phenology
0.26 **
0.05 ns
0.25 *
0.39 ***
-0.18 ns
0.16 ns
Clonality
-0.02 ns
0.23 *
0.52 ****
0.09 ns
-0.04 ns
Growth
form
Leaf
persistence
0.40 ****
0.34 *** 0.65 ****
0.50 **** 0.29 **
-0.10 ns
-0.03 ns
Plant
lifespan
0.15 ns
0.21 *
Leaf
texture
-0.40 ****
Tab.4.9 - Correlation coefficients between selected plant traits examined using Spearman rank correlation
coefficients calculated between continuous (quantitative) traits. The relationships between continuous
(quantitative) and discrete (qualitative) traits were assessed by means Kendall‟s tau b and the association between
qualitative traits was determined with the Pearson Chi2 test-statistic. Significance is indicated by *0.05 >P > 0.01,
**0.01 > P > 0.001, ***0.001> P <0.001; **** P < 0.0001.
8.1.2 Plant Functional Types in Mediterranean and Atlantic coastal systems
MCA (Multiple Correspondence Analysis) (Fig. 4.24 a-b) and Hierarchical Custer Analysis
(Fig. 4.24 d) allowed obtaining functional TYPES for the most common vascular plants of the
both dune ecosystems: four major TYPES were recognized (Fig. 4.24c-d) with specific
combination of variable classes (Fig. 4.25). The four Types are well defined in the OrdiClust
graphic (Fig. 4.24c). In fact, this graphic, unlike scatterdiagram b, it is the result of a
combination of a cluster and ordination analysis. This function, infact, does cluster analysis
237
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
on ordination scores, providing a dynamic exploration of the clusters on the factor maps. As
a first step, as mentioned before, an ordination method computes the row scores of the input
data table. In a second step, cluster analysis is used on these row scores to obtain functional
groups. In the ordiClust graphic the square with the number indicates the center of
dispersion of species that belong to that group; points represent each species. The eigenvalue
diagram (Fig. 4.24 a) shows that these first two axes covered 62% of the data structure.
6
92
19
34
51
82
75
60
22
61
37
95 64
85
29 36 55 88 16
78
41
39
4031
48
28 44
5 5671
4
2425 1054
23
35
32
21 57
30
80
20
49
81
7 1233
3889
17
90
8
26
84
42
43
74 3
67
47
45
15
72
d=1
CarexSporob
62
2
9
11
b
1
13 50 65
18
27
Axis 2
d=1
a
Ammofra
Elymusfra
Elymusita
Ammoita
Festucajunc
Festucavasc
Cyperu
Pancrafra
Ephedra
Artem
Coryne
Pancraita
Koele
14
76
Otanth
Crucian
Helichfra
Teucrpol
Cutand Thymus
Medimar
Anthem
Polyg
Plantlanc
Echino
Vulpiaita Helichita
Sals
Plantare
Linaria
Calyita Pycnoc
Mibor Eryngfra
Lopho
Axis 1
Rumex
Sedum
Vulpiafra
Leont
Calyfra
Lotuscyt
Asparag
Centaur
Cakifra
Hypoch
Aetheofra
Hieracium
Hernia Cakiita
Plantacor
Eryngita
Phleum
Oenothe
Galium
Filago Chamae
AetheoitaPolycaita Bromus
Cerast Dianth Euphorbiapar
Teucrflav
LotuscornSilecolor
Ononisrepen
Cistussal
Polycfra
Smil
Daphne
Jasione
Pseudo
SeneleucSenevul
Clematis
Astrag
Ononisvari
Sileport
Tuberar Euphorbiater
Lonicer Juniper
Prasi
Cistusinca
TeesdalErodium
QuerilePistac
Medilit
Philly
Rhamnu
Cynofra
73
46
94
68
52
66
53
93
91
63
59
83
70
69
79
86
58
77
87
d = 0.5
c
Axis 2 (ca. 24%)
d
III
IV
II
III
II
I
Axis 1 (ca.39%)
I
IV
Fig. 4.24 - Results of Multiple Correspondence Analyses (MCA) and Hierarchical Custer Analisys: a-b) sample
ordination in the plane defined by axes 1 and 2 of the MCA with Eigenvalues diagram (a); c) c) ordiClust graphic;
d) Dendrogram from Clustering Analysis of species according to their morphological-functional traits.
238
Parte 4
The first MCA axis, that, by definition, is the best reduction to one dimension of the
multifactorial space, was related especially to canopy height, growth form accounting for ca.
39 % (0,385) of the total variance, while MCA axis 2, accounting for ca. 24% (0,237) of the
total variance, is related with clonality and dispersal mode. At the left side of MCA axis 1
(Fig. 4.24-c; Fig. 4.25) we find short-medium height species, short-semibasal, with light seeds
and deciduous leaves while at the lower-right side we observe medium-high perennial
evergreens, shrubs with heavy seeds and persistent leaves. Therefore, MCA axis 1 can be
linked to growth rate, from short time to maturity (low canopy height, predominantly
annual herb or grass growth forms) to longer time to maturity (higher evergreen plants,
predominately shrubs and trees). No clonal and barocore-zoocore species were found at low
(negative sector) values of MCA axis 2 while anemocore and clonal species occurred at high
values. In this way, MCA axis 2 can be linked with more or less investment on resource
storage and can be linked with more or less dispersion specialization.
Canopy height
SLA
LDMC
3
2
12
1
4
4
Seed mass
1
Life form
Growth form
4
4
1
2
1 3
4
3
2
1
4
3
12
3
3
2
5
5
Leaf persistence
Clonality
1
Flowering phenology
4
2
2
32
1
1
Impollination
system
P
1
Dispersal mode
Leaf texture
3
1
2
1
1
2
3
2
4
Fig. 4.25 - Ordination of variable classes for the first two axes of MCA. The square with the numbers shows the
centre of classes and the lines show the dispersion of samples (species). For the code of plant traits see Tab. 4.8.
239
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
Indeed, the results for the MCA of the plant traits table (Tab. 4.10) indicate that four variables
(canopy height, growth form, life form, leaf texture) were very well represented by the
factorial plane on this MCA.
Tab.4.10 - Correlation coefficients
between plant traits (variables) and
the first two axes of the MCA.
Plant traits
RS1
RS2
Canopy height
0,738
0,177
SLA
0,393
0,160
LDMC
0,436
0,038
Seed mass
0,358
0,018
Growth form
0,770
0,590
Life form
0,726
0,502
Leaf persistence
0,261
0,073
Clonality
0,003
0,299
Flowering phenology
0,134
0,160
Pollination system
0,021
0,185
Dispersal mode
0,158
0,181
Leaf texture
0,624
0,490
The cluster analysis showed that four groups can be distinguished, following the
mentioned trends of the MCA results (Fig. 4.24). The most numerous group is Plant
Functional Type (PFT) II with 40 species followed by PFT I with 28 species, PFT III with 14
species and finally PFT IV with 13 species.
PFT I and PFT II are positioned in the negative side of axis 1; they have some traits in
common; in fact they are also very close in the factorial plane. PFT III and PFT IV, on the
other hand, are positioned in the positive side of axis 1, the former in correspondence of
positive values of axis 2 and the latter in correspondence of negative values of this axis; they
are, also, distant in the factorial plane so indicating that they are very different. The first
Type (PFT I) consists exclusively of annuals species. These are therophytes with
short/medium height, short-semibasal form, light seeds, high values of SLA, a reproduction
exclusively by seed, that is sexual (lack of clonal organs) and with earlier flowering than the
other Types (Fig. 4.24 c; Tab.4.11). The third Type (PFT III) consistes of perennial species,
especially G, cushions and tussocks, clonal, anemophilous, with medium values of height,
the lowest values of SLA, persistent and semi- sclerophyllous leaves (Fig. 4.24 c; Tab.4.11).
Finally the PTF IV is the well-defined group in the lower-right side of the plane. It includes
exclusively perennial species, in particular shrubs and trees, which are non-clonal,
entomophyllous and zoochorous, and have high values of canopy height and of LDMC,
heavy seeds and evergreen sclerophyllous leaves (Fig. 4.24 c; Tab.4.11).
240
Parte 4
Canopy height
SLA
LDMC
Seed mass
Life form
Growth form
Leaf persistence
Leaf texture
Clonality
Flowering
Pollination system
Dispersal mode
****
****
***
*
****
****
****
****
****
****
****
**
TYPE 1
TYPE 2
TYPE 3
TYPE 4
9,16c
18,49a
235,67bc
2,17b
0,0/0,0/0,0/0,04/0,96
0,39/0,43/0,14/0,04/0,0
1,0/0,0
0,21/0,5/0,29/0,0
0,96/0,04
0,75/0,07/0,14/0,04
0,54/0,46
0,36/0,32/0,32
12,23bc
14,21ab
195,68c
6,05b
0,0/0,33/0,62/0,03/0,03
0,40/0,27/0,13/0,18/0,03
0,38/0,62
0,25/0,57/0,15/0,03
0,5/0,5
0,08/0,4/0,5/0,03
0,15/0,85
0,33/0,47/0,2
34,34b
8,63c
309,16ab
23,735ab
0,0/0,22/0,14/0,64/0,0
0,0/0,07/0,07/0,86/0,0
0,21/0,79
0,22/0,07/0,71/0,0
0,07/0,93
0,14/0,36/0,14/0,36
0,79/0,21
0,5/0,36/0,14
119,83a
9,86bc
366,29a
176,80a
0,85/0,15/0,0/0,0/0,0
0,0/0,0/0,0/0,0/1,0
0,08/0,92
0,0/0,23/0,0/0,77
0,77/0,23
0,54/0,23/0,0/0,23
0,31/0,69
0,07/0,23/0,7
Tab. 4.11 - ANOVA results of the comparison among PFTs. For continuous traits we reported the means of each
PFT.; for discrete type traits we show the frequency of their each classes. Asterisks and letters indicate level of
significance of ANOVA and post hoc Tukey test respectively. Significance is indicated by *0.05 >P > 0.01, **0.01 >
P > 0.001, ***0.001> P <0.001; **** P < 0.0001.
8.1.3 Comparison between Mediterranean and the Atlantic PFTs
The four PFTs are differentially present in the two costal dune ecosystems. PFT I and PFT
III are present in both systems with the same importance, but the PFT II is more represented
in the Atlantic costal dune, and PFT IV is present exclusively in the Mediterranean coastal
dune (Fig. 4.26).
50
Fig. 4.26 - PFTs in Mediterranean and Atlantic
coasts.
N. of species
40
30
20
10
0
PFT I
PFT II
Atlantic
PFT III
PFT IV
Mediterranean
From the analysis at the level of community for each PFT, it emerges that the first Type
consists almost exclusively of annual species that in the Mediterranean system grow in the
pioneer community of the beach dune (Cakile maritima, Salsola kali, Chamaesyce peplis) and on
the transition dune (Vulpia fasciculata, Plantago coronopus, Polycarpon tetraphyllum), but that in
the Atlantic system grow on the fixed dune (Silene portensis, Teesdalia nudicaulis, Plantago
arenaria) (Fig. 4.27). In Type I we find, however, especially transition dune species of the
Mediterranean coast; occasionally, since these communities develop where the dune
vegetation opens up, they may be also rich in ruderal species, which are directly linked to
human disturbances such as trampling; but these species were not considered in this study.
241
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
Species of Type I common to both compared dune ecosystems (Mediterranean and Atlantic)
include Cakile maritima in addition to Vulpia fasciculata (=membranacea) and Polycarpon
tetraphyllum. These last two species, even though they are both included in Type 1, are
located on the transition dune in the Mediterranean ecosystem while they are encountered
on the fixed dune in the Atlantic system. The same may be said of Cakile maritima, which
finds often refuge in the backward communities on the Atlantic dunes because of the lack of
well-developed pioneer communities in these ecosystems.
Type II includes mainly perennial species, that, even in this case, occupy different positions
in the dune zonation of the two analysed ecosystems (Fig. 4.27): the foredune (Otanthus
maritimus, Lotus cytisoides, Anthemis maritima, Echinophora spinosa) for the Mediterranean
component and the transition dune (Astragalus baionensis, Hieracium eriophorum, Ononis
repens) and the fixed dune (Cistus salviifolius, Corynephorus canescens) for the Atlantic one.
Species in common between the two groups are: Calystegia soldanella and Eryngium
maritimum, which develop in both cases on the mobile dune; Pancratium maritimum which is
present on the foredune communities in the Mediterranean zonation, while it occupies fixed
dunes in the Atlantic one; and finally Helichrysum stoechas and Sonchus bulbosus which are
found in the communities of the transition dune in the Mediterranean system, while they
occur on the fixed dune in the Atlantic. These are examples of the “retraction phenomenon”.
Also for the third Type we observe that Mediterranean species are species of seaward
communities (Fig. 4.27), while the Atlantic species are mostly of transition (Cynodon
dactylon and Festuca juncifolia) and fixed dunes (Ephedra distachya, Festuca vasconcensis,
Koeleria glauca); but above all in this Types we find the two embryo- and mobile dune
“builder” species present in both dune systems, even if with different subspecies: Elymus
farctus and Ammophila arenaria. Finally in Type IV we find species that are exclusively of
the Mediterranean component (Fig. 4.27), in fact the fourth group is constituted only from
Mediterranean specie of macchia (Rhamnus alaternus subsp. alaternus, Pistacia lentiscus,
Quercusm ilex subsp. ilex, Juniperus oxycedrus subsp. macrocarpa)
Statistical tests, comparing for each Type (except IV) traits values between the Atlantic and
the Mediterranean, highlight that only species of Type I and Type II show regional
differences in some traits, but generally these not are very significant (Tab. 4.12). Type I
species in the Mediterranean, in fact, differ from those of the Atlantic coastal dune in only
three traits: canopy height and LDMC, that have higher values in Mediterranean coastal
dune and SLA that has higher values in the Atlantic coastal dune. The Type II has different
values in Mediterranean and Atlantic coastal dunes in only two traits: canopy height, that is
very significantly different and shows higher values for the Mediterranean coastal system
and SLA, that is less significantly different and show higher values on the Atlantic coastal
dune. In both cases no qualitative variable was significantly different.
242
Parte 4
Mediterranean coast
14
a
N° of species
12
BD
10
ED
8
WD
6
TD
4
FD
Fig. 4.27 - N° of species of
Mediterranean (a) and Atlantic
(b) coastal dune communities for
each PFT. BD= upper beach; ED=
embryo-dunes; WD= white dunes (=
mobile dunes); TD= transition
dunes; FD = fixed dunes.
2
0
TYPE II
TYPE III
TYPE IV
Atlantic coast
14
b
12
10
ED
8
6
WD
4
2
FD
TD
0
TYPE I
TYPE II
TYPE II
TYPE I
Canopy height
Difference between
Atlantic and
Mediterranean PFTs
N° of species
TYPE I
SLA
LDMC
Canopy height
SLA
TYPE III
TYPE IV
Mean
Std. Error
Mean
Atlantic
Mediterranean
Atlantic
Mediterranean
Atlantic
Mediterranean
5,454
11,943
24,653
13,869
158,176
293,796
1,229
2,416
2,811
1,431
14,035
54,751
Atlantic
Mediterranean
Atlantic
Mediterranean
8,282
21,449
15,597
10,970
1,333
2,871
0,971
1,341
F
3,773
4,291
4,868
1,150
0,306
d.f.
Sig.
26
0,0397 *
26
0,0011**
26
0,0458 *
38 0,0000 ****
38
0,011*
Tab. 4.12 - Significant results of PFT comparisons (t- Tests) of Mediterranean and Atlantic coastal dunes.
243
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
8.2 PLANT TRAITS OF MEDITERRANEAN AND ATLANTIC COASTAL DUNES
8.2.1 Comparison of plant traits along the coastal zonation
MCA (Multiple Correspondence Analysis) allowed us to obtain the distribution of plant
communities of both dune ecosystems (Fig. 4.28a) with specific combinations of variable
(traits) classes (Fig. 4.29). The eigenvalue diagram (Fig. 4.28b) of MCA with the pattern of
communities shows that the first two axes covered 60% of the data structure. As mentioned
above, in the factor plane we show, through diamond-shaped symbols, the mean and
standard error of Mediterranean and Atlantic dune community scores.
On the left side (negative values) of MCA axis 1 there are only Mediterranean coastal dune
species; the community of Mediterranean fixed dunes (macchia) is positioned in the leftmost
part of the diagram, in correspondence with the most negative values of axis 1, exhibiting
medium-high perennial evergreens, shrubs, sclerophyllous and persistent leaves, high C/N
ratio, LDMC and low SLA. In correspondence of less negative values of axis 1, we found
Mediterranean foredune species with perennial tussocks, clonality, medium height values
and persistent and cartilaginous leaves. The right side of axis1, on the other hand, is
occupied by species of all other communities, with low-medium height and SLA, low C/N,
short-semibasal growth form, deciduous and succulent leaves. Therefore, as we have
observed for the Plant Functional Analysis, MCA axis 1 can be linked to leaf structure and
growth rate, from longer time to maturity (higher evergreen plants, predominately shrubs
and trees) to short time to maturity (low canopy height, predominantly annual herb or grass
growth forms). In this case, however, we highlight features linked to community functional
characteristics. The second axis of the MCA also separates the two regions. In the positive
sector of axis 2 only Mediterranean communities are found; this part is characterized by
early flowering species, which are non clonal therophytes and phanerophytes, with a good
presence of zoochorous dispersal (macchia species); instead, in the negative part of axis 2 we
observe species of all other communities, perennial (hemicriptophytes, chamaephytes or
geophytes), clonal and with later flowering. In this way, MCA axis 2 can be linked with more
or less investment on resource storage and further with a different strategy of flowering.
These results are confirmed by the correlation ratio (Tab. 4.13), where plant traits showing
better correlation with axis 1 are: growth form, life form, canopy height, leaf texture, SLA;
while, for the second axis, they are: life form, plant lifespan, flowering phenology and
clonality.
The ordination diagram not only separates Mediterranean and Atlantic ecosystems, but
also shows communities differential distribution. Mediterranean dune communities are very
scattered in the whole factorial plane (Fig. 4.28a) and reflect a very heterogeneous
distribution of plant traits in the Mediterranean (Lazio) coast. On the contrary, on the first
two axis of the MCA, Atlantic (Aquitaine) dune communities are more homogeneous.
244
Parte 4
0.6
a
Transition dune
(Mediterranean)
MEDITERRANEAN
Fixed dune
(Mediterranean)
-1.2
0.2
-0.8
-0.4
0
-0.2
b
0.4
ATLANTIC
Foredune
(Atlanic)
-0.6
Transition dune
(Atlantic)
Fig. 4.28 Results of Multiple
Correspondence Analyses (MCA): a)
communities ordination according
to axes 1 and 2 of the MCA; b)
Eigenvalues diagram.
0.00
0.05
0.10
0.15
0.20
0.25
0.30
0.35
Foredune
(Mediterranean)
Fixed dune
(Atlantic)
In both the Atlantic and Mediterranean coastal systems, plant traits changed along the
beach-inland gradient. Theses results are supported in part also by statistical analysis of
plant traits along the zonation of Mediterranean and Atlantic coastal dunes. Fig. 4.30 shows
patterns of aggregate values of quantitative traits along the coastal zonation of the two
compared ecosystems: all continuous variables, except C/N, are significantly different along
the zonation of both coastal ecosystems. Almost all variables exhibit greater values in
Mediterranean than in Atlantic coastal communities. A declining trend generally is observed
for all aggregate values of quantitative traits along the Atlantic coastal zonation; on the other
hand, we did not record any regular trend for the Mediterranean coastal zonation, except for
C/N values that increase weakly from fore to fixed dune.
245
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
SLA
LDMC
4
1
Canopy height
Life form
2
4
Flowering phenology
Dispersal mode
5
1
1
4
3
21
3
21
42
4
23
3
Growth form
Clonality
2
1
3
3
Leaf persistence
Plant lifespan
1
5
1
1
3 2
1
2
4
2
Leaf texture
Pollination system
4
3
C/N
Seed mass
1
2
1
2
4
2
3
32
1
2
1
Fig. 4.29 - Results of Multiple Correspondence Analyses (MCA): ordination of variable classes for the two first
axes of MCA. Numbers in squares indicate the center of classes and curves show the dispersion of samples
(species). For the code of plant traits see the Tab. 4.8.
Tab. 4.13 - Correlation coefficients
between plant traits (variables) and the
first two axes of the MCA.
Canopy height
SLA
LMDC
Seed mass
C/N
Plant lifespan
Life form
Growth form
Leaf persistence
Leaf texture
Clonality
Flowering phenology
Pollination system
Dispersal mode
246
Axis 1
0.701
0.486
0.478
0.285
0.179
0.274
0.725
0.751
0.368
0.564
0.019
0.120
0.027
0.096
Axis 2
0.071
0.160
0.053
0.118
0.003
0.580
0.823
0.224
0.152
0.102
0.386
0.487
0.077
0.126
140
350
120
300
Mean L DMC ag g. ± SE
Mean Can op y heig ht a gg ±SE
.
Parte 4
100
80
60
40
20
250
200
150
100
50
0
0
Fore dune
Transition dune
Fixed dune
Fore dune
Transition dune
Fixed dune
14
25
Mean C/Nagg. ± SE
Mean SLA a gg .± SE
12
10
8
6
4
2
20
15
10
5
0
0
Fore dune
Fore dune
Transition dune
Fixed dune
Transition
dune
Fixed dune
Mean Seed m ass
ag g.
± SE
300
250
200
150
100
50
0
Fore dune
Transition dune
Fixed dune
Fig. 4.30 - All aggregated quantitative variables were significantly different in the communities of the zonation
except C/N for Mediterranean communities (ANOVA results not shown). Trends of these variables (mean ± SE)
along the zonation of Mediterranean and Atlantic coastal dunes are shown in the graphic. Blue bars: Atlantic;
orange bars: Mediterranean.
For categorical traits, on the other hand, greater changes were recorded along the
Mediterranean coastal dune (Tab. 4.14). Tab. 4.14 shows discrete variables with at least a rate
of 50% of classes very significant (p< 0,001 *** e p< 0,0001****). In the Atlantic coastal system,
only three discrete traits (leaf texture, leaf persistence and pollination system) show a
significant change along the zonation. In the Mediterranean, conversely, almost all
categorical traits show significant variations along the beach-inland gradient. In addition,
differences in plant traits are always more highly significant in the Mediterranean. Only
flowering phenology never shows any variation along the plant zonation for both regions.
247
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
Altantic specie
communities
Traits
Leaf persistence
Leaf texture
Pollination system
Mediterranean specie communities
Life form
Dispersal mode
Clonality
Growth form
Plant lifespan
Leaf persistence
Leaf texture
χ2
Sig.
Deciduos
21,325
****
Evergreen
21,325
****
Succulent
20,151
****
Malacophyllous
14,661
***
By wind or no specialised
15,095
***
By insect or birds
15,095
***
PH
41,255
****
H
39,206
****
G
39,934
****
T
31,021
****
Anemochory
37,584
****
Barochory
23,393
****
Zoochory
35,521
****
No clonal
28,872
****
Clonal
28,872
****
Short basal
28,624
****
Long-semibasal
37,956
****
Erect leafy
33,873
****
Cuschions, tussocks
30,944
****
Schrubs, trees
40,915
****
Annual
35,280
****
Perennial
35,280
****
Deciduos
31,021
****
Evergreen
31,021
****
Succulent
41,267
****
Malacophyllous
21,000
****
Semi-sclerophyllous
38,130
****
Sclerophyllous
40,262
****
Classes
Tab.4.14 - Statistical comparison of aggregated qualitative trait values among the three main communities
(foredune, transition dune and fixed dune) separately in Mediterranean and Atlantic coastal zonations. We used
the Kruskall-Wallis non-parametric test. The table shows only very significant classes (p< 0,001).
8.2.2 Comparison of plant traits between Atlantic and Mediterranean communities
Comparing plant traits between Mediterranean and Atlantic communities it emerges that
all communities show some significantly different traits (Tab. 4.15a). Regarding foredune
communities, only for canopy height and LDMC among the quantitative traits did we obtain
significant results, with higher values for Mediterranean species. Greater presence of
zoochory and early flowering species was also observed for the Mediterranean while in the
Atlantic barochororus and late flowering species prevailed. In both regions, foredune species
are perennials (especially hemicryptophytes and geophytes), tussocks, with variable values
of seed mass, SLA and LDMC. Clonality is a very important trait in these communities:
several species are capable of vegetative reproduction, like the major dune builders,
Ammophila arenaria and Elymus farctus.
In the transition dune, only two quantitative traits showed highly significant differences
between the two regions: SLA and LDMC. These leaf traits showed higher values for
Mediterranean transition dune species. Canopy height is significant (but not greatly) with
248
Parte 4
low values for species of both transition communities. Among categorical variables the ones
that were very significant are: life form, clonality, growth form, plant lifespan and flowering
phenology. In fact, species of the Mediterranean transition dune are mostly annual species,
non clonal therophytes, which flower very early, at the end of the winter, while on Atlantic
transition dunes we find mainly perennial species, in particular hemicryptophytes and
geophytes, which are also clonal and exhibit a much more delayed flowering behaviour (Tab.
4.15b).
The differences between the traits of Atlantic and Mediterranean communities are clearly
stronger and more evident for the species of the fixed dune. Almost all traits have
significantly different values in the two ecosystems, both the continuous type ones and the
categorical type ones: only clonality did not show any significant variation (Tab. 4.15b). All
traits showed highly significant differences between the two ecosystems, except SLA, which
is similar for both (Tab. 4.15 a). Mediterranean fixed dune species include almost only
evergreen phanerophytes, with a remarkable above-ground development (in particular
shrubs and trees), zoochorous dispersal, with high values of canopy height, LMDC and C/N,
heavy seed mass and with evergreen sclerophyllous leaves. Species of the Atlantic fixed
dune, on the other hand, are all herbaceous, annual or perennial (especially
hemicryptophytes), with lower plant height, seed mass, LDMC and C/N, not very
developed growth form (short, semibasal), and pollination by wind or not specialised.
Flowering of macchia species, instead, is concentrated in two different periods: late winterearly spring and late summer-early autumn.
FIXED DUNE
TRANSITIO
FOREDUNE
N DUNE
a)
Canopy height
SLA
LDMC
Seed mass
C/N
Canopy height
SLA
LDMC
Seed mass
C/N
Canopy height
SLA
LDMC
Seed mass
C/N
Atlantic dune
Mean +/- SE
15,337+/- 0,746
7,189 +/- 0,490
114,365 +/- 5,268
10,302 +/-1,205
21,830 +/- 1,575
8,801 +/- 1,004
6,891 +/- 0,194
104,513 +/- 4,746
3,169 +/- 0,455
18,255 +/- 1,143
4,285 +/- 0,356
5,1+/- 0,252
69,101 +/- 3,587
1,615 +/- 0,214
9,916 +/- 0,573
249
Mediterranean dune
Mean +/- SE
29,694+/- 2,344
7,2625 +/- 0,201
215,156 +/- 5,178
9,987+/- 1,201
19,339 +/- 0,799
12,524 +/- 0,818
11,269 +/- 0,433
305,225 +/- 24,174
2,377 +/- 0,365
20,366 +/- 1,08
111,3065 +/- 4,573
6,397 +/- 0,304
289,117 +/- 11,106
236,369 +/- 36,845
20,646 +/- 1,042
Sig.
0,0000 ****
0,890 n.s.
0,0000 ****
0,854 n.s.
0,167 n.s.
0,0101 *
0,0000 ****
0,0000 ****
0,1918 n.s.
0,1961 n.s.
0,0000 ****
0,002 **
0,0000 ****
0,0000 ****
0,0000 ****
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
b)
Traits
Classes
Mean rank
Sig.
FIXED DUNE
TRANSITION DUNE
FOREDUNE
Mediterranean Atlantic
Dispersal mode
Barochory
Zoochory
12,60
27,23
28,40
13,77
****
***
Flowering Phenology
April and before
May
30,50
11,30
10,50
29,70
****
****
Growth form
Shortbasal
Long-semibasal
Erect leafy
13,30
29,92
15,65
27,70
11,07
25,35
****
****
****
Leaf persistence
Deciduos
Evergreen
11,15
29,85
29,85
11,15
****
****
Life form
H
T
5,80
15,50
15,20
5,50
***
***
Flowering Phenology
April and before
May
June
15,50
5,50
5,55
5,50
15,50
15,45
***
***
***
Clonality
No clonal
Clonal
15,25
5,75
5,75
15,25
***
***
Growth form
Long-semibasal
Cuschions, tussocks
15,35
5,50
5,65
15,50
***
***
Plant lifespan
Annual
Biennal-Perennial
15,50
5,50
5,50
15,50
***
***
Life form
Ph
Ch
H
G
T
31,50
14,60
11,05
13,00
14,00
11,00
27,10
30,48
28,62
27,67
****
***
****
****
****
Dispersal mode
Barochory
Zoochory
11,32
31,50
30,21
11,00
****
****
Flowering Phenology
April and before
June
July and after
30,70
10,50
30,40
11,76
31,00
12,05
****
****
****
Growth form
Short basal
Long-semibasal
Cuschions, tussocks
Shrubs, trees
11,50
13,40
10,68
31,50
30,05
28,24
30,83
11,00
****
****
****
****
Leaf persistence
Deciduos
Evergreen
12,85
29,15
28,76
13,24
****
****
Plant lifespan
Annual
Biennal-Perennial
14,00
28,00
27,67
14,33
****
****
Leaf texture
Malacophyllous
Semi-sclerophyllous
Sclerophyllous
11,15
10,50
31,50
30,38
31,00
11,00
****
****
****
Pollination system
By wind
By insects or birds
14,43
27,58
27,26
14,74
***
***
Tab. 4.15 - Plant traits comparison between correspondent communities of Mediterranean and Atlantic coastal
dunes. a) Continuous variables (t-test; b) Discrete variables (Mann-Whitney test; the table shows only classes with
very significant results (p< 0,001).
250
Parte 4
9. DISCUSSION
9.1 FUNCTIONAL TYPES AND PLANT TRAITS ON MEDITERRANEAN AND
ATLANTIC COASTAL DUNES
We have analysed functional diversity in Mediterranean and Atlantic coastal dunes at first
identifying the main Plant Functional Types of two ecosystems and then examining the plant
traits at community level along the beach-inland gradient. We‟ll see now, on the whole, the
main results of these analyses from PFTs and plant traits of foredune communities to fixed
dune ones.
9.1.1 Plant traits and PFTs in foredune communities
Foredunes were quite similar between both regions, not only in taxonomic terms. This
facies of coastal zonation is highly dynamic because of the activity of wind, waves and tides.
The most important factor encountered by plant species growing here is probably
disturbance by sand burial (Zhang 1996; Brown 1997; Maun 1998; Maun & Perumal 1999;
Ievinsh 2006). Burial acts as a very strong selective force in coastal dune ecosystems; it alters
the composition of plant communities by selective elimination of species with a conservative
growth habit. Moreover, dune species must be able to cope with sand destabilized by
occasional and severe environmental events, such as a particularly high tide or a blowout.
Even small forbs which never actively form dunes are subject to such deposition of sand, and
must grow up to the surface to survive. Therefore, foredune communities of both coastal
systems have adopted similar strategies. This emerged in our plant traits analysis with few
traits different between the two coastal areas. In terms of Plant Functional Types analysis the
results are more complex; in fact, we have identified two PFTs in this facies for both
ecosystems: PFT II and PFT III. Type II is very heterogenous and it includes also species of
other dune zones (transition and fixed dunes); it is more represented in the Atlantic dune
system and it is similar for the two analysed ecosystems. Species included in Type II are
essentially perennials that are average to short in height, often because of the presence of
strong salty winds and because of the nature of the soil, which is incoherent and
characterized by an extremely low water retention. Species are mostly hemicryptophytes
with a short basal or semi basal growth form. Also Type III, is present in both ecosystems,
and includes many species of the foredune with cushion and tussock structures. These
structures typically allow fixation of the dune, which would not be possible with annual or
deciduous species; they can withstand deflation because of the thick roots which withstand
exposure for many months without declining.
Types II, but especially Type III, are characterized by the presence of species capable of
reproducing even (or exclusively) vegetatively, thereby producing new “ramets”
251
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
(aboveground units) and expanding horizontally. Establishment from seed, indeed, is
uncertain and unusual on mobile dunes, while perennial clonal growth is the most important
way in which plant populations are maintained in both accreting and eroding areas. A large
number of most successful species on coastal foredunes are grasses and vines that expand
into the open areas of the beach by producing creeping rhizomes or stolons. Clonality is a
trait very important because it can give plants competitive vigour and the ability to exploit
patches rich in key resources (nutrient, water), while it may promote persistence after
environmental disturbance; a dense network of roots or below-ground reserve organs
guarantees continuous water and nutrient supply and also provides a strong anchoring
system in the unstable sand surface. Clonal behaviour may also be an effective means of
short-distance migration under circumstances of poor seed dispersal or seedling recruitment.
It has been observed however that many dune species actually reproduce both vegetatively
and sexually; they thus present a marked phenotipic plasticity. Among the species we
identified as clonal, there are several species that preferentially reproduce vegetatively, but
that are perfectly capable of reproduction via seed, when conditions are favourable; this
strategy of combining vegetative reproduction with sexual reproduction is observed for
clonal perennial species (Eriksson 1997; Price & Marshall 1999), especially in unstable,
frequently disturbed habitats where flowering plants must overcome many problems for
successful reproduction to take place. Coastal plants, in particular, have a higher level of
adaptation in comparison with plants from less heterogeneous environments (Knevel 2001).
Such a strategy is important, as a heavy reliance on clonal growth, rather than sexual
reproduction, can reduce intra-specific genetic diversity enough to threaten long-term
survival in a changing environment. Many clonal plants produce seeds to establish „every
now and then‟ from seeds, but this is on an event basis rather than a regular pattern as
observed by Huiskes (1977) for A. arenaria. There are three main advantages of seed
production: 1) even though the establishment from seeds is a stochastic event in dunes, it
incorporates genetic variability into the population and eliminates the major disadvantage of
vegetative regeneration in that the offspring is genetically identical to that of its parents; 2)
the seeds of most species possess enforced or innate dormancy that allows them to prolong
their life; 3) seeds are able to disperse to more distant shorelines than rhizome or stolon
fragments. Type III, includes several grasses of the foredune and in particular the typical
species of the foredune (embryo and mobile dune), Elymus and Ammophila. Ability to survive
sand burial is of primary importance to these dune species (van der Valk 1974). Stabilitation
of sand is achieved by vegetation accumulating sand and growing up through it. Elymus
farctus and Ammophila arenaria are classified by Clapman et al. (1987) as hemicryptophytes; in
particular, Ammophila arenaria is commonly regarded as a protohemicryptophyte, with
uniformly leafy stems, but with the basal leaves usually smaller that the rest. But, these can
be so buried by sand as to function as rhizome geophytes. On the classification of
Gimingham (1951), indeed, Ammophila arenaria was taken to be a tussock-forming rhizome
252
Parte 4
geophyte; also in this research we considered these species as geophytes. The strong
interaction between plant structure and sand movement implies that those species play an
important role in dune building (Ranwell 1972; Carter 1995). These species have the ability to
survive sand accretion and have been examined experimentally. Sand deposits of up to 90
cm per year can be tolerated by Ammophila arenaria, while Ambrosia maritima can withstand
burial for up to 4 months (Barbour et al. 1985). Elymus farctus studied by Gimingham (1964)
in Scotland succeeds in emerging from 23 cm sand burial. While a number of species may
tolerate sand burial, many species may be stimulated by high accretion rates (Martínez &
Moreno-Casasola 1996) and species such as A. arenaria require high rates of sand deposition
to escape from harmful soil pathogens (Van der Putten & Peters 1997). Ranwell (1972)
proved that A. arenaria and E. farctus even present a small increase in productivity under
moderate sand burial. Ammophila arenaria responds to the stimulation of partial burial by
producing adventitious roots above pot soil level; Elymus farctus responds to burial in a
similar way as Ammophila, with internode elongation, tiller production and adventitious
rooting just below the sand surface.
9.1.2 Plant traits and PFTs in transition dune communities
In terms of Plant Functional Types and plant traits the transition dune facies is very
different between the two coastal ecosystems. In fact, Atlantic transition dune species are
included in Type II and III where, as stated above, we found mostly perennial species, in
particular hemicryptophytes and geophytes which are also clonal and exhibit a delayed
flowering behaviour. Among transition dune species of the Atlantic coast, we can mention
Carex arenaria, that forms extremely long clonal fragments (up to 12 m).
The situation is completely different for the Mediterranean transition dune species. They
are, in fact, mostly included in Type I that is characterized by species with a short life cycle
(therophytes). They flower very early, at the end of the winter, and reproduce before the dry
summer season, that they pass as seeds. These species adopt a short growing season in order
to accomplish their whole life cycle during the moist season (autumn, winter and beginning
of the spring) when ecological conditions are more favourable: germination of seeds occurs
at the end of autumn with the first rains, during winter or at the beginning of spring,
anthesis is in late winter or early spring and fruits are mature at the beginning of the dry
season. By completing their vegetative cycle in winter, the plants avoid the unfavourable
summer conditions of sandy substrates. This strategy of avoiding the unfavourable periods
is typical of unstable and heterogeneous environments but also of arid zones.
Moreover these winter annuals of PFT I also have high values of SLA; they therefore tend
to utilize resources quickly (r strategists) rather than storing them. High SLA species, in fact,
can have strategies associated with rapid production of new leaves early in life; faster
turnover of plant parts permits also a more flexible response to the spatial patchiness of light
253
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
and soil resources (Grime 1994). Species in resources-rich environments tend to have larger
SLA than those in environments with resource stress. This maximises the use efficiency of
the limited nutrients available, increasing the chances for the plant to maximise its growth
potential. Low SLA has been shown to be advantageous in low resources or harsh situations
(Poorter & Garnier 1999). Therefore, annual species and fast-growing species in general
should maximize resource acquisition, whereas perennial and slow-growing species should
maximize resource conservation (Grime 1977; Poorter & Garnier 1999). Leaf studies
comparing annuals and perennials grown either in the laboratory or in the field largely
support this theory: annual species are characterized by a set of leaf traits enabling high
carbon acquisition (high specific leaf area and nitrogen concentration) while perennials are
characterized by leaf traits associated with persistence and defence (high tissue density and
thickness) (Garnier et al. 1997).
Our results confirm it in part; in fact, with regard to LDMC, species of PFT 1 present low
to average values of LDMC, however, comparing plant traits of Mediterranean and Atlantic
transition dune species, we found higher values for Mediterranean than Atlantic transition
species. Leaves with high values of LDMC, tend to be harder and more rigid; this is because
species invest many resources in defensive structures (against wind or herbivory). In the case
of the transition dune of the Mediterranean coast this high value is due to the presence of
many annual Poaceae, with cartilaginous leaves (Bromus, Vulpia, Cutandia), for which the
value of the dry leaf weight often doesn‟t differ much from the value of the fresh leaf weight.
These species therefore manage to survive even in extremely arid environments, losing small
quantities of water thanks to a specialized leaf structure.
9.1.3 Plant traits and PFTs in fixed dune communities
In terms of Plant Functional Types and plant traits (and also at taxonomic level as we have
seen before) the fixed dune is the most different facies between Mediterranean and Atlantic
coastal ecosystems. Here differences between traits are very remarkable. Fixed dune species
of the Atlantic system aren‟t included in a single PFT, but they are in PFT I, II and III.
Therefore, in Atlantic fixed dunes all strategies are present, from annuals to perennial, from
therophytes to nanophanerophytes, from anemocorous to zoochorous, from anemogamous
to entomogamous. On the other hand all Mediterranean fixed dune species are included in
PFT IV, that is, however, the only functional group to represent a specific community type.
Traditionally, two plant functional types of woody plants have been identified under
Mediterranean type climates, these pairs having been named in different ways: evergreen
sclerophylls and drought-semideciduous, maquis and garrigue, chaparral and coastal sage
scrub. On Italian coastal dunes only the first is present, while the second occupies the more
dry rocky environments. Type IV is related to evergreen sclerophyllous or “maquis” species.
Species of the Mediterranean macchia (fixed dunes) are mostly trees, phanerophytes and
254
Parte 4
high chamaephytes, with low values of SLA, high values of LDMC and C/N. Low area per
leaf mass (SLA) is indicatives of slow turnover of plant traits, long nutrient residence times,
and slow response to favourable growth conditions (Westoby et al. 2002). High values of
LDMC and C/N, on the other hand, tend to correspond with relatively high investments in
leaf “defence” and long leaf lifespan. Species with low relative growth rate, lower SLA and
higher leaf tissue density, also contained proportionally more cell wall material (lignin,
hemicelluloses, cellulose) than species with higher relative growth rate. For this reason,
leaves of Mediterranean fixed dunes are persistent and semisclerophyllous or sclerophyllous,
which is indicative of an investment in protective structures. Sclerophylly is a recurrent plant
trait in areas with Mediterranean climate, protecting plants facing drought stress and
resulting from selection for increased leaf life-span under resource shortage (Turner 1994;
Salleo & Nardini 2000; Gratani & Ghia 2002). With regard again to leaf traits, even in our
study the variables LDMC and SLA are negatively correlated as pointed out in several
studies (e.g. Cornelissen et al. 1996; Westoby 1998). According to Garnier et al. (2001) LDMC
is a valuable surrogate measure to SLA, however, Wilson et al. (1999) showed that leaf dry
matter content (LDMC) was much less variable than the other leaf traits, being largely
independent of leaf thickness and a better predictor of location on the resource capture/useavaibility axis. Also according to Roche et al. (2004) if only one leaf trait should be retained,
they concluded that LDMC is the best candidate: it is by far the easiest trait to measure and it
is stable and strongly correlated with other important traits like RGR (relative growth rate).
Species of the Atlantic fixed dune, on the other hand, stated above, are all herbaceous,
perennials (especially hemichryptopyhte), but in some cases also annuals, with lower LDMC
values. They therefore have a higher relative growth rate and higher photosynthetic yield,
because they tend to invest more in a rapid growth. Generally, the abundance of these winter
annuals is negatively correlated with the vegetation cover of perennial species such as
Festuca and Ononis. It would thus appear that annuals are present where disturbance
through drought and trampling prevent a full cover of perennials from developing. Slight
movement of sand also helps to maintain open communities suitable for the growth of
annuals but moderate or heavy accretion results in burial and death. Only in stabilized but
still open areas are therophytes generally successful. However, species of the grey dune have
low values of canopy height due to drought, winds and poor soil.
9.2 ANNUAL STRATEGIES IN COASTAL DUNES
On coastal dunes annuals are associated particularly with the strandline and dry dune
habitats and are very rare or absent from wet sand in the slacks (Watkinson & Davy 1985).
Type I, indeed, includes both back-dune species (transition in the Mediterranean and fixed
on the Atlantic coast) and pioneer species growing in the zone closer to the sea (and
observed only for the Mediterranean system). The strandline, as mentioned above, is subject
255
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
to frequent disturbance at high tides and during storms; conditions suitable for growth may
prevail for only relatively short periods during the summer. Important colonists of the
strandline such as Cakile maritima and Salsola kali show a number of adaptive responses,
which enable them to grow on strandlines. These include the ability to be dispersed by sea
currents, the timing of germination and the positive growth response to low salinity and
sand accretion. Different is the situation for annuals of back-dunes (transition and fixed
dunes), where annuals are many times smaller than the strandline species; the major factor
preventing the strandline annuals from growing on fixed dunes is probably nutrient
deficiency compounded of low rate of supply and competition from perennial species. The
lack of accretion and salinity also may be important (Lee & Ignaciuk 1985).
Moreover, the species of the strandline are winter annuals, while those of the transition
(fixed) dune are summer annuals (Watkinson & Davy 1985). The reason for this major
difference in phenology almost certainly lies in the time at which “environmental filters” are
more critical. The major periods of disturbance on the strandline are during the winter
months and at the time of the spring and autumn equinoxes. In these situations the period
most favourable for plant growth is during the summer. On the dunes, however, disturbance
through drought is predominant during the summer months, whereas the well drained soil
warms up rapidly in episodes of winter sunshine- conditions particularly favourable for the
growth of winter annuals. Winter annuals on the dunes germinate in the autumn and flower
early in the spring before the habitat becomes too dry (Watkinson & Davy 1985). They pass
the driest part of the year during the summer as dormant seeds and germinate in the autumn
to occupy sites bare of perennials during a season of meagre light flux densities and low
temperatures, but when water is relatively abundant. It is principally high temperatures and
low soil water potentials that prevent germination during the summer, but once the soil
becomes sufficiently moist in the autumn, most seeds germinate.
Even though species of the pioneer community are limited in number, they exhibit special
traits that did not emerge from the total analysis of PFTs, but that are worth mentioning. For
example several species have succulent leafs (es. Cakile marittima, Salsola kali). Succulence,
which is the ability to store water in the leaves, is a good adaptation in water-stress
situations and in the presence of intense salinity. García-Mora et al. (1999) have individuated
these annual species in the wide group of all foredune species characterized by the presence
of morphological characters usually interpreted as response to salt, drought or abrasion such
as leaf succulence, pubescence or reinforced cuticles. Moreover, species of the pioneer
communities have been analysed by several authors in order to understand how they
respond to sand burial, which represents an important limiting factor in this zone. On the
one hand they try to avoid it by completing their life cycles in the relatively calm period
between the spring and autumnal equinoxes, e.g. Cakile maritima and Salsola kali, in other
cases, they exhibit “clonal features” only after being buried by sand at an intensive rate
(Ievinch 2006). Clonality in this case is to be understood as the presence of a well developed
256
Parte 4
root system, capable of responding to sand burial, and not as the presence of clonal elements
for vegetative reproduction, as is the case for Type III, in out analysis, in other words it is
essentially morphological. Formation of morphologically different shoots upon severe burial
is characteristic for sand dune plants, that sometimes represent even “obligate buried
species”, as a certain level of sand accretion is necessary to maintain optimal growth of these
plants. Cakile marittima, as reported by Davy & Figueroa (1993), is able to respond to sand
accretion with increased stem elongation; it can emerge through 16 cm sand burial and can
withstand accretion rates of 5 cm week−1 (Rozema et al. 1985); but an extreme example is
represented by Salsola kali, in which shoot dry mass can be stimulated up to two times
following 14 weeks of sand accretion with the rate of 12 mm week-1 (Lee, Ignaciuk 1985).
Moreover, extensive root systems, may exploit deep groundwater, which may move
upwards as “internal dew” thus helping to ameliorate this harsh and unpredictable
environment. Annual species of the back-dune (transition and fixed dune), on the other
hand, are able to establish themselves in the frontal dune, where soil instability decreases,
because of a low wind period, and lack of sediment input or compaction. They increase their
cover on the more stable patches of the foredunes, but fail to withstand burial because they
do not present an adequate growth response to reach the sand surface again, or because they
lack sufficient reserves in storage organs. Sykes & Wilson (1990) have showed that many
annual grasses, e.g. Bromus diandrus and Lagurus ovatus, were intolerant of even partial
burial.
9.3 CRITICAL TRAITS OF COASTAL PLANTS
We can point out that the four PFTs found in our analysis include species with different
flowering periods. In the first one we encounter annuals with an early flowering period, in
the second and third one perennials with late flowering and in the fourth one species with
mixed flowering period, from early flowering to late flowering. In this last case, in fact,
although Mediterranean species because of climatic reasons exhibit a more precocious
flowering than Atlantic ones, the Mediterranean macchia (PFT IV) tends to have two
flowering peaks, because of the different phenologies of the single species: an earlier one that
corresponds to the beginning of spring, and another at the end of summer and beginning of
autumn.
Moreover, with regard to pollination, it emerged that Type II, the group with flowering in
depth of summer, can be distinguished from the remaining two because of a greater
component of entomogamous species. This relation could be object of further study in the
future, as also other aspects linked to the reproductive phases of coastal dune species, that
haven‟t yet been examined in depth. Flowering and fruiting timing are, in fact, traits that
could be critical to plant success through their effect on reproductive processes such as
pollination and timing of seed dispersal. Environmental factors, further, such as the seasonal
257
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
changes in temperature, moisture and photo-period have a significant effect on the timing of
flowering and fruiting (Rathke & Lacey 1985).
9.3.1 Dispersal related traits
Traits linked to the seed are very interesting as well; these have generally been studied in
order to understand plant strategies (es. Thompson et al. 1999). Specific dispersal
characteristics and life history phenomena (e.g. seed dormancy, phenoloy, duration of the
vegetative period, mode of reproduction) play a very important role. In our study we
considered traits most linked to the regenerative phases: dispersal mode and seed mass. In
plant traits comparison between each Mediterranean and Atlantic community, dispersal
mode and seed mass are both significantly different only between species of fixed dunes
communities. In fact, we have observed that seeds are heavier in Mediterranean transition
dune species, and above all in fixed dune species, than in Atlantic ones and we have noticed
that the the Mediterranean macchia more zoochorous species are present (in particular,
species with an endozoochorous dispersal such as: Rhamnus, Daphne, Phillyrea, Juniperus). In
the Plant Functional Types analysis we have considered again seed mass and dispersal
mode, but neither of them was significantly different among the four PFTs.
Seed mass exhibits an average to low value for the first and second group, medium for the
third, but a very broad range up to high values for group IV, which includes the macchia. In
general large seeds are better represented in productive or shady habitats, while less
productive environments and disturbed areas are rich in species with smaller seeds and
higher seed outputs (Fernández Alés et al. 1993; Lord et al. 1997). Therefore, seed weight is
perceived to be a key quantity linked with both competitive and colonisation success, and
negatively correlated with abundance (Rees 1995). However if generally pioneer species
produce many small seeds, in the beach environment and in the foredune we observed that
the pioneer species have large and heavier seeds (Barbour 1992; Rees 1995). The heavier
seeds tend to stay more in depressions where they end up after dispersal and might
therefore have a higher chance of being buried compared to lighter seeds that are more easily
blown away (Looney & Gibson 1995). Having big seeds, especially in the unstable dune
habitats, would ensure successful seedling establishment. By providing an ample nutrient
reserve, the seedling is enabled to reach the critical size to survive. Heavier seeds in habitats
with a high probability of sand burial are an advantageous trait, since they have a better
chance to emerge from a greater depth. It has been observed that species with relatively light
seeds have a high emergence rate only at a 0.5-cm depth while species with relatively heavy
seeds emerge at a higher rate with relatively greater depths. In the present study, it was not
possible to observe a distinct behaviour of the pioneer species, since they were present in
limited numbers and because of the presence of species with very high seed mass values as
the ones of the macchia. Surely this aspect could be analysed in detail with a more specific
258
Parte 4
study, in particular on the annual communities of the pioneer zone and of the backdune
zone; this would allow to better highlight differences among such annual communities and
to better analyse their dynamics.
According to Knevel (2001), however, in the dune environment, the chance of getting
buried is more related to the unstableness of the environment than the shape or weight of the
seeds and sometimes it is even observed that bigger seeds don‟t have greater chances to be
buried in depth. Moreover, Rees (1995) showed that small-seeded species (annuals)
sometimes (but not always) reach much higher population densities than larger-seeded
species on sand-dunes. He argued that these observations were consistent with his trade-off
theory, because simulations of the competition- colonization trade-off produce negative
relationships between seed mass and abundance when larger-seeded species are strongly
dispersal limited. However according to Coomes (2002), it can also be reasoned that such
patterns are generated by year-to-year environmental variation. Small-seeded species have
the potential to become numerically dominant if climatic events are favourable for them,
because of their high per-capita seed production, but in many years they are knocked back
by unfavourable conditions. Coomes (2002) notes that dune-annual species with contrasting
seed masses respond differently to environmental variation, while the competitioncolonization trade-off plays a lesser role in community dynamics than previously
considered.
These theories seem to confirm our results, which point to a lack of evident trends within
the dune community and to the existence of a broad range of values. It may be interesting to
better examine this aspect, focusing on other aspects of the seed such as the size and shape,
which are crucial factors in the dispersal behaviour of seeds and affect the chance of
incorporation in the soil seed bank, influencing levels of predation, depth of burial and
persistence in the soil. Seed banks, indeed, are important for the spatial and temporal
distribution of annual coastal plant species, which mostly lack vegetative propagation
characteristic for many perennial coastal plants (Ievinsh 2006).
Even with regard to seed dispersal no significant difference emerged among the four
groups, we observed that only Type IV (macchia species) was distinguished from the rest
because of a more significant presence of zoochorous species, supporting the results of plant
traits analysis mentioned before. Seed dispersal, or the transport of seeds away from a parent
plant, is an important process in the regeneration of most of the higher plants. Some studies
link the possession of dispersal structures to certain environmental conditions and have
established that arid systems, for example, have a high proportion of unassisted diaspores
possibly because, under extreme conditions, the area around the mother plant is a relatively
favourable microhabitat (Pugnaire et al. 1996). According to Ievinsh (2006), for plants from
coastal areas, seed dispersal is mostly wind-driven, by sand drifting as well as by sea water
transport.
259
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
In this study we observed that all different strategies (anemocory, barochory-idrochory and
zoochory), were well represented. Data were obtained from bibliographical sources and from
field observations. The aspect linked to dispersal is however very complex, especially in such
dynamic environments as the coastal dune one, where often several dispersal forms coexist.
Indeed, Watkinson (1978) distinguished two aspects of seed dispersal: phase I and phase II.
Phase I dispersal involve movement of diaspores from the infructescence to the soil surface,
whereas phase II dispersal consists of subsequent movement of diaspores along the soil
surface. It has been observed that Phase II dispersal is a major factor on smooth soil surfaces
with bare soil; as found in the coastal environment. Probably, according to Knevel (2001),
many of the foredunes species have no primary mechanisms of phase I dispersal, as for most
of the foredune and strand species the seeds fall from the parent plant and roll down the
dune (Autochory - phase I dispersal). After phase I, the diaspores could be blown across the
sand surface to end up in depressions at the base of the dunes to germinate, to get buried, or
to end up in the swash zone to be washed into sea by phase II dispersal. Perhaps our
classification of seed dispersal modes refers both to the first and second phase; for example
for the grasses Ammophila arenaria, Elymus farctus and Sporobolus virginicus the main dispersal
will be a mixture of autochorous and anemonochorous dispersal, often combined with phase
II wind dispersal.
Moreover the dispersal mode by means of water should be more thoroughly analysed. In
this paper we didn‟t consider hydrochory as a distinct class because it applies to few species
and these were therefore considered together with the more general class of the barochores
(autochores). This dispersal mode does not refer only to seeds, but it applies even to rhizome
fragments as is the case for A. arenaria and S. virginicus whose fragments are able to float for
up to 5 days (Knevel 2001). The storm waves that destroy the habitat also fragment these
rhizomes or stolons and transport them back to the same shoreline or to another shoreline
where they quickly regenerat and establish new populations. The dispersal of seeds and
rhizomes via seawater, therefore, is a way to colonise new habitats, and is an important
aspect of the coastal dune environment, especially for those systems, like the Atlantic ones,
that are characterized by very important tides and storms.
It would be interesting to analyse more in detail the two dispersal phases and most of all
the importance of hydrochory, which has not yet been studied in these environments, in
order to highlight the differences between the Mediterranean and the Atlantic dunes.
Especially in consideration of the fact that knowledge of the movements and fates of coastal
seeds is essential for ecosystem restoration and conservation efforts and is thus an important
feature in the life history of plants.
260
Parte 4
10. CONCLUSIONS
Studies suggest that suites of morphological and physiological characteristics in plants are
correlated with adaptive response to environmental conditions. For example, plants from
more productive habitats often have faster growth rates and larger structures, are taller
relative to weight, and have thinner leaves and roots (Grime et al. 1997). In coastal dunes,
because of the overlapping of multiple and complex environmental gradients, it is very hard
to assess the response of plants to environmental conditions. Adaptations to environmental
factors are necessary to the survival of individuals, at least up to reproduction. Strongly
fluctuating environments such as coastal regions, however, demand more than adaptation.
Plants have to possess a certain phenotypic plasticity to avoid hyper-adaptation. In this part
we have analysed plant traits and plant functional types of Mediterranean and Atlantic
coastal dune species and we have tried to answer some crucial questions:
1-
Do different community types, defined on the base of their taxonomic properties,
support similar PFTs? Do PFTs relate to particular communities of coastal dune area?
Comparing the morphological and functional traits of dune species of the Atlantic and the
Mediterranean we were able to identify four main PFTs, differentially represented in the
respective systems. A part from Type 1 and Type 3, which are well represented in both
ecosystems, Type 2 seems to be more typical of Atlantic coasts while Type 4 is exclusive of
Mediterranean coasts. The presence of three main PFTs along Mediterranean coasts confirms
the results obtained in Part 3 of this research, concerning only species of Central Italian
coasts. Except for Type IV, no PFT resulted to be linked to particular communities or dune
zones, but instead traits exhibited a certain variability, confirming Garcia-Mora et al. (1999)
statement that the different coastal vegetation types are selected through the operation of a
series of environmental filters which result in a patchy environment.
2-
How similar are plant traits and morphological-functional types in the two
ecosystems? Which are the principal differences?
The understanding of the PFTs of two very different dune environments as the Atlantic
and the Mediterranean one, allows us to observe similarities linked to adaptations to typical
limiting factors of dune environments, such as clonality; on the other hand we also observed
traits more linked to the different climatic conditions, such as sclerophylly, typical of the
Mediterranean macchia, and a greater presence of back-dune therophytes in the
Mediterranean. Plant traits analysis highlighted that significantly different traits between the
two coastal dune ecosystems are mainly linked to above ground development (canopy
height), to the leaf (LDMC), to flowering phenology. Many traits, in particular those linked
261
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
to the regenerative phase and to the seed did not highlight particular trends or substantial
differences between the two dune systems. Being the field of inquiry so complex, future
study should focus on more particular issues and on specific coastal zones, for example on
the world of annuals of pioneer communities or of the backdune.
3-
Does the presence of more similar “environmental filters” on foredune stages,
compared to backdune ones, aslso lead to greater functional similarity of foredune
stages of Mediterranean and Atlantic coastal systems, independently of their
taxonomic composition? Following the “environmental filter theory”, which filters
could be proposed along the gradient?
In general, as we move away from the coastline differences in morphological and
functional traits between the Mediterranean and Atlantic dune systems tend to increase. In
particular, we showed that similarity between the two systems is higher in the foredune with
particularly harsh and dynamic environments; while, in the more interior zones, traits of
species are quite different in the communities of the two compared dune systems, and they
become completely different on the fixed dune. These results have confirmed the initial
hypothesis based on theory of environmental filters. In fact, comparing the two different
coastal systems it follows that where environmental filters are very strong, that is in
foredunes, because of salinity, wind, waves and storms, species have adopted similar traits,
and so, we found a great similarity.
On the other hand, moving inwards, as these
environmental filters tend to be less harsh, differences between plant traits increase and
become highest in fixed dunes. This is unrelated from floristic composition, that can be more
or less similar. It is likely that others factors (features) or better “filters”, that operate at local
scale, come into play, especially those of biotic type such as the facilitation, competition or
abiotic features such as soil typology.
In our analysis of variation of plant traits along the sea-inland gradient in each coastal
system (Mediterranean and Atlantic area) separately, we found, as we hypothesized, that,
along the Mediterranean gradient, a higher number of traits change than along the Atlantic
one. In fact, we observed that almost all quantitative variables vary significantly along the
beach-inland gradient; however, important and interesting differences between the two
ecosystems were found in their trend along the gradient. A greater number of qualitative
traits, finally, were significant for the Mediterranean ecosystem. Also in this case, this is due
to the presence for the Atlantic coastal area of a harsher environmental filter that operates on
landscape scale; namely there is a higher intensity of environmental filters. In fact, strong
wind and waves distinguish the oceanic coastal system from the Mediterranean one, leading
to a smaller number of traits changing along this more harsh coastal system.
262
Parte 4
11. FURTHER DEVELOPMENT
Environmental factors related with coastal zonation were not considered in this study
although they should be taken into account in future studies to gain a better understanding
of and to compare more effectively these two dune systems. Including environmental
variables such as standardized descriptors of climate, soil and disturbance in quantitative
analyses makes it possible to test hypotheses about the pathways that ultimately determine
ecosystem properties directly, and indirectly through modification of plant trait
representation in communities (Garnier et al. 2007).
Moreover, in the future we could
consider further plant traits such as root traits; it appears, indeed, that root traits follow
similar patterns to those observed for leaf traits and that there are positive relationships
between root and leaf traits, such as N concentration, tissue density (Craine et al. 2003),
longevity and respiration rate.
Also anthropic disturbances, which have compromised in many cases the conservation of
coastal dunes, contributing to their fragmentation and favouring the invasion by many alien
species, could also eventually be included in the analysis. For example, aliens and weeds
may be studied in addition to the common and typical species of dune communities, in order
to analyse how much community plant traits differ from the natural state and what
differences exist between the Mediterranean and Atlantic component from this point of view.
Moreover, we can use plant traits and plant functional traits as “bio indicators” of coastal
dune status; they can provide important information on human and/or natural disturbance
and may be considered “functional bioindicators” of the state of conservation of sandy
coastal ecosystems. Ecological indicators can be used to assess the condition of the
environment, to provide an early warning signal of changes in the environment, or to
diagnose the cause of an environmental problem. Ideally, the suite of indicators should
represent key information about structure, function, and composition of the ecological
system (Dale & Beyler 2001). These represent ecosystem characteristics related to or derived
from a biotic or abiotic measurement. They can provide qualitative or quantitative
information about the ecosystem composition, structure, and function (Noss 1990). For
example, the composition indicator may aggregate an ecological variable such as species
number and origin to explain human impact on plant communities. Structural indicators can
combine species life forms and species lifespan to express natural impacts such as fire or
storms on a vegetation type. Functional indicators may join physiological adaptations of
species and productivity to select carbon-storage ecosystems. Plan traits may indicate
particular adaptations, for example, pubescence is an environmental adaptation to high
temperature and aridity; it improves water retention for plants in late successional stages
and so it can be considered an indicator of protection. Succulence is a plastic trait induced by
soil or air-borne salinity (Rozema et al. 1985) indicating early successional stages. It can be
considered a stress tolerance indicator. However, also the number or presence of Plant
263
Atlantic and Mediterranean coastal dunes
functional types, may be an important ecological indicator and might be a powerful tool for
monitoring sand dunes and to individuate changes in the state of coastal ecosystems. PFTs as
ecological indicators can help evaluate changes and trends caused by disturbance, especially
if they are placed on protected or managed areas. Moreover, these “functional indicators” of
sand dunes seem to be a helpful tool for monitoring conservation and restoration impact and
for plant invasion assessment; they predict changes that can be averted by management
actions and are helpful to provide information about invasion and establishment ability of
exotic species and in particular their invasivity; this is very important because of the
vulnerability of sand dunes. Knowledge of these dynamics could provide a useful tool to
identify management measures and to correctly preserve the territory on a broad level,
benefiting from it correctly while also protecting the biodiversity of Mediterranean and
Atlantic coasts.
In this part we have analysed Mediterranean and Atlantic coastal systems in terms of
floristic-vegetation and functional diversity. These two approaches take into consideration
different features of analysis. In fact, Harper (1982) already rightly stated that the
phytosociologist has a geographical rather than a functional approach, and is interested in
species and area rather than in individuals and pattern. Other future integrations of both
approaches will help us to understand structure and functioning of coastal environments for
ensuring adequate stepping stones in these very characteristic biota.
264
PARTE 5
CONCLUSIONI GENERALI
Management should aim at maintaining the diversity and the natural
dynamics of the coastal dune ecosystems
and at ensuring that they will be available to future generations
(Martínez et al. 2004)
Conclusioni generali
1. CONCLUSIONI GENERALI
Lo scopo del progetto di ricerca è stato quello di analizzare la diversità biologica degli
ecosistemi costieri sabbiosi, considerando la componente vegetale nei suoi diversi aspetti. Lo
studio, infatti, ha riguardato sia l’aspetto floristico-vegetazionale che quello funzionale. La
gestione del territorio e la conservazione della biodiversità, infatti, richiedono uno studio
approfondito della funzionalità degli ecosistemi e delle loro componenti che può essere
effettuato in modi e a scale diverse. In quest’ultima parte della tesi saranno riportati in forma
sintetica i principali risultati relativi ai diversi aspetti esaminati largamente nelle precedenti
parti.
1.2 DIVERSITA’ FLORISTICA DELLE COSTE SABBIOSE DELL’ITALIA
CENTRALE
La prima parte della tesi (Parte 2) ha visto lo studio della diversità tassonomica degli
ecosistemi sabbiosi dell’Italia centrale (Lazio, Abruzzo e Molise). Questo è stato effettuato
mediante un censimento floristico che ha interessato entrambi i versanti (adriatico e
tirrenico). Si è posta particolare attenzione non solo alla ricchezza specifica, ma anche agli
aspetti biologici e corologici (fitogeografici) della flora censita con particolare riguardo alla
componente a rischio di estinzione e a quella esotica. Riassumiamo nei seguenti punti i
principali risultati ottenuti:

È stata rilevata una notevole ricchezza specifica nelle aree costiere esaminate, con un
numero di 820 entità censite. Molte di queste sono comuni ad entrambi i versanti, altre sono
esclusive del versante tirrenico (Crucianella maritima, Pycnocomon rutifolium) o adriatico
(Verbascum niveum subsp. garganicum, Ambrosia marittima, Glycyrrhiza glabra, Lotus creticus).
La maggior percentuale delle specie censite sono terofite, caratteristiche del clima arido del
Mediterraneo, ma anche indicatrici una certa antropizzazione che interessa ampi tratti dei
litorali oggetto della ricerca. La componente arborea-arbustiva (fanerofite) è rappresentata
dalla macchia mediterranea, molto più sviluppata e frequente lungo il litorale tirrenico
rispetto a quello adriatico, in cui è rappresentata da pochi e frammentati lembi. Da un punto
di vista corologico la componente Mediterranea (Euri-Steno) è, come atteso, predominante
sugli altri corotipi, mentre gli elementi atlantici sono significativamente più frequenti lungo
le coste tirreniche del Lazio.
 Tra le specie native tipiche delle dune sabbiose, sono state individuate diverse entità
incluse nelle Liste Rosse Regionali (Conti et al. 1997) come specie a rischio, o riportate in
Leggi Regionali per la protezione della flora. Si tratta di specie che crescono sulle spiagge, sui
cordoni dunali, ma anche negli ambienti salmastri e in quelli umidi del retroduna, ormai
266
Parte 5
quasi ovunque scomparsi in seguito ad opere di bonifica e di edilizia. È stata rilevato un
evidente squilibrio nel numero di specie incluse nelle Liste Rosse tra i due versanti. Infatti
l’Abruzzo è la regione che presenta il maggior numero di specie a rischio, mentre il Lazio ne
comprende un numero minore; inoltre specie comuni a due o più regioni presentano
differenze nell’attribuzione dello status di criticità. I motivi di questo sono da ricercare o
nelle differenti condizioni ambientali dei litorali indagati, o in una disparità di valutazione
dovuta al diverso grado di aggiornamento delle Liste Regionali. I dati floristici ottenuti
mediante il censimento della presente ricerca, con le cartine di distribuzione delle singole
specie, potranno fornire un utile strumento per una maggiore oggettività nella compilazione
delle Liste Rosse, per l’individuazione di nuove entità dunali da tutelare e per un futuro
riesame delle entità a rischio sulla base della nuova versione delle categorie e dei criteri
IUCN.

Il censimento ha rilevato anche un buon numero di specie esotiche pari a 67 unità (lo
stesso numero delle specie a rischio). Queste specie sono state classificate secondo le
indicazioni di Richardson et al. (2000) e Pyšek et al. (2004) in casuali, naturalizzate ed
invasive; a queste sono state aggiunte le classi delle coltivate e delle dubbie. La maggior
parte delle specie sono casuali e coltivate; si tratta di specie introdotte per scopi ornamentali
o di forestazione che non sono capaci di riprodursi e permanere nel luogo che occupano. Dal
punto di vista delle forme biologiche, quindi, predominano le fanerofite, ma se si considera
lo status di invasività si nota che le specie invasive, cioè quelle capaci di riprodursi e
diffondersi in maniera veloce ed efficace nel luogo in cui sono state introdotte, sono
soprattutto terofite, emicriptofite e camefite. Questo risultato ci ha permesso di affermare un
primo dato “funzionale” riguardo alla compagine esotica. Le invasive o sono annuali che
producono un numero elevati di semi (es. Erigeron ssp.) oppure sono specie perenni capaci di
una efficace crescita vegetativa attraverso stoloni e rizomi; tra questi ultimi troviamo due
specie fortemente invasive del litorale tirrenico: Carpobrotus ssp. e Agave americana. Per
quanto riguarda l’areale originario delle specie aliene, si è osservati che la maggior parte di
esse proviene dal continente americano e quello asiatico, confermando i risultati a livello
nazionale. È stato però osservato che, mentre lungo il litorale adriatico predominano specie
di origine extratropicale (in particolare Nord America), in quello tirrenico prevalgono specie
di origine tropicale e africana, quindi elementi più termofili.
 Relazionando la ricchezza delle specie native con quella delle esotiche per ogni
quadrante si è notato come vi sia una correlazione positiva tra queste due componenti, a
conferma di molti studi che si sono occupati di questa questione a scala di paesaggio
(Stohlgren et al. 1999; Sax 2002). Sia l’invasività che la diversità delle specie native sarebbero
regolate nello stesso modo dallo stesso set di fattori (microclima, eterogeneità spaziale). In
realtà secondo diversi autori la ricchezza di specie potrebbe covariare non solo in
267
Conclusioni generali
dipendenza di fattori ecologici (nicchia vacante, competizione); ma a questi possono
sovrapporsi altri elementi come per esempio, il clima, il disturbo, la pressione del propagulo.
Analisi di questo tipo, quindi, dovrebbero tenere conto della complessità dei fattori in gioco
non dimenticando il particolare contesto di ogni singolo caso di studio (Stohlgren et al. 1999).
1.2 DIVERSITA’ FUNZIONALE DELLE COSTE SABBIOSE DELL’ITALIA
CENTRALE
Nella seconda parte della tesi (Parte 3) l’attenzione è stata rivolta verso lo studio della
diversità “funzionale” degli ecosistemi dunali sabbiosi dell’Italia centrale (Lazio, Abruzzo e
Molise). Lo scopo di questa parte è stato quello di individuare, mediante tecniche di analisi
multivariata, quali potessero essere i principali tipi funzionali (PFTs) degli ecosistemi costieri
considerando anche la componente esotica. Ciò ci ha permesso, quindi, da una parte di
esaminare le strategie delle specie dunali nel complesso e poi di comprendere meglio i
meccanismi di colonizzazione di queste aree da parte delle specie esotiche. Di ciascun
gruppo funzionale sono stati confrontati mediante test statistici i plant traits tra la
componente nativa ed esotica, tra quella nativa e la componente esotica invasiva e tra la
componente esotica non invasiva ed invasiva. L’analisi è stata effettuata anche lungo il
gradiente mare-terra, classificando le specie selezionate alle tre principali fasce della
zonazione: avanduna, duna di transizione e duna fissa. Anche qui riportiamo in sintesi i
principali risultati ottenuti:
 La matrice specie x caratteri è stata elaborata mediante la Multiple Correspondence
Analysis (MCA) e la Cluster Analysis; si sono individuati tre principali gruppi funzionali
delle specie dunali. Essi sono relativi a tre differenti strategie: 1) PFT1 è il gruppo delle specie
annuali che si sviluppano nella fascia del cakileto, ma soprattutto nella duna di transizione
formando colorati pratelli. Si tratta di specie caratterizzate dall’utilizzare le risorse in breve
tempo; esse presentano, infatti, elevati valori di SLA si riproducono esclusivamente
mediante semi, sono soprattutto anemogame e anemocore. 2) PFT 2 è il gruppo delle specie
perenni avandunali; si tratta di specie propense ad accumulare le risorse grazie anche alla
presenza di organi sotterrenei (bulbilli, tuberi) che oltre svolgere la funzione riproduttiva
svolgono anche quella di organi di riserva. 3) PFT 3 è il gruppo delle specie perenni della
macchia mediterranea (duna fissa); si tratta di specie che tendono ad accumulare in
fitomassa e ad investire in strutture protettive; sono soprattutto arboree-arbustive, non
clonali, con valori elevati di LDMC e bassi di SLA, con foglie sclerofille e con una dispersione
essenzialmente zoocora.
 Le specie esotiche sono presenti in tutti e tre i gruppi condividendo le strategie delle
specie native. Il gruppo 1 delle specie annuali (“strategia dell’utilizzo rapido delle risorse”)
268
Parte 5
comprende il maggior numero di esotiche, di cui quasi tutte invasive (Erigeron ssp., Cenchrus
incertus); segue il gruppo 2 (“strategia di accumulo delle risorse”) con importanti specie
invasive che colonizzano sia l’avanduna che la duna di transizione (Carpobrotus ssp.
Oenothera ssp., Ambrosia coronopifolia); infine, il gruppo 3 (“strategia di investimento in
fitomassa”) include il numero più basso di esotiche che sono o naturalizzate o coltivate
(Pittosporum tobira, Acacia saligna, Cupressus semprervierens). Sulla base di precedenti lavori
sembrerebbe che nell’avanduna, dove sono elevati i filtri abiotici, e nella duna fissa (macchia
mediterranea) dove sono più intensi i filtri biotici (competizione), le esotiche hanno meno
facilità ad insediarsi e quindi sono meno numerose. Mentre, nella duna di transizione,
occupata sia dalla maggior parte delle specie annuali comprese nel gruppo 1 che da quelle
perenni del gruppo 2, le condizioni sono intermedie e l’attenuazione dei filtri ambientali fa sì
che in presenza di disturbo si creino nicchie vacanti che le rendono vulnerabili alle invasioni
biologiche.
 L’attenzione si è soffermata, quindi, sulle differenze a livello di plant traits tra la
componente nativa ed quella esotica. L’obiettivo era quello di analizzare se ci fossero dei
plant traits associati all’invasività. I risultati hanno dimostrato che le specie invasive si
distinguono dalle specie native e dalle specie esotiche non invasive per l’altezza, una forma
di crescita più sviluppata, uno SLA più elevato e l’inizio della fioritura piuttosto ritardato.
Molti di questi caratteri sono stati riportati come associati all’invasività nell’ultimo lavoro di
revisione di Richardson & Pyšek (2007). Sembrerebbe valere in parte la teoria di Crawley et
al. (1996) secondo cui le specie esotiche risultano spesso to try harder rispetto alle native; in
realtà questo è stato osservato nel presente lavoro solo per la componente annuale, cioè per
le r-strateghe del gruppo 1 risultate molto più alte di quelle native, con elevati valori di SLA
(crescita molto rapida) fioritura molto ritardata; dal presene studio non sono emerse, tra le
esotiche, K- strateghe con caratteri “estremi” , cioè specie con una lunga vita, molto alte e con
semi grandi. Studi in corso, però, stanno analizzando i plant traits di un'altra specie invasiva
degli ecosistemi costieri mediterranei, Agave americana. In futuro queste ulteriori analisi,
insieme all’approfondimento dei leaf traits e dei traits relativi alle radici, fondamentali per
comprendere le strategie di specie a vigorosa riproduzione vegetativa come, appunto Agave
americana e Carpobrotus ssp., potrebbero confermare la teoria di Crawley et al. (1996) oppure
potrebbero di nuovo farci affermare che una “mancanza di regole” sembra caratterizzare
ogni singolo processo di invasione, soprattutto in ambienti così eterogenei quali quelli
costieri.
269
Conclusioni generali
1.3 DIVERSITA’ TASSONOMICA E FUNZIONALE DEGLI ECOSISTEMI DUNALI
COSTIERI DEL MEDITERRANEO E DELL’ATLANTICO
In questa terza ed ampia parte (Parte 4) del lavoro di ricerca si sono esaminati due differenti
ecosistemi sabbiosi costieri, uno Mediterraneo (costa tirrenica laziale) e l’altro Atlantico
(costa francese dell’Aquitania) con lo scopo di analizzare la loro diversità tassonomica
(floristico-vegetazione) (Parte 4A) e poi quella funzionale (Parte 4B), individuando
somiglianze e differenze. Anche per questa sezione riportiamo i principali risultati ottenuti:
 Lo studio floristico-vegetazionale (coenologico) è stato attuato elaborando con tecniche
di analisi multivariata (PCoA e Cluster Analysis) rilievi fitosociologici di letteratura
rappresentativi di ciascuna facies dei due ecosistemi. I risultati hanno dimostrato la presenza
sull’ecosistema atlantico di quattro principali comunità relative alle seguenti facies: duna
embrionale, duna mobile, duna di transizione e duna fissa; sul Mediterraneo, invece, sono
state rilevate sei comunità principali, essendo sviluppata, a differenza dell’Atlantico, una
stabile comunità pioniera (Cakileto) della spiaggia emersa (upper beach) e presentando una
duna di transizione costituita sia da una comunità perenne (Crucianelleto) che una comunità
annuale (pratelli terofitici). Quasi tutte le queste comunità sono incluse della Direttiva
Habitat (92/43/EU) come habitat comunitari da proteggere e salvaguardare; in particolare,
le dune grigie atlantiche e la duna fissa del mediterraneo occupata dalla macchia a ginepro
sono inclusi nella Direttiva come “Habitat prioritari”.
 I risultati floristico-vegetazionali confermano quanto emerso da precedenti lavori (Doing
1985) di una somiglianza a livello di flora e di comunità nelle parti avandunali e una
sostanziale differenza nella parti retrodunali (duna di transizione e duna fissa) della
zonazione. Sono state individuate anche vicarianze a livello di generi (Elymus, Ammophila) e
di comunità (elymeto, ammofileto) nella foredune dei due sistemi costieri esaminati.
Quest’aspetto è stato approfondito riportando risultati di studi fitogeografici sulle principali
specie dunali (Cakile, Eryngium, Salsola kali). Dal confronto strutturale e corologico delle
comunità effettuato mediante il calcolo di spettri è emersa una sostanziale somiglianza di
forme biologiche per le comunità dell’avanduna (duna embrionale e mobile) rispetto a quelle
retrodunali (duna di transizione e duna fissa) che sono completamente differenti tra
l’ecosistema mediterraneo ed atlantico. A livello fitogeografico, invece, si è riscontrata una
sostanziale differenza tra i due ecosistemi in tutte le facies della zonazione, trattandosi di due
regioni biogeografiche differenti in cui prevalgono in una le mediterranee (costa laziale
tirrenica) e nell’altra le atlantiche (costa francese dell’Aquitania). Una elevata percentuale di
endemismi è stata osservata sulle coste atlantiche della Francia SW a differenza di quanto
riscontrato sulla costa tirrenica del mediterraneo, in cui la componente endemica è quasi
esclusiva degli ambienti costieri rocciosi. Poche specie esotiche, invece, sono state rilevate
270
Parte 5
con il metodo fitosociologico in entrambi gli ecosistemi sabbiosi. Dal confronto con studi
precedenti e dall’osservazione in campo si è notato, comunque, una maggiore colonizzazione
delle spiagge mediterranee da parte di specie esotiche spesso invasive; mentre sulle coste
francesi la presenza delle esotiche è molto localizzate e spesso si tratta di specie casuali o
naturalizzate. Un disturbo antropico basso e un elevato stato di conservazione degli
ecosistemi atlantici di questa parte della costa francese, sottoposta a regimi di protezione,
potrebbe spiegare la minore presenza di esotiche rispetto alla costa mediterranea del Lazio.
 L’analisi funzionale, effettuata anch’essa mediante tecniche di analisi multivariata, ha
permesso di individuare 4 principali PFTs o gruppi funzionali. I risultati ottenuti
confermano quanto emerso nella parte 2 per la componente mediterranea; infatti sia
sull’ecosistema costiero atlantico che su quello mediterraneo sono presenti tre gruppi
funzionali principali. Due dei quattro PFTs individuati sono comuni ad entrambi gli
ecosistemi: il PFT1 che comprende le specie annuali e il PFT3 che comprende le specie
perenni clonali. Il PFT4 è esclusivo dell’area costiera mediterranea essendo costituito dal
gruppo delle specie di macchia (duna fissa del mediterraneo); infine, il PFT 2, anch’esso
costituito da specie erbacee perenni, è quasi esclusivamente rappresentato dalle specie della
duna di transizione e della duna fissa dell’ecosistema atlantico. Solo nel caso della macchia si
è osservata una corrispondenza del PFT a una comunità ben definita; per il resto vale quanto
emerso in precedenti lavori sulla costa in cui si è osservata una sovrapposizione di strategie
nelle diverse comunità della zonazione dovuta soprattutto all’estrema eterogeneità degli
ambienti considerati. In particolare, le specie della duna fissa atlantica sono comprese in tre
gruppi funzionali (PFT1, PFT2 e PFT3).
 Dopo aver individuato i PFTs, la nostra attenzione si è rivolta all’analisi dei plant traits
lungo la zonazione costiera dei due ecosistemi. Si è prima effettuato un confronto tra le
variazioni dei plant traits lungo il gradiente mare-terra dei due sistemi separatamente e poi
sono state confrontate i plant traits delle tre principali facies (foredune, transition dune e
fixed dune) della zonazione dei due sistemi costieri. La prima elaborazione ha rilevato come
tutte le variabili quantitative (eccetto C/N per il Mediterraneo) sono significativamente
diverse lungo la zonazione costiera; per quanto riguarda le variabili qualitative, invece, un
maggior numero di traits altamente significativi è stato osservato maggiormente per
l’ecosistema Mediterraneo.
 Confrontando le singole facies è emerso che la foredune dei due sistemi a livello
funzionale è molto simile con pochi caratteri significativamente differenti: le specie
mediterranee dell’avanduna sono più alte, più precoci nella fioritura e presentano una buona
presenza di zoocore rispetto alle specie avandunali dell’atlantico. Le differenze diventano
maggiori nella duna di transizione occupata nel mediterraneo da una comunità annuale
271
Conclusioni generali
caratterizzata da uno sviluppo rapido (SLA elevati) e da una fioritura precoce, e dall’altra da
comunità erbacee di specie perenni con forme a ciuffo o a cuscinetto, meno sviluppate in
altezza e con fioritura più tardiva. È comunque nella duna fissa la massima differenza tra i
due sistemi: da un parte la macchia dall’altra una comunità di specie perenni erbacee cui si
aggiungono anche diverse specie annuali.
 Abbiamo ipotizzato che dove i filtri ambientali sono molto severi ed intensi, come
accade nell’avanduna, sottoposta ai forti venti, all’incoerenza del substrato e all’azione delle
onde e delle maree, si assiste ad una somiglianza funzionale tra le comunità dei due sistemi;
invece, man mano che si procede verso l’interno dove questi forti filtri ambientali si
attenuano, emergono differenze più evidenti tra le due aree costiere confrontate. La teoria
dei filtri (vedi Keddy 1992; Díaz et al. 1999) allo stesso modo spiega perché si registra una
minore variazione dei plant traits lungo il gradiente atlantico rispetto a quello mediterraneo.
Gli ecosistemi costieri atlantici, infatti, rispetto a quelli mediterranei, sono caratterizzati da
condizioni ambientali molto più severe per una maggiore ventosità, per le imponenti
mareggiate; questo comporta una minore variazione dei plant traits lungo il gradiente
rispetto a quanto accade nel mediterraneo, dove, invece, i filtri ambientali abiotici sono meno
intensi, permettendo una maggiore eterogeneità di condizioni e quindi di strategie.
 I plant traits collegati alle fasi rigenerative delle specie vegetali non sono risultati
particolarmente significativi in questi ecosistemi; la massa del seme, infatti, presenta valori
con ampi range; essa, inoltre, non è associata a particolari gruppi funzionali (PFT). Secondo
diversi studiosi ciò potrebbe essere dovuto alle caratteristiche degli ambienti dunali che sono
poco prevedibili e molto fluttuanti. Anche per quanto riguarda la dispersione solo la macchia
mediterranea e quindi il PFT 4 si contraddistingue per una buona presenza di specie zoocore;
per il resto si presenta anche qui un’ampia sovrapposizione di classi. In futuro si potrebbero
considerare, per confronti tra i due sistemi costieri, altri traits come per esempio la forma del
seme o informazioni relative alla banca del seme; con riguardo al processo dispersivo si
potrebbero considerare le diverse fasi della dispersione prendendo in considerazione anche il
ruolo dell’idrocoria per le specie dell’avanduna.
 La componente annuale che popola le dune ha presentato due principali distribuzioni
soprattutto nel Mediterraneo. Infatti, una parte delle annuali, le cosiddette summer annuals, si
sviluppa sulla spiaggia emersa, l’altra parte delle annuali, le winter annuals colonizza la duna
di transizione e, nell’ecosistema atlantico anche la duna fissa. Distinguere nell’ambito del
mondo annuale dal punto di vista funzionale queste dune componenti potrebbe essere
interessante e sicuramente frutto di ulteriori informazioni sul funzionamento dell’ecosistema
costiero. Alcuni caratteri delle specie della comunità pioniera del cakileto, infatti, non sono
272
Parte 5
emerse in questo studio ma sono comunque da tenere in considerazione; pensiamo, ad
esempio, alla succulenza o all’idrocoria.
 Lo studio floristico, accompagnato da un’indagine degli aspetti funzionali della flora
analizzata, sicuramente è molto importante per la comprensione della struttura e del
funzionamento degli ecosistemi costieri, ma è utile anche per la loro gestione e
conservazione. Come le comunità, infatti, i gruppi funzionali possono essere considerati dei
bioindicatori dello stato delle dune costiere. L’assenza di uno dei principali PFT significa la
perdita di alcune caratteristiche funzionali del sistema. L’uso dei PFT come bioindicatori
funzionali è fondamentale anche nel monitoraggio per valutare, nel corso del tempo, i
cambiamenti nello stato dell’ecosistema dunale e per preveder anche le possibili
conseguenze dal punto di vista funzionale delle azioni antropiche.
2. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Negli ultimi anni l’aumento delle pressioni esercitate dalle attività antropiche sulle zone
costiere ha portato alla frammentazione di questi habitat trasformandone l’assetto floristicovegetazionale (Biondi 1999). Abbiamo perso una parte consistente delle risorse naturali, della
nostra biodiversità, specie rare, habitat estremamente preziosi e indispensabili, per poter
sopravvivere, alle stesse attività che le hanno distrutte. La protezione della biodiversità a
tutti i livelli è diventata un comune obiettivo negli sforzi conservativi. La tutela degli
elementi dell’ambiente e della vegetazione costiera è di grande interesse ed importanza, non
solo dal punto di vista strettamente scientifico-naturalistico, quanto da quello paesistico,
storico e sociale, per il significato e l’elevato valore posseduti dal sistema dunale costiero.
Bisogna proteggere i processi che sono alla base della vita degli organismi, che concorrono
al mantenimento dei loro habitat e del paesaggio in cui sono inseriti. L’acquisizione di
migliori conoscenze di base sulle specie vegetali degli ambienti delle spiagge e delle dune
costiere sabbiose e sul loro funzionamento, risponde ad una esigenza primaria nell’ambito
delle strategie di conservazione ambientale. La conoscenza della flora è un elemento basilare
per tutti gli altri approcci conoscitivi anche di tipo applicativo. Le piante, infatti, sono
riconosciute a livello universale come parte vitale della diversità biologica mondiale.
In questo studio sulla biodiversità degli ambienti dunali si è voluto riportare un esempio di
integrazione tra due differenti approcci uno basato sulle specie e sulle comunità vegetali che
popolano gli ambienti costieri e l’altro basato sui plant traits e Plant Functional Types delle
specie dunali. Il primo rappresenta uno approccio tassonomico alla studio della diversità e
ha una natura per lo più fitogeografia, basandosi sulle specie e sulle aree; il secondo, invece,
è un approccio funzionale che si basa sui caratteri e sui pattern. Questa integrazione ci ha
permesso di comprendere meglio la natura di ecosistemi fragili e vulnerabili quali quelli
273
Conclusioni generali
dunali costieri del Mediterraneo e dell’Atlantico e di analizzarne la struttura e il
funzionamento. Acquisire nuove conoscenze in questa direzione può fornire, ai biologi della
conservazione e in generale a chi si occupa della gestione degli ambienti naturali, nuovi
strumenti per invertire la tendenza negativa di perdita di biodiversità che si sta verificando
in questi ecosistemi così unici e peculiari. La valutazione della fitodiversità, dell’incidenza di
specie esotiche, che possono avere un notevole impatto ecologico sulla flora locale,
l’individuazione di specie bioindicatrici dello stato di salute del litorale sabbioso, e analisi
dei plant traits e delle strategie delle specie native ed esotiche forniscono, infatti, un
contributo importante, alla conoscenza e al monitoraggio di ecosistemi particolarmente
esposti al disturbo antropico.
Per difendere ecosistemi fragili come quello del sistema dunale è di grande importanza
non solo accrescere la sperimentazione e gli studi scientifici ma anche incentivare la
diffusione delle conoscenze finora acquisite. Soprattutto quando si vanno a progettare
interventi di rinaturalizzazione o di creazione del verde, è bene tenere presente il rischio che
l'introduzione di certe specie rappresenta per gli eventuali ambienti naturali circostanti. Il
problema, difficile da affrontare oggi, quando molti danni sono stati fatti e si sono create
situazioni da cui è impossibile recedere, è quello di una corretta e integrata gestione delle
fasce litorali che tenga conto di un realistico sviluppo sostenibile. Una buona gestione delle
aree costiere può aiutarci a non cancellare questi ambienti dal nostro paesaggio, e anzi può
consentirci di riaverli in molti posti che attualmente si presentano in uno stato degradato.
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297
APPENDICI
APPENDICE I
ELENCO E CLASSIFICAZIONE DELLE SPECIE ESOTICHE CENSITE LUNGO LE COSTE SABBIOSE
DELL’ITALIA CENTRALE (LAZIO, ABRUZZO E MOLISE)
Acacia melanoxylon R. Br.
Acacia saligna (Labill.) H.L.Wendl.
Agave americana L.
Ailanthus altissima (Mill.) Swingle
Albizzia julibrissin Durazz.
Aloe barbadensis Miller
Amaranthus retroflexus L.
Ambrosia coronopifolia Torr. & A. Gray
Amorpha fruticosa L.
Aptenia cordifolia (L. f.) Schwantes
Artemisia verlotiorum Lamotte
Arundo donax L.
Bidens frondosa L.
Canna indica L.
Carpobrotus acinaciformis (L.) L. Bolus
Carpobrotus edulis (L.) N.E. Br.
Cenchrus incertus Curtis
Chamaedorea elegans Mart.
Chenopodium ambrosioides L.
Citrullus lanatus (Thunb.) Matsum. & Nakai
Commelina communis L.
Cortaderia selloana (Schult.) Asch. & Graebn.
Cupressus semprervirens L.
Cuscuta scandens Brot. subsp. cesattiana (Bertol.) Greuter & Burdet
Cyperus altaernifolius L.
Datura stramonium L. subsp. stramonium
Dichondra micrantha Urb.
Elaeagnus angustifolia L.
Erigeron bonariensis L.
Erigeron canadensis L.
Erigeron sumatrensis Retz.
Eucalyptus camaldulensis Dehnh.
P scap
P scap
P caesp
P scap
P scap
NP
T scap
G rhiz
P caesp
Ch suffr
H scap
G rhiz
T scap
G rhiz
Ch suffr
Ch suffr
T scap
P scap
T scap
T scap
G bulb
H caesp
P scap
T par
G rhiz
T scap
G rhiz
P scap
T scap
T scap
T scap
P scap
Dubbie
Australia
Australia
Nord America
Asia Orientale
Asia
Africa orientale, Arabia e India
Nord America
Nord America
Nord America
Sud Africa
Asia Orientale
Asia Centrale
Nord America
America tropicale
Sud Africa
Sud Africa
America tropicale
America centrale
America centrale
Sud Africa
Asia Orientale
Sud America
Mediterraneo orientale
Nord America
Africa
America tropicale
Asia orientale
Asia
America tropicale
Nord America
America tropicale
Australia
Coltivate
Forma
biologica
Invasive
Paese d'origine
Naturaliz.
SPECIE
Casuali
Status
X
X
Lazio Abruzzo Molise
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
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X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Eucalyptus globulus Labill.
Gazania rigens (L.) Gaertner
Ipheion uniflorum (Graham) Raf.
Lantana camara L.
Ligustrum lucidum Aiton
Lonicera japonica Thunb.
Mirabilis jalapa L.
Morus alba L.
Myoporum tenuifolium G. Forst.
Oenothera adriatica Soldano
Oenothera biennis L.
Oenothera suaveolens Desf. ex Pers. var.
Opuntia ficus-indica (L.) Mill.
Oxalis articulata Savigny
Oxalis pes-caprae L.
Parthenocissus quinquefolia (L.) Planch.
Passiflora coerulea L.
latipetala Soldano
Phoenix canariensis Chabaud
Phoenix dactylifera L.
Phytolacca americana L.
Pittosporum tobira (Thunb.) W.T. Aiton
Populus canadensis Moench
Prunus domestica L. subsp. domestica
Raphanus sativus L.
Robinia pseudoacacia L.
Senecio mikanioides Otto ex Walp.
Senecio inaequidens DC.
Symphyotrichum squamatum (Spreng.) G.L. Nesom
Trigonella caerulea (L.) Ser.
Veronica persica Poir.
Vitis rupestris Scheele
Vitis vinifera L. subsp. vinifera
Xanthium orientale L. subsp. italicum (Moretti) Greuter
Xanthium spinosum L.
Yucca gloriosa L.
P scap
Ch caesp
G bulb
P caesp
NP
P lian
G bulb
P scap
P caesp
H bienn
H bienn
H bienn
P succ
G rhiz
G bulb
P lian
P lian
P scap
P scap
G rhiz
NP
P scap
P scap
T scap
P caesp
Ch frut
T scap
T scap
T scap
T scap
P lian
P lian
T scap
T scap
P caesp
Dubbie
Australia
Sud Africa
Sud America
America centrale
Asia Orientale
Asia Orientale
Sud America
Asia Orientale
Australia
Nord America
Nord America
Nord America
America tropicale
Sud America
Sud Africa
Nord America
Sud America
Canarie
America tropicale
Nord America
Asia
Nord America
SE-Asia
Esotica dubbia
Nord America
Sud Africa
Sud Africa
Sud America
Asia Occidentale
Asia Occidentale
Nord America
Mediterraneo
Esotica dubbia
Sud America
Nord America
Coltivate
Forma
biologica
Invasive
Paese d'origine
Naturaliz.
SPECIE
Casuali
Status
X
Lazio Abruzzo Molise
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
APPENDICE II
ELENCO E DELLE SPECIE A RISCHIO CENSITE LUNGO LE COSTE SABBIOSE DELL’ITALIA CENTRALE
(LAZIO, ABRUZZO E MOLISE)
SPECIE
Aeluropus littoralis (Gouan) Parl.
Alkanna tinctoria Tausch subsp. tinctoria
Allium atroviolaceum Boiss.
Allium chamaemoly L. subsp. chamaemoly
Ambrosia maritima L.
Ammophila arenaria (L.) Link subsp. australis (Mabille) Laínz
Anthemis maritima L.
Artemisia caerulescens L. subsp. caerulescens
Asphodelus fistulosus L.
Asphodelus ramosus L. subsp. ramosus
Atriplex portulacoides L.
Atriplex tatarica L.
Calystegia soldanella (L.) Roem. & Schult.
Carex acutiformis Ehrh.
Carex extensa Gooden.
Carex hispida Willd.
Chamaesyce peplis (L.) Prokh.
Cirsium creticum (Lam.) d'Urv. subsp. triumfetti (Lacaita) Werner
Cladium mariscus (L.) Pohl
Clematis viticella L.
Clypeola jonthlaspi L. subsp. jonthlaspi
Cyperus capitatus Vand.
Echinophora spinosa L.
Erianthus ravennae (L.) P. Beauv.
Erica multiflora L.
Erodium laciniatum (Cav.) Willd. subsp. laciniatum
Eryngium maritimum L.
Euphorbia paralias L.
Euphorbia terracina L.
Fraxinus angustifolia Vahl subsp.
Glaucium flavum Crantz
Helianthemum jonium Laicata
Imperata cylindrica (L.) P. Beauv.
oxycarpa (Willd.) Franco & Rocha Afonso
Corotipo
Forma
biologica
Euri-Medit.-Turan.
Steno-Medit.
E-Medit.-Turan.
Steno-Medit.
Euri-Medit.
Euri-Medit.
W-Medit.
Euri-Medit.
Paleosubtrop.
Steno-Medit.
Circumbor.
S-Europ.-S-Sib.
Cosmop.
Eurasiat.
Euri-Medit.
Steno-Medit.
Euri-Medit.
NE-Medit.-Mont.
Subcosmop.
S-Europ.-S-Sib.
Steno-Medit.
Steno-Medit.
Euri-Medit.
Euri-Medit.-Turan.
Steno-Medit.
Steno-Medit.
Steno-Medit.-Atl.
Euri-Medit.
Steno-Medit.
S-Europ.-S-Sib.
Euri-Medit.
Endem.
Termocosmop.
G rhiz
H scap
G bulb
G bulb
T scap
G rhiz
H scap
Ch suffr
H scap
G rhiz
Ch frut
T scap
G rhiz
G rhiz
H caesp
G rhiz
T rept
H bienn
G rhiz
P lian
T scap
G rhiz
H scap
H caesp
NP
T scap
G rhiz
Ch frut
T scap
P scap
H scap
Ch suffr
G rhiz
Lazio
Cat.
IUCN
Abruzzo
Specie
censite
Cat.
IUCN
Specie
censite
EW
LR
EN
EN
EN
CR
VU
VU
LR
LR
X
LR
X
X
X
X
X
X
X
X
CR
VU
EW
LR
X
EN
VU
EN
X
VU
VU
EW
VU
X
X
X
X
VU
EN
EN
LR
VU
EN
EN
VU
VU
X
X
X
X
X
EN
X
X
X
X
X
X
Molise
Cat. IUCN
Specie
censite
EN
EN
LR
X
X
VU
X
EN
X
VU
EW
X
VU
LR
VU
X
X
VU
EW
VU
LR
X
LR
X
LR
LR
X
X
VU
LR
VU
X
X
SPECIE
Isolepis cernua (Vahl) Roem. & Schult.
Juncus acutus L. subsp. acutus
Juncus littoralis C.A. Mey.
Juncus maritimus Lam.
Limonium narbonense Mill.
Linum maritimum L. subsp. maritimum
Lupinus angustifolius L.
Malcomia nana (DC.) Boiss.
Myrtus communis L. subsp. communis
Oenanthe lachenalii C.C. Gmel.
Otanthus maritimus (L.) Hoffmanns. & Link subsp. maritimus
Pancratium maritimum L.
Phleum arenarium L. subsp. caesium H. Scholz
Phyla nodiflora (L.) Greene
Plantago crassifolia Forssk.
Polycarpon tetraphyllum (L.) L. subsp. alsinifolium (Biv.) Ball
Polygonum maritimum L.
Polypogon maritimus Willd.
Polypogon monspeliensis (L.) Desf.
Puccinellia fasciculata (Torr.) E.P. Bicknell
Puccinellia festuciformis (Host) Parl.
Romulea rollii Parl.
Sagina maritima G. Don
Sarcocornia fruticosa (L.) A.J. Scott
Solanum nigrum L.
Sonchus maritimus L. subsp. maritimus
Spartina versicolor Fabre
Sporobolus virginicus Kunth
Stachys maritima Gouan
Suaeda vera J.F. Gmel.
Thesium humile Vahl
Verbascum niveum Ten. subsp. garganicum (Ten.) Murb.
Veronica agrestis L.
Vitex agnus-castus L.
Corotipo
Forma
biologica
Subcosmop.
Euri-Medit.
Euri-Medit.-Turan.
Subcosmop.
Euri-Medit.
W-Medit.
Steno-Medit.
Steno-Medit.
Steno-Medit.
Medit.-Atl.
Steno-Medit.-Atl.
Steno-Medit.
Steno-Medit.-Atl.
Cosmop.
Steno-Medit.
S-Medit.
Subcosmop.
Steno-Medit.-Macaron.
Paleosubtrop.
Medit.-Atl.
Steno-Medit.
W-Steno-Medit.
Steno-Medit.-Atl.
Euri-Medit.
Cosmop.
Euri-Medit.
Anfiatl.
Subtrop.
Steno-Medit.
Cosmop.
Medit.-Atl.
Endem.
Europ.
Steno-Medit.-Turan.
T scap
H caesp
H caesp
G rhiz
H ros
H scap
T scap
T scap
P caesp
H scap
Ch suffr
G bulb
T scap
H rept
H ros
T scap
H rept
T scap
T scap
H caesp
H caesp
G bulb
T scap
Ch succ
T scap
H scap
G rhiz
G rhiz
H scap
NP
T scap
H bienn
T scap
P caesp
Lazio
Cat.
IUCN
LR
VU
VU
Abruzzo
Specie
censite
LR
VU
EN
EN
EW
EN
X
X
VU
EN
X
VU
LR
X
X
VU
X
LR
VU
LR
LR
LR
VU
Cat.
IUCN
X
X
EW
VU
EW
EW
CR
EN
CR
EN
VU
CR
CR
VU
DD
EW
EN
VU
Specie
censite
X
X
X
Molise
Cat. IUCN
Specie
censite
LR
X
VU
VU
VU
X
X
EN
X
VU
VU
VU
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
EN
EN
EN
EN
CR
X
X
X
X
VU
X
CR
X
X
VU
LR
X
EN
VU
X
EN
X
VU
EN
VU
CR
EW
X
DD
CR
X
APPENDICE III
SCHEMA SINTASSONOMICO DELLA VEGETAZIONE DUNALE
COSTIERA ATLANTICA E MEDITERRANEA
COSTA ATLANTICA (AQUITAINE-SW FRANCIA)
 EUPHORBIO PARALIAE-AMMOPHILETEA AUSTRALIS J.-M. et J. Géhu 1988
 Ammophiletalia australis Br.-Bl. 1933
 Ammophilion arenariae (R.Tüxen in Br.-Bl. et R. Tüxen 1952) J. -M. et J. Géhu 1987
 Euphorbio paraliae-Elytrigetum boreoatlanticae R. Tüxen in Br.-Bl. et R. Tüxen
1952
 Euphorbio paraliae-Ammophiletum arenariae R. Tüxen 1945 in Br.-Bl. et R. Tüxen
1952
 Festuco juncifoliae-Galietum arenarii Géhu 1964 corr.
 Crucianelletalia Sissingh 1974
 Euphorbio portolandicae-Helichrysion maritimae Géhu et R.Tüxen 1972 Sissingh 1974
corr.
 Sileno portensis-Helichrysetum stoechadis Gèhu 1974
COSTA MEDITERRANEA (LAZIO-ITALIA CENTRALE)
 CAKILETEA MARITIMAE Tüxen et Preising ex Br.-Bl. & Tüxen 1950
 Euphorbietalia peplis R. Tüxen 1950
 Euphorbion peplis R. Tüxen 1950
 Salsolo kali-Cakiletum maritimae Costa et Manzanet 1981, corr. Rivas-Martínez
et al. 1992
 EUPHORBIO PARALIAE-AMMOPHILETEA AUSTRALIS J.M. et J.Géhu 1988
 Ammophiletalia australis Br.-Bl. 1933
 Ammophilion australis Br.-Bl. 1933
 Echinophoro spinosae-Elytrigetum junceae Géhu 1988 corr. Géhu 1996
 Echinophoro spinosae-Ammophiletum australis (Br.-Bl. 1921) Géhu, RivasMartínez & R. Tüxen in Géhu 1975
 Crucianelletalia maritimae Sissingn 1974
 Crucianellion maritimae Rivas-Goday & Rivas-Martínez 1963
 Loto cytisoidis-Crucianelletum maritimae Alcarez et al. 1989 corr.
 HELIANTHEMETEA GUTTATI (Br.-Bl. Ex Rivas-Goday 1958) Rivas-Goday et Rivas Martínez
1963

Malcolmietalia Rivas-Goday 1958
 Maresion nanae Géhu, Biondi, Géhu-Franck et Arnold-Apostolides 1986
 Sileno coloratae – Ononidetum variegatae Géhu et al. 1986
 QUERCETEA ILICIS Br.-Bl. (1936) 1947
 Pistacio lentisci-Rhamnetalia alaterni Riv.-Mart. 1975
 Juniperion turbinatae Riv.Mart. (1975) 1987
 Asparago acutifolii-Juniperetum macrocarpae R.et R.Molinier 1955 ex O. de Bolòs
1962, corr. race typique Géhu et alii 1990
Ringraziamenti
Eccomi alla fine di un’esperienza impegnativa ma entusiasmante che mi ha insegnato tanto
arricchendomi da un punto di vista intellettuale e umano. Sono molte le persone che hanno permesso
che ciò si realizzasse e che sento di ringraziare per avermi accompagnato e sostenuto in questo
importante periodo della mia vita. Il mio primo pensiero va alla mia famiglia a cui dedico dal
profondo del cuore questo lavoro: grazie mamma, papà, Emi e nonna, per il vostro prezioso sostegno,
e per il vostro amore che sempre mi accompagna.
Un ringraziamento speciale va alla professoressa Alicia Acosta, una guida esemplare e una persona
dalle rare qualità umane: grazie per avermi stimolato in tutte le fasi del lavoro e trasmesso una forte
passione e curiosità per la ricerca; grazie per la disponibilità, i consigli e la comprensione.. sono state
per me fondamentali!
Ringrazio il laboratorio di Ecologia vegetale e le persone nel corso di questi tre anni si sono
susseguite. In particolare ringrazio Silvia, Marta e Riccardo i migliori “compagni di viaggio” che si
potesse desiderare. Grazie per avermi accompagnato nelle trasferte sulla duna e per aver condiviso
con me piacevoli momenti di confronto e di crescita! Un sincero ringraziamento va, inoltre, a
Giovanni Salerno per la sua preziosa consulenza floristica, e a Laura Cancellieri con cui ho
condiviso le gioie e le difficoltà di questa esperienza del dottorato!
Un caro ringraziamento va alle professoresse Laura Carranza e Angela Stanisci della Facoltà di
Scienze ambientali di Isernia per il prezioso supporto nelle diverse fasi della ricerca.
Ringrazio, inoltre, il Prof. Gianfranco Pirone e al suo gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze
ambientali de L’Aquila e il Prof. Fabio Conti per la collaborazione nella realizzazione del
censimento floristico.
Ringrazio le mie super-coinquiline e quanti hanno reso il periodo a Roma davvero speciale! Grazie
Flo, Dragan, Carmen, Micky, Dalia, Giusy, Cristina, Antonella, Isabel, Valentina, Lucia e
Paolo.Grazie per la vostra sincera amicizia!
305
Un sentito ringraziamento va al Prof. R. Michalet e al lab. BIOGECO per l’ospitalità e per il
sostegno durante la co-tutela di tesi. Ringrazio Blaise Touzard, Emmanuel Corcket, Michel
Mench, Luc Barbaro e Chantal, Yann, Sylvain, Clémence, Pim, Cocaïne, Caro…Un particolare
grazie va a te, Estelle per la preziosa collaborazione, per il tuo sostengo morale e per avere reso i
giorni trascorsi a Bordeaux davvero indimenticabili!
Infine ringrazio te, Antonio, per avermi sempre compreso e sostenuto, per credere in me e per avermi
sempre stimolato a seguire la mia strada. Grazie per la pazienza e per l’immenso amore … adesso
ci attende un nuovo cammino insieme e un’altra meravigliosa fase della nostra “favola” che non vedo
l’ora di iniziare!
Il mio pensiero infine, va a tutti coloro che non ho ricordato ma che hanno reso tutto questo
possibile…vi voglio bene!
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