Apertamente Luglio 2014 - Comune di Appignano del Tronto

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Transcript Apertamente Luglio 2014 - Comune di Appignano del Tronto

LA SAGGIA VOCE
DELLA TRADIZIONE
Lunario:
- Il concime fa il foraggio, ed il
foraggio fa il concime.
- E’ la gaia pioggerella a far crescer l’erba bella.
Relato:
- Le due parole più brevi e più
antiche, sì e no, sono quelle che
richiedono maggior riflessione.
(Pitagora)
Versi popolari:
- Lu vi bianchë, lu vi ruscë nën
të fa stà mai muscë.
Proverbi:
- Chi prima nën penza,
all’ùddëmë sëspira.
Chi prima non riflette, in ultimo
sospira. Il motto è un severo
richiamo contro i superficiali, i
distratti, i faciloni.
Modi di dire caratteristici:
- A stà vëcinë a chèsta të fa calà
lu latte cucchë.
Lo stare accanto a questa ti fa
scendere il latte “cucco”( il primo latte di colore verdastro). La
frase vale: ti fa soffrire pene
simili a quelle, che procura
l’uscita del primo latte.
Lupus in fabula:
E’ arrivata proprio la persona di
cui stavamo parlando. Il lupo,
quando arriva, è così spaventoso
che toglie la parola; allo stesso
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pag. 4 aperta
Centr o Studi
“Francesco d’Appignano”
INVITO ALLA
LETTURA
LA CONGIURA DI CATILINA
di Sallustio
Considerato uno dei capolavori
della storiografia romana, la congiura di Catilina è la storia del tentativo di Lucio Sergio Catilina, nobile
depravato e privo di scrupoli, forse
“ispirato” dallo stesso Cesare, di
sovvertire l’ordinamento repubblicano a Roma. Questo controverso
episodio è certo esposto in modo
tendenzioso, ma ha il pregio di essere narrato con un periodare serrato e vibrante, ricco di antitesi e spezzature,
che affascina alla lettura. Sallustio esercitò
influenze profonde sugli storici successivi
sia per la sua peculiare scrittura sia per la
sua concezione della storiografia: non solo
cronaca di fatti ma ricerca delle loro cause.
Fu interprete appassionato e acuto, nei limiti di un moralismo di fondo, comune a
tutta la storiografia antica.
natura il corpo è piacere, l’animo un
peso. Vita e morte di costoro io ritengo alla pari, poiché dell’una e dell’altra si tace. Mentre
certamente, infine,
mi sembra vivere
e godere della vita
quello che, intento a
qualche attività cerca
la gloria di un illustre impresa. Ma in
così grande quantità
di opere, la natura
mostra ad ognuno
un diverso cammino.
È bello giovare allo
Stato; anche non è
disdicevole il bene
esprimersi, è lecito acquistare fama in
pace o in guerra; molti hanno ottenuto gloria operando, molti narrando le
imprese altrui. Quanto a me, sebbene
non pari gloria segua chi scrive...
L’Angolo di Caterina:
aperta
luglio 2014
I BATTESIMI NELLA
ROMA PAGANA
di Cristoforo Albertini
I
costumi rituali associati alla nascita
di un nuovo bambino nelle famiglie
nell’antica Roma pagana non erano
molto differenti di quelli cristiani. Dopo
il primo bagno, la levatrice spandeva una
stuoia per terra e vi deponeva il neonato.
Il padre poi lo raccoglieva e lo deponeva
filastrocche
stornelli
unque all’inizio i re - ché sulla terra
questa fu la prima denominazione del fiabe
Incipit
D
potere - secondo inclinazioni diverse esercitavano alcuni l’ingegno, altri la forza fisica; allora la vita degli uomini trascorreva
senza cupidigia; a ciascuno bastava il suo.
Ma poi, quando in Asia Ciro, in Grecia gli
Spartani e gli Ateniesi, presero a sottomettere città e nazioni, a reputare che la gloria
più grande risiedesse nel potere più grande, allora infine alla prova dei fatti si riconobbe che in guerra la supremazia spetta
all’ingegno. Che se la forza d’animo di re
e comandanti valesse così in pace come in
guerra, le umane vicende si conterrebbero con maggior equilibrio e costanza, non
vedresti tutte le cose mutare e rimescolarsi. Poiché il potere facilmente si conserva
con le doti dell’animo che all’inizio lo generarono. Ma quando l’inerzia si diffonde
in luogo dell’efficienza, la sfrenatezza e
l’orgoglio in luogo dell’equità e della continenza allora la fortuna cambia insieme con
i costumi. Così il potere si trasferisce sempre dal meno capace al migliore.
L’agricoltura, la navigazione, l’arte edilizia
obbediscono all’ingegno. Ma molti mortali, schiavi del ventre e del sonno, trascorrono ignoranti e incolti la vita, simili
a viandanti. Ad essi senza dubbio contro
antichi usi e costumi
Tanto tempo fa, i più anziani ricorderanno, potevi sentire questa
espressione: “ijetë a favvë rëculà a San
Ntmassë” (andate a farvi rifondere,
revisionare a San Ntëmassë). San
Tommaso di Montedinove, protettore delle ossa, è il Santo a cui
i pellegrini indirizzavano le loro
suppliche per ritornare come nuovi, (pare che di tre zoppi, San Tommaso ne rëculassë uno guarito).
I pellegrini recitavano:
Ijemë a spassë a spassë
ncuntrëmë San Ntëmassë,
San Ntëmassë dë li pëcciù
cë mëttemë ngënecchiù,
ngënecchiù cë sëmë missë
San Ntëmassë c’è prëmissë,
c’è prëmissë lu santarielli
san Ntëmassë vëcchiarielli.
modo, quando arriva la persona di cui si sta parlando (spesso male) tutti tacciono di colpo
come se il lupo li avesse terrorizzati.
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“ApertaMente”, il giornalino a cura del “Centro Studi Francesco d’Appignano” è online, potete leggerlo e scaricarlo
direttamente (a colori) dal sito del Comune di Appignano... Sono presenti tutti i numeri dal 2011
http://www.comune.appignanodeltronto.ap.it/page/144/apertamente.html
Centr o Studi
“Francesco d’Appignano”
ANDREA DEL SARTO: IL BATTESIMO DI
CRISTO (AFFRESCO - 1510)
nelle braccia della madre. Con quella cerimonia, lui se ne assumeva la sua paternità. D’altro canto, se si rifiutava di raccoglierlo, allora il neonato era considerato
un bastardo ed era rifiutato. La celebrazione poi continuavano con i doni votivi agli dei per proteggerlo da tutti i mali.
Continua a pagina 3
Rubrica a cura di
Domenico Priori
a pagina 3
L’Angolo di Caterina:
filastrocche - stornelli - fiabe
Rubrica a cura di a pagina 4
Caterina Corradetti
Un’accattivante
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relazione
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di d
don Pi
Pietro A
Antonini,
i i un
sacerdote appignanese, racconta la visita ad Ascoli di
Papa Pio IX nel maggio del 1857
di Emidio Santoni
N
el paese la memoria
della
chiesa di san
Pietro sta oramai svanendo. È il destino
delle cose che non esistono più. A mano a
mano che con il tempo si riducono coloro
che la frequentarono la
piccola ma amata chiesa parrocchiale diventa preda dell’oblio. Per
conoscere un po’ la sua
storia bisogna ricorrere
agli archivi. Tutte le carte che la riguardano e
reperibili in Appignano
sono conservate in uno
storico piccolo baule
militare appartenuto al
soldato-studente Nazareno Senesi poi diventato prete e parroco, morto nel 196: due
anni dopo l’edificio sacro veniva
demolito, rimpiazzato da una
architettonica bruttura. Domanda:- Dove erano gli appignanesi?
A rendere disarmonico il paese
hanno contribuito un incosciente assenteismo e le cause naturali: terremoti e frane.
Ebbene tra le poche carte ingiallite si conserva un prezioso
manoscritto dovuto alla penna
PAPA PIO IX
(GIOVANNI MASTAI FERRETTI)
di due parroci: don Filippo Savelli e
don Pietro Antonini. Di quest’ultimo sacerdote è la cronaca della visita
di Pio IX alla città di Ascoli - Essa
risulta particolarmente importante
in quanto don Pietro è testimone diretto dell’evento. Si ricorda che Pio
IX è stato dichiarato beato nel 2000
da papa Giovanni Paolo II non senContinua a pagina 2
LA SAGGIA
INVITO ALLA VOCE
DELLA
LETTURA
TRADIZIONE
Rubrica a cura di a pagina 4
Marino Stipa
R
Rubrica
a cura di
Marino Stipa a pagina 4
LA VISITA DI PAPA PIO IX AD
ASCOLI
Continua da pag. 1
pag. 2 aperta
damente illuminato vi ricevette la benedizione col Santissimo Sacramento;
za aspre critiche provenienti dal mondo indi passò all’episcopio, di là mediante
ebraico. Si ricorda inoltre che Appignano una comunicazione fatta espressamente
conserva un prezioso calice donato alla al palazzo comunale e e da un grande
chiesa di san Pietro dal Beato. Del sacerdote don Pietro Antonini abbiamo
scritto altre volte in numeri passati di
Apertamente si ritornerà, in seguito,
su di lui per tracciarne un profilo più
dettagliato. Trascriviamo dal manoscritto: “Ad perpetuam rei memoriam.
Appignano 18 maggio 1857
Pio IX Sommo Pontefice (Giovanni
Mastai Ferretti nato in Senigallia il 13
maggio 1792 esaltato al pontificato il 15
giugno 1846)
La mattina del 18 maggio 1857 il detto
Santo Padre Pio IX lasciò la città di Fermo e partì alla volta di Ascoli transitando
per il Porto San Giorgio, Torre di Palme,
Pedaso, Marano (oggi Cupramarittima,
Grottammare dove venne incontrato dalle magistrature comunali, dal clero, dalle
confraternite e dalle popolazioni che facevano a gara per ricevere nel miglior modo
il Loro amato Sovrano, avevano innalzati lungo lo stradale archi e padiglioni, disposti festoni intermediati da vasi di agrumi e da parature in bell’ordine disposte.
Le strade riboccono di popolo e, non solo
dalle finestre, ma anche dai tetti e da su gli
alberi che sorgono lungo la via si aspettava
il passaggio del Santo Padre. Sulla riva del
Tronto, per lungo tratto di cammino vedeansi
i Contadini spargere sul passaggio del venerato Loro Sovrano fiori in gran copia e prostrarsi per essere benedetti. Verso le sei pomeridiane del detto giorno 18 maggio 1857 Sua
Santità giunse felicemente in Ascoli accolta
da da una straordinaria folla che proruppe
in clamorosi applausi. Un lungo viale fiancheggiato da molte statue, da festoni faceva
capo alla porta della città: poi archi trionfali di squisito disegno, decorati da grandi
statue e da allusive iscrizioni: tutte le strade
abbellite ed ornate a festa: sulla Piazza del
Popolo una grande colonna sormontata dalla
statua dell’Immacolata Concezione: a Piazza Montanara sopra grandioso piedistallo la
statua quasi colossale del Sommo Pontefice.
Un drappello di giovanetti alla stessa foggia
vestiti in fascia bianco-gialla spargevano fiori
lungo il cammino e fiori pure in larga copia
piovevano dalle finestre e dalle logge gremite
di spettatori.
Scesa di carrozza al duomo Sua Santità vi fu
ricevuta dall’eminentissimo e reverendissimo
cardinale De Angelis, dal vescovo della diocesi monsignor Carlo Belgrado, dal suo clero,
dai vescovi di Montealto e di Ripatransone,
dal delegato della provincia monsignor Scapitta da quelli di Macerata e Fermo, nonché
dal magistrato municipale e dalle varie autorità locali. Entrata nel sacro tempio splendi-
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Centr o Studi
“Francesco d’Appignano”
IL VESCOVO DELLA
DIOCESI DI ASCOLI PICENO
CARLO BELGRADO
padiglione con vera magnificenza ornato benedì il Popolo, che riboccante sulla sottoposta Piazza dava segni i più
eclatanti di devozione, e di esultanza
prorompendo in lunghi e fragorosi applausi: Intanto veniva preparata una
brillantissima illuminazione, e quattro
Concerti riuniti dai vicini Luoghi, oltre
quello eccellente della stessa Città eseguivano vari pezzi di musica, ed anche
un inno espressamente scritto in onore
del Santo Padre, che dal gran padiglione ebbe la compiacenza di osservare la
illuminazione a colori che brillava sulla
Piazza, ed al suo primo presentarsi il
popolo in gran folla proruppe nei più
lieti, e prolungati Evviva. Tutto era religiosa e devota esultanza.
La mattina del 19 Sua Santità, dopo
aver celebrata la Messa alla Cattedrale, e accettata dal capitolo una refezione, si condusse al Seminario, ove ammettendo al bacio del piede gli alunni di
un corso superiore diresse loro parole di
incoraggiamento a proseguire col massimo impegno la carriera degli studi, e,
degnossi di accogliere e gradire alcune
loro composizioni a stampa. Ritornato
a piedi alla sua residenza fra una calca indicibile di Popolo plaudente, dopo
aver presa cognizione di vari bisogni
loro ed opportunamente provvedutovi,
come negli altri luoghi percorsi, diede
udienza a diverse Deputazioni andate
colà anche dai paesi limitrofi, nonché
a distinte persone e clero della diocesi.
Ammise pure alla Sua augusta presenza un concerto musicale venuto dal
regno di Napoli per rendergli omaggio.
Nelle ore pomeridiane Sua Santità si
recò al palazzo Delegatizio e dalla
loggia impartì la benedizione all’immensa moltitudine a mezzo il più vivo
e generale entusiasmo. Passò indi al
monastero della Concezione ove consolò con la Sua augusta presenza anche
le altre religiose della città ivi riunite e all’ospedale ove si accostò al letto
di ogni infermo con la sua ben nota
carità e amorevolezza. Salito poi in
carrozza uscì fuori di Porta Romana
per osservare percorrendone un tratto
a piedi, la Salaria Superiore, strada
di tanta importanza per le più brevi
comunicazioni con la capitale. Restituitasi indi all’Episcopio, dove si vedeva riccamente addobbato e fornito di
tutto con magnifico sfarzo avendo con
sé in carrozza l’eminentissimo signor
cardinale De Angelis, aprì di nuovo
l’udienza ascoltando molte persone
nelle parziali loro domande e continuò
ad occuparsi negli affari, segnando ancora non pochi rescritti e taluni provvedimenti. Alla sera una ricca generale
illuminazione a variati disegni in tutta la Città, brillanti fuochi d’artificio
, scelti pezzi di musica eseguiti dai
cinque concerti, inni ed auguri di felicitazioni e continuate acclamazioni.
Alle otto antimeridiane del 20 maggio, Sua Santità accompagnata da
religiosi applausi dal popolo che ingombrando le vie era accorso per ricevere la benedizione, partì tutto mesto
e malinconico da Ascoli dispiacente
di non potersi trattenere più a lungo
e nei luoghi percorsi si rinnovavano le
stesse dimostrazioni di omaggio e di
devozione che furono fatte al primo suo
passaggio”.
Tralascio l’ultima meno importante parte del documento annotando
semplicemente che Pio IX era anche monarca dello Stato Pontificio
(un Papa - Re) di cui le Marche erano una parte e che questa fu l’ultima sua visita come sovrano perché
tre anni dopo, cioè con il plebiscito
del 4 novembre del 1860, le Marche
votarono per la loro annessione al
Regno d’Italia. Nel breve tempo
si passerà dal grido: Viva Pio IX
a Viva Vittorio Emanuele III. La
direzione del vento della storia soffierà a favore di Casa Savoia.
I BATTESIMI NELLA ROMA PAGANA
Continua da pag. 1
Nel nono giorno dopo la nascita poi, si
celebrava la purificazione (non molto
differente dell’odierno battesimo cristiano). Come testimonianza di quel
rito, appendevano un amuleto
al collo del neonato. Quel tubetto a capsula di
metallo prezioso
(bulla in latino)
era pieno di fiori
secchi coltivati
intorno a qualche
tempio. Quel talismano era destinato a proteggerlo dal malocchio.
Questa bulla non
era
differente
dë lu brevë con i
fiori raccolti nel
giardino del santuario di Cascia,
che mia madre
mi appuntava sul
panciotto, quand’ero ragazzo. Da ultimo assegnavano il nome al neonato.
A quei tempi era di norma dare il nome
del padre al primogenito maschio in
ogni famiglia romana. Pertanto tutti
i primogeniti maschi si chiamavano
come il loro padre, nono, bisnonno,
bisavolo e via di seguito. Quel nome
poi era seguito da quello della stirpe
(quello che noi chiamiamo cognome).
Esempi: i Julii, i Cornelii, i Lucrezii,
i Tullii, i Valerii e così via. Poi ci aggiungevano un terzo nome, diremo un
nomignolo di sorta, di solito associato a qualche caratteristica di famiglia.
Esempi: Cincinnatus, il ricciuto; Lepidus, lo scherzoso; Cicero, il coltivatore
di ceci; Coriolanus, il nativo di Corioli.
E così abbiamo nomi romani completi come Gaio Giulio Cesare o Marco
Tullio Cicerone.
Le ragazze romane, invece, non ricevevano un cognome. Erano identificate
con un nome derivato dal loro cognome di stirpe. E a prescindere da quante
ce n’erano in una famiglia, ricevevano
tutte lo stesso nome. Esempi:tutte ragazze della famiglia dei Tullii, erano
chiamate Tullia; quelle dei Cornelii, Cornelia; quelle dei Giulii, Giulia;
quelle dei Valerii, Valeria. Un poscritto: una recente ricerca di alcuni storici
ha stabilito, dai nomi estratti da documenti e dalle iscrizioni sulle tombe e
sui monumenti d’epoca, che la stirpe
romana più numerosa nel Piceno era
quella dei Valerii. Pertanto il nome di

aperta
Centr o Studi
“Francesco d’Appignano”
donna più comune nella nostra area era
ovviamente Valeria.
Per avere un’idea della varietà di questi
nomignoli usati dai Romani, basta pensare a quello dei Giulii, cioè della famiglia
dell’imperatore Gaio Giulio CESARE!
La parola «caesar» è di origine cartaginese
GIOVAN FRANCESCO PENNI:
BATTESIMO DI COSTANTINO
e significa «uccisore di elefante». La genesi di quel nomignolo risale all’anno 251
a.C. Sette generazioni prima della nascita
del grande Imperatore (anno 100 a.C.),
un altro meno noto Gaio Giulio andò
alla Prima guerra Punica contro i Cartaginesi. Durante quella campagna, per la
JUKEBOX ALL’IDROGENO
Tre turisti vengono catturati dai selvaggi
e condannati a morte avendo però una
possibilità di salvarsi. Vengono messi in
fila indiana e a ciascuno vengono dipinti
prima volta nella storia, i Romani si trovarono a combattere un
nemico, che usava gli elefanti,
come gli eserciti odierni usano i
carri armati. Ebbene, nel corso
di quella battaglia, quel valoroso antico Gaio Giulio riuscì ad
ammazzare
uno dei loro
elefanti. A me
sarebbe piaciuto vedere
come compié quell’atto
eroico, con
le armi di un
soldato romano del terzo
secolo a.C. A
quei tempi,
in ogni caso,
i Romani non
conferivano
medaglie ai
loro eroi: gli
appioppavano invece un
n o m i g n o l o,
che poi diventava un vanto di famiglia.
Fu così che l’atto eroico di
quell’antico caesar è all’origine
del nome di quel CAESAR, che
divenne poi il concetto politico,
conferito alla più alta carica istituzionale del mondo occidentale.
i capelli con un colore scelto fra
3 tinte di bianco e 2 di nero. In
questo modo l’ultimo della fila
vede i capelli dei primi due, quello in mezzo vede solo i capelli di
quello davanti ed il primo non
vede niente.
Viene chiesto all’ultimo della fila
di indovinare il colore dei propri
capelli; questi risponde “non lo
so” e viene giustiziato.
Tocca quindi a quello in mezzo
che, sentita la risposta del suo
compagno, risponde anch’egli
“non lo so” e anche lui viene
giustiziato.
Tocca infine al primo della fila
che, sentite le risposte dei compagni, determina con certezza il
colore dei propri capelli e si salva.
Di che colore erano i capelli dei
tre turisti?